La Gran Natica dell'Aringa

266
Adele Cammarata “La Gran natica dell’Aringa” I giochi di parole in Alice’s Adventures in Wonderland Traduzioni italiane a confronto @dic edizioni

description

Come si traducono i giochi di parole? Nella mia tesi di laurea, qui rielaborata dopo qualche anno, ho esaminato la traduzione dei giochi di parole in alcune edizioni italiane di Alice in Wonderland. Buona lettura!

Transcript of La Gran Natica dell'Aringa

Page 1: La Gran Natica dell'Aringa

Adele Cammarata “La Gran natica dell’Aringa” I giochi di parole in Alice’s Adventures in Wonderland Traduzioni italiane a confronto

@dic edizioni

Page 2: La Gran Natica dell'Aringa

Edizione per Lulu.com della Tesi di laurea discussa nell’a.a. 1996-97, Corso di Laurea in Lingue e Lett. Straniere, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Palermo Relatore Ch.ma prof.ssa Silvana Ferreri Seconda edizione riveduta, corretta e ampliata @dic edizioni & Lulu.com

© Tutti i diritti riservati 1997-2007

Page 3: La Gran Natica dell'Aringa

Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen.

san Tommaso Moro Preghiera per il buon umore

[...] ogniqualvolta un uomo sorride, —ma ancora di più quando ride, egli aggiunge qualcosa a questo Frammento di Vita.

Laurence Sterne Tristram Shandy

Page 4: La Gran Natica dell'Aringa
Page 5: La Gran Natica dell'Aringa

Indice Premessa all’edizione per Lulu.com p. vii Premessa all’edizione originale p. ix

I. Alice’s Adventures in Wonderland e le sue traduzioni italiane p. 1

I.1 Le avventure di Alice in Italia p. 1 I.2 Le trasformazioni delle traduzioni italiane p. 4 I.3 Traduzioni italiane a confronto p. 11 I.4 L’autore e il suo tempo p. 22

I.4.1 Lewis Carroll e Alice, ovvero: il matematico e la bambina p. 22

I.4.2 Alice e il suo pubblico p. 28

II. I giochi di parole p. 35 II.1 Tra suoni e lettere p. 36 II.2 I caratteri delle lingue.

Arbitrarietà e indeterminatezza p. 41 II.3 La lingua in gioco p. 45

II.3.1 Ambiguità e polisemia p. 45 II.3.2 Omonimia e omofonia p. 53 II.3.3 Paronimia e paronomasia p. 60

II.4 I giochi di parole e i problemi della traduzione p. 66

III. I giochi di parole: da Alice ai traduttori p. 79 Conclusione p. 201 Appendice: Corpus p. 205 Bibliografia p. 239 Ringraziamenti p. 257

Page 6: La Gran Natica dell'Aringa
Page 7: La Gran Natica dell'Aringa

vii

Premessa all’edizione per Lulu.com

Il testo che leggerete è il risultato del lavoro che mi ha condotto alla Laurea in

Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Palermo nell’anno accademico

1996-97. Da allora non ho smesso di occuparmi di Alice’s Adventures in Wonderland né

dei problemi della traduzione. Innanzitutto, ho tradotto per Stampa Alternativa la

prima versione manoscritta, con il titolo di Alice Underground (2002) e per l’Istituto

Geografico De Agostini, insieme ai soci del Laboratorio di Traduzione Bokos, la

versione classica (2003). In modo sempre più appassionato ho continuato,

autonomamente, a interessarmi dei problemi della traduzione dei libri per ragazzi,

con il sogno più o meno lontano di poter scrivere (o almeno leggere) una storia della

traduzione di letteratura per l’infanzia in Italia.

In questa tesi, rimasta essenzialmente inalterata (eccetto il titolo, che è la

citazione di un termine presente nella traduzione di R.Carano, la correzione di alcuni

errori materiali e l’omissione della traduzione dei brani in lingue straniere), mi ero

concentrata principalmente sulla resa in italiano dei giochi di parole, tralasciando gli

altri innumerevoli spunti che il testo originale propone. In particolare ci si potrebbe

dedicare all’analisi delle poesie presenti in Alice.

Page 8: La Gran Natica dell'Aringa

viii

Negli ultimi dieci anni sono state pubblicate tante altre versioni italiane del

capolavoro di Carroll e il Centenario della morte ha sicuramente riportato in auge lo

scrittore vittoriano e il suo mondo. Altre versioni più recenti si potrebbero dunque

aggiungere all’analisi da me condotta. L’interesse maggiore, però, risiede a mio parere

in un altro periodo storico, nel quale il libro di Carroll non ebbe particolare fortuna

qui da noi, anzi fu incolpato di anestetizzare le menti dei figli della Lupa. È stata la

scoperta di questo ostracismo (riportata nel Capitolo I del presente lavoro) a

condurre la mia curiosità verso uno studio della letteratura per ragazzi, in italiano e in

traduzione, durante il Ventennio fascista.

Da tempo medito di aggiornare la ricerca qui riportata. In parte l’ho fatto

scrivendo per la rivista di traduzione on line inTRAlinea (www.intralinea.it) un

articolo dal titolo La ricreazione di Alice. Ma come dicevo Alice è una miniera per chi

volesse approfondire le tematiche della traduzione di letteratura non solo per ragazzi.

Negli anni, grazie a questa tesi e alle potenzialità della rete, ho avuto modo di

conoscere decine di studiosi a vario titolo interessati all’argomento e la mia tesi ha

avuto anche il privilegio di essere citata in alcuni testi autorevoli riguardanti Alice.

Ho anche aggiunto altre indicazioni bibliografiche scoperte o pubblicate dopo

la tesi e che segnalo all’attenzione di chi volesse approfondire.

Chi volesse scrivermi può farlo a questo indirizzo: [email protected].

Palermo, 5 gennaio 2007

Page 9: La Gran Natica dell'Aringa

ix

Premessa all’edizione originale

In che misura possono essere distanti un testo originale e le sue traduzioni? In

che modo questa distanza dipende ed è condizionata dalle lingue? Che cosa avviene

quando il testo in questione è Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll? Sono

questi gli interrogativi che animano il presente lavoro e ai quali si è cercato di dar

risposta.

Il fuoco centrale della nostra tesi è il confronto delle scelte operate dai

traduttori italiani di Alice in merito ai giochi di parole basati sull’ambiguità,

sull’identità e sulla similarità del significante.

Le difficoltà traduttive di Alice sono notevoli e non risiedono soltanto nelle sue

caratteristiche linguistiche, investendo questioni di carattere più ampiamente

culturale. Siamo consapevoli che questa è solo una delle possibili piste di indagine per

un testo così ricco di particolarità linguistiche, letterarie e culturali; il nostro punto di

vista però ci sembra piuttosto favorevole per indagare il testo che abbiamo scelto e

trarne spunti di riflessione per la traduzione di altri testi letterari.

I giochi verbali costituiscono infatti il motore narrativo di Alice: l’analisi dei

giochi di parole visti attraverso le traduzioni offre spunti particolarmente interessanti

per mostrare come la struttura delle singole lingue possa condizionare, e di fatto

Page 10: La Gran Natica dell'Aringa

x

condizioni, le opere letterarie e non solo queste. Che rapporto c’è tra l’Alice originale

e quella tradotta? Quale significato assumerà l’operazione traduttiva di Alice?

La traduzione si rivela in realtà un’operazione estremamente complessa,

destinata a modificare irrimediabilmente il testo di partenza, facendone un altro testo

— altri testi. Non di traduzione si potrà dunque parlare, ma più propriamente di ri-

creazione, intesa non solo come creazione di un altro testo ma anche come creazione

di un altro universo narrativo. Wonderland non ha la stessa geografia del Paese delle

Meraviglie, e — in modo apparentemente paradossale — a fronte di un unico

Wonderland esistono tanti Paesi delle Meraviglie diversi, uno per ogni traduzione italiana.

Allo scopo di comparare le diverse opzioni traduttive, abbiamo costruito un

corpus costituito da otto versioni italiane di Alice, evidenziando i brani che contengono

i giochi verbali. Il corpus, presentato in appendice, affianca le diverse traduzioni per

rendere più agevole ed immediata la corrispondenza tra l’originale e i testi tradotti e

questi ultimi fra loro.

La tesi consta idealmente dunque di due parti, essendo la seconda costituita

dall’analisi puntuale dei fenomeni evidenziati dal corpus che si allarga a comprendere

considerazioni non solo di carattere linguistico (terzo capitolo) e dal corpus stesso (in

appendice).

La prima parte si articola in due capitoli.

Il primo capitolo contiene una breve storia delle versioni italiane di Alice e una

presentazione delle traduzioni che saranno oggetto di analisi. La variazione

Page 11: La Gran Natica dell'Aringa

xi

nell’accoglienza e nella traduzione di Alice è posta in relazione con i contemporanei

mutamenti nella letteratura italiana, in particolare nella letteratura per ragazzi.

Nel secondo capitolo esaminiamo la natura linguistica dei meccanismi che

stanno alla base dei giochi di parole, considerati in una prospettiva teorica che trova

in Saussure il suo fondamento. I giochi verbali amplificano infatti le difficoltà

traduttive presenti in tutti i testi perché sono strettamente connessi con la struttura

interna di ciascuna lingua. In particolare, analizziamo i diversi meccanismi linguistici

che consentono di giocare con la lingua inglese e con quella italiana.

Page 12: La Gran Natica dell'Aringa

xii

Page 13: La Gran Natica dell'Aringa

1

Capitolo I Alice’s Adventures in Wonderland e le sue traduzioni italiane

[...] words mean much more than we mean to express when we use them [...]; so a whole book ought to mean a great deal more than the writer meant.

Charles L. Dodgson (‘Lewis Carroll’)*

I.1 Le avventure di Alice in Italia

La fortuna di un libro si può leggere anche attraverso la storia delle sue

traduzioni all’estero. Le Alice’s Adventures in Wonderland sono state tradotte1 in

moltissime lingue2 e fanno parte di un patrimonio culturale condiviso da un

numero incalcolabile di lettori in quasi tutto il mondo.

* Da una lettera su The Hunting of the Snark (cit. da Hunt, 1994, p.82). 1 L’idea di tradurre Alice in francese e tedesco era venuta all’autore per la prima volta nel 1866, come testimoniato da una lettera all’editore Macmillan (cfr. Weaver, 1964, p.31-32). La prima traduzione di Alice ad essere pubblicata fu la versione tedesca di Antoine Zimmermann (cfr. Weaver, 1964, p.51). 2 Cohen, 1995, pp.134-5: “Next to the Bible and Shakespeare, they are the books most widely and most frequently translated and quoted. Over seventy-five editions and versions of the Alice books were available in 1993, (...). They have been translated into over seventy languages, including Swahili and Yiddish; and they exist in Braille.” Blake, 1983, p.43: “(Lewis Carroll’s)

Page 14: La Gran Natica dell'Aringa

2

Nel caso del nostro Paese, si può ben parlare delle strane avventure di

Alice in Italia, perché la storia della sua fortuna nel nostro paese ci dice molto su

come siano cambiate non solo la traduzione, ma anche la letteratura italiana (non

solo quella per bambini) nell’ultimo secolo3.

Alice fa il suo ingresso in Italia per la prima volta nel 1872 con il titolo

Avventure d’Alice nel Paese delle Meraviglie per Lewis Carroll, ad opera di un amico di

Carroll, Teodorico Pietrocòla-Rossetti4 (nipote di Dante Gabriele Rossetti) con

la supervisione dell’autore e le illustrazioni di Tenniel. La tiratura era limitata

(1000 copie presso Loescher, ma l’edizione fu stampata anche in Inghilterra da

Macmillan). Segue, nel 1908, la traduzione di Emma C.Cagli, dal titolo Nel paese

delle meraviglie5, con le illustrazioni a colori di Arthur Rackham (ristampata nel

1983 dalla Nuova Equilibri, Roma).

Alice’s Adventures in Wonderland (1865) and Through the Looking-Glass (1872) are classics of the English language, vying with the Bible and Shakespeare as sources of quotation, and they have been translated into virtually every other language, including Pitjantjatjara, a dialect of Aborigine.” 3 Cfr. Boero - De Luca, 1995, p.39-40. 4 Cfr. Weaver, 1964, p.45. 5 Laura Draghi Salvadori, nella sua biografia carrolliana (1968, p.46) affermava che “la traduzione Cagli [...] è così piena di libertà, di diminutivi, e di piccole smancerie, da assuefarci dopo qualche pagina a un’Alice bamboletta e a un Paese delle Meraviglie tutto zucchero e giulebbe, che non hanno nulla a che vedere con l’astratto squisito nitore della vera Alice”. Boero e De Luca, in La letteratura per l’infanzia (1995) presentano la traduzione della Cagli come eccessivamente propensa a rinforzare “certi mielosi atteggiamenti educativi del tempo” (Boero - De Luca, 1995, p.40).

Page 15: La Gran Natica dell'Aringa

3

Durante il periodo del Fascismo, Alice viene proposta in una nuova

versione di Mario Benzi6 (1935). L’opera però viene osteggiata perché straniera e

perchè considerata particolarmente pericolosa per ciò che esprime. L’ostracismo

del Fascismo nei confronti di Alice è dimostrato dal Manifesto della Letteratura

Giovanile presentato ad un convegno sulla letteratura infantile e giovanile tenutosi

a Bologna il 9 e 10 novembre 1938, che segue di pochi mesi l’istituzione della

Commissione per la Bonifica libraria7.

L’interesse per Alice in Italia riprenderà solo negli anni Cinquanta e

Sessanta, come testimoniano le numerose traduzioni di quegli anni: A. Valori

Piperno (1954), M.G. Leopizzi (1958), E.Bossi (Bompiani, 1963: cfr. I.3), Giglio

(Rizzoli, 1966: cfr. I.3), Carano (Milano Libri, 1967, ma cfr. I.3 per l’edizione

Einaudi, 1978), Galasso e Kemeni (Sugar, 1967: cfr. I.3). Importante è la

versione italiana della Annotated Alice di Martin Gardner (cfr. Bibliografia; d’ora

in poi: AA), tradotta da D'Amico (Longanesi, 1971, riveduta nel 1978: cfr. I.3),

che consente anche in Italia la diffusione delle note critiche molto accurate e 6 Su Mario Benzi, cfr il sito www.benzing.it curato dal nipote, il giornalista Gian Mario Benzing. 6 Una delle idee di fondo del Manifesto è che “la letteratura giovanile deve affrancarsi dai libri stranieri, nocivi alla formazione delle nuove generazioni.” Secondo uno dei più accaniti sostenitori dell’idea, Nazareno Padellaro, “I libri stranieri (...) «contribuiscono a mortificare le esigenze nascenti e fondamentali dello spirito, disorientano, talvolta irreparabilmente, sovrapponendo fantasmi e sentimenti che si agglutinano in abiti mentali di altre razze e cadono così profondamente nella coscienza da non essere più estirpabili». Segue l’elenco degli autori più dannosi: Lewis Carroll, di cui Alice nel paese delle meraviglie sarebbe dominato da «un mondo in cui gli oggetti più ancora delle persone sono sotto l’azione del cloroformio»” (tutte le citazioni, Boero - De Luca, p.173).

Page 16: La Gran Natica dell'Aringa

4

degli originali delle poesie parodiate da Carroll. Tra le versioni più recenti vi

sono quelle di Milli Graffi, Ruggero Bianchi e Aldo Busi (rispettivamente:

Garzanti, 1989, Mursia, 1990 e Feltrinelli, 1993; cfr. I.3).

Viene così a delinearsi un vero e proprio percorso traduttivo attraverso il

quale leggere sì la storia della fortuna di un libro, ma anche intravedere le spinte

culturali e sociali che modificano la coscienza civile ed intellettuale di una

nazione.

I.2 Le trasformazioni delle traduzioni italiane

Le ragioni delle trasformazioni delle traduzioni di Alice in Italia riposano

su modificazioni che intervengono nella cultura.

Due sono infatti i principali fattori del cambiamento: il rinnovato interesse

da parte della letteratura ‘alta’ per i giochi di parole e la sperimentazione

linguistica e la rivoluzione avvenuta nella letteratura per bambini.

L’Inghilterra e l’Italia offrivano, negli anni in cui Carroll pubblica Alice,

uno scenario piuttosto differente per quel che riguarda la letteratura, in

particolare quella per l’infanzia8. Nell’Inghilterra vittoriana il nonsense di Carroll fa

8 Non si dimentichi inoltre che l’Italia di fine ottocento è alle prese con l’analfabetismo di massa, mentre l’Inghilterra era più avanzata da questo punto di vista. Un altro fattore non indifferente è la diffusione della stampa economica e dei processi di riproduzione delle illustrazioni in

Page 17: La Gran Natica dell'Aringa

5

da contraltare al moralismo borghese, fungendo da valvola di sfogo per bambini

ed adulti. Parlando della letteratura nonsense e di Carroll in particolare,

G.K.Chesterton affermava nel 1901:

[...] la sua [di Carroll] stravagante doppia vita, in terra e nel paese dei

sogni, mette in evidenza l’idea che si cela dietro il nonsense: il concetto

di evasione, una sorta di fuga in un mondo in cui le cose non sono

orribilmente fisse in una eterna appropriatezza, dove le mele crescono

sui peri e ogni strano tipo che incontri ha tre gambe. Lewis Carroll,

vivendo un’esistenza in cui avrebbe sicuramente tuonato contro

chiunque calpestasse il tratto di erba sbagliato, ed un’altra in cui si

sarebbe dilettato a definire verde il sole e azzurra la luna, era, appunto

per la sua duplice natura – il piede in entrambi i mondi – il prototipo

del moderno nonsense. Il suo Paese delle Meraviglie è una terra

popolata di matematici pazzi9.

E Carlo Izzo, nella sua Storia della letteratura inglese10, parla del nonsense come

di una “reazione al rigorismo sociale e morale che contraddistingue il lungo

regno della famosa regina, quasi una valvola di sicurezza” indispensabile per

Inghilterra (Cfr. Hunt, 1994, pp.59-61). 9 Tratto da Chesterton, 1901, pp.44-5. 10 Cfr. Izzo, 1968, pp.1149-50.

Page 18: La Gran Natica dell'Aringa

6

preservare “quel fiero senso della libertà individuale che gli inglesi sanno così

bene conciliare con il rispetto delle norme”.

Nello spirito di Lewis Carroll, questa storia senza morale si schiera, infatti,

dalla parte dei bambini contro quelle assurdità (forse quelle sì davvero nonsensical)

che l’istituzione scolastica o religiosa propinava all’infanzia vittoriana11 facendo

della letteratura per l’infanzia una letteratura dell’infanzia12. Si trattava di

divertimento puro, che traeva le sue origini dalla tradizione popolare delle nursery

rhymes e da quella letteraria (Shakespeare, Sterne, Swift, Dickens), quello stesso

divertimento stupito che tutti i bambini provano nello scoprire il linguaggio. La

letteratura inglese per l’infanzia dopo Carroll fu certamente diversa da quella che

aveva preceduto Alice.

Ben diversa si presentava in quegli stessi anni, e in quelli successivi, la

situazione italiana. La diffidenza per le storie prive di morale si spingeva fino a

guardare con sospetto anche le fiabe tradizionali. Il moralismo cattolico da una

parte e il bisogno da parte dello Stato di instillare il senso del dovere e l’amor di

Patria nei piccoli sudditi del Regno e dell’Impero italico bastano a giustificare le

critiche da parte dei benpensanti e della cultura ufficiale, e non stupisce dunque

più di tanto che Alice non abbia avuto allora grande diffusione.

11 Cfr. Lecercle, 1994, pp.218-220. 12 Si noti che in inglese si parla di children’s literature.

Page 19: La Gran Natica dell'Aringa

7

Perché Alice venisse bene accolta in Italia occorreva (oltre ad una

traduzione che le rendesse giustizia13) che la letteratura per l’infanzia scoprisse la

sua vera vocazione. Questo processo avrà il suo campione in Gianni Rodari14

(1920-80), che, a partire dagli anni cinquanta comincia a narrare le sue storie, a

inventare con i bambini delle borgate romane le filastrocche e i racconti nonsense.

Si rilegga questo passo tratto dalla Grammatica della fantasia:

[...] una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e

di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena,

coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi,

significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la

memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la

stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene

continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare,

costruire e distruggere15.

Questa nuova concezione dell’importanza della letteratura infantile, e

dell’uso creativo delle parole nella letteratura per bambini che si diffonde in Italia

è fondamentale per un testo come Alice e per le sue traduzioni. Attraverso le

13 Cfr. Draghi Salvadori, 1968, pp.45-55 14 Cfr. Boero e De Luca, 1995, pp.256-261. 15 Rodari, 1973, p.7.

Page 20: La Gran Natica dell'Aringa

8

traduzioni si percepisce come lo spostamento di ottica in Italia,

dall’atteggiamento moralistico ad un più sano sviluppo creativo, avviene con un

secolo di ritardo rispetto ad Alice.

Ma non basta. Se si tengono presenti le particolarità linguistiche del testo,

si capirà come esso sia stato rivalutato anche alla luce dell’attenzione che gli

scrittori italiani ‘alti’ pongono per i giochi linguistici. Il fatto che Alice è un testo

strettamente legato alla sperimentazione linguistica ci conduce ad osservare che,

eccezion fatta per alcuni sporadici esempi di letteratura popolare16, la letteratura

italiana post-quattrocentesca17, fino al secolo scorso e (in parte) alla prima metà

del Novecento aveva relegato i giochi di parole nelle stanze dei bambini o nelle

memorie del popolo, facendone un materiale tipicamente popolare e in quanto

tale snobbato dalla cultura ufficiale.

L’interesse per il gioco linguistico in Italia avviene solo all’inizio di questo

secolo, con Pascoli e soprattutto con Palazzeschi; una parte rilevante hanno

avuto i futuristi, seppure animati da ben altro spirito che non quello dell’infanzia.

Ma è dal secondo dopoguerra in poi che gli scrittori ‘alti’ scoprono il nonsense e il

legame tra letteratura per l’infanzia e gioco verbale18. Ad essi va soprattutto il

16 Se ne può trovare un’antologia ne Il piccolo libro del Nonsense di Pier Paolo Rinaldi (Vallardi, 1997). 17 Cfr. Poole, 1969, p.144. 18 Si parla di scrittori come Calvino, Buzzati, Gadda, Elsa Morante. Cfr. Boero e De Luca, 1995 p.311

Page 21: La Gran Natica dell'Aringa

9

merito di aver liberato la letteratura (per bambini e per adulti) dall’obbligo

dell’insegnamento morale, e di aver riscoperto la gioia pura presente nella

manipolazione linguistica.

Nel percorso delle traduzioni, accanto alle molteplici varianti minori, si

assiste, dunque, ad un fiorire di autori ‘alti’ che propongono versioni sempre più

raffinate.

Le alterne vicende di Alice in Italia ci mostrano dunque da un lato il

cambiamento di status da fiaba per bambini a classico per adulti19 e dall’altro la

nascita di una letteratura per l’infanzia di stampo non prettamente didattico.

Altre spinte importanti nella direzione del gioco verbale si ritrovano (forse

in modo più pregnante che nella letteratura) nel teatro comico (Petrolini, Fo, e in

tempi più recenti, Bergonzoni), nel cinema (Totò), nelle canzoni (Gaber, Cochi e

Renato, fino ad arrivare ad Elio e le Storie Tese).

C’è anche un altro motivo di ordine linguistico-culturale che ha posto

qualche difficoltà nell’accoglienza di Alice in Italia. Si tratta dell’atteggiamento

che gli inglesi hanno nei confronti della propria lingua e dei giochi di parole. Un

esempio illuminante può venire dalla differenza che si riscontra nelle definizioni 19 Si tratterebbe del processo inverso a quello di libri come I viaggi di Gulliver, nati per gli adulti e letti dai bambini (cfr. Rizzatti, 1996, p.25). Bianca Pitzorno, citata in Buongiorno, 1995, p.391, sostiene che “A differenza di altre opere letterarie destinate in origine a un pubblico adulto e diventate col tempo, a furor di popolo, classici per ragazzi […], Alice, che era nato per divertire tre bambine, col passare del tempo è diventato anche un libro per adulti, e per adulti particolarmente raffinati”.

Page 22: La Gran Natica dell'Aringa

10

per la soluzione dei cruciverba : quelle italiane spesso richiedono esercizio di

memoria (‘il nome di Lescaut’: 5 lettere: MANON ; ‘le iniziali di Toscanini’: 2

lettere: AT) mentre le definizioni dei crossword puzzles contengono quasi sempre

dei pun o giochi di parole (ad esempio : ‘con uno spoonerismo, uno stregone magro

a quale elemento dell’impianto elettrico fa pensare?’ Risposta: ‘light switch’

[=interruttore] da ‘slight witch’ [strega sottile]20).

È anche questo diverso atteggiamento dei parlanti nei confronti della

propria lingua che rende arduo il compito del traduttore italiano di Alice : per

semplificare le cose, gli inglesi ridono più volentieri degli italiani per battute

basate su giochi di parole21.

Naturalmente, non si può ignorare che la fama di Lewis Carroll è legata

anche agli autori che da lui sono stati influenzati. Com’è noto, molti sono stati gli

autori del Novecento che a Carroll si sono rifatti: James Joyce, T. S. Eliot22,

20 L’esempio proviene da Bartezzaghi, 1995, p.276. 21 Per un’attenta analisi delle differenze tra inglesi e italiani nella concezione del gioco linguistico, si vedano le pagine dedicate da Carlo Izzo al Nonsense vittoriano (Izzo, 1968) e l’articolo di Gordon Poole (Poole, 1969) Verso un’analisi linguistica dello humour inglese. In quest’ultimo si legge che: “[l’umorismo verbale degli inglesi] si impernia su un certo atteggiamento che gli angloglotti [...] hanno nei riguardi della loro lingua, la quale essi all’atto pratico tendono a plasmare, variare e deformare secondo il proprio piacimento e esigenza comunicativa” (p.131). Cfr. anche Chiaro, 1992, (specialmente il capitolo 1 e il capitolo 4, dedicato alla traduzione delle barzellette). 22 Cfr. il saggio di E.Sewell (Sewell, 1958) intitolato “Lewis Carroll and T.S. Eliot as nonsense Poets”.

Page 23: La Gran Natica dell'Aringa

11

Vladimir Nabokov23, Ionesco, Artaud e i surrealisti francesi. Ne segue che lo

studio di questi autori ha portato anche in Italia un nuovo interesse per Alice da

parte del pubblico adulto.

Va infine ricordato, per il peso che sicuramente ha avuto presso il

pubblico infantile e adulto in generale, il celebre lungometraggio a cartoni

animati di Walt Disney, del 1951, che alterna gli episodi dei due libri (il film,

poco apprezzato all’uscita, venne rivalutato a partire dagli anni Sessanta24

contemporaneamente all’affermarsi della cultura beat e hippy25).

I.3 Traduzioni italiane a confronto

Scegliere tra le versioni italiane di Alice è un’impresa difficile, data la

sovrabbondanza di edizioni presenti sul mercato26. I criteri seguiti per

23 Cfr. Levin, 1965, p.220: “it is worth noting that Vladimir Nabokov’s first book was a Russian translation of Alice in Wonderland” (“è da notare che il primo libro di Nabokov fu una traduzione russa di Alice nel Paese delle Meraviglie”). 24 Cfr. Buongiorno, 1995, p. 17 e p. 391. Potrebbe essere interessante studiare la versione italiana di questo lungometraggio e le influenze che ha avuto per le traduzioni italiane successive alla sua uscita, soprattutto per la scelta dei nomi dei personaggi. 25 Notevole è l’influenza di Lewis Carroll sulla psichedelia. I Beatles si rifanno spesso esplicitamente alle opere di Carroll. Nell’ambito di questa corrente culturale, si è ipotizzato che Carroll facesse uso di droghe, cosa che però appare infondata. 26 Nel Catalogo dei Libri in commercio (per autori) del 1997 si contano ben trentasei diverse edizioni di Alice’s Adventures in Wonderland (alcune delle quali comprendono anche Through the Looking-Glass), non contando le riduzioni per bambini e le edizioni scolastiche in originale.

Page 24: La Gran Natica dell'Aringa

12

l’inclusione delle traduzioni, comprese nell’arco di trent’anni (1963-1993), sono

stati da una parte il rilievo culturale del traduttore o dell’edizione, d’altra parte la

reperibilità sul mercato. Questo secondo aspetto non dev’essere sottovalutato,

poiché si tratta di traduzioni uscite da case editrici di grande rilievo sul mercato

librario, quindi, presumibilmente, delle versioni più diffuse e che hanno

maggiormente veicolato al pubblico italiano l’opera di Carroll.

Nelle traduzioni prescelte, la già citata traduzione di D'Amico svolge il

ruolo di edizione principe. La versione di Galasso e Kemeni, l’unica fuori

commercio ma reperibile nelle biblioteche, è stata usata anche in altre analisi

condotte sulle traduzioni italiane di Alice27, insieme alle versioni di Giglio, Carano

e D'Amico28.

Su queste basi si è provveduto a costruire un corpus che risulta composto

da otto traduzioni, delle quali si dà qui un profilo descrittivo29:

• Bossi (Bompiani 1963 [91]). Apparsa nella collana economica Classici

stranieri dei Tascabili Bompiani (prezzo: lit.10.000), questa edizione

27 Cfr. analisi di Berretta, 1979a e 1979b, e di Capitanio, 1983, dove è indicata come Garzanti 1975. 28 Quest’ultima indicata in Berretta, 1979a e 1979b, e in Capitanio, 1983 come Mondadori 1978. 29 Nella presentazione delle traduzioni, così come nell’analisi del corpus, si seguirà un criterio cronologico con riferimento alla prima edizione della traduzione, salvo il caso di Carano, che viene considerato in funzione dell’edizione in cui compare ora (per una giustificazione, cfr. in proposito più sotto la descrizione di questa edizione).

Page 25: La Gran Natica dell'Aringa

13

comprende entrambe le storie di Alice. Si tratta della riedizione di una

traduzione piuttosto lontana nel tempo, con la revisione e la traduzione delle

poesie di Alessandro Roffeni. Le illustrazioni sono quelle originali di John

Tenniel. Vi sono poche note al testo, soprattutto con la funzione di spiegare

i giochi di parole dell’originale. In appendice vi sono: una “postfazione” di

Jean Gattégno (tratta da Lewis Carroll, Bompiani, Milano, 1980) e una

cronologia della vita e delle opere dell’autore. L’attenzione dell’editore è

portata sull’autore, non sul traduttore o sul testo. L’edizione sembra

destinata ad un pubblico giovane.

• Giglio (Rizzoli 1966 [90]). Pubblicato nella collana economica Superclassici

della Biblioteca Universale Rizzoli (prezzo: lit.7.000), con un’introduzione di

Attilio Brilli e le note al testo di Alex R.Falzon. L’edizione riporta anche delle

“Testimonianze e giudizi critici”, interessanti per inquadrare l’autore ed il

testo, una bibliografia ragionata e alcune foto e disegni originali dell’autore e

una illustrazione di John Tenniel tratta dal testo originale. Le illustrazioni

non sono presenti all’interno del testo. Si tratta di una riedizione di una

traduzione del 1966, riproposta per la prima volta nel 1978 nell’edizione

B.U.R. insieme a Through the Looking-Glass, e qui riedita da sola nella collana

più economica della Rizzoli. Le note, non solo su problemi di linguistica, ma

anche di interpretazione del testo (spesso di impostazione freudiana), sono

Page 26: La Gran Natica dell'Aringa

14

state sicuramente sovrapposte alla versione originale. Ritengo che non sia

un’edizione rivolta ad un pubblico infantile, per l’assenza di illustrazioni e

per la presenza abbondante di note al testo.

• Galasso e Kemeni (Sugar 1967). Edizione delle due storie di Alice ormai

fuori commercio, con prefazione di André Maurois (“Si tratta della

prefazione all’edizione d’Alice apparsa nella collana Viaggi Immaginari

(Edizioni Stock, 1947)”, p.13 nota 1) e illustrazioni originali di John Tenniel.

In appendice a Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie sono riportati i testi

di “Un augurio pasquale ad ogni bimbo amico di Alice” (1876) e “Augurio

natalizio di una Fata ad un bimbo” (1887). Le note al testo sono di carattere

meramente linguistico e si limitano a spiegare i giochi di parole. Si tratta di

un’edizione da cultori, anche se le note sono scarse e la traduzione non

molto accurata.

• D’Amico (Longanesi 1971 [94]). Si tratta della quinta edizione nella collana

«I Marmi» della Longanesi, che l’aveva edita per la prima volta nella collana

«L’Elefante» nel 1971 e, riveduta e aggiornata, ne «I Marmi» nel 1978

(prezzo: lit.40.000). Si tratta della già citata versione italiana dell’ormai

classica Annotated Alice, che riporta tutte e due le storie di Alice, tutte le

Page 27: La Gran Natica dell'Aringa

15

illustrazioni originali di John Tenniel, introduzione e note di Martin Gardner

“tradotte e aggiornate da Masolino D'Amico” (frontespizio). Dell’edizione di

Gardner riprende fedelmente perfino la veste grafica. In appendice si trova

una bibliografia annotata e ragionata. Questa è chiaramente un’edizione ‘di

lusso’ (grande formato, prezzo elevato), quindi per adulti. In una nota a p.10,

D’Amico spiega i criteri da lui seguiti per la traduzione:

[…] mi è sembrato opportuno nella versione italiana attenermi

per quanto possibile a criteri letterali, dando gli originali delle poesie (e,

quando si tratti di parodie, dei loro modelli) accanto a una loro

traduzione interlineare e in prosa. A rischio di essere noioso, ho inoltre

spiegato in nota certi giochi di parole tuttora validi per il lettore

anglosassone.

Il pubblico adulto interessato a questo tipo di traduzione è dunque quello

degli studiosi di Alice, degli intenditori, che comunque conoscono o

hanno intenzione di leggere il testo in versione originale. La maggior parte

dei giochi di parole sono tradotti letteralmente (e quindi totalmente

incomprensibili in italiano) e spiegati accuratamente in nota.

Page 28: La Gran Natica dell'Aringa

16

• Carano (Einaudi 1978 [93]). Questa traduzione si trova ora nella collana

economica Gli Struzzi (prezzo: lit.20.000). Si tratta di una ristampa

dell’edizione Einaudi del 1978, a cura di Maria Vittoria Malvano, che

racchiude entrambe le storie di Alice in due traduzioni di molto

antecedenti: quella di Ranieri Carano (per Alice nel Paese delle Meraviglie) è

del 1967 (Milano Libri) e quella di Giuliana Pozzo (per Attraverso lo

Specchio) è del 1947 (Casa Editrice Hoepli). Nell’edizione del 1978 è stata

aggiunta la traduzione di un capitolo inedito di Attraverso lo Specchio (The

Wasp in a Wig, tradotto da Camillo Pennati) e le versioni delle parodie e

delle filastrocche sono di Guido Almansi. La nota introduttiva è di Nico

Orengo. Le illustrazioni per Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie

sono quelle di Lewis Carroll stesso, tratte dalla prima versione della storia,

Alice’s Adventures Underground, quindi sono meno accurate ma sicuramente

più interessanti dal punto di vista filologico. Interessante è anche il fatto

che in copertina vi sia una foto della ‘vera’ Alice scattata da Carroll, e non

un’illustrazione. Non vi sono note al testo. Si tratta di una sorta di collage

editoriale, ben assortito in verità, che si rivolge sia ad un pubblico adulto

che a lettori più giovani, data la vivacità del testo. Interessante è la nota

riportata nel retro di copertina a proposito della traduzione:

Page 29: La Gran Natica dell'Aringa

17

Ma questa «Alice» non è soltanto completa: Guido Almansi l’ha

tradotta, riuscendo a ricreare in italiano i giochi di parole, gli ammicchi,

il divertimento dell’originale.

Le intenzioni dell’editore sono dunque chiare: ridonare nuova vitalità al

testo di Carroll. Sebbene la traduzione di Carano risalga al 1967, anch’essa

risponde pienamente alle intenzioni dell’editore.

• Graffi (Garzanti 1989 [93]): nella collana economica I grandi libri

(prezzo: lit.12.000). Si tratta della traduzione di entrambe le storie di Alice,

con un’introduzione sulla vita dell’autore, un profilo storico-critico

dell’autore e da una guida bibliografica (molto accurata) di Milli Graffi,

che, oltre a tradurre il testo, ha anche curato le note (situate non a piè di

pagina, ma in fondo a ciascuno dei due testi). Le illustrazioni sono di John

Tenniel, tranne quella di copertina che riproduce un particolare di

un’illustrazione di Arthur Rackham. Si tratta di un’edizione molto attenta,

con materiale critico di sicuro interesse per chi voglia saperne di più

sull’autore e sul testo in quanto tale, grazie soprattutto all’inquadramento

storico-letterario dato dalla traduttrice. Si tratta dunque di un’edizione per

adulti interessati ad uno studio letterario dell’opera (studenti universitari o

studiosi). Nelle note al testo, la traduttrice fornisce anche indicazioni su

Page 30: La Gran Natica dell'Aringa

18

precedenti traduzioni cui si è rifatta (la prima versione ad opera di

Pietròcola-Rossetti, la versione di D’Amico, le note di Alex R.Falzon

nell’edizione Rizzoli). Ecco cosa scrive la traduttrice nelle Avvertenze alle

note (p.116):

Di tutte le poesie contenute nei due libri di Alice verrà dato in nota il

testo originale in inglese. Verranno pure segnalati i giochi di parole, le

invenzioni verbali e i vari trabocchetti del linguaggio che, nel caso di

questo autore, sono così determinanti da costituire anche l’essenza

narrativa del testo oltre che la scrittura. Nel medesimo contesto

segnaleremo inoltre la maggiore o minore distanza dal testo o la

soluzione alternativa scelta dalla traduzione.

Si tenga presente che Milli Graffi ha compiuto molti studi sulla

letteratura nonsense dell’Inghilterra vittoriana: ha tradotto The Hunting of the

Snark (La Caccia allo Snualo, Studio Tesi, 1985) e si è occupata di Edward

Lear, l’autore più celebre di limericks e di altri nonsense verses del periodo

vittoriano (cfr. Bibliografia).

• Bianchi (Mursia 1990 [93]): nella collana economica GUM Mursia

(prezzo: lit.14.000). L’edizione è curata dallo stesso traduttore, con

Page 31: La Gran Natica dell'Aringa

19

un’introduzione dal titolo significativo (“Alice o della magia e della

malinconia del tradurre”) e note al testo (non a piè di pagina) molto

interessanti dal punto di vista linguistico, perché Bianchi non si limita a

spiegare il gioco nell’originale, ma fornisce anche una spiegazione delle

sue scelte di traduzione. Le illustrazioni sono di John Tenniel. Nel retro di

copertina si legge:

L’estro bizzarro che permea tutta la narrazione non allontana, peraltro,

dal lettore paesaggi e cose, animali e persone: anzi, il Coniglio Bianco,

la Fintartaruga, la Duchessa, il Gatto del Cheshire, il Cappellaio Matto.

La stessa Regina di cuori, che fin dall’infanzia ci sono stati

simpaticamente vicini sia pur nella loro diversità e che — forse grazie

anche alle notissime illustrazioni di John Tenniel — allora credemmo

addirittura «reali», ricompaiono altrettanto vitali e attuali nella nostra

vita di «grandi».

Dunque probabilmente questa edizione si rivolge piuttosto agli adulti che

ai ragazzi.

• Busi (Feltrinelli 1993). È l’unica edizione con testo originale a fronte, tra

quelle qui prese in esame. La collana editoriale è quella de “I Classici”

Page 32: La Gran Natica dell'Aringa

20

dell’Universale Economica Feltrinelli (prezzo: lit.13.000), nella quale

recentemente sono stati ristampati alcuni classici per l’infanzia (Peter Pan,

Pinocchio). L’edizione presenta una breve introduzione del traduttore, la

postfazione e le note al testo (in appendice) di Carmen Covito. Non vi sono

illustrazioni, tranne una sola di John Tenniel (dal frontespizio

dell’edizione inglese). Sintomatico è il fatto che sul retro di copertina non

vi sia un profilo dell’autore (al quale è dedicata poco più di mezza pagina)

ma un estratto dall’introduzione, un profilo del traduttore e un paio di righe

dedicate alla curatrice delle note. Il traduttore ha persino dedicato la sua

versione di Alice alle nipoti (cfr. p.7: “A Eleonora, Wilma, Patrizia, Maria,

Adele dallo ziochescrive”). Date queste premesse, non stupisce che il testo

“tradotto” sia in realtà un libero adattamento della storia di Carroll, libero

non nella struttura narrativa, ma nello stile, nella caratterizzazione dei

personaggi, nella creazione di giochi di parole più gradevoli in italiano.

D’altro canto, la scelta editoriale sembra piuttosto azzeccata, dal punto di

vista economico, perché presenta una versione ad opera di uno scrittore

‘di grido’, discusso autore di best sellers, del quale sicuramente chi acquista

questa edizione ha già sentito parlare. In un certo senso, il lettore

(certamente non bambino) sa già cosa aspettarsi da una versione del

genere. La personalità del traduttore in questo testo è volutamente

presente. Ciò non toglie che il testo italiano sia ben riuscito, divertente e

Page 33: La Gran Natica dell'Aringa

21

‘attuale’, con riferimenti espliciti al contesto culturale italiano

contemporaneo (cfr. ad esempio il riferimento a Mike Bongiorno nella

parodia di Father William, a pagina 73, ultimo verso, e al brodo Star nella

traduzione di Beautiful Soup, p.157).

Dalla descrizione appena fatta, possiamo rilevare come la maggior parte

delle traduzioni si rivolga ad un pubblico adulto: solo nel caso di Bossi, 1963 [91]

il pubblico potrebbe essere quello degli adolescenti o dei ragazzi, e Carano si

rivolge sia ad un pubblico adulto sia a lettori più giovani. In tutti i casi, appare

chiaro che non si ritiene destinatario ideale il pubblico dei bambini.

Anche sotto il profilo degli scopi della riproposizione di Alice al pubblico

italiano il panorama appare variegato: si va dal puro intrattenimento (Bossi,

Galasso e Kemeni, Carano, Busi, con molte sfumature tra loro) all’interesse

filologico (Giglio, D’Amico in particolare, Graffi, Bianchi). La presenza di note

al testo (e la loro collocazione a piè di pagina o in fondo al testo) è in questo

senso un’indicazione precisa.

In questa panoramica già si intravedono gli spostamenti di interesse verso i

giochi di parole da parte dei traduttori fin dalle dichiarazioni degli stessi o dal

retro di copertina da parte degli editori.

Page 34: La Gran Natica dell'Aringa

22

I.4 L’autore e il suo tempo

Già nella versione originale, Alice pone problemi interessanti, non solo dal

punto di vista linguistico in senso stretto, ma anche per quanto riguarda il

pubblico cui si rivolge e il contesto culturale di riferimento. Come vedremo,

infatti, Alice è un libro profondamente legato al suo tempo e al luogo in cui è

nato. Chi non appartiene all’ambiente dei college di Oxford del pieno periodo

vittoriano potrà cogliere soltanto gli elementi universali di questo testo.

Proveremo, dunque, ad avvicinarci al testo partendo dal suo autore e dal suo

tempo.

I.4.1 Lewis Carroll e Alice, ovvero: il matematico e la bambina

‘Lewis Carroll’ era, nella vita di tutti i giorni, Charles Lutwidge Dodgson (Daresbury, 1832 - Guilford, 1898), un reverendo, professore di

matematica al Christ College di Oxford. La sua esistenza piuttosto piatta,

metodica, rigidamente ordinata, è caratterizzata dalla balbuzie e dalla passione

per la fotografia. Come professore, per sua stessa ammissione, sembra che non

sia stato eccezionale. Era stato però un ottimo studente di matematica, e come

matematico, col suo vero nome, pubblicò diversi saggi, tra i quali The Formulae of

Plane Trigonometry (1861) e Euclid and his Modern Rivals (1879). Se non fosse stato

Page 35: La Gran Natica dell'Aringa

23

anche “Lewis Carroll”, il suo nome giacerebbe probabilmente dimenticato negli

annuari del Christ Church College. Il timido Dodgson sin da bambino era stato

un instancabile inventore di giochi e storie per i suoi numerosi fratelli (era il

terzogenito e primo maschio di 11 figli), redattore di numerosi giornalini per la

famiglia, scrittore in erba di versi comici, in cui sono presenti diversi giochi

linguistici. L’infanzia in famiglia fu un periodo tranquillo e spensierato, interrotto

dagli anni di scuola a Rugby, dove il futuro autore di Alice si trovò faccia a faccia

con il sistema ‘educativo’ vittoriano, basato su ordini privi di senso volti a

formare la gioventù dell’Impero britannico.

Entrato al Christ Church College di Oxford nel 1851, qualche tempo dopo

cominciò a pubblicare alcune delle sue poesie umoristiche sulle riviste «Comic

Times» e «The Train», sotto lo pseudonimo di ‘Carolus Ludovicus’. Si laureò tre

anni più tardi in matematica a pieni voti e cominciò a prepararsi per

l’ordinazione sacerdotale: per diverse ragioni, però, si fermerà al grado di

diacono, che gli consente di ricevere una pensione e gli impone il celibato.

Dodgson cominciò ad insegnare matematica nel 1856, nello stesso periodo in cui

‘nasce’ il suo alter ego, ‘Lewis Carroll30’: questo da ora in poi è lo pseudonimo per

le pubblicazioni saltuarie delle poesie che appaiono sulle riviste. Così, mentre il

professor Charles Lutwidge Dodgson annoia i suoi studenti e si sforza di

30 Pseudonimo nato dalla versione latina del suo primo pseudonimo (v. sopra) con inversione del primo e del secondo nome.

Page 36: La Gran Natica dell'Aringa

24

pronunciare difficili discorsi, ‘Lewis Carroll’ discorre amabilmente con i suoi

ascoltatori prediletti, i bambini (preferibilmente, le bambine) figli di amici e

colleghi, che intrattiene con giochi di prestigio, rompicapi linguistici e matematici

e storie incredibili, come quelle che raccontava ai suoi fratelli. Con le sue piccole

amiche intesse fitte e divertenti corrispondenze.

Tra queste bambine, vi erano anche le figlie di Henry George Liddell,

decano del Christ Church College dal 1855 e celebre grecista (coautore del

dizionario Liddell-Scott): i loro nomi erano Lorina, Alice e Edith. Fu per la

piccola Alice Liddell e per le sue sorelle che, durante una gita in barca sul fiume

Isis, il pomeriggio del 4 luglio del 1862, Lewis Carroll inventa quelle che

diventeranno le Alice’s Adventures in Wonderland. Siamo informati delle circostanze

della composizione, per così dire, estemporanea di questa storia dall’autore

stesso: la poesia All in the golden afternoon, che precede il racconto nella sua

edizione definitiva, ricorda infatti quel pomeriggio in cui tutto ebbe inizio. In

realtà, sebbene la stessa Alice ‘reale’ ricorderà ad anni di distanza quel pomeriggio

dorato31, la storia come la leggiamo noi oggi è frutto di parecchi pomeriggi. Ad

ogni modo, nei giorni immediatamente seguenti il 4 luglio 1862, Alice Liddell

insistette perché Lewis Carroll mettesse per iscritto la strana storia della bambina

che precipita nella tana del coniglio e così nei mesi che seguirono Carroll scrisse

31 Come viene ricordato da Garnder (in AA, nota 1, p.23), venne poi accertato che il pomeriggio del 4 luglio 1862, nei dintorni di Oxford, pioveva.

Page 37: La Gran Natica dell'Aringa

25

la prima versione della storia, intitolata Alice’s Adventures Under Ground32. Secondo

Martin Gardner, la primissima versione risale al febbraio 1863, ma di essa non

rimane traccia perché fu probabilmente distrutta dallo stesso Carroll nel 186433,

anno in cui rielaborò la storia per regalarla, vergata di suo pugno e completa

delle sue illustrazioni, alla bambina che l’aveva ispirata. La dedica recita: “A

Christmas Gift to a Dear Child in Memory of a Summer Day”.

Nel frattempo, anche altre persone lessero la breve storia (quattro capitoli,

circa 90 pagine in tutto) tra esse George MacDonald, amico di Carroll e autore

di racconti del genere fantasy, come The Phantastes (1858), che la lesse anche ai

suoi figli. L’incoraggiamento degli amici spinse Carroll a pubblicare la storia di

Alice34. Così l’autore dovette ancora una volta rimaneggiare la sua storia: tolse

riferimenti ad episodi noti soltanto al suo primo pubblico, come il racconto di

un acquazzone durante un’altra gita in barca, rielaborò alcune scene (il processo

finale risulterà alla fine lungo due capitoli, mentre nella prima versione occupava

appena due pagine) e aggiunse nuove parodie di poesie e nuovi episodi (i

capitoli “Pig and Pepper” e “The Mad Tea Party”). Cambiò anche titolo alla

storia: le Alice’s Adventures Under Ground divennero le Alice’s Adventures in

32 Nel 2003 è uscita la prima versione italiana di questo testo, con la riproduzione dell’originale, tradotta da me, con il titolo di Alice Underground, pubblicata da Stampa Alternativa, Viterbo, 33 Cfr. Gardner, 1965, p.V. 34 Cfr. prefazione dell’autore all’edizione in facsimile del 1886, adesso in Carroll, 1965.

Page 38: La Gran Natica dell'Aringa

26

Wonderland35. Questa rielaborazione è importante perché, come nota Jean

Gattégno36, introduce i giochi linguistici come elemento fondamentale dell’opera

e perché muta la prospettiva della narrazione, facendo di Alice una viaggiatrice,

un’esploratrice nel Paese delle Meraviglie, più che una malcapitata nel mondo

sottoterra. Scelse un illustratore adatto all’impresa, John Tenniell, disegnatore di

vignette umoristiche del Punch, e un editore, Macmillan, di Londra, che già aveva

pubblicato altri racconti per ragazzi, come The Water Babies di C. Kingsley. Tra

l’estate e l’autunno 1864, l’autore lavora alla pubblicazione. Nel giugno del 1865

le prime copie del libro furono pronte, ma, a causa della cattiva qualità della

35 Cfr. Gardner, 1965, p.X e Cohen, 1995, p.127-8. 36 Gattégno, 1974, p.32: “Le contenu de la première version d’Alice en est une preuve supplémentaire, et cela à deux égards au moins. D’abord en ce que les épisodes rajoutés pour l’Alice de 1865 introduisent un facteur totalement nouveau: le jeu avec le langage. Un seul jeu de mots apparaît dans le premier texte, lors de la rencontre d’Alice avec la Tortue «fantaisie» (dont le nom, du reste, n’est pas expliqué) sur tortoise et taught us; mais le jeu syntaxique sur l’expression found it advisable employée par la Souris dans son récit, qui était possible puisque l’expression figure dans le premier texte, n’est pas fait par Carroll; c’est donc tout un pan de l’univers carrollien qui, à cette date et dans ces circostances, n’a pas encore surgi. En second lieu, et plus significative encore, la structure narrative du conte se modifie: la prémiere Alice relate, de façon presque linéaire, les aventures qui arrivent à Alice, alors que la seconde fait parcourir à l’heroïne un monde où des choses se passent en dehors d’elle. Cela est vrai, naturellement, pour les épisodes ajoutés, comme «le Thé chez les Fous» ou les rencontres (qui ne sont que des dialogues) avec le Chat du Cheshire. Mais même dans les scènes existant dès la première version, comme le Procès du Valet de Cœur ou la rencontre avec le Griffon et la Tortue «fantaisie», la part de ce qui ne concerne pas directement Alice est minime, par comparation avec la version définitive. Pour résumer, je dirai que le premier manuscrit nous racontait une aventure d’Alice, alors que le texte définitif nous raconte bien plutôt le voyage d’Alice.” Cfr. anche Levin, 1965, p.231.

Page 39: La Gran Natica dell'Aringa

27

stampa, vennero ritirate. Il libro fu ristampato e l’autore ricevette la prima copia

corretta il 9 novembre 1865.

L’accoglienza del libro fu entusiastica e il successo spinse Carroll a dare

un seguito alla storia con Through the Looking-Glass and What Alice Found There,

iniziato nel 1866 e pubblicato nel 1871. Anche questa storia è ispirata ad Alice

Liddell, benché questa avesse ormai una ventina d’anni. All’interno del racconto

è inserita la celebre poesia nonsense intitolata “Jabberwocky”. Nel 1889 esce la

versione di Alice per bambini “da zero a cinque anni”, intitolata Nursery Alice e

corredata dalle illustrazioni a colori di Tenniel.

Le altre opere di Carroll che si possono inserire sulla scia di questi

capolavori della letteratura per l’infanzia (ma non solo) sono il capolavoro del

nonsense in versi The Hunting of the Snark, del 1876, e Sylvie and Bruno (1883, prima

parte, e 1893, seconda parte, dal titolo Sylvie and Bruno Concluded) in cui invece il

sentimentalismo moraleggiante prevale sul nonsense, mentre da ricordare sono le

raccolte di giochi logici e matematici: Pillow Problems and A Tangled Tale

(pubblicati in raccolta nel 1958), The Game of Logic (1886-92) e Symbolic Logic,

Part I. Elementary (1896).

Nel campo della logica, Carroll ha avuto il merito di sintetizzare la logica

booleiana che poi, di lì a poco, sarebbe stata soppiantata dalla logica matematica

di Russell.

Page 40: La Gran Natica dell'Aringa

28

I.4.2 Alice e il suo pubblico

Come si nota dalle vicende della scrittura e della pubblicazione di Alice,

l’autore stesso fu costretto sin dall’inizio a cambiare il testo originario in

funzione del pubblico cui si riferiva. Possiamo presupporre quindi che ogni testo

sia sempre un altro testo ogni volta che viene letto da un lettore diverso, e, al limite, ogni

volta che viene riletto dallo stesso lettore. Un’affermazione del genere può qui

sembrare azzardata, ma è lo stesso Lewis Carroll (in un momento in cui era

Charles Dodgson) a ricordarcelo37.

Possiamo dire che, nelle intenzioni dell’autore, Alice’s Adventures in

Wonderland è un libro per bambini, innanzitutto perché è stato scritto per una

bambina, come molti altri celebri libri per l’infanzia38. Carroll raccontava

abitualmente storie alle sorelle Liddell arricchendo di particolari fantastici gli

episodi strani e divertenti che accadevano loro. Alice si configura come libro per

l’infanzia anche perché rispetta appieno quanto Alice ritiene necessario ad un

libro adatto ai bambini, cioè la presenza di illustrazioni e di dialoghi39.

