La guerra in Siria. Analisi di scenario e interesse nazionale · trovi una soluzione di compromesso...

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MACHIAVELLI Centro Studi Politici e Strategici Dossier del MACHIAVELLI Dossier del Machiavelli, n. 5 16 Aprile 2018 La guerra in Siria Analisi di scenario e interessi nazionali italiani AUTORI: Dario Citati e Daniele Scalea Centro Studi Machiavelli

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MACHIAVELLICentro Studi Politicie Strategici

Dossierdel MACHIAVELLI

Dossier del Machiavelli, n. 516 Aprile 2018

La guerra in SiriaAnalisi di scenario e interessi nazionali italiani

AUTORI:

Dario Citati e Daniele ScaleaCentro Studi Machiavelli

La guerra in Siria

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♦ Il 14 aprile 2018 USA, Francia e Gran Bretagna hanno effettuato incursioniaeree contro obiettivi del Governo siriano appoggiato da Iran e Russia.

♦ Il conflitto in Siria, esploso sulla base di contraddizioni (politiche, sociali,etniche e culturali) interne al Paese, è presto divenuto un’estensione di rivalitàregionali e internazionali, tra le quali spiccano quelle tra USA e Russia, Iran eIsraele, Iran e Arabia Saudita, Turchia e movimento nazionale curdo. I richiamiideali e umanitari nascondono più spesso logiche di potenza da parte degliattori esterni.

♦ Mentre varie potenze cercano di ritagliarsi una sfera d’influenza e proteggerei propri interessi in Siria, anche l’Italia dovrebbe badare al proprio interessenazionale. Il nostro Paese non ha velleità di espansione o egemonia, ma nonpuò far fronte alla destabilizzazione della Siria né tanto meno della regione. Ilflusso immigratorio incontrollato e l’offensiva terroristica in Europa sonoesempi delle ricadute negative che pesano su di noi.

♦ Incentivare il dialogo, in particolare tra USA e Russia, è essenziale affinché sitrovi una soluzione di compromesso che ponga fine alla guerra e scongiuri ogniescalation. L’Italia gode di una tradizione di mediazione tra Mosca e Washington,come simboleggiato dal Vertice di Pratica di Mare del 2002.

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SOMMARIO ESECUTIVO

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1. LA GUERRA CIVILE SIRIANA: FATTORI, ATTORI E SVILUPPI INTER-NI

La guerra civile in Siria è cominciata nel 2011,sull'onda dei sommovimenti che quell'annointeressarono ampia parte del mondo arabo e chefurono all'epoca denominati “Primavera araba”. LaRepubblica Araba di Siria è dal 2003 l'ultimo superstiteregime retto dal Ba'th, il partito nazionalista, panaraboe socialista che è stato al potere anche in Iraq. Dal1970 la famiglia Assad detiene la Presidenza delPaese, prima con Hafiz e quindi con Bashar.

Nel 2011, all'alba del conflitto, la stabilità dellaSiria risentiva di diversi fattori negativi:∎ povertà:malgrado le politiche di liberalizzazioneeconomica perseguite dagli Assad, il Paese continuava

ad avere un basso reddito. Particolarmente elevataera la disoccupazione giovanile;∎ divisioni etniche: la maggioranza etnica di arabiincludeva i ¾ della popolazione totale, compresiperò anche 600.000 palestinesi (Damasco era sededel quartier generale di Hamas). Le minoranzeetniche si presentavano inoltre geograficamenteconcentrate, dotate di una forte identità particolaree collegate con compatrioti oltre confine: è il casodei curdi (10% della popolazione) e dei turcomanni(5%);∎ divisioni religiose: oltre a una consistenteminoranza cristiana (10% della popolazione), era

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presente un'importante suddivisione interna allamaggioranza islamica. Il 10% della popolazione erainfatti alawita, ossia appartenente a un gruppoprossimo allo sciismo da cui provengono pure gliAssad. Malgrado il loro regime non avesse connotatinettamente settari, gli Assad si erano preferibilmenteaffidati ad alawiti per molte posizioni chiavenell'amministrazione e nelle forze armate. Hafizaveva creato interi quartieri a Damasco popolati daalawiti provenienti dalla regione costiera, per megliocontrollare la capitale.

Tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 Hafizal-Assad aveva dovuto contrastare e reprimereun'insurrezione capeggiata dai Fratelli Musulmani,movimento politico-religioso transnazionale diestrazione sunnita. Bashar al-Assad durante il propriogoverno aveva cercato di conquistare consensi tra lamaggioranza sunnita tollerando l'estendersi di rigideinterpretazioni religiose (mossa che ha invece favoritoil diffondersi di un islamismo ostile agli alawiti).Inoltre la riduzione dei fondi alle forze armate e alpartito ha ridotto la loro capacità di controllare eindottrinare i giovani.

