LA GIORNALISTA VIVIANA MAZZA RACCONTA COME SI … · scrivere un reportage: a disposizione si...

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LA GIORNALISTA VIVIANA MAZZA RACCONTA COME SI SCRIVE UN REPORTAGE

Un reportage è simile a un racconto che cerca di trasportare il lettore sul campo o a

un’inchiesta che cerca di scavare nelle varie sfaccettature della realtà e nei diversi punti di

vista. Perciò dovrebbe essere pieno di testimonianze, descrivere ma anche saper riflettere e

analizzare su un argomento.

Prima di scrivere, ovviamente, bisogna però reperire le informazioni. E’ necessario

documentarsi già prima di andare sul campo: aver letto molto sull’argomento, ed essere

consapevoli di diversi punti di vista divergenti. Non è possibile sapere ogni cosa su ogni

argomento, ma non guasta una competenza specialistica quando ci si occupa di certe

tematiche o aree geografiche.

Ci sono eventi che accadono all’improvviso e costringono il giornale ad inviare in poche ore

un reporter: in questi casi, una cosa utile è di farsi un’idea sin da subito dei contatti a

disposizione sul territorio, di mappare in un certo senso alcune direzioni da seguire una volta

arrivati sul posto. Avere coltivato nel tempo una rete variegata di contatti, con cui ci sia un

rapporto di fiducia, è fondamentale: non ci si può affidare soltanto alle fonti istituzionali,

ma bisogna sempre cercare di interpellare intellettuali, esperti e di parlare con la gente

comune.

Le notizie vanno sempre verificate: questo è vero non solo per i reportage, ma per qualunque

articolo. Internet è diventata una fonte importantissima di informazioni, ma bisogna sempre

valutare bene le fonti, consultare quelle affidabili e se le notizie hanno origini poco chiare o

sconosciute vanno sempre appurate. In un quotidiano spesso non c’è molto tempo per

scrivere un reportage: a disposizione si possono avere solo poche ore e, nel migliore dei casi,

pochi giorni. Nei quotidiani italiani i reportage non sono molto lunghi: possono variare dalle

5000 alle 8000 battute, cioè più o meno la lunghezza di questo articolo.

Le immagini che accompagnano il reportage sono anch’esse un aspetto della storia e sarebbe

ideale viaggiare con un fotoreporter, ma questo è sempre più raro, anche per ragioni di costi.

Quel che accade più spesso nei quotidiani è che il “pezzo” venga accompagnato da foto di

agenzia o da foto scattate dallo stesso giornalista. E’ comunque sempre utile fotografare le

persone intervistate, perché oltre all’immagine “di grande impatto" scelta per illustrare la

pagina, ci sarà spesso spazio per foto più piccole delle persone intervistate. Il reportage può

essere accompagnato anche da elaborazioni infografiche, ma questo - anche per ragioni di

spazio e tempi di lavorazione - accade più spesso online che su carta.

Poiché lo spazio a disposizione è contenuto, è cruciale scegliere in modo accurato le voci da

inserire nel reportage. Una buona regola comunque è di non farsi condizionare da questo

nella scelta del numero di persone da intervistare. E’ bene che il giornalista parli con un

numero di persone più ampio possibile, indipendentemente da quante ne citerà, perché

questo lo aiuta a comprendere il più possibile la situazione in cui si trova. Poi potrà scegliere

in fase di scrittura quali sono le storie e i virgolettati più significativi da inserire. I virgolettati

- cioè le voci delle persone - aiutano a dare un senso di immediatezza e di “presa diretta”. E’

importante che le voci siano il più possibile autentiche: che rendano davvero il modo di

parlare della persona intervistata, anziché parafrasarla, anche quando si traduce da un’altra

lingua. Queste testimonianze hanno un valore giornalistico di testimonianza, possono

fornire rivelazioni scomode, una denuncia del potere, o ancora punti di vista diversi tra loro.