37 Cfr. la lettera su The Hunting of the Snark citata in Hunt, 1994, p.82. 38 Ad esempio i libri di Beatrix Potter, James M Barrie, Kenneth Grahame, A. A. Milne. Cfr. Blake, 1983 e Hunt, 1994, p.79. 39 Si veda il saggio di Nina Auerbach [1973] intitolato Alice and Wonderland: A Curious Child. Cfr. anche Levin, 1965, pp.221-2 “Alice began by tiring of her sister’s book because it had no pictures or conversations in it. Her chronicles are not lacking in those amenities. Each adventure brings a conversation with a new and strange vis-à-vis. As for the pictorial presentation, it is an

Page 41: La Gran Natica dell'Aringa

29

Quando il libro venne pubblicato, il pubblico cui era destinato, quello dei

bambini (e dei loro genitori) trovò le avventure di Alice esilaranti, e ne decretò il

successo. Alice rivoluzionò la letteratura per l’infanzia, facendola diventare

letteralmente children’s literature, letteratura dell’ infanzia. Al contrario delle storie

moraleggianti piene di sentimentalismo e lezioni di buone maniere, la

stravagante fiaba di Carroll racconta di una bambina vera (nel senso che si

comporta come si comporterebbe una bambina reale) alla quale accade di

sprofondare (nel sonno) in un mondo stranissimo.

Come una bambina in carne ed ossa, Alice, anche se li ripete

continuamente per ricordarsene, non bada ai consigli degli adulti, pieni di buon

senso40, e comincia ad esplorare un mondo sconosciuto e (potenzialmente)

pericoloso nel quale si ritrova a causa della sua curiosità. La curiosità41 di Alice,

integral part of the author’s design. He started with his own sketches, chose his illustrator with the utmost concern, and worked with Tenniel in the most indelible of collaborations.”. Cfr. anche Rackin, 1976, p.8. 40 Si rileggano i consigli che Alice si dà prima di bere la bottiglietta con su scritto “BEVIMI” (AA, p.31): “It was all very well to say “Drink me,” but the wise little Alice was not going to do that in a hurry [...] for she had read several nice little stories about children who had got burnt, and eaten up by wild beasts, and other unpleasant things, all because they would not remember the simple rules their friends had taught them: such as, that a red-hot poker will burn if you hold it too long; and that, if you cut your finger very deeply with a knife, it usually bleeds; and she had never forgotten that, if you drink much from a bottle marked “poison,” it is almost certain to disagree with you, sooner or later.” 41 Levin (1965, p. 222) ricorda che l’aggettivo che ricorre spesso è curious, che, come il corrispondente italiano curioso, può essere sinonimo sia di ‘mosso da curiosità’ che di ‘strano, che suscita curiosità’.

Page 42: La Gran Natica dell'Aringa

30

che non viene sanzionata dal suo autore, è una delle caratteristiche principali del

personaggio, ed è in un certo senso anche il motore principale della storia. Del

resto, è anche per la curiosità di Alice Liddell che la storia ebbe un seguito.

Il libro nasce quindi e si diffonde tra i piccoli della sua epoca. Ma Alice

può essere anche di più per altro e diverso pubblico e per altri e lontani tempi.

Lo attestano le più diverse interpretazioni che il testo ha ricevuto (e talvolta

subito), e che hanno fatto e fanno sostenere la tesi che questo non sia un libro

per bambini, al di là delle intenzioni del suo autore. Sarebbe più corretto

affermare che questo non è più un libro per bambini, perché i bambini di oggi

non possono più leggere Alice con lo stesso godimento dei loro coetanei inglesi

di più d’un secolo fa42. I lettori di oggi, sia adulti che bambini, ad esempio,

troveranno semplicemente strane o buffe le parodie delle poesie recitate da

Alice e dagli altri personaggi, non cogliendo i riferimenti ai modelli reali, che

non fanno parte del bagaglio culturale del lettore di oggi. Occorre un’edizione

accurata come la Annotated Alice ad opera di Martin Gardner per spiegare quel

che i lettori del 1865 intuivano immediatamente43.

42 Cfr. ad esempio l’introduzione di Martin Gardner in AA, pp.7-8 (trad. it. M.D’Amico, p.11-12), Rackin, 1976, p. 3, Almansi, 1976, p.34. 43 Occorre tuttavia precisare che alcuni riferimenti della storia sono delle cosiddette inside jokes: tale è ad esempio la canzone Twinkle twinkle little bat, che, oltre ad essere la parodia di una celeberrima canzone per bambini, era anche una presa in giro di un professore di Oxford collega dell’autore, Bartholomew Price, soprannominato ‘the bat’ (‘il pipistrello’) (cfr. AA.p.98, nota 6; trad. it. M.D’Amico p.100-1, nota 7). Cfr. Levin, 1965, p.217-8.

Page 43: La Gran Natica dell'Aringa

31

Carroll, però ci aveva avvertiti : probabilmente già intravedeva gli

innumerevoli critici che avrebbero spulciato e sezionato la sua piccola creatura

per trovarvi significati cui mai avrebbe potuto pensare mentre inventava la

storia di Alice. Del resto, Alice si presta benissimo a questo tipo di operazione.

Forse ha più senso domandarsi perché una storia del genere sia piaciuta ai

bambini e cercare di coglierne le caratteristiche universali che ne hanno fatto un

classico per l’infanzia.

Come molte storie per l’infanzia, quella di Alice è in un certo senso un

Bildungsroman: la protagonista passa attraverso delle esperienze che la mettono in

crisi – una crisi dell’identità, delle conoscenze, del linguaggio – e alla fine, senza

aspettare il Principe Azzurro44, decide di rifiutare il mondo in cui è entrata. Le

innumerevoli osservazioni critiche, inevitabilmente di stampo psicanalitico, che

sono state condotte su Alice nel nostro secolo hanno messo in luce le valenze

che una fiaba simile può avere per i bambini. Si pensi soltanto ai cambiamenti di

statura cui la protagonista va ripetutamente incontro45: Alice è una bambina che

sta crescendo e deve trovare il suo posto nel mondo.

44 Come fa notare Cohen, 1995, pp. 139-40. Non è difficile considerare Alice come una fiaba femminista (cfr. Pagetti, 1996, p.10; Blake, 1983). 45 Cfr. Levin, 1965, p.229.

Page 44: La Gran Natica dell'Aringa

32

Mascherate sotto le specie di un sogno46, in realtà le avventure di Alice

sottoterra si rivelano un incubo, al quale la protagonista riesce finalmente a

sottrarsi riportando gli oggetti delle proprie paure alle giuste dimensioni:

“Chi se ne importa di voi?” disse Alice (era ormai tornata alle sue giuste

dimensioni).”Non siete nient’altro che un mazzo di carte!” 47

È un storia scritta dalla parte dei bambini, che ha sui lettori più piccoli una

sorta di effetto catartico: identificandosi con la protagonista, i bambini imparano

ad esorcizzare la paura del mondo degli adulti, che appare loro incomprensibile

ed assurdo al pari di Wonderland.

D’altro canto è vero che certi giochi di parole, allusioni ironiche o alcuni

riferimenti culturali saranno colti più facilmente dai lettori adulti. Ma lo spirito

che anima l’estimatore adulto di Alice è quello del bambino: il lettore ormai

cresciuto muterà anch’egli statura con la protagonista, ricorderà come quand’era

bambino il mondo degli adulti risultasse lontano e irrazionale, e comincerà a

sospettare che Wonderland sia il mondo in cui si trova e che spesso gli appare

egualmente assurdo48.

46 Cfr. Rackin, 1976, p.3, Cohen, 1995, p.139. 47 AA, p. 161 : “Who cares for you?” said Alice (she had grown to her full size by this time). “You’re nothing but a pack of cards!” 48 Con queste caratteristiche, Alice è sicuramente un libro che piace agli adolescenti.

Page 45: La Gran Natica dell'Aringa

33

Chi considera Alice come un testo per adulti potrebbe essere influenzato

dal pregiudizio di coloro che giudicano la letteratura per l’infanzia come

sottoprodotto della letteratura ‘alta’. Al di là di questo, resta il fatto che molti

sono gli adulti appassionati lettori di questo testo per le ragioni più svariate.

Alice è un’inesauribile miniera di esempi per linguisti, filosofi, fisici e matematici.

Esistono diverse associazioni dedicate a Lewis Carroll (come la Lewis Carroll

Society che ha sede a Londra, la Lewis Carroll Society of North America49 e la Lewis

Carroll Society of Japan) e sulla rete Internet è possibile trovare, oltre a diverse

edizioni e traduzioni delle opere di Carroll, decine di siti che si occupano

direttamente e indirettamente di Lewis Carroll e della sua Alice.

Insomma, tra coloro che continuano a ritenere Alice’s Adventures in

Wonderland un classico della letteratura per l’infanzia per le sue caratteristiche

universali, poiché la storia di Alice narra di una bambina che impara a cavarsela

da sola, a dominare le proprie paure e fantasie, ad usare la propria curiosità, a

interrogarsi sulla propria identità, insomma a crescere senza rinnegare la propria

infanzia50, e quelli che lo identificano come libro per adulti, la verità sta nel

mezzo51. La storia di Alice viene pubblicata, tradotta, adattata, raccontata,

49 Sito internet: http://www.lewiscarroll.org/carroll.html 50 Cfr. ad esempio Cohen, 1995, capitolo 5, “The Alice Books”, Rizzatti, 1996, p.25, Levin, 1965, p.217. 51 Il nonsense di Carroll è rivolto sia ai bambini che ai loro genitori. Si tratta da una parte di un gioco a spese dei bambini a vantaggio dei lettori adulti che possono comprendere meglio i

Page 46: La Gran Natica dell'Aringa

34

sceneggiata soprattutto per un pubblico di bambini, ma piace anche agli adulti e

travalica confini geografici e generazionali.

meccanismi del gioco linguistico; dall’altra parte è una (auto)critica della pedagogia vittoriana, a danno dei lettori adulti e a vantaggio dei bambini. (cfr. Poole, 1976).

Page 47: La Gran Natica dell'Aringa

35

Capitolo II I giochi di parole

Les jouets et les jeux sont changés en outils En travaux en objets capitaux en soucis Il nous faut nous cacher pour simuler l’enfance Il nous est interdit de rire sans raison.

P.Èluard*

Un testo come Alice’s Adventures in Wonderland offre numerose e stimolanti

possibilità di analisi linguistica, sia prendendo in esame il testo originale che

considerando le sue traduzioni.

Nella nostra analisi comparativa abbiamo scelto di esaminare in particolare il

modo in cui sono stati tradotti i giochi verbali che costituiscono la materia stessa

della narrazione, ritenendo questo uno dei nodi problematici principali per chi si

accingesse a tradurre il testo. In questo capitolo analizzeremo dunque i meccanismi

su cui i giochi si fondano e le caratteristiche del linguaggio che essi sfruttano.

* Da “L’âge de la vie”, V

Page 48: La Gran Natica dell'Aringa

36

II.1 Tra suoni e lettere

I primi giochi verbali hanno come protagonisti i suoni della lingua. Dal

continuum delle possibilità sonore della lingua, il bambino, sin da piccolo, comincia a

selezionare i suoni funzionali nella propria lingua materna, senza però escludere tutti

gli altri.

Tutti i bambini normali attraversano una sequenza evolutiva fissa

nell’acquisizione della lingua parlata. Il primo grado di questa sequenza è il

balbettio, caratterizzato dalla produzione di una serie relativamente ricca di

suoni differenti; ed è a questo livello che il bambino comincia ad acquistare i

modelli prosodici della sua lingua nativa. Peraltro sembra chiaro che il

bambino, alla nascita, è fisiologicamente adatto alla vocalizzazione ed è

geneticamente predisposto a provare, per dir così, un’ampia gamma di suoni

linguistici e di conseguenza a sviluppare e raffinare il controllo dei modelli

sonori della lingua che ode intorno a sé1[...].

Ma il bambino che gioca con i suoni scopre via via che la lingua possiede

ritmo, cadenza, assonanza, rima, e che anche con questi elementi sovrasegmentali è

1 Lyons, 1980, vol.I, p.93-4

Page 49: La Gran Natica dell'Aringa

37

possibile giocare. La lingua assume quasi, per i bambini, le caratteristiche della

musica, ma offre anche un divertimento di natura particolare.

Nell’età in cui il bambino impara a padroneggiare il vocabolario della

sua lingua materna, egli prova un gusto evidente a “sperimentare giocando”

con questo materiale [...]: accosta le parole senza badare al senso, pur di

ottenere l'effetto piacevole dato dal ritmo o dalla rima. A poco a poco gli

vien tolto questo divertimento, e alla fine non gli sono più consentite che le

combinazioni verbali dotate di senso. Ancor più tardi, emerge lo sforzo di

affrancarsi dalle limitazioni apprese sull'uso delle parole, storpiandole

mediante determinati suffissi o deformandole con particolari artifici [...] o

addirittura foggiandosi un linguaggio suo proprio che usa con i compagni di

giuochi2[...].

L’attenzione per il suono della lingua più che per il suo significato si ritrova in

testi come le filastrocche, le nursery rhymes, le counting rhymes, gli indovinelli — testi che

nascono o sono recitati dai bambini. Il motivo è facile da rintracciare

nell’atteggiamento che i bambini hanno verso i suoni della lingua materna che stanno

acquisendo: giocare con i suoni è il modo migliore di iniziare ad apprendere una

lingua.

2 Freud, 1905, p.112

Page 50: La Gran Natica dell'Aringa

38

Quando i bambini, che hanno imparato a giocare con i suoni della loro lingua,

entrano in contatto anche con i segni grafici, scoprono che si può giocare anche con

le lettere.

La non corrispondenza tra grafemi e fonemi è motivata dall’economia

linguistica ed ha anche ragioni storiche di evoluzione delle lingue. La scrittura tende

infatti a cristallizzarsi in forme stabili mentre la lingua orale si evolve in modo più

rapido. Visto che le forme grafiche e quelle foniche delle parole differiscono

notevolmente (soprattutto in lingue come l’inglese), i parlanti tendono a stabilire delle

connessioni tra i significati sulla base della pronuncia (cioè dei significanti sonori).

On one hand humor can arise when difference is perceived between

universes thought to be compatible. On the other hand, humor can result

from similarity perceived between universes thought to be disparate. Puns,

for example, are symptomatic of the first type of contradiction. While there

is sameness on the aural level there is a splitting into difference on the

semantic level3.

I giochi si realizzano principalmente nella lingua orale, e solo

occasionalmente nella lingua scritta, sebbene esistano analogie tra i giochi di

ambiguità fonica, per così dire, e quelli in cui l’ambiguità viene espressa mediante

3 Stewart, 1989, p.38

Page 51: La Gran Natica dell'Aringa

39

segni grafici. Sull’identità fonica delle parole, a fronte di una differenza nella forma

grafica e nel significato, sono basati i rebus e le forme di scrittura, interpretabili solo

se letti ad alta voce; un esempio in inglese è dato dal seguente cartello situato

all'interno di una piscina (pool):

[E1] THIS IS A OOL

(“this is a pool without pee”) 4

in cui il gioco si fonda sull’identità di pronunzia tra il nome del grafema /pi:/ e la

parola pee. Le lettere dell’alfabeto e le cifre offrono in inglese, con la pronunzia del

loro nome, numerose opportunità a chi voglia giocare con esse5: [E2] YY U R Too wise you are

YYUB Too wise you be

I C U R I see you are

YY 4 me Too wise for me6

4 “Questa è una piscina senza pipì”. Esempio tratto da Speak Up, dicembre 1994 5 Inutile dire che i procedimenti di cui stiamo parlando sono stati sfruttati dalla stampa e dalla pubblicità, tanto da passare ormai quasi inosservati. Secondo Poole (1969), adesso i giochi di parole non hanno più, almeno in Inghilterra, la stessa valenza liberatoria che avevano nel secolo scorso, perché adesso sono “la norma del linguaggio propagandistico sia industriale che militare” (p.143). Poole sostiene che ciò che è avvenuto in campo sessuale ( “lo strappo alle regole” che diviene regola esso stesso), è avvenuto anche in campo linguistico: “l’informale linguistico si è elevato ormai al livello di sistema, il sistema della permissività repressiva” (p.143). 6 Esempio tratto da Crystal, 1994, p.65

Page 52: La Gran Natica dell'Aringa

40

I meccanismi che presiedono alla formazione dei giochi di parole sono insiti

nel linguaggio:

“[...] language seems to contain hidden traps at all levels of linguistic analysis, so

that a transposed sound or syllable or a misplaced preposition can potentially cause

havoc to the general meaning of an utterance. Such havoc provokes laughter.”7.

Queste “trappole” tese dalla lingua provocano errori involontari nei parlanti, e

il riso negli ascoltatori: proprio come si ride quando si vede cadere qualcuno, gli

scivoloni della lingua (slips of the tongue) sono irresistibili per chi li ascolta.

La lingua inglese si presta particolarmente ad un certo tipo di “trappole”,

situate tutte nei suoni della lingua. A fronte di suoni vicini o identici, il significato

può variare in maniera consistente. Al gioco sui suoni si somma il gioco sulle lettere.

Sono dunque i caratteri interni delle lingue a consentire, oltre alle normali

funzioni comunicative, i giochi verbali.

1 Chiaro, 1992, p.17

Page 53: La Gran Natica dell'Aringa

41

II.2 I caratteri delle lingue. Arbitrarietà e indeterminatezza

Chi ha esperienza di più di una lingua si rende conto, anche solo a livello

intuitivo, che le lingue, come avvertiva Saussure8, non sono nomenclature, cioè liste di

termini corrispondenti ad altrettante cose. Consideriamo invece le lingue come sistemi

di segni, ove per segno s’intende il rapporto esistente tra significante e significato9, a sua

volta determinato dai rapporti tra un segno e gli altri all’interno dello stesso sistema.

Il rapporto tra significante e significato è arbitrario, così come i rapporti tra un

segno e gli altri: ciò è testimoniato dalla differenza tra le lingue e dall’esistenza stessa

di lingue differenti10.

L’organizzazione dei segni delle lingue in sistemi implica la discretizzazione del

continuum fonico e semantico. Ogni lingua, in virtù dell’arbitrarietà semiotica

formale11, delimita dunque arbitrariamente i confini all’interno del continuum dei suoni

e dei sensi e associa arbitrariamente i significati ai significanti che li esprimono, in

funzione dei bisogni specifici della comunità di parlanti la lingua stessa.

L’arbitrarietà, intesa come assenza di motivazione nel legame tra significato e

significante, non vuol dire assoluta libertà: infatti perché la lingua possa essere usata

8 Cfr. Saussure, 1974, p.83. 9 op.cit., p.85. 10 op. cit., p.86. 11 Cfr. De Mauro, 1995, p.11.

Page 54: La Gran Natica dell'Aringa

42

dai parlanti bisogna che mantenga stabili i rapporti all’interno e all’esterno del segno,

in modo da essere trasmessa da una generazione all’altra.

Allo stesso tempo, questi rapporti possono essere alterati: ciò accade in modo a

volte impercettibile agli utenti della lingua stessa12. La ragione di questo aspetto

mutevole delle lingue è da ricercare nei bisogni espressivi dei parlanti, che possono

venire soddisfatti in modo economico ricorrendo alla creatività insita nel sistema

linguistico. La mutevolezza delle lingue si manifesta sia nel versante del significato

che in quello del significante, ed è maggiormente apprezzabile assumendo un punto

di vista diacronico nell’analisi linguistica.

Confrontiamo ad esempio il segno tempo nel sistema linguistico italiano e i suoi

corrispettivi nel sistema inglese:

Tabella II.1 - tempo

Italiano Inglese

time

tempo weather

tense

Come si nota, l’italiano ha preferito convogliare nel solo significante tempo i

sensi che invece l’inglese ha distribuito tra i tre segni time, weather e tense. Questo è un

12 Cfr. Saussure, 1974, pp.89-97.

Page 55: La Gran Natica dell'Aringa

43

caso in cui la polisemia di un segno in un dato sistema linguistico non trova

corrispondenza in un altro sistema.

Conseguenza diretta dell’arbitrarietà e della creatività è dunque

l’indeterminatezza. Essa, secondo la definizione di De Mauro, ci consente di “usare le

parole estendendone i significati in modo da abbracciare nuovi sensi, in modo cioè

da riferirci a cose e a situazioni nuove13”.

Appare chiaro che queste caratteristiche sono potenzialmente distruttive nei

confronti del sistema linguistico, perché non sembrano consentire la comunicazione

tra gli utenti della lingua.

La comunicazione viene però messa in salvo da altre caratteristiche della

lingua, in particolare l’autonimia e la riflessività, caratteristiche proprie solo del

linguaggio umano e che consentono ai parlanti di definire e chiarire i propri

messaggi.

Quanto appena detto vale però a determinate condizioni:

1. che il sistema linguistico usato dai parlanti sia strutturato alla stessa maniera (il

sistema linguistico di chi conosce trentamila parole di una lingua non può avere la

stessa struttura di chi ne conosce ottantamila) ovvero che i parlanti abbiano la

stessa competenza linguistica14;

13 Cfr. De Mauro, 1994, p.83. 14 op.cit., pp.81-2.

Page 56: La Gran Natica dell'Aringa

44

2. che i parlanti vogliano comunicare e quindi siano disposti a superare gli ostacoli

che si presentano;

3. che tutti i partecipanti alla comunicazione possano essere a conoscenza del

contesto (pragmatico) e del cotesto (testuale) all’interno dei quali avviene la

comunicazione.

In sostanza, la comunicazione è frutto di un compromesso tra i parlanti, i quali

rinunciano a stabilire individualmente legami segnici arbitrari, o, se creano nuovi

legami, sono pronti a spiegarli e a inserirli all’interno del sistema linguistico dato. Più

che la competenza, sembra opportuno sottolineare che è la buona volontà dei parlanti a

determinare la riuscita della comunicazione15.

Indeterminatezza ed arbitrarietà costituiscono le basi per polisemia, omonimia (e

quindi di omofonia e omografia), paronimia e paronomasia, meccanismi che consentono la

creazione dei giochi di parole. Ciò che accomuna queste categorie è l’unicità,

l’identità o la similarità sul piano del significante a fronte di differenze più o meno

marcate sul piano del significato.

15 De Mauro ha suggestivamente rappresentato la comunicazione come un ponte gettato tra produttore e ricevente sul “fiume abissale dell’incomprensione” (cfr. De Mauro, 1995, p.175, Figura 4).

Page 57: La Gran Natica dell'Aringa

45

II.3 La lingua in gioco

II.3.1 Ambiguità e polisemia

I sensi di un segno linguistico sono tanti e diversi ogni volta che i singoli

parlanti ne fanno uso: ogni atto di parole, per dirla con Saussure, conferisce alle parole

un senso di volta in volta unico e irripetibile. La variazione individuale data dall’atto

di parole è però cosa diversa dalla polisemia. Quest’ultima infatti non è individualmente

determinata, ma viene accettata, codificata e trasmessa per accordo di tutta la

comunità dei parlanti.

La polisemia (cioè “molteplicità di sensi”) è quella “caratteristica di una parola

che ha più di un significato. I sensi di una parola polisemica hanno un denominatore

comune, discendono tutti da un significato fondamentale16.” In realtà, dunque, si

tratta di un segno che possiede un significante ed un significato, il quale viene

impiegato in una pluralità di sensi più o meno ampia. È la correlazione tra i vari sensi

che fanno capo allo stesso significante che differenzia la polisemia dall’omonimia. La

distinzione sarà ripresa più diffusamente a proposito dell’omonimia. Abbiamo

dunque questo schema: 16 Beccaria, 1995, p.562

Page 58: La Gran Natica dell'Aringa

46

Tabella II.2 - polisemia

Significante

Significato

Senso1 Senso2 Senson

I vari sensi (o accezioni) di una parola polisemica sono connessi tra loro da un

legame di estensione metaforica: il significato originario viene esteso, per metafora o

metonimia ad altri campi dell’esperienza17. Così il collo indica sia una parte del corpo

umano che la parte stretta di una bottiglia. La parola classe18 ha diverse accezioni,

accomunate tra loro dal concetto di insieme ordinato (secondo un criterio militare,

scolastico, biologico, sociale, economico, a seconda delle accezioni). Questo

procedimento, tra i più sfruttati nelle lingue, è utile perché consente di riferirsi a

nuovi significati (realtà concrete o astratte) senza dover creare significanti nuovi19.

17 cfr. De Mauro, 1995: “La trasferibilità progressiva dei confini del significato fino a includere nuovi sensi in base a contiguità che nascano o si cerchino è ciò che diciamo metaforicità.”(p.101) Sempre De Mauro (ivi, p.121) aggiunge: “la formazione di una nuova accezione nasce da un’operazione di trasporto della parola, di ‘metafora’, da un ambito a un altro ambito, socialmente e culturalmente differenziate.” 18 L'esempio è tratto da De Mauro, 1995, pp.121-123 19 Beccaria, 1995 p.562: “La p[olisemia] è frutto dello sviluppo nel tempo di una cultura e della lingua che la esprime: infatti quando una comunità linguistica ha bisogno di nuovi segni linguistici per nominare nuovi concetti, raramente crea segni totalmente nuovi anche sul piano del significante, più spesso invece, seguendo la legge dell’economia, del minimo sforzo, aggiunge nuovi significati a

Page 59: La Gran Natica dell'Aringa

47

L’estensione metaforica che presiede alla polisemia è perciò strettamente legata

a motivi culturali, storicamente e socialmente determinati. Non solo, come vedremo,

spesso non vi è esatta corrispondenza tra parole polisemiche in due sistemi linguistici

diversi, ma nella stessa lingua può accadere che una parola perda o acquisti delle

accezioni nel tempo e in determinate classi sociali20.

L’ambiguità semantica che deriva dalla polisemia è, per certi versi, un ostacolo

facilmente aggirabile, grazie a fattori come il contesto inteso sia in senso pragmatico

che testuale, la buona volontà e la competenza dei parlanti, che spinge ad esempio a

riformulare l’enunciato in maniera meno ambigua21.

Certe volte, però, accade che il contesto, la buona volontà e/o la competenza

dei parlanti vengano meno. È il nostro caso: che si tratti di errore involontario o di

gioco di parole volontario, il termine polisemico attira su di se l’attenzione

dell’ascoltatore e rimanda, con un gioco di immagini, a diversi sensi possibili, a

diversi scenari. Altre volte, la polisemia, con il suo potere evocativo di più immagini

significanti preesistenti con procedimenti metonimici e metaforici [...]. Le parole più frequenti di ciascuna lingua sono anche le più polisemiche, sempre a causa della legge del minimo sforzo.” 20 De Mauro, 1995, p.102: “Un codice semiologico i cui significati siano caratterizzati da metaforicità non è dunque descrivibile se non in stretta connessione con le usanze e le credenze vigenti in un certo tempo tra gli utenti, tra i concreti gruppi di utenti. [. . .] la vaghezza del significato delle parole fa sì che il significato non sia soddisfacentemente descritto nelle sue possibilità di estensione a sensi se non in rapporto a utenti dati in un tempo dato.” 21 Beccaria, 1995, p.562: “La p[olisemia] è un fenomeno che si riscontra solo sul piano del sistema linguistico, della langue [...], sul piano del comportamento linguistico, della parole, il contesto porta all’enucleamento di uno solo dei significati di una parola, salvo nei casi, piuttosto rari, di ambiguità.”

Page 60: La Gran Natica dell'Aringa

48

contemporaneamente, viene invece usata “seriamente”, a fini poetici: in questo caso

non si tratta di scelta infelice, ma felicissima.

Le scelte lessicali (involontariamente) infelici sono il corrispondente dei giochi

di parole (volontari) di polisemia. Spesso chi formula una frase contenente una parola

ambigua se ne rende conto solo quando il suo interlocutore o uno degli ascoltatori lo

fa notare esasperando l’ambiguità: ciò accade ad esempio quando il parlante usa un

verbo comune, come sentire, non nel suo senso primario, ma in uno dei suoi sensi

secondari. Si può assistere ad uno scambio del genere:

[E3] A: “Lo senti quest’odore?”

B: “No, sono sordo.”

L’ambiguità data dalla polisemia difficilmente rimane tale, ma viene sfruttata,

come in questo caso, dall’ascoltatore pronto a cogliere il minimo fallo del parlante

per poterne ridere. Il parlante B si rifiuta di collaborare alla decifrazione del

messaggio (viene a mancare quindi la buona volontà del parlante, che in questo caso

avrebbe potuto riconoscere il senso appropriato al contesto in cui è stata espressa la

frase) e la sua attenzione viene attratta dal termine polisemico. L’inconveniente sta

nel fatto che, spostando l’accento sul significante, il contenuto del messaggio viene

messo da parte. Implicitamente, il parlante B ha ricordato al parlante A che, se vuole

essere correttamente compreso (o preso sul serio), deve esprimersi in modo meno

Page 61: La Gran Natica dell'Aringa

49

ambiguo. Che questo avvenga in maniera spiritosa e divertente è normale, perché è

un modo di sdrammatizzare l'accaduto.

Da questo tipo di scambi verbali al gioco di parole, il passo è breve.

Altre volte, invece, il parlante costruisce volontariamente frasi difficilmente

disambiguabili perché prive di contesto. È il caso di:

[E4] “Il professore disse che l’operazione non era riuscita”

in cui sia professore sia operazione sono polisemici. A partire da questa frase possiamo

immaginare:

Tabella II.3 - esempio [E4]

Il professore disse che l’operazione non era riuscita.

Contesto scolastico Il professore (di matematica) disse che

l’operazione (aritmetica) non era riuscita

(era sbagliata).

Contesto chirurgico Il professore (cioè il chirurgo) disse che

l’operazione (chirurgica) non era riuscita (e

il paziente era morto).

Come si può notare, le immagini evocate dalla frase ambigua sono fortemente

contrastanti. Quest’associazione di idee contrastanti, provocata dall’identità dei

significanti, induce chi ascolta a riflettere sulla precarietà delle parole e sugli inganni

Page 62: La Gran Natica dell'Aringa

50

che essa può provocare. L’effetto primario è il sorriso (la frase è citata qui a mo’

d’esempio, non come battuta o gioco di parole), ma quello secondario è lo stimolo

alla riflessione sulla lingua.

Abbiamo visto che per rendere non ambigua la polisemia nella maggior parte

dei casi è necessario conoscere il contesto, per poter attribuire il senso più

appropriato al contesto in cui è espresso. Nei giochi di parole basati su polisemia, i

contesti vengono sovrapposti, e dunque anche i sensi espressi dal significante

vengono sovrapposti:

[E5] Una nave da crociera italiana si è arenata lungo le coste della Grecia. Un

commentatore radiofonico, ricordando anche un fatto analogo successo ad un

incrociatore italiano qualche mese prima, dice: “Noi italiani facciamo arenare tutto:

si arenano le navi da crociera, si arenano gli incrociatori, si arenano le pratiche negli

uffici. . .”

Nell’esempio citato sopra, il gioco è basato sulla polisemia di arenare, inteso

dapprima nel senso primario e infine nel senso metaforico (lo stesso gioco si sarebbe

potuto fare con insabbiare).

I giochi di parole basati su polisemia tendono il più delle volte ad interpretare

metaforicamente un’espressione letterale o viceversa, ignorando deliberatamente il

contesto in cui l’espressione è stata enunciata; in tal modo si provoca quello che

Page 63: La Gran Natica dell'Aringa

51

Susan Stewart ha definito “the clash of two levels of abstraction22”. Ciò avviene

soprattutto per le “metafore morte23”, che entrano a far parte del linguaggio di tutti i

giorni e hanno perso quella vitalità che possedevano all’inizio. Se la poesia si assume

il compito, per così dire, di creare nuove metafore, ai giochi di parole (ed in

particolare il genere letterario che più di tutti ne ha fatto uso, cioè il nonsense) spetta

l'onere di risvegliare le metafore morte dal sonno del common sense.

Si tratta di un atteggiamento che ancora una volta si può riscontrare nei

bambini che imparano nuovi sensi di parole a loro già note24 e giocano “a immaginare

se...”. Ne è un esempio questa filastrocca (tratta da una poesia di Gianni Rodari25)

che viene cantata accompagnandola con le mosse adeguate:

22 “lo scontro di due livelli di astrazione” Stewart, 1989, p.37 23 Stewart, 1989, p.34: “These metaphors are no longer [...] “fresh cuts” across semantic domains; rather they serve as “short cuts” in social interaction. Dead metaphors become part of the stock of knowledge at hand, the same stock of knowledge that is the necessary precondition for the construction of successful metaphors and for the detection of tautology and banality, irony, sarcasm, and parody.” (“Queste metafore non sono più [...] “tagli freschi” attraverso i campi semantici; al contrario, servono come “scorciatoie” nell’interazione sociale. Le metafore morte divengono parte del bagaglio di conoscenze a portata di mano, lo stesso bagaglio di conoscenze che è il prerequisito fondamentale per la costruzione di metafore riuscite e per la scoperta di tautologie e di banalità, ironia sarcasmo e parodia.”) 24 Cfr. Lyons, 1977, vol.II, p.566: “[...] the ability to extend the sense and denotation of lexemes by a process of metaphorical transfer is an integral part of every speaker’s linguistic competence and is demonstrably involved in the child’s acquisition of his language [...].” (“la capacità di estendere il senso e la denotazione dei lessemi tramite un processo di spostamento metaforico è parte integrante della competenza linguistica di ogni parlante ed è provato che essa sia coinvolta nell’acquisizione della lingua da parte del bambino [...]”. ) 25 “La testa del chiodo”, da La famiglia Punto-e-virgola, in G.Rodari, I cinque libri, Einaudi, 1993, p.19

Page 64: La Gran Natica dell'Aringa

52

[E6] Il palmo della mano / i datteri non fa, / sulla pianta del piede / chi si

arrampicherà? // Non porta scarpe il tavolo/a quattro piedi sta:/ Il

treno non scodinzola/ma la coda ce l’ha. // Anche il chiodo ha una

testa/però non ci ragiona: / la stessa cosa càpita/a più d’una persona

A parte palmo, che rimanda al presunto corrispondente femminile palma26, per gli altri

termini che sono evidenziati in grassetto27 si può parlare di polisemia: il meccanismo

della filastrocca è giocato proprio sulla contemporanea presenza dei sensi dei termini

polisemici in due contesti diversi. I partecipanti al gioco (cioè, in questo caso, i

bambini che cantano e mimano la filastrocca) stanno in realtà giocando a fare finta che

veramente il chiodo abbia una testa, salvo poi dire che però non ci ragiona, il che non

stupisce più di tanto, perché la stessa cosa capita a più di una persona.

L’interpretazione letterale della metafora ha quindi due effetti: il primo è letale

(per la metafora stessa), perché ne svela la finzione28; il secondo è, come detto sopra,

26 Si tratta di un meccanismo molto produttivo in italiano, con coppie come foglio/foglia, tasso/tassa, e anche con omonimi che cambiano genere grammaticale (il capitale/la capitale). In inglese un meccanismo del genere non ha modo di esistere, perché il genere viene espresso lessicalmente, non con marche morfologiche come in italiano. 27 Per quanto riguarda pianta tuttavia, probabilmente si tratta di omonimia: il Devoto-Oli riporta due entrate differenti, ma l’etimologia indica una radice comune. 28 Cfr. Stewart, 1989, p.34: “The way to “kill” a metaphor is to interpret it literally, to incorporate it into the stock of nonmetaphorical utterances and thus to substitute an everyday set of interpretive procedures for a metaphor-specific set of interpretive procedure”

Page 65: La Gran Natica dell'Aringa

53

vivificante, perché restituisce all’espressione metaforica (o al senso traslato di un

termine polisemico) il suo senso primario, che diventa dunque un senso nuovo.

Le immagini convocate da un termine polisemico sono a volte così

singolarmente ben assortite che suggeriscono la creazione di interi brani basati sulla

doppia interpretazione. Se pensiamo che in inglese il quadrante dell’orologio si

chiama face (= “volto”) e che le lancette si chiamano hands (= “mani”), è facile

immaginare una storiella il cui protagonista è un orologio personificato (il che è

facilmente verificabile dalle illustrazioni per l'infanzia, che spesso ritraggono orologi

con il volto, face, e le mani, hands29).

II.3.2 Omonimia e omofonia

Nel caso della polisemia, i diversi sensi (le diverse accezioni) dello stesso

significante sono correlati tra loro attraverso il procedimento dell’estensione

metaforica.

29 Un’illustrazione del genere, ad opera di John Tenniel, si può trovare in Through the Looksing-Glass (AA,p.185), in cui però compare solo il volto dell’orologio visto da dietro lo specchio.

Page 66: La Gran Natica dell'Aringa

54

L’identità di significante di cui ci occuperemo ora, l’omonimia, presenta una

differenza di fondo con la polisemia: i significati espressi dallo stesso significante

sono del tutto estranei l’uno all’altro30.

Tabella II.4 – omonimia31

Significante = Significante = Significante

Significato1 ≠ Significato2 ≠ Significaton

L’omonimia può essere piena, quando i significanti risultano formalmente

identici sia nella grafia (omografia) che nel suono (omofonia). Questo è il caso più

comune in lingue in cui c’è sempre esatta corrispondenza tra grafia e pronuncia,

come in italiano32.

Le motivazioni per cui i significanti che esprimono significati totalmente

estranei tra loro risultano identici sono di ordine etimologico: si può trattare di

termini derivanti da termini polisemici, che però hanno perso, per i parlanti di quella

30 O come tali vengono percepiti dai parlanti. Ad esempio, i diversi significati di macchia in italiano sono o no correlati? Dal punto di vista etimologico, sicuramente sì, ma i parlanti di oggi probabilmente non vedono il collegamento. (L’esempio proviene da Beccaria, 1995, p.562) 31 Nel caso dell’omofonia, per “significante” è da intendersi “significante fonico”. 32 Lyons, 1977 vol.II, p.557: “Two word-tokens are formally identical in the phonic medium if they have the same phonological representation. They are formally identical in the graphic medium if they have the same orthographic representation. In languages that are conventionally written with an alphabetic or syllabic orthography, both kinds of formal identity generally coincide. But they are in principle completely independent of one another [...]”

Page 67: La Gran Natica dell'Aringa

55

data lingua in quel momento storico particolare, ogni relazione tra loro. È il caso di

calcolo, inteso come “sassolino” (ma si noti, in un’accezione più ristretta che per il

latino calculus) e come “operazione matematica”: solo chi conosce l’etimologia di

calcolo in questa seconda accezione può comprendere la connessione tra i due

significati.

Vi è il caso di termini che derivano da omonimi: è il caso di calcio inteso come

“percossa inferta col piede” (che deriva, con un processo di metonimia, dal latino

calx calcis, “tallone”) e di calcio inteso come sostanza chimica (dal latino calx calcis,

“calce33”, che a sua volta deriva probabilmente dal greco khàliks).

In altri casi, invece, si tratta di prestiti da lingue diverse o il risultato di

convergenza fonetica (ratto “rapido” dal latino rapidus vs. ratto “rapimento” dal

latino raptus vs. ratto “topo” dal germanico rato; atto, “adatto” dal latino aptus vs.

atto, “azione” dal latino actus). Alcuni linguisti34 parlano di omonimia assoluta nel caso che i due omonimi

facciano parte della stessa classe grammaticale: quindi in inglese drink inteso come

“bibita” e (to) drink inteso come voce verbale, o can “lattina” e can forma base del

verbo “potere” sono omonimi non assoluti, mentre in italiano accettare “tagliare con

33 Ma attenzione! Nella locuzione avverbiale in calce, quest’ultimo termine è omonimo di calce, in quanto nella locuzione calce deriva da calx calcis nel senso di “tallone” (come a dire, “a pie’ di pagina”). 34 Lyons, 1977, vol.II, p.560; Beccaria, 1995, p.522-3 parla in questo caso di omonimia grammaticale.

Page 68: La Gran Natica dell'Aringa

56

l’accetta” e accettare “accogliere” (dal latino accipio) sono omonimi assoluti35, mentre

accetta (“strumento per tagliare”) e accetta (voce del verbo accettare) non lo sono, così

come affettato nel senso di “salume tagliato a fette” (sostantivo maschile derivante dal

participio passato di affettare, che deriva da fetta) e affettato nel senso di “ricercato,

artificioso” (aggettivo derivante dal participio passato di affettare, dal latino affectare).

Come si è detto, oltre agli omonimi, aventi significante identico sia nella forma

scritta che nella forma fonica, vi sono, soprattutto in lingue dove non c’è esatta

corrispondenza tra grafia e pronuncia, omografi ed omofoni. In inglese la presenza di

omofoni è incredibilmente vasta, tanto che nelle grammatiche36 vengono inseriti

elenchi di termini omofoni. Alcune pronunzie corrispondono anche a più di due

significati: ad esempio site, sight e (to) site si pronunziano sempre /sait/. Anche in

francese la presenza di omofoni è notevole37: tant, tan, temps, (je) tends si pronunziano

sempre /tã/. In italiano la sola omofonia o la sola omografia sono meno presenti. Spesso

l’omografia è dovuta a ragioni di imperfezione del sistema grafematico italiano38 che

non permette di distinguere (se non tramite l’uso dell’accento, nel caso delle vocali)

35 Se si considera semplificato il sistema vocalico italiano. Vedi oltre. 36 Ad esempio la grammatica di Sidney Greenbaum (An Introduction To English Grammar, Longman, 1991) riporta alle pagine 202-206 un lungo elenco di parole omofone o con pronunzia molto simile (delle quali si parlerà nell’analisi della paronomasia). 37 Gli esempi sono citati in Dardano, 1993, p.302 38 Cfr. Dardano, 1993, p.302

Page 69: La Gran Natica dell'Aringa

57

tra chiuse e aperte (pesca “l’atto di pescare” /'peska/ e pesca “frutto” /'pɛska/) e tra

i fonemi /s/-/z e /ts:/-/dz:/ fuso, /'fuzo/ participio passato di fondere e fuso, /'fuso/

“arnese per filare”; razza /'rats:a/ “stirpe” e razza /'radz:a/ “pesce”). L'omofonia è

meno presente a livello di parola (cieco/ceco, ha/a, fa’/fa, dà/da) ma alcune espressioni

risultano omofone di altri termini: s’ignora/signora, ad esempio.

Anche per quanto riguarda i giochi di parole basati sull’omonimia si possono

rintracciare delle analogie con gli errori involontari:

[E7] In his search for economic and military aid, Anwar Sadat has not exactly been greeted by

open arms.(CBS News Report, June 1975)39

In questa frase pronunciata da un cronista della CBS, il termine arms40, che

evidentemente indica “braccia” nella locuzione “a braccia aperte”, inevitabilmente

viene associato, da chi ascolta (ed è predisposto allo humour) a military aid e quindi può

essere inteso come “armi”.

È facile intuire come si possa passare dall’errore involontario del parlante alla

battuta volontaria. Generalmente un passo intermedio è dato dagli errori riportati,

che proprio perché sono riportati sono esenti da garanzia di veridicità e possono

39 Esempio tratto da Chiaro, 1992, p.20 40 Secondo Delia Chiaro, si tratta di un termine polisemico, ma come si può ricavare dall’OED, arms inteso come “braccia” e inteso come “armi” non hanno la stessa etimologia, quindi in ogni caso non possono essere polisemici.

Page 70: La Gran Natica dell'Aringa

58

essere manipolati nel modo più efficace per ottenere il riso. Si noti come la differenza

tra l’errore involontario e il gioco volontario sta nel fatto che il meccanismo che

presiede al gioco di parole sia colto dagli ascoltatori (nel primo caso) o sia ricercato

dal parlante (nel secondo caso).

Qui di seguito si danno degli esempi di battute che funzionano inizialmente

come errori riportati, ma che man mano hanno assunto lo status di battute

indipendenti. Si noti come le battute siano incorniciate in modo da mettere in

evidenza il fatto che si tratta di frasi pronunciate da altri.

[E8] Questa scritta compare fuori dalla bottega di un falegname:

SI FANNO SEDIE E SI RIPARANO ANCHE

[E9] Marinaio: “Capitano! Arrivano i monsoni!”

Capitano: “Preparatevi all’attacco!”

Marinaio: “Ma, capitano! Sono venti!”

Capitano: “Anche se fossero cinquanta, li batteremo!41”

Si consideri ad esempio questo gioco verbale, proposto ai partecipanti quasi

come un rompicapo, un arzigogolo. Chi propone il gioco spiega che si tratta di 41 Dossena [1997, p.203] riporta un analogo scambio di battute come barzelletta risalente ai tempi della guerra d'Abissinia, con protagonisti Mussolini (nel ruolo del Capitano) e il Maresciallo Graziani (in quello del Marinaio).

Page 71: La Gran Natica dell'Aringa

59

trovare una frase italiana composta da una parola ripetuta tre volte la quale possa

corrispondere alla seguente definizione: Saggio monarca cura un certo numero di altri

monarchi. Il termine italiano che fornisce la chiave del gioco è dottore, infatti

ripetendolo tre volte si ottiene: Dotto re dottor è d’otto re42. Come si vede, si tratta di una

specie di rebus fatto di parole, del tutto intraducibile, possibile solo in lingua italiana

e basato su omofonia.

Il teatro inglese può vantare un’intera commedia, scritta da Oscar Wilde, basata

su un gioco di parole di omofonia con un nome proprio: si tratta di The Importance of

Being Earnest (sbrigativamente reso in italiano con “L'importanza di chiamarsi

Ernesto”), giocato sull’identità di significante sonoro tra il nome maschile Ernest e

l’aggettivo earnest, che significa “serio43”.

Anche nel caso dell’omonimia, siamo dunque di fronte a due serie di immagini

sovrapposte, suscitate da due significanti identici cui corrispondono significati

totalmente differenti.

42 Questo gioco mi è stato proposto dall’amico Giuseppe Mannino. 43 Cfr. OED: earnest: “Serious, as opposed to trifling; usually in emphatic sense, intensely serious, gravely impassioned, in any purpose, feeling, conviction, or action; sincerely zealous” (“Serio, in opposizione a frivolo; di solito in senso enfatico, intensamente serio, profondamente appassionato, in ogni scopo, sentimento, convinzione o azione; sinceramente premuroso.”)

Page 72: La Gran Natica dell'Aringa

60

II.3.3 Paronimia e paronomasia

Il fatto che piccole differenze nel significante determinino grandi differenze nel

significato è implicito nella costituzione stessa delle lingue in sistemi. L'operazione di

discretizzazione del continuum del significante determina non solo i significati che

possono essere espressi dallo stesso significante, ma anche i confini esistenti tra un

significante e l’altro. Se da un lato queste piccole differenze sono utili all’economia

della lingua, che in tal modo può esprimere significati diversi44, esse sono anche causa

di errori, di incomprensioni (soprattutto se il canale attraverso il quale passa il

messaggio è disturbato), di nascita di nuovi termini, di giochi di parole.

È importante notare che questo tipo di giochi funziona principalmente nella

lingua orale; precisazione dovuta, specialmente nel caso della lingua inglese, in cui

non si tiene conto del significante nella sua forma grafica, ma nella sua forma

fonetica.

Può capitare che, per cause accidentali, si pronunci una parola per un’altra: ciò

apre tre possibilità. Una di esse si verifica normalmente in tutte le lingue ed è nota

con il temine di paretimologia o etimologia popolare: questo fenomeno si verifica quando i

parlanti (non colti) assimilano prestiti o parole nuove a parole già note, 44 Cfr. Lyons, 1980, vol.l, p.83: “[...] la discretezza non dipende dall’arbitrarietà; ma interagisce con essa per aumentare la flessibilità semiotica del sistema. Due forme di parola possono differire minimamente (cioè per un solo elemento discreto) e possono essere forme di lessemi niente affatto simili nel significato [...]”.

Page 73: La Gran Natica dell'Aringa

61

appoggiandosi su un presunto legame etimologico. Questo legame in realtà è sonoro,

più che etimologico; un esempio piuttosto indicativo è dato dalla storia del nome

inglese di una specie commestibile di girasole: sono i Jerusalem artichokes, i quali si

chiamano così non perché originari di Gerusalemme, ma perché Jerusalem assomiglia,

nel suono, a girasole45. In italiano un classico esempio di paretimologia è dato dalla

storia della parola liquirizia46.

Un altro effetto della paronimia, cioè di uno scambio accidentale di una piccola

unità sonora nella pronunzia di una parola, si riscontra comunemente nei parlanti

incolti, nei bambini o nelle persone che parlano di un argomento del quale non sono

esperte, ed è stato chiamato con termine inglese malapropism, dal nome di un

personaggio di una commedia di Sheridan47 che era una campionessa in errori del

genere. Un vasto campionario si può trovare da qualche tempo in quelle raccolte

chiamate stupidari, che raccolgono ‘perle’ come queste:

[E10] D’annunzio era un estetista [per esteta]

[E11] “Dottore, mi dà un rimedio contro l’IRPEF?” [per herpes]

45 Per l’etimologia di Jemsalem artichokes, cfr. Lecercle, 1994, p.42. 46 Liquirizia deriva dal termine greco glykys riza, “radice dolce”, che in latino divenne glycyrriza ma che poi, in epoca tarda, fu assimilata a liquor (“sostanza liquida”) e diventò liquiritia. Nell’italiano del Cinquecento la liquirizia convive con la variante popolare toscana regolizia, e con la forma “dotta” legorizia. Tuttora esistono numerose varianti regionali, come ad esempio sug ed Lucrezia, nel dialetto emiliano, e le gorizie in veneto. (Cfr. Zolli, 1989, p.l46-7) 47 Il personaggio di Mrs. Malaprop in The Rivals.

Page 74: La Gran Natica dell'Aringa

62

[E12] le punture indovinose, i dolori aromatici, le vene vanitose [per endovenose,

reumatici, varicose]48

[E13] avere il dono dell’obliquità, essere colto in fragranza di reato [per ubiquità,

flagranza]

Il meccanismo è sempre quello della tendenza all’assimilazione del già noto, ma

ha come effetto una sovrapposizione di sensi e di immagini in modo analogo a

quanto già visto per la polisemia e l’omonimia.

Lo stesso può accadere nei lapsus o nei refusi di stampa, per disattenzione o,

come spiega Freud nel Saggio sul motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, per

associazione inconscia di idee favorite dalla vicinanza del suono.

È frequente il caso, soprattutto nei bambini, della metatesi49, di una parola in cui

due fonemi o due sillabe cambiano di posto, dando origine, nel testo, a parole il più

delle volte inesistenti o lontane nel significato, ad esempio cassonetto per cassettone,

saldavanaio per salvadanaio, pantolofine per pantofoline.

48 Gli esempi E12 e E13 sono tratti da Zolli, 1989, p.l45 49 La metatesi “designa il fenomeno, assai comune in tutte le lingue [...] di scambio di posizione tra due fonemi contigui [...] o distanziati [...]. Il fenomeno può anche riguardare non già lo scambio ma il semplice spostamento di un fonema, come nei tipi dialettali preta per ‘pietra’ o crapa per ‘capra’. In lingue che distinguono due serie di vocali, brevi e lunghe, può anche avvenire una [metatesi] quantitativa” (Beccaria, 1996, p.473).

Page 75: La Gran Natica dell'Aringa

63

Un fenomeno per certi versi simile, noto in inglese con il nome di spoonerism50,

provoca un’amplificazione dell’effetto dato dalla semplice paronimia, perché le

immagini contrastanti evocate sono almeno quattro. Alcune volte le parole

effettivamente pronunciate non significano nulla, ma potrebbero esistere in quella

lingua. In italiano fenomeni del genere si verificano sia a livello di singolo fonema

che, più spesso, a livello sillabico. Esempi tipici sono dati da coppie come Rometta e

Giulieo, o Carletto e Maomagno, o frasi come la pista per fare la pazza51.

Nella lingua inglese, in cui la quantità vocalica ha un’importanza pari a quella

del raddoppiamento consonantico in italiano, è facile, soprattutto per gli stranieri,

pronunciare un termine per un altro52.

Nella metatesi (detta anche spostamento in enigmistica) il termine corretto è

assente, mentre nello spoonerismo (cambio in enigmistica) sono presenti i due termini

scorretti, confrontando i quali si ottengono le parole corrette53. 50 Cfr. Chiaro, 1992, p.l8: “One type of verbal slip which is common to all natural languages is technically known as the ‘distant metathesis’ or, more colloquially, the ‘Spoonerism’; this type of lapse is imitated in intentional word play and owes its name to an Oxford don, Dr Williarn Spooner, who allegedly sent down a student uttering, ‘You have deliberately tasted two worms and you can leave Oxford on the town drain’. What happened to the unfortunate Dr Spooner was that he transposed the sounds (in this particular example, /w/ and /t/, and /d/ and /t/) contained in two words within his intended utterance. Owing to the fact that the sentence still made some sort of surrealistic sense, despite the phonological confusion, the tradition of the Spoonerism soon became a traditional form of word play in its own right”. 51 Tratto da Bartezzaghi, 1995, p.65 52 In questo caso avviene una metatesi quantitativa.. 53 Si noti che in enigmistica, spesso sia la metatesi che lo spoonerismo vengono denominati anche scambio (cfr. Dossena, 1997, p.169).

Page 76: La Gran Natica dell'Aringa

64

Tra gli errori involontari, accade però di trovare degli esempi di metatesi o

paronomasie che (nella loro ludicità) contengono delle mezze verità (nella loro

lucidità), e che diventano perciò proverbiali: ecco ad esempio il caso di

[E14] Ogni riferimento a fatti, persone e cose è puramente casuato

[per contrazione di casuale e causato]

in cui non si capisce bene (dal solo testo, s’intende) se il parlante abbia

involontariamente sbagliato oppure stia facendo dell’ironia.

Anche in questo caso, quando entra in causa l’intenzionalità, non si può parlare

più di errore involontario, ma si tratta di gioco deliberatamente fatto sul suono di

parole confinanti o vicine nel continuum del significante. Si prenda ad esempio il

classico Traduttore traditore, citato da Freud nel suo studio sul motto di spirito e ormai

divenuta una massima per i traduttori di tutto il mondo. Il messaggio è chiaro, ed in

esso il contenuto ha la sua importanza. Ma è il significante che conferisce

all’espressione quella forma particolare che cattura l’attenzione dell’ascoltatore e lo

rende memorabile. È per questo che spesso nei proverbi e nei modi di dire si fa

ricorso a figure retoriche come la paronomasia.

Non è un caso che gli scioglilingua siano spesso composti di parole talmente

vicine nel suono da indurre all’errore; ne è un esempio questo, che mira segretamente

a far cadere il malcapitato facendogli pronunziare un’oscenità:

Page 77: La Gran Natica dell'Aringa

65

[E15] Dietro a un palazzo

c’era un povero cane pazzo:

“Date un tozzo di pane

a questo povero pazzo cane.”

Ma anche l’innocente “Sopra la panca la capra campa...” sfrutta lo stesso

meccanismo. Non è un caso che gli scioglilingua vengano usati nella didattica delle

lingue straniere per fare acquisire a chi apprende una certa scioltezza nella pronunzia.

Si noti che i termini sui quali viene giocata la paronomasia costituiscono

potenziali coppie minime.

Sulla paronomasia e sulla metatesi sono basati diversi giochi enigmistici.