Il fatto che la nuova rivolta, incendiatasi nel 2011,abbia trovato il serbatoio principale tra i giovanidelle periferie urbane dei grandi centri, di religionesunnita e sensibili alle predicazioni islamiste, hapresto conferito un carattere decisamente settarioalla guerra civile. Le fazioni più laiche dei rivoltosi,per giunta fin dall'inizio alleate ai Fratelli Musulmaninell'Esercito Libero Siriano, sono state presto relegatea un ruolo di comprimario delle più forti miliziejihadiste, e in particolare delle due filiazionidi al-Qaida – Jabhat al-Nusra, oggi Hay'atTahrir al-Sham, e lo “Stato Islamico di Iraq edel Levante” (meglio noto con l’acronimoinglese di ISIS). Importanti milizie islamistesono pure Ahrar al-Sham e Jaysh al-Islam,ma esiste una vasta costellazione di formazioniminori. Sia “Jane's” sia il Washington Institutehanno in momenti diversi stimato il pesodegli estremisti islamici in circa il 50% deirivoltosi totali; gran parte della restante metàera composta da islamisti meno radicali o damilizie di carattere locale, con solo una piccolaporzione di forze realmente laiche e moderate.

Nel Settentrione la minoranza curda si èinvece riunita sotto le insegne del PYD edella sua ala militare YPG. Col prosieguodel conflitto il YPG ha coalizzato attorno asé varie milizie arabe nelle Forze DemocraticheSiriane (FDS). Come conseguenza del carattere

etno-settario della ribellione, anche il Governo hafatto crescente ricorso agli alawiti per i propri quadrimilitari. La pratica di accordare l’evacuazione deicentri assediati, spesso grazie a tregue sotto l’egidadell’Onu, ha favorito il redistribuirsi della popolazione,col progressivo spostamento di una fetta di abitantisunniti, quella ideologicamente più ostile al Governo,verso la regione di Idlib. È questa, assieme allaprovincia di Deraa al Sud e a piccole exclavi nelcentro del Paese, l’ultima zona ancora controllatadai ribelli arabi e turcomanni. La porzione nord-orientale della Siria è controllata ora dalle FDS aguida curda, minacciate da un’offensiva di miliziesostenute dalla Turchia. Il resto del Paese è tornatosotto il controllo del Governo.

L’acme della ribellione si era raggiunto nel 2015,quando sembrava concretamente in grado di scalzareAssad dal potere: dal settembre di quell’anno, grazieall’intervento diretto della Russia e ad un accresciutosforzo iraniano, il Governo ha cominciato ariconquistare terreno. In questa fase le forze di Assad,sorrette da Russi e Iraniani, stanno procedendo aripulire le sacche ribelli tra Hama e Homs e nellaGhouta Orientale. Dopo di che dovrebbero puntareverso le roccaforti ribelli a Nord e Sud, ossia Idlib eDeraa. Quest’ultima potrebbe rivelarsi particolarmentecritica, poiché in prossimità del confine israeliano.La reazione di Gerusalemme al dislocarsi di forzeiraniane o della milizia libanese Hizballah in prossimitàdel confine sarebbe prevedibilmente violenta. Unaltro settore critico è quello dell’alto corso dell’Eufrate,dove già si fronteggiano milizie pro-turche e SDF aguida curda.

Le aree di controllo in Siria secondo l’Institute for the Study of War.Fonte: www.understandingwar.org

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Il 30 settembre 2015, la Federazione Russa hadato avvio ad un intervento militare di massicceproporzioni, iniziando a bombardare le postazioniribelli nelle province di Homs, Hama e Latakia.Dalla portaerei Admiral Kuznecov sono decollati icaccia multiruolo Su-33 Flanker-D, ma sono statidispiegati con successo anche i MiG-29SMT e ibombardieri strategici TU-22M3 sino all’invio recentedei caccia di quinta generazione Sukhoi Su-57. Avolte coordinata con le forze siriane e iraniane, altrevolte condotta in autonomia, l’azione di Mosca èrisultata decisiva per il rovesciamento delle sorti delconflitto, contribuendo alla riuscita di operazioniessenziali come la riconquista delle città di Palmira edi Aleppo nel 2016.