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Di solito chi scrive un reportage nei quotidiani nazionali non usa la prima persona, ma la

voce del giornalista che racconta e il suo stile sono percepibili.

L’attacco di un reportage può essere narrativo - raccontare una determinata storia o un caso

che illustra e incorpora la questione discussa - oppure può essere descrittivo - per esempio,

descrivere il luogo intorno al quale ruota tutto l’articolo - e ancora può essere un dialogo tra

persone… Non c’è una regola precisa, ma un buon attacco cattura e trascina il lettore sin

dalle prime righe — senza però dimenticare di rispondere al più presto, nelle righe

successive, alle domande fondamentali (Chi? Cosa? Dove? Quando? Perché? Come?). Anche

sulla chiusura del reportage non c’è una regola unica, ma piuttosto varie possibilità per

cercare di rendere la storia memorabile e darle un senso di compimento. Tre esempi:

prevedere una struttura circolare, chiudendo il reportage con elementi della stessa storia di

cui si parlava nell’attacco; oppure scegliere un virgolettato che riassume l’essenza

dell’articolo; o ancora proiettarsi avanti a ciò che potrebbe accadere in futuro. Molto

dipende anche dal tipo di storia e dal materiale che si ha a disposizione.

di Viviana Mazza

VIVIANA MAZZA Dal 2006 lavora per la Redazione Esteri del Corriere della Sera. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Egitto. È stata

inviata dal "Corriere" in diversi Paesi tra cui Stati Uniti, Siria, Iraq, Iran, Egitto, Israele e i territori palestinesi,

Pakistan, Afghanistan, Nigeria, Haiti. Nel 2010, ha vinto il Premio giornalistico Marco Luchetta dedicato ai

bambini vittime della guerra. Per Mondadori ha pubblicato tre libri pensati soprattutto per i ragazzi: “Storia

di Malala”, “Il bambino Nelson Mandela” e, con la scrittrice nigeriana Adaobi Tricia Nwaubani, "Ragazze

Rubate” sulle ragazze rapite da Boko Haram.

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IL GIORNALISTA ANDREA ROPA RACCONTA COME SI SCRIVE UN ARTICOLO DI

CRONACA/ATTUALITA’