Nell’enigmistica italiana, troviamo gli scambi (fondati sulla metatesi), gli scarti e le

zeppe: questi meccanismi possono funzionare a livello consonantico, vocalico o

sillabico54. Nell’enigmistica inglese è da segnalare, poiché ideato da Lewis Carroll, il

gioco chiamato Doublets (tradotto comunemente come metagramma55 o doppietto56),

consistente nel trasformare una parola in un’altra di uguale numero di lettere nel

54 Con questi termini verranno denominati, nel corso dell’analisi del corpus, alcuni procedimenti usati dai traduttori delle versioni che stiamo esaminando. 55 Cfr. Bartezzaghi, 1995, p.64 56 Cfr. Carroll, 1996b, p.l34

Page 78: La Gran Natica dell'Aringa

66

minor numero di passaggi cambiando una sola lettera per volta. Si ottengono in tal

modo liste di paronimi. Ecco un esempio di Carroll57:

[E16]

H E A D

H e a l

T e a l

T e l l

T a l l

T A I L

II.4 I problemi della traduzione dei giochi di parole

Come abbiamo detto, ogni lingua rende discreto i continua del significato e del

significante in maniera arbitraria ed autonoma, organizzando i propri segni in

sistemi58. Se mettiamo a confronto due sistemi linguistici, noteremo che non vi può

essere corrispondenza tra le rispettive strutture semantiche.

Questa arbitrarietà comporta sempre un certo grado di difficoltà nella

traduzione da una lingua all’altra. Il diverso grado di difficoltà dipende da alcune 57 Tratto da Carroll, 1996b, p.l35: “Per esempio la parola «head» [«testa»] può essere trasformta in «tail» [«coda»] interponendo le parole «heal, teal, tell, tall» [«guarire, alzavola, dire, alto»]”. 58 Lo stesso avviene per tutte le dimensioni del segno.

Page 79: La Gran Natica dell'Aringa

67

variabili, tra le quali possiamo ricordare la competenza del traduttore (ciò è

particolarmente vero per le traduzioni di tipo tecnico), la distanza (culturale,

ideologica, ecc.) tra autore del testo e traduttore, la distanza tra le lingue e (quindi) tra

le culture in gioco, le informazioni testuali ed extratestuali a disposizione del

traduttore e del lettore, e — ultimo ma non in ordine d’importanza — il tipo di testo

che dev’essere tradotto.

Da quanto detto finora, possiamo dedurre che i testi in cui sono presenti

ambiguità, polisemia, omonimia e paronomasia, sia per scopi prevalentemente poetici

in senso stretto che per scopi dichiaratamente ludici, presentano, rispetto agli altri,

maggiori difficoltà di traduzione.

Le poesie, dunque, e i testi costruiti su giochi verbali sono accomunati

dall’essere in un certo senso inevitabilmente condizionati e determinati dal sistema

linguistico in cui sono prodotti.

Dall’analisi dei meccanismi che sono alla base dei giochi linguistici risulta

evidente che i procedimenti usati nei giochi verbali corrono sul filo dell’ambiguità del

piano del significato così come del piano del significante: è proprio il modo in cui

sono organizzati i significati di una data lingua e i rapporti con gli altri significati e

significanti e la messa a confronto di immagini contrastanti, a provocare il riso. Se,

come è vero, le immagini contrastanti sono evocate dai significanti identici o simili in

una data lingua, mutando il sistema linguistico, e quindi anche i rapporti tra i

significanti, le immagini contrastanti saranno altre, non coincidenti, in parte o in

Page 80: La Gran Natica dell'Aringa

68

tutto, con quelle della prima lingua Questo è uno dei principali problemi nella

traduzione dei giochi di parole, così come dei testi poetici.

Risulta dunque chiaro che, nel caso dei giochi di parole, la traduzione non può

essere letterale, parola per parola. In questo caso, infatti, il traduttore non deve tenere

conto soltanto del significato, ma anche del meccanismo che ha prodotto

l’accostamento di significati contrastanti tramite affinità/identità di significante.

La traduzione di un testo letterario pone di per sé problemi linguistici e

culturali, che possono essere di maggiore o minore entità a seconda della distanza tra

le lingue e le culture coinvolte nel processo traduttivo. Stabiliamo innanzitutto che la

traduzione, intesa come processo traduttivo59, ha diverse finalità e funzioni, e che in

base ad esse il traduttore deve operare delle scelte, condizionate dalla struttura

grammaticale e semantica della lingua nonché dall’individualità del traduttore stesso.

Il fattore individuale è di cruciale importanza, perché, se consideriamo, con

Jakobson60, la traduzione come una sorta di discorso indiretto, è inevitabile che la

personalità e lo stile del traduttore (e talvolta le sue convinzioni e i suoi ideali), per

quanto imparziale possa egli essere, interferiranno con lo stile e la personalità

dell’autore, e dunque con il messaggio.

Il compito, già di per sé difficile, è reso ancor più arduo dalla distanza culturale

(oltre che linguistica) esistente non solo tra l’autore e il traduttore, ma anche tra

59 De Mauro, 1994, p.85 60 Cfr. Jakobson, 19924, p.58

Page 81: La Gran Natica dell'Aringa

69

l’autore ed il pubblico cui è destinato il testo tradotto. Precisiamo innanzitutto che il

pubblico (ideale) cui è destinato un testo in traduzione non può mai essere lo stesso

pubblico (ideale esso per primo) del testo in lingua originale: questo in ogni caso per

ragioni linguistiche e quindi culturali, aggravate nella maggior parte dei casi dalla

distanza cronologica.

Un testo letterario infatti è legato in modo talmente indissolubile al proprio

tempo e alle proprie coordinate socioculturali da diventare subito un altro testo, non

appena trascorso quel particolare momento in cui nacque. Questo vale anche per i

classici, che sono considerati tali perché hanno ancora qualcosa da dire anche dopo

secoli. Al di là del valore universale che hanno le grandi opere letterarie, è sempre

presente (persino in termini di rifiuto) il riferimento alla società, alla cultura, al

mondo dell’autore. Ciò non è vero solo per il romanzo realistico, ma per ogni opera

d’arte, e, forse in modo ancor più profondo, per la satira, la parodia, i racconti

fantastici e anche per le storie per l’infanzia.

Per estremizzare, possiamo dire che un testo è quel testo solo in quanto scritto

in un codice particolare, inserito in un sistema linguistico particolare. Ciò è sempre

vero, ma risulta ancor più evidente nei testi in cui il codice ha una parte

predominante, quindi nella poesia e nella prosa poetica, e, come abbiamo visto, nei testi

contenenti giochi di parole61. Quando un autore affida alla lingua il compito di evocare,

61 Cfr. Berretta, 1979b, p.8: “nell’operazione di traduzione il Carroll originale non esiste più, ma esistono sue immagini, talvolta abbastanza diverse, presentate ad un pubblico che è anch’esso ben

Page 82: La Gran Natica dell'Aringa

70

a fini seri o ludici, piuttosto che il compito di significare, allora la precedente

affermazione assume pieno valore.

Facendo riferimento al testo che abbiamo scelto, possiamo affermare con

certezza (e l’abbiamo già in parte visto nel capitolo precedente) che il pubblico che

lesse per la prima volta Alice nel 1865 non corrisponde in alcun modo al pubblico (ai

pubblici, verrebbe da aggiungere) cui è destinato ora, a 132 anni di distanza in inglese

o in molte altre lingue del mondo. Si pensi, ad esempio, ai romanzi di Jules Verne:

quando furono scritti, essi erano fantascienza futuristica, mentre il lettore di ora

(abituato magari ad Asimov, non ancora nato quando Neil Armstrong fece i primi

passi sul suolo lunare, per il quale Marte non è più un mistero) sorride di alcune

ingenuità e rimane ammirato da alcune lungimiranti intuizioni dell’autore.

La traduzione dei giochi di parole pone problemi per certi versi analoghi a

quelli posti dalla traduzione di un testo poetico:

In poesia, le equazioni verbali sono promosse al rango di principio

costruttivo del testo. Le categorie sintattiche e morfologiche, le radici, gli

affissi, i fonemi e i tratti distintivi loro componenti, in altri termini, tutti gli

elementi costitutivi del codice linguistico, sono posti a confronto,

giustapposti, messi in relazione di contiguità, secondo il principio della

diverso da quello originale di Carroll e anch’esso diverso a seconda delle scelte fatte nell’operazione di traduzione e di edizione.”

Page 83: La Gran Natica dell'Aringa

71

similarità e del contrasto, e diventano così veicolo di un significato proprio.

La somiglianza fonologica è sentita come un’affinità semantica; il gioco di

parole, o [...] paronomasia, regna nell’arte poetica. Che tale dominio sia

assoluto o limitato, la poesia è intraducibile per definizione. È possibile soltanto la

trasposizione creatrice all’interno di una data lingua (da una forma poetica ad

un’altra) o tra lingue diverse62.

Traditional poetry involves rhyme, rhythm and metre and the visual

schemes adopted in more contemporary forms are features which by their

very nature cannot find exact equivalents in another language. Therefore, in

no way can a perfect mirroring of a poetic form be achieved. [...] some jokes

are worth comparing to poetry in terms of density of translation obstacles to

be overcome and, whether easy or difficult to translate, like poetry, they are

not exactly mirrored in their translated forms.63.

Dovrà il traduttore — e se sì, fino a che punto — cercare di avvicinare quanto

più possibile il suo pubblico all’opera originale nel suo aspetto per così dire più

contingente, più particolare, maggiormente legato alla sua cultura di nascita? O dovrà

invece fornire al lettore un piacere analogo, ma non identico, a quello provato dal

primo pubblico dell’opera originale, puntando quindi sugli aspetti universali del

62 Jakobson, 19924, p.63 (corsivo mio) 63 Chiaro, 1992, p.88:

Page 84: La Gran Natica dell'Aringa

72

testo? Entrambe le vie sono percorribili, ma la scelta dipende dal motivo per cui si

sceglie di (ri)proporre al pubblico la traduzione di un testo culturalmente (in vario

modo) lontano: in termini jakobsoniani, dipende dalla funzione del testo tradotto,

posto che essa possa non essere la medesima del testo originale64.

Ciò che dovrebbe guidare il traduttore è dunque quello che E.Nida definì il

principio dell’effetto equivalente65, che, nel nostro caso, deve essere il riso66.

[Le traduzioni «dinamiche»] cercano di riprodurre non solo

l’essenziale del senso, ma lo stile del messaggio di partenza, la sua tonalità,

mirando a ricostruire tra e per i destinatari un effetto analogo all’effetto

suscitato tra i destinatari del testo di partenza67.

64 Cfr. Berretta, 1979b, p.3: “Capita però anche che la funzione originaria non sia mantenuta — il che è tanto più probabile quanto più distanti culturalmente sono il testo di partenza e quello d’arrivo nell’operazione del tradurre — e scopi come quelli di divertire, acculturare, indottrinare, far conoscere (un testo, un contenuto, un esempio di lingua, ecc.) possono essere soprapposti a testi che non avevano affatto, originariamente, tale scopo.” 65 Newmark, 1989, p.30: “È diffusa l’opinione, benché non sia universale, che lo scopo principale del traduttore consista nel produrre sui suoi lettori, per quanto possibile, lo stesso effetto prodotto sui lettori dell'originale [...]. A seconda dei casi ci si riferisce a questo principio come al «principio della risposta» o «effetto equivalente» o «simile» (similar or equivalent response or effect) o dell’«equivalenza funzionale» o «dinamica» (Nida), che aggira e pone fine alla controversia tipica del XIX secolo se la traduzione debba tendere verso la lingua di partenza o verso quella di arrivo e di conseguenza alle dispute a favore della traduzione fedele in opposizione a quella bella, letterale contro quella libera, della forma contro il contenuto, che ne scaturiscono. Tale principio chiede immaginazione e intuizione da parte del traduttore che non deve identificarsi col lettore dell’originale ma deve entrare in empatia con lui, tenendo presente che può reagire o partecipare in forme a lui estranee.” 66 Cfr. Chiaro, 1992, p.92 67 De Mauro, 1994, p.92

Page 85: La Gran Natica dell'Aringa

73

Rimane però il problema di ottenere questo effetto equivalente nella traduzione

mantenendo, per quanto possibile, il riferimento alle immagini contrastanti evocate

nel testo originale. È questo il principale problema per il traduttore che si trova

davanti testi come Alice. In Alice, infatti, interi episodi e personaggi hanno la loro

ragion d’essere nei giochi di parole, nelle immagini contrastanti da essi evocati: nella

stessa struttura della lingua inglese, dunque. Se da un lato, nella quasi totalità dei casi,

la traduzione letterale è il modo peggiore di ‘tradurre’ un gioco di parole, d’altro

canto, rendere l’effetto di un pun sostituendo le immagini contrastanti che lo animano

può essere pericoloso perché si rischia di ‘snaturare’ il testo e di perdere i riferimenti

testuali.

La fedeltà al testo originale sarà soprattutto fedeltà all’autore del testo, a quello

che l’autore intendeva suscitare nel pubblico. Ma deve tenere conto, data la distanza

che sempre separa un testo dalle sue traduzioni, del fatto che l’autore è (nella maggior

parte dei casi) certo, mentre è difficile prevedere la reazione del lettore, anzi dei

lettori, non solo nelle traduzioni, ma anche dei lettori della ‘stessa’ lingua ma lontani

nel tempo e nella classe sociale68.

Non tradire l’autore, in questo caso, è un’impresa difficile. Il traduttore deve

innanzitutto comprendere il gioco di parole nelle sue minime sfumature, operazione

possibile solo a chi ha una profonda conoscenza non solo della lingua, ma anche

68 Cfr. De Mauro, 1994, pp.84 e 86

Page 86: La Gran Natica dell'Aringa

74

della cultura e della società69. In un certo senso, padroneggiare una lingua straniera

significa già di per sé conoscerne a fondo la società e la cultura ed è auspicabile che

un traduttore letterario possieda tale padronanza.

Delia Chiaro70 riassume così i requisiti necessari per il riconoscimento e la

comprensione dei giochi verbali:

Riconoscimento del meccanismo Riconoscimento dell’argomento

dello scherzo

RICONOSCIMENTO

DELLA BATTUTA

Ambiguità linguistiche

(dell’inglese)

Una volta interpretato il pun nel senso di cui abbiamo appena parlato, si tratterà

di trovare nella lingua di arrivo non i termini di per sé corrispondenti a quelli

adoperati nell’originale, ma due termini della lingua di arrivo che possano costituire

un gioco di parole (anche non basato sullo stesso meccanismo di quello del testo di

partenza) il quale: 1) raggiunga l’effetto desiderato (in sostanza, faccia ridere); 2)

evochi nella mente del lettore immagini contrastanti quanto più simili o analoghe a

quelle evocate dall’originale.

69 Cfr. Chiaro, 1992, pp.l1-13 e pp.84-85 70 Chiaro, 1992, p.63 (tradotto e adattato)

Page 87: La Gran Natica dell'Aringa

75

Tornando alla citazione di Jakobson circa la traduzione dei testi poetici,

possiamo essere dunque d’accordo con il fatto che per traduzione di testi giocati sul

pun si deve intendere una rielaborazione del testo di partenza, in modo discreto,

cercando, per quanto possibile, di immaginare come si sarebbe comportato l’autore

del testo originale. Soprattutto, è importante tenere presente la frase di Polonio,

ripresa più volte da Freud nel suo Saggio sul motto di spirito: “La concisione è l’anima

dell’arguzia71”.

Spesso non è possibile conservare quello che Delia Chiaro definisce invariant

core72, le immagini contrastanti evocate dai significanti in gioco nel testo originale e

che nella maggioranza dei casi saranno diverse da una lingua all’altra (perché, come

abbiamo visto, ogni lingua organizza i propri significanti in sistema e ne stabilisce i

confini).

Non basta. Differiscono a seconda del sistema linguistico anche i meccanismi

preferiti per la coniazione di giochi verbali. I giochi basati sull’ambiguità semantica,

dei quali ci siamo occupati nella prima parte di questo capitolo, sembrano essere

tipici della lingua inglese, caratterizzata tra l’altro da una grande presenza di verbi

denominativi, la cui forma base è identica a quella del sostantivo dal quale derivano.

Inoltre il fatto che la forma del verbo sia identica per tutte le persone tranne la terza

71 Shakespeare, Amleto, atto II sc.2, v.90: “brevity is the soul of wit”; citato in Freud, 1905, p.11 72 Cfr. Chiaro, 1992, p.92: “the piece of information which is vital to the source text and thus has to remain in the target version”

Page 88: La Gran Natica dell'Aringa

76

singolare, che il participio passato abbia nella maggior parte dei casi la stessa forma

del passato dello stesso verbo, o forma omofona ad un altro, tutto ciò aumenta,

volendo estremizzare, l’ambiguità caratteristica della lingua inglese.

De Mauro ci ricorda che “in lingue come l’inglese, le partes orationis, aggettivo,

nome, verbo, avverbio, preposizione, sono funzioni distinte che può assumere uno

stesso monema piuttosto che scatoloni entro cui ripescare elementi monotematici di

significante diverso tra di loro73”: ciò vuol dire che in inglese c’è maggiore ambiguità

nell’interpretazione e dunque maggiore spazio per i giochi di parole, caratterizzati

dalla non volontà di disambiguare le espressioni ambigue.

Secondo Gordon Poole (1969, pp.133-4), il ridotto numero di forme verbali

dell’inglese rispetto all’italiano, cioè il fatto che il verbo inglese sia meno modificabile

morfologicamente rispetto all’italiano, determina una più stretta relazione fra il verbo

e gli altri elementi sintattici rispetto all’italiano. “Questo pesante condizionamento del

verbo da parte del contesto attraverso gli ausiliari, preposizioni, ecc. si rivela

chiaramente al livello del significato, specialmente nel caso dei verbi più comuni74”: in

pratica, il verbo di per sé ha un significato di base che però è suscettibile di modifica

a seconda delle altre parole che lo seguono e lo precedono e dell’ordine in cui esse

sono disposte: i significati delle altre parole, come le preposizioni ma anche i

sostantivi, influenzano il valore semantico del verbo, “un fatto abbastanza notevole

73 De Mauro, 1995, p.111 74 Poole, 1969, p.l34

Page 89: La Gran Natica dell'Aringa

77

se si tiene presente che, come è noto, l’inglese, paragonato all’italiano, tende a

caricare molto il verbo, facendone grande uso ed esigendo da esso un significato

specifico laddove l’italiano opterebbe per una maggiore specificazione magari nel

sostantivo, l’avverbio, ecc.75”.

Ciò determina dunque una “polivalenza semantica del verbo inglese76” che non

si riscontra in modo altrettanto notevole in italiano e che gioca un ruolo

fondamentale nell’umorismo linguistico inglese, perché dà luogo facilmente ad

equivoci divertenti.

La lingua italiana, invece, ha caratteristiche differenti, che le consentono di

giocare in modo diverso con i suoi elementi. Tra le particolarità della lingua italiana

rispetto a quella inglese vi sono i generi grammaticali (caratteristica comune al

francese e al tedesco, ad esempio), la morfologizzazione delle forme alterate dei

sostantivi, la maggiore rilevanza dell’accento all’interno della parola. Queste

peculiarità rendono possibili giochi come i falsi accrescitivi/diminuitivi (per i quali un

tacchino è un piccolo tacco, o un bacino un piccolo bacio) i giochi di accostamento tra parole

omonime o parzialmente omonime di genere diverso (il capitale /la capitale, il tasso/la

tassa) o che differiscono per l’accento (càpitano/capitàno/capitanò).

75 ibidem 75 ibidem 76 Cioè parole che hanno lessema identico e suffisso grammaticale differente.

Page 90: La Gran Natica dell'Aringa

78

Naturalmente, anche in italiano sono presenti omonimi e omofoni (anche se

questi ultimi in maniera inferiore rispetto all’inglese), ed è quindi possibile utilizzare

questi meccanismi ma in maniera diversa rispetto all’inglese. Il traduttore dovrà tener

conto anche di questa diversità nelle risorse utilizzate per i giochi di parole, e

scegliere anche meccanismi differenti rispetto a quelli usati nel testo originale. Non

può pretendere di far corrispondere meccanismo a meccanismo, nelle lingue che

entrano in gioco. Naturalmente non si tratta di completa e assoluta arbitrarietà nella

trasposizione dei meccanismi di gioco, ma la trasposizione creatrice prevede che il

buon senso del traduttore riconosca l’opportunità di sostituire ad un gioco

incomprensibile un gioco riuscito possibile però solo nella lingua di arrivo.

Page 91: La Gran Natica dell'Aringa

79

Capitolo III I giochi di parole: da Alice ai traduttori

Take care of the sense and the sounds will take care of themselves*

Corpus I.01

AA, rr.10-16: [...] the people that walk with their heads downward! The Antipathies [...]

Si tratta di un nome storpiato da Alice: la bambina scambia il nome di un

luogo geografico (Antipodes, /æn’tɪpədi:z/) per il nome di una popolazione (cfr.

rr.8-10), ma il nome, tramite il suono, convoca anche un pregiudizio, l’antipatia

(antipathy, /æn’tɪpəθɪ/). Questo lapsus, plausibile in una bambina di sette anni e

dovuto innanzitutto all’ignoranza, rivela però altri aspetti importanti. Analizziamo

le due parole convocate dalle parole di Alice secondo le definizioni dell’OED:

Antipodes /æn’tɪpədi:z/ , n. pl. Also Antipodes. […] † 1. Those who dwell

directly opposite to each other on the globe, so that the soles of their feet are as it

* AA, p.121

Page 92: La Gran Natica dell'Aringa

80

were planted against each other; esp. those who occupy this position in regard to

us. Obs. […] † 2. fig. Those who in any way resemble the dwellers on the opposite

side of the globe. Obs. […] 3. Places on the surfaces of the earth directly opposite

to each other, or the place which is directly opposite to another; esp. the region

directly opposite to our own. (OED)

antipathy /æn’tɪpəθɪ/ […] † 1. Contrariety of feeling, disposition, or nature

(between persons or things); natural contrariety or incompatibility. The opposite of

sympathy. Obs. […] 2. Feeling against, hostile feeling towards; constitutional or

settled aversion or dislike. (OED)

Antipodes /æn’tɪpədi:z/

Antipathies /æn’tɪpəθɪz/

antipathy /æn’tɪpəθɪ/

Notiamo innanzitutto che entrambi i termini, confluiti in Antipathies

(/æn’tɪpədi:z/) sono di derivazione non germanica, quindi non molto comuni

(entrambi i termini sono stati filtrati dal francese e sono di origine greca).

Attribuendo il nome di Antipathies, Alice ha inconsapevolmente ripreso

l’etimologia di antipodes., nome anticamente attribuito al popolo che

Page 93: La Gran Natica dell'Aringa

81

nell’immaginazione degli europei viveva a testa in giù. Inoltre, per il lettore inglese,

e per Alice stessa, antipodes ha una connotazione satirica e si riferisce ad un

continente in particolare, la cosiddetta Terra Australis Incognita (cfr. AA, p.28:

“Please, Ma’am, is this New Zealand or Australia?”). Si ricordi che l’Australia e la

Nuova Zelanda erano parte dell’Impero britannico, quindi l’atteggiamento

scherzoso era probabilmente affiancato anche da sentimenti di superiorità. Ma oltre

che un luogo geografico, gli Antipodi sono il luogo letterario dove la satira del

XVIII secolo collocava il ‘mondo alla rovescia’: anche Wonderland è agli Antipodi

in questo senso perché i rapporti di ragione e follia si invertono1.

Ad ogni modo, la parola pronunziata da Alice non è antipodes, ma Antipathies,

che è un inconsueto plurale di antipathy. Questo indizio ci rivela l’atteggiamento

della bambina non tanto verso una popolazione in particolare, quanto a quello che

essa rappresenta nella sua mente, cioè un popolo strano, con usi e costumi

sicuramente bizzarri. La sventurata non sa ancora quel che l’aspetta nel suo viaggio

per Wonderland, ma il suo lapsus è rivelatore della sua antipatia per le cose strane,

antipatia forse indotta dal tipo di educazione ricevuta, ma sicuramente comune tra i

bambini, normalmente piuttosto conservatori.

1 Per un’interessante analisi del significato degli Antipodi nell’immaginario collettivo inglese, vedi Traversetti, 1996: ad esempio, ne I Viaggi di Gulliver di Swift la nave su cui si trova il protagonista prima di fare naufragio faceva rotta verso gli Antipodi. Traversetti mette in relazione Wonderland con gli Antipodi, il Carnevale e il regno della luna, tutti luoghi letterari in cui si attua un “rivolgimento della norma”.

Page 94: La Gran Natica dell'Aringa

82

Quel che per Alice è un lapsus, per l’autore delle sue parole è un gioco

linguistico consistente nella paronimia (/θ/ per /d/: i due fonemi differiscono per

il modo di articolazione e per l’assenza o la presenza di sonorità).

Ricapitolando, gli elementi importanti di Antipathies sono:

1. il fatto che per Alice si tratta non di un luogo ma di un popolo immaginario,

che in inglese ha connotazioni precise (mondo alla rovescia) contesto

2. il fatto che il termine ne suggerisce un altro che rivela l’atteggiamento di Alice

verso questo popolo immaginario, più in generale verso le persone e le

situazioni nuove significato

3. la forma del gioco linguistico, cioè paronimia significante

Vediamo ora quali sono state le scelte dei traduttori.

A2: Gli antipatici (Bossi, r.14), Gli Antipatici (Galasso e Kemeni, r.15)

Si tratta della scelta di uno solo tra i due termini evocati dal lapsus di Alice,

che nell’originale interferiscono fra loro. La scelta cade sul termine inappropriato.

2 Nell’analisi del corpus si è preferito raggruppare le soluzioni identiche, simili o analoghe per ogni nodo problematico ed etichettare gli insiemi così ottenuti utilizzando le lettere dell’alfabeto. Tali insiemi variano ad ogni nodo, dunque le lettere che designano gli insiemi di un nodo non corrispondono alle lettere che designano gli insiemi di un’altro.

Page 95: La Gran Natica dell'Aringa

83

Nel caso di Bossi, la forma grafica suggerisce non il nome di un popolo, ma un

aggettivo ben chiaro e determinato. Sembra dunque che i traduttori, invece di

suggerire, dicano apertamente. Si perde sia il gioco di parole che il riferimento ad un

luogo geografico con connotazioni specifiche.

B: gli Antipati (Giglio, r.15), Gli Antipati (Carano, r.19)

antipodi

/an'tipodi/ Antipati

/an'tipati/

antipatici /anti'patiʧi/

I traduttori, scegliendo di fondere i termini evocati dall’originale, si sono

trovati di fronte alla difficoltà di fondere due parole differenti per numero di sillabe

e posizione dell’accento. La soluzione ha richiesto la cancellazione di una sillaba

‘eccedente’ da antipatici e l’assunzione dell’accento di antipodi. La fusione dei due

termini avviene inoltre lasciando inalterata la prima parte di ciascun termine evocato

e prelevando due sillabe da antipatici. Non si tratta quindi di paronimia vera e

propria, ma di uno dei procedimenti resi famosi da Carroll, una portmanteau word che

Page 96: La Gran Natica dell'Aringa

84

in sé contiene due termini3. Le traduzioni mantengono il riferimento contestuale: il

termine scelto, cioè, può effettivamente essere il nome di un popolo e suggerire altri

riferimenti.

C: Agli Antidoti (D’Amico, r.15)

Antipodi /-'podi/

⇓ ⇓

Antidoti /-'doti/

Il traduttore cancella più di un riferimento. Innanzitutto, questi Antidoti non

sono una popolazione, ma un luogo geografico, quindi l’errore di Alice viene

ridotto d’intensità. In secondo luogo, viene annullato il riferimento ad antipathy, così

importante per la sua connotazione, come abbiamo visto. Il termine pronunciato da

Alice nella versione di D’Amico è realmente esistente in italiano, ma nulla nel testo

di origine lo suggerisce, mentre qui è addirittura detto in chiaro.

3 Carroll stesso, nell’introduzione a The Hunting of the Snark, descrive così le portmanteau words: “For instance, take two words ‘fuming’ and ‘furious.’ Make up your mind that you will say both words, but leave it unsettled wich you will say first. Now open your mouth and speak. If your thoughts incline ever so little towards ‘fuming,’ you will say ‘fuming-furious;’ if they turn, by even a hair’s breadth, towards ‘furious,’ you will say ‘furious-fuming;’ but if you have the rarest of gift, a perfectly balanced mind, you will say ‘frumious’ ”.

Page 97: La Gran Natica dell'Aringa

85

D: Gli Antipotici (Graffi, r.14)

antipodi /an'tipodi/

Antipotici /anti'potiʧi/

antipatici /anti'patiʧi/

La traduttrice ha fuso i due termini evocati nell’originale (cfr. B). Qui la

fusione avviene tra i suoni di antipatici, mantenuto nel numero di sillabe e

nell’accento, e la vocale /o/ di antipodi che viene sostituita alla corrispondente /a/

di antipatici. In questo modo il gioco di parole risulta naturale in italiano e naturale

per una bambina come Alice. Il risultato ottenuto suggerisce e non dice

chiaramente nessuno dei due termini evocati. Potrebbe anche convocare (nel senso sia

di evocare sia di chiamare a raccolta) un’altra parola non comune ma che i bambini

possono aver sentito dispotici, ma questo solo in italiano (in inglese si dice despotic).

Inoltre rispetta il contesto perché designa plausibilmente un popolo.

Page 98: La Gran Natica dell'Aringa

86

E: gli Antipiedi (Bianchi, r.14)

anti- podi

piedi antipiedi

Il traduttore riprende l’etimologia dell’italiano antipodi, sia per quanto riguarda

la forma che per il referente designato4. Così facendo però perde il riferimento ad

antipathy, e questo comporta una perdita importante, come abbiamo visto nell’analisi

del passo originale. Inoltre il traduttore modifica il meccanismo del gioco di parole:

si tratta di un adattamento eufonico della seconda parte del termine antipodi, quella

più estranea, che viene semplificata e ridotta al suo significato etimologico. La

trasformazione comporta anche la modificazione dell’accento. Il risultato è una

parola con caratteristiche trasparenti, evidenti: la presenza di -piedi non lascia dubbi

circa l’interpretazione.

4 La parola antipodi (in italiano come in inglese) designava in origine non il nome di un luogo ma quella degli abitanti di questo luogo (immaginario in italiano, connotato in maniera più specifica in inglese).

Page 99: La Gran Natica dell'Aringa

87

F: Tantipodi (Busi, r.14)

(T)antipodi

Valgono le stesse considerazioni fatte per E, ma con qualche precisazione.

Anche qui si perde il riferimento ad antipathy, ma le creature evocate hanno la

connotazione del mostruoso, dello strambo, del meraviglioso delle cronache dei viaggi

medievali.

Qui si ha la trasformazione della prima parte della parola in senso eufonico,

assimilabile al già noto, con l’aggiunta di una consonante iniziale. La parte

immediatamente riconoscibile della parola fa riferimento (presumibilmente) ad una

caratteristica di questo popolo lontano, ‘l’avere tanti x’. Questa caratteristica lascia il

dovuto spazio alla fantasia del lettore-ascoltatore.

Page 100: La Gran Natica dell'Aringa

88

Corpus I.02

AA, rr.12-18: “Do cats eat bats? Do cats eat bats?” and sometimes, “Do bats eat cats?”

Si tratta delle parole che Alice pronunzia “in a dreamy sort of way” (AA,

rr.11-12), mentre comincia ad appisolarsi, poco prima di atterrare sul fondo della

tana del coniglio. La domanda “But do cats eat bats, I wonder?” (rr.1-3) era stata

provocata in Alice da un’associazione d’idee: la gatta Dinah5, che la bambina

vorrebbe portare con sé in questa avventura, e il fatto che nell’aria dove sta

precipitando non si vedono topi ma potrebbero ragionevolmente (?) esservi

pipistrelli, cioè topi in grado di volare perché provvisti di ali.

La reiterazione della domanda che precede la variazione dell’ordine delle

parole nella frase, favorita dall’affinità fonica di cats e bats (i due termini

costituiscono una coppia minima, poiché differiscono per il fonema consonantico

iniziale), dalla presenza del fonema ripetuto /ts/ (che richiama il suono del sonno: nei

fumetti, ad esempio, esso è visualizzato con ZZZ) e dalla rima (cats eat bats), ha

realmente un effetto ipnotico sulla bambina, che alla fine si addormenta (sogna di

addormentarsi). Nello stato in cui si trova, e nel paese in cui sta per atterrare, non

5 Dinah era il nome della gatta della vera Alice e sarà di nuovo protagonista con i suoi cuccioli in Through the Looking Glass.

Page 101: La Gran Natica dell'Aringa

89

ha più importanza porsi una domanda del genere in un modo o in un altro6. Anzi,

il rovesciamento dei due termini, cacciatore e preda, preannunzia il clima che Alice

troverà nel Paese delle Meraviglie: non dimentichiamo che il primo personaggio con

cui Alice si ritrova a dialogare è un topo, e abbiamo visto come sia importante il

fatto che la protagonista abbia nei suoi confronti un atteggiamento aggressivo.

Questo atteggiamento verrà in seguito rovesciato, come i due termini della

domanda che qui stiamo esaminando.

In italiano, i traduttori si trovano di fronte al problema di mantenere il

riferimento testuale a cats (letteralmente “gatti”), motivato dalla presenza evocata di

Dinah, e a bats (letteralmente “pipistrelli”, cioè “topi che volano”), e, allo stesso

tempo, mantenere anche l’effetto sonoro che è decisivo ed essenziale nel cotesto.

Le soluzioni scelte dai traduttori non sempre tengono conto di entrambi gli

aspetti del testo originale, il senso e il suono. Analizziamo le varie soluzioni.

A: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» [...] «I

pipistrelli mangiano i gatti?» (Giglio, rr.13-23; Galasso e Kemeni, rr.16-27;

D’Amico, rr.15-24; Carano, rr.13-23).

6 Cfr. Kemeni, 1977: “Qui la rima che unisce /cats/ e /bats/ neutralizza l’errore logico attraverso l’equivalenza imposta dall’affinità di suono che rafforza il parallelismo sintattico.” (p.69).

Page 102: La Gran Natica dell'Aringa

90

La traduzione letterale tiene conto solo degli aspetti del significato e non

dell’aspetto sonoro, riducendo di molto l’effetto complessivo del testo.

B: “I gatti mangiano i ratti? i gatti mangiano i ratti?” e qualche volta: “i ratti

mangiano i gatti?” (Bossi, rr.17-26)

/gatti/-/ratti/ ; /ratti/-/gatti/

La traduttrice ha dovuto modificare il testo per giustificare la sostituzione del

termine “ratti” al letterale “pipistrelli” (cfr. rr.1-5: “[...] Ma i gatti mangiano i

pipistrelli? O mangiano i ratti? Ecco il problema!”). Il meccanismo attraverso cui

avviene lo scambio delle parole all’interno della frase è analogo all’originale: i

termini prescelti (“gatti”, “ratti”) costituiscono una coppia minima, e l’elemento

differente è la consonante in posizione iniziale. L’elemento perduto è la reiterazione

di /ts/ e della rima, ma in compenso, la versione di Bossi rende esplicito il rapporto

predatore-preda che verrà invertito nel corso della storia, che nell’originale viene

evocato: nella storia saranno presenti sia il Topo che il Gatto, ed entrambi saranno

importanti.

Page 103: La Gran Natica dell'Aringa

91

C: «Una gatta mangia una gazza? Una gatta mangia una gazza?» e a volte «Una

gazza mangia una gatta?» (Graffi, rr.10-17)

/gat:a/-/gadz:a/; /gadz:a/-/gat:a/

Anche qui la traduttrice ha dovuto operare sul versante del significato per

mantenere l’effetto sonoro, cioè operare sul significante, in maniera analoga

all’originale, anche se qui il fonema sostituito non è la consonante iniziale. Qui però

la modifica è più pesante, e avviene prima del brano riportato nel corpus: cfr.

Graffi, p.9, “Non ci sono topi che volino per aria, purtroppo, ma potresti sempre

dar la caccia a un pipistrello, che è divertente come un topo, sai? Oppure a una gazza.” Questa modifica non è del tutto arbitraria, almeno per quanto riguarda

“gatta” al posto di “gatti”: Alice stava pensando alla sua gatta. I gatti mangiano i

topi, come è noto, ma anche gli uccelli (gazza), e nell’aria è possibile trovare tanto

pipistrelli (cioè topi con le ali) che uccelli7, che potrebbero essere entrambi cibo per

gatti. Si perde però in tal modo il riferimento al topo.

7 Si ricordi che, dopo l’incontro con il Bruco, Alice incontra un Piccione (capitolo V).

Page 104: La Gran Natica dell'Aringa

92

D: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gattuccelli mangiano i rattuccelli?». E

qualche volta anche: «I rattuccelli mangiano i gattuccelli?» (Bianchi, rr.15-26)

gatti pipistrelli (uccelli)

gattuccelli rattuccelli

La trasformazione cui vanno incontro i due termini originari nella versione di

Bianchi rivela molto appropriatamente lo stato di dormiveglia di Alice, anche se ciò

non avviene con lo stesso procedimento dell’originale.

Qui infatti il gioco linguistico è più complesso, trattandosi nel primo caso

(“gattuccelli”) di una sorta di portmanteau word per l’intrusione in absentia di

“uccelli”, evocato sia dal suono che dal senso di “pipistrelli” (= “topi, cioè ratti che hanno le ali come gli uccelli”), che divengono per ennesima trasformazione

“rattuccelli”, altra portmanteau word. Seppure con materiale fonico diverso, il

traduttore ha qui riprodotto l’effetto sonoro dato dalla rima in -elli, presente già nel

termine di partenza. “Rattuccelli” è una parola inesistente in italiano, ma il suo

significato è sicuramente più trasparente dell’esistente “pipistrelli”. I “Gattuccelli”

invece sono una creazione puramente linguistica, il cui referente (fantastico)

potrebbe essere un parente della Mock Turtle.

Page 105: La Gran Natica dell'Aringa

93

Prima di chiedersi se il traduttore abbia osato troppo, è il caso di verificare la

reazione sul lettore. L’attenzione del lettore, che nell’originale era rivolta al rapporto

predatore-preda, qui viene distratta dall’evocazione di ‘mostri’, di animali favolosi e

meravigliosi: se l’autore avesse voluto evocare qui strane creature, l’avrebbe fatto

(del resto poco prima aveva parlato degli Antipathies).

E: “I gatti ne van matti? I gatti ne van matti?” o anche: “I matti van a gatti? I

matti van a gatti?”(Busi, rr.12-20)

/gat:i/-/mat:i/ ; /mat:i/-/gat:i/

Il traduttore ha concentrato l’attenzione sull’aspetto sonoro, operando un

gioco linguistico analogo all’originale, con sostituzione di fonema consonantico

iniziale in una coppia minima. Sul versante del significato, la traduzione di Busi è

molto libera, ma trae giustificazione dal cotesto in cui si trova (Busi, p.19: “Non c’è

ombra di topi qui in giro, ma potresti prendere un pipistrello, che se non lo sai è

quasi uguale a un topo”) e collegato al senso originale dalla domanda al r.1: “Chissà

se i gatti ne van matti”. Quindi nel cotesto sono presenti sia i pipistrelli che i topi.

Nel passo che ci riguarda, lo scambio dei termini nell’ordine della frase

investe anche il verbo, che qui ha caratteristiche idiomatiche. Inoltre la frase “i gatti

Page 106: La Gran Natica dell'Aringa

94

ne van matti” (rr.12-14) è stata ampiamente sfruttata dalla pubblicità del cibo per

gatti (“Tutti i gatti ne van matti”) e quindi ha una connotazione particolare che

solo il lettore italiano degli anni novanta del Novecento più cogliere. È come se

Alice si chiedesse “chissà se alla mia gatta piacerebbe mangiare un pipistrello come

le piace mangiare il prodotto X”. La frase rovesciata diventa “i matti van a gatti”

(rr.17-19) ed evoca strani tipi (i matti) che vanno alla caccia di gatti, animali di per sé

un po’ matti. È da notare che nella prima domanda il termine “matti” è parte

dell’espressione idiomatica “andare matti per X”, mentre nella domanda rovesciata

lo stesso termine assume un significato pieno, e non stona, per così dire, nel clima

di “rivolgimento della norma”8 in cui sta entrando Alice.

Però, a fronte di questo gioco piuttosto elaborato e ben riuscito, la perdita

totale del riferimento al rapporto rovesciato predatore-preda è rilevante.

8 cfr. Traversetti, 1996.

Page 107: La Gran Natica dell'Aringa

95

Corpus III.01

AA, rr.11-13: I’ll soon make you dry enough!

AA, rr.20-22: This is the driest thing I know.

Qui il pun è dato dalla polisemia di dry. Il topo vuole fare asciugare (make sb.

dry) i suoi compagni di naufragio raccontando loro una storia noiosa, anzi, la più

noiosa (dries t , aggettivo al grado superlativo) che conosca9. Dal punto di vista

logico, il ragionamento del topo non fa una grinza, ma non tiene conto

dell’imprevedibilità della lingua, della possibilità di accostare al senso proprio di un

vocabolo un senso figurato. La forma è la stessa, chi avrebbe potuto dire che la

sostanza sarebbe stata diversa?

Se il verbo dry significa “make dry10”, il nocciolo del pun sta nel definire il

senso di dry come aggettivo11. Quando troviamo dry come verbo, esso ha tutte le

9 L’espressione del Topo (I’ll make you dry) richiama, per paronomasia, una minaccia: I’ll make you cry . Si ricordi che la causa del naufragio della compagnia, e quindi del loro essere bagnati, è nelle lacrime versate da Alice. I personaggi si trovavano infatti nella pool of tears (titolo del secondo capitolo). 10Cfr. OED: “dry […] 1. a. trans. To make dry (e.g. by wiping, rubbing, exposure to heat or air, draining, etc.); to rid, deprive, or exhaust of moisture; to desiccate. […]b. To remove or abstract (water or moisture); to wipe away, cause to evaporate, or drain off.” 11Cfr. OED: “dry […] A. adj. I. As a physical quality. 1. a. Destitute of or free from moisture; not wet or moist; arid; of the eyes, free from tears. […]II. Figurative senses 13. Feeling or showing no emotion, impassive; destitute of tender feeling; wanting in sympathy or cordiality; stiff, hard, cold. In early use, chiefly: Wanting spiritual emotion or unction. […]14. Said of a jest or sarcasm uttered in a matter-of-fact tone and without show of pleasantry, or of humour that has the air of being unconscious or unintentional; also of a person given to such humour; caustically witty; in early use,

Page 108: La Gran Natica dell'Aringa

96

sfumature di dry come aggettivo? “Make dry” significa “far diventare «dry»”, ma in

quale accezione di dry? Nel suo senso proprio o nel suo senso figurato?

Il topo ha interpretato dry di I’ll make you dry nel senso figurato. Lo schema ci

fa vedere come tra i significati di dry in inglese si possano trovare i corrispondenti

italiani “secco”, “seccante” e “asciutto”. In italiano, questi tre termini non si

possono definire come sinonimi, avendo denotazioni e soprattutto connotazioni

piuttosto diverse tra loro. Nelle traduzioni che ci accingiamo ad esaminare, tutti e

tre i termini sono stati usati.

In italiano l’aggettivo dry può essere reso, a seconda del contesto, come:

secco

senso proprio

senso figurato

dry seccante senso figurato

asciutto

senso proprio

senso figurato

Il verbo dry può essere reso in italiano, nel suo senso letterale, con un verbo:

asciugare o seccare. Ma la difficoltà per il traduttore italiano sta nel rendere sia il senso ironical. […] 16. Lacking adornment or embellishment, or some addition; meagre, plain, bare; matter-of-fact. […] 17. Deficient in interest; unattractive, distasteful, insipid. (fig. from food that wants succulency.)”

Page 109: La Gran Natica dell'Aringa

97

letterale che quello figurato di dry, quindi di scegliere un vocabolo adeguatamente

polisemico. La polisemia di dry come aggettivo ha causato l’errore del Topo, non il

verbo dry in sé. Vediamo allora innanzitutto come i traduttori hanno reso la prima

comparsa di dry:

A: Ci penso a seccarvi in poco tempo! (D'Amico, rr.10-13); So io come seccarv i per bene

tutti quanti (Bianchi, rr.12-16); Io vi farò s ec care in un battibaleno! (Busi, rr.10-12).

Il verbo “seccare” ha diversi significati12. Pensiamo ad un Topo italofono,

nelle circostanze in cui si trovava il Topo di Alice. I personaggi sono tutti bagnati, e

il Topo, “who seemed to be a person of authority among them” (AA, rr.4-6),

decide di... seccarli? Come interpretare questo desiderio del Topo? Se qualcuno è

bagnato, ha bisogno di asciugarsi o di essere asciugato, non di essere pro-sciugato.

Se questo verbo non “suona” bene in italiano, ha però il vantaggio di

preparare il pun: al lettore verrà il sospetto, proprio per questa espressione estranea

al linguaggio comune, che ci sia qualcosa sotto, cioè che ci sia un pun in agguato.

12 Cfr. Devoto -Oli: “Seccare 1.Privare degli umori o dell'umidità; prosciugare, inaridire: il solleone ha s e c ca t o le aiole; essiccare: s. i fichi al sole ; medio intr. Prosciugarsi, diventar secco: questo fieno si è s e c ca t o troppo; anche intr. (aus. essere): mettere il fieno a s e c c a r e — fig. Perdere di vitalità o di vigore: la sua vena poetica si è s e c c a t a . 2. fig. Arrecare disturbo, o fastidio: non voglio essere s e c c a t o per nessun motivo; medio intr., infastidirsi, avere a noia, risentirsi: non vorrei che si s e c c a s s e .”

Page 110: La Gran Natica dell'Aringa

98

B: Tra un istante vi dirò come potrete as c iugarvi ! (Galasso e Kemeni, rr.11-14); Io vi

asc iugherò tutti ben presto! (Carano, rr.11-14)

Al polo opposto abbiamo il verbo “asciugare”13. Questo verbo risulta

più appropriato al contesto in cui troviamo la prima occorrenza di dry.

Rispetto a “seccare”, presenta una denotazione diversa (“rendere secco” non

ha lo stesso significato di “rendere asciutto”) e una connotazione diversa.

C: In un battibaleno sarete tutti asc iut t i perché ora vi s ec cherò io come si deve (Bossi, rr.10-

17); Presto sarete tutti as c iut t i , perché adesso penserò io a s eccarvi ! (Giglio, rr.11-16)

Bossi e Giglio hanno adoperato entrambi i termini corrispondenti all’inglese

make you dry, utilizzando il participio passato asciutti seguiti da una forma del verbo

seccare. Asciutti14 “suona” normale nel contesto in cui si trova. La promessa del Topo

13 Cfr. Devoto - Oli: “Asciugare: 1.Rendere asciutto, riferito per lo più a una superficie (dalla quale venga eliminata acqua o umidità): a. il pavimento, le posate; il sole ha già asciugato la strada; asciugarsi le mani, i capelli; a. il pianto, le lacrime (fig., consolare) Seccare, disseccare: il caldo asciuga la campagna; scherz.: a. un bicchiere, un fiasco, vuotarlo sino in fondo; fig.: a. qualcuno (o a. le tasche a qualcuno), lasciarlo senza un quattrino, ridurlo al verde. 2. medio intr. Diventare asciutto: con questo sole i panni s'asciugano in un baleno.” 14 Cfr. Devoto - Oli: “Asciutto 1.Privo di acqua o umidità (contrapposto a bagnato, umido): conservare in luogo a.; clima, tempo a., non piovoso; vento a., secco, arido, che toglie l'umidità; pasta a., senza brodo e condita con burro o sugo — Talvolta con sign. identico ad asciugato: i panni sono già a.;

Page 111: La Gran Natica dell'Aringa

99

è doppia: voi sarete asciutti in breve tempo perché vi seccherò presto, nel senso che

vi asciugherò. È una tautologia, ma serve per introdurre il pun nella maniera più

naturale possibile, in modo che il lettore sia sorpreso da esso e non vi sia preparato.

D: Pochi minuti mi basteranno per lasciarvi tutti sec chi ! (Graffi, rr.13-17)

La traduttrice ha reso la locuzione make you dry con lasciarvi tutti secchi. Ma la

dichiarazione d’intenti del Topo ci allarma15. L’espressione lasciarvi secchi evoca

infatti la locuzione farvi secchi, cioè uccidervi. Lo scenario non è tragico fino a questo

punto. La traduzione della Graffi suggerisce elementi interessanti, ma assenti

nell’originale. È una forzatura mettere in bocca al Topo parole mortalmente lasciare il fiasco a., lasciarlo vuoto, scolarlo fino in fondo — locc.: a occhi a., a ciglia a., senza piangere, con impassibilità; a piedi a., senza bagnarsi, a bocca a., a denti a., senza mangiare o bere (fig.: restare a bocca a., rimanere deluso, a mani vuote, non ottenere ciò che s’era sperato o desiderato). 2. estens. e fig. Pane a., senza companatico; vino a., secco, non dolce (contrapposto ad amabile); uomo a., muscoloso ma privo di grasso superfluo; viso a., scarno; balia a., che ha in cura i bambini senza però allattarli — Laconico, categorico, brusco: mi ha risposto con un `no' a. (anche con valore avverbiale: mi ha risposto asciutto asciutto); schivo, riservato: una persona di modi a. [...]”. 15 Cfr. Devoto - Oli: “Secco 1. Privo o molto scarso di umori o di umidità; arido, asciutto: terreno s.; clima s.; pozzo s., fonte s., che non dà più acqua (fig.: Secca è la vena de l'usato ingegno, Petrarca); avere, sentirsi la gola s.; rimanere a denti s., restar digiuni o delusi in un'aspettativa (coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più, Manzoni); [...] 2. Di persone o animali, vistosamente magro; com., semplice equivalente di magro: un giovanotto lungo e s.; gambe s. — pop. Morte s., l’immagine del teschio; f a r s . qua l c uno , provocarne la mor te i s tantanea ; r e s ta r c i s . , morto d ’un colpo . 3. fig. Brusco, risoluto, deciso e perentorio o addirittura scortese: un ordine s.; un s. diniego; un no s. s.; anche con funzione avverbiale: replicare s. s. — Disadorno, essenziale: stile s. [...] — Improvviso, istantaneo, netto: con un colpo s. ruppe il bastone; tosc.: tiro s., colpo apoplettico: Dies irae è morto Cecco; Gli è venuto il tiro secco (Giusti) [...]” (sottolineato mio)

Page 112: La Gran Natica dell'Aringa

100

minacciose. Anche se si volesse interpretare lasciarvi secchi come lasciarvi a secco, cioè

“rubarvi tutto quel che avete”, saremmo di fronte ad una forzatura. Il Topo non ha

ancora deciso di passare a rimedi più drastici16. La traduzione della Graffi appare

dunque inappropriata, sebbene offra spunti interessanti.

Abbiamo dunque questa distribuzione per la prima occorrenza di dry come

verbo (AA, r. 12):

Seccarvi Secchi Asciutti/Seccarvi Asciugarvi

A D C B D'Amico - Bianchi –Busi Graffi Bossi - Giglio Galasso e Kemeni - Carano

Passiamo ora a considerare la seconda parte del gioco di parole del Topo: This

is the driest thing I know.(AA, rr.20-22). Egli racconterà la cosa più noiosa (driest) che

conosca: un brano da un libro di storia17. Naturalmente, l’esperimento non sortisce

alcun effetto. Se nell’originale il brano è “noioso” (v. dry nel senso figurato) in

italiano dovrebbe esserlo altrettanto.

16 Come farà il Dodo dopo il fallimento del tentativo del Topo (AA p.47). 17 Cfr. AA p.46, nota 1: si tratta del libro di storia usato dalle sorelle Liddell.

Page 113: La Gran Natica dell'Aringa

101

A: Questa è la cosa p iù sec cante che io conosca. (Bossi, rr.26-29); Ecco la cosa più

sec cante che conosco. (D'Amico, 20-23); Questa è la cosa più seccante che conosco. (Bianchi,

rr.24-27); Ve la dico io la cosa che s ec ca di p iù. (Busi, rr.19-22)

Seccante ha in italiano un senso immediatamente figurativo18, corrispondente a

“noioso”. Il pun risulta dunque dalla polisemia di seccarvi (r.12) e seccante (r.22) in

D'Amico, da vi farò seccare (rr.10-11) e che secca (rr.21-22) in Busi, e da vi seccherò (rr.14-

15) e seccante (r.28) in Bossi. Si noti però che in Bossi la prima occorrenza di dry era

doppiamente espressa da asciutti e da vi seccherò (v. sopra), e quindi il traduttore porta

il lettore su una falsa pista per poi sorprenderlo con il pun. In D'Amico e Busi

invece seccare ha un senso sospetto per il lettore, che sarà portato, proprio per la

singolarità del termine all’interno del contesto, ad aspettarsi qualcosa da quella

parola. Dopo aver letto la continuazione del pun (AA rr.20-22) il senso di seccare o

seccarvi in Busi (r.11) e D'Amico (r.12) non lasciano dubbi: il senso figurato ha il

sopravvento sin dall’inizio. In Busi inoltre abbiamo la cosa che secca di più,

un’esplicitazione di seccante, espressione che avvalora l’ipotesi del senso figurativo già

avanzata dal lettore in precedenza.

18 Cfr. Devoto - Oli: “Seccante 1. agg. Di sostanza che provoca o facilita l’essiccazione (variante pop. di essiccante, anche come s.m.). 2. agg. (fig.). Sgradevole, noioso; che arreca fastidio o molestia: Dio! quant’è s. quel tuo amico!; spesso con valore neutro: è s. aspettare due ore in piedi, sarebbe molto s. se dovessi ripetere l’anno. (Participio pres. di seccare).”

Page 114: La Gran Natica dell'Aringa

102

Nel testo originale nulla, fino a AA r.11, lascia sospettare che l’autore voglia

presentarci un pun. Tutto corre liscio. Il Topo è una persona autorevole, di lui ci

possiamo fidare. Il Topo saprà certamente il da farsi. Quel che non sappiamo è che

probabilmente il Topo di Alice è un antenato del Topo di biblioteca di una delle

storie di Rodari19. Lo scopriamo solo in seguito, quando ci rendiamo conto che il

metodo escogitato dal Topo consiste nel leggere un libro di storia, effettivamente

“the driest thing” che possa esserci. Ma ciò che fa ridere il lettore inglese è questo

disvelamento improvviso, non la sua anticipazione. Bossi, nel riportare una

tautologia (rr.12-15) in corrispondenza della prima occorrenza di dry, ha invece

cercato di seguire il procedimento dell’autore, seppure con maggior dispendio di

parole laddove tutto rimaneva implicito.