L’intervento russo non si è limitato peraltro allasola dimensione aeronavale, ma ha contemplatoanche il dispiegamento di forze terrestri sul campo,finalizzate a ricostituire reparti dell’esercito sirianoma con funzioni di comando e controllo gestitedirettamente dai Russi. Ad esempio, nell’ottobre2015 Mosca ha strutturato il 4° Corpo d’Assaltonella provincia di Latakia; un anno dopo a Damascoè stato costituito invece il 5° Corpo d’Assalto sottola guida del Generale Valerij Asapov, poi ucciso dauna scheggia di proietto di mortaio a settembre 2017nel corso della battaglia di Deir Ezzor. Dal punto divista tecnico-militare, la tutela russa della Siria è benesemplificata dal dispiegamento delle batterie anti-missile S-300VM Antey-2500 e S-400 Triumf,localizzate intorno alle basi di Tartus e di Hmeimm.Tali sistemi di difesa sono deputati a intercettare ecolpire i missili nemici entro uno spazio tecnicamentedefinito MEZ (Missile Engagement Zone), e vengonoattivati tuttavia a discrezione dai Russi. Ad esempio,Mosca ha tollerato negli anni numerose incursioniisraeliane in territorio siriano (come nel caso deiripetuti attacchi all’aeroporto di Mezzeh, Damasco,per colpire depositi di munizioni di Hizbollah trafine 2016 e inizio 2017).

La Russia è intervenuta in Siria principalmenteper tre ragioni, di carattere allo stesso tempo strategico-militare e politico-diplomatico.∎ In primo luogo, per garantire e ampliare lapropria presenza marittimo-militare nel Mediterraneo:il porto di Tartus, tecnicamente definito «Punto diappoggio tecnico-militare n° 720», è infatti l’unicabase mediterranea rimasta a Mosca dalla dissoluzione

dell’Unione Sovietica. La caduta di Assad avrebbequindi implicato una grave perdita di posizione, incontrasto peraltro con tutta la nuova strategia navalerussa, che prevede (dopo l’acquisizione della Crimeae la completa sovranità sul porto di Sebastopoli) unampliamento dei punti di appoggio nel Mediterraneo,con negoziati in corso per avere facilitazioni neiporti di Limassol (Cipro), Sidi el Barrani (Egitto) eforse Tobruk o Bengasi (Libia). Siglando un accordocon il governo di Damasco il 18 gennaio 2017, Moscasi è impegnata ad ammodernare e ampliarne gliimpianti, gli scali e le banchine in modo che Tartusarrivi ad ospitare simultaneamente fino a 11 unitànavali russe, compresi i sottomarini a propulsionenucleare, garantendosi inoltre l’inalienabilità delleinfrastrutture e l’immunità per il personale militarerusso in loco. È proprio questo rafforzata presenzamilitare russa nella regione ad essere vista con sospettoe preoccupazione da parte di alcuni Paesi NATO,Stati Uniti in testa.∎ In secondo luogo, la Russia ha tentato di porsicome il nuovo broker in Medio Oriente. Prima diintervenire militarmente, ha concertato la sua azionecon diversi attori chiave della regione, in particolarecon Israele (i capi di Stato Maggiore Eizenkot eGerasimov hanno concordato la neutralità nellerispettive operazioni aeree) e con l’Egitto di al-Sisi,con cui ha siglato molti accordi di cooperazioneeconomica ottenendo importanti sponde diplomatiche(nell’ottobre 2016, il Cairo ha votato a favore dellarisoluzione russa sui bombardamenti ad Aleppoentrando in rotta di collisione con l’Arabia Saudita).Soprattutto, Mosca ha organizzato i Colloqui diAstana, l’iniziativa diplomatica per la pace in Siriaparallela ai colloqui di Ginevra che ha avuto ottosessioni in tutto il 2017 riuscendo a far sedere allostesso tavolo due grandi rivali, Turchia e Iran. Pursenza trovare una soluzione politica alla crisi siriana,i colloqui di Astana hanno raggiunto obiettivi tatticiimportanti, come la fissazione delle 4 de-escalationzones (Idlib, nord di Homs, periferia est di Damasco,zona di Deraa ai confini della Giordania). La treguain questa zone è stata funzionale agli sviluppisuccessivi, cioè la sconfitta dell’ISIS e la ripresa dicontrollo del territorio da parte dell’esercito siriano.∎ Infine, il contrasto all’ISIS e alle fazioni islamicheradicali anti-Assad ha avuto e riveste tuttora perMosca un’importante finalità difensiva interna. Le

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2. L’INTERVENTO RUSSO: OBIETTIVI, EFFETTI E MOTIVAZIONI

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popolazioni musulmane della Russia nel Caucasosettentrionale sono infatti sensibili al radicalismosunnita e il rischio di foreign fighters e proliferazionedel jihadismo è vissuta come una minaccia reale daparte di Mosca. Basti ricordare che uno dei leadermilitari più importanti dell’ISIS, Omar Al-Shishani,(«Omar il Ceceno»), poi ucciso in battaglia, provenivaproprio da questa regione, e che Mosca ha pagato ilproprio sostegno ad Assad con diversi attentatiislamisti subiti sul proprio territorio sia prima siadopo l’intervento militare (attentati di Volgograd difine 2013, attentati alla metro di Pietroburgo diaprile 2017).