La notizia giornalistica è un processo informativo che prende in considerazione l’universo degli avvenimenti. Quando un giornalista lavora a una notizia entra in contatto con qualcosa che si dilata e si restringe in rapporto ai tempi e ai luoghi, inglobando tutto: cronaca, politica, spettacolo, economia, sport. La relatività e la complessità della notizia chiamano in causa l’abilità tecnica del giornalista e la sua soggettività. Egli è infatti il principale addetto ai lavori nel processo di selezione e interpretazione di una notizia: seleziona il fatto, valuta la sua natura e l’importanza che ha per il pubblico e quindi decide quali notizie pubblicare, in quale parte del notiziario pubblicarle e quali non pubblicare. La scelta delle notizie viene effettuata sulla base di una serie di criteri valutativi che tengono in considerazione sia il tipo di medium (giornale cartaceo, giornale on line, radio, televisione) sul quale tale notizia sarà veicolata sia l’interesse dell’utilizzatore finale della notizia, ovvero il lettore. Questi criteri sono: 1. Novità: un avvenimento può diventare notizia quando è nuovo, ancora sconosciuto al pubblico. 2. Vicinanza: esprime la prossimità fisica o culturale di un evento al suo contesto di ricezione. Quanto più un fatto accade vicino ai lettori, tanto più è probabile che interessi loro. 3. Comunicabilità: quanto più un avvenimento è facile da comunicare tanto più è probabile che catturi l’interesse del pubblico. 4. Dimensione: per attribuire importanza a un fatto il giornalista deve valutare anche a quante persone riguarda. Questa valutazione si fonda sulla convinzione che l’interesse del pubblico cresca in base al numero dei soggetti coinvolti. 5. Drammaticità: una notizia può essere considerata tale quando suscita scalpore. Le cattive notizie esercitano in genere più attrazione delle buone. 6. Conflittualità: si tende a preferire una notizia che si presenta sottoforma di conflitto tra due schieramenti opposti, perché al lettore piace la conflittualità. 7. Conseguenze pratiche: il rapporto tra i media e i suoi fruitori si fonda su un’utilità. Ci sono infatti notizie che influenzano la vita delle persone da un punto di vista pratico, quelle di pubblica utilità o di pubblico servizio (che riguardano pensioni, scuola, sanità). Questo tipo di notizie attrae l’attenzione dei lettori. 8. Human interest: questo aspetto fa riferimento alla carica di umanità che una notizia riesce a trasmettere. Sono quindi preferite tutte quelle notizie che hanno come oggetto l’amore verso i bambini, l’amore verso gli animali, storie di solidarietà. 9. Idea di progresso: una notizia assume particolare importanza quando l’argomento di cui parla ha a che fare con il progresso scientifico, tecnologico, culturale, sociale. 10. Prestigio sociale: si fanno più leggere quelle notizie che vedono protagonisti personaggi d’élite. Secondo lo schema classico, le fonti giornalistiche si dividono in primarie, secondarie, dirette e indirette. Le fonti primarie sono quelle che garantiscono credibilità all’informazione o perché possiedono un’autorevolezza istituzionale o perché viene loro riconosciuta una competenza specifica: ministri, sindaci, magistrati, avvocati, docenti, sindacalisti, i verbali delle sedute parlamentari o di un consiglio di amministrazione, atti processuali, epistolari, carteggi ecc. Le fonti secondarie, invece, sono quelle la cui attendibilità è affidata alla stessa citazione giornalistica, nel senso che è il giornalista, dando loro voce, a legittimarle agli occhi del pubblico: il testimone oculare di un avvenimento, lo spettatore di una manifestazione, il vicino di casa. La differenza fra fonti primarie e secondarie, dunque, non riguarda l’importanza dell’informazione ma solo la credibilità della fonte.