B: Questa è la cosa più asc iu tta che conosca. (Carano, rr.22-25); Eccovi qual cosa di

mol to asc iu tto.(Graffi, rr.25-28)

In queste due versioni abbiamo due usi apparentemente simili di asciutto per

dry. In realtà la differenza è data dal contesto: la versione di Carano, più letterale

(questa è la cosa più asciutta), rimanda a qualcosa che viene dopo (riferimento

cataforico); la versione di Graffi ci trae in inganno. Se tralasciamo, per il momento,

19 Cfr. Gianni Rodari, «Il topo che mangiava i gatti», in Favole al telefono, Einaudi, 1993, pp.120-3.

Page 115: La Gran Natica dell'Aringa

103

la prima parte del pun, nella versione di Graffi, fino alla frase che stiamo

esaminando adesso, ci si aspetta l’arrivo di un asciugamano o di vestiti asciutti

(qualcosa di molto asciutto, appunto). La soluzione del pun avverrà quando il Topo

inizierà la lettura. Il lettore viene tenuto in allerta però dalla prima parte del pun

(Graffi rr.13-17), in cui il Topo minaccia di lasciare secchi i suoi compagni di sventura.

Entrambi i traduttori hanno usato, in questa seconda occorrenza di dry, il

senso letterale di asciutto (anche se in Carano la lettura è più ambigua). Il pun viene

quindi ritardato e rimandato alle successive parole del Topo.

C: Questo è i l tono più asc iutto che conosca. (Giglio, rr.26-29); Questo è i l s is tema più

asc iu tto che conosca. (Galasso e Kemeni, rr.25-28)

I traduttori utilizzano la polisemia di asciutto modificando il testo. Già Galasso

e Kemeni definiscono (the driest) thing come il sistema (più asciutto), facendo risuonare

in modo eccentrico le parole del Topo all’interno del contesto in cui esse sono

pronunziate. Se stessimo parlando seriamente, diremmo mai “Questo è il sistema

più asciutto”? Semmai diremmo “il sistema più efficace, più sicuro”, non quello più

asciutto. Questa singolarità è come una segnale d’allarme per il lettore. Ma non è

ancora il pun.

A mio parere, nel testo originale il pun viene svelato già nella seconda

occorrenza di dry, perché il cotesto fa percepire immediatamente la polisemia: make

Page 116: La Gran Natica dell'Aringa

104

sb. dry non poteva essere interpretato (al di fuori di Wonderland) altrimenti che fare

asciugare qualcuno (anche perché la situazione ci presenta i personaggi bagnati), e

invece the driest thing significa allo stesso tempo la cosa più asciutta, più secca nel senso

letterale del termine (ma cosa significa: la cosa più asciutta?), e anche la cosa più noiosa.

A questo punto il lettore non dovrebbe avere più dubbi: quel che viene poi è

consequenziale, essendo la cosa più noiosa.

La versione di Giglio presenta un problema ulteriore, legato strettamente al

termine scelto. Cosa si può definire asciutto? Rifacendoci alla definizione del

Devoto-Oli, troviamo anche, nel senso figurato, laconico, categorico, brusco. Questi

sensi non si possono applicare alla lettura di un brano del libro di storia inglese. Il

traduttore ha quindi deciso di riferirlo a tono. La decisione ha delle conseguenze

pesanti sul testo, perché asciutto non definisce più qualcosa di oggettivo nel testo

(quel che segue, cioè la lettura), ma il tono della voce del Topo, completamente

lasciato all’immaginazione del lettore nell’originale.

Dall’analisi di questa seconda parte, ricaviamo il seguente schema:

Seccante (fig.) Asciutto (fig.) Asciutto (lett.)

A C B D'Amico-Bossi-Bianchi-Busi Galasso e Kemeni-Giglio Graffi-Carano

Page 117: La Gran Natica dell'Aringa

105

Ma ancora, dopo aver esaminato le soluzioni scelte dai vari traduttori, resta da

stabilire se dry nel suo senso figurato è adeguatamente reso dai sensi figurati di

seccante e di asciutto. Poniamo che la traduzione immediata di dry in italiano nel senso

figurato sia noioso20. Questa sbrigativa corrispondenza ci lascia insoddisfatti. In

italiano infatti noioso indica sia fastidioso che pesante, che procura noia. Anche qui cogliere

le sfumature risulta difficile, ma sembra che le forme scelte dai traduttori siano per

certi versi inadeguate. Trovandosi di fronte alla scelta tra il significato delle parole e

il gioco della polisemia in sé, tutti i traduttori hanno privilegiato quest’ultimo,

trattandolo come una forma vuota da tradurre, non dando eccessivo peso al

contenuto di essa.

20 Cfr. sopra, definizione di dry dall’OED.

Page 118: La Gran Natica dell'Aringa

106

Corpus III.02

AA, rr.13-45: “found it advisable —’” “Found what?” (...) “Found it, (...) of course you

know what ‘it’ means.” “I know what ‘it’ means well enough, when I find a thing,(...) it’s

generally a frog or a worm. The question is, what did the archbishop find?” (...) “ ‘—found it

advisable to go (...)”

Siamo di fronte ad uno dei ‘nodi’ linguistici più celebri di Alice. Lecercle lo

cita come “negative [instance] of syntactic mistakes that embody grammatical

intuitions21” che quindi spinge alla riflessione sulle complesse funzioni grammaticali

di it. Possiamo interpretare questo brano come un invito esplicito da parte

dell’autore a riflettere ancora una volta sull’imprevedibilità e l’ambiguità formale del

linguaggio.

It è usato qui con tre funzioni differenti22:

1. cataforica (anticipatory ‘it’) “found it advisable (...) to go” (AA, rr.13-14 43-44)

2. anaforica “it” (AA, r.18) “the earls of Mercia and Northumbria

declared for him”

3. compl. oggetto “found i t advisable—” “Found what?” (AA, rr.13-16)

L’ambiguità di it viene messa in rilievo dalla presenza di un verbo altrettanto

ambiguo, cioè polisemico (find) che (come l’italiano trovare) può avere un senso 21 Lecercle, 1994, p.52 22 Cfr. analisi del passo in Berretta, 1979a, pp.242-3.

Page 119: La Gran Natica dell'Aringa

107

proprio ed uno figurato, e quindi adeguatamente essere usato per esprimere le

opinioni dell’arcivescovo di Canterbury e il cibo preferito dall’Anatra.

La nostra attenzione sarà dunque rivolta, per le traduzioni italiane, al

trasferimento dell’ambiguità nel contesto linguistico italiano, sia per quanto riguarda

la resa del verbo che del pronome.

Notiamo innanzitutto che tutte le versioni italiane della nostra analisi tranne

Bianchi traducono “found” (AA, r.13) con il corrispondente trovò. Bianchi invece

rende questa prima occorrenza di found con il più specifico ritenne (r.14 e r.49)

(sinonimo di trovare nel senso figurato), riservando il verbo trovare solo per le

occorrenze in cui esso è inteso nel senso letterale (Bianchi, r.32 = AA, r.28).

Notiamo anche una differenza oggettiva nella sintassi della frase: l’anticipatory

‘it’ non ha pieno corrispondente nella sintassi italiana. Come rendere in maniera

discorsiva la presenza ingombrante (in italiano) di questo pronome che

normalmente verrebbe tralasciato (in italiano)?

D'Amico (rr.17-18) risolve il dilemma eliminando ogni traccia dell’it

dell’originale e spostando, di conseguenza, il gioco di parole su opportuno. Si veda in

proposito il commento di Berretta: “Inoltre [D’Amico], spostando il gioco di parole

che costituisce la terza valenza di it nell’originale su opportuno (un elemento lessicale,

si noti: è forse anche questa una forma di semplificazione), perde il collegamento di

Page 120: La Gran Natica dell'Aringa

108

questa parte con il resto, e modifica così gravemente il testo23.” D’Amico interpreta

l’ambiguità di opportuno come un’ambiguità tra nome e aggettivo: a opportuno l’Anatra

sostituisce un verme o una rana (AA, rr.32-33). Ma l’incomprensione qui è causata da

ignoranza grammaticale, non da ‘sovraesposizione’ alla speculazione grammaticale.

Bianchi, che, come abbiamo visto sopra, aveva annullato l’ambiguità di found

al r.13, rende la frase con un costrutto esplicito (ritenne che fosse cosa opportuna, rr.14-

16) ottenendo un effetto ambiguo solo per quanto riguarda l’interpretazione

cataforica ed anaforica, ma trascurando del tutto la terza valenza del pronome it e

spostando il pun su cosa (r.17).

Gli altri traduttori invece hanno scelto di fare i conti anche con la terza

valenza di it che, come abbiamo visto, è essenziale per il testo. Non tutti vi sono

riusciti, e comunque tutti hanno dovuto sacrificare una delle altre due valenze di it.

In Giglio (rr.16-47), Galasso e Kemeni (rr.14-40), Carano (rr.15-40) e Graffi

(rr.15-40) vengono rese in maniera adeguata le valenze di it come pronome

anaforico e come complemento oggetto, mentre i traduttori hanno dovuto

modificare il testo in corrispondenza di AA, rr.43-44 rispetto a AA, rr.13-1424,

eliminando quindi una parte della ‘dimostrazione’ carrolliana dell’estrema

23 Berretta, 1979a, p.242, nota 14. 24 Si confrontino parallelamente Giglio, rr.54-56; Galasso e Kemeni, rr.46-48; Carano, rr.47-48; Graffi, rr.47-49.

Page 121: La Gran Natica dell'Aringa

109

infingardaggine della lingua inglese. In Graffi la valenza cataforica è completamente

annullata.

In Bossi (rr.15-47) e in Busi (rr.14-40) la resa di it come complemento oggetto

appare ottenuta in modo un po’ forzato. In entrambe, inoltre, come già abbiamo

notato in Graffi, la valenza cataforica è annullata.

I testi di arrivo risultano dunque, nel loro insieme, semplificati. La

semplificazione è dovuta, come abbiamo visto, a difficoltà oggettive dovute al

trasferimento di un elemento grammaticale che si rivela maggiormente polisemico

in inglese rispetto all’italiano. I traduttori però hanno deliberatamente cercato di

interpretare, di sciogliere, quei ‘nodi’, quelle trappole tese all’intelligenza del lettore,

trappole che Carroll aveva teso di proposito, proprio per stimolare la riflessione

sulla lingua da parte dei lettori.

Page 122: La Gran Natica dell'Aringa

110

Corpus III.03

AA, rr.1-2: “Mine is a long and a sad tale!”

AA, rr.9-19: “It is a long tail, certainly,” said Alice, looking down with wonder at the Mouse’s

tail; “but why do you call it sad?”

Il Topo introduce la sua storia (tale : /teil/), ma Alice viene distratta dalla sua

coda (tai l : /teil/) e fraintende tutto il racconto: quando poi il Topo comincia il

racconto (Mouse’s Tale), Alice lo segue sulla sua coda (Mouse’s Tail). Si tratta dunque

di un pun tipico, basato sull’omofonia tra tale e tail. Come si può osservare

dall’effetto che la poesia ha sulla pagina25, oltre che dall’immagine, l’equivoco nasce

dall’espressione idiomatica inglese a twist in the tale, corrispondente grosso modo

all’italiano ‘colpo di scena’, in cui twist ha il significato figurato di “svolta”, ma è a

sua volta sinonimo di bend (curva). Dunque Alice osserva ogni twist in the ta le

seguendo ogni twist in the tai l26.

In inglese la perfezione del pun e la sua immediata efficacia sono fuori

discussione. In italiano la difficoltà principale sta, come al solito, nel sostituire

l’omofonia dell’originale con un’espressione ambigua in italiano. Storia (o racconto) e

25 Notoriamente, si tratta di un calligramma, o, secondo Gardner, di un emblema sul tipo di quelli di Robert Herrick e George Herbert (Cfr. nota n.4 di Gardner, AA, p.50). 26 Questa suggestione è data anche dalla lettura di Elwyn Jones e Francis Gladstone, 1995, p.85-7: cfr. ad esempio p. 85: “Important points in the twisting structure she visualised were clustered at the bends in the tale.”

Page 123: La Gran Natica dell'Aringa

111

coda non sono omofoni. Ma entrambi gli elementi sono fondamentali per la

narrazione e quindi devono essere mantenuti.

Vediamo come è stato reso questo gioco nelle varie traduzioni, esaminando

separatamente le parole del Topo (AA, rr.1-2) e la domanda di Alice (AA, rr.9-13).

A: “La mia è una storia lunga e triste!” (Bossi, rr.1-4); — La mia è una lunga e triste

storia ! (Galasso e Kemeni, rr.1-3); — La mia è una storia lunga e triste! (Carano, rr.1-

3).

In queste versioni viene introdotto solo il primo termine del pun, storia,

corrispondente a tale.

B: «La mia non è una di quelle stori e senza capo né coda: è lunga e triste» (Giglio, rr.1-6);

«La mia storia ha una coda lunga e triste!» (D'Amico, rr.1-4); «Sapeste che storia triste,

con una lunga coda di interminabili vicende!» (Graffi, rr.1-6); «Il mio è un rac conto triste, con

una lunga coda!» (Bianchi, rr.1-5).

Qui vengono introdotti entrambi i termini del pun. Il gioco di parole, non

potendo consistere sull’omofonia, si basa qui sulla polisemia, sull’ambiguità

semantica del termine coda, che è usato dal Topo nel suo senso figurato (come

Page 124: La Gran Natica dell'Aringa

112

sequenza interminabile di fatti) o (come in Giglio, rr.3-4) nel contesto di una frase

idiomatica (senza né capo né coda).

Si noti come l’utilizzo di un gioco di polisemia al posto dell’originale gioco di

omofonia comporti un’estensione verbale, che va a discapito dell’effetto comico.

Infatti pronunciando tale il Topo non associa alle sue parole anche tail: è Alice che

“crea” l’equivoco nel suo orecchio, prima che nella sua mente.

C: “Il mio è un lungo codazzo di miserie,” (Busi, rr.1-4)

In Busi abbiamo la sintesi dei due termini principali del pun nel termine

codazzo, peggiorativo di coda, con significato figurato di “sequenza (=narrazione,

storia) interminabile di fatti”. Il traduttore ha quindi cercato di utilizzare un solo

termine per il pun e su questo fondare il gioco.

È interessante notare come in Graffi e Bianchi gli aggettivi long e sad non

sono attribuiti ad entrambi i termini del gioco, ma solo ai sostantivi cui si addicono

normalmente: triste storia; lunga coda.

Nella versione di Busi, l’aggettivo sad dell’originale viene incorporato

nell’espressione “codazzo di miserie”.

Page 125: La Gran Natica dell'Aringa

113

Per quanto riguarda le parole di Alice, ‘luogo’ in cui è situato il punchline27

nell’originale, in italiano i traduttori devono in un certo senso giustificare

l’equivoco. L’impresa non è da poco, perché in inglese il testo era scorrevole per il

fatto che l’omofonia tale/tail giustifica di per sé l’errore di interpretazione della

bambina. Venendo a mancare l’elemento di omofonia, la polisemia che risulta dalla

maggior parte delle versioni italiane rende il pun un po’ forzato. Vi sono tuttavia

differenze importanti tra le varie traduzioni.

Nelle traduzioni del gruppo A (Bossi, rr.9-20; Galasso e Kemeni, rr.11-22;

Carano, rr.8-17) il nesso tra storia e coda è dato soltanto dal fatto che Alice viene

distratta dalla visione della coda del Topo, fatto che, da solo, non basterebbe a

giustificare il gioco di parole.

Nelle traduzioni del gruppo B (Giglio, rr.12-19; D'Amico, rr.10-18; Graffi,

rr.12-25; Bianchi, rr.9-22), dove nelle parole del Topo erano stati introdotti

entrambi i termini, il nesso è evidentemente legato al doppio senso di coda, favorito

dalla scelta degli aggettivi lunga e triste. Giglio (rr.14-17) elimina addirittura il

riferimento visivo alla coda del Topo presente nell’originale (AA, rr.13-17),

imputando l’equivoco esclusivamente (ed esplicitamente) al fatto che Alice “non

aveva capito bene”. Questo riduce l’immediatezza della narrazione e omette un

27 Cfr. Chiaro, 1992, p.48: il punchline o punch è “the point at which the recipient either hears or sees something which is in some way incongruous with the linguistic or semantic environment in which it occurs but which at first sight had not been apparent.”

Page 126: La Gran Natica dell'Aringa

114

elemento dell’originale che non presentava particolari difficoltà di traduzione.

Anche la versione di Bianchi (“Che la tua coda sia lunga non c’è dubbio [...] Ma che cosa

c’entra con il racconto?”) tende ad esplicitare eccessivamente il pun, di fatto

annullandolo.

Per quanto riguarda la versione di Busi (rr.9-21), paradossalmente si può dire

che è la più vicina all’originale, pur essendo profondamente diversa. Parlando di

codazzo di miserie, il Topo non ha in mente la sua coda (tail), ma la sua storia (tale):

Alice invece vede solo il suo codazzo (long tale) e non riesce a capire cosa esso abbia a

che fare con le miserie (sad). Esattamente come l’Alice originale, l’Alice versione Busi

viene confusa dal linguaggio prima ancora che dalla visione della coda del Topo.

Page 127: La Gran Natica dell'Aringa

115

Corpus III.04

AA, r.18: “I had not!”

AA, rr.23 31-33: “A knot!” [...] “Oh, do let me help to undo it!”

Dopo il racconto in forma di coda, abbiamo un nuovo equivoco tra il Topo e

Alice, un’altra comunicazione frustrata. Anche questa volta, l’equivoco nasce dalla

quasi omofonia tra I had not! (/aId’nQt/) e I’ve a knot (/aIv(@)’nQt/).

Volenterosa, Alice cerca di rendersi utile, ma il Topo, stizzito, se ne va.

Come riportano varie edizioni di Alice, anche quelle che costituiscono il

corpus della nostra analisi, questa volta il gioco di parole di Carroll si

esercita su un termine che ha un significato particolare: a knot, letteralmente

‘un nodo’, è per Carroll un enigma da sciogliere (esatto, da sciogliere), tanto è

vero che più tardi, lo stesso Carroll utilizzò questa definizione per le

soluzioni ai 10 problemi matematici pubblicati dapprima sul Monthly Packet e

in seguito raccolti sotto il titolo A Tangled Tale28. Si noti che si tratta ancora

di knots in a tale, anzi, in a tangled (‘intricata’) tale, che come abbiamo visto può essere

benissimo una tangled tail. Ecco cosa spinse Alice a cercare di risolvere i nodi della

questione! La nostra eroina è particolarmente attratta dai quiz (cfr. AA, p.95). Non

28 Cfr. AA, p.52, nota 6; la traduzione italiana è: Una storia ingarbugliata, trad. D.Valori, Astrolabio, Roma, 1969.

Page 128: La Gran Natica dell'Aringa

116

deve stupire dunque che Alice abbia capito solo quel che voleva capire delle parole

del Topo.

Come al solito, per i traduttori italiani si tratta di rendere adeguatamente

l’omofonia carrolliana. Anche qui abbiamo osservato diversi comportamenti.

A: — Assolutamente, no! [...] — Un nodo! — (Galasso e Kemeni, rr.18-19, 24);

«Neanche per sogno!» [...] «Un nodo!» (D'Amico, rr.14-15, 20)

In queste versioni l’equivoco non c’è. Si tratta di traduzioni letterali, che però

risultano davvero nonsensical: doveva essere sorda o stupida, Alice, per non capire le

perentorie parole del Topo! Il testo risulta inceppato e l’effetto sul lettore è di

delusione, di aspettativa frustrata.

B: “No davvero!” [...]“Un nodo!” (Bossi, rr.18-19, 23); “Lo noto!” [...] “Un nodo?”

(Giglio, rr.16, 19); «No! Non noto niente!» [...] «Un nodo!» (Graffi, 22-23, 28);

«No! Dovevo...» [...] «Un nodo!» (Bianchi, rr.16-17, 20).

Page 129: La Gran Natica dell'Aringa

117

Questo gruppo di traduzioni rende il gioco di parole dell’originale

mantenendo l’invariant core29, costituito da knot. I procedimenti formali mediante i

quali è stato ottenuto l’effetto finale sono di due tipi:

1. nel caso di Giglio, si tratta di uno scambio consonantico tra due suoni che

differiscono del solo tratto distintivo sordo/sonoro (/t/ e /d/). Alice scambia la

parola noto per nodo.

2. negli altri casi, si ha l’omofonia (perfetta nel caso di Graffi) o la quasi

omofonia (negli altri casi) al di là dei confini delle singole parole. Alice è davvero

disattenta e coglie solo ciò che le interessa delle parole pronunziate dal Topo,

eliminando gli altri suoni.

Tornando al passo esaminato, si noti come in Giglio (rr.16-20) viene fornita

una spiegazione al lettore sulle ragioni dell’equivoco di Alice. Nell’originale tutto

viene lasciato all’orecchio del lettore inglese, che si sente stimolato dall’autore e riderà

anche perché soddisfatto della propria capacità di comprendere il testo, di

rispondere alle intenzioni dell’autore. Nella versione di Giglio, invece, il nodo viene

sciolto, sottraendo al lettore il piacere di trovarlo e comprenderlo da solo.

29 Cfr. Chiaro, 1992, p.92-ss.

Page 130: La Gran Natica dell'Aringa

118

C: — Ma no! — [...] — Mano? Ti sei fatto male a una mano? (Carano, rr.15, 18-20)

In questa versione abbiamo la sostituzione del significato del pun. Mentre dal

punto di vista formale si tratta dello stesso meccanismo osservato nel caso B.2, il

termine knot viene sostituito da mano. La sostituzione appare piuttosto arbitraria,

visto che non si fa riferimento alle mani del Topo all’interno del testo. Abbiamo

visto l’importanza del termine knot per l’autore: questo elemento non dovrebbe

andare perduto.

D: “Mi prendi in giro?” [...] “No, davvero: a zig-zag” (Busi, rr.15-16, 19-21).

La versione di Busi merita attenzione particolare. Come si vede dal passo

inserito nel corpus, il traduttore si prende la libertà di sostituire il pun dell’autore con

un gioco di botta e risposta basato sulla non volontà di Alice di mantenere la

conversazione con il Topo. Alice infatti interpreta tutte le parole del Topo alla

lettera, anche se il Topo parla invece per metafore o per frasi fatte. Vale la pena di

estendere la citazione per cogliere tutto il gioco:

“Mi prendi in giro?” urlò il Topo su tutte le furie.

“No, davvero: a zig-zag” disse Alice, precisina come sempre.

Page 131: La Gran Natica dell'Aringa

119

“Cerca di rigare dritto!” disse il Topo balzando in piedi e

allontanandosi. “Mi stai oltraggiando con i tuoi nonsensi!”

“Ma io non intendevo!” supplicò la povera Alice. “Sai che hai

una bella coda di paglia?”

Il Topo per tutta risposta emise solo un borbottio.

“Torna qui, ti prego, a scodinzolare le tue miserie!” gli gridò

dietro Alice. E tutti le fecero eco: “Sì, dài, per la miseria!” Ma il

Topo si limitò a scuotere la testa e accelerò il passo.30

È un vero gioco pirotecnico di parole, in cui avviene l’assassinio della

metafora (si badi bene, da parte di Alice), caratteristica fondamentale del genere

nonsense. Abbiamo prima il terzetto “in giro” - “a zig-zag” - “dritto”, poi torna in

campo la coda del Topo (si noti che il Topo se ne sta andando, quindi la sua coda è

l’elemento più evidente) che non può essere che una “coda di paglia”. E quando

Alice richiama il Topo, gli chiede di “scodinzolare le (sue) miserie”31. Naturalmente,

l’esclamazione degli altri personaggi doveva essere intesa come: “Fallo per la tua

miseria!”, ma le parole esatte sono “Sì, dài, per la miseria!”.

L’effetto sul lettore è esilarante, forse addirittura migliore dell’originale,

ammesso che Busi non abbia esagerato. Viene perduto ogni riferimento a knot,

anche se il legame testuale non ne risulta alterato: la coda è ancora l’elemento che 30 Busi, p.49, grassetto mio. 31 Si ricordi che il traduttore aveva usato l’espressione “codazzo di miserie”, cfr. III.03.

Page 132: La Gran Natica dell'Aringa

120

distrae Alice, come nell’originale, e il fatto che essa sia a zigzag costituisce il punto

di partenza per la serie di botta e risposta. Il testo risulta dunque scorrevole e

naturale per il lettore italiano.

Page 133: La Gran Natica dell'Aringa

121

Corpus IV.01

AA, rr.6-24: “And when I (1) grow up, I’ll write one — but I’m (2) grown up now [...] at

least there’s no room to (3) grow up any more here.” “But then, [...] shall I never (4) get any

older than I am now?”

Alice, incastrata nella casa da dove non sa più come uscire, ragiona sulla

fantastica avventura che le sta capitando. Ma il nonsenso si intrufola anche tra le

sue parole: la logica della bambina è sul filo delle parole. Il risultato è un paradosso

che preoccupa moltissimo Alice.

Ancora una volta, si tratta della polisemia del verbo grow up32:

to grow up

to get older

to get bigger

crescere in età

diventare adulti

crescere in statura, fisicamente

diventare più alti, più grossi

crescere

diventare grandi

Nel testo originale la polisemia segue una struttura chiasmica: Alice usa il

verbo grow up in (1) con il senso di “get older”, poi reso esplicito in (4) da get older

(AA, 22-23), invece in (2) e (3) il verbo ha il significato di “get bigger”.

32 Cfr. analisi di Berretta, 1982, p.233.

Page 134: La Gran Natica dell'Aringa

122

Anche in italiano crescere e diventare grandi è polisemico, in modo analogo

all’originale. Nessuna difficoltà, sembrerebbe, per i traduttori. Ma oltre al versante

del significato, parte integrante del testo è la struttura formale del ragionamento di

Alice.

Se dal punto di vista del significato abbiamo questa struttura: x y y x

dal punto di vista del significante troviamo invece questo schema: a a a b

(in cui x = {get older}, y = {get bigger}, a = “grow up”, b = “get older”).

Occorre esaminare i quattro punti del ragionamento di Alice in modo

parallelo.

(xa) AA, rr.7-8: when I grow up

A: quando sarò cresciuta (Bossi, rr.7-8); quando crescerò (Giglio, rr.7-8)

B: quando diventerò grande (Galasso e Kemeni, rr.9-12); quando sarò

grande (D'Amico, rr.6-7; Graffi, rr.8-9; Bianchi, rr.8-9); quando divento

grande (Carano, rr.4-5); Da grande (Busi, r.7)

Page 135: La Gran Natica dell'Aringa

123

(ya) AA, rr.9-11: but I’m grown up now

A: sono bell’e cresciuta (Bossi, rr.10-12); io sono cresciuta (Giglio, rr.10-

11)

B: sono grande adesso (Galasso e Kemeni, rr.14-16), sono già grande

(D'Amico, rr.9-10), io sono grande adesso (Carano, rr.10-12; Bianchi, rr.12-13);

io sono già grande (Graffi, rr.11-12); io sono già grande adesso (Busi, rr.10-

13).

(ya) AA, rr.15-18: there’s no room to grow up any more here A: se crescessi ancora non so davvero come farei a stare qua dentro (Bossi, rr.12-16); qui

non c’è proprio spazio per crescere ancora (Giglio, rr.10-13), qui almeno non c’è più

spazio per crescere ancora (Galasso e Kemeni, rr.12-15); qui dentro di spazio per

crescere non ce n’è più (D'Amico, rr.10-13); qui non c’è spazio per crescere

ancora (Bianchi, rr.12-14)

B: qui non c’è spazio per diventare più grande (Carano, rr.10-13); non c’è

spazio per diventare più grande di così, qui (Graffi, rr.12-15); qui non c’è

spazio per diventare ancora più grande (Busi, rr.11-14)

(xb) AA, rr.16-18: shall I never get any older than I am now?

Page 136: La Gran Natica dell'Aringa

124

A: vuol forse dire che non crescerò più? (Graffi, rr.18-20)

B: chissà se diventerò mai più grande di adesso? (Bianchi, rr.16-19)

C: non diventerò mai più vecchia di come sono adesso? (Giglio, rr.16-19); non

diventerò mai più vecchia di quel che sono ora? (Galasso e Kemeni, rr.17-20);

vuol dire che non diventerò mai più vecchia di così (D'Amico, rr.15-18); non

diventerò mai più vecchia di quel che sono adesso? (Carano, rr.15-18); questo

significa che non diventerò mai più vecchia di così (Busi, rr.16-20)

D: i miei anni non aumenteranno più? (Bossi, rr.18-20)

Come risulta da un esame incrociato, non tutti i traduttori hanno rispettato la

struttura dell’originale. Provando a tracciare gli schemi delle traduzioni esaminate, si

ottiene: (1) (2) (3) (4)

AA xa ya ya xb

Bossi XA YA YA XD

Giglio XA YA YA XC

Galasso e Kemeni XB YB YA XC D’Amico XB YB YA XC Carano XB YB YB XC

Graffi XB YB YB XA

Bianchi XB YB YA XB

Busi XB YB YB XC

X= {get older},

Y = {get bigger};

A= “crescere”,

B= “diventare/essere

grande”,

C= “diventare più

vecchia”,

D= “i miei anni non

aumenteranno più”

Page 137: La Gran Natica dell'Aringa

125

Come si vede, in Galasso e Kemeni, D'Amico e Bianchi la struttura del

significante non è stata rispettata: questo toglie forza e scorrevolezza al testo.

Inoltre, in Graffi e Bianchi l’ultimo termine del ragionamento (4) è polisemico

come i precedenti (anzi in Bianchi viene usato lo stesso termine che era già stato

usato in (1) e (2), mentre nella versione originale (4) dà la chiave del ragionamento

di Alice, esplicitando almeno uno dei sensi di grow up.

La forza nonsensica dell’originale sta nella logica usata da Alice, portata

all’estremo (e proprio per questo assurda). La bambina eguaglia i due significati di

grow up, ignorando la differenza tra get older e get bigger.

Si tratta dunque di trasferire nel testo italiano questa coerenza logica, usando

gli stessi termini per tre volte in corrispondenza delle tre occorrenze di grow up e

invece di tradurre get any older in modo che non lasci equivoci.

Page 138: La Gran Natica dell'Aringa

126

Corpus VI.01

AA, rr.2-12: the earth takes twenty-four hours to turn round on its axis—” “Talking of axes,”

said the Duchess, “chop off her head!”

Anche qui si tratta di omofonia, in particolare tra “axis” /aksIz/ (asse

terrestre) e “axes” /aksɪz/ (asce)33.

Tutte le traduzioni tranne Galasso e Kemeni sostituiscono la coppia con

“asse”/“asce” (che la Duchessa abbia ascendenze romagnole?). In Galasso e

Kemeni (“asse”/“assi”, rr.7-8) abbiamo un’interessante traduzione che porta assai

lontano. In Alice si parla di asse terrestre, di asce per mozzare le teste, ma anche di

assi, intesi come carte da gioco che hanno uno come valore facciale. Non siamo in

grado di stabilire se questo terzo significato sia stato intenzionale34. Come

interpretare allora le parole della duchessa? Può non voler sentire parlare di assi,

perché la sola parola le ricorda la Regina di cuori, personaggio che lei odia. In ogni

caso si tratta di un abuso nei confronti del testo originale.

33 La Duchessa sente nelle parole di Alice solo quel che ama sentire: si noti che la situazione è simmetrica a quanto esaminato in III.03, in cui era Alice che riusciva a cogliere (involontariamente?) nelle parole del Topo solo quel che vuole sentire. In questo capitolo, come in quello precedente, la situazione è invertita. 34 Più probabilmente, si tratta di un errore, perché axes può essere il plurale sia di axis (asse) che di axe (ascia), e quindi può essere sia assi che asce. Nel contesto però è evidente che si tratta di asce, uno degli strumenti più adatti alla decapitazione (AA, rr.11-12).

Page 139: La Gran Natica dell'Aringa

127

Corpus VI.02

AA, rr.1-2: “Did you say pig, or fig?”35

Alice’s Adventures in Wonderland è pieno di episodi potenzialmente

metalinguistici, il più noto dei quali è la domanda del Cheshire Cat: “Hai

detto ‘pig’ o ‘fig’?”, in cui la tesi strutturalista fondamentale sulla fonologia,

il valore differenziale dei fonemi, è incorporato nella forma della prova

consueta per il valore differenziale, una coppia minima36.

Questo passo è un esempio di come l’attenzione del nonsense per il

linguaggio non sia cosa da poco37. Per i traduttori italiani si tratta di adattare il gioco

di parole (si tratta infatti di uno scambio di consonanti) alla lingua italiana,

mantenendo come invariant core il termine pig38, e variando di conseguenza l’altro

termine.

35 Questa frase è stata citata da Jakobson (1985, p.25) come esempio di coppia minima. 36 Lecercle, 1994, p.35: “Alice’s Adventures in Wonderland is full of potentially metalinguistic episodes, the best known of which is the Cheshire Cat’s question: “Did you say ‘pig’ or ‘fig’?”, in which the crucial structuralist thesis on phonology, the differential value of phonemes, is embodied in the guise of the usual test for differential value, a minimal pair.” 37Lecercle (1994) parla di funzione metalinguistica della letteratura nonsense: “nonsense [...] functions as metalanguage” (p.35) 38 Nello stesso capitolo, Alice tiene in braccio un bimbo che si trasforma in un maialino (pig).

Page 140: La Gran Natica dell'Aringa

128

AA pig (r.2) fig (r.2) scambio consonantico Bossi porcello (r.3) portello (r.4) scambio consonantico Giglio maiale (r.2) caviale (r.3) scambio

consonantico + zeppa (rima) Galasso e Kemeni porcello (r.2) pestello (r.3) allitterazione + rima

D'Amico porcello (r.2) ombrello (r.3) rima Carano porcellino (r.2) parcellino (r.3) scambio vocalico Graffi porcello (r.2) forcella (r.3) doppio scambio

consonantico/vocalico + assonanza Bianchi porcellino (r.2) porcino (r.3) falso diminutivo

Busi porco (r.1) orco (r.2) scarto di consonante

Nel caso dello scambio consonantico o vocalico (Bossi, Carano), siamo di

fronte allo stesso procedimento dell’originale.

In altri casi si tratta di ‘variazioni sul tema’ dello scambio consonantico

(Giglio, Graffi).

Nel caso di Busi si tratta di una sorta di scambio consonantico in absentia

(scarto). Le soluzioni basate su rima o assonanza (Galasso e Kemeni e D'Amico)

sono accettabili.

Si noti che il Cheshire Cat può non aver sentito bene, quindi la differenza tra

le due parole deve essere minima: in questo senso sembra fuori luogo la soluzione

di Bianchi, per altri versi originale.

Page 141: La Gran Natica dell'Aringa

129

Corpus VII.01

AA, rr.11-13: “He’s murdering the time!”

Questa espressione, come Gardner spiega nella nota al testo, significa

“mangling the song’s meter” 39, cioè andare fuori tempo (il Cappellaio stava infatti

cantando la canzone Twinkle teinkle little bat)40. Ovviamente qui il gioco sta nel fatto

che il Cappellaio intende questa frase, pronunciata dalla Regina di Cuori sul suo

conto, in maniera letterale, come a dire “sta uccidendo il Tempo” (che per lui è una

persona).

Vediamo come si sono comportati i traduttori italiani.

A: Sta assassinando il Tempo! (Bossi, rr.11-13; Giglio, rr.11-13; D'Amico, rr.9-11;

Carano, rr.13-15); Quello il tempo lo assassina! (Bianchi, rr.12-14)

La traduzione letterale, con la scelta del verbo assassinare, non pone alcun

problema. È polisemica analogamente all’originale.

39 AA, p.99, nota 7 (“straziare il metro della canzone”). 40 È interessante notare però che nella traduzione italiana della stessa edizione curata da Gardner (Carroll, 1971, p.101, nota 10) e tradotta da D'Amico, la nota riporta invece: “L’espressione contemporanea equivalente è «ammazzare il tempo» («killing the time»), che vale «passare il tempo senza costrutto»- Qui la frase allude anche allo scempio perpetrato dal Cappellaio sul ritmo della canzone.”

Page 142: La Gran Natica dell'Aringa

130

B: Sta ammazzando il tempo! (Galasso e Kemeni, rr.13-15); ‘Staàm — mazzàndoiltémpò!

Bò — ìadàc —ciuntàgliò!’ (Busi, rr.14-18)

In queste due versioni, lontanissime tra loro dal punto di vista formale, la

suggestione data al lettore è deviante rispetto all’originale. Ammazzare il tempo non è

uguale ad assassinare il tempo: in questa versione l’espressione della Regina di Cuori

viene ricollegata al rimprovero di Alice41. È certamente possibile che nel testo

originale vi sia anche questa suggestione, ma il contesto in cui la Regina pronunzia

questa frase rende più immediato il collegamento con l’andare fuori tempo, che con

lo sprecare il tempo.

Nella versione di Busi si noterà la resa piuttosto ‘colorita’ del testo originale.

Letto in questa versione, il testo può assumere anche questo significato: (il

Cappellaio) sta ammazzando il tempo: Boia! (esclamazione) dacci un taglio (alla canzone).

C: È fuori tempo! (Graffi, rr.10-11)

Questa traduzione rende il senso primario dell’espressione originale, ma non

dà modo di connettere questo passo con il testo precedente, in cui il Cappellaio

spiega che ha avuto una lite col Tempo (AA, p.98). 41 AA, p.97: “I think you might do something better with the time,” she said, “than wasting it in asking riddles that have no answers.”

Page 143: La Gran Natica dell'Aringa

131

Corpus VII.02

AA, rr.1-22: “Take some more tea,”[...] ““I’ve had nothing ye t , [...] so I can’t take more.”

“You mean you can't take less ,[...] it’s very easy to take more than nothing.”

Questo passo, che per il lettore è un gioco di parole, ma che per Alice è quasi

un dramma pirandelliano, è basato ancora una volta sulla polisemia di una parola

banale, in inglese (more), che a seconda del contesto può valere sia ‘di più’ sia

‘ancora’.

{ancora} I’ve had nothing

yet

so I can’t take more

(Alice)

Take some more tea

{di più}

You mean you can't

take less

it’s very easy to take more

than nothing

(Mad Hatter)

Come si vede, due significati per una stessa parola aprono la via a due

ragionamenti opposti e paralleli, perfettamente logici e contraddittori entrambi.

Page 144: La Gran Natica dell'Aringa

132

A: “Prendi un po’ più di te,” (Bossi, rr. 1-2); -Bevi più tè, (Galasso e Kemeni, r.1);

«Prendine un po’ di più,(...) di tè» (Graffi, rr.1-9); “Ma prendine di più di tè” (Busi, rr.1-2)

Tradurre l’espressione Take some more tea in modo letterale, cioè conferendo al

termine more il significato che normalmente avrebbe staccato dal contesto in cui si

trova, significa svelare anzitempo il gioco di parole, perché la frase suonerebbe

sospetta al lettore italiano (in una situazione del genere, non si dice “Prendi più tè”).

Allo stesso tempo il ragionamento di Alice non risulta fortemente legato al testo

(come invece è).

D’altro canto però la traduzione ‘letterale’ rende possibile il gioco di parole

tra more e less (AA, rr.10-15), che viene dunque giocato su di più/di meno.

B: «Prendi un altro po’ di tè» (Giglio, rr.1-3); «Prendi dell’altro tè» (D'Amico, rr.1-2);

-Prendi un altro po’ di tè (Carano, rr.1-3); Prendi ancora un po’ di tè (Bianchi, rr.1-3)

Altri traduttori hanno naturalizzato il testo, usando l’espressione più comune

in italiano. La prosecuzione del doppio ragionamento risulta però compromessa.

Carano, per ovviare a questa difficoltà, ha deciso di trasferire il gioco sul

verbo prendere, che viene ritorto contro Alice dalle parole del Cappellaio: “—Vuoi

Page 145: La Gran Natica dell'Aringa

133

dire che non puoi darne se mai, — disse il Cappellaio — ma prenderne un altro po’

è facilissimo se non ne hai avuto niente” (Carano, rr.13-20).

Corpus VII.03

AA, rr.4-45: (a) they were learning to draw ;

(b) “What did they draw?”

(c) Where did they draw the treacle from?

(d) You can draw water out of a water-well

(e) you could draw treacle ou t of a treacle-well

Anche qui abbiamo un gioco di parole basato sulla polisemia, sull’ambiguità

semantica del verbo draw. Questo gioco verrà continuato per alcuni capoversi, fino

alla pagina seguente.

Il passo, esaminato in Berretta (1982, p.232-3), è stato affrontato dai

traduttori in modi diversi. Data la prosecuzione del gioco all’interno del testo,

esamineremo qui la prima parte riservandoci di commentare l’intero passo in

VII.05.

Page 146: La Gran Natica dell'Aringa

134

a - b

{disegnare}

Bossi (imparavano a d i s e g na re rr.4-5; “Che cosa d i s e g navano?” rr.7-8)

D'Amico (stavano imparando a d i s e g na re rr.3-6; «E che d i s e g na vano?» rr.7-8)

Graffi (imparavano a d i s e g nar e rr.3-5: «Che cosa d i s e g navano?» rr.6-7)

draw

{tirar fuori}

Giglio (impararono a t i r a r f uor i rr.3-4; «Che cosa [t i ravano fuor i ]?» r.5)

Galasso e Kemeni (imparavano a t i ra r e su rr.4-6; — Cosa t i ra vano? rr.6-7)

Carano (stavano imparando a e s t ra r r e rr.3-5; — Cosa estraevano? rr.7-8)

ambiguità

Bianchi (stavano imparando a t r a r r e e a r i t ra r r e rr.3-6; «E che cosa t ra ev ano e r i t ra evano?»

rr.7-9)

Busi (stavano imparando a d i s e g nare s ch izz i , rr .4-7; “Sch izz i di che cosa?” rr.8-9)

c

draw

{tirar fuori}

Giglio (Da dove t i ravan f uor i la melassa? rr.25-27)

Galasso e Kemeni (Da dove t i r avano su la melassa? rr.27-29)

D'Amico (Da dove e s t ra evano la melassa? rr.27-29)

Carano (Da dove e s t ra evano la melassa? rr.29-31)

Bianchi (Da dove la t ra ev ano , la melassa? rr.30-33)

ambiguità

Bossi (Da dove a t t i ng evano p e r d i s e g nar e la melassa? rr.29-33)

Graffi (Da dove p r end evano la melassa per d i s e g na r la ? rr.30-34)

Busi (Da dove li p r end evano questi s ch izz i di melassa? rr.28-32)

Page 147: La Gran Natica dell'Aringa

135

d- e

draw out

{tirar fuori}

Bossi (Si può a t t i ng e r e l’acqua da un pozzo d’acqua [...] mi pare che si possa a t t i ng e r e la

melassa da un pozzo di melassa rr.34-46)

Giglio (Se da un pozzo d’acqua si t i ra f uor i l’acqua, [...] è chiaro che da un pozzo di melassa si

t i ra f uor i la melassa rr.28-38)

Galasso e Kemeni (Si può t i ra r su l’acqua da un pozzo d’acqua [...] penserei che è possibile

t i ra r su la melassa da un pozzo di melassa rr.30-42)

D'Amico (Come si e s t ra e l’acqua da un pozzo [...] si potrà e s t r a r r e la melassa da un pozzo di

melassa rr.30-38)

Carano (Tu e s t ra i l’acqua da un pozzo d’acqua, no? [...] perciò direi che tu puoi e s t ra r r e la

melassa da un pozzo di melassa rr.32-42)

Graffi (Sai come si p r ende l’acqua da un pozzo d’acqua? [...] Allo stesso modo p r end i la melassa

da un pozzo di melassa rr.35-46)

Bianchi (Se puoi t ra r r e l’acqua da un pozzo d’acqua [...] dovresti capire che puoi t ra r r e la

melassa da un pozzo di melassa rr.34-45)

ambiguità

Busi (Se si possono p r end er e s c h izz i d’acqua da un pozzo d’acqua [...] converrai che si potranno

anche p r end e r e s ch izz i di melassa da un pozzo di melassa rr.33-47)

Seguendo le indicazioni di Berretta (1982, p.232-3) possiamo notare come

nella maggior parte dei casi (con le eccezioni di Bianchi e Busi) i traduttori tendono

a scegliere di volta in volta un significato specifico di draw a seconda del contesto in

cui si trova, semplificando notevolmente il testo di arrivo rispetto all’originale.

Giglio, Galasso e Kemeni, e Carano cercano di mantenere una coesione testuale

Page 148: La Gran Natica dell'Aringa

136

usando sempre lo stesso termine non ambiguo, anche quando il contesto

richiederebbe l’altro termine.

Corpus VII.04

AA, rr.1-13: “But they were in the well,” [...] “Of course they were [...] —well in.”

Il gioco di parole questa volta è dato da uno scambio nell’ordine delle parole

tra in the well e well in, quindi ancora una volta sulla polisemia di well, come sostantivo

(“pozzo”) e come avverbio (“bene”, letteralmente “ben dentro”).

I traduttori hanno agito in quattro modi diversi:

A: “Ma erano dentro il pozzo,” [...] “Certo, [...] ben dentro.” (Bossi, rr.1-12); — Ma se le tre

sorelle erano in fondo al pozzo [...] —Certo che lo erano [...] e in fondo anche. (Galasso e

Kemeni, rr.1-14); «Ma loro erano già dentro al pozzo» [...] «Certo [...] ben dentro.»

(D'Amico, rr.1-13)

La traduzione letterale dell’espressione inglese non rende affatto il gioco di

parole dell’originale.

Page 149: La Gran Natica dell'Aringa

137

B: «Ma se erano in fondo al pozzo!» [...] «Certo che c’erano, e ci stavano bene!» (Giglio, rr.1-

15)

Questa versione non è letterale, ma ugualmente non rende il gioco di parole

dell’originale.

C: «Ma loro erano in fondo al pozzo» [...] «Certo [...] nel fondo profondo del pozzo» (Graffi,

rr.1-15); «Ma loro erano in fondo al pozzo» [...] «Certo che c’erano,[...]... in fondo al fondo

profondo» (Bianchi, rr.1-15)

In queste versioni il gioco è trasferito sulla ripetizione con variazione

semantica di fondo e profondo, che si avvicina del resto al significato dell’originale.

D: — Ma loro stavano dentro a un pozzo [...] — Certo che ci stavano [...] ...e gli piaceva un

pozzo! (Carano, rr.1-14); “Ma loro stavano dentro il pozzo!” [...] “Ma certo che stavano dentro

il pozzo, [...] non farmi uscire pozzo!” (Busi, 1-16)

In queste due versioni, il gioco di parole viene reso sempre su pozzo, ma in

due modi diversi. In Carano abbiamo la ripresa di pozzo in senso figurato nelle

parole del Ghiro (lo stesso gioco si sarebbe potuto fare per sacco, contenuto

Page 150: La Gran Natica dell'Aringa

138

nell’espressione mi piace un sacco). Nella versione di Busi invece abbiamo una

storpiatura, pozzo per pazzo, con scambio di vocale. Il gioco di parole acquista

significato anche perché ci troviamo in un contesto di pazzia dilagante, presente sin

dal titolo del capitolo.

Corpus VII.05

AA, rr.1-3: (a)“They were learning to draw,”

AA, rr.11-17: (b)“they drew all manner of things—everything that beg ins with an

M—”

AA, rr.40-58: “—that begins with an M, such as mouse-t raps, and the moon, and

memory, and muchness — you know you say ‘much of a muchness’ — did you ever see

such a thing as (c) drawing of a much of a muchness!”

Qui sono presenti due nodi per i traduttori. Il primo è la prosecuzione del

gioco di parole esaminato in VII.03, basato sulla polisemia del verbo draw.

Abbiamo questa situazione:

Page 151: La Gran Natica dell'Aringa

139

a - b

{disegnare}

Bossi (Imparavano a d i s e g nar e , [...] e d i s e g navano ogni sorta di cose rr.1-12

D'Amico (Imparavano a d i s e g nare [...] e d i s e g navano ogni genere di cose... rr.1-13)

Graffi (Imparavano a d i s e g na r e [...] e d i s e g navano ogni genere di cose, rr.1-13)

draw

{tirar fuori}

Giglio (Imparavano a t i ra r f uo r i [...] e t i ravano f uo r i cose di ogni genere, rr. 1-12)

Galasso e Kemeni (Stavano imparando a t i r a r su , [...] quindi t i r avano su cose di ogni sorta

rr.1-14)

Carano (Impararono ad e s t r a r r e , [...] Ed e s t r a s s e r o un sacco di cose rr.1-13)

ambiguità

Bianchi (Stavano dunque imparando a t ra r r e e a r i t r a r r e [...] e r i t ra evano ogni sorta di cose

rr.1-15)42

Busi (Imparavano a d i s e g nar e s ch izz i [...] e s ch izzavano cose di ogni genere rr.1-14)

c

{disegnare}

Bossi (hai mai visto il d i s e g no [...] rr.47-49)

D'Amico (avete mai visto il d i s e g no [...] rr.47-49)

Graffi (ti è mai capitato di vedere qualcosa che fosse il d i s e g no [...] rr.48-53)

draw

{tirar fuori}

Giglio (avete mai visto t i ra r f uo r i [...] rr.50-51)

Galasso e Kemeni (hai mai visto t i r a r su da un pozzo [...] rr.51-53)

Carano (hai mai visto un ’ e s t raz ion e [...] rr.47-49)

ambiguità Bianchi (Hai mai visto in vita tua il r i t ra t t o [...] rr.56-58)

Busi (Hai mai visto lo s ch izzo [...] rr.54-55)

42 Questa volta l’ambiguità è meno decisa, ma rimane nel trarre e ritrarre, legati da etimologia comune.

Page 152: La Gran Natica dell'Aringa

140

Come risulta dall’esame continuato dei due passi, le soluzioni scelte dai vari

traduttori sono piuttosto diversificate, oscillando da un massimo di ambiguità ad un

massimo di non ambiguità. È chiaro che il testo originale fondava il gioco di parole

proprio sul mantenimento dell’ambiguità di draw fino alla fine, tanto più che, come

vedremo, da essa dipende anche il crescendo di nonsense negli oggetti con la M che il

Ghiro nomina (AA, rr.43-47).

Basandoci anche su quanto esaminato in VII.03, possiamo stabilire il grado di

ambiguità nelle varie versioni.

VII.03 a-b VII.03 c VII.03 d VII.05 a-b VII.05 c

Bossi {disegnare} ambiguità {tirar fuori} {disegnare} {disegnare}

Giglio {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori} {disegnare} {disegnare} Galasso e Kemeni

{tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori}

D'Amico {disegnare} {tirar fuori} {tirar fuori} {disegnare} {disegnare}

Carano {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori} {tirar fuori}

Graffi {disegnare} ambiguità ambiguità {disegnare} {disegnare}

Bianchi ambiguità ambiguità {tirar fuori} ambiguità ambiguità

Busi ambiguità ambiguità ambiguità ambiguità ambiguità

Dunque abbiamo:

Page 153: La Gran Natica dell'Aringa

141

+ ambiguo — ambiguo

• • • • • Busi Bianchi Bossi-Graffi Giglio-D'Amico Galasso e Kemeni-Carano

Il secondo nodo riguarda invece le parole con la M che le tre sorelline che

vivevano in fondo al pozzo di melassa, nel racconto del Ghiro, drew (AA, rr.11-17,

e rr.40-47).

Il motivo per cui si tratta solo di cose con la M è spiegato dalla March Hare

(che inizia appunto per M): “Why with an M?” said Alice. “Why not?” said the March

Hare.

Nell’originale dunque, le cose che iniziano con la M sono: mouse-traps (AA,

r.43), moon (AA, r.45), memory (AA, r.46), muchness (AA, r.47). Tutti i traduttori

italiani della nostra analisi hanno accettato le premesse del Ghiro43, anche se non

tutti si sono comportati di conseguenza: D'Amico infatti ha tradotto letteralmente i

quattro termini non tenendo più conto dunque della condizione enunciata

precedentemente (D'Amico, rr.38-42; la traduzione di muchness pone problemi

diversi). 43 Potevano infatti scegliere un’altra lettera: nella sua traduzione in francese, Henri Parisot ha cambiato la M in L, lasciando invariato il termine lune (per moon) e mutando di conseguenza le altre parole.

Page 154: La Gran Natica dell'Aringa

142

Come si vedrà dalle scelte dei traduttori, la premessa del Ghiro (“everything that

begins with M”, AA, rr.15-17), vista attraverso le traduzioni, darà risultati diversi,

perché l’insieme delle “cose che iniziano con la M” saranno diverse da una lingua

all’altra44, una considerazione in linea con le idee di Lewis Carroll.

Delle prime tre parole indicate dal Ghiro, solo memory ha un corrispondente

letterale accettabile in italiano (memoria) che tiene conto delle premesse, e infatti

viene mantenuta in tutte le versioni italiane.

Per quanto riguarda le altre parole, dobbiamo esaminare separatamente le

prime due (mouse-traps e moon) e l’ultima (muchness).

L’atteggiamento dei traduttori di fronte a mouse-traps e moon è stato:

(a) attenzione al versante del significato (D'Amico)

(b) attenzione al versante del significante (Bossi, Giglio, Galasso e Kemeni,

Carano, Busi)

(c) tentativo di conciliare i due versanti (Graffi, Bianchi)

Per quanto riguarda la versione di D'Amico, ne abbiamo discusso sopra.

44 Posto che si tratti, nell’originale, delle “cose che iniziano con la M” nella lingua inglese. Ma, dato che la caratteristica esplicita di questo insieme ipotetico non specifica la lingua, si potrebbe intendere anche l’insieme di “tutte le cose che iniziano con la M in tutte le lingue del mondo”. Questo fatto assume un valore non trascurabile se si considerano le diverse traduzioni della nostra analisi. Anche la traduzione di D'Amico, vista in questa prospettiva, potrebbe essere valida. Ritengo però che in mancanza di specificazione della lingua, si debba tenere come punto di riferimento una singola lingua (l’inglese per l’originale, l’italiano per le traduzioni).

Page 155: La Gran Natica dell'Aringa

143

Nelle versioni che hanno privilegiato l’aspetto del significante, che hanno,

cioè tenuto fede alle condizioni del Ghiro (parole che iniziano con la M), senza

però badare al fatto che si possa trattare delle medesime parole dell’originale, la

libertà è comunque relativa.

Se esaminiamo i quattro termini che il Ghiro cita a mo’ di esempio, vediamo

che essi non sono stati scelti a caso.

Il primo, mouse-traps, ha un senso nel contesto in cui si trova, e può essere

plausibile per entrambi i sensi del verbo draw: le tre sorelline, per intenderci,

possono benissimo sia tirar fuori dal pozzo delle trappole per topi che disegnare delle

trappole per topi.

Il secondo termine, moon, invece ha senso solo se si attribuisce a draw il

significato di disegnare, visto che, nel mondo normale, non è possibile tirar fuori la

luna da un pozzo45, ma è possibile disegnarla.

Memory, con il corrispondente italiano memoria, e muchness, come vedremo

meglio sotto, invece sono totalmente nonsensical per qualsiasi dei due significati

vogliamo attribuire al verbo draw.

Abbiamo quindi una sorta di crescendo nonsensico, che dovrebbe essere

mantenuto anche in italiano, anche se si volesse tradurre più liberamente.