Nella versione ufficiale del governo russo, proprioquest’ultimo punto – la lotta al terrorismo – è quellomaggiormente amplificato e che ha conferito a Moscaun certo prestigio presso l’opinione pubblicainternazionale. Particolare rilievo ha assunto la

riconquista della città di Palmira, simbolodelle devastazioni dell’ISIS. Dopo la sualiberazione, nel maggio 2016 il Cremlino viha organizzato un grande concerto di musicaaccreditandosi come il difensore e ilrestauratore della civiltà, e in particolaredelle minoranze cristiane, contro la barbarieislamista. In tal modo la Russia ha cercato diprendersi tutto il merito della vittoria sulCaliffato, oscurando il ruolo degli Stati Uniti,che in realtà con l’operazione Inherent Resolvehanno condotto numerosi raid contro lepostazioni dello Stato Islamico tra Siria eIraq dando un contributo importante proprioalla liberazione di Palmira.

Allo stesso tempo, la politica estera russanon è stata priva di ambiguità e cambi diposizione. L’esempio più eclatante è senz’altrol’atteggiamento nei confronti della Turchia e

dei Curdi siriani. Sino al luglio 2016, Mosca ritenevaAnkara uno dei maggiori sponsor del terrorismo,arrivando ad accusare personalmente il presidenteturco Erdoğan e la sua famiglia. Parallelamente,garantiva un supporto diplomatico alla regione curdadel Rojava (Nord della Siria), sostenendo la suaautonomia nel futuro assetto costituzionale dellaSiria pacificata. Dopo il tentato golpe in Turchiadell’estate 2016, Mosca ha approfittato dell’isolamentodi Erdoğan, garantendogli informalmente mano liberacontro i Curdi in cambio dell’accettazione turca delruolo di Russia e Iran in Siria e in parte anche dellapermanenza di Assad. Da ambiguità simili non hannopotuto astenersi, del resto, nemmeno gli USA: iCurdi sono stato il loro braccio armato contro ISIS,ma Washington ha poi fatto poco per difenderlidalla controffensiva turca in Siria e da quella iranianain Iraq.

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3. IL RUOLO IRANIANO: LE POSIZIONI IN SIRIA

Altro alleato di ferro del governo siriano, la Re-pubblica Islamica dell’Iran ha avuto un ruolo forsemeno appariscente dal punto di vista della coperturamediatica, ma ancor più decisivo sul campo dibattaglia. Gli obiettivi strategici di lungo periododell’Iran in Siria sono in realtà divergenti da quellidella Russia, al punto che il rapporto tra i duesponsor di Damasco potrebbe essere descritto neitermini di una «cooperazione tattica nell’ambito diuna competizione strategica».

Mentre Mosca rimane un attore esterno alla

regione, interessato comunque a trovare un equilibriotra i Paesi dell’area e ritagliare per sé il ruolo di me-diatore pur partendo dal sostegno al governo di Da-masco, per Teheran la difesa di Bashar al-Assadrientra nel quadro di una affermazione regionale chesi sostanzia nella creazione di un «corridoio pan-sciita» a guida iraniana. Il rafforzamento degli sciitiin Iraq, quello di Hizbollah in Libano, nonché lostesso sostegno alla minoranza sciita degli Houthi inYemen, sono gli ingredienti fondamentali di questastrategia, di cui tuttavia proprio la Siria costituisce il

L’esibizione musicale organizzata dalla Federazione Russa nell’anticoanfiteatro di Palmira, Siria, per celebrarne la liberazione dall’ISIS.Fonte: VGTRK.

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tassello fondamentale.

A differenza della Russia che non ha interesse aduno scontro con il mondo sunnita (sia arabo-sauditasia turco) né con Israele, per l’Iran la guerra civile si-riana ha rappresentato una grande occasione geopo-litica per trasformare la Siria in uno Stato de factosatellite. Esistono calcoli molto discordanti e non fa-cilmente verificabili su quanto la Repubblica Islamicaabbia speso e investito per sostenere gli sforzi militariin Siria; si stimano cifre nell’ordine dei miliardi didollari (che non hanno peraltro mancato di suscitarealcuni malumori interni considerata la situazioneeconomica di Teheran).