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La differenziazione fra fonti dirette e indirette si informa invece alla modalità di raccolta, nel senso che si definiscono fonti dirette quelle che è compito del giornalista cercare, scoprire, rintracciare, conservare, mentre indirette sono quelle che si autopropongono, dal comunicato stampa all’agenzia di stampa. L’introduzione del giornalismo online e soprattutto l’avvento dei social media ha parzialmente scardinato questa impostazione, introducendo accanto alle fonti dirette e indirette le fonti ufficiali e, appunto i social media, che ormai costituiscono la principale fonte utilizzata dai giornalisti. La selezione e la verifica di queste ultime costituiscono una delle sfide insieme più affascinanti e pericolose del giornalismo presente e futuro. Il rapporto con le fonti è uno dei nodi più delicati della professione giornalistica. La libertà e l’indipendenza del giornalista sono possibili a condizione che egli acceda alle fonti delle notizie e che tali fonti non siano controllate o manipolate. Perciò è importante saperle padroneggiare. L’attendibilità di tutte le fonti, soprattutto secondarie, deve essere accertata ogni volta e l’esattezza delle loro informazioni deve essere verificata attraverso controlli con un’altra fonte o con altre fonti. La distinzione fra cronaca e commento, ovvero la separazione fra news e views, è considerata un cardine nel linguaggio giornalistico. Il risultato a cui tende la loro rigorosa separazione è l’obiettività della notizia, nel senso di imparzialità rispetto all’avvenimento oggetto della notizia. La struttura di un articolo viene esemplificata come una piramide invertita. In sostanza, un giornalista dispone gli elementi più rilevanti ed essenziali a partire dall’inizio dell’articolo; segue l’informazione di supporto in ordine decrescente di importanza. Suddividere l’articolo in paragrafi lo rende più facilmente leggibile e garantisce la sua coerenza-coesione-progressione interna e dunque la sua comprensibilità. Il paragrafo deve essere spezzato in frasi brevi, chiare e incisive. Per scrivere correttamente una notizia è necessario organizzarla secondo la regola aurea delle 5W, ovvero deve rispondere a cinque domande fondamentali: What? (Cosa?), Who? (Chi?), When? (Quando?), Why? (Perché?), Where? (Dove?). L’attacco giornalistico è l’inizio dell’articolo. Ha la funzione di guidare (non a caso, il termine inglese ‘lead’) il lettore alla comprensione dell’argomento, invitandolo alla lettura. Ma come si trova il lead giusto? Di solito un buon attacco non si improvvisa, richiede lavoro. Può essere impersonale o personale, può contenere dati, aneddoti, citazioni o questioni. Per evitare stereotipi e formule scontate è consigliabile attenersi strettamente al contenuto della notizia, senza cercare a tutti i costi la frase ad effetto. Si possono distinguere quattro grandi categorie di lead: 1) Enunciativo: riassume in sintesi i fatti avvenuti, rifacendosi alla classica regola delle 5 W, senza coinvolgimento personale del giornalista; 2) Descrittivo: tra i più efficaci, se riesce a rappresentare una scena concreta e riproporre un’emozione che il giornalista ha vissuto sul posto. 3) Dichiarativo: il virgolettato di una fonte costituisce spesso un efficace modo di immissione del lettore nel cuore della notizia. 4) Interrogativo: tenta di trasformare un fatto di cronaca in un problema collettivo. Anche la chiusura di un articolo ha la sua importanza. Ad esempio è una buona idea concludere con una battuta o un dubbio. di Andrea Ropa