45 Si noti che la luna nel pozzo è un’espressione metaforica per illusione: è infatti, letteralmente, una sorta di illusione ottica che si infrange non appena si cerca di tirare fuori dal pozzo la luna (riflessa). In inglese c’è un’altra espressione per indicare le illusioni contenente un riferimento lunare: paper moon..

Page 156: La Gran Natica dell'Aringa

144

Vediamo quindi quali cose con la M sono presenti nelle versioni italiane in

corrispondenza di mouse-traps e di moon:

AA Mouse-traps - moon

Bossi Mattarelli - mare

Giglio Mano - misura - mela

Galasso e Kemeni Mosca - medaglia

Carano museruola - mondo

Busi macachi - meteoriti

L’ordine nonsensico non è stato rispettato da tutti i traduttori.

Graffi e Bianchi invece hanno cercato di coniugare entrambi i versanti,

mantenendo le condizioni esposte dal Ghiro e recuperando il significato

dell’originale. Graffi vi è riuscita solo in un caso (“montagna della luna” richiama moon,

mentre “mollica di pane” non ha alcun legame con mouse-traps). Bianchi vi è riuscito in

entrambi i casi: “mezzaluna” richiama moon, ed è tra l’altro un termine polisemico,

“macchine-mangia-topi” descrive in modo trasparente le mouse-traps.

Per quanto riguarda l’ultimo termine del Ghiro, muchness, la sua scelta non è

casuale. Si tratta infatti di una parola presente in un’espressione idiomatica trattata

come se designasse un oggetto. La frase in questione, much of a muchness (AA, rr.51-

Page 157: La Gran Natica dell'Aringa

145

52) corrisponde press’a poco al nostro “se non è pane è focaccia”, “se non è zuppa

è pan bagnato”.

Anche questa volta abbiamo riscontrato nelle varie traduzioni diversi

atteggiamenti.

Galasso e Kemeni, dopo aver inserito massa (r.46) in luogo di muchness (AA,

r.47), lasciano da parte questo termine continuano e traducono l’espressione much of

a muchness con la frase idiomatica corrispondente in italiano: “se non è zuppa è pan

bagnato” (rr.48-51). Questa soluzione appare del tutto inappropriata perché non

coglie l’aspetto fondamentale, lo spirito del testo originale. L’espressione risulta

lessicalmente sconnessa al testo che la precede e quindi non ha la sua ragion

d’essere all’interno della narrazione.

Nella versione di D’Amico, dopo moltitudine (r.42) abbiamo l’espressione

“molto di una moltitudine” (rr.45-47). È la traduzione letterale del modo di dire inglese.

Dal punto di vista testuale, l’errore sta nel fatto che l’espressione non ha alcun

senso in italiano, non ‘suona’ italiana, mentre in inglese la stessa espressione ha un

senso. Si potrebbe considerare come l’altra faccia dell’errore della versione di

Galasso e Kemeni.

Nel caso di Giglio (molta memoria, rr.37), Carano (metà di mille, r.33) e Graffi

(molteplicità, r.37) i termini scelti sono assurdi quanto l’originale, ma non sono inseriti

in un’espressione idiomatica riconosciuta. Nel caso di Giglio, molta memoria (rr.48-

49) è la somma degli ultimi due termini elencati (rr.44-45: memoria, molto...). Nella

Page 158: La Gran Natica dell'Aringa

146

versione di Carano abbiamo un’interessante trasferimento del gioco di ambiguità

semantica sul termine estrazione: infatti da metà di mille (rr.46-47), che il Ghiro

presenta ad Alice come modo di dire, si passa a: “hai mai visto un’estrazione di mille?”

(rr.49-50), quindi estrazione assume due sensi, uno come ‘atto dell’estrarre’, e quindi

derivato dal verbo draw, e l’altro, provocato dalla presenza del numero mille, di

‘estrazione dei numeri al lotto’. Nel caso di Graffi, si tratta di un termine che

richiama direttamente muchness.

Corpus VIII.01

AA, rr.1-3: First came ten soldi ers carrying c lubs

AA, rr.12-17: next the ten court ie rs : these were ornamented all over with diamonds

AA, rr.21-34: After these came the royal ch i ldren; [...] they were all ornamented with

heart s .

Questo passo ci dà modo di riflettere sul materiale utilizzato da Lewis Carroll

per la sua storia. Come appare chiaro dalle illustrazioni dello stesso autore (Carroll,

1929, p.65, 67 e 69), e da quelle dell’edizione definitiva ad opera di John Tenniel

(AA, pp.106 e 108), il sogno-incubo di Alice ha per protagonista un mazzo di carte

Page 159: La Gran Natica dell'Aringa

147

francesi. L’autore descrive i personaggi esattamente come se fossero carte da gioco,

e attribuisce ad ogni seme una caratteristica particolare46:

Semi delle carte in inglese

Traduzione letterale

Corrispondente dei semi delle

carte in italiano

Ruolo in Alice

Traduzione letterale

spades “vanghe” picche gardeners “giardinieri”

clubs “mazze” fiori soldiers “soldati”

diamonds “diamanti” quadri courtiers “cortigiani”

hearts “cuori” cuori royal children “infanti reali”

Come si vede dallo schema, nell’originale il ruolo dei diversi gruppi è

determinato dal significato letterale del nome del seme. All’inizio dello stesso

capitolo, avevamo incontrato per primi i giardinieri (gardeners, AA, p.105) che,

come si vede dall’illustrazione (AA, p.106) sono le picche (spades letteralmente

“vanghe”, dunque attrezzi da giardiniere). Nel passo che stiamo esaminando ora,

troviamo i soldati (soldiers, AA, r.2), che sono del seme di fiori e portano delle 46 Cfr. AA, p.107, nota 1: “Among the spot cards the spades are the gardeners, the clubs are the soldiers, diamonds are courtiers, and the hearts are the ten royal children. The court cards are of course members of the court. Note how cleverly throughout this chapter Carroll has linked the behavior of his animated cards with the behavior of actual playing faces. They lie flat on their faces, they cannot be identified from their backs, they are easily turned over, and they bend themselves into croquet arches.” L’assegnazione di un ruolo particolare ai vari semi delle carte è stata ripresa da Jostein Gaarder nel romanzo L’enigma del solitario.

Page 160: La Gran Natica dell'Aringa

148

mazze (clubs, AA, r.3, letteralmente “mazze”, “bastoni”). I cortigiani (courtiers,

AA, r.13) sono i quadri (diamonds, AA, r.17, letteralmente “diamanti”), seguiti

dagli infanti reali (royal children, rr.23-24) che sono i cuori (hearts, AA, r.34)47.

È chiaro che il problema principale per i traduttori italiani sta

nell’adattamento dei nomi inglesi delle carte. I giardinieri, del seme di picche, e i

soldati, del seme di fiori, risultano ‘fuori posto’ a qualsiasi lettore italiano che

conosca le carte francesi. Se Carroll fosse stato italiano, per intenderci, avrebbe

assegnato alle picche l’esercito48 e ai fiori la cura del giardino. Per quanto riguarda i

quadri, la forma del seme può richiamare il diamante anche al lettore italiano, anche

se, per comprendere immediatamente il testo, il lettore dovrebbe sapere che in

inglese diamonds corrisponde ai quadri.

I traduttori delle versioni in esame hanno tenuto due atteggiamenti diversi.

Alcuni hanno cercato di adattare i nomi dei semi non equivalenti (clubs e

diamonds; spades non compare esplicitamente nel testo, ma il suo significato dipende

dalla traduzione di clubs) mediante gli equivalenti delle carte regionali49, spiegando

(in qualche caso) il testo in nota50. Notiamo però che per hearts tutti i traduttori

47 Si noti anche che la presentazione dei quattro semi avviene dal seme di minor valore (picche) a quello che ha il valore massimo (cuori). 48 Le picche sono infatti delle armi. Tra l’altro il termine ha una connotazione negativa (rispondere picche). 49 Ad esempio, Graffi, nella nota al testo (p.133, nota 77), dichiara di aver usato i termini delle carte bergamasche. 50 Non tutte le edizioni da noi esaminate prevedono note al testo.

Page 161: La Gran Natica dell'Aringa

149

hanno usato l’esatto corrispondente italiano, cuori, che è seme delle carte francesi

(non di quelle regionali italiane).

AA CLUBS (r.3) DIAMONDS (r.17) Bossi bastoni (r.5) diamanti (r.19)

Giglio bastoni (r.6) diamanti (r.20)

Galasso e Kemeni bastoni (r.6) diamanti (r.20)

D'Amico mazza (r.4) diamanti (r.18)

Graffi bastoni (r.5) danari (r.20)

Bianchi bastoni (r.5) quadri di diamanti (r.22-23)

In questo gruppo, tutte le traduzioni per clubs appartengono al campo

semantico “carte regionali italiane”51, mentre per diamonds abbiamo o traduzioni

letterali (diamanti), o il corrispondente nelle carte regionali italiane (bergamasche:

danari), o una sorta di seme ibrido tra carte francesi e regionali italiane (quadri di

diamanti).

Per tutti i traduttori di questo gruppo il risultato è un testo incoerente che

lascia disorientato il lettore e non gli consente di visualizzare immediatamente i

personaggi come carte da gioco.

51 Si noti, tra l’altro, che l’ordine di valore dei semi per le carte regionali italiane (almeno nelle carte siciliane) è mazze - spade - coppe - danari, corrispondente a picche - fiori - quadri - cuori. Quindi nelle traduzioni sotto esame non vi è corrispondenza tra i due sistemi di carte.

Page 162: La Gran Natica dell'Aringa

150

Altri traduttori (Carano e Busi) hanno scelto invece di adattare i nomi italiani

delle carte francesi, sostituendo però picche a fiori, il corrispondente esatto di clubs,

per le ragioni cui accennavo sopra. Il risultato è un testo più coerente dal punto di

vista semantico.

AA CLUBS DIAMONDS Carano picche (r.4) diamanti (r.16) Busi picche (r.4) “tutti inquadrati dalla testa ai piedi” (rr.15-7)

In entrambi i casi, dunque, si tratta di un compromesso, anche perché, a

seconda che le illustrazioni siano o no presenti nelle varie edizioni, in realtà il

lettore dovrebbe già sapere di che si tratta, il gioco è scoperto.

Busi, in questo senso, è stato il traduttore che ha potuto permettersi la

maggiore libertà e allo stesso tempo presentare un testo più coerente: l’assenza di

illustrazioni (che per altri versi è un controsenso per un libro come Alice52), gli ha

consentito di portare il lettore dove vuole il testo italiano, salvo poi metterlo a

confronto con l’originale53.

52 Cfr. AA, p.25: ‘ “and what is the use of a book, [...] without pictures or conversations?” 53 L’edizione Feltrinelli ha il testo a fronte.

Page 163: La Gran Natica dell'Aringa

151

Corpus VIII.02

AA, rr.1-8: “Are their heads off?” [...]“Their heads are gone, if it please your Majesty!”

In questo scambio di battute tra la Regina di Cuori e i soldati incaricati di

decapitare i giardinieri, l’ambiguità della risposta dei soldati è espressa in modo

sottile. Dopo che la Regina aveva condannato i giardinieri, Alice li aveva

prontamente nascosti in un vaso di fiori per salvarli. I soldati cominciano a cercare i

condannati, ma ben presto smettono. Quando la terribile Regina di Cuori chiede

loro se hanno eseguito la decapitazione, loro non mentono, perché rispondono che

“le loro teste se ne sono andate”, il che è vero, ma non nel senso che intende la

Regina.

Questo aspetto di sottile ambiguità è stato colto e trasferito in italiano solo da

tre traduttori degli otto esaminati. Gli altri cinque non sembrano neanche essersi

accorti dell’ambiguità presente nel testo, e hanno attribuito ai soldati parole esplicite

(come in Bossi, rr.5-7 e D'Amico, rr.5-6) che falsano il testo di partenza in modo

grave. I soldati non rispondono in modo diretto, ma con un giro di parole, che

permette loro di salvarsi dalle ire della Regina senza ammettere il vero.

Graffi (rr.1-8), Bianchi (rr.1-8) e Busi (rr.1-5) hanno colto la sottigliezza

dell’espressione dell’originale e l’hanno resa con diversi giri di parole.

Page 164: La Gran Natica dell'Aringa

152

Corpus IX.01

AA, rr.19-33: “He might bi te ,” Alice cautiously replied, not feeling at all anxious to have the

experiment tried. / “Very true,” said the Duchess: “f lamingoes and mustard both bite . [...]”

AA, rr.36-39: ‘Birds of a feather f l ock together.’

AA, rr.63-73: “there’s a large mustard-mine near here. And the moral of that is — ‘The

more there i s o f mine, the l ess i s o f yours.’ ”

In questo passo troviamo tre nodi carrolliani per il traduttore.

Il primo riguarda la traduzione di bite in AA, r.20 e r.33. Nel testo originale il

pun è dato (ancora una volta) dalla polisemia del verbo bite, che si usa sia come

l’italiano mordere, beccare (riferito ad animali o persone), sia come pizzicare, bruciare

(riferito ad un cibo piccante54).

Nelle traduzioni italiane troviamo atteggiamenti diversi per le due occorrenze

di bite.

54 Tra l’altro il verbo piccare, da cui deriva il participio presente piccante, è usato come ‘pungere sul vivo’: deriva dalla picca, o pica, cioè ‘gazza’.

Page 165: La Gran Natica dell'Aringa

153

{beccare}

Bossi: “Potrebbe be c care” (rr.21-22)

Giglio: «Potrebbe be c care» (rr.18-19)

Galasso e Kemeni: — Potrebbe darle una bec cata (rr.22-24)

“He might bite”

(AA,r.13) {pizzicare}

D'Amico: «Potrebbe pizzicar la» (rr.19-20)

Graffi: «Le potrebbe dare una pizz ica ta col becco» (rr.18-21)

Bianchi: «Può darsi che pizz ichi» (r.21-22)

Busi: “Pizzica” (r.18)

{mordere} Carano: — Potrebbe mordere (rr.17-18)

Tra i verbi italiani utilizzati per tradurre il verbo bite in AA, r.20, non tutti

hanno la stessa estensione semantica del verbo inglese: solo pizzicare può essere

usato anche per i cibi. Allo stesso tempo, beccare è sinonimo di pizzicare in uno dei

suoi sensi. Mordere è invece più specifico.

La situazione cambia se esaminiamo la seconda occorrenza di bite, dove il

verbo è riferito sia ad un animale sia ad un cibo.

Page 166: La Gran Natica dell'Aringa

154

“flamingoes and

mustard both

bite” (rr.31-33)

{pizzicare}

Bossi: I fenicotteri e la senape pizzi cano tutt’e due. (rr.34-38)

Giglio: I fenicotteri e la mostarda pizzi cano . (rr.30-33)

Galasso e Kemeni: fenicotteri e mostarda sono due cose che pizzicano (rr.34-38)

D'Amico: i fenicotteri pizzicano , come la mostarda (rr.32-35)

Graffi: i fenicotteri pizzicano , come la senape (rr.31-35)

Bianchi: i fenicotteri pizzicano come la senape (rr.32-35)

Busi: fenicotteri e mostarda pizzicano entrambi (rr.27-31)

{mordere} Carano: I fenicotteri e la senape mordono entrambi. (rr.27-31)

Naturalmente, solo le versioni che hanno in entrambe le occorrenze il verbo

pizzicare (D'Amico, Graffi, Bianchi e Busi) danno al lettore la sensazione di un testo

coerente e scorrevole, mentre le versioni in cui viene usato un sinonimo (Bossi,

Giglio, Galasso e Kemeni) costringono il lettore a riflettere sulle parole, cioè a

scoprire il gioco di parole, svelandone il meccanismo (e quindi, in definitiva,

sciogliendolo). Carano usa un verbo che non si adatta ad entrambi i sensi voluti

dall’autore, e il testo risulta ‘inceppato’.

Il secondo nodo è dato da uno dei numerosi proverbi della Duchessa: “Birds

of a feather flock together” (AA, rr.30-39). Si tratta di un proverbio realmente in uso in

Inghilterra55, che, tradotto letteralmente, suona “uccelli di una (stessa) piuma fanno

stormo insieme”, ovvero, con un’espressione corrispondente in italiano, una via di 55 Cfr. The Concise Oxford Dictionary of Proverbs.

Page 167: La Gran Natica dell'Aringa

155

mezzo tra “chi s’assomiglia si piglia” e “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.

Nel contesto in cui si trova, questo proverbio è motivato dalla presenza di flamingoes,

che sono uccelli: Alice farà poi notare alla Duchessa “Only mustard isn’t a bird”

(AA, rr.40-42). Quindi le traduzioni italiane dovrebbero conservare, nel riportare il

proverbio, sia il suo senso che la presenza di birds (“uccelli”).

Vediamo come si sono comportati i traduttori.

A: Uccelli d’una penna stanno insieme (Bossi, rr.40-43); Gli uccelli della stessa specie vanno a

stormi (Giglio, rr.35-39)

Si tratta della traduzione letterale, non trasformata in una espressione

proverbiale corrente in italiano.

B: «gli uccelli della stessa risma se la fanno coi loro pari» (Galasso e Kemeni, 41-45); Gli

uccelli della stessa covata, fan sempre rimpatriata (Carano, rr.34-38); Uccelli della stessa covata

fan sempre rimpatriata (Busi, rr.32-36)

In queste versioni viene tradotto letteralmente birds, adattando il proverbio

(nel senso e nella forma) alla lingua italiana. Si noti che Busi ha utilizzato la stessa

espressione utilizzata da Carano.

Page 168: La Gran Natica dell'Aringa

156

C: Dio li fa e poi li accoppia (D'Amico, rr.37-39); Chi si rassembra, s’assembra (Graffi,

rr.37-39)

In queste versioni viene reso il senso del proverbio con un’espressione

proverbiale corrispondente in italiano, non tenendo conto però della presenza di

birds. Si noti che la Graffi ha utilizzato per questo proverbio la traduzione di

Pietrocola-Rossetti56 del 1872.

D: “Dio li fa e poi li accoppia” e “La mamma fa l’uccello ma la piuma lo fa bello” (Bianchi,

rr.39-45)

Bianchi ha scelto di scindere il proverbio dell’originale in due espressioni

italiane, conservando nella prima il senso del detto inglese e nella seconda il

riferimento a uccello, che serve per proseguire la narrazione.

Il terzo nodo è dato da una ‘morale’ (questa volta tutta farina del sacco della

Duchessa) che contiene un pun legato a mustard-mine (AA, rr.65-66). La morale

sarebbe: “The more there is of mine, the less there is of yours” (AA, rr.69-73), che

letteralmente vorrebbe dire ‘Più ce n’è del mio, meno ce n’è del tuo’ (una sorta di

mors tua vita mea), ma la cui ragion d’essere sta nell’omofonia (e omografia) tra mine,

56 Cfr. Graffi, p.134, nota 89.

Page 169: La Gran Natica dell'Aringa

157

“miniera” (r.66) e mine, “mio” (pronome possessivo, r.71) in opposizione a yours

(r.73). Anche qui gli atteggiamenti sono stati diversi, dalla traduzione letterale

all’adattamento con creazione di un gioco di parole che richiami l’originale.

A: Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo (Bossi, rr.74-77; D'Amico, rr.67-69); Più ne avrai

tu, meno ne avrò io! (Giglio, rr.57-59); Più ce ne sarà per me, meno ce ne sarà per te (Galasso

e Kemeni, rr.67-71)

Si tratta della traduzione letterale, che però risulta fuori luogo, dal punto di

vista linguistico, rispetto all’espressione dell’originale, non essendo collegata al testo

che la precede. In Giglio notiamo un rovesciamento dell’espressione, che lascia

però inalterato il senso delle parole della Duchessa.

B: Un filone per uno non fa male a nessuno (Carano, rr.66-69)

Qui c’è sia il riferimento a filone, semanticamente legato a minerale (Carano,

rr.51-52) e già presente nelle parole della Duchessa (qui vicino c’è un vasto filone di

senape, rr.61-64), sia il senso dell’originale, espresso a mo’ di proverbio, con tanto di

rima interna (uno - nessuno). Non vi è gioco di parole, ma la traduzione risulta

appropriata al testo.

Page 170: La Gran Natica dell'Aringa

158

C: La miniera è la maniera di gabbar la gente intiera (Graffi, rr.69-73); Più è mia la miniera,

più è sua la saliera (Bianchi, rr.79-82); Più ce n’è per me, meno cene per te (Busi, rr.66-69)

In queste versioni, i traduttori hanno cercato di riprodurre il gioco di parole

presente nell’originale, anche se non hanno usato lo stesso meccanismo.

Graffi (che anche per questo proverbio si è rifatta alla versione di Pietrocola-

Rossetti57) gioca con lo scambio vocalico (miniera - maniera) e con la rima (maniera

- intiera).

Bianchi58 basa il gioco sull’allitterazione parallela (mia : miniera = sua :

saliera), riportando anche il senso delle parole della Duchessa nell’originale.

Busi ricostruisce il pun sulla quasi omofonia ce n’è (/ʧe’nɛ/) - cene (/’ʧɛne/),

riproducendo il senso dell’espressione inglese.

57 Cfr. Graffi, p.134, nota 90. 58 Lo stesso traduttore dà una spiegazione della sua versione in nota (Bianchi, p.147, nota 6).

Page 171: La Gran Natica dell'Aringa

159

Corpus IX.02

AA, rr.13-29: The mast er was an old Turtle — we used to call him Tortois e — [...]

because he taught us

Anche qui Carroll gioca con l’omofonia di Tortoise (/’tɔ:təs/) e taught us

(/’tɔ:təs/): il gioco è particolarmente divertente perché nel testo si dice che il

personaggio così denominato è un maestro (master)59. Tra turtle e tortoise passa la

stessa differenza che c’è tra tartaruga e testuggine, la prima indicando soprattutto la

specie marina e la seconda la specie terrestre. La traduzione di questo gioco di

parole comporta non solo la difficoltà di rendere il pun, ma anche quella di tradurre

adeguatamente il termine master, tenendo conto dei riferimenti culturali del testo

originale60.

Innanzitutto vedremo come si sono comportati i traduttori di fronte alla

frase: “The master was an old Turtle” (AA, rr.13-16):

A: Il maestro era una vecchia Testuggine (Bossi, rr.16-19); Il maestro era una vecchia

Tartaruga (D'Amico, rr.13-16)

59 Gardner (AA, pp.127-8, nota 7) ci informa che Lewis Carroll utilizzò lo stesso pun nell’articolo “What the Tortoise said to Achilles”, Mind, April 1895. 60 Si tratta di una rievocazione del mondo di Oxford da parte di due ex allievi nostalgici.

Page 172: La Gran Natica dell'Aringa

160

In queste versioni si ha una incongruenza grammaticale data dalla non

concordanza tra maestro (sostantivo maschile) e vecchia Testuggine/Tartaruga (aggettivo

e sostantivo femminile).

B: Il nostro maestro era un caro vecchio esemplare di Tartaruga (Graffi, rr.16-21), Il maestro

era un vecchio Tartarugone (Bianchi, rr.13-16)

Qui la concordanza è preservata e viene così mantenuto anche maestro,

culturalmente più accettabile del femminile maestra. In Graffi, viene utilizzato il

sostantivo maschile esemplare, che relega Tartaruga ad una sorta di cognome, non

indicante il genere. Bianchi invece utilizza l’accrescitivo di tartaruga, che in italiano

trasforma il sostantivo da femminile in maschile (potenza della lingua!).

C: La maestra era una vecchia Tartaruga (Giglio, rr.14-17; Galasso e Kemeni, rr.14-17;

Carano, rr.14-17; Busi, rr.15-18)

Qui i traduttori trascurano l’aspetto culturale, attualizzando il testo (è più

comune maestra che maestro) e dando maggiore importanza a Tartaruga, che sarà il

punto di partenza per il pun.

Page 173: La Gran Natica dell'Aringa

161

Il nodo vero e proprio naturalmente è costituito dal pun. Notiamo

innanzitutto che non tutti i traduttori hanno scelto di giocare su “testuggine”: nella

versione di Bossi abbiamo Tartaruga (rr.21-22) e in Bianchi Cefalo (rr.18-19) laddove

nell’originale avevamo Tortoise (r.19). Questa sostituzione è ovviamente legata al

gioco di parole. Esaminiamo allora direttamente la punchline, nell’originale al r.13, in

cui possiamo riscontrare diversi atteggiamenti da parte dei traduttori.

A: “Lo chiamavamo Testuggine perché ci dava i l ibr i di testo”(D'Amico, rr.24-28); «Lo

chiamavamo Testuggine perché si intestardiva a farci leggere dei t es t i che erano una

tet raggine.» (Graffi, rr.31-38); “Testuggine, perché a forza di te st t i faceva veni re

la rugg ine, no?” (Busi, rr.27-32)

I traduttori hanno mantenuto il gioco su Testuggine, esatto corrispondente di

Tortoise, anche se il meccanismo non è quello del pun. In D'Amico abbiamo quasi

una falsa etimologia (come se “testuggine” venisse da “testo”). Nel caso di Graffi e

di Busi, invece, testuggine è trattata quasi come una portmanteau word, in cui sono

riconoscibili i “testi che erano una tetraggine” (Graffi) o colui che “a forza di test

ti faceva venire la ruggine” (Busi).

Page 174: La Gran Natica dell'Aringa

162

B: “Lo chiamavamo Tartaruga perché aveva tante rughe” (Bossi, rr.28-32); «Lo

chiamavamo Cefalo perché quando ci spiegava ci fac eva venire la ce falea» (Bianchi, rr.20-

4)

Qui, come è stato anticipato sopra, il vocabolo corrispondente al testo

originale è stato sostituito da un vocabolo che consentisse un gioco di parole più

adatto alla versione italiana, secondo il traduttore. E quindi abbiamo in Bossi

Tartaruga per assonanza con tante rughe (è capitato di sentire dei bambini pronunciare

‘tantaruga’ per ‘tartaruga’), e in Bianchi Cefalo per assonanza con cefalea.

C: «La chiamavamo Testuggine perché era la maestra» (Giglio, rr.19-21); —La chiamavamo

Testuggine perché era lei che insegnava (Galasso e Kemeni, rr.22-6)

La traduzione letterale, ancora una volta, non rende giustizia al testo originale,

eliminando il pun e lasciando così il lettore a bocca asciutta.

D: E non lo capisci da sola? Testuggine, no? (Carano, rr.23-5)

In questa versione abbiamo la rinuncia a rendere in una maniera qualsiasi sia

il pun che il senso del testo di partenza. Il lettore viene privato di una parte

importante del testo di partenza. Il gioco di parole non viene neanche segnalato.

Page 175: La Gran Natica dell'Aringa

163

Corpus IX.03

i. AA,rr.5-6: Reel ing and Writhing ;

ii. rr.16-20: Ambition, Distra ct ion, Ugli f i cat ion, Deri s ion ;

iii.rr.78-96: Mystery, ancient and modern, with Seaography: then Drawling [...]

Drawl ing, Stret ching, and Fainting in Coil s .;

iv. rr.127-128: Laughing and Grie f

Si tratta del celebre elenco delle materie studiate dalla Mock Turtle nella scuola

sotto il mare da lei frequentata in gioventù. Come appare evidente al lettore inglese,

sotto gli strani nomi delle materie di questo elenco si nascondono le materie di

studio facenti parte del curriculum della scuola dell’epoca, che sono poi, in gran

parte quelle di ora61. Le varie ‘materie’ sono presentate per gruppi.

Con le seguenti tabelle cercherò di evidenziare il significato delle parole come

le si ritrova nel testo originale e i riferimenti alle materie reali.

Le parole scelte da Carroll, oltre a richiamare direttamente le materie di

studio, evocano anche un significato più tragico, con un’ironia evidente per

chiunque abbia veduto gli sforzi dei piccoli scolari alle prese con le lettere ed i

numeri.

61Il passo è stato esaminato in Lecercle, 1994, pp.65-7.

Page 176: La Gran Natica dell'Aringa

164

Leggere, sembra dirci Carroll, è pericolosamente vicino (nel suono, ma non

solo) a rotolarsi; scrivere, al contorcersi. Le branche dell’Aritmetica non

promettono nulla di buono: solo ambizione, distrazione, come rendere brutte le

cose, derisione. La storia è meglio chiamarla mistero. La geografia diventerà, in una

scuola sottomarina, per forza ‘marografia’. Le materie artistiche si risolvono in

esercitazioni nello strascicamento, nello stiramento e, soprattutto, nello svenimento,

a spirale, naturalmente. Ed infine, le materie del classico: latino e greco, gioie e

dolori delle lingue (morte).

Esaminiamo le soluzioni che i traduttori hanno trovato per i singoli gruppi di

materie.

AA

traduzione letterale

(Giglio62)

traduzione letterale (Graffi63)

traduzione letterale

(Bianchi64)

riferimento alle materie

di studio

corrispondente italiano

i Reeling (/’ri:lɪŋ/)

scansare rotolarsi avvolgere, arrotolare

Reading (/’ri:dɪŋ/)

leggere

Writhing (/’raiðɪŋ/)

arricciare (il naso)

raggrinzirsi contorcersi, dibattersi

Writing (/’raɪdɪŋ/)

scrivere

62 p.128, nota 75. 63 p.135, nota 97. 64 pp.147-8, nota 13.

Page 177: La Gran Natica dell'Aringa

165

i.A: la Gran natica dell’Aringa (Bossi, rr.10-11); imparavamo a scrivere con pinna e calamaro

gli alimenti fondamentali dell’orto-grafia: pomi, poponi, additivi, vermi e avvermi (Carano, rr.7-

17)

Si tratta di una libera rielaborazione sul tema ‘leggere e scrivere’. Nel caso di

Bossi, si riconosce sotto la Gran natica dell’Aringa la ‘grammatica della lingua’ (con

scambio consonantico tra /n:/ e /m:/ e assonanza tra ‘dell’aringa’ e ‘della lingua’).

Carano ha sostituito alla coppia dell’originale una serie di puns: ‘pinna e

calamaro’ per ‘penna e calamaio’, ‘alimenti’ per ‘elementi’, e, introdotte dal titolo di

‘orto-grafia’, le parti del discorso: ‘pomi’ per ‘nomi’, ‘poponi’ per ‘pronomi’,

‘additivi’ per ‘aggettivi’, ‘vermi’ per ‘verbi’ e ‘avvermi’ per ‘avverbi’.

Le sostituzioni sono divertenti, e anche azzeccate (storpiature del genere non

sono poi così infrequenti), anche se non portano a riflettere più di tanto sul sistema

scolastico vittoriano.

i.B: le locali e le consolanti (Giglio, rr.5-7); a scansare le locali e arricciare le consolanti (Busi,

rr.7-11)

Il riferimento qui non è più quello dell’originale, ‘leggere e scrivere’, ma il

gioco rimanda a ‘vocali e consonanti’. In Busi, che riprende in modo evidente la

Page 178: La Gran Natica dell'Aringa

166

versione di Giglio65, vi è il tentativo di recuperare il testo originale, associando al pun

vero e proprio un verbo che richiama semanticamente il vocabolo scelto da Carroll.

i.C: a suggere e a stridere (Graffi, rr.5-6)

Il meccanismo usato dalla traduttrice è analogo all’originale: con una lieve

modificazione fonica, si ottengono due termini esistenti (‘suggere’ e ‘stridere’) che

ne suggeriscono altri (‘leggere’ e ‘scrivere’). I termini, usati in questa collocazione,

assumono così sia il senso proprio che il senso evocato.

i.D: Eleggere ed Escrivere, (Galasso e Kemeni, rr.5-6); a Eleggere e Ascrivere (Bianchi,

rr.9-10)

Anche qui i traduttori hanno utilizzato vocaboli molto vicini, nel suono, a

quelli richiamati (‘leggere e scrivere’). In Bianchi, rispetto alla versione di Galasso e

Kemeni, troviamo un aspetto interessante di ‘ri-segmentazione’ del suono: si

confronti infatti /ae’lɛʤ:erea’skrivere/ (‘a Eleggere e Ascrivere’) con

/a’lɛʤ:erea’skrivere/ (a leggere e a scrivere).

65 Cfr. la traduzione delle materie nella nota di Giglio, riportata nella tabella.

Page 179: La Gran Natica dell'Aringa

167

i.E: Rotolamento e Grinze (D'Amico, rr.5-6)

La traduzione letterale non rende giustizia al testo originale. Infatti ‘Reeling’ e

‘Writhing’ avevano la loro ragion d’essere per il fatto che richiamavano direttamente

le materie scolastiche, mentre in italiano non accade lo stesso, ed il testo risulta

perciò sicuramente bizzarro, ma senza motivazione linguistica.

AA

traduzione letterale

(Giglio66)

traduzione letterale (Graffi67)

traduzione letterale

(Bianchi68)

riferimento alle materie di

studio

corrispon-dente

italiano ii Ambition ambizione ambizione ambizione Addition addizione

Distraction distrazione distrazione distrazione turbamento

pazzia Subtraction sottrazione

Uglification abbruttire “rendere brutto” “deturpare” Multiplica-tion moltiplica-

zione Derision derisione derisione derisione Division divisione

Le traduzioni italiane riportano senza problemi le varianti ‘sottomarine’

dell’addizione (=Ambizione) e della divisione (=Derisione). Si noti che i nomi delle

quattro operazioni sono di derivazione latina, e questo facilita, in un certo senso, il

compito del traduttore, almeno dal punto di vista fonetico. Per le altre due

operazioni, Distraction e Uglification, i traduttori hanno scelto soluzioni diverse. 66 p.128, nota 75. 67 p.135, nota 97. 68 pp.147-8, nota 13.

Page 180: La Gran Natica dell'Aringa

168

DISTRACTION

ii.A: Distrazione (Bossi, r.19; Galasso e Kemeni, r.15; D'Amico, rr.16-17; Graffi,

rr.17-18; Bianchi, r.18)

È la traduzione letterale, ma solo in apparenza. In realtà, il termine italiano

non copre perfettamente tutti i significati dell’originale: lascia fuori il significato di

turbamento, pazzia, che indubbiamente è carico di ironia nel testo originale.

La traduzione italiana, però, porta altre connotazioni, anche queste ironiche.

Infatti, nel gergo giuridico si parla di distrazione per indicare “storno, detrazione (di

denaro, di beni)69”, quindi, ancora una volta di sottrazione (indebita). In italiano,

dunque, la distrazione è sottrazione (e viceversa). L’ironia si ritrova pensando che

imparare a fare le sottrazioni/distrazioni equivale a imparare a rubare.

Non intendo qui dimostrare che i traduttori che hanno scelto questa

soluzione abbiano pensato a questa connotazione secondaria (che può essere colta

prevalentemente da lettori adulti), ma vorrei porre l’attenzione sul fatto che è la

lingua stessa ad aggiungere significati alle parole che usiamo, indipendentemente

dalla nostra volontà, o dalla volontà dell’autore.

69 Devoto-Oli.

Page 181: La Gran Natica dell'Aringa

169

ii.B: Sostazione (Giglio, r.14-15); Soggezione (Busi, rr.18-19)

In queste versioni, i traduttori hanno tenuto come punto di riferimento il

nome italiano dell’operazione aritmetica, sottrazione. I termini scelti richiamano il

corrispondente ‘reale’ in modo più diretto rispetto all’originale. In Busi abbiamo dei

riferimenti ironici (a scuola si impara la soggezione...), mentre Giglio sceglie un

termine non esistente perché su di esso giocherà il suo Grifone (nell’originale

invece il Grifone gioca su Uglification).

ii.C: Diffidenza (Carano, rr.25-26)

Il riferimento scelto da Carano è differenza, sinonimo italiano di sottrazione, che

corrisponde a diffidenza. Anche qui l’elemento ironico è evidente (a scuola si impara

la diffidenza...).

UGLIFICATION

ii.A: Stortificazione (Bossi, rr.26-27)

Il richiamo verso moltiplicazione è dato dalla rima; il termine usato richiama nel

senso il termine dell’originale.

Page 182: La Gran Natica dell'Aringa

170

ii.B: Mortificazione (Giglio, rr.15-16; Busi, r.19-20); Mistificazione (Carano, rr.26-27);

Maleficazione (Bianchi, rr.19-20)

Qui il richiamo verso moltiplicazione è più marcato. Si noti come mortificazione

per moltiplicazione richiama i difetti di pronunzia dei bambini italiani (/rt/ per /lt/).

ii.C: Imbruttificazione (Galasso e Kemeni, rr.16-17) Bruttificazione (D'Amico, rr.18-19)

Bruttificazione (Graffi, rr.18-19)

Queste versioni riportano la traduzione letterale del termine presente nel

testo originale. Ciò implica un allontanamento dal riferimento all’operazione

aritmetica, richiamato soltanto dalla rima.

Page 183: La Gran Natica dell'Aringa

171

AA traduzione

letterale (Giglio70)

traduzione letterale (Graffi71)

traduzione letterale

(Bianchi72)

riferimento alle materie di

studio

corrispon-dente italiano

iii Mystery mistero mistero mistero History storia

Seaography */si:’ɒgrəfɪ/

“mareo- grafia”

neologismo costruito su sea

(mare)

“studio del mare”

Geography */ʤi:’ɒgrəfɪ/

geografia

Drawling /"drɔ:lɪŋ/

pronunciare stiracchiarsi strascicare le parole73

Drawing /"drɔ:ɪŋ/

disegno

Stretching /’streʧɪŋ/

distendersi stirarsi tirare, tendere, stendersi

Sketching /’skeʧɪŋ/

bozzetto, schizzo,

tratteggio

Fainting in coils

svenire in spirale

svenimento a spirale

svenire, languire tra le

spire

Painting in oils pittura ad olio

Per questo gruppo di materie, i traduttori hanno scelto di tradurre il termine

del testo di Carroll, già parodiato, oppure di ricreare una parodia nella lingua di

arrivo.

70 p.128, nota 76. 71 p.135, nota 97. 72 p.148, nota 14. 73 Si tratta della tipica pronunzia strascicata degli studenti di Oxford.

Page 184: La Gran Natica dell'Aringa

172

AA Mystery Seography Drawling Stretching Fainting in coils

Bossi Scoria Algheografia Disdegno Scherzo Frittura a ScoglioGiglio Scoria Mareografia Disdegno frittura su tela pesce affresco Galasso e Kemeni Mistero Mareografia Sdegno Schizofrenia Svenimento nelle

resse

D'Amico Mistero Marografia Trascinamento Stiramento Svenimento spirale

Carano Osteria Gelografia Dissenno Guazzetti74 Fritture a Olio; affrescare soffritti

Graffi Sottostoria Ondografia Segno a strascico Stiracchiatura Scarto con l’Inchino

Bianchi Scoria Cielografia Disdegno Calore Puntura a Scoglio

Busi Scoria Mareografia Disdegno Frittura su tela Findus affresco alla mia maniera

Per quanto riguarda Mystery, alcuni traduttori hanno prediletto la versione

letterale del termine presente in AA (Galasso e Kemeni, D'Amico), mentre la

maggior parte (Bossi, Giglio, Bianchi, Busi; Carano) ha ricreato il pun, parodiando il

nome italiano di History = storia, con uno scambio consonantico (/"skorja/ per

/"storja/) o con l’assonanza.

Per il termine inventato Seography, ottenuto mediante un semplice scambio

consonantico, alcuni traduttori (Giglio, Galasso e Kemeni, D'Amico, Busi) hanno

scelto di tradurre letteralmente le parti morfologiche di cui si compone (sea, ‘mare’, 74 Dal Devoto-Oli: “guazzetto, s.m. Cottura o pietanza in umido, con abbondante sugo brodoso: baccalà in g.”. ma il gioco evoca anche il termine francese per “tempera”, gouache.

Page 185: La Gran Natica dell'Aringa

173

opposto a geo-, prefisso per ‘terra’; -graphy rimane -grafia anche in italiano), altri

(Bossi, Graffi) hanno tradotto con maggiore libertà il prefisso per ‘mare’, mentre

Carano e Bianchi hanno tenuto presente innanzitutto il suono di Geografia e hanno

creato le loro soluzioni mediante aggiunta di consonante (‘zeppa’ = Gelografia) o

mediante assonanza. Tuttavia, la scelta di sostituire a ‘mare’ un altro elemento (gelo-

oppure cielo-) non appare felice, perché la scuola frequentata dai personaggi che

parlano ad Alice è una scuola sottomarina.

Per Drawling, in molte versioni abbiamo un pun ricreato in italiano giocando

su Disegno (Disdegno: Bossi, Giglio, Bianchi, Busi; Sdegno: Galasso e Kemeni; Dissenno:

Carano). D'Amico traduce letteralmente uno dei sensi di Drawing (‘disegno’, ma

anche part. pres. di to draw, ‘tirare’) 75, cioè della materia parodiata dall’autore, e allo

stesso tempo ricorda uno dei sensi di Drawling (‘strascicare la pronunzia delle

parole’), ma in questo modo fa dimenticare al lettore italiano il riferimento alla

materia scolastica in italiano. Graffi invece utilizza un doppio riferimento, alla

materia scolastica (Disegno) e all’ambientazione marina (a strascico, come un tipo di

pesca), mantenendo anche uno dei sensi di drawing (part. pres. di to draw nel senso di

‘trascinare’).

Per Stretching, parodia di Sketching (con uno scambio consonantico), abbiamo

varie soluzioni, dalla traduzione letterale di D'Amico e Graffi, alla parodia giocata

sul corrispondente italiano di Sketching, cioè Schizzo (Bossi, Galasso e Kemeni), a 75 Si ricordi il gioco di parole su draw presente nel VII capitolo (VII.03 e VII.05).

Page 186: La Gran Natica dell'Aringa

174

parodie su sinonimi di Schizzo (Bianchi, che gioca con uno scambio consonantico su

Colore), a volte spostando il testo verso elementi gastronomici (Carano, che gioca su

Bozzetti e gouache, e Giglio e Busi, che giocano con Pittura su tela).

Per Fainting in oils, che nell’originale gioca con painting in oils (con scambio

consonantico e aggiunta di consonante), i traduttori, quando non hanno preferito la

versione letterale, con qualche variante (D'Amico, Graffi, Galasso e Kemeni),

hanno coniugato la materia scolastica con la gastronomia ( Bossi, Giglio, Carano,

Busi76) o con argomento marittimo (Bianchi). Si noti ancora una volta come, in

questo caso, la versione letterale non consente al traduttore di ricostruire il gioco di

parole dell’originale, mentre le versioni che prendono come punto di riferimento il

nome da parodiare nella lingua d’arrivo consentono al lettore di ricavare

divertimento dalla lettura al pari del lettore di lingua inglese che legge il testo

originale.

76 Busi gioca con una marca di surgelati, che poi gli consentirà di sviluppare il gioco di parole che verrà analizzato più sotto. Il traduttore si era servito in precedenza di riferimenti al mondo pubblicitario: la canzone Beautiful Soup era diventata, nella sua versione, Brodo di Star, in cui il lettore italiano riconosce la marca di un dado per brodo.

Page 187: La Gran Natica dell'Aringa

175

AA trad. letterale

(Giglio77) traduzione

letterale (Graffi78)

traduzione letterale

(Bianchi79)

riferimento alle materie di

studio

corrispon-dente

italiano

iv Laughing /’lɑ:fɪŋ/

“ridendo” riso risata Latin /’lɑ:tɪn/

latino

Grief /’gri:f/

dolore dolore, cruccio dolore, pena

Greek /’gri:k/

greco

Anche per questa coppia di materie le soluzioni scelte dai traduttori variano

dalla traduzione letterale del termine presente nel testo originale alla creazione di un

pun sul nome della materia parodiata nella lingua d’arrivo.

iv.A: Risata e Angoscia (Galasso e Kemeni, rr.133-134), Riso e Cruccio (D'Amico,

rr.135-136)

La traduzione letterale dei termini usati nel testo di partenza non consente al

lettore di comprendere il gioco dell’autore, tuttavia riporta il senso di ‘gioia e dolore’

provocato dallo studio.

77 p.129, nota 78. 78 p.135, nota 97. 79 p.148, nota 16.

Page 188: La Gran Natica dell'Aringa

176

iv.B: Cretino e Gretto (Bossi, rr.133-134), Greto e Catino (Giglio, rr.133-134), Greco e

Rattino (Carano, rr.144-145)

I traduttori hanno usato un meccanismo piuttosto semplice per parodiare i

termini di riferimento, variandoli leggermente. Si perde però il riferimento a ‘gioia e

dolore’.

iv.C: Ridolino e Dolor Greggio (Graffi, rr.129-131)

La traduttrice ha tentato di conciliare sia il testo di partenza (con il

riferimento a ‘gioia e dolore’) sia le materie da parodiare (anche se si richiede uno

sforzo notevole per riconoscere il Latino sotto Ridolino e il Greco sotto il Dolor

Greggio).

iv.D: Prammatica in Lattina e Sei Tassi in Creta (Bianchi, rr.138-141)

In questo caso si tratta di un gioco fonetico su Grammatica latina

(/gra’m:atikala’tina/, che diventa /pra’m:atikainla’t:ina/) e Sintassi Greca

(/sin’tas:i’grɛka/ diventa /sej’tas:in’krɛta/). Il risultato è quasi un gioco

enigmistico, molto stimolante per il lettore.

Page 189: La Gran Natica dell'Aringa

177

iv.E: Amorgreco e Latinlover (Busi, rr.127-128)

La soluzione di Busi prende in considerazione i nomi delle due materie in

italiano e li incorpora in due termini totalmente estranei al mondo scolastico. Così,

il Greco diventa Amorgreco (forse con riferimento all’amore platonico) e il Latino

diventa il termine di derivazione anglosassone Latinlover, cioè ‘amante latino’.

Corpus IX.04

AA, rr.21-29: “That’s the reason they’re called le ssons, [...] because they le ssen from day to

day.”

Anche questo pun è costituito da omofonia, tra lesson(s) (‘lezioni’, /’lesn(z)/)

e lessen (‘diminuire’ /’lesn/), non traducibile in modo letterale nella versione

italiana.

I traduttori che noi stiamo prendendo in esame hanno scelto diverse

soluzioni.

Page 190: La Gran Natica dell'Aringa

178

A: “È per questo che ci mandano gli scolari , [...] perché le lezioni sono scalari .” (Bossi,

rr.20-27); - Questa è la ragione per cui si studiavano le so t trazioni , [...] perché si sot t raeva

un’ora al giorno. (Galasso e Kemeni, rr.20-29); «Per questo ci chiamavano scolari [...]

perché il tempo scolava via un giorno dopo l’altro.» (Graffi, rr.23-31); «È per questo che a

lezione si usano i compendi e i brev iari [...] Perché così le lezioni si abbreviano di giorno in

giorno» (Bianchi, rr.18-29); “Ma è per questo che sono chiamate ore d’ i s t ruzione [...] perché

si d ist ruggono.” (Busi, rr.18-25)

Questo gruppo di versioni rende il pun in vario modo, ma sempre ricreandolo

con mezzi linguistici.

B: «Ma è per questo che si chiama scuola! [...] Infatti se tu sostituisci un’a ad uo, invece di scuola

ottieni scala. E perciò ogni giorno si scala un’ora.» (Giglio, rr.19-32) -Ma è per questo che sono

chiamati corsi, no? [...] Proprio perché più vai in fretta e meno te ne rimane. (Carano, rr.19-28)

In queste due versioni la spiegazione del Grifone risulta un po’ contorta e

richiede uno sforzo maggiore al lettore per essere individuata.

Page 191: La Gran Natica dell'Aringa

179

C: «Per questo si chiamano lezioni [...] diminuiscono ogni giorno.» (D'Amico, rr.19-25)

La versione di D'Amico, essendo letterale, non rende adeguatamente il pun. Il

risultato è, ancora una volta, un testo linguisticamente incoerente.

Corpus X.01

AA, rr.7-60: “Do you know why it’s called a whiting?” [...] “It does the boots and the

shoes,” [...] “Why, what are your shoes done with?” said the Gryphon. “I mean, what makes

them so shiny?” Alice looked down at them, and considered a little before she gave her answer.

“They're done with blacking, I believe.” “Boots and shoes under the sea,” the Gryphon went on in

a deep voice, “are done with a whiting. Now you know.”

AA, rr.61-77: “And what are they made of?” Alice asked in a tone of great curiosity. “Soles

and eels, of course,” the Gryphon replied rather impatiently: “any shrimp could have told you

that.”

In questo passo due sono i nodi per il traduttore. Nel primo caso (AA, rr.7-

60) siamo di fronte ad una spiegazione etimologica del Grifone, che costituisce un

altro gioco di parole basato sulla polisemia di whiting80. È necessario ricordare che

80 Cfr. OED:“whiting n. […] 1. a. A gadoid fish of the genus Merlangus, esp. M. vulgaris, a small fish with pearly white flesh, abundant off the coast of Great Britain and highly esteemed as food. ”;

Page 192: La Gran Natica dell'Aringa

180

questo passo è situato dopo la prima delle parodie di questo capitolo, la Lobster

Quadrille (che dà anche il titolo al capitolo), ed è a questa che il Grifone fa

riferimento: infatti whiting (AA, r.10) era il nome di uno dei pesci protagonisti della

quadriglia (cfr. AA, p.134, primo verso). Per il nostro esame, dunque, dobbiamo

tenere conto del modo in cui le versioni italiane riportano whiting nella sua prima

occorrenza, cioè all’interno della parodia.

Abbiamo allora:

nasello Bossi, Graffi

whiting (AA, p.134, v.1) merluzzo Giglio, Galasso e Kemeni,

D'Amico, Carano, Bianchi

tonno Busi

A parte Busi, che adopera tonno per whiting (traduzione evidentemente non

letterale), gli altri traduttori utilizzano due termini grosso modo ‘sinonimi’ rispetto

all’originale81, e quindi nel passo che stiamo esaminando si trovano a dover fare i

conti con il termine usato nella parodia.

“whiting vbln […] 3. A preparation of finely powdered chalk, used for whitewashing, cleaning plate, and various other purposes.” Vedi oltre. 81 In questa prima accezione, withing indica un tipo di pesce della famiglia dei merluzzi, simile al merluzzo, ma meno pregiato. Il corrispondente letterale in italiano è merlango, ma qui entriamo in un terreno pericoloso, perché merlango, o merlano è un altro nome del nasello, varietà di pesce che si

Page 193: La Gran Natica dell'Aringa

181

Abbiamo già detto che anche in questo caso Carroll gioca sulla polisemia di

whiting, dapprima considerato come pesce e poi, in opposizione a blacking, come

lucido bianco (letteralmente ‘bianco di Spagna’, sostanza imbiancante fatta di

polvere di gesso).

Dunque per i traduttori si pone il problema di costruire un gioco di polisemia,

tenendo presente il riferimento alla parodia.

Nel passo in analisi, abbiamo perciò altre corrispondenze traduttive:

incontra più facilmente sulle tavole italiane, e che è a sua volta meno pregiata del merluzzo (cfr. Lessico Universale Italiano, alla voce nasello: “( [...] Merlucius vulgaris.) Pesce teleosteo dell’ordine Anacantini, famiglia Gadidis, chiamato anche merluzzo, merlano, lovo, pesce prete, ecc. [...]”). Si noti che anche il termine bianchetto (usato nella versione di Carano e, in accezione diversa, in D'Amico) risulta essere le acciughe familiare all’inglese whiting, perché indica il nome dei piccoli di diverse specie di pesci, tra cui i naselli e(come spiegato nella versione di Carano; cfr. Devoto - Oli, alla voce bianchetto: “3. spec. al plurale, nome reg. di pesci minuti da frittura: secondo le regioni, i piccoli delle acciughe e delle sardine o quelli del nasello”). Si noti anche che un altro nome delle acciughe è... alici, e il nome della nostra eroina è strettamente imparentato con il mare (cfr. Vocabolario etimologico della lingua italiana di O.Pianigiani: “alice lat. HALÍCE(M) dal gr. ALYKÈ mare o ALYKÍS (=lat. HALICA) salamoia, che trae da ALS sale, mare (cfr. Alga, Aligusta, Sale) — Nome di una ninfa marina dell’antica mitologia, ed anche di un pesciolino di mare (acciuga, sardella) che suole conservarsi sotto sale”). Forse è solo una coincidenza, ma non è improbabile che Carroll conoscesse l’etimologia del nome della bambina, perché il padre di Alice Liddell era un insigne studioso di greco, e perché Carroll aveva amici italiani, la famiglia Rossetti. Si potrebbe spiegare in tal modo anche l’ambientazione marina di questo e del precedente capitolo.

Page 194: La Gran Natica dell'Aringa

182

nasello Bossi (r.8) Giglio (r.10), Graffi (rr.6-7)

whiting merluzzi D'Amico (rr.7-8), Carano (rr.7-8)

(AA, r.10) bianchetto Bianchi (r.11)

lucci Galasso e Kemeni (r.7)

tonno Busi (r.6-7)

Come risulta dalla sovrapposizione di quest’ultimo schema con il precedente, in

alcuni casi (Giglio, Galasso e Kemeni, Bianchi) si perde il riferimento alla parodia: il

testo viene comunque ricucito grazie alla connessione procurata dall’ambiente

marino, per cui si parla sempre di pesci. La variazione è giustificata dal problema di

trovare un valido gioco di polisemia per l’italiano.

Vediamo ora più da vicino le soluzioni dei traduttori, tenendo separato Busi,

che ha modificato notevolmente tutto il testo originale, e richiede perciò

osservazioni a parte.