La prassi operativa di Teheran in Siria si è articolatalungo tre direttrici fondamentali. Primo, la formazionee l’invio di milizie sciite di differenti nazionalità eprovenienze, tra cui si possono menzionare la BrigataAbu al-Fadl al-Abbas, composta da sciiti siriani, leforze paramilitari irachene come Asa’ib Ahl al-Haqe Harakat al-Nujaba’, supportate ed equipaggiatedal corpo dei Guardiani della Rivoluzione, da membridi Hizballah libanese o dalle brigate Al-Quds delGenerale iraniano Qasem Suleimani; o ancora labrigata Liwa Fatemiyoun («Brigata Fatima»), compostada combattenti sciiti di provenienza afgana o paki-stana.

Secondo, l’Iran ha lavorato per una diretta assun-zione di comando su interi reparti dell’Esercitoregolare siriano: in diverse fasi del conflitto, ufficialiiraniani o libanesi hanno avuto accesso quasi esclusivoalle sale operative, con piena facoltà di trasferire dalfronte i soldati siriani e persino di passarli per learmi in caso di collaborazione col nemico. In parti-colare, la 9a Divisione dell’Esercito siriano sarebbestata sotto il comando diretto degli Iraniani,almeno stando ai racconti di alcuni disertori.

Terzo, la leva etno-demografica: mentresi è assistito al ricollocamento di abitantisunniti ostili ad Assad nella regione di Idlib,l’Iran ha provveduto a favorire un massiccioreinsediamento di popolazione sciita nellearee al confine con il Libano, al fine di faredella Siria una continuazione geografica diquest’ultimo.

La domanda su cui da mesi si interroganogli esperti è proprio quanto sia forte ilcontrollo dell’Iran sugli apparati politico-militari di Damasco, quanto strutturata lasua presenza militare in Siria e in generale lasua influenza diretta sul Paese. Di recentesono aumentati gli attacchi israeliani su obiet-

tivi iraniani in Siria: a fine dicembre 2017 è statacolpita la base di Al-Kiswah, 14 km a Sud di Damasco;nelle scorse settimane un attacco missilistico è statosferrato dagli F-15 israeliani sulla base aerea T-4nella provincia di Homs. L’eccessivo peso iranianosulla Siria è fonte di difficoltà anche per la Russia,che formalmente continua a fare fronte comune conTeheran di fronte all’attacco missilistico occidentale,ma sa che sul piano della soluzione diplomatica ilcontrollo iraniano su Damasco è l’ostacolo principalead un negoziato internazionale e alla pacificazionedella Siria.

Accanto alle preoccupazioni di Israele, ArabiaSaudita e in certa misura anche della stessa Turchia,il ruolo dell’Iran è problematico anche per il contro-verso rapporto con organizzazioni terroristiche. Aparte il noto patrocinio iraniano di Hizballah (unpartito politico in Libano, ma considerato organiz-zazione terroristica da USA, Israele, numerosi Paesiarabi e, limitatamente al suo braccio militare, ancheUE), dall’insediamento di Donald Trump alla CasaBianca, la CIA ha diffuso migliaia di documenti de-classificati che proverebbero legami, almeno inpassato, tra Teheran e al-Qaida, i cui membri avrebberotrovato rifugio e supporto proprio in Iran. Dell’esi-stenza d’un rapporto tra Iran e al-Qaida è uno deimassimi assertori il nuovo Segretario di Stato americanoMike Pompeo, e proprio il mutato atteggiamentodella nuova amministrazione USA sul dossier iranianoè una delle chiavi per comprendere le evoluzioni e leprospettive degli scenari nella regione.

Il corridoio strategico Iran-Mediterraneo (via Iraq, Siria e Libano).Fonte: Daily Mail.

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4. LA POLITICA AMERICANA DA OBAMA A TRUMPIl Presidente Barack Obama diede all’epoca un

pieno appoggio alle rivolte arabe del 2011. Nella suaconcezione strategica la democratizzazione di queiPaesi, anche laddove avesse portato al potere movi-menti islamisti (come accadde coi Fratelli Musulmaniin Egitto), avrebbe comunque contribuito a stemperareil sostegno popolare per le forze più estremiste e vio-lente, nonché le tensioni tra molti Paesi arabi esunniti e l’Iran persiano e sciita (con quest’ultimoObama stava cercando una distensione, concretizzatasinell’accordo sul nucleare del 2015).