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ANDREA ROPA Nato a Bologna il 16 giugno 1967, giornalista professionista, ha collaborato agli inizi della carriera con RTL 102.5 come corrispondente dall’Emilia Romagna per poi intraprendere il suo percorso professionale all’interno del gruppo Poligrafici Editoriale (Qn e Il Resto del Carlino) attualmente è vice capo redattore all’ufficio centrale de Il Resto del Carlino. Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Bologna dove insegna comunicazione giornalistica presso la facoltà di Lettere e Beni Culturali.

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VADEMECUM: COME SI FA A SCRIVERE UN BUON ARTICOLO?

Nella scrittura di un articolo di giornale ci sono alcune regole immutabili, a prescindere dal genere cui ci si dedica - dalla cronaca nera al reportage di esteri, dall’intervista all’inchiesta, dall’editoriale alla recensione - e dal medium su cui il prodotto finale verrà pubblicato e diffuso (carta o digitale). Una premessa di fondo, che non cambia mai, è il ruolo di chi scrive, e che Sergio Lepri sintetizza così: "Nel giornalismo di informazione il giornalista non deve sentirsi protagonista; è un osservatore e un testimone; è un cronista"". In queste pagine cercheremo di condensare ed esemplificare una “griglia" di riferimento, che vi accompagnerà nel lavoro e nella stesura dell’elaborato finale nel progetto Ultima Ora. 1. Le fonti Nel momento in cui il caporedattore vi affida un pezzo (che si tratti di una notizia dell’ultimo minuto o di un approfondimento da sviluppare nel corso di svariati giorni di lavoro), una delle prime domande da porsi è: quali possono essere le fonti a cui rivolgersi per ottenere informazioni dirette, verificate, autorevoli? Innanzitutto, impariamo a distinguere da fonti primarie e secondarie. Le fonti primarie sono il pane di ogni giornalista, il cuore dell’attività dei media, l’oggetto dell’attenzione dei lettori. In breve: i fatti e i loro diretti protagonisti. Quello che accade, visto e narrato in prima persona. Ci sono, poi, le fonti secondarie o intermedie: per un giornalista, nella quasi totalità dei casi l’evento viene trasmesso da un’agenzia di informazione (Ansa, Reuters, AP, eccetera) tramite le sue migliaia di corrispondenti sul territorio, oppure da un ufficio stampa, da un portavoce, da un contatto al commissariato di polizia, eccetera. Sono, in sostanza, coloro che raccontano il fatto, selezionato e già in qualche modo codificato. Ma sono fonti secondarie anche gli altri giornali o media, i siti web, i blog, gli account di Twitter, Facebook Instagram. Nel ciclo di notizie 24/7, che non si ferma un istante e spesso ha l’urgenza di elaborare un’informazione senza poter recarsi di persona sul posto, queste fonti hanno assunto un’importanza sempre crescente. Attenzione, però, a non fidarsene in maniera cieca e a non sfruttarle in modo incontrollato. Il fact checking, la verifica dei fatti, è anche verifica delle fonti: gli account social e i siti web vanno sottoposti ad accurati controlli per testarne autenticità e validità. Seguite, se possibile, un corso base di fact checking. Nell’incertezza, non basatevi mai su notizie e spunti provenienti da account che non siano certificati e ufficiali. Rischiate solo di fare da grancassa all’ennesima bufala virale. 2. I dati Sono il fondamento di ogni articolo e notizia. Sono quello che distingue un fatto da un’opinione. Sono ciò che vi consente di suffragare o contestare una teoria, di spiegare in profondità le cause e le conseguenze di un evento o di un fenomeno, di smascherare una bufala o un pregiudizio, di sollevare un problema. Sono lo scudo che vi proteggerà da attacchi e contestazioni. Ma devono essere dati oggettivi, verificati, interpretati nella maniera corretta, provenienti da fonti autorevoli e delle quali si conosca l’agenda ed eventuali interessi specifici nel settore trattato. In caso di dubbio, è sempre meglio perdere un po’ di tempo in più e chiedere delucidazioni in merito, sia all’ente che ha fornito i dati, sia ad esperti indipendenti che possano o meno convalidare i dati e le analisi con un commento o un’integrazione. Un esempio interessante, in questo senso, ci arriva da uno scambio avvenuto tra Nando Sigona, ricercatore all’università di Birmingham specializzato in migrazioni, e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Il 13 ottobre 2016, un comunicato ufficiale di Frontex diffonde nuovi dati sul numero di migranti arrivati via mare e via terra in Europa nei primi 9 mesi del 2015. Secondo l’agenzia, il totale è di 710.000, “un flusso di persone senza precedenti” (il paragone più immediato sono i 282mila migranti entrati in