Page 195: La Gran Natica dell'Aringa

183

1° termine 2° termine

AA Whiting “it does boots and shoes” (rr.16-18)

“what are your shoes done wi th?” (rr.31-34)

(Alice guarda le s c a rp e , rr.40-42) blacking

Bossi Nasello “serve per inf i -larc i i bot toni” (rr.13-15)

“tu dove li inf i l i i bot-ton i [...] quando ti allac-ci un vestito” (rr.27-33)

Alice si guardò i bot toni (rr.24-25) occhielli

Graffi naselli «Servono per inf i -larc i i bot toni» (rr.12-14)

«Voi cosa ci fate ai grembiu l ini per po-ter l i chiudere [...], dopo ave r messo i bot toni ?» (rr.25-34)

Alice si guardò il grembiu l ino (rr.35-37)

occhielli

Giglio Naselli «sono nipot i de i nas i !» (rr.16-17)

«E il tuo, del resto, credi forse che sia un naso?» (rr.29-32)

Alice, incrociando gli occhi, tentò di scru-tare il suo nasino. (rr.33-37)

naso

Galasso e Kemeni lucci

-Perché luc idano scarpe e s t iva l i (rr.14-16)

-E dimmi, come sono state pu l i te le tue scarpe? (rr.28-31)

Alice guardò le sue scarpe (rr.37-38)

lucido

nero di seppia

D'Amico merluzzo

bianchetto

«Perché mer lu-str a le sca rpe e g l i s t iva le t t i » (rr.13-16)

«a te le scarpe con cosa le pu l i scono?» (rr.29-32)

(Alice guarda le scarpe, r.37) lucido

Carano

merluzzo

fischia sulle alborelle

-Perché f isch ia beni ss imo (rr.13-15)

-Chi è che f ischia su-gl i a lber i? (rr.25-27)

Alice si guardò le scarpe (rr.30-31) merlo

Bianchi bianchetto «Perché pul i sce le scarpe e g l i s t iva l i » (rr.16-18)

«Con che cosa le pu-l i sc i tu?» (rr.30-32)

Alice si guardò le scarpe (rr.39-40) neretto

Page 196: La Gran Natica dell'Aringa

184

Come risulta dallo schema, solo D'Amico, che traduce il gioco di parole solo

per la prima parte (merluzzo/merlustra) e il resto lo rende in modo letterale (lucido, che

poi viene opposto a bianchetto), negli altri casi i traduttori hanno cercato di rendere il

gioco, sia in modo analogo all’originale (cioè lasciando invariato il riferimento al

lucido da scarpe: Galasso e Kemeni, D'Amico, Bianchi), sia variando il secondo

termine dell’opposizione (come accade in Bossi, Graffi; Giglio; Carano). Si nota

anche che, se cambia il secondo termine del gioco rispetto all’originale, in genere

cambia anche ciò che il Grifone chiede ad Alice e ciò che Alice fa mentre pensa alla

risposta da dare al Grifone82. Nei casi in cui viene ricreato il gioco di parole, si nota

comunque che esso non è mai analogo all’originale, nel meccanismo, perché non vi

è presente la polisemia di whiting, accentuata dall’opposizione a blacking. Abbiamo

infatti giochi dati dalla sostituzione di una parte del morfema per analogia semantica

(nas e l l o - occhie l l o) , false alterazioni (naso nas e l l o ; merlo

merluzzo), assonanza (merluzzo merlustra ; lucci luc ido),

rinforzati in alcuni casi dalla presenza di termini della sfera semantica del mare (nero

di seppia, Galasso e Kemeni; alborelle, a sua volta in opposizione a alberi, in Carano).

Il solo traduttore che riporti sia il gioco di polisemia sia il significato letterale

dell’inglese è Bianchi, che mantiene l’opposizione tra bianchetto e neretto, mettendo in

evidenza la polisemia di bianchetto con le stesse parole del Grifone: 82 Nel caso di Carano, però, Alice guarda le sue scarpe, nonostante le scarpe non siano parte del pun in questa versione.

Page 197: La Gran Natica dell'Aringa

185

«Posso dirtene delle altre, se vuoi» disse il Grifone, «E non soltanto sui

merluzzi. Sai perché l’acciuga, da piccola, si chiama bianchetto?» (Bianchi,

rr.1-11)

Il gioco nel suo complesso risulta riuscito, ma il traduttore ha dovuto inserire

un’ulteriore spiegazione assente nell’originale.

In Busi, come abbiamo già detto, tutto il passo viene modificato, in funzione

della riuscita del gioco di parole, tanto è vero che già nella parodia poetica il

traduttore aveva rinunciato alla traduzione letterale di whiting per introdurre

l’elemento del pun nel testo successivo. In questa versione il gioco consiste in una

somma di puns sull’opposizione (in absentia) dei termini tonno/tono, con

ambientazione ‘gastronomico-sartoriale’, che verrà poi ampliato nel resto del testo:

tonno “Lo usano negli atel iers” (rr.9-10) “Sì, per la col lez ione autunno-

inverno sono indicati i tonni caldi, per le s i tuazioni informal i va benissimo il tonno sportivo. In ogni caso è indispensabile il sandwich francese di tonni” [...] “Il tonn-sur-tonn , no?”

Dall’analisi di questo nodo, abbiamo allora osservato questi comportamenti:

Page 198: La Gran Natica dell'Aringa

186

A: traduzione letterale dell’originale, con perdita del gioco di polisemia;

B: mantenimento del gioco di polisemia, con mantenimento dei termini

oppositivi dell’originale (whiting/blacking);

C: creazione di un gioco di parole, con variazione di uno dei termini

oppositivi in funzione del pun;

D: creazione di un gioco di parole, con adattamento dei due termini e

variazione libera di tutta la porzione di testo.

A B C D

D'Amico Bianchi Bossi- Graffi- Giglio- Galasso e Kemeni- Carano Busi

Il secondo nodo (AA, rr.61-69) è legato al primo, perché nel testo originale

Alice domanda al Grifone di cosa siano fatti stivali e scarpe (dato che si lucidano

con “whiting” invece che con “blacking”). Il Grifone risponde con un pun basato

sull’omofonia di “soles and eels”.

Nel caso di soles si tratta di omonimia:

Page 199: La Gran Natica dell'Aringa

187

/səʊlz/ “The bottom of a boot, shoe, etc.; that part of it upon which the wearer treads (freq. exclusive of the heel); one or other of the pieces of leather or other material of which this is composed […]. Also, a separate properly-shaped piece of felt or other material placed in the bottom of a boot, a shoe, etc.83” “soles”

/səʊlz/ “A common British and European flat-fish (Solea vulgaris or solea), highly esteemed as food; one or other of the various fishes belonging to the widely-distributed genus Solea”

Nel caso di eels siamo di fronte ad una quasi omofonia:

“eels” /i:lz/

“1. a. The name of a genus (Anguilla) of soft-finned osseous fishes, strongly resembling snakes in external appearance. The best known species are the Common or Sharp-nosed Eel (A. anguilla) found both in Europe and in America, and the Broad-nosed Eel or grig (A. Latirostris). The true eels are fresh-water fishes, but migrate to the sea to spawn.[…] b. Used (both in popular and in scientific language) as the name of the entire family Murænidæ, comprising the true eels with several other genera, notably the conger.”

heels /hi:lz/ “I. 1. a. The projecting hinder part of the foot, below the ankle and behind the hollow of the foot. […] 5. a. The part of a stocking that covers the heel; b. The thick part of the sole of a boot or shoe which raises the heel”

In entrambi i casi, si fondono due sfere semantiche, quella dei pesci e quella

delle calzature, entrambe già presenti nella parte di testo immediatamente

precedente.

Per i traduttori si tratta ancora una volta di fare i conti con la lingua italiana e

con il testo precedente: come abbiamo visto, non tutti i traduttori hanno mantenuto

83 Tutte le definizioni sono tratte dall’OED

Page 200: La Gran Natica dell'Aringa

188

il riferimento alle scarpe e agli stivali, e quindi devono modificare questa porzione

di testo in modo da connetterla a quella precedente. Ma anche i traduttori che

hanno mantenuto il riferimento alle calzature devono adattare il riferimento ai pesci

con termini che abbiano caratteristiche omofoniche analoghe. AA (boots and shoes) soles and eels soles and heels soles and eels

Bossi bottoni osso di seppia e madreperla osso di seppia e madre-perla osso e madre-perla

Graffi come li cucite i grembiulini? pesce ago pesce ago

Galasso e Kemeni scarpe e stivali Sogliole e Tacchigliole sogliole suole e tacchi

D'Amico scarpe e stivaletti sogliole e anguille — —

Bianchi stivali e scarpe le suole di sogliole e le stringhe di aringhe sogliole/aringhe suole/stringhe

Carano cosa fanno le alborelle? fanno l’ombrina alborelle/ombrina alberi/ombra

Nello schema non è stato inserito Giglio perché elude di fatto il nodo,

reintroducendo la traduzione letterale di soles and eels nel seguito della risposta del

Grifone (cfr. rr.54-58), e non è stato inserito Busi perché la sua versione necessita

un commento a parte.

Notiamo ancora una volta che la versione di D'Amico, essendo letterale, non

rende il pun. Nella versione di Carano, invece, si ha una prosecuzione del gioco

precedente, basato su false alterazioni che producono nomi di pesci (merlo - alberi -

ombra merluzzo - alborelle - ombrina). Nelle versioni di Bossi e Graffi si usano

Page 201: La Gran Natica dell'Aringa

189

termini che includono sia il nome dei pesci che quello di materiale sartoriale, legato

al testo precedente dall’opposizione nasello - occhiello. In Bianchi abbiamo due coppie

di termini (suole di sogliole/stringhe di aringhe84), nelle quali un termine appartiene

al campo semantico delle calzature e l’altro a quello dei pesci. In Galasso e Kemeni,

è la coppia nel suo insieme a suggerire l’accostamento dei due campi semantici: il

primo termine, sogliole, è prettamente ittico, mentre il secondo, inesistente, è un

termine inventato a partire da ‘tacchi’ con l’aggiunta di quello che in sogliole, appare

come un suffisso di alterazione (‘-gliole’).

Dicevamo che Busi deve essere considerato a parte perché ha modificato

tutta la sostanza del passo in esame, inserendo una serie di giochi di parole (sia puns

che termini polisemici) che ben si accordano con i giochi di parole della porzione

immediatamente precedente, basati sull’opposizione tonno/tono (v. sopra). In questa

versione, Alice domanda:

“E quali sono i capi più di moda?”

“Papaline, mante a rombi con la cernia sul davanti e scarpe nei colori

muggine o verdone” (Busi, rr.45-55)

Si incontrano dunque termini polisemici (mante - rombi - verdone), paronomasie

(muggine per ‘ruggine’), e cernia, che richiama ‘cerniera’. 84 Quest’ultima coppia contiene anche un’assonanza.

Page 202: La Gran Natica dell'Aringa

190

Nel complesso risulta un testo esilarante, che sta in piedi da solo, ma che, a

parer mio, è un altro testo, non una traduzione.

Corpus X.02

AA, rr.7-28: “no wise fish would go anywhere without a porpoi se .”

“Wouldn’t it really?” said Alice in a tone of great surprise.

“Of course not,” said the Mock Turtle: “why, if a fish came to me, and told me he was going a

journey, I should say ‘With what porpois e?’”

“Don’t you mean ‘purpose’?” said Alice.

Anche qui abbiamo un pun, giocato su scambio vocalico: la differenza tra

porpoise (/’pɔ:pəs/, animale marino simile al delfino) e purpose (/’pɜ:pəs/,

proposito) è davvero minima. Si noti che questo passo è collegato alla Lobster

Quadrille, perché Alice fa un’osservazione sulla presenza di un porpoise accanto al

whiting, e la risposta della Mock Turtle si riferisce proprio a questo.

Vediamo allora come era stato tradotto porpoise nella sua prima occorrenza

(AA, p.134, v.2).

Page 203: La Gran Natica dell'Aringa

191

focena Bossi; Bianchi

Porco di mare Giglio

delfino Galasso e Kemeni; Carano

marsuino D'Amico; Graffi

porpoise

polpo Busi

Invece nel passo che stiamo esaminando abbiamo:

AA porpoise with what porpoise? purpose scambio vocalico Bossi focena Ti porti con te la fo c ena? (fo )cena scarto sillabico in testa Giglio polipo — — — Galasso e Kemeni de l f ino Se cosi vuole il tuo de l f ino . dest ino scambio di sillaba

all’interno della parola D'Amico marsuino Con quale marsuino? scopo traduzione letterale

Carano marsuino se un pesce viene da me a fo c ena , deve avere il marsuino e le carpe

nuove di t inca.

(fo )cena mars(u ) ina

scarpe nuove di tr inca

4 giochi: inserimento di sillaba; zeppa

vocalica; scarto consonantico; scarto

consonantico

Graffi marsuino Che marsuino mi metto? Mars(u ) ina zeppa vocalica + cambio di genere

Bianchi focena Sai dov’è la fo c ena? foce(na) scarto sillabico in coda

Busi polpo In ogni storia dev’esserci sempre un po lp o di scena [...] Ti venisse un p o l po colpo scambio consonantico

Anche qui notiamo che D'Amico traduce letteralmente il testo, senza tenere

conto del gioco linguistico, mentre Giglio elude il pun, dando come risultato un

Page 204: La Gran Natica dell'Aringa

192

testo sconnesso (cfr. Giglio, rr.25-31). Carano raggruppa una serie di giochi di

parole, in sovrabbondanza rispetto all’originale. Gli altri traduttori invece adottano

dei giochi di parole analoghi all’originale (scambi) o basati su scarti e zeppe.

Corpus XI.01

AA, rr.16-30: “[…] and the twinkling of the tea—”

“The twinkling of the what?” said the King.

“It began with the tea,” the Hatter replied.

“Of course twinkling begins with a T!” […]

Siamo qui in presenza di un pun classico di omofonia tra tea (/ti:/) e il nome

inglese della lettera T (/ti:/), arricchito però, nella sua ambiguità, dalla presenza di

twinkling ai rr. 17, 20 e 28, e soprattutto da It del rigo 23. È proprio questo It, a mio

parere, che crea il pun, che genera ambiguità nella comprensione della frase.

It si può riferire sia a “twinkling”, inteso dal Re come lessema, non nel suo

significato in sé, sia alla storia che il Cappellaio si sforza di raccontare. È ancora una

volta questa divaricazione di referenza che crea l’ambiguità: ogni personaggio segue

un suo filo nel discorso, negando così ogni possibilità di comunicazione.

Page 205: La Gran Natica dell'Aringa

193

Twinkling richiama però direttamente un elemento del testo, la canzone del

Cappellaio85, quindi questo riferimento interno al testo dovrebbe essere preservato

anche nella traduzione.

Vediamo come si sono comportati i traduttori nella prima occorrenza di

twinkling (AA, r.17):

tremolare (Bossi, r.20) tremolio (Giglio, r.20; D'Amico, r.19; Carano, r.19) tintinnio (Galasso e Kemeni, r.18) baluginio (Graffi, r.21) luccicare (Bianchi, rr.21-22)

twinkling86

Brilla brilla biondo tè (Busi, rr.17-19)

Come si può osservare, cinque traduttori hanno fatto corrispondere a

twinkling un termine italiano avente come principale caratteristica l’iniziale T, sulla

quale poi verrà costruito il gioco di parole. Poco importa se, come nel caso di

tintinnio, il termine non è equivalente all’originale (del resto tintinnio evoca il rumore

delle tazze di tè sul vassoio), o con tremolio si perde il riferimento alla canzone del

Cappellaio. Apparentemente, questa sembrerebbe la soluzione migliore, perché

85 Twinkle Twinkle Little Bat, parodia della celeberrima Twinkle Twinkle Little Star di Ann Taylor, presente nel capitolo VII, “A Mad Tea-Party”. Come si può notare, twinkling era già stato associato a tea. 86Cfr. "twinkling (/’twɪŋklɪŋ/), vbl. n.1 [f. twinkle v.1 + -ing1.] The action of twinkle v. 1. The action of shining with tremulous or faint radiance; scintillation; †glimmering. (OED)

Page 206: La Gran Natica dell'Aringa

194

ripropone il gioco partendo dagli stessi aspetti formali di twinkling e di T

nell’originale.

In realtà però i traduttori che hanno optato per questa soluzione non hanno

tenuto conto della non corrispondenza fonica tra tè (= /tɛ/) e T (= /ti/) (tale è la

scelta di Bossi, rr.27-30, D'Amico, rr.28-31, Carano, rr.26-28) o hanno trasformato

l’omofonia in un errore di interpretazione corretto dal Re, capovolgendo così il

testo (vedi Giglio, rr.28-30, Galasso e Kemeni, rr.27-31). Queste soluzioni, oltre ad

apparire piuttosto forzate, non tengono in dovuto conto la presenza di It al rigo 23,

presenza che contribuisce notevolmente a creare ambiguità nell’interpretazione del

pun.

I tre traduttori che hanno scelto di tradurre twinkling più liberamente dal

punto di vista formale (Graffi, Bianchi e Busi) hanno quindi seguito altre vie.

Bianchi e Busi si sono concentrati su quell’It trascurato dai loro colleghi,

traducendolo in AA, rr.23-24 con Tutto, scelta interessante, perché tutto ha in sé la

caratteristica di cominciare per T. Il Re della versione originale aveva considerato it

come pronome riferentesi a twinkling in quanto parola iniziante per t.

Il Re delle versioni italiane di Bianchi e Busi prende spunto dalla prima parola

pronunciata dal preoccupatissimo Cappellaio (Tutto) e crede che il Cappellaio ad

essa si riferisca quando parla di “cominciò con il tè”. Anche qui però il culmine del

pun, l’omofonia tra tea e T dell’originale, non si raggiunge, ed il testo risulta quindi

Page 207: La Gran Natica dell'Aringa

195

forzato. Si noti inoltre che in Busi è stata omessa la prima osservazione del Re al

Cappellaio (AA, rr.19-21).

Graffi invece ha seguito un’altra strada. Abbiamo già più volte detto che tra tè

e T non vi è omofonia in italiano. La traduttrice ha allora costruito il pun

sull’omofono italiano di tè, cioè su te, pronome personale complemento indiretto di

seconda persona singolare. Quando il Cappellaio dice “Tutto cominciò col tè”, il Re

capisce invece “Tutto cominciò con te”, frutto di paronomasia in piena regola. In

italiano il testo risulta quindi più credibile.

Corpus XII.01

AA, rr.5-10: ‘before she had this fit-‘ you never had fits, my dear, I think?; rr.21-24: “Then the

words don’t fit you,” said the King

Questo è un pun di omonimia, giocato su fit, inteso come sostantivo e come

verbo. Si noti che è lo stesso Re di Cuori ad evidenziare il pun87, volutamente molto

sciocco, davanti al suo pubblico, perché non aveva ottenuto l’effetto desiderato.

Prima di esaminare il passo in esame dobbiamo chiarire che la frase che il Re

legge e commenta (“before she had this fit”, AA, rr.5-6) è un verso della prova di

colpevolezza (in versi) che il Coniglio, in qualità di Araldo, legge davanti alla corte.

87 Cfr. AA, p.160.

Page 208: La Gran Natica dell'Aringa

196

Non ci soffermeremo su questa poesia, l’ultima del racconto, caratterizzata

dall’ambiguità assoluta nel riferimento personale, ma dobbiamo vedere come in

questo verso88 è stato tradotto fit.

A lei venne un attacco (Bossi); prima che lei avesse questo attacco (Giglio); Prima che

lei avesse un attacco (Carano)

Prima che lei mentisse a voi (Galasso e Kemeni)

Prima che a lei venisse questo accidente (D'Amico)

Lei ebbe una crisi (Graffi)

Before she had this fit95

Prima che lei avesse questo accesso (Bianchi); Prima ch’ella avesse accessi della bile più

inconsulta (Busi)

Ma il sostantivo fit è un termine altamente polisemico, oltre che essere

omonimo del verbo. Confrontiamo sull’OED dunque le varie accezioni di fit come

sostantivo.

88 AA, p.158, verso 18.

Page 209: La Gran Natica dell'Aringa

197

“1. A part or section of a poem or song; a canto. […] 2. A strain of music, stave.” Strofa; stanza

Fit

“3. a. A paroxysm, or one of the recurrent attacks, of a periodic or constitutional ailment. In later use also with wider sense: A sudden and somewhat severe but transitory attack (of illness, or of some specified ailment) […] c. A sudden seizure of any malady attended with loss of consciousness and power of motion, or with convulsions, as fainting, hysteria, apoplexy, paralysis, or epilepsy. In 18th c. often used spec. without defining word = ‘fainting-fit’ or ‘fit of the mother’ (i.e. of hysteria: see mother); in recent use it suggests primarily the notion of an epileptic or convulsive fit. […] f. A violent access or outburst of laughter, tears, rage, etc.”

Attacco; fitta; accesso; crisi

“2. a. A fitting or adaptation of one thing to another, esp. the adjustment of dress to the body; the style or manner in which something is made to fit. to a fit: to a nicety.”

Adattamento

È chiaro che nella prima occorrenza di fit, nella poesia dunque, è a fit come

attacco, fitta, accesso, crisi, non meglio precisata o identificabile (come tutto, del resto,

in quei versi).

Nel passo che stiamo esaminando, il Re rivolge alla consorte la domanda

“You never had fits, my dear, I think?”, riprendendo dunque fit dal verso 18 della

poesia. Ecco come è stato reso in questa occorrenza nelle versioni italiane:

Page 210: La Gran Natica dell'Aringa

198

Non hai mai avuto attacchi (Bossi); Hai mai avuto attacchi tu […]? (Giglio); non hai

mai acuto un attacco tu (Carano) Tu non hai mai mentito (Galasso e Kemeni)

You never had fits A te non sono mai venuti accidenti (D'Amico)

Tu non hai mai avuto crisi (Graffi)

Tu di accessi non ne hai mai (Bianchi) ; ma tu non hai mai avuto accessi di bile (Busi)

Vediamo allora com è stato tradotto fit, verbo, in AA r.23. Letteralmente la

frase del Re suona come “Allora le parole non ti si addicono”, ma naturalmente in

tal modo il pun viene annullato. Ecco come hanno risolto il problema i traduttori

delle versioni in esame:

Attacco Allora questo non è un attacco a te (Bossi); Se non hai mai avuto attacchi, la poesia non

attacca (Giglio); Quindi tu non c’entri (Carano)

Accidente Allora ogni riferimento a te è accidentale (D'Amico)

Crisi Allora sono le parole che vanno in crisi con te (Graffi)

Accesso

Accessi di bile

Allora queste parole non possono trovare nessuna via di accesso per riferirsi a te (Bianchi);

Questa cosa non ti è accessi-bile” (Busi)

Mentire Allora le parole ti hanno smentito (Galasso e Kemeni)

Page 211: La Gran Natica dell'Aringa

199

Come si può notare, non tutti i traduttori hanno sfruttato il procedimento

dell’omonimia, possibile ad esempio utilizzando attacco come traduzione per fit: Tale

è stata la scelta di Bossi. Attacco sembra un termine adeguatamente polisemico, se

non proprio di omonimia si tratta89.

Mentre Carano, che pure ha usato attacco, rinuncia a continuare il gioco,

Giglio ha alternato, in modo analogo all’originale, il sostantivo al verbo

opportunamente declinato: non attacca sta ad indicare, nel linguaggio popolare,

“parole, proposte e simili, cui non si dà ascolto90”.

Anche accidenti, crisi e accesso sono adeguate traduzioni di fit come sostantivo,

come abbiamo riscontrato nello specchietto alle pagine precedenti. I procedimenti

seguiti dai traduttori in queste versioni sono diversi, ma in sostanza si è trattato o di

inserire il termine fondamentale in una frase fatta (così è stato per Graffi, andare in

crisi, e per Bianchi, via d’accesso) oppure di trovare una parola simile (quasi una

paronomasia, come nel caso di D'Amico, accidenti accidentale, e, con risultati

migliori, uno scarto sillabico all’interno di quella che era stata percepita come

un’unica parola, accessi-di-bile accessi-bile).

Galasso e Kemeni hanno sostituito le immagini evocate dal pun nell’originale:

una Regina che non avrebbe mai attacchi isterici, affermazione contraddetta dalla 89 Il Devoto-Oli dà i due sensi in cui è usato qui attacco come accezioni diverse della stessa parola: “3.[…] fig. critica acerba e violenta, assalto condotto con le armi della polemica. 4. Accesso, insulto di malattia”. 90 Definizione tratta dal Devoto-Oli, alla voce attaccare.

Page 212: La Gran Natica dell'Aringa

200

sua condotta visibilmente alterata (cfr. AA, rr.13-19), e le parole della poesia che,

secondo il gioco di parole di bassa lega coniato dal Re, non si riferirebbero dunque

alla sovrana. Nella traduzione di Galasso e Kemeni, invece, viene fuori tutto

l’opposto di quanto detto adesso.

In questa versione, muovendo dal verso della poesia che qui suona “prima che

lei mentisse a voi”, il Re chiede alla Regina: “tu non hai mai mentito, cara. È così?”. Si noti

che questa richiesta di conferma suona leggermente più dubitativa che nell’originale,

come se il Re non fosse proprio sicuro della sincerità della consorte. La Regina

risponde all’insinuazione: “Mai!”, con la furia che le è propria. A questo punto, il Re

conclude: “Allora le parole ti hanno smentito”, prestando fede, in tal modo, alle parole

della poesia, e gettando un’ombra di sospetto sulla sovrana. Nessuna sorpresa se il

pubblico non coglie il gioco di parole: la situazione è tragica, c’è aria di tradimento.

Come si potrà notare, quest’ultimo gioco di parole è volutamente scontato:

neanche gli abitanti di Wonderland possono apprezzarlo (e, di questo, i traduttori

hanno tenuto conto). Sembra significativo che si trovi nelle ultime pagine del

racconto: un proverbio italiano ammonisce che il gioco è bello quando dura poco, e

dodici capitoli di giochi di parole cominciano a pesare anche al lettore più allenato.

L’autore sembra quasi ricordarci che non è consigliabile voler fare dello spirito a

tutti costi, come fa il Re, perché si finisce col non poterne più. Alice, lei per prima,

non ne potrà più e manderà tutti a quel paese (quello delle Meraviglie) per tornare

sul suolo inglese, dove la logica, mitigata dal buon senso comune, non diviene follia.

Page 213: La Gran Natica dell'Aringa

201

Conclusione

Le soluzioni adottate nel trasporre il nonsense evidenziano il difficile compito del

traduttore che si sforza di trovare il giusto compromesso tra la lingua che ha

condizionato il testo originale e la lingua o le lingue che condizionano inevitabilmente le

traduzioni. La conoscenza delle lingue di arrivo e di partenza è condizione necessaria

ma non sufficiente: infatti è importante che il traduttore entri in sintonia con l’autore

dell’originale, ne sposi le scelte stilistiche e culturali, cercando lo spirito nella lettera.

Nel testo di arrivo il destinatario della traduzione deve ritrovare nella lettura le stesse

sensazioni, emozioni, suggestioni del lettore che gusta il testo originale.

Ha dunque pienamente ragione Jakobson quando afferma, nel caso della

poesia, come nel caso di testi imperniati su giochi verbali, che non di traduzione si

dovrebbe parlare, ma più correttamente di “trasposizione creatrice”, mirante ad

approssimarsi quanto più possibile al mondo creato dall’autore, alle immagini con le

quali l’autore ha deciso di far divertire il lettore (nel caso dei giochi verbali).

All’ideale di perfezione cui tendere all’infinito, cui il lavoro del traduttore deve

mirare, si accompagna inevitabilmente una certa dose di rassegnazione al fallimento.

Si tratta, tuttavia, di una sconfitta solo apparente, perché l’impossibilità di tale

compito offre l’opportunità di ricreare il testo, di moltiplicarlo, di riscriverlo in tempi e

Page 214: La Gran Natica dell'Aringa

202

luoghi diversi, per persone diverse da quelle per cui fu pensato dall’autore. Il rischio

di tradire l’autore è costantemente presente, ma è il prezzo necessario perché

un’opera letteraria si diffonda e venga conosciuta nel tempo e nello spazio.

La considerazione di Jakobson può essere trasferita dalla poesia ai testi

umoristici, o che comunque si propongono di suscitare il riso nei lettori. È a questo

effetto comico che i traduttori devono in prima istanza sottomettere la lingua di

arrivo.

Non tutti i traduttori, soprattutto quelli di testi nei quali il significante e il

codice hanno predominanza (poesia e giochi verbali), si rendono conto

dell’impossibilità di una traduzione, e traducono non tenendo conto delle particolarità

del testo in questione: si ricordi che per molto tempo Alice ha avuto un ruolo

marginale nella letteratura infantile italiana anche a causa delle traduzioni che ne

facevano un testo insulso e bizzarro, ma certamente non divertente1.

In molti casi felici il traduttore prende atto della particolare natura del testo da

tradurre e ricrea un testo capace di suscitare nel lettore la stessa reazione desiderata

dall’autore. Va da sé che, essendo fatte per un pubblico determinato, le traduzioni di

un testo saranno anch’esse indissolubilmente legate ad un tempo determinato, e

risulteranno datate già dopo pochi anni. Paradossalmente, si potrebbe addirittura

aggiungere che più riuscite sono le traduzioni (cioè più legate ad un pubblico

determinato) e più presto sono destinate a perdere di validità. 1 Cfr. Draghi Salvadori, 1968, pp.45-55

Page 215: La Gran Natica dell'Aringa

203

Nell’analisi del corpus abbiamo osservato come la traduzione abbia subito

mutamenti nel tempo, nella direzione della creazione di testi d’arrivo per certi versi

autonomi rispetto all’originale, e in un caso, il riferimento è all’edizione tradotta da

Busi, sino ai limiti dell’adattamento. Ci sembra di poter affermare che il mutamento

si comincia ad avvertire a partire dalla versione Carano in poi. Il cambiamento ha

trovato corrispondenza con una trasformazione radicale nella concezione della

letteratura per ragazzi in Italia e con una rinnovata attenzione per i giochi verbali e il

suono della lingua nella letteratura italiana, ed è quindi qualcosa che pertiene sì al

singolo traduttore, ma risente anche dell’evoluzione nelle modalità di fruizione e

ricezione di questo tipo di letteratura in Italia.

Affermare che la ricreazione, piuttosto che la traduzione, ha senso quando

parliamo di testi come Alice, non significa negare l’utilità di una versione come quella

di D’Amico, che ha scopi dichiaratamente filologici rispetto alle altre, né si vuole con

questo disprezzare le traduzioni antecedenti la versione Carano. Si noti invece come

spesso, nelle prime versioni della nostra analisi (soprattutto Giglio e Galasso e

Kemeny), i traduttori rinuncino a trovare un gioco corrispondente in italiano o,

peggio, si limitino a tradurre letteralmente, con un effetto che gli inglesi

definirebbero baffling2.

2 Cfr. (to) baffle nel Ragazzini: “1 lasciare perplesso; confondere; sconcertare; 2 render vano; frustrare; eludere; impedire; 3 deviare.”

Page 216: La Gran Natica dell'Aringa

204

Appare dunque chiaro che, sia per le poesie che per i testi come quello della

nostra analisi, il modo migliore di leggere ed apprezzare un testo sia quello di leggere

direttamente l’originale, affiancato ad una o più traduzioni. Questo procedimento

permette di riconoscere i meccanismi dei giochi di parole generando una conoscenza

via via sempre più approfondita della lingua e della sua organizzazione, nonché della

cultura e della società che per essa si esprime.

La traduzione, allora, acquista il doppio merito di far risaltare, forzando la

lingua di arrivo, un altro sistema linguistico attraverso cui il testo originale si

sostanzia, senza pretesa di sostituirsi ad esso.

Alice in originale è accessibile solo in inglese, e ad essa si dovrà ricorrere se si

vuole apprezzare il testo di Carroll nella sua integrità. Le edizioni italiane di Alice

contribuiscono però a conoscerla meglio in un altro senso, a mano a mano che le

traduzioni sono venute svelando o evidenziando peculiarità, implicite pieghe del testo

e hanno offerto chiavi interpretative e trasposizioni espressive in un’altra lingua.

Di fronte ad una Alice in originale inglese, siamo in presenza di tante Alici

italiane ‘originali’ che ci conducono in un mondo linguistico altrettanto affascinante e

misterioso e ricco di possibilità per chi voglia fermarsi a giocare con le parole.

Page 217: La Gran Natica dell'Aringa

205

Appendice Corpus Numerazione

nel corpus1 Riferimento in

AA Pagine nel

corpus I.01 p.28a p.207 I.02 p.28b p.207 III.01 p. 46 p.209 III.02 p. 47 p.210 III.03 p. 50 p.212 III.04 p. 52 p.213 IV.01 p. 59 p.214 VI.01 p. 84 p.215 VI.02 p. 90 p.215 VII.01 p. 99 p.216 VII.02 p.101 p.217 VII.03 p.102a p.218 VII.04 p.102b p.219 VII.05 p. 103 p.220 VIII.01 p. 106 p.222 VIII.02 p. 110 p.223 1 Il numero romano indica il numero del capitolo in Alice’s Adventures in Wonderland

IX.01 p. 121 p.223 IX.02 p. 127 p.226 IX.03 pp.129-30 p.227 IX.04 p. 130 p.231 X.01 pp.136-7 p.232 X.02 p. 137 p.234 XI.01 p. 148 p.235 XII.01 p. 160 p.237

Page 218: La Gran Natica dell'Aringa

206

Page 219: La Gran Natica dell'Aringa

207

I.01 AA p.28a Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.7

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.38

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.21

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.29-30

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.7

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.9a

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.29

Busi (Feltrinelli 1993) p.19

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

Presently she began again. “I wonder if I shall fall right through the earth! How funny it'll seem to come out among the people that walk with their heads downward! The Antipathies, I think—”

“Mi domando se non traverserò in questo modo tutta la terra. Come sarebbe divertente scappar fuori fra la gente che cammina a testa in giù! Gli antipatici, mi pare...

Poi cominciò a pensare ancora: «Chissà se attraverserò tutta la terra. Sarebbe divertente capitare fra la gente che cammina a testa in giù! Mi pare che si chiamino gli Antipati...»

Ma subito riprese il discorso. - Mi domando poi se precipito proprio attraverso la terra! Che buffo sarà trovarsi tra quella gente che cammina con la testa all’in giù! Gli Antipatici, credo (...)

A questo punto ricominciò. «Mi domando se non finirò per attraversare la terra da una parte all’altra! Sarà buffo sbucare fuori fra la gente che in giro a testa in giù! Agli Antidoti, mi pare...»

A questo punto ricominciò. -Chissà se attraverserò tutta la terra? Come sarà buffo uscire tra la gente che cammina a testa in giù! Gli Antipati, mi pare...!-

Ripigliò subito. «E se passassi attraverso tutta quanta la terra intera! Chissà come sono buffe quelle persone che camminano a testa in giù! Gli Antipotici, mi pare-»

«Magari cadrò dritta dritta attraverso la terra!» riprese subito dopo. «Sarà davvero buffo cadere tra la gente che cammina a testa ingiù. Dall’altra parte ci sono gli Antipiedi, mi sembra...»

A questo punto riattaccò: “Chissà se sto attraversando tutta la terra! Che numero sbucare fra quella folla di gente che cammina a testa in giù! Tantipodi... se non erro...”

1 2 3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17

I.02 AA p.28b Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.8

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.39

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.22

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.30

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.7-8

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.9b

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.30

Busi (Feltrinelli 1993) p.19

1 2 3 4 5 6 7 8 9

“(...) But do cats eat bats, I wonder?” And here Alice began to get rather sleepy, and went on saying to

“(...) Ma i gatti mangiano i pipistrelli? O mangiano i ratti? Ecco il problema!” A questo punto Alice

«(...) Chissà se i gatti mangiano i pipistrelli.» A questo punto Alice cominciò a sentir sonno e continuò a

-(...) Ma poi i gatti mangiano i pipistrelli? - E a questo punto Alice cominciò ad avere alquanto

«(...) Chissà però se i gatti mangiano i pipistrelli?» E a questo punto Alice cominciò a sentire un gran sonno, e

-(...) Ma chissà se i gatti mangiano i pipistrelli? - E a questo punto Alice cominciò ad avere sonno,

« (...) Ma una gatta mangia una gazza? Mah!» Qui Alice fu presa da una strana sonnolenza e continuava a chiedersi:

«(...) Ma chissà se i gatti mangiano i pipistrelli?» E a questo punto Alice cominciò a sentirsi

“(...) Chissà se i gatti ne van matti”. E a questo punto Alice cominciò a avere sonno e, come se stesse

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Page 220: La Gran Natica dell'Aringa

208

10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41

herself, in a dreamy sort of way, “Do cats eat bats? Do cats eat bats?” and sometimes, “Do bats eat cats?” for, you see, as she couldn’t answer either question, it didn’t much matter which way she put it.

cominciò a sentirsi piuttosto assonnata e continuò a dire fra sé e sé, come in sogno: “I gatti mangiano i ratti? i gatti mangiano i ratti?” e qualche volta: “i ratti mangiano i gatti?” Perché, vedete, dato che il problema non era di immediata soluzione, non aveva una grande importanza che fosse espresso correttamen-te.

parlare fra sé, come in dormiveglia: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» ripeteva. E a volte diceva: «I pipistrelli mangiano i gatti?» Infatti, siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se la poneva.

sonno, e come quando si parla nei sogni continuò a ripetere a se stessa “Ma i gatti mangiano pipistrelli? Ma i gatti mangiano pipistrelli?” e qualche volta, “Ma i pipistrelli mangiano gatti?”, perché, vedete, dal momento che le era impossibile rispondere e all’una e all’altra domanda, poco importava quale fosse il modo giusto di porla.

continuò a ripetere fra sé, come in un dormiveglia: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» e qualche volta: «I pipistrelli mangiano i gatti?» perché, capite, siccome non sapeva rispondere a nessuna delle due domande, non faceva gran differenza come le formulava.

e continuò a ripetersi, quasi come in sogno: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» e talvolta, «I pipistrelli mangiano i gatti?» poiché, vedete, siccome non sapeva dare una risposta a nessuna delle due domande, poco importava come se le poneva.

«Una gatta mangia una gazza? Una gatta mangia una gazza?» e a volte «Una gazza mangia una gatta?» perché, capite, non sapendo qual era la risposta giusta a nessuna delle due domande, poco importava come le formulasse.

alquanto insonnolita e continuò a ripetere tra sé, come se sognasse: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gattuccelli mangiano i rattuccelli?». E qualche volta anche: «I rattuccelli mangiano i gattuccelli?». Il fatto è che, non sapendo rispondere a nessuna delle due domande, il modo in cui le formulava non aveva proprio nessuna importanza.

sognando, continuava a ripetersi: “I gatti ne van matti? I gatti ne van matti?” o anche: “I matti van a gatti? I matti van a gatti?” poiché, visto che non sapeva dare una risposta a nessuna delle due domande, non contava molto chi andava matto di chi.

10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41

Page 221: La Gran Natica dell'Aringa

209

III.01 AA p.46 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.23

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.55-6

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.37

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.48

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.23-4

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.16

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.44

Busi (Feltrinelli 1993) p.39

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

At last the Mouse, who seemed to be a person of authority among them, called out, “Sit down, all of you, and listen to me! I’ll soon make you dry enough!” (...) “Ahem!” said the Mouse with an important air, “are you all ready? This is the driest thing I know. Silence all round, if you please! (...)”

Alla fine il Topo, che sembrava una persona autorevole, gridò: “Mettetevi tutti a sedere e ascoltatemi! In un battibaleno sarete tutti asciutti perché ora vi seccherò io come si deve.” (...) “Ehm, ehm!” cominciò il Topo con aria di importanza. “Siete tutti pronti? Questa è la cosa più seccante che io conosca. Silenzio tutti quanti, prego. (...)”

Alla fine il Topo, che sembrava una persona autorevole, chiamò tutti a raccolta e disse: «Sedetevi e ascoltatemi! Presto sarete tutti asciutti, perché adesso penserò io a seccarvi!» (...) «Ehm!» cominciò il Topo dandosi una certa importanza. «Siete tutti pronti? Questo è il tono più asciutto che conosca. Silenzio tutti, prego. (...)»

Ad un tratto il Topo, che sembrava la persona di maggiore autorità nel gruppo, gridò: - Tutti voi sedetevi e ascoltatemi! Tra un istante vi dirò come potrete asciugarvi! - (...) - Attenzione! - disse il Topo dandosi l’aria di una persona importante, - siete tutti pronti? Questo è il sistema più asciutto che conosca. Silenzio, per favore! (...)

Finalmente il Topo, che lì in mezzo sembrava godere di una certa autorità, disse forte: «Sedetevi tutti e statemi a sentire! Ci penso a seccarvi in poco tempo!» (...) «Ahem!» disse il Topo con aria d’importanza. «Siete tutti pronti? Ecco la cosa più seccante che conosco. Silenzio intorno, per favore! (...)»

Alla fine il Topo, che sembrava essere persona autorevole tra di loro, ordinò: - Sedetevi ed ascoltatemi! Io vi asciugherò tutti ben presto! - (...) - Hem-hem! - disse il Topo con aria d’importanza. - Siete tutti pronti? Questa è la cosa più asciutta che conosca. Silenzio qui intorno, prego! (...)-

Finalmente, intervenne il Topo, che nel gruppo sembrava godere di una certa autorità, e disse con voce alta: «Mettetevi seduti, e statemi a sentire! Pochi minuti mi basteranno per lasciarvi tutti secchi!» (...) «Ahem!» fece il Topo con aria importante. «Siete tutti pronti? Eccovi qualcosa di molto asciutto. Prego osservare il massimo silenzio! (...)»

Finalmente il Topo che, a quanto pareva, era considerato un’autorità dagli altri, chiamò tutti a raccolta: «Sedetevi tutti e statemi a sentire! So io come seccarvi per bene tutti quanti». (...) «Ehm, ehm!» disse il Topo con cipiglio importante. «Siete tutti pronti? Questa è la cosa più seccante che conosco. Silenzio lì intorno, prego! (...)»

Alla fine il Topo, che sembrava godere di una certa autorità fra gli astanti, annunciò: “Sedetevi e ascoltatemi. Io vi farò seccare in un battibaleno!” (...) “Hemhem!” disse il Topo aggrottando la fronte. “Siete tutti pronti? Ve la dico io la cosa che secca di più. Silenzio lì in fondo, per piacere! (...)”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

Page 222: La Gran Natica dell'Aringa

210

III.02 AA p.47 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.24

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.56

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.38

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.49

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.23

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.24

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.45

Busi (Feltrinelli 1993) p.41

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

“—I proceed. ‘Edwin and Morcar, the earls of Mercia and Northumbria, declared for him: and even Stigand, the patriotic archbishop of Canterbury, found it advisable—‘” “Found what?” said the Duck. “Found it,” the Mouse replied rather crossly: “of course you know what ‘it’ means.” “I know what ‘it’ means well enough, when I find a thing,” said the Duck: “it's generally a frog or a worm. The question is, what did the archbishop find?”

“Allora continuo. ‘Edwin e Morcar, i conti di Mercia e di Northumbria, si dichiararono in suo favore; anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò questo opportuno’...” “Trovò che cosa?”, domandò l’Anatra. “Trovò questo,” rispose piuttosto seccato il Topo. “Naturalmen-te, saprai che cosa significa ‘questo’.” “So benissimo che cosa significa ‘questo’, quando io trovo qualcosa”,

«(...) Allora continuo. Come vi dice-vo, signori, Edvino e Morcar, i con-ti di Mercia e Nortumbria, si dichiararo-no favorevoli a lui; anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò ciò con-sigliabile...» «Trovò che cosa?» doman-dò l’Anatra. «Trovò ciò» rispose il Topo, piuttos-to seccato. «Immagino che il signore sappia che cosa significa ciò.» «So benissimo che cosa signi-fica ciò, quan-do si riferisce a una cosa» disse l’Anatra. «Per esempio, io posso

-Bene, procediamo: Edwin e Morcar, conti di Mercia e Northumbria, si dichiararo-no a suo favo-re: e persino Stigand, il patriottico Arcivescovo di Canterbury, trovò la cosa opportuna... -Trovò cosa?- chiese l’Anitra. -Trovò la cosa opportuna,-rispose il Topo piut-tosto irritato: -Sono certo che tu sai quale sia il suo significato. -So benissimo quale è il suo significato, quando trovo una cosa,-disse l’Anitra, -e questa è di solito una rana o un verme. Ma la questio-

«Vado avanti. ’Edwin e Morcar, signori della Mercia e della Northumbria, optarono per lui; e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò oppor-tuno...’» «Chi trovò?» disse l’Anatra. «Trovò opportuno», rispose il Topo, abbas-tanza seccato: «lo saprai cosa vuol dire op-portuno, no?» «Io so quello che trovo io quando trovo qualcosa», disse l’Anatra; «di solito è un verme o una rana. La questione è: ’cosa trovò l’arcivesco-vo?’» Il Topo non

-Allora vado avanti. «Edwin e Morcar, conti di Mercia e Northumbria, si pronunciarono in suo favore: ed anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò ciò con-sigliabile...» -Trovò cosa?-disse l’Anitra. -Trovò ciò,-rispose il Topo piuttosto seccamente: -Lei sa certo cosa significa «ciò». -So benissimo cosa significa «ciò» quando trovo una cosa,- disse l’Anitra: -In genere si tratta di una rana o di un verme. Qui la questione è di

«Procediamo. “Edwin e Morcar, conti della Mercia e della Northumbria, resero omaggio al conquistatore, e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò la cosa convenien-te”». «Trovò cosa?» domandò l’Anatra. «Trovò la cosa» replicò il Topo piut-tosto seccato, «immagino che tu sappia che cosa sia una cosa». «So che cos’è una cosa quando la trovo» disse l’Anatra: «e, di solito è una rana o un verme. La mia domanda è

«Bene allora, procediamo. “Edwin e Morcar, conti di Mercia e di Northumbria, si espressero a suo favore; e persino Stigand, il patriottico Arcivescovo di Canterbury, ritenne che fosse cosa opportuna...”» «Quale cosa?» interruppe l’Anatra. «Quella cosa!» ribatté il Topo piuttosto seccato. «Voglio sperare che tu sappia che cosa è una cosa.» «So benissimo che cos’è una cosa quando io ne trovo una» disse l’Anatra. «Di regola è un ranocchio o un vermicello.

“Allora vado avanti. ‘Edwin e Morcar, i conti di Mercia e di Northumbria, si pronun-ciarono in suo favore, e per-sino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò la qualcosa con-sigliabile...’ ” “Trovò che?” disse l’Anitra. “La qualcosa,” rispose il Topo alquanto seccato. “Lei saprà certamente cosa significa la qualcosa.” “Altroché se lo so, quando trovo qualcosa io,” disse l’Anitra “di solito si tratta di una rana o di un lombrico. La mia domanda

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

Page 223: La Gran Natica dell'Aringa

211

38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64

The Mouse did not notice this question, but hurriedly went on, “ ‘—found it advisable to go with Edgar Atheling to meet William and offer him the crown.(...)”

disse l’Anatra: “si tratta generalmente di un ranoc-chio o di un verme. Il pro-blema è: che cosa trovò l’arcivesco-vo?” Senza prende-re in conside-razione la do-manda, il To-po s’affrettò a riprende-re il filo del rac-conto: “Trovò questo opportuno: di andare con Edgar Atheling a incontrare Guglielmo e offrirgli la corona (...)”

trovare un ranocchio oppure un verme. Ma adesso il problema è di sapere che cosa trovò l’arcivescovo, mi pare.» Il Topo fece finta di non aver sentito la domanda e s’affrettò a continuare: «Trovò, ripe-to, che era consigliabile andare con Edgardo Atheling a incontrare Guglielmo per offrirgli la corona. (...)»

ne è questa: che cosa trovò l’Arcivescovo? Il topo ignorò questa battuta e continuò in fretta il suo discorso: -Trovò dun-que opportu-no andare assieme ad Edgar Atheling incontro a Guglielmo per offrirgli la corona. (...)

rilevò la do-manda, ma continuò in fretta: «.’..tro-vò opportuno muovere con Edgar Atheling incontro a Guglielmo onde offrirgli la corona. (...)»

sapere cosa trovò l’arcivescovo! Il Topo non fece caso a questa osservazione, andò invece avanti spedito, - « ... trovò consigliabile di andare insieme a Edgar Atheling ad incontrare Guglielmo per offrirgli la corona. (...)

che cosa trovò l’arcivesco-vo?” Il Topo sorvolò su questa domanda, ma si affrettò a proseguire. «“- trovò la cosa conveniente e andò incontro a Guglielmo scortato da Edgar Atheling per offrirgli spontaneamente la corona. (...)»

Ma la mia domanda è: che cos’è la cosa che l’Arcivescovo ha ritenuto?» Il Topo ignorò la domanda e proseguì velocemente: «... “ritenne che fosse cosa opportuna recarsi con Edgar Atheling da Guglielmo e offrirgli la corona. (...)»

è che cos’è che trovò l’arcivescovo.” Il Topo non fece caso alla domanda e proseguì imperterrito “ ‘...trovò la qualcosa consigliabile tanto che si unì a Edgar Atheling per muoversi all’incontro di Guglielmo e offrirgli la corona. (...)”

38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64

Page 224: La Gran Natica dell'Aringa

212

III.03

AA p.50 Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.27

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.60

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.41

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.52

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.25-6

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.26b

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.47

Busi (Feltrinelli 1993) p.45

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25

“Mine is a long and a sad tale!” said the Mouse, turning to Alice, and sighing. “It is a long tail, certainly,” said Alice, looking down with wonder at the Mouse's tail; “but why do you call it sad?”

“La mia è una storia lunga e triste!” disse il Topo, voltandosi verso Alice e sospirando. “È proprio una coda lunga, davvero”, disse Alice, abbassando lo sguardo stupito sulla coda del Topo; “ma perché dici ch’è triste?”.

«La mia non è una di quelle storie senza capo né coda: è lunga e triste» disse il Topo con un sospiro, volgendosi verso Alice. «Lo so che la coda è lunga» disse Alice, la quale non aveva capito bene. «Ma perché poi è triste?»

-La mia è una lunga e triste storia! - replicò il Topo, rivolgendosi con un profondo sospiro ad Alice. -Oh, certamente è una lunga coda,- disse Alice guardando con meraviglia la coda del Topo; -ma perché dici che è triste?-

«La mia storia ha una coda lunga e triste!» disse il Topo, voltandosi verso Alice e tirando un sospiro. «Che è lunga lo vedo», disse Alice guardando perplessa la coda del Topo; «ma perché dici che è triste?»

-La mia è una storia lunga e triste!- disse il Topo, volgendosi verso Alice e sospirando. -È lunga senza dubbio,- disse Alice guardando la coda del Topo con stupore; - ma perché dici che è triste?-

«Sapeste che storia triste, con una lunga coda di interminabili vicende!» dichiarò il Topo e volgendosi verso Alice, sospirò. «Una coda lunga davvero» replicò Alice, che aveva abbassato gli occhi e guardava meravigliata la coda del Topo, «ma perché è diventata triste?»

«Il mio è un racconto triste, con una lunga coda!» disse il Topo ad Alice, sospirando. «Che la tua coda sia lunga non c’è dubbio» disse Alice guardando stupita la coda del Topo. «Ma che cosa c’entra con il racconto? E perché è triste?»

“Il mio è un lungo codazzo di miserie,” disse il Topo sospirando, volgendosi ad Alice. “Ah per essere lungo è lungo davvero,” disse Alice abbassando lo sguardo meravigliato sulla coda del Topo, “ma cosa c’entrano le miserie?”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25

Page 225: La Gran Natica dell'Aringa

213

III.04 AA p.52 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.29

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.62

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.43

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.54

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.27

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.28

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.49

Busi (Feltrinelli 1993) p.49

1 2 3 4 5 6 7 8 9 1011121314151617181920212223242526272829303132333435

“You are not attending!” said the Mouse to Alice severely. “What are you thinking of?” “I beg your pardon,” said Alice very humbly: “you had got to the fifth bend, I think?” “I had not!” cried the Mouse, sharply and very angrily. “A knot!” said Alice, always ready to make herself useful, and looking anxiously about her. “Oh, do let me help to undo it!”

“Non stai prestando attenzione!” disse il Topo ad Alice in tono severo. “A che cosa stai pensando?” “Chiedo scusa,” disse Alice con grande umiltà: “eri arrivato alla quinta curva, vero?” “No davvero!” esclamò il Topo, arrabbiato. “Un nodo!”, disse Alice, sempre pronta a rendersi utile, guardandosi in torno ansiosamente“Oh, lascia che ti aiuti a scioglierlo!”.

«Ma tu non mi segui!» disse a un tratto il Topo ad Alice, con tono di rimprovero. «A che pensi?» «Ti chiedo scusa» rispose Alice umilmente. «Mi ero un po’ distratta.» «Lo noto!» gridò il Topo, arrabbiato. «Un nodo?» disse Alice. Credeva che il Topo si fosse fatto un nodo alla coda e desi-derava ren-dersi utile. «Ti aiuto io a scioglierlo!»

-Ma tu non presti attenzione! - disse il Topo ad Alice. - A cosa stai pensando? -Ti chiedo scusa, -rispose Alice in tono molto umile: -mi sembra tu sia arrivato alla quinta svolta della cosa, non è vero? -Assoluta-mente, no! - urlò il Topo con ira, molto seccato. -Un nodo! - esclamò Alice sempre pronta a rendersi utile e guardandosi intorno con ansia. -Oh, per favore, lascia che ti aiuti a disfarlo!

«Non stai a sentire!» disse il Topo ad Alice, in tono severo. «A che pensi?» «Chiedo scusa», disse Alice in tutta umiltà. «Eri arrivato alla quinta curva, vero?» «Neanche per sogno!» esclamò secco il Topo, molto irritato. «Un nodo!» disse Alice, guardandosi attorno ansiosa di rendersi utile. «Lascia che ti aiuti a scioglierlo!»

-Ma tu non stai a sentire!- disse il Topo ad Alice severamente. -A cosa stai pensando? -Scusami tanto, - disse Alice con molta umiltà: -Sei arrivato alla quinta curva, vero? -Ma no!- urlò il Topo, con rabbia. -Mano? Ti sei fatto male a una mano?- disse Alice, sempre pronta a rendersi utile, e si guardò intorno. -Oh, lascia che te la fasci!

«Tu non segui il filo!» esclamò il Topo aspra-mente, rivol-gendosi ad Alice. «A co-sa stavi pen-sando?» «Scusami», rispose Alice umile umile, «In realtà se-guivo proprio il filo. Sei alla quinta curva-tura: le ulti-me si van facendo più piccole, hai notato?» «No! Non noto niente!» strillò il Topo con voce acu-ta e alquanto furiosa. «Un nodo!» esclamò Ali-ce, sempre desiderosa di rendersi utile, guardandosi attorno piena di sollecitudi-

«Non sei niente attenta!» disse il Topo ad Alice in tono severo. «A che cosa stai pensando?» «Sono mortificata» rispose Alice umilmente. «Sei arrivato alla quinta curva, vero?» «No! Dovevo...» gridò il Topo, arrabbiato. «Un nodo!» disse Alice, sempre pronta a rendersi utile, guardandosi attorno con ansia. «Oh, ti prego, lascia che ti aiuti a scioglierlo!»

“Distratto-na!” disse il Topo a Alice severamente. “Che ti frulla in testa, eh?” “Scusami tanto,” disse Alice con ogni umiltà, “sei arrivato alla quinta curva, se non sbaglio...” “Mi prendi in giro?” urlò il Topo su tutte le furie. “No, davvero: a zig-zag” disse Alice, precisina come sempre.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 1213 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

Page 226: La Gran Natica dell'Aringa

214

36 37 38 39

ne. «Oh, la-scia che ti aiuti a scio-glierlo!»

36 37 38 39

IV.01

AA p59 Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.34

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.68

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.50

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.60-1

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.33

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.32

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.54

Busi (Feltrinelli 1993) p.57

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

“(...) There ought to be a book written about me, that there ought! And when I grow up, I'll write one—but I’m grown up now,” she added in a sorrowful tone; “at least there’s no room to grow up any more here.” “But then,” thought Alice, “shall I never get any older than I am now?(...)”

“(...)Si dovrebbe scrivere un libro su di me, si dovrebbe! quando sarò cresciuta lo scriverò...” “Ma io sono bell’e cresciuta,” aggiunse in tono malinconico la prima Alice; “per lo meno, se crescessi ancora non so davvero come farei a stare qua dentro. Ma allora,” seguitava a riflettere, “i miei anni non aumenteranno più? (...)”