Le previsioni di Obama si rivelarono errate. Pochiesperimenti democratici hanno fatto qualche progresso(vedi la Tunisia); alcuni pre-esistenti hanno persinomostrato segni di regressione (Turchia). Nella generaleinstabilità i gruppi jihadisti, con al-Qaida in testa,hanno trovato maggiori spazi, giungendo a controllareampi “Stati de-facto”. La scissione qaidista delloStato Islamico, dalla base in Siria e Iraq che, al suoacme, minacciava Damasco e Baghdad, ha scatenatouna campagna di violenze transnazionali, che haportato l’Europa a conoscere una stagione di attacchiterroristici che per brutalità supera anche quelladegli anni ‘70. Infine, le guerre civili in Siria e Yemen,l’insorgenza in Iraq, le tensioni perduranti in Bahraine Libano, hanno portato a nuove vette lo scontro di-plomatico e, per procura, anche militare tra Iran eArabia Saudita, minacciando la regione col pericolodi una grande conflagrazione bellica.

La Siria ha esemplificato meglio di qualunquealtro Paese il fallimento della strategia obamiana:sulla guerra civile interna si è innestato lo scontro tral’Iran e il blocco sunnita capeggiato da Ryad, e inquesto clima sia le milizie jihadiste sia Hizballah sisono notevolmente rafforzate. L’imbarazzo e le diffi-coltà della Presidenza Obama si sono rivelate nellamaniera incerta con cui ha trattato la materia siriana:le offensive diplomatiche contro Assad non seguiteda quelle militari, la “linea rossa” sulle armi chimichenon rispettata, l’ampia autonomia concessa all’alleatoturco nel sostenere i ribelli a prescindere dalla lorocompatibilità con l’Occidente, il fallimentare tentativodi addestrare milizie pro-Usa, il campo aperto lasciatoalla Russia per estendere la propria influenza sulPaese. In ultimo, Obama ha scelto di focalizzarsi sulsostegno al YPG curdo in funzione anti-ISIS, unalinea di condotta ereditata e portata alle estremeconseguenze dal successore Donald Trump.

Sotto la Presidenza Trump lo Stato Islamico inSiria e in Iraq è stato annientato, mentre nel contempogli Usa hanno lasciato che il Governo riconquistasseimportanti posizioni (come Aleppo) ai ribelli, per lopiù estremisti islamici. La nuova Amministrazioneamericana ha fin da subito promesso di concentrarsisull’annientamento dello Stato Islamico e di nonfare una priorità del rovesciamento di Assad. Se lapresenza di soldati americani in supporto alle SDFcurdo-arabe è aumentato, il Presidente Trump ne haannunciato il prossimo ritiro a inizio aprile. Il desideriodi disimpegnarsi dalla Siria si scontra tuttavia contre ordini di problemi: ∎ il denunciato ricorso ad armi chimiche da partedel Governo: una “linea rossa” tracciata da Obamama che Trump ha fatto un punto d’onore nel volerfar rispettare. Tuttavia, anche senza bisogno di acco-darsi alle accuse dei critici secondo cui si tratterebbedi macchinazioni utilizzate come pretesto per inter-venire, si può tuttavia assumere che questo sia piùun casus belli che la motivazione profonda degli in-terventi americani;∎ la situazione di perdurante conflitto, che ha tra-scinato in differente ordine d’intensità anche Turchiae Israele, con un latente rischio di escalation. Wa-shington non vuole lasciare a Mosca l’onere, maanche l’onore, di fare da mediatore tra le parti e di-venire dunque il punto di riferimento diplomaticonella regione;∎ l’ascendente guadagnato dall’Iran sulla Siria,divenuto quasi un proprio feudo, laddove il PresidenteTrump vuole invece contrastare la crescente influenzadi Tehran sulla regione. In ciò trova l’incoraggiamentodi vari partner, in primis Israele e Arabia Saudita, lecui aspettative - a differenza di Obama - Trump nonsembra voler frustrare. Le recenti nomine di MikePompeo e John Bolton lasciano presagire una crescenteattenzione, e non certo amichevole, verso l’Iran.

Queste esigenze contrastanti hanno fatto sì che,finora, la politica americana in Siria si mostrasse am-bivalente e soggetta a improvvise variazioni. È pro-babile che Washington cercherà d’avere una fortevoce in capitolo nella sistemazione del futuro assettodella Siria, tutelando la frontiera nord-orientale diIsraele e limitando il peso russo e soprattutto iranianonel Paese - cosa che si potrebbe ottenere con unaqualche forma di cantonalizzazione e l’avviamento

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di un processo politico che superi l’attuale fisionomiadel regime.