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Europa nel 2014). Questo dato, però, non collima con i numeri forniti da altre agenzie ed enti internazionali, come l’Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), che per lo stesso lasso di tempo forniscono numeri decisamente più bassi e tra loro omogenei: 590.425 per OIM e 588.247 per UNHCR. Questa discrepanza viene intercettata da Sigona, che interviene su Twitter chiedendo spiegazioni direttamente a Frontex. La quale è costretta ad ammettere che molti ingressi sono stati contati due volte, prima in Grecia e poi alla frontiera ungherese o croata. Come si diceva sopra, essere a conoscenza dell’agenda di chi rilascia dati e cifre è fondamentale per capirne gli obiettivi: come scrive l'Associazione Carta di Roma, nata proprio per garantire e tutelare una corretta informazione in materia di immigrazione, in questo ed altri contesti "l’agenzia fa seguire alla diffusione dei dati richieste di aumento di fondi e di risorse. Nell’ultima comunicazione sui dati dei primi 9 mesi del 2015 il direttore ha reclamato un numero maggiore di guardie di frontiera «sperando di ricevere adeguati contributi che mostrino il vero spirito di solidarietà europeo»”. Ecco perché, quindi, è sempre importante conoscere e riportare le fonti dei dati e delle statistiche che si citano, ed essere coscienti di eventuali motivazioni “nascoste" dietro alla raccolta ed elaborazione degli stessi. 3. Le 5W Le fonti, i dati, ma soprattutto le domande. Senza di loro, non è possibile raccontare nessuna storia. Perché soltanto ponendo (e ponendosi) le domande giuste è possibile andare oltre l’impressione immediata, scavare nel contesto, fornire a chi ci legge le informazioni necessarie per capire l’accaduto in tutti i suoi aspetti e le sue sfaccettature. Le domande di base son quelle che, nel giornalismo “classico”, sono sempre state riassunte in una formula facile da ricordare: quella delle 5W anglosassoni. Who? Chi è il protagonista della vicenda? Chi sono le vittime, chi sono i responsabili o i sospettati, chi è intervenuto? Chi è coinvolto nella storia? Spesso, per raccontare un avvenimento, bisogna individuare (e descrivere) molteplici protagonisti, che giocano ruoli diversi entrando a volte in aperta contraddizione. È fondamentale saper riferire questa molteplicità di voci, in maniera per quanto possibile esaustiva e oggettiva. Se non si è in grado di riportare un quadro esauriente - perché non è stato possibile, nel tempo a disposizione, individuare tutti i protagonisti, o perché le informazioni sono frammentarie o non verificate - bisogna informarne chi ci legge, senza vergognarcene. Il tempo è limitato, e non serve fingere di essere onnipotenti. What? La domanda più semplice e diretta: cosa è successo? Di che cosa stiamo parlando? Significa, in realtà, molto più di questo, perché non tutti gli eventi sono chiaramente decifrabili nell’immediato. Omicidio o morte per cause naturali? Disgrazia o premeditazione? A volte, anche nel dire “cosa" è accaduto è necessario usare formule prudenziali e dichiarare che i fatti non sono ancora chiari e si è in attesa di verifica. Where? Il dove, geograficamente parlando, significa anche il contesto in cui ci troviamo. Che a volte (anzi, sempre) necessita di essere spiegato. Mai dare per scontato che chi ci legge/ascolta sappia qualcosa della località o dell’area in cui sono accaduti gli avvenimenti che stiamo trattando. La regola fondamentale - che si applica a qualsiasi settore e aspetto della scrittura giornalistica - è piuttosto quella di immaginare che il nostro pubblico sia, per certi versi, un extraterrestre appena sbarcato sulla Terra. E che, in quanto tale, sia nostro compito fornirgli tutte le informazioni necessarie - nel modo più imparziale ed oggettivo possibile - per consentirgli di formarsi un’opinione sul contesto in cui si ritrova catapultato. When? La cronologia dello svolgimento di un fatto (o di un concatenarsi di eventi) è altrettanto centrale, per comprenderne cause ed effetti, della sua geolocalizzazione o della descrizione degli attori che ne fanno parte. La precisione sul datare e circoscrivere nel tempo l’accaduto è fondamentale. Anche in questo caso: se non abbiamo informazioni sufficienti,