«(...) Bisognerebbe scriverla, la mia storia! Bisognerebbe proprio! Quando crescerò la scriverò io... Ma... io sono cresciuta,» aggiunse con voce lamentosa «e qui non c’è proprio spazio per crescere ancora!» «Ma allora,» continuò Alice «non diventerò mai più vecchia di come sono adesso? (...)»

“(...) Si dovrebbe scrivere un libro su questa mia avventura, certo si dovrebbe proprio! E quando diventerò grande, ne scriverò una io... ma sono grande adesso,” aggiunse un po’ rattristata; “qui almeno non c’è più spazio per crescere ancora.” “Ma allora” pensò Alice, “non diventerò mai più vecchia di quel che sono ora?(...)”

«(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me, ecco! E quando sarò grande ne scriverò uno io... ma sono già grande», aggiunse in tono dolo-roso. «Almeno, qui dentro di spazio per crescere non ce n’è più.» «Forse però», pensò Alice, «vuol dire che non diventerò mai più vecchia di così. (...)»

«(...) Si dovrebbe scrivere un libro su di me, davvero! Quando divento grande, lo scriverò io... Ma io sono grande adesso, - aggiunse in tono lamentoso; - o almeno, qui non c’è spazio per diventare più grande». «Ma allora,- pensò Alice, -non diventerò mai più vecchia di quel che sono adesso? (...)»

«(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me, eccome se dovrebbero! Quando sarò grande, lo scriverò io — ma io sono già grande», aggiunse addoloratissima, «perlomeno non c’è spazio per diventare più grande di così, qui!» «Ma allora» andava ragionando Alice, «vuol forse dire che non crescerò più? (...)»

«(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me! Dovrebbero proprio farlo! E quando sarò grande, ne scriverò uno io... Però io sono grande adesso» aggiunse addolorata. «Per fortuna che qui non c’è spazio per crescere ancora!» «Ma poi» rifletté Alice «chissà se diventerò mai più grande di adesso?(...)»

“(...) Bisognerebbe scrivere un libro su di me, sarebbe un best seller! Da grande me ne scriverò uno io... Ma io sono già grande adesso!” aggiunse con voce piena di tristezza, “e poi qui non c’è spazio per diventare ancora più grande.” “Però,” pensò Alice, “questo significa che non diventerò mai più vecchia di così!(...)”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

Page 227: La Gran Natica dell'Aringa

215

VI.01 AA p.84 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.57-8

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.89

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.76

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.86

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.60

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.54

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.76

Busi (Feltrinelli 1993) p.89

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

“(...) You see the earth takes twenty-four hours to turn round on its axis—” “Talking of axes,” said the Duchess, “chop off her head!”

“(...) Vede, la terra impiega ventiquattr’ore per girare intorno al suo asse...” “A proposito di asce,” interruppe la Duchessa; “tagliatele la testa.”

«(...) Infatti la terra impiega ventiquattr’ore per girare intorno al suo asse.» «A proposito di asce» interruppe la Duchessa. «Tagliatele la testa!»

-(...) La terra, vedete, ci mette ventiquattro ore per girare intorno al suo asse... -Parla di assi- esclamò la Duchessa, -tagliale la testa!

«(...)Sa, la terra impiega ventiquattr’ore a girare sul proprio asse...» «A proposito di asce», disse la Duchessa, «mozzatele il capo!»

-(...) Vedi, la terra impiega ventiquattr’ore a ruotare intorno al suo asse... -A proposito di asce,- disse la Duchessa,-tagliatele la testa!

«(...) Lei sa che la terra impiega ventiquattro ore per girare attorno al proprio asse —» «A proposito di asce» la interruppe la Duchessa, «mozzatele la testa!»

«(...) Vede, la terra impiega ventiquattro ore a ruotare sul proprio asse...» «A proposito di asce» disse la Duchessa. «Prendine una e tagliale la testa.»

“(...) Vede, la Terra impiega ventiquattr’ore a ruotare intorno al suo asse...” “A proposito di asce,” disse la Duchessa, “tagliatele la testa!”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

VI.02 AA p.90 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.63

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.95

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.82

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.93

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.65

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.60

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.82

Busi (Feltrinelli 1993) p.97

1 2 3 4 5 6 7 8 9

“Did you say pig, or fig?” said the Cat. “I said pig,” replied Alice; (...)

“Scusa, hai detto ‘porcello’ o ‘portello’?” “’Porcello’,” rispose Alice; (...).

«Hai detto maiale o caviale?» le chiese il Gatto. «Ho detto maiale» rispose Alice.

-Hai detto porcello o pestello?- domandò il Gatto. -Ho detto porcello,- rispose Alice; (...)

«Hai detto ’porcello’ o ’ombrello’?» disse il Gatto. «Ho detto ’porcello’», rispose Alice; (...)

-Hai detto porcellino o parcellino?- disse il Gatto. -Ho detto porcellino,-rispose Alice; (...)

«Hai detto “porcello” o “forcella”?» chiese il Gatto. «Ho detto “porcello”» rispose Alice; (...)

«Hai detto in un porcellino o in un porcino?» chiese il Gatto. «In un porcellino» rispose Alice.

“Hai detto ‘porco’ o ‘orco’?” disse il Gatto. “Ho detto ‘porco’” rispose Alice, (...)

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Page 228: La Gran Natica dell'Aringa

216

VII.01 AA p.99 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.70

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.102

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.90

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.100

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.70

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.65

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.90

Busi (Feltrinelli 1993) p.105

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

“Well, I’d hardly finished the first verse,” said the Hatter, “when the Queen jumped up and bawled out, ‘He’s murdering the time! Off with his head!’ ”

“Bene,” seguitò il Cappellaio, “avevo appena finito la prima strofa, quando la Regina saltò su a strillare: ‘Sta assassinando il tempo! Tagliategli la testa! Via la testa! Via la testa!’ ”

«Insomma, avevo appena finito la prima strofa,» riprese il Cappellaio «quando la Regina saltò in piedi e si mise a urlare: “Sta assassinando il Tempo! Tagliategli la testa!”»

-E così, avevo appena finito di cantare il primo verso, -disse il Cappellaio, -quando la Regina saltò in piedi e proclamò a voce alta: «Sta ammazzando il tempo! Tagliategli la testa!»

«Be’, avevo appena finito la prima strofa», disse il Cappellaio, «che la Regina si mise a strillare: ’Sta assassinando il tempo! Mozzategli il capo!’»

-Beh, non avevo neppure finito la prima strofa,- disse il Cappellaio, - che la Regina balzò in piedi e gridò con voce stentorea: «Sta assassinando il tempo! Gli sia mozzata la testa!»

«Ebbene, avevo quasi finito la prima strofa» disse il Cappellaio, «quando la Regina si mise a urlare “È fuori Tempo! Tagliategli la testa!”»

«Dunque, avevo appena finito di cantare il primo verso,» disse il Cappellaio «quando la Regina balzò in piedi proclamando: “quello il tempo lo assassina! Tagliategli la testa!”»

“Morale: non avevo neppure finito la prima strofa,” disse il Cappellaio, “che la Regina balzò in piedi e gridò con voce sincopata ‘Staàm - mazzàndoiltémpò! Bò - ìadàc -ciuntàgliò!’ ”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

Page 229: La Gran Natica dell'Aringa

217

VII.02 AA p.101 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.71

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.103-104

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.91

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.102

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.71

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.67

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.90

Busi (Feltrinelli 1993) p.109

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31

“Take some more tea,” the March Hare said to Alice, very earnestly. “I've had nothing yet,” Alice replied in an offended tone, “so I can't take more.” “You mean you can't take LESS,” said the Hatter: “it's very easy to take more than nothing.”

“Prendi un po’ più di te,” suggerì la lepre marzolina ad Alice, con molta serietà. “Non ne ho avuto affatto finora,” rispose Alice offesa, “ragione per cui non ne posso prendere di più.” “Vorrai dire che non puoi prenderne di meno,” disse il Cappellaio, “prendere più di niente è molto facile.”

«Prendi un altro po’ di tè» disse ad Alice la Lepre Marzolina, con un tono molto premuroso. «Non ne ho ancora avuto» rispose lei offesa. «Perciò non posso prenderne un altro po’.» «Vorrai dire che non puoi prenderne di meno» disse il Cappellaio. «Ma prenderne di più di niente è molto facile.»

-Bevi più tè, - disse la Lepre Marzolina ad Alice molto seriamente. -Non ne ho ancora bevuto,- rispose Alice in tono offeso,- quindi non ne posso bere di più. -Vuoi dire che non ne puoi bere di meno,- disse il Cappellaio: -è molto più facile berne di più che non berne affatto.

«Prendi dell’altro tè», disse seria ad Alice la Lepre Marzolina. «Ancora non ne ho avuto affatto», rispose Alice in tono offeso; «ragion per cui non posso prenderne dell’altro.» «Vuoi dire che non puoi prenderne di meno», disse il Cappellaio; «se non si è avuto niente non si può che prendere qualcosa.»

-Prendi un altro po’ di tè,- disse la Lepre Marzolina ad Alice con molto calore. -Non ne ho avuto ancora,- rispose Alice offesa, -perciò non posso prenderne un altro po’. -Vuoi dire che non puoi darne se mai,- disse il Cappellaio -ma prenderne un altro po’ è facilissimo se non ne hai avuto niente.

«Prendine un po’ di più», disse premuroso il Leprotto Marzolino rivolgendosi ad Alice, «di tè». «Veramente non l’ho ancora preso per niente» rispose Alice con il tono di chi è offeso; « ragion per cui non posso prenderne di più». «Vorrai dire che non puoi prenderne di meno» obiettò il Cappellaio, «prendere qualcosa di più che niente è più facilissimo».

«Prendi ancora un po’ di tè» disse con ardore ad Alice la Lepre Marzolina. «Non ne ho ancora preso» rispose Alice in tono offeso «e quindi non posso prenderne ancora.» «Se non ne hai ancora preso, vuol dire che non puoi prenderne di meno» disse il Cappellaio. «È molto più facile prenderne di più che non prenderne affatto.»

“Ma prendine di più di tè”, disse la Lepre Marzolina a Alice, con estrema serietà. “Se finora non ne ho avuto nemmeno una goccia,” rispose Alice piccata, “non posso certo prenderne di più.” “Vuoi dire che non puoi prenderne di meno,” disse il Cappellaio; “prenderne di più di niente è facilissi-mo.”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10111213141516171819202122232425262728293031

Page 230: La Gran Natica dell'Aringa

218

VII.03 AA p.102a Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.72

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.104

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.92

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.103

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.67

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91

Busi (Feltrinelli 1993) p.109

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

“And so these three little sisters—they were learning to draw, you know—” “What did they draw?” said Alice, quite forgetting her promise. “Treacle,” said the Dormouse, without considering at all this time. (...) Alice did not wish to offend the Dormouse again, so she began very cautiously: “But I don't understand. Where did they draw the treacle from?” “You can draw water

“E così, queste tre sorelline... imparavano a disegnare, sapete...” “Che cosa di-segnavano?” chiese Alice dimenticandosi comple-tamente la promessa. “Melassa” rispose il Ghiro senza riflettere af-fatto, questa volta. (...) La bimba non voleva offendere di nuove il Ghiro così cominciò prudente-mente: “Io non capisco. Da dove attinge-vano per disegnare la melassa?” “Si può attingere l’ac-

«Queste tre sorelline... impararono a tirar fuori...» «Che cosa?» disse Alice, che aveva già dimenticata la promessa. «La melassa» disse il Ghiro. E questa volta non ebbe esitazioni. (...)Alice non desiderava offendere di nuovo il Ghiro e perciò riprese con molta cautela: «Non ho capito be-ne. Da dove tiravan fuori la melassa?» «Se da un pozzo d’ac-qua si tira fuori l’acqua,» disse il Cappellaio «è chiaro che da un pozzo di

-Perciò queste tre piccole sorel-le... impara-vano a tirare su... -Cosa tiravano?- chiese Alice, dimenticandosi della pro-messa fatta. -Melassa,-rispose il Ghiro senza pensarci af-fatto questa volta. (...) Alice non voleva offen-dere di nuovo il Ghiro, sic-ché riprese con molta cautela: -Ma io non capi-sco. Da dove tiravano su la melassa? -Si può tirar su l’acqua da un pozzo d’acqua,- disse il Cap-pellaio; -così

«Insomma, queste tre so-relline... sta-vano impa-rando a dise-gnare...» «E che dise-gnavano?» disse Alice, del tutto di-mentica della sua promes-sa. «Melassa», disse il Ghi-ro, stavolta senza riflet-tere. (...) Alice non voleva offen-dere di nuovo il Ghiro, perciò co-minciò molto cauta: «Ma non capisco. Da dove es-traevano la melassa?» «Come si es-trae l’acqua da un pozzo», disse il Cap-pellaio, «si potrà estrarre

-E così le tre sorelline... stavano im-parando a estrarre, capi-sci... -Cosa estrae-vano?- disse Alice, non ricordandosi affatto della sua promes-sa. -Melassa,-disse il Ghi-ro, senza alcuna esita-zione, questa volta. (...) Alice non voleva offen-dere ancora una volta il Ghiro, per cui cominciò con molta cautela: -Ma... non capisco. Da dove es-traevano la melassa? -Tu estrai l’acqua da un pozzo d’ac-qua, no?- dis-

«E allora quelle tre so-relline – im-paravano a disegnare-». «Che cosa di-segnavano?» domandò Alice, del tutto dimen-tica della sua promessa. «Melassa» rispose il Ghiro, senza starci a pen-sare neanche un attimo, questa volta. (...) Alice non voleva offen-dere un’altra volta il Ghiro e fu solo con grande caute-la che si az-zardò a chie-dere: «Non capisco. Da dove prende-vano la me-lassa per dise-gnarla?» «Sai come si

«Queste tre sorelline... stavano im-parando a trarre e a ri-trarre...» «E che cosa traevano e ritraevano?» chiese Alice, dimenticando del tutto la sua promes-sa. «Melassa» ris-pose il Ghiro. E questa vol-ta non stette lì a pensarci. (...) Non volendo offendere un’altra volta il Ghiro, Ali-ce si mise a parlare con molta circo-spezione: «non capisco proprio. Da dove la trae-vano, la me-lassa?» «Se puoi trar-re l’acqua da

“Orbene, devi sapere che le tre so-relline stava-no imparan-do a disegn-are schizzi...” “Schizzi di che cosa?” disse Alice, dimenticandosi subito della promessa. “Di melassa,” disse il Ghi-ro, stavolta senza un atti-mo di rifles-sione. (...) Alice non voleva offen-dere ancora una volta il Ghiro e con molta cautela modulò un “Ma... io non capisco. Da dove li pren-devano questi schizzi di me-lassa?” “Se si posso-no prendere schizzi

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

Page 231: La Gran Natica dell'Aringa

219

36 37 38 39 40 41 42 43 44 4546 47 48

out of a water-well,” said the Hatter; “so I should think you could draw treacle out of a treacle-well—eh, stupid?”

qua da un pozzo d’acqua,” rispose il Cappellaio; “perciò mi pare che si possa attin-gere la melas-sa da un poz-zo di melassa: eh, stupida?”.

melassa si tira fuori la melassa. Non è così, stupi-dina?»

dunque penserei che è possibile tirar su la me-lassa da un pozzo di me-lassa... un po’ stupida, no?

la melassa da un pozzo di melassa, cre-do... eh, stu-pida?»

se il Cappel-laio; -perciò direi che tu puoi estrarre la melassa da un pozzo di melassa, no, stupidotta?

prende l’ac-qua da un pozzo d’ac-qua?» le ris-pose il Cap-pellaio. «Allo stesso modo prendi la me-lassa da un pozzo di me-lassa, no, stu-pidina!»

un pozzo d’acqua» disse il Cap-pellaio «dovresti ca-pire che puoi trarre la me-lassa da un pozzo di me-lassa, no? Stupidotta!»

d’acqua da un pozzo d’ac-qua,” disse il Cappellaio, “converrai che si potran-no anche prendere schizzi di me-lassa da un pozzo di me-lassa, no? Grulla!”

36373839404142434445464748

VII.04 AA p.102b Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.73

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.105

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.92

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.103-4

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.68

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91

Busi (Feltrinelli 1993) p.111

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

“But they were in the well,” Alice said to the Dormouse, not choosing to notice this last remark. “Of course they were”, said the Dormouse; “—well in.”

“Ma erano dentro il pozzo,” disse Alice al Ghiro, preferendo non rilevare l’epiteto. “Certo,” disse il Ghiro; “ben dentro.”

«Ma se erano in fondo al pozzo!» disse Alice rivolta al Ghiro e facendo finta di non aver udito l’insulto del Cappellaio. «Certo che c’erano, e ci stavano bene!» disse il Ghiro.

-Ma se le tre sorelle erano in fondo al pozzo,- commentò Alice senza far molto caso all’offesa del Cappellaio. -Certo che lo erano- disse il Ghiro: -e in fondo anche.

«Ma loro erano già dentro il pozzo», disse Alice al Ghiro, decidendo di ignorare l’ultima osservazione. «Certo», disse il Ghiro, «ben dentro.»

-Ma loro sta-vano dentro a un pozzo,- disse Alice al Ghiro, fin-gendo di non aver rilevato quest’ultimo intervento. -Certo che ci stavano- dis-se il Ghiro; -...e gli piaceva un pozzo!

«Ma loro era-no in fondo al pozzo» ag-giunse Alice, rivolta al Ghiro, prefe-rendo ignora-re quest’ul-tima osserva-zione. «Certo» ris-pose il Ghiro, «nel fondo profondo del pozzo».

«Ma loro era-no in fon-do al pozzo» dis-se Alice al Ghiro, deci-dendo di non badare alla battuta del Cappellaio. «Certo che c’erano» disse il Ghiro «...in fondo al fon-do profon-do.»

“Ma loro stavano den-tro il pozzo!” Disse Alice al Ghiro, deci-dendo di sor-volare su quest’ultimo epiteto. “Ma certo che stavano dentro il poz-zo,” disse il Ghiro. “Non farmi uscire pozzo!”

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

Page 232: La Gran Natica dell'Aringa

220

VII.05 AA p.103 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.73

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.105-106

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.93

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.104

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72-3

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.68

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91-2

Busi (Feltrinelli 1993) p.111

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 2728 29 30 31 32 33 34 35

“They were learning to draw,” the Dormouse went on, yawning and rubbing its eyes, for it was getting very sleepy; “and they drew all manner of things—everything that begins with an M-” “Why with an M?” said Alice. “Why not?” said the March Hare. Alice was silent. The Dormouse had closed its eyes by this time, and was going off into a doze; but, on being pinched by the Hatter, it

“Imparavano a disegnare,” seguitò il Ghiro sbadi-gliando e fre-gandosi gli occhi perché aveva un gran sonno, “e di-segnavano ogni sorta di cose: tutto ciò che co-mincia con la M...” “Perché con la M?” “Perché no?” disse la Lepre Marzolina. Alice non in-sistette. Nel frattem-po il Ghiro aveva chiuso gli occhi e stava facendo un sgonnelli-no. Il Cappel-laio gli allun-gò un pizzi-cotto, il Ghi-ro si svegliò con uno stril-lo e continuò:

«Imparavano a tirar fuori,» continuò il Ghiro, sbadi-gliando e stropiccian-dosi gli occhi, perché aveva molto sonno, «e tiravano fuori cose di ogni genere... tutte cose che cominciano per M...» «Perché quel-le che comin-ciano per M...?» domandò Alice. «E perché no?» disse la Lepre. Alice restò zitta. Intanto il Ghiro aveva chiuso gli occhi e s’era addormenta-to. Allora il Cappellaio gli dette un piz-zicotto e il

-Stavano im-parando a ti-rar su,- segui-tò il Ghiro, sbadigliando e stropiccian-dosi gli occhi, perché co-minciava già ad aver son-no, -quindi tiravano su cose di ogni sorta, tutte cose che co-minciavano per M... -Perché per M,- chiese Alice. -E perché no?- disse la Lepre Marzo-lina. Alice stette zitta. Nel frattem-po il Ghiro aveva chiuso gli occhi e si era messo a dormire pro-fondamente, ma, appena il Cappellaio gli

«Imparavano a disegnare», proseguì il Ghiro, sbadi-gliando e fre-gandosi gli occhi, perché si sentiva sempre più assonnato; «e disegnavano ogni genere di cose... tut-to quello che comincia con la M...» «Perché con la M?» disse Alice. «Perché no?» disse la Lepre Marzolina. Alice tacque. A questo punto il Ghi-ro aveva chiuso gli occhi e si sta-va appisolan-do; ma, pizzi-cato dal Cap-pellaio, si svegliò con uno strilletto, e proseguì:

-Impararono ad estrarre,- continuò il Ghiro, sbadi-gliando e fre-gandosi gli occhi, poiché gli stava ve-nendo un gran sonno: -Ed estras-sero un sacco di cose... tut-to quel che cominciava per M... -Perché per M?- disse Alice. -E perché no?- disse la Lepre Marzo-lina. Alice non fiatò. Nel frattem-po il Ghiro aveva chiuso gli occhi e stava piom-bando nel sonno; ma, dopo un pizzicotto del Cappellaio, si

«Imparavano a disegnare» diceva il Ghiro, sbadi-gliando e strofinandosi gli occhi, poi-ché gli era tornato un gran sonno, «e disegnava-no ogni gene-re di cose – tutte le cose che comin-ciano con una M-». «Perché con una M?» do-mandò Alice. «E perché no?» rispose il Leprotto Marzolino. Alice tacque. A questo punto il Ghiro aveva già chiuso gli occhi e si sta-va appisolan-do; ma, sotto i pizzicotti del Cappel-laio, si risve-

«Stavano dunque im-parando a trarre e a ri-trarre» prose-guì il Ghiro sbadigliando e fregandosi gli occhi, per-ché stava mo-rendo di son-no «e ritrae-vano ogni sorta di co-se... tutte le cose che co-minciano per “M”...» «Perché per “M”?» chiese Alice. «E perché no?» chiese la Lepre Marzo-lina. Alice rimase zitta. Il Ghiro nel frattempo aveva chiuso gli occhi e si era messo a sonnecchiare. Ma quando il Cappellaio gli

“Imparavano a disegnare schizzi,” continuò il Ghiro, sbadigliando e fregandosi gli occhi, sentendosi cascare dal sonno “e schizzavano cose di ogni genere.. tutte quelle che cominciano per emme.” “E perché per emme?” disse Alice. “Perché no?” Disse la Lepre Marzolina. Alice non fiatò. Nel frattempo il Ghiro aveva abbassato le palpebre e era già bell’e in coma quando, grazie a un

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 2728 29 30 31 32 33 34 35

Page 233: La Gran Natica dell'Aringa

221

36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65

woke up again with a little shriek, and went on: “—that begins with an M, such as mouse-traps, and the moon, and memory, and muchness—you know you say things are ‘much of a muchness’ — did you ever see such a thing as a drawing of a much of a muchness!”

“...che co-mincia con la M, come i mattarelli, il mare, la me-moria, la manna — co-noscete l’es-pressione ‘as-pettare la manna dal cielo’ — hai mai visto il disegno di una manna?”

Ghiro, con un grido di dolore, ripre-se: «...tutte le cose che co-minciano per M, come ma-no, misura, mela, memo-ria, molto... per esempio noi spesso di-ciamo: molta memoria... avete mai vis-to tirar fuori da un pozzo qualcosa co-me molta memoria?»

diede un piz-zicotto, il Ghiro si destò e ripre-se: -...dunque cose che co-minciavano per M, come mosca, meda-glia, memoria e massa... di molte cose si dice che «se non è zuppa, è pan bagna-to»... hai mai visto tirar su da un pozzo una cosa co-me se non è zuppa è pan bagnato?

«...che comin-cia con la M, come trappo-le per topi, e la luna, e la memoria, e la moltitudine... sai che si dice che qualcosa è ’molto di una moltitu-dine’... avete mai visto il disegno di una moltitu-dine?»

svegliò di nuovo con un gridolino e continuò: -...che comin-ciava per M, come muse-ruola, mondo e memoria, e mille... sai che si dice «metà di mille» ...hai mai visto un’estrazione di mille?

gliò di nuovo con un lieve strillo, e pro-seguì: «-tutto ciò che co-minciava con una M, come mollica di pa-ne, e monta-gna della lu-na, e memo-ria, e molte-plicità - ti è mai capitato di vedere qualcosa che fosse il dise-gno di una molteplicità?»

diede un altro pizzicotto, si svegliò di soprassalto, emise un gridolino e proseguì: «...che cominciano per “M”, come “mezzaluna”, “macchine-mangia-topi”, “memoria” e “meno-o-più”... che è poi quel che si dice “più-o-meno”... Hai mai visto in vita tua il ritratto di un “più-o-meno”».

pizzicotto del Cappellaio, si svegliò di soprassalto con uno squittìo e continuò: “...che cominciano per emme, come macachi, meteoriti, memoria, massima... sai che si dice ‘in linea di massima’. Hai mai visto lo schizzo di una linea di massima?”

36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65

Page 234: La Gran Natica dell'Aringa

222

VIII.01 AA p.106 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p. 76-77

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.110

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.96-97

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.108

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.75

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.71

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.95

Busi (Feltrinelli 1993) p.117

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

First came ten soldiers carrying clubs; these were all shaped like the three gardeners, oblong and flat, with their hands and feet at the corners: next the ten courtiers; these were ornamented all over with diamonds, and walked two and two, as the soldiers did. After these came the royal children; there were ten of them, and the little dears came jumping merrily along hand in hand, in couples: they were all ornamented with hearts.

Prima arrivarono dieci soldati armati di bastoni; avevano la stessa forma oblunga e piatta dei tre giardinieri, con le mani e i piedi ai quattro angoli. Poi passarono dieci cortigiani; erano tutti adorni di diamanti e marciavano a due a due come i soldati. Dopo di questi vennero i principini reali: erano dieci, carini assai, e saltellavano allegramente, dandosi la mano a due a due: erano tutti adorni di cuori.

Per primi comparvero dieci soldati, armati di bastoni. Erano tutti simili ai tre giardinieri: avevano i corpi piatti e oblunghi, con le mani e i piedi ai quattro angoli. Dietro venivano dieci cortigiani vestiti a festa e adorni di diamanti. Anch’essi camminavano a due a due, come i soldati. Dopo di loro venivano dieci principini. Erano ornati di cuori e saltellavano tenendosi per mano a due a due.

Per primi arrivarono dieci soldati che porta-vano dei bastoni; avevano il medesimo as-petto dei tre giardinieri, di forma rettan-golare e piat-ta, con mani e piedi agli angoli: quindi seguivano dieci corti-giani tutti abbelliti di diamanti, e camminavano a due a due come fanno i soldati. Dietro di loro venivano i principini, anch’essi dieci, che saltellando allegramente, si tenevano per mano, a coppie; ed avevano dei piccoli cuori dappertutto.

Prima vennero dieci soldati armati di mazza: avevano tutti la stessa forma dei giardinieri, piatta e oblunga, con le mani e i piedi ai quattro angoli; poi i dieci cortigiani: questi erano tutti adorni di diamanti, e avanzavano per due, come i soldati. Dietro a questi vennero i principini: ce n’erano dieci e quei tesorini saltellavano allegri per mano, a coppie; essi erano tutto adorni di cuori.

In testa venivano dieci soldati armati di picche; avevano la stessa sagoma piatta e oblunga dei tre giardi-nieri, con mani e piedi attaccati ai quattro angoli. Poi venivano i dieci corti-giani: questi erano tutti adorni di diamanti, e marciavano a due a due come i sol-dati. Quindi seguivano gli infanti reali: erano in dieci e i piccoli cari venivano avanti saltel-lando allegri e tenendosi per mano, a coppie: erano tutti ornati di cuori.

Venivano avanti per primi dieci soldati con i bastoni in mano: aveva-no tutti la stessa forma dei tre giardi-nieri, bislun-ga e piatta, con le mani e i piedi agli angoli; poi seguivano i dieci corti-giani: questi erano tutti decorati con danari, e camminava-no a due a due, come i soldati del resto. E die-tro c’erano i principini, dieci in tutto, che venivano avanti saltel-lando allegra-mente, mano nella mano, in coppia, ed erano tutti decorati con i cuori.

Dapprima arrivarono dieci soldati armati di bastoni: ave-vano tutti la stessa forma lunga e piatta dei tre giardinieri, con le mani e i piedi negli angoli. Li seguivano dieci cortigiani, che camminavano a due a due, come i soldati, ed erano ornati di quadri di diamanti. Venivano poi i bambini della famiglia reale, che erano adorni di cuori dappertutto.

Per primi comparvero dieci soldati armati di picche; erano della stessa sagoma dei tre giardi-nieri, piatta e bislunga, con le mani e i piedi agli angoli. Dietro di loro procedevano dieci corti-giani: erano tutti inqua-drati dalla testa ai piedi, e marciavano anch’essi a due a due come i soldati. Poi venivano i dieci infanti reali: sfilavano a coppie, i tesorucci, saltellando gaiamente mano nella mano, tutti impataccati di cuori.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

Page 235: La Gran Natica dell'Aringa

223

VIII.02 AA p.110 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p. 79

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.113

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.111

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.112

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.78

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.74

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.98

Busi (Feltrinelli 1993) p.121

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

“Are their heads off?” shouted the Queen. “Their heads are gone, if it please your Majesty!” the soldiers shouted in reply.

“Via le teste?” interrogò la Regina. “Le teste sono state tagliate, così piaccia a Vostra Maestà!” risposero a gran voce i tre soldati.

«Avete tagliate quelle teste?» domandò loro la Regina. «Sono state tagliate, Vostra Maestà» risposero in coro i tre soldati.

-Le teste sono state tagliate?- gridò la Regina. -Lo sono state, Vostra Maestà!- risposero in coro i soldati.

«Gli avete tagliato la testa?» gridò la Regina. «Sono stati decapitati, con licenza di Vostra Maestà!» gridarono di rimando i soldati.

-Sono state mozzate quelle teste?- urlò la Regina. -Sì, Maestà, secondo i Vostri desideri!-urlarono in risposta i soldati.

«Avete tagliato loro la testa?» urlò la Regina. «Delle loro teste non rimane traccia, se così piace alla Maestà Vostra!» urlarono i soldati in risposta.

«Le loro teste sono state mozzate?» urlò la Regina. «Le loro teste se ne sono andate, col permesso di Sua Maestà!» gridarono di rimando i tre soldati.

“Dato, il taglio?” urlò la Regina. “Hanno tagliato, a Vostra Maestà piacendo!” gridarono i soldati in coro.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 1011121314

IX.01 AA p.121 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.89

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.121

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.109

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.123

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.86

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.82

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.106-107

Busi (Feltrinelli 1993) p.133

1 2 3 4 5 6 7 8 9 1011121314

“I dare say you’re wondering why I don’t put my arm round your waist,” the Duchess said after a pause: “the reason is, that I'm doubtful about the temper of

“Suppongo che tu ti stia domandando perché mai non ti metto un braccio intorno alla vita,” disse la Duchessa dopo una pausa. “Il fatto è che non mi fido troppo

Dopo una pausa, la Duchessa riprese: «Scommetto che ti stai chiedendo perché non passo il braccio attor-no alla tua vita. Ma una ragione c’è. Ho paura del

-Scommette-rei che ora stai doman-dandoti per-ché io non ti metto il brac-cio attorno alla vita,- dis-se la Duches-sa, dopo es-sere stata in silenzio per un momento. -La ragione è

«Scommetto che ti stai chiedendo perché non ti metto il brac-cio intorno alla vita», di-sse la Du-chessa, dopo una pausa. «La ragione è che non so se è il caso di fidarsi del tuo

-Ti stai chie-dendo, scom-metto, perché non ti metto un braccio in-torno alla vi-ta,- disse la Duchessa do-po una pausa: -Il fatto è che temo un po’ la reazione del tuo feni-cottero. Vuoi

«Scommetto che vorresti sapere perché non ti cingo la vita col braccio» disse la Duchessa, dopo una pausa; «la ragione è che non mi fido dell’umore del tuo feni-cottero. Che

«Oserei dire che ti stai domandando per qual mo-tivo io non ti cinga la vita con il brac-cio» disse la Duchessa, dopo un attimo di si-lenzio. «Il fatto è che non mi fido

“Scommetto che ti stai chiedendo perché non ti metto un braccio intor-no alla vita,” disse la Du-chessa dopo una pausa. “È che temo un po’ la reazione del tuo fenicot-

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

Page 236: La Gran Natica dell'Aringa

224

15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55

your flamingo. Shall I try the experiment?” “He might bite,” Alice cautiously replied, not feeling at all anxious to have the experiment tried. “Very true,” said the Duchess: “flamingoes and mustard both bite. And the moral of that is—‘Birds of a feather flock together.’ ” “Only mustard isn’t a bird,” Alice remarked. “Right, as usual,” said the Duchess: “what a clear way you have of putting things!” “It’s a mineral, I think,” said Alice. “Of course it

dell’umore del tuo feni-cottero. Debbo fare l’esperimen-to?” “Potrebbe beccare,” rispose pru-dentemente Alice, che non si sentiva per nulla an-siosa di assi-stere all’espe-rimento. “Giustissi-mo,” appro-vò la Du-chessa. “I fenicotteri e la senape pizzicano tutt’e due. E la morale è questa: ‘Uc-celli d’una penna stanno insieme’.” “Solo che la senape non è un uccello,” osservò Alice. “Hai sempre ragione tu!” disse la Du-chessa. “Con che chiarezza poni le que-stioni!”

tuo fenicot-tero. Provia-mo?» «Potrebbe beccare» ris-pose pruden-temente Alice, la quale non sembra-va molto ansiosa di fare quella prova. «Giustissimo» disse la Du-chessa. «I fe-nicotteri e la mostarda piz-zicano. E la morale è questa: Gli uccelli della stessa specie vanno a stor-mi.» «La mostarda non è un uc-cello» osservò Alice. «Certo» disse la Duchessa. Essa sembr-ava pronta a confermare tutto quello che diceva Alice. «Qui vicino c’è una grande minie-ra di mostar-da. E questa

che non sono troppo sicuro del tempera-mento del tuo fenicotte-ro. Devo fare una prova? -Potrebbe darle una beccata- ris-pose Alice con cautela, per nulla an-siosa che la gentildonna facesse la prova. -Verissimo,- disse la Du-chessa: -feni-cotteri e mos-tarda sono due cose che pizzicano. E la morale di questo è... «gli uccelli della stessa risma se la fanno coi loro pari». -Soltanto che la mostarda non è un uc-cello,- osser-vò Alice. -È un mine-rale, credo,- disse Alice. -Certo che lo è,- esclamò la

fenicottero. Lo faccio, questo espe-rimento?» «Potrebbe pizzicarla», rispose cauta Alice, non provando al-cuna Alice, non provan-do alcuna ansia che l’esperimento avvenisse. «Verissimo», disse la Du-chessa; «i fe-nicotteri piz-zicano, come la mostarda. E la morale è... ‘dio li fa e poi li accop-pia’.» «Solo che la mostarda non è un uccello», osservò Ali-ce. «Giusto an-che questo», disse la Du-chessa, «hai una chiarezza di esposizio-ne, tu!» «Secondo me è un mine-rale», disse Alice.

che faccia un esperimento? -Potrebbe mordere,- rispose Alice prudente, per nulla entusia-sta all’idea d’un simile esperimento. -Verissimo,- disse la Duchessa: -I fenicotteri e la senape mordono entrambi. E la morale di tutto ciò è: «Gli uccelli della stessa covata, fan sempre rim-patriata». -Solo che la senape non è un uccello,- fece notare Alice. -Giusto, co-me al solito,- disse la Du-chessa: -Hai davvero una chiara visione delle cose! -È un mine-rale, direi,- ri-prese Alice. -Ma certo,- disse la Du-

dici, la faccia-mo questa prova?» «Le potrebbe dare una piz-zicata col becco» rispo-se cautamen-te Alice, che non era affatto entu-siasta di ten-tare quella prova. «Verissimo» assentì la Du-chessa: «i fenicotteri pizzicano, come la senape. E la morale è — ‘Chi si ras-sembra, s’as-sembra’». «Solo che la senape non sembra un uccello» obiettò Alice. «Giusto, co-me al solito» disse la Du-chessa: «che modo chiaro hai di esporre le cose!» «È un mine-rale, credo» aggiunse Ali-ce.

troppo del carattere del tuo fenicot-tero. Dici che dovrei rischi-are?» «Può darsi che pizzichi» rispose Alice guardinga. Non moriva affatto dalla voglia di ve-derla rischia-re. «Verissimo» disse la Du-chessa. «I fe-nicotteri piz-zicano come la senape. E la morale che se ne può trarre è... “Dio li fa e poi li accop-pia” e “La mamma fa l’uccello ma la piuma lo fa bello”.» «Però la sena-pe non è un uccello» os-servò Alice. «Giusto, an-cora una vol-ta» disse la Duchessa. «Il tuo modo di ragionare è

tero. Che dici, mi av-venturo?” “Pizzica,” rispose Alice prudente, per niente entu-siasta di subi-re quell’espe-rimento. “Verissimo,” disse la Du-chessa, “feni-cotteri e mo-starda pizzi-cano entram-bi. E la mora-le è: ‘Uccelli della stessa covata fan sempre rim-patriata’.” “Solo che la mostarda non è un uccello,” fece notare Alice. “Esatto come al solito,” dis-se la Duches-sa. “Hai il dono della chiarezza, tu!” “È un mine-rale, credo,” disse Alice. “Ma certo,” disse la Du-chessa, che sembrava dis-

15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55

Page 237: La Gran Natica dell'Aringa

225

565758596061626364656667686970717273747576777879808182

is,” said the Duchess, who seemed ready to agree to everything that Alice said; “there’s a large mustard-mine near here. And the moral of that is—‘The more there is of mine, the less there is of yours.’ ”

“È un mira-colo, [sic!] credo,” disse Alice. “Sicuro!” consentì la Duchessa che sembrava pronta ad andar d’ac-cordo con Alice su tutti i punti. “C’è una grande miniera di senape qui vicino. E la morale è questa: ‘Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo’.”

è la morale: Più ne avrai tu e meno ne avrò io!»

Duchessa, che sembrava essere d’ac-cordo su ogni cosa che Ali-ce diceva; -c’è una grande miniera di mostarda qui vicino. E la morale è questa : «più ce ne sarà per me, meno ce ne sarà per te».

«Certo», disse la Duchessa, che sembrava pronta a dare ragione ad Alice in tutto, «qua vicino c’è una gran-de miniera di mostarda. E la morale è... ’Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo’.»

chessa, che pareva pronta ad accettare tutto quel che diceva Alice; -qui vicino c’è un vasto filone di se-nape. E la morale di ciò è: «Un filone per uno non fa male a nes-suno».

«Certo che è un minerale» assentì la Du-chessa, che sembrava pronta a dar ragione ad Alice in tutto: «abbiamo una grande minie-ra di senape, qua vicino. E la morale è — ‘La minie-ra è la manie-ra di gabbar la gente intie-ra’».

straordina-riamente luci-do!» «È un mine-rale, credo» disse Alice. «Certo che lo è» disse la Duchessa, che sembrava intenzionata a fare sempre ragione ad Alice, qua-lunque cosa dicesse. «C’è una grande miniera di se-nape, da queste parti. E la morale che se ne può trarre è... “Più è mia la miniera, me-no è sua la saliera”.»

posta a mo-strarsi d’ac-cordo su qualsiasi af-fermazione di Alice, “c’è una ricca mi-niera di mos-tarda nei pa-raggi e la mo-rale è... ‘Più ce n’è per me, meno ce-ne per te’.”

56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82

Page 238: La Gran Natica dell'Aringa

226

IX.02 AA p.127 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.126

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.113

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.128

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.91

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.86-7

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.111-112

Busi (Feltrinelli 1993) p.139

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

“When we were little,” the Mock Turtle went on at last, more calmly, though still sobbing a little now and then, “we went to school in the sea. The master was an old Turtle—we used to call him Tortoise—” “Why did you call him Tortoise, if he wasn't one?” Alice asked. “We called him Tortoise because he taught us,” said the Mock Turtle angrily: “really you are very dull!”

“Quando era-vamo picco-li,” continuò alla fine la Finta Tarta-ruga, più cal-ma, sebbene singhiozzasse ancora un poco, di tan-to in tanto, “quando era-vamo piccoli andavamo a scuola nel mare. Il mae-stro era una vecchia Testuggine: lo chiamava-mo Tartaru-ga...” “Perché lo chiamavate Tartaruga, se non lo era?”, chiese Alice. “Lo chiama-vamo Tarta-ruga perché aveva tante rughe,” disse arrabbiata la Finta Tarta-ruga. “Sei

«Quando era-vamo picco-li,» continuò finalmente al Finta Tarta-ruga, con più calma, ma singhiozzan-do ancora di tanto in tan-to, «ci misero in un collegio in fondo al mare. La maestra era una vecchia Tartaruga e noi la chia-mavamo Te-stuggine...» «Perché la chiamavate così?» do-mandò Alice. «La chiama-vamo Testug-gine perché era la mae-stra» disse ir-ritata la Finta Tartaruga. «Che cos’hai nella testa?»

-Quando era-vamo picco-le,- continuò finalmente la Finta Tarta-ruga, più cal-ma di prima, ma singhioz-zando ancora di tanto in tanto,- anda-vamo a scuo-la in fondo al mare. La maestra era una vecchia Tartaruga... ma noi la chiamavamo Testuggine... -E perché la chiamavate Testuggine se non lo era?- chiese Alice. -La chiama-vamo Testug-gine perché era lei che in-segnava,- ris-pose la Finta Tartaruga adirata: -ma sei davvero un poco ottu-

«Quando era-vamo picco-li», continuò finalmente la Finta Tarta-ruga, più cal-ma, ma anco-ra squassata ogni tanto da un singhioz-zo, «andava-mo a scuola nel mare. Il maestro era una vecchia Tartaruga... lo chiamavamo Testuggine...» «Perché lo chiamavate Testuggine, se non lo era?» «Lo chiama-vamo Testug-gine perché ci dava i libri di testo», disse irritata la Fin-ta Tartaruga. «Sei proprio una sciocca!»

-Quand’era-vamo picco-li,- disse final-mente la Pseudotarta-ruga, più dis-tesa anche se emetteva an-cora di quan-do in quando un singhioz-zo, -andava-mo a scuola in mare. La maestra era una vecchia Tartaruga, noi però la chiamavamo Testuggine... -Perché la chiamavate Testuggine se non lo era?- chiese Alice. -E non lo ca-pisci da sola? Testuggine, no?- disse la Pseudotarta-ruga spazien-tita: -Sei dav-vero molto ottusa!

«Quando era-vamo piccoli» proseguì in-fine il Vitello-Similtartaru-ga, che si era un po’ calma-to e che solo di tanto in tanto era squassato da un saltuario singhiozzo, «andavamo a scuola in fon-do al mare. Il nostro mae-stro era un caro vecchio esemplare di Tartaruga - lo chiamavamo Testuggine -». «Perché lo chiamavate Testuggine, se era una Tartaruga?» domandò Alice. «Lo chiama-vamo Testug-gine perché si intestardiva a farci leggere

«Quando era-vamo piccoli» riprese final-mente la Fin-tartaruga un po’ più cal-ma, pur con-tinuando a singhiozzare ogni tanto «andavamo a scuola nel mare. Il mae-stro era un vecchio Tar-tarugone, ma noi lo chia-mavamo Ce-falo...» «Perché lo chiamavate Cefalo, se era una Tartaru-ga?» doman-dò Alice. «Lo chiama-vamo Cefalo perché quan-do spiegava ci faceva ve-nire la cefa-lea» disse la Fintartaruga imbestialita. «Sei proprio

“Quando era-vamo picco-le,” disse fi-nalmente la Tartaruga d’Egitto, più placida, ma sempre con un bel sin-ghiozzo di tanto in tan-to, “andava-mo a scuola in fondo al mare. La maestra era una vecchia Tartaruga... noi però la chiamavamo Testuggine...” “Perché la chiamavate Testuggine se non lo era?” chiese Alice. “Testuggine, perché a for-za di test ti faceva venire la ruggine, no?” disse la Tartaruga d’Egitto per-dendo la pa-

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

Page 239: La Gran Natica dell'Aringa

227

36 37 38 39 40 41 42 43 44

proprio stu-pida!”

sa! dei testi che erano una te-traggine.» ris-pose seccato il Vitello-Si-miltartaruga. «È così diffi-cile da capi-re?»

tonta!» zienza. “C’hai proprio la zucca dura!”

36 37 38 39 40 41 42 43 44

IX.03

AA pp.129-30

Bossi (Bompiani 1963 91]) p.95

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.127-9

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.115-6

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.130-1

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.92-3

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.87-8

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.113

Busi (Feltrinelli 1993) p.141-3

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

“What was that?” inquired Alice. “Reeling and Writhing, of course, to begin with,” the Mock Turtle replied; “and then the different branches of Arithmetic—Ambition, Distraction, Uglification, and Derision.” “I never heard of ‘Uglification,’” Alice

“In che cosa consisteva-no?” chiese Alice. “Prima di tutto, natu-ralmente, ci facevano studiare la Gran natica dell’Aringa,” rispose la Finta Tarta-ruga; “e poi le diverse branche del-l’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Stortifica-zione e Deri-sione.” “Non ho mai sentito

«Cos’hai stu-diato?» do-mandò Alice. «Prima di tutto le locali e le conso-lanti, natural-mente» ri-spose la Fin-ta Tartaruga. «Poi le quat-tro operazio-ni: Ambizio-ne, Sostazio-ne, Mortifi-cazione e Derisione.» «Non ho mai sentito parla-re di Sosta-zione: che cos’è?» s’az-zardò a chie-dere Alice.

-E che cosa era? -Beh, natu-ralmente, Eleggere ed Escrivere, tanto per co-minciare,- ri-spose la Finta Tarta-ruga; -e poi i vari rami del-l’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Imbruttifica-zione e Deri-sione. -Non ho mai sentito la parola «in-bruttificazione» [sic],- s’azzardò a

«E in che consisteva-no?» s’infor-mò Alice. «Rotolamen-to e Grinze, naturalmen-te, per co-minciare», rispose la Finta Tar-taruga; «e poi le varie bran-che dell’Arit-metica: Am-bizione, Dis-trazione, Bruttifica-zione e Deri-sione.» «Non ho mai sentito par-lare della ’Bruttifica-

-Quali era-no?- chiese Alice. -Per comin-ciare, natu-ralmente, imparavamo a scrivere con pinna e calamaro gli alimenti fon-damentali dell’orto-grafia: pomi, poponi, ad-ditivi, vermi e avvermi,- rispose la Pseudotarta-ruga. -Quindi le varie opera-zioni aritmie-tiche: Ambi-

«Che cosa vi insegnava-no?» volle sapere Alice. «A suggere e a stridere, naturalmen-te, come pri-ma cosa» ri-spose il Vi-tello-Simil-tartaruga, «e poi le diverse branche del-l’Aritmetica: — Ambizio-ne, Distra-zione, Brutti-ficazione e Derisione». «Non ho mai sentito la pa-rola ‘Bruttifi-cazione’» si

«E quali era-no?» indagò Alice. «Tanto per cominciare, naturalmen-te, imparava-mo a Eleggere e Ascrivere», rispose la Fintartaruga. «E poi le operazioni dell’Aritme-tica. Ambizione, Distrazione, Maleficazio-ne e Derisione.» «Non ho mai sentito parlare della

“Che consi-stevano in...?” “Natural-mente, tanto per comin-ciare, a scan-sare le locali e a arricciare le consolan-ti,” rispose la Tartaruga d’Egitto, “e poi le quattro operazione dell’Aritme-tica: Ambi-zione, Sogge-zione, Morti-ficazione e Derisione.” “’Mortifica-zione’ mi giunge nuo-

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

Page 240: La Gran Natica dell'Aringa

228

25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65

ventured to say. “What is it?” The Gryphon lifted up both its paws in surprise. “What! Never heard of uglifying!” it exclaimed. “You know what to beautify is, I suppose?” “Yes,” said Alice doubtfully: “it means — to — make — anything — prettier.” “Well, then,” the Gryphon went on, “if you don't know what to uglify is, you are a simpleton.” Alice did not feel encouraged to ask any more questions about it: so she turned to the Mock Turtle, and

parlare della ‘Stortifica-zione’”, s’az-zardò a dire Alice. “Che cos’è?” Il Grifone sollevò en-trambe le zampe per lo stupore. “Come! Non hai mai sen-tito parlare dello stortifi-care!”, escla-mò. “Saprai che cosa vuole dire rettificare, immagino.” “Sì,” disse Alice in tono dubbioso: “significa... raddrizzare... qualcosa.” “Be’, allora,” proseguì il Grifone, “ se non sai che cosa vuol di-re stortifica-re, sei pro-prio una sciocca.” Alice non si sentì inco-raggiata a fa-re altre do-mande sul-

Il Grifone batté le zam-pe. Appariva enormemen-te sorpreso: «Come, non hai mai senti-to parlare di Sostazione?» le chiese. «Saprai, spe-ro, che cosa significa Af-frettare.» «Sì» rispose Alice un po’ dubbiosa. «Vuol dire... spingere qualcosa... spingere qualcuno... a fare più pre-sto!» «E allora,» concluse il Grifone «se non sai che cosa significa Sostazione, vuol dire proprio che sei una scioc-ca!» Alice non si sentì certa-mente invo-gliata a fare altre doman-de. Però si volse alla

chiedere Ali-ce. -Che co-s’è? -Il Grifone alzò ambe-due le zampe per la sor-presa e disse: -Cosa? Mai sentito la pa-rola «imbrut-tificazione»! Beh, sup-pongo che saprai che cosa voglia dire «imbelli-ficazione»? -Sì,- rispose Alice, ma con qualche dubbio: -oh, significa... dunque... far diventare... qualcosa... più bello. -Bene, allo-ra,- continuò il Grifone, se davvero non sai cosa sia l’imbruttificazione, sei proprio una sempliciotta. Alice non si sentì affatto incoraggiata a fare altre domande su

zione’», si az-zardò a dire Alice. «Che cos’è?» Il Grifone alzò entram-be le zampe in un gesto di sorpresa. «Non hai mai sentito parlare del bruttifica-mento!» es-clamò. «Cos’è l’ab-bellimento lo saprai, no?» «Sì,» disse Alice in tono di dubbio, «vuol dire... fare... le co-se... più cari-ne.» «Be’, allora», proseguì il Grifone, «se non sai cos’è la bruttifica-zione, vuol dire che sei proprio un’ignoran-te.» Alice non si senti inco-raggiata a fare altre do-mande in proposito:

zione, Diffi-denza, Misti-ficazione e Derisione. -Mai sentito parlare di «Mistifica-zione»,- si azzardò a di-re Alice. -Che cos’è? Il Grifone al-zò le sue zampe in se-gno di mera-viglia. -Cosa? Mai sentito parlare di mistificare?- esclamò. -Saprai cosa vuol dire semplificare, spero? -Sì,- disse Alice titu-bante. -Significa... rendere... una cosa... più semplice. -Beh, allora,- continuò il Grifone, -se non sai cosa vuol dire mi-stificare, devi proprio esse-re una sem-pliciotta. Alice non si

arrischiò a dire Alice. Il Grifone al-zò le sue due zampe in un gesto di grande sor-presa. «Ma-gnificare, al-meno, lo sai cosa vuol di-re?» «Sì» rispose Alice dub-biosa: «vuol dire — par-lare bene di una cosa — farla sembra-re magnifi-ca». «E allora» concluse il Grifone, «se non capisci cosa vuol di-re fruttifica-re, sei tonta». Non era un incoraggia-mento a fare altre doman-de, e rivol-gendosi al Vitello-Simil-tartaruga, Alice disse : «Che cos’al-tro vi inse-gnavano?» «Be’, c’era

Maleficazio-ne» osò dire Alice. «Di che cosa si tratta?» Il Grifone alzò tutte e due le zampe al cielo in preda allo stupore. «Non hai mai sentito parlare di Maleficazione!» esclamò. «Spero almeno che saprai cosa vuol dire “benefica-re”!» «Sì» disse Alice incerta. «Significa fare del bene... compiere delle buone azioni...» «E allora» proseguì il Grifone «se non sai cosa vuol dire “maleficare” sei proprio una stupidotta!» Non sentendosi

va,” si arri-schiò a dire Alice. “Co-s’è?” Il Grifone al-zò le zampe al cielo dalla sorpresa. “Cosa? Mai sentito par-lare di Morti-ficazione!” esclamò. “Sa-prai, spero, cosa significa ‘Vivificazio-ne’?” “Sì,” disse Alice un po’ dubbiosa, “significa... rendere... una cosa più... vi-va.” “Allora,” continuò il Grifone, “se non sai che cosa significa mortificare, devi proprio essere una sempliciot-ta.” Alice non ebbe il corag-gio di appro-fondire la questione; si rivolse alla Tartaruga

25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65

Page 241: La Gran Natica dell'Aringa

229

66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106

said, “What else had you to learn?” “Well, there was Mystery,” the Mock Turtle replied, counting off the subjects on his flappers, “—Mystery, ancient and modern, with Seaography: then Drawling—the Drawling-master was an old conger-eel, that used to come once a week: he taught us Drawling, Stretching, and Fainting in Coils.' “What was that like?” said Alice. “Well, I can't show it you myself,” the Mock Turtle said: `I'm too stiff. And the

l’argomento, perciò si ri-volse alla Finta Tarta-ruga, dicen-dole: “Che cos’altro do-vevate stu-diare?” “Be’, c’era la Scoria,” ris-pose la Finta Tartaruga, contando le materia [sic!] sulle pinne, “... la Scoria, antica e mo-derna, con l’Algheogra-fia; poi il Disdegno; l’insegnante di Disdegno era un vec-chio grongo che veniva una volta alla settimana, e ci insegnava Disdegno, Scherzo e Frittura a Scoglio.” “Com’era questa mate-ria?” chiese Alice. “Be’, non posso mo-strartelo,”

Finta Tarta-ruga e le chiese: «Che altro studia-vate?» «Studiavamo anche la Sco-ria» rispose la Finta Tarta-ruga, contan-do le materie sulla punta delle squame. «Scoria antica e moderna e Mareografia. Poi c’era il Disdegno... La professo-ressa di Di-sdegno era una vecchia anguilla, che di solito ve-niva soltanto una volta alla settimana. Ci insegnava Disdegno, frittura su te-la e pesce af-fresco.» «Che cosa?» domandò Alice. «Non te lo posso spiega-re. A parlare di pesce af-fresco mi sento tutta

questo argo-mento e così si rivolse alla Finta Tarta-ruga. -Beh, c’era anche Miste-ro,- rispose la Finta Tar-taruga, con-tando le ma-terie sulla punta delle pinne, -Mis-tero, antico e moderno, con Mareo-grafia; poi Sdegno... Il maestro di Sdegno era un vecchio congro che si faceva vi-vo una volta alla settima-na. Ci inse-gnava Sde-gno, Schizo-frenia e Sve-nimento nel-le resse. -E cos’era tutto que-sto?- doman-dò Alice. -Beh, io non posso fartelo vedere,- ri-spose la Finta Tarta-

così si rivol-se alla Finta Tartaruga, e disse: «Che altro doveva-te studiare?» «Be’, c’era il Mistero», ris-pose la Finta Tartaruga, contando le materie sulle pinne, «il Mi-stero antico e moderno, con la Maro-grafia; poi il Trascina-mento... il maestro di Trascina-mento era un vecchio gongro che veniva una volta la setti-mana: è stato lui a inse-gnarci il Tra-scinamento, lo Stiramen-to e lo Sveni-mento Spi-rale.» «Lo Sveni-mento Spira-le! E co-m’era?» disse Alice. «Purtroppo io non posso

sentì affatto incoraggiata a far nuove domande sull’argo-mento e perciò si ri-volse alla Pseudotarta-ruga e disse: -Cos’altro ti hanno inse-gnato? -Beh, c’era Osteria,- rispose la Pseudotarta-ruga, facen-do il conto delle materie sulle pinne, -…Osteria antica e mo-derna, con Gelografia: poi Dissen-no... il Pro-fessore di Dissenno era un vecchio Capitone di lungo corso, veniva una volta alla set-timana ma la lezione dura-va molte ore: c’insegnava a fare Guaz-zetti e Frittu-re ad Olio,

Sottostoria» rispose il Vitello-Simil-tartaruga, contando le materie sulle pinne, «Sot-tostoria anti-ca e moder-na, con On-dografia: poi Segno a stra-scico — il maestro di Segno a Stra-scico era un vecchio grongo che veniva una volta alla set-timana a in-segnarci il Segno a stra-scico, la Sti-racchiatura, e lo Scarto con l’Inchino». «Com’è lo Scarto con l’Inchino?» domandò Alice. «Ah non rie-sco più a far-lo» rispose il Vitello-Simil-tartaruga: «sono troppo rigido. E il Grifone non l’ha mai im-

incoraggiata a porre altre domande sull’argomento, Alice si rivolse alla Fintartaruga e le chiese: «E che altro dovevate imparare?» «Ecco, c’era anche la Scoria» rispose la Fintartaruga, contando le materie sulla punta delle pinne. «Scoria antica e moderna. E Cielografia. E poi Disdegno. Il maestro di Disdegno era un vecchio capitone che veniva una volta alla settimana. Era lui che ci insegnava Disdegno, Calore e Puntura a Scoglio.» «E tutto questo

d’Egitto e disse “Quali erano le altre materie?” “Be’, c’era la Scoria,” ri-spose la Tar-taruga d’Egitto, contando le materie sulle squame delle nocche, “Scoria anti-ca e moder-na, con Ma-reografia. La prof di Di-sdegno era una vecchia anguilla che veniva su una volta la settimana: ci insegnava Disdegno, Frittura su Tela e Findus Affresco Alla Mia Manie-ra.” “Cos’era, più o meno?” disse Alice. “Be’, non lo so nemmeno io. Roba da brivido, co-munque. Nemmeno il Grifone l’ha

66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100101102103104105106

Page 242: La Gran Natica dell'Aringa

230

107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146

Gryphon never learnt it” “Hadn't time,” said the Gryphon: “I went to the Classics master, though. He was an old crab, he was.” “I never went to him,” the Mock Turtle said with a sigh: “he taught Laughing and Grief, they used to say.”

disse la Finta Tartaruga. “Ho dei pro-blemi di di-gestione. E il Grifone non l’ha mai imparata.” “Non ne avevo il tem-po,” disse il Grifone: “ma andavo dal-l’insegnante di materie classiche. Era un vecchio scorfano, sa-pete.” “Io non so-no mai anda-to da lui,” disse sospi-rando la Finta Tarta-ruga: “inse-gnava Creti-no e Gretto, dicevano.”

intirizzita» disse la Finta Tartaruga. «E il Grifone non lo sa perché non l’ha mai stu-diato.» «Non ne ho avuto il tem-po» disse il Grifone. «Io ho fatto gli studi classi-ci. Il mio maestro era un vecchio granchio, era.» «Non ho mai preso lezioni da lui» disse con un sospi-ro la Finta Tartaruga. «Insegnava Greto e Ca-tino, vero?»

ruga: -sono troppo intor-pidita. E il Grifone non ha mai stu-diato queste cose. -Non ne ho avuto il tem-po,- disse il Grifone: -ho fatto il Clas-sico, io. Il professore era un vec-chio gran-chio, era davvero un granchio. -Non sono mai stata da lui,- soggiun-se la Finta Tartaruga con un sos-piro: -inse-gnava Risata e Angoscia, almeno così dicevano.

mostrartelo», disse la Finta Tartaruga. «Sono trop-po rigida. E il Grifone non l’ha mai imparato.» «Non ho avuto il tem-po», disse il Grifone. «Però io so-no andato dal maestro di Materie Classiche. Quello sì che era un vec-chio gran-chio.» «Io da lui non ci sono mai stata», disse con un sospiro la Finta Tarta-ruga. «Inse-gnava Riso e Cruccio, di-cevano.»

oltre che ad affrescare Soffritti. -Ma di cosa si trattava, esattamente?- disse Alice. -Beh, non sono più in grado di mo-strartelo,- disse la Pseu-dotartaruga. -Sono fuori allenamento, oramai, e il Grifone non ha mai stu-diato questa materia. -Non avevo mica tempo,- disse il Gri-fone. -Ho fatto il classi-co, io. E il nostro pro-fessore era uno di quei vecchi gron-ghi rosa, era. -Io non l’ho mai avuto,- disse la Pseu-dotartaruga con un sos-piro. -Inse-gnava Greco e Rattino, ho sentito dire.

parato.» «Non ne ho avuto il tem-po» spiegò il Grifone: «pe-rò io sono andato al Classico. Avevamo per maestro un vecchio gran-chio, quello sì che era un tipo». «Io da lui non ci sono mai andato» disse il Vitel-lo-Similtar-taruga con un sospiro. «Insegnava Ridolino e Dolor Greg-gio, così dicevano».

com’era?» «Be’, io non te lo posso far vedere» disse la Fintartaruga. «Ho tutte le ossa rigide. E il Grifone non ha mai imparato.» «Mancava il tempo» disse il Grifone. «Ma io ho avuto un’educazione classica. Il mio insegnante era un vecchio granchio, perbacco se lo era!» «Non ho, mai studiato con lui!» sospirò la Fintartaruga. «Insegnava Prammatica in Lattina e Sei Tassi in Creta, come si diceva una volta.»

mai impara-to.” “E chi aveva tempo?” dis-se il Grifone. “Ho fatto il classico, io. E il mio maestro era un vecchio granchio con la barba.” “Io non ho mai preso le-zioni da lui,” disse la Tar-taruga d’Egitto con un sospiro. “Insegnava Amorgreco e Latinlover, mi si dice.”