Sia lo scorso anno, sia in occasione della secondae recente incursione aerea contro il Governo siriano,il Presidente Trump ha ribadito la natura una tantumdell’azione militare e la volontà di non impegnare imilitari americani in una nuova guerra in MedioOriente. In tal senso le due opposte esigenze ̶ di-simpegnarsi dalla Siria ma determinarne il destino ̶possono trovare una sintesi in questo tipo d’azioni, ilcui significato è mostrare la supremazia militare ame-ricana per ottenere col minimo sforzo la soddisfazionedelle proprie richieste. L’occasionale ricorso allaforza militare contro il Governo mira cioè a riaffermareil peso degli Stati Uniti sul tavolo negoziale, rispettoal quale si sono finora trovati ai margini per via del

maggior successo della strategia russa.

Una durevole e pacifica ricomposizione del quadrosiriano non potrà tuttavia prescindere da una colla-borazione tra Mosca e Washington, che dovrannomediare tra le ancor più distanti posizioni cheseparano vari attori esterni: Turchi e Curdi, Iranianie Israeliani, Iraniani e Sauditi. In mancanza di unatale cooperazione tra Russia e Usa, la Siria è condannataa rimanere ostaggio di una “guerra per procura”senza termine, e a fungere da catalizzatore d’ostilitàregionali e centro di diffusione d’instabilità e terro-rismo. Lo stesso proposito del Presidente Trump didisimpegnarsi dal Paese non potrà avverarsi, e lostesso vale per la volontà del Presidente Putin dinon estendere sine die lo sforzo militare russo inloco.

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5. L’INTERESSE NAZIONALE DELL’ITALIASenza dubbio l’Italia non può tollerare l’utilizzo

di armi chimiche, proibite dall’apposita Convenzioneinternazionale di cui dal 2013, grazie alle pressioniamericane, anche la Siria è parte. Stante tuttavia lamancanza di chiarezza su precise responsabilità negliultimi presunti attacchi chimici, e per evitare che lecancellerie internazionali siano manovrate da tattichepropagandistiche poste in essere da attori locali, sidovrebbe affrontare la materia sfruttando gli strumentimessi a disposizione dall’ONU.

Tra 2013 e 2014 una missione congiunta ONU-OPCW (quest’ultima è l’Organizzazione per la Proi-bizione delle Armi Chimiche, creata dalla succitataConvenzione) ha presieduto allo smaltimento del-l’arsenale d’armi proibite detenuto dal Governosiriano. La OPCW ha regolarmente investigato i casidi presunto utilizzo d’armi chimiche in Siria. Rispettoalla strage avvenuta a Khan Shaykun nel 2017, aseguito della quale avvenne il raid americano controposizioni governative, l’indagine non ha trovato provesufficienti per assegnare la paternità del crimine alleforze di Assad. La precedente investigazione avevariguardato un caso di utilizzo di gas mostarda pressoAleppo, sebbene non si siano trovate prove a suffi-cienza della responsabilità dei ribelli, denunciata dalGoverno. In anni precedenti altre indagini erano co-munque riuscite a indicare una responsabilità: indue occasioni (2014 e 2015) da parte del Governoper l’uso di cloro e una volta (2015) da parte di ISISper l’uso di gas mostarda. Una nuova squadra inve-stigativa si è recata a Douma, sede dell’ultimo presunto

attacco. Attendere l’esito di questa nuova indaginesarebbe stato opportuno, per non far precipitare lasituazione in assenza di certezze.

Va rammentato che fino al 2015 l’UE ha introdottovarie restrizioni e sanzioni verso la Siria. Da allora,stando almeno al numero di indagini condotte dallaOPCW, l’uso di armi chimiche nel Paese appare di-minuito: la vigilanza dovrà comunque rimanere mas-sima finché esso non sarà azzerato, ma nelle ultimeoccasioni non si è potuta stabilire la paternità del-l’attaccante. Il timore è che questi episodi siano uti-lizzati come pretesto per interventi che rispondonoinvece all’interesse nazionale degli attori che li rea-lizzano.

Da parte italiana, la stabilizzazione della Siria e loscongiuramento di escalation internazionali apparecome il principale interesse nazionale rispetto alPaese mediorientale.