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dobbiamo dichiararlo. Ci sarà sempre tempo, dopo, per un’integrazione. Ed è sempre meglio non essere costretti a pubblicare una rettifica, o una smentita. Why? È la domanda forse più difficile e complessa a cui rispondere, quella che tutti continuano a porsi quando ci si trova di fronte ad un evento inaspettato. Perché quella fantomatica nuova cura per il cancro non ha ottenuto l’approvazione degli organi ufficiali? Perché la struttura certificata come antisismica non ha resistito alle scosse? Perché le comunità locali si sono schierate contro la costruzione della centrale geotermica? Eccetera, eccetera, eccetera. Per rispondere a questa domanda, ovviamente, non basta riportare le opinioni e le posizioni di chi è coinvolto nella vicenda, ma è necessario ricorrere ad altre fonti, non coinvolte direttamente negli eventi: gli esperti, gli accademici, i centri di ricerca. Valutandone, anche qui, interessi e schieramenti. E senza mai fermarsi alla prima voce, dentro o fuori dal coro che sia. Troppe domande per un giornalista solo? Ricordate che su quello che scriverete, moltissimi altri si formeranno un’opinione. È una responsabilità enorme, di cui è bene non dimenticarsi mai, neanche per un istante. Ed implica il dovere di fornire un’informazione completa, accurata, obiettiva e fruibile per tutti. O almento, di fare del nostro meglio per avvicinarci quanto più possibile a questo ideale (e di dichiarare apertamente quando le circostanze ci limitano nello svolgimento del nostro lavoro). 4. Lo stile L’obiettivo del giornalista non dev’essere quello di piacersi mentre si rilegge quanto scritto, bensì di farsi capire da tutti coloro che leggeranno, a prescindere dalla cultura, dalla conoscenza delle lingue, dall’aggiornamento sui temi di attualità. Insomma, bisogna accompagnare per mano chi ci legge, senza ostentare, senza basarsi su sottintesi, senza dare nulla per scontato e fornendo tutti i riferimenti necessari per comprendere fino in fondo l’informazione che vogliamo trasmettere. Anche la lingua, in questo senso, è importante: usiamo un italiano corretto, senza infarcirlo di inglesismi (o latinismi, o altre lingue che non siano la nostra) e di termini tecnici se non quando strettamente necessario - e anche in questo caso, chiariamo sempre il concetto con un inciso, una parentesi, una spiegazione succinta in termini di uso comune. Tra due vocaboli che hanno lo stesso significato, scegliete il sinonimo più comprensibile. Tra una frase circonvoluta - anche se di grande effetto - ed una semplice, che va dritto al nocciolo della questione, optate per la seconda. Tra una serie di subordinate lunga tre righe ed un ragionamento spezzato in più coordinate, non dovrebbe esserci alcun dubbio su quale utilizzare. Quest’ultima regola vale ancora di più per i pezzi destinati all’online: leggere un periodo particolarmente esteso sullo schermo di un telefonino o di un tablet scoraggerebbe anche il lettore più motivato. 5. La struttura Le varie tipologie di articolo giornalistico rispondono ad esigenze diverse (dal comunicare i fatti al trasmettere un’opinione, dall’approfondire un argomento al recensire un film o un libro), ma anche in questo caso esistono alcuni aspetti condivisi. In primo luogo, l’attacco: evitare - qui più che altrove - frasi complesse e troppo lunghe. Allo stesso modo, evitare le frasi ad effetto, la retorica, gli stereotipi, le frasi fatte, le formule trite che non aggiungono niente all’informazione, e che rischiano solo di dare l’impressione di qualcuno che sta scrivendo tanto per riempire uno spazio bianco sul giornale (o sul sito web). Qualche esempio? Mai iniziare un pezzo con “È giallo”, “Choc/shock a…”, “È polemica”, “Fa discutere” (per un elenco divertente e provocatorio - alzi la mano chi non è mai cascato nella trappola di usarne una…- di formule precotte, potete consultare il blog in continuo aggiornamento “La lingua di plastica”, su ilpost.it). Lo stesso, ovviamente, vale per le frasi