107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146

Page 243: La Gran Natica dell'Aringa

231

IX.04

AA p.130 Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.98

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.129-30

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.116

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.131-2

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.93

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.88

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.114

Busi (Feltrinelli 1993) p.143

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

“And how many hours a day did you do lessons?” said Alice, in a hurry to change the subject. “Ten hours the first day,” said the Mock Turtle: `nine the next, and so on.” “What a curious plan!” exclaimed Alice. “That's the reason they're called lessons,” the Gryphon remarked: “because they lessen from day to day.”

“E quante ore di lezione facevate al giorno?” chiese Alice, ansiosa di cambiare ar-gomento. “Dieci ore il primo gior-no,” rispose la Finta Tar-taruga: “nove il secondo, e così via.” “Che strano programma!” esclamò Ali-ce. “È per que-sto che ci mandano gli scolari,” os-servò il Gri-fone: “perché le lezioni sono scalari.”

«Quante ore di scuola al giorno face-vate?» do-mandò allora Alice, per cambiare di-scorso. «Dieci ore il primo gior-no,» spiegò la Finta Tarta-ruga «nove il secondo, e così via.» «Che strano orario!» es-clamò Alice. «Ma è per questo che si chiama scuo-la!» osservò stupito il Gri-fone. «Infatti se tu sostitui-sci un’a ad uo, invece di scuola ottieni scala. E per-ciò ogni gior-no si scala un’ora.»

-E quante ore di lezione fa-cevate al gior-no?- s’affret-tò a chiedere Alice per cambiare ar-gomento. -Dieci ore il primo gior-no,- rispose la Finta Tar-taruga: -nove il secondo e così via. -Che buffo orario aveva-te!!- esclamò Alice. -Questa è la ragione per cui si studia-vano le sot-trazioni,- os-servò il Gri-fone: -perché si sottraeva un’ora al giorno.

«Quante ore di lezione al giorno face-vate?» disse Alice, che aveva fretta di cambiare argomento. «Dieci ore il primo», disse la Finta Tar-taruga, «nove il giorno do-po, e via di-cendo.» «Che sistema curioso!» es-clamò Alice. «Per questo si chiamano le-zioni», osser-vò il Grifone, «diminuisco-no ogni gior-no.»

-E quante ore di lezione avevate ogni giorno?- chie-se subito Ali-ce tanto per cambiare ar-gomento. -Dieci ore il primo gior-no,- disse la Pseudotarta-ruga,- nove il secondo, e così via. -Che orario curioso!- es-clamò Alice. -Ma è per questo che sono chiama-ti corsi, no?- fece osserva-re il Grifone. -Proprio per-ché più vai in fretta e meno te ne rimane.

«E quante ore di lezione avevate al giorno?» chiese Alice, desiderosa di cambiare di cambiar subi-to argomen-to. «Dieci ore il primo gior-no» rispose il Vitello-Simil-tartaruga: «nove il gior-no dopo, e così via». «Curioso co-me sistema!» esclamò Ali-ce. «Per questo ci chiamavano scolari» os-servò il Gri-fone, «perché il tempo sco-lava via un giorno dopo l’altro.»

«E quante ore di lezione fa-cevate alla settimana?» domandò Alice, ansiosa di cambiare argomento. «Il primo giorno dieci ore,» disse la Fintartaruga «il secondo nove e così via.» «Che orario curioso!» «È per questo che a lezione si usano i compendi e i breviari», osservò il Grifone. «Perché così le lezioni si abbreviano di giorno in giorno.»

“E quante ore avevate al giorno?” dis-se Alice desi-derosa di cambiare ar-gomento. “Il primo giorno dieci!” disse la Tarta-ruga d’Egitto, “il secondo nove e così via.” “Che orario strano!” es-clamò Alice. “Ma è per questo che sono chiama-te ore d’istru-zione,” osser-vò il Grifone: “Perché si di-struggono”.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

Page 244: La Gran Natica dell'Aringa

232

X.01 AA p.136-7 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.100-101

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.134-3

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.121

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.138-9

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.98

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.93-4

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.118

Busi (Feltrinelli 1993) p.151

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

“I can tell you more than that, if you like,” said the Gryphon. “Do you know why it's called a whiting?” “I never thought about it,” said Alice. “Why?” “It does the boots and the shoes,” the Gryphon replied very solemnly. Alice was thoroughly puzzled. “Does the boots and shoes!” she repeated in a wondering tone. “Why, what are your shoes done with?” said the Gryphon.

“Oh, posso dirti anche di più se vuoi, se ti fa pia-cere,” disse il Grifone. “Sai perché si chi-ama nasello?” “Non ci ho mai pensato,” disse Alice. “Perché?” “Serve per infilarci i bot-toni,” rispose il Grifone con grande solennità. Alice si sentì profonda-mente scon-certata. “Ser-ve per infilar-ci i bottoni?” ripeté in tono interrogativo. “Perché, tu dove infili i bottoni,” dis-se il Grifone, “quando ti al-lacci un vesti-to?” Alice si guar-dò i bottoni,

«Te ne posso raccontare molte anche sui Naselli, se ti fa piacere» propose il Grifone. «Sai perché si chiamano Naselli?» «Non ci ho mai pensato» confessò Ali-ce. «Perché?» «Perché sono nipoti dei na-si!» rispose il Grifone tutto soddisfatto. Alice restò sbalordita: «Nipoti dei nasi?» ripeté con aria pen-sosa. «Certo, dei nasi!» confer-mò il Grifo-ne. «E il tuo, del resto, cre-di forse che sia un naso?» Alice, incro-ciando gli oc-chi, tentò di

-Potrei conti-nuare ancora se queste co-se ti piaccio-no,- disse il Grifone. -Sai perché i lucci hanno questo nome? -Non ci ho mai pensato,- disse Alice. -Perché? -Perché luci-dano scarpe e stivali,- rispo-se il Grifone con aria so-lenne. Alice era più sbalordita che mai. –Lucida-no scarpe e stivali!- con-tinuò a ripe-tere per qual-che istante. -E dimmi, come sono state pulite le tue scarpe?- disse il Gri-fone. -Volevo dire: che cosa le fa brillare a

«Posso rac-contartene ancora, se vuoi», disse il Grifone. «Lo sai perché si chiama mer-luzzo?» «Non ci ho mai pensato», disse Alice. «Perché?» «Perché mer-lustra le scar-pe e gli stiva-letti», rispose il Grifone con molta so-lennità. Alice ne fu completa-mente scon-certata. «Come, mer-lustra le scar-pe?» ripeté in tono meravi-gliato. «Perché, a te le scarpe con cosa le puli-scono?» disse il Grifone. «Voglio dire, che cos’è che

-Oh, potrei dirti anche di più, se ti va,- disse il Gri-fone. -Sai perché si chiama mer-luzzo? -Non ci ho mai pensato,- disse Alice. -Perché? -Perché fi-schia benissi-mo,- rispose il Grifone con estrema gravità. Alice fu molto scon-certata. –Fis-chia benissi-mo!- ripeté sbalordita. -Ma sì! Chi è che fischia sugli alberi?- disse il Grifo-ne. Alice si guar-dò le scarpe e rifletté un at-timo prima di dar la rispos-ta. -Il merlo,

«Te ne potrei dire tante al-tre» disse Grifone. «Sai perché si chiamano na-selli?» «Non ci ho mai pensato» disse Alice. «Perché?» «Servono per infilarci i bot-toni» rispose il Grifone so-lennemente Alice ne fu completa-mente scon-certata. «Ser-vono per infi-larci i botto-ni?» ripeté meravigliata. «Voi cosa ci fate ai grem-biulini per poterli chiu-dere?» do-mandò il Gri-fone. «Voglio dire, dopo aver messo i bottoni?» Alice si guar-

«Posso dirte-ne delle altre, se vuoi» disse il Grifone. «E non soltanto sui merluzzi. Sai perché l’acciuga, da piccola, si chiama anche bianchetto?» «Non ci ho mai pensato» disse Alice. «Perché?» «Perché pu-lisce le scarpe e gli stivali» rispose il Gri-fone con aria solenne. Alice era dav-vero sbalor-dita. «Pulisce le scarpe e gli stivali!» ripeté tutta piena di stupore. «Che c’è di strano? Con che cosa pu-lisci, tu?» chiese il Gri-fone. «Voglio dire, che co-

“Oh, posso dirti altro che questo,” disse il Grifone. “Sai perché si chiama ton-no?” “Non c’ho mai pensato,” disse Alice. “Perché?” “Lo usano negli ate-liers!” procla-mò il Grifone solennemen-te. “Negli ate-liers!” ripetè Alice con tono incanta-to. “Sì, per la collezione autunno-in-verno sono indicati i ton-ni caldi, per le situazioni informali va benissimo il tonno spor-tivo. In ogni caso è indi-spensabile il

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

Page 245: La Gran Natica dell'Aringa

233

36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76

“I mean, what makes them so shiny?” Alice looked down at them, and considered a little before she gave her answer. “They're done with blacking, I believe.” “Boots and shoes under the sea,” the Gryphon went on in a deep voice, “are done with a whiting. Now you know.” “And what are they made of?” Alice asked in a tone of great curiosity. “Soles and eels, of course,” the Gryphon replied rather impatiently: “any shrimp could have told you

e rifletté un attimo prima di rispondere. “Li infilo ne-gli occhielli, suppongo.” “In mare i bottoni,” si infilano nei naselli. Ora lo sai.” “E di che co-sa son fatti i bottoni?” do-mandò Alice, assai incurio-sita. “D’osso di seppia e ma-dreperla, na-turalmente,” replicò il Gri-fone alquanto spazientito: “qualsiasi ghiozzo av-rebbe potuto dirtelo.”

scrutare il suo nasino. Era pensierosa e stette a riflet-tere un atti-mo prima di domandare: «E che cos’è, per favore, se non è un na-so?» «Guardalo bene: non è un naso, è un Nasello» spie-gò con voce spazientita il Grifone. «Qualunque Gamberetto, o Sogliola, o Anguilla lo saprebbe. E almeno, ri-cordatelo!»

quel modo? Alice guardò le sue scarpe e rimase a ri-flettere per un po’ prima di rispondere; poi disse: -Oh, credo che siano sta-te pulite con il lucido nero.-No! No! Scarpe e sti-vali in fondo al mare,- con-tinuò il Gri-fone con vo-ce profonda e solenne, -si puliscono soltanto con l’inchiostro di seppia. Ora lo sai. -E di che co-sa sono fat-te?- domandò Alice in tono di grande cu-riosità. -Sono fatte di Sogliole e Tacchigliole, naturalmente- rispose il Gri-fone piutto-sto spazienti-to: -qualun-que gambero di buon sen-

le fa brillare?» Alice se le guardò e ri-fletté un po-co prima di dare la sua risposta. «Le lustrano col lucido, cre-do.» «In fondo al mare scarpe e stivaletti», continuò il Grifone con voce profon-da, «vengono lustrati col bianchetto. Ora lo sai.» «E di che so-no fatti, scar-pe e stivalet-ti?» chiese Alice, assai incuriosita. «Di sogliole e anguille, na-turalmente», rispose il Gri-fone, con una certa impa-zienza, «que-sto te lo po-teva dire qua-lunque scam-po.»

direi. -In fondo al mare,- prose-guì il Grifone con voce profonda, -è il merluzzo che fischia sulle alborel-le. Ora lo sai. -E cosa fan-no le alborel-le?- chiese Alice molto incuriosita. -Fanno l’om-brina, ovvia-mente,- ri-spose il Gri-fone con una certa impa-zienza. -Lo sa anche un pe-sce qualsiasi!

dò il grem-biulino, e ci pensò un at-timo prima di dare una ri-sposta. «Ci facciamo gli occhielli». «In fondo al mare» spiegò il Grifone con voce profonda, «noi ci faccia-mo i naselli. Ora lo sai». «E come li cucite i grem-biulini?» chie-se Alice, assai incuriosita. «Con il pesce ago, natural-mente» rispo-se il Grifone, con una certa impazienza, «lo sanno perfino i gamberi».

s’è che le ren-de così luci-de?» Alice si guar-dò le scarpe e rifletté un momento prima di ri-spondere: «Il neretto, cre-do». «Stivali e scarpe, in fondo al ma-re,» proseguì il Grifone con voce profonda «si lucidano con il bianchetto. Adesso lo sai.» «E di che cosa sono fatte?» do-mandò Alice piena di cu-riosità. «Le suole di sogliole e le stringhe di aringhe» ri-spose il Gri-fone legger-mente spa-zientito. «Qualsiasi gambero te lo saprebbe di-re.»

sandwich francese di tonni.” “Sarebbe a dire?” do-mandò Alice stupefatta. “Il tonn-sur-tonn, no?” “E quali sono i capi più di moda?” “Papaline, mante a rom-bi con la cer-nia sul davan-ti e scarpe nei colori mug-gine o verdo-ne,” rispose il Grifone con malcelata im-pazienza. “Queste cose te le può dire qualsiasi pe-sce-ago!”

36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76

Page 246: La Gran Natica dell'Aringa

234

77 78 79

that.” so avrebbe saputo dirti queste cose.

77 78 79

X.02 AA p.137 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.101

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.135

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.121-122

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.139

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.98-9

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.94

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.119

Busi (Feltrinelli 1993) p.151

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

“They were obliged to have him with them,” the Mock Turtle said: “no wise fish would go anywhere without a porpoise.” “Wouldn’t it really?” said Alice in a tone of great surprise. “Of course not,” said the Mock Turtle: “why, if a fish came to me, and told me he was going a journey, I should say ‘With what porpoise?’” “Don’t you mean

“Erano ob-bligati a por-tarsela con loro,” ribatté la Finta Tar-taruga: “nes-sun pesce saggio an-drebbe in gi-ro senza fo-cena.” “Dici davve-ro?” disse Alice in tono di grande stu-pore. “Certo,” af-fermò la Finta Tarta-ruga: “se un pesce venisse da me e mi dicesse che sta per met-tersi in viag-gio, gli chie-derei, ‘Ti por-ti con te la focena?’” “Intendi dire

«Bisogna sta-re in loro compagnia» singhiozzò la Finta Tarta-ruga. «Biso-gna! Nessun pesce pru-dente dov-rebbe andare in giro senza essere ac-compagnato da un poli-po.» «Davvero?» domandò Alice sorpre-sa. E si toccò il naso preoc-cupata. «Certo» con-fermò la Finta Tarta-ruga. «Se un Nasello ve-nisse a dirmi che sta per mettersi in viaggio, gli

-Ma erano obbligati ad accettarlo- disse la Finta Tartaruga: -nessun pesce saggio an-drebbe con-tro il volere del suo delfi-no. -Davvero non lo fa-rebbe?- escla-mò Alice in tono di gran-de sorpresa. -Certo che no,- rispose la Finta Tar-taruga: -se un pesce venisse da me e mi dicesse che è in procinto di mettersi in viaggio, io gli direi: «Se così vuole il tuo delfino».

«Erano cos-tretti a por-tarselo die-tro», disse la Finta Tarta-ruga. «Nes-sun pesce as-sennato viag-gia senza un marsuino.» «Davvero?» disse Alice, in tono molto sorpreso. «Certo», disse la Finta Tar-taruga. «Se un pesce venisse da me a dirmi che parte per un viaggio, gli chiederei su-bito: ’con quale marsui-no?’» «Non vuoi dire ’scopo’?» disse Alice.

-Ma erano obbligati a portarlo con loro- disse la Pseudotarta-ruga: -Nessun pesce di clas-se potrebbe andarsene in giro senza un marsuino. -Ma davve-ro?- disse Ali-ce molto stu-pita. -Si capisce!- disse la Pseu-dotartaruga. –Insomma, se un pesce vie-ne da me a focena, deve avere il mar-suino e le car-pe nuove di tinca. -Vorrai dire la «marsina»e le «scarpe nuove di trinca»?-

«Erano obbli-gati a tenerlo» spiegò il Vi-tello-Simil-tartaruga «Nessun pe-sce che si ri-spetti va a un ballo senza il marsuino». «Davvero?» chiese Alice, estremamen-te sorpresa. «Ma certo» replicò il Vi-tello-Simil-tartaruga. «Quando c’è un pesce che viene da me e mi invita a un ballo, io gli chiedo sem-pre “Che ma-rsuino mi metto?”» «Forse inten-di dire “Mar-sina”?» disse

«Ma loro era-no obbligati a stargli assie-me» disse la Fintartaruga «Un pesce saggio non va da nessuna parte senza una focena.» «Davvero?» disse Alice stupitissima. «Certo che no» disse la Fintartaruga. «Perbacco, se un pesce di mare venisse da me e mi dicesse che vuol viaggiare in un fiume, gli chiederei subito: “Sai dov’è la foce-na?”» «Vuoi dire la foce!» disse Alice.

“Erano ob-bligati a aver-celo alle cal-cagna,” disse la Tartaruga d’Egitto. “Un pesce chic è immancabil-mente in compagnia di un polpo.” “Ma dici sul serio?” disse Alice passan-do di sorpre-sa in sorpre-sa. “Certo!” dis-se la Tarta-ruga d’Egitto. “In ogni sto-ria dev’esserci sempre un polpo di sce-na! e poi se un pesce ve-nisse da me per annun-ciarmi che mi lascia, io gli

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

Page 247: La Gran Natica dell'Aringa

235

31 32 33 34 35

‘purpose’?” said Alice.

la ‘cena’?” direi...» -Non volete dire per caso «destino»?

disse Alice. Alice. risponderei ‘Ti venisse un polpo!’ ” “Volevi dire ‘un colpo’?”

31 32 33 34 35

XI.01 AA p.148 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.111

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.145-146

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) pp.131-132

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.150

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.107-108

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.103

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.128

Busi (Feltrinelli 1993) p.167

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28

“I'm a poor man, your Majesty,” the Hatter began, in a trembling voice, “—and I hadn't begun my tea—not above a week or so—and what with the bread-and-butter getting so thin—and the twinkling of the tea—” “The twinkling of the what?” said the King. “It began with the tea,” the Hatter replied. “Of course twinkling

“Sono un po-ver’uomo, Maestà,” co-minciò il Cappellaio con voce tre-mante, “e avevo appena cominciato a prendere il tè... da non più di una settimana cir-ca... e per il fatto che il pane imbur-rato diventa-va così sotti-le... e per il tremolare del tè...” “Il tremolare di che cosa?” chiese il Re. “Cominciò col tè...” “Certo che tremolare co-

«Sono un po-veretto, Mae-stà» cominciò a dire con voce treman-te il Cappel-laio. «Avevo appena co-minciato a bere il tè... circa una set-timana fa...e le fette di pane imbur-rato diventa-vano sempre più sottili... e il tremolio del tè...» «Il tremolio di che?» do-mandò il Re. «Il tremolio cominciò col tè» tentò di spiegare il Cappellaio. «Vorrai dire

-Sono un po-ver’uomo, vostra Mae-stà,- comin-ciò il Cappel-laio con voce tremante- e non avevo ancora co-minciato a bere il tè... non più di una settimana fa... e poi le tartine che rimpiccioli-scono... e il tintinnio del tè... -Il tintinnio di che?- chie-se il Re. -Il tintinnio cominciò con il tè,- rispose il Cappellaio. -Col tè? Sciocchezze:

«Sono un po-ver’uomo, Maestà», co-minciò il Cappellaio con voce tre-mante, «e avevo appena cominciato a prendere il tè... da non più di una settimana cir-ca... con tutto che il pane e burro conti-nuava a dimi-nuire... e il tremolìo del tè...» «Il tremolìo di cosa?» dis-se il Re. «È comincia-to col tè», ri-spose il Cap-pellaio. «Certo che

-Sono in po-ver’uomo, Maestà,- co-minciò il Cappellaio con voce tre-mante,- ... e non avevo neppure co-minciato a prender il tè... non più di una settimana fa... e poi quei crostini imburrati così fini... e il tre-molio del tè... -Il tremolio di che cosa?- disse il Re. -Cominciò tutto con il tè,- rispose il Cappellaio. -Ah! Tremo-lio comincia con il ti, vuoi

«Io sono un povero dia-volo, vostra Maestà» co-minciò il Cappellaio, con voce tre-mante, «e non avevo ancora co-minciato a prendere il mio tè - non più di una settimana fa - e con le fette di pane e bur-ro che erano diventate così sottili - e il baluginìo del tè-». «Il baluginìo di che cosa?» domandò il Re. «Tutto co-minciò col

«Io sono un pover’uomo, Maestà,» ini-ziò il Cappel-laio con voce tremante «e non avevo nemmeno cominciato a prendere il tè... non più tardi di una settimana fa o giù di lì... ed ecco che tutto quel pa-ne e burro comincia ad assottigliarsi... e che il tè co-mincia a luc-cicare...» «Cos’è che comincia a luccicare?» domandò il Re. «Ecco, tutto è

“Sono un po-vero cristo, Vostra Mae-stà,” comin-ciò il Cappel-laio con voce tremula, “...e non avevo nemmeno cominciato a bere il tè... non più di una settimana fa... e poi quelle tartine imburrate co-sì fine... Brilla brilla biondo tè... Tutto co-mincia con un tè...” “Tutto co-mincia con un ti, vorrai dire!” disse il Re seccatisi-mo. “Mi prendi per il

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28

Page 248: La Gran Natica dell'Aringa

236

29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

begins with a T!” said the King sharply. “Do you take me for a dunce? Go on!”

minciare [sic!] con la T!” disse brusco il Re. “Mi prendi per uno stupido? Continua!”

che comincia col ti!» disse aspramente il Re. «Lo so, non sono un asino. Conti-nua!»

tintinnio co-mincia con la T, - interrup-pe il Re sec-camente. -Mi prendete for-se per uno stupido? Avanti!

tremolìo co-mincia con la T!» disse il Re, secco. «Mi hai preso per un idiota? Avanti!»

dire!- esclamò il Re seccato. -Mi prendi per un soma-ro? Va’ avan-ti!

tè» rispose il Cappellaio. «Cominciò con me?» re-plicò seccato il Re. «Cosa vorresti insi-nuare? Conti-nua!»

cominciato con il tè» ri-spose il Cap-pellaio. «”Tutto” non comincia con “tè” ma con “ti”» ribatté brusco il Re. «Mi prendi per stupido? Continua!»

sedere? Va’ avanti.”

29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

Page 249: La Gran Natica dell'Aringa

237

XII.01 AAp.160 Bossi

(Bompiani 1963 [91]) p.120

Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.156-157

Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.141

D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.162-3

Carano (Einaudi 1978 [93]) p.115-116

Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.112-113

Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.137

Busi (Feltrinelli 1993) p.181

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33

“Nothing can be clearer than that. Then again—‘before she had this fit—’ you never had fits, my dear, I think?” he said to the Queen. “Never!” said the Queen furiously, throwing an inkstand at the Lizard as she spoke. (...) “Then the words don't fit you,” said the King, looking round the court with a smile.

“Non potreb-be essere più chiaro di così Continuiamo: a lei venne un attacco, poi: non hai mai avuto attac-chi, mia cara, vero?” chiese alla Regina. “Mai,” rispo-se la Regina furiosamente, lanciando un calamaio con-tro la lucer-tola mentre parlava. (...) “Allora que-sto non è un attacco a te,” disse il re, gi-rando lo sguardo per il tribunale con un sorriso.

«Niente di più chiaro. E poi... prima che lei avesse questo attac-co... Hai mai avuto attacchi tu, mia cara?» soggiunse ri-volto alla Re-gina. «Mai!» rispose la Regina in-furiata e tirò un calamaio addosso alla Lucertola. (....) «Se non hai avuto attac-chi, la poesia non attacca» aggiunse allo-ra il Re. Posò sull’assemblea uno sguar-do trionfante, (...).

-Niente di più evidente. E poi anco-ra... prima che lei men-tisse a voi, tu non hai mai mentito, cara. È così?- disse rivolto alla Regina. - Mai!- rispo-se furiosa-mente la Re-gina, gettan-do un cala-maio in testa alla Lucer-tola. (...) -Allora le parole ti han-no smentito,- disse il Re, guardando l’assemblea con un sorri-so.

«Niente po-trebb’essere più chiaro. E poi, ancora... ’prima che a lei venisse questo acci-dente...’ a te non sono mai venuti acci-denti, vero, cara?» disse alla Regina. «Mai!» disse la Regina in-ferocita, tir-ando un cala-maio alla Lu-certola. (...) «Allora ogni riferimento a te è acciden-tale», disse il Re, guardan-do intorno l’aula con un sorriso.

(...) -Nulla è più evidente di ciò. E poi andiamo avanti: «Pri-ma che aves-se un attac-co», non hai mai avuto un attacco tu, cara, vero?- disse alla Re-gina. (...) -Quindi tu non c’entri,- disse il Re guardandosi intorno con un sorrisetto sulle labbra.

«Non potreb-be essere più chiaro di così. E poi, ancora “-Lei ebbe una crisi-” tu non hai mai crisi, vero, ca-ra?» doman-dò alla Regi-na. «Mai!» escla-mò la Regina, infuriata, lan-ciando un calamaio al Lucertolino. (...) «Allora sono le parole che vanno in crisi con te» ribat-té il Re, guar-dandosi in giro nell’aula con un sorri-so.

«Questo è senz’altro il verso più chiaro. E poi, vediamo un po’: “...Prima che lei avesse questo acces-so...” Tu di accessi non ne hai mai, vero, mia ca-ra?» chiese al-la Regina. «Mai!» disse la Regina in un accesso di collera, sca-gliando un calamaio con-tro la Lucer-tola. (...) «Allora que-ste parole non possono trovare nes-suna via di accesso per riferirsi a te» disse il Re, fa-cendo un am-pio sorriso al-la giuria.

“È una prova schiacciante. E ancora... ‘prima ch’ella avesse accessi della bile più inconsulta’... ma tu non hai mai avuto ac-cessi di bile, mia diletta, nevvero?” disse alla Re-gina. “Mai!” disse la Regina più furiosa che mai, tirando dietro un ca-lamaio al Ra-marro e cen-trandolo in pieno. (...) “Questa cosa non ti è ac-cessibile,” disse il Re, guardandosi attorno con un sorrisetto sulle labbra.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 2930 31 32 33

Page 250: La Gran Natica dell'Aringa

238

Page 251: La Gran Natica dell'Aringa

243

Bibliografia

Alice e altri testi di Carroll CARROLL, Lewis 1929 Alice in Wonderland, Alice Through the Looking Glass, etc., introduzione di E. RHYS,

Dent Dutton (Everyman’s Library), London, New York 1939 (197712) The Complete Works of Lewis Carroll, a cura di A. WOLLCOTT, The Nonesuch

Press, London 1965 Alice’s Adventures under Ground. Facsimile of the author’s manuscript book with additional

material from the facsimile edition of 1886, Dover, New York 1970 The Annotated Alice. Alice’s Adventures in Wonderland and through the Looking-Glass,

introduzione e note di M. GARDNER, Penguin, Harmondsworth1 1982 Alice’s Adventures in Wonderland and Through the Looking Glass, a cura di R. L. GREEN,

Oxford University Press, Oxford, New York 1991 Looking-Glass Letters, a cura di T. HINDE, Collins & Brown, London

Traduzioni italiane di Alice’s Adventures in Wonderland CARROLL, Lewis 1963 (1991) trad. E. BOSSI, Alice nel Paese delle Meraviglie, a cura di A. ROFFENI, Bompiani,

(Tascabili, Classici Stranieri), Milano

1 AA nel testo

Page 252: La Gran Natica dell'Aringa

244

1966 (1990) trad. T. GIGLIO, Alice nel Paese delle Meraviglie, introduzione di A. BRILLI, note di

A.R. FALZON, Rizzoli, Milano 1967 trad. A. GALASSO, T. KEMENY, Alice nel paese delle Meraviglie e Dietro lo specchio,

prefazione di A. MAUROIS, Sugar, Milano 1971 (1994) trad. M. D’AMICO, Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie & Attraverso lo

specchio e quello che Alice vi trovò, introduzione e note di M. GARDNER, Longanesi, Milano.

1978 (1993) trad. R. CARANO, G. POZZO, G. ALMANSI, C. PENNATI, Alice nel paese delle

Meraviglie e Attraverso lo specchio, a cura di M.V. MALVANO, Einaudi, Torino 1989 (1993) trad. M. GRAFFI, Alice nel paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio, introduzione

e note di M. GRAFFI, Garzanti (I grandi libri), Milano

1990 trad. R. BIANCHI, Alice nel paese delle Meraviglie, a cura di R. BIANCHI, Mursia (gum Mursia), Milano

1993 trad. A. BUSI, Alice nel paese delle Meraviglie, (testo originale a fronte), postfazione e note di C. COVITO, Feltrinelli, Milano

Traduzioni italiane di altre opere di Carroll CARROLL, Lewis 1969a Una storia ingarbugliata, trad. D. VALORI, Astrolabio, Roma 1969b Il gioco della logica, trad. O. AURELIO SIMONE, Astrolabio, Roma 1980 La caccia allo Snualo. Un’agonia in otto cadenze (“Cadenza Seconda. Il discorso del

Banditore”), trad. e nota di M. GRAFFI, in «Il Verri», n° 20-21 (VI serie), 1980-81, pp.30-35

Page 253: La Gran Natica dell'Aringa

245

1996a Sylvie e Bruno, trad. F. CORDELLI, Garzanti, Milano 1996b Enigmi e giochi matematici, a cura di J. FISHER, trad. E.TURCHETTI, nota di

G.DOSSENA, Theoria, Roma e Napoli Su Alice AUERBACH, Nina 1973 «Alice and Wonderland: A Curious Child», in BLOOM Harold (a cura di), 1987,

pp.31-44 ALMANSI, Guido 1976 Come scrivere ad Alice, ne «Il Verri», nº3, novembre 1976, pagg.33-52 BAUM, Alwin L. 1977 «Carroll’s Alices: The Semiotics of Paradox», in BLOOM Harold (a cura di), 1987,

pp.65-82 BLAKE, Kathleen 1983 «Lewis Carroll (Charles Lutwidge Dodgson)», in NADEL I.B. e FREDEMAN W.E., a

cura di, Victorian Novelists After 1885 (Dictionary of Literary Biography, volume 18), Gale Research Company, Detroit, 1983, pagg.43-48

BLOOM, Harold (a cura di) 1987 Lewis Carroll, Chelsea House Publishers, New York-Philadelphia BOERO, Pino e DE LUCA, Carmine 1995 La letteratura per l’infanzia, Laterza, Roma-Bari BUONGIORNO, Teresa 1995 Dizionario della Letteratura per Ragazzi, A. Vallardi, Milano, 1995

Page 254: La Gran Natica dell'Aringa

246

CAVALLONE, Franco 1967 «Uno specchio per Alice», in Linus, dicembre 1967, pp.1-7 CIARDI, John 1959 «A Burble through the Tulgey Wood», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974,

pp.303-311 DE LA MARE, Walter 1932 «On the Alice Books», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974, pagg.89-98 DELEUZE, Gilles 1975 La logica del senso, trad. it. M. DE STEFANIS, Feltrinelli, Milano GARDNER, Martin 1965 «Introduction to Dover Edition», in CARROLL Lewis, 1965 GORDON, Jan B. 1971 «The Alice Books and the Metaphors of Victorian Childhood», in BLOOM Harold

(a cura di), 1987, pp.17-30 GULLÌ PUGLIATTI, Paola 1981 “Sul raccontare storie, sul nominare, sul significare in Alice in Wonderland e

Through The Looking-Glass di Lewis Carroll” in Studi in onore di Salvatore Pugliatti, vol.V, Giuffré editore, pp.319-335

HEATH, Peter 1974 «The Philosopher’s Alice», in BLOOM Harold (a cura di), 1987, pp.45-52 HOLMES, Roger W. 1959 «The Philosopher’s Alice in Wonderland», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974,

pagg.199-216

Page 255: La Gran Natica dell'Aringa

247

HUNT, Peter 1994 An Introduction to Children’s Literature, Oxford University Press, Oxford, pagg.78-83 KEMENY, Tomaso 1977 Alice nel Paese delle Meraviglie. L’oscillazione tra senso e nonsenso, ne «Il Verri», nº6,

giugno 1977, pagg.68-79 LEVIN, Harry 1965 «Wonderland Revisited», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974, pagg.127-242 MELONI, Irene 1995 La Logica del Nonsenso, Cooperativa Libraria I.U.L.M., Milano MILNER, Florence 1903 «The Poems in Alice in Wonderland», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974, pagg.295-

302 PAGETTI, Carlo 1994 «La scena letteraria medio-vittoriana», in PAGETTI Carlo (a cura di), L’impero di

carta, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pagg.75-6 1996 La letteratura delle meraviglie, in «Letture», quaderno 529, ago.-sett. 1996, pagg.8-11 PHILLIPS, Robert (a cura di) 1974 Aspects of Alice, Penguin, Harmondsworth PRIESTLEY, J.B. 1921 «A Note on Humpty Dumpty», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974, pagg. 312-316 RACKIN, Donald 1976 «Laughing and Grief: What’s So Funny About Alice in Wonderland?», in GUILIANO

Edward (a cura di), 1976, pagg.1-17 RIZZATTI, Maria Luisa 1996 Le meraviglie del timido Charles, in «Letture», quaderno 532, dic. 1996, pagg.22-5

Page 256: La Gran Natica dell'Aringa

248

TRAVERSETTI, Bruno

1996 Alice nel Paese delle Meraviglie, da “La tana di Alice”, in «Lampi di primavera», (Radiotre), 28/6/1996

WEAVER, Warren 1964 Alice in Many Tongues, The University of Wisconsin Press, Madison WILSON, Edmund 1932 (rev. 1952) «C.L. Dodgson: the Poet Logician», in PHILLIPS Robert (a cura di), 1974,

pagg.243-252

Su Lewis Carroll COHEN, Morton N. 1995 Lewis Carroll, a biography, Macmillan, London DRAGHI SALVADORI, Laura 1968 Lewis Carroll, Le Monnier, Firenze ELWYN JONES, Jo & FRANCIS GLADSTONE, J. 1995 The Red King’s Dream, or Lewis Carroll in Wonderland, Jonathan Cape, London GATTÉGNO, Jean 1974 Lewis Carroll, une vie, Èditions du Seuil, Paris GUILIANO, Edward (a cura di) 1976 Lewis Carroll Observed. A Collection of Unpublished Photographs, Drawings, Poetry and New

Essays, Clarkson N.Potter, New York POOLE, Gordon 1976 Il «nonsense» di Lewis Carroll, ne «Il Verri», nº3, novembre 1976, pagg.53-72

Page 257: La Gran Natica dell'Aringa

249

Sulla traduzione

BASSNET-MCGUIRE, Susan 1993 La traduzione. Teorie e pratica, trad. G. BANDINI, a cura di D. PORTOLANO,

Bompiani, Milano BENJAMIN, Walter 1923 “Il compito del traduttore”, trad. G. BONOLA, in NEERGARD Siri, 1993, pp.221-

236 BERRETTA, Monica 1979a “Problemi testuali della traduzione: casi di ambiguità anaforica in Alice nel paese delle

meraviglie”, in CALLERI D., MARELLO C. (a cura di), 1982, Atti del XIII congresso internazionale di studi, LINGUISTICA CONTRASTIVA, SLI, Bulzoni, Roma, pagg.229-54

1979b La Traduzione: Appunti di lettura di Alice nel Paese delle Meraviglie, C.E.L.S.B., Bergamo (per gentile omaggio dell’autrice)

CAPITANIO, Patrizia 1983 Traduzioni russe e italiane delle parodie poetiche in Alice’s Adventures in Wonderland, in

«Lingua e Stile» a. XVIII, n. 3, luglio-settembre 1983, pp.361-85 DE MAURO, Tullio 1994 Capire le parole, Laterza, Roma-Bari ECO, Umberto 1995 “Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzione”, in NEERGARD Siri, 1995, pp.121-

146 EVEN-ZOHAR, Itamar 1978 “La posizione della letteratura tradotta all’interno del polisistema letterario”, trad.

S.TRAINI, in NEERGARD Siri, 1995, pp.225-238

Page 258: La Gran Natica dell'Aringa

250

JAKOBSON, Roman 19924 Saggi di linguistica generale, trad. L. HEILMANN, L. GRASSI, a cura di L. HEILMANN,

Feltrinelli, Milano LEVY, Jiri 1967 “La traduzione come processo decisionale”, trad. S.TRAINI, in NEERGARD Siri,

1995, pp.63-83 MOUNIN, Georges 1965 Teoria e storia della traduzione, trad. S. MORGANTI, Einaudi, Torino NEWMARK, Peter 1988 La traduzione: problemi e metodi, trad. it. F. FRANGINI, Garzanti, Milano NERGAARD, Siri (a cura di) 1993 La teoria della traduzione nella storia, Bompiani, Milano 1995 Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani, Milano NIDA, Eugène A. 1959 “Principi di traduzione esemplificati dalla traduzione della Bibbia”, trad. B.BASSI,

in NEERGARD Siri, 1995, pp.149-180 ORTEGA Y GASSET, José 1937 “Miseria e splendore della traduzione”, trad. A. LOZANO RANIERO e C. ROCCO, in

NEERGARD Siri, 1993, pp.221-236 PARISOT, Henri 1979 “Pour franciser les jeux de langage d’«Alice»”, in ‘CARROLL Lewis’, 1979, Tout

Alice, trad. franc. di Henri Parisot, Flammarion, Paris, pagg.417-42 PAZ, Octavio 1970 “Traduzione: letteratura e letteralità”, trad. V.SCORPIONI, in NEERGARD Siri, 1995,

pp.283-297

Page 259: La Gran Natica dell'Aringa

251

SCHLEIERMACHER, Friedrich 1918 “Sui diversi metodi del tradurre”, trad. G. MORETTO, in NEERGARD Siri, 1993,

pp.143-179 SNODGRASS, W.D. 1995 “Disgracing are Verse: Sense, Censors, Nonsense and Extrasensory Deception”, in

Southern Review, Vol. 31, 4/1/1995, pagg. 309-ss. STEINER, George 1992 Dopo Babele, trad. R. BIANCHI e C.BÈGUIN, Garzanti, Milano

Altre opere consultate BARTEZZAGHI, Stefano 1995 Anno Sabbatico, Bompiani, Milano BECCARIA, Gian Luigi (a cura di) 1996 Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Einaudi, Torino CHESTERTON, Gilbert K. 1901 “Difesa del nonsense” in Il bello del brutto, trad. it. di P. SESTINI, Sellerio, Palermo,

19852, pagg.43-7 CHIARO, Delia 1992 The Language of Jokes. Analysing Verbal Play, Routledge, London and New York CRYSTAL, David (ed.) 1994 The Cambridge Encyclopedia of Language, Cambridge University Press, Cambridge DARDANO, Maurizio 1993 “Lessico e semantica”, in Sobrero, Alberto A. (a cura di), Introduzione all’italiano

contemporaneo. Le strutture, Laterza, Roma

Page 260: La Gran Natica dell'Aringa

252

DE MAURO, Tullio 1992 Guida all’uso delle parole, Editori Riuniti, Roma 1995 Minisemantica, Laterza, Roma-Bari DOSSENA, Giampaolo 1997 Dizionario dei giochi con le parole, Vallardi, Milano FREUD, Sigmund 1905 Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, in Opere. 5. Il motto di spirito e altri scritti

1905-1908, trad. it. S. DANIELE, E. SAGITTARIO, Bollati Boringhieri, Torino, pp.3-211

GRAFFI, Milli 1973 Edward Lear: una logica del nonsenso, ne «Il Verri», nº1, 1973, pagg.115-126 IZZO, Carlo 1968 «Il Nonsense», in Storia della letteratura inglese, Sansoni, Firenze, pagg.1144-51 LECERCLE, Jean-Jacques 1994 Philosophy of Nonsense. The Intuitions of Victorian Nonsense Literature, Routledge,

London and New York LYONS, John 1977 Semantics, vol.2, Cambridge University Press, London 1980 Manuale di semantica, vol.1, trad.S.GENSINI, Laterza, Roma-Bari MARCHESE, Angelo 1991 Dizionario di retorica e stilistica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano MEYER SPACKS, Patricia 1961 «Logic and Language in Through the Looking-Glass», in PHILLIPS Robert (a cura di),

1974, pagg. 317-26

Page 261: La Gran Natica dell'Aringa

253

POOLE, Gordon 1969 Verso un’analisi linguistica dello humour inglese, ne «Il Verri», nº31, 1969, pagg.131-144 RODARI, Gianni 1973 Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1995 I cinque libri, Einaudi, Torino RINALDI, Pier Paolo 1994 «Un girotondo intorno al limerick», in MANFREDI, M., e TRUCCO, M. Il libro dei

Limerick, 1994, pagg. 145-240 SAUSSURE, Ferdinand de 1974 Corso di linguistica generale, introduzione, traduzione e commento di T. DE MAURO,

Laterza, Bari SEWELL, Elizabeth 1958 «Lewis Carroll and T. S Eliot as Nonsense Poets», in PHILLIPS Robert (a cura di),

1974, pagg.155-63 1976 «The Nonsense System in Lewis Carroll’s Work and in Today’s World», in

GUILIANO Edward (a cura di), 1976, pp.60-67 STEWART, Susan 1989 Nonsense, Johns Hopkins University Press, Baltimore and London

Page 262: La Gran Natica dell'Aringa

254

Lessici, dizionari e vocabolari consultati DEVOTO, Giacomo - OLI, Gian Carlo, Nuovo Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, 2 voll.,

Le Monnier-Selezione, Firenze -Milano, 1987

Lessico Universale Italiano, 24 voll., Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1968

O.E.D. (The Oxford English Dictionary), Second Edition on Compact Disc, Oxford University

Press, Oxford, 1992

PIANEGIANI, Ottorino, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, Fratelli Melita Editori,

Genova, 1988 (prima edizione: Firenze, 1907)

RAGAZZINI, Giuseppe, Il Nuovo Ragazzini, Dizionario Inglese Italiano, Italiano Inglese, seconda

edizione, Zanichelli, Bologna, 1989

Altri testi riguardanti la traduzione e in particolare la traduzione di letteratura per l’infanzia2

Atti del Convegno The Making of Imagery: Writing and Translating for Children, Fiera del Li-bro di Bologna, 2005, reperito on line: http://www.biblit.it/convegno%20bologna%202005.pdf

Bassnett, S., Lefevere, A., Constructing Cultures – Essays on literary translation, Multilingual

2 Si segnalano di seguito altri testi interessanti per chi volesse approfondire ma rintracciati o pubblicati dopo la prima edizione di questo lavoro

Page 263: La Gran Natica dell'Aringa

255

matters, Clevendon, 1998 Berman, A., L’épreuve de l’étranger, Gallimard, Paris, 1984 Berman, A., La traduction et la lettre ou l’auberge du lointain, Seuil, Paris, 1999 Bocci, L., Di seconda mano, Rizzoli, Milano, 2004 Cammarata, A., “La Ricreazione di Alice”, in inTRAlinea Vol. 5 (2002) (on line:

http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=147_0_2_0_M%25 ) Cammarata, A., “Sogno di un pomeriggio di prima estate”, in Carroll, L., Alice

Underground, trad. A.Cammarata, Stampa Alternativa, Viterbo, 2002 Hofstadter, D. R., Le Ton Beau de Marot, In praise of the Music of Language, Basic Books,

New York, 1997 Kaplan, A., Translation: the biography of an artform, reperibile on line

http://www.arts.uwa.edu.au/MotsPluriels/MP2303ak.html Kibbee, D.A., “When Children’s Literature Transcends its Genre: Translating Alice in

Wonderland, in Meta, XLVIII, 1-2, 2003 Lefevere, A., Traduzione e riscrittura, la manipolazione della fama letteraria, trad. Silvia

Campanini, UTET, Torino, 1998 Lefevere, A., Translating literature, practice and theory in a comparative literature context, The

Modern Language Association of America, New York, 1992 Lefevere, A., Translation/History/Culture: a sourcebook, Routledge, London and New York,

1992 Levi, P., “Tradurre ed essere tradotti”, ne L'altrui mestiere, Torino, Einaudi 1985 Nikolajeva, M. ed., Aspects and Issues in the History of Children’s Literature, Greenwood Press,

London, 1995 O’Sullivan, E. et al., Children's Literature: Global and Local, Novus, Kristiansand 2003 O’Sullivan, E., “Comparing children's literature” In: GFL. German as a foreign language

(http://www.gfl-journal.de/2-2002/osullivan.html) 2/2002, 33-56 O’Sullivan, E., Comparative Children's Literature, trad. A.Bell, Routledge, London 2005 Oittinen R. (a cura di), « Traduction pour les enfants » META, Volume 48, numéros 1-2

(Mai 2003) consultabile on line http://www.erudit.org/revue/meta/2003/v48/n1/

Oittinen, R., Translating for Children, Garland Publishing, New York & London, 2000 Pascua Febles I., Ramòn Molina E., Perera Santana A., Marcelo Wirnitzer G. (ed.)

Page 264: La Gran Natica dell'Aringa

256

Traducciòn y Literatura Infantil, Universidad de Las Palmas de Gran Canaria, Ediciones Anaga, Las Palmas, 2002

Shavit, Z., Poetics of Children's Literature, The University of Georgia Press, Athens and London, 1986 (on-line: http://www.tau.ac.il/~zshavit/pocl/index.html)

Tarozzi, B., [Nota del traduttore], in Le Avventure di Alice nel paese delle meraviglie – Attraverso lo Specchio, trad. B.Tarozzi e M.Bignardi, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2004

Vagliani P. (a cura di), Quando Alice incontrò Pinocchio, Trauben – Liber et Imago, Torino 1998

Venuti, L., L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, Armando, Roma,1999 Venuti, L., The scandals of translation, towards an ethics of difference, Routledge, London and

New York, 1998

Tesi di laurea correlate

Graziosi, M., Testo verbale e testo iconico nei limericks di Edward Lear, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Giovanna Franci, a.a. 1981-82 reperibile on line http://www.nonsenselit.org/component/option,com_docman/task,doc_download/gid,8/Itemid,53

Mastrangeli, M., Alice nel paese delle meraviglie. Aldo Busi a confronto con Lewis Carroll, Università degli Studi della Tuscia, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne, relatore prof. Silvana Ferreri, a.a. 2001-02

Pagliarani, G., Alice tra senso e nonsenso, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, relatore prof. Stefano Velotti, a.a. 2000-01; reperibile on line: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/tfo/public/1/giordanapagliarani68_1.pdf

Waffenschmidt, B., Possibilities and Limits of Translation – The German translation of Lewis Carroll’s ‘Alice’s Adventures in Wonderland’, EBERHARD-KARLS-UNIVERSITÄT TÜBINGEN, Seminar für Englische Philologie, Sommersemester 1996, HS Linguistik, Prof. Dr. K.-D. Gottschalk, Comparative Translation Studies, 4 aprile 1997

Page 265: La Gran Natica dell'Aringa

257

Ringraziamenti

Desidero ringraziare il professor Marco Graziosi di Vignola (MO), curatore di un

sito internet dedicato a Edward Lear e al nonsense1, la professoressa Mary Wardle

dell’Università di Roma La Sapienza, la professoressa Monica Berretta dell’Università di

Vercelli, Nicoletta Lumina della Biblioteca della Facoltà di Lingue dell’Università di

Bergamo, e la studentessa Lucia Franchini di Como per i consigli, le indicazioni

bibliografiche, la disponibilità e la simpatia.

Ringrazio inoltre la mia relatrice, prof. Silvana Ferreri, attualmente docente

presso l’Università della Tuscia, il prof. Raffaele Scapellato, docente di Matematica

presso il Politecnico di Milano, il signor Gian Mario Benzing, nipote del traduttore

Mario Benzi e responsabile del sito http://www.benzing.it, Kate Lyon, studiosa

australiana di Carroll, il prof. Gordon Poole dell’Università degli Studi di Napoli, le

professoresse Emer O’Sullivan e Gillian Lathey, promotrici dei Comparative Studies

nell’ambito della letteratura per bambini, e tutti coloro che in questi anni hanno

condiviso il loro interesse per la traduzione e per Alice e mi hanno incoraggiata a

continuare e sviluppare le mie ricerche.

1 Edward Lear’s Nonsense Poetry and Art – http://www.nonsenselit.org/lear

Page 266: La Gran Natica dell'Aringa

258