La guerra civile in Siria ha portato verso l’Europagrosse masse di profughi, con tutti i problemi dinatura socio-economica ad esse connessi. Inoltrediversi espatriati siriani, o persone capaci di farsiidentificare come tali, hanno partecipato ad attentatiterroristici in Europa, rivelando come questo flussodi persone difficilmente controllabile costituisca unagrave falla alla sicurezza. In Siria si trovava, e ancorasi trova seppure non più sotto forma statuale, ilcentro d’irradiazione del terrorismo che ha investitoil continente negli ultimi anni provocando centinaiadi vittime. Solo grazie all’accorta opera delle nostreforze di sicurezza l’Italia è finora rimasta immune a

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tale tipo di attacchi.

In secondo luogo, la guerra civile siriana, coinvol-gendo numerosi attori esterni - a livello individuale,collettivo e statuale - diffonde instabilità e conflittualitànella regione. Migliaia di estremisti hanno acquisitoarmi, tecniche e connessioni combattendo in Siria, emolti di essi faranno ritorno nel Paese d’origine, o sisposteranno in altri Paesi, per portarvi terrorismo eguerriglia - sulla falsariga di quanto accaduto dopola Guerra in Afghanistan, negli anni ‘90. Ad esempiola Tunisia, che ha il massimo numero pro capite divolontari stranieri in Siria e sta attraversando unadelicata fase di consolidamento democratico, è aserio rischio. Israele guarda con preoccupazione alrafforzamento conseguito da Hizballah.

La guerra civile siriana ha inoltre acuito vecchiodi come quelli tra sciiti e sunniti e tra curdi eturchi, che si riverberano poi su tutti i Paesi che pos-siedano la medesima composizione al loro interno.

Infine il conflitto dentro la Siria acuisce le tensionitra Iran e Arabia Saudita, Iran e Israele, Russia eUSA. Vista la prossimità geografica, il rilievo delleimportazioni petrolifere, la strategicità del Canale diSuez, e a fronte del troppo trascurato strumento mi-litare di cui dispone, l’Italia si troverebbe in baliadelle ricadute di qualsiasi ulteriore crollo statuale,guerra civile o conflitto inter-regionale che dovesseesplodere nel Vicino Oriente o in Nordafrica. Anchele tensioni tra USA e Russia sono negative, poiché èopinione diffusa in Italia - e supportata da solidi fatti- che Mosca non costituisca una credibile minacciaper la NATO. Continuare a prioritizzare il confineorientale in nome d’una presunta minaccia russanon fa che rendere trascurata la frontiera meridionale,laddove si addensano più sfide e minacce per tuttal’Alleanza Atlantica; ma con l’Italia - vista la posizionegeografica - in avanguardia.

Il Governo italiano dovrebbe pertanto concorrerea stemperare le tensioni catalizzate dalla Siria, dis-suadendo alleati e partner da azioni di forza avventatee da posizioni di troppo radicale contrapposizioneverso interlocutori necessari, quale la Russia. Cosìcome già riuscì a fare al tempo del Vertice di Praticadi Mare, l’Italia può fungere da mediatore tra USA,Europa e Russia, la cui partnership è imprescindibileper la stabilizzazione della Siria. In particolare Mosca,garantita nei suoi interessi fondamentali (il manteni-mento della base navale di Tartus, l’estirpazionedegli estremisti islamici, il riconoscimento del suoruolo diplomatico), potrà moderare i propri alleati(Iran e Bashar al-Assad) affinché si venga incontroalle preoccupazioni di vari Paesi della regione perl’accresciuta influenza iraniana e lo status degliabitanti sunniti, pur nel riconoscimento (necessariosalvo voler intraprendere una qualche campagna ditipo militare) del dato di fatto del successo bellicodel Governo siriano e dei suoi alleati.

L’Italia potrà in tal senso agire attraverso i canalibilaterali, quelli multilaterali come NATO e UE, enon ultimo anche l’OSCE, l’Organizzazione per laSicurezza e la Cooperazione in Europa, di cuiassumerà la Presidenza di turno a partire dal 1gennaio 2018 per dodici mesi. La nostra diplomaziaha già previsto, tra le priorità della Presidenza OSCE,un maggiore focus sulle sfide e le opportunità pro-venienti dal Mediterraneo e una particolare attenzioneper il dialogo strutturato che ripristini il clima difiducia tra gli Stati membri (che includono anche gliUSA e la Russia).

Inutile precisare che, per un’efficace azione di-plomatica da parte italiana, è necessaria la costituzionedi un nuovo governo dotato di una maggioranzaparlamentare e di fiducia nel Paese.

GLI AUTORI

Dario Citati e Daniele Scalea fanno parte delCentro Studi Politici e Strategici Machiavelli.