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fatte inserite nel corso del pezzo, con l’aggravante che utilizzandole in attacco, rischiate di giocarvi da subito l’attenzione di chi legge. L’attacco di un pezzo di cronaca deve essere incisivo e informativo, dando subito “la notizia” nella sua essenza, incuriosendo il lettore ed invogliando a proseguire la lettura. Nei paragrafi successivi, la notizia verrà smontata, analizzata e raccontata sotto le varie angolature e con il ricorso alle fonti ed alle testimonianze necessarie. La struttura del pezzo dipende in gran parte dalla tipologia della notizia stessa: si può seguire una scaletta strettamente cronologica oppure optare per una narrazione a ritroso, alternare le voci degli intervistati nello stesso paragrafo oppure dedicare ad ogni esperto un paragrafo a sé stante. La chiusura del pezzo è la parentesi che chiude il discorso, ed è speculare in questo senso all’attacco: si può quindi scegliere di riprendere o citare il concetto (o un’immagine) con cui si era aperto l’articolo, anche in antitesi. Nel caso di una notizia che preveda un seguito - un evento di tale portata che verrà coperto anche nelle giornate seguenti, o un caso di cronaca nera di cui si seguiranno gli sviluppi - si può ipotizzare per un finale “aperto”, che invogli il lettore a tornare sulla home page del quotidiano o ad andare in edicola l’indomani. Nel caso del reportage o dell’approfondimento, quello che ci viene chiesto (e quello che ci si aspetta da noi) è qualcosa di diverso: raccontare non solo una notizia, ma un mondo. Un Paese, un luogo, una persona, una comunità. Non un evento, ma la complessità di eventi e informazioni che contribuiscono a creare queste realtà, piccole o grandi che siano. Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera, qualche tempo fa scrisse - proprio per la biblioteca de Il Quotidiano in Classe - che “di tutte le specialità giornalistiche, il reportage è quella con le regole meno scritte, la più eterea, e proprio per questo, forse, anche una delle più complicate, perché trovare la giusta miscela non è facile, e lo scivolone nel melodrammatico, nell’autoreferenziale, è sempre in agguato”. Imarisio riassume le “regole del reportage” in pochi punti essenziali: sapere le cose (informarsi e studiare tutto, dai libri ai siti di informazione locale), iniziare da un dettaglio per allargare sulla scena più ampia (“la piccola storia o la piccola cosa dalla quale bisogna sempre cominciare l’articolo”), recarsi sul posto e “far vedere che ci sei, che sei con gli altri. Che assorbi le loro emozioni e le trasmetti”. L’immagine che usa l’inviato del Corriere, per far capire come strutturare il reportage, è quella di due imbuti uniti per la base. “Dal becco dell’imbuto filtra la storia minima, il particolare che deve aguzzare l’attenzione. Ma poi, dopo, si può allargare, ci si può affidare a quelle informazioni che abbiamo accumulato studiando, leggendo carte, scarpinadno. Ci si può allargare e mentre ci avviamo nel mezzo del nostro racconto, là dove la base si fa più larga, possiamo passare dal particolare al quadro d’insieme…. Possiamo parlarne, magari sempre accompagnando facce e storie a cifre e dati tecnici. Abbiamo scavallato la parte centrale. Adesso la base, ovvero l’attenzione di chi legge, si restringe nuovamente, è ormai uno spiraglio. Torniamo a dove siamo partiti. Ci ricolleghiamo allo spunto di partenza, che magari abbiamo lasciato in sospeso. Lasciamo capire perché abbiamo scelto proprio quel dettaglio, quella storia minima. Dobbiamo far capire perché si tratta di una storia esemplare. Una parte per il tutto.” Vale per il reportage, ma è un approccio che si potrebbe applicare a tutto il giornalismo. E che ci fornisce delle utilissime (e concrete) linee guida per il lavoro che ci attende. di Gabriela Jacomella

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COS’E’ LA POST-VERITA’?

Nel 2016, il team degli Oxford Dictionaries ha scelto come parola dell’anno - quella più

adatta a riflettere e rappresentare i dodici mesi che si sono appena conclusi - un aggettivo:

post-truth, che in italiano si traduce con "post-verità". Non è un vocabolo nuovo, visto che

già una decina di anni fa veniva utilizzato in articoli accademici e titoli di libri. Quello che è

cambiato, sostengono gli autori della scelta, è la frequenza con cui viene utilizzata, e che nel

corso del 2016 è aumentata di circa il 2.000% rispetto all’anno precedente. Un dato che

rafforza il ruolo giocato da questo aggettivo nel definire i tempi che stiamo vivendo.

Ma che cosa significa post-verità? Gli Oxford Dictionaries (in una mossa piuttosto inusuale,

sia la versione americana che quella inglese del dizionario - che solitamente optano per

“parole dell’anno” diverse - hanno condiviso senza esitazioni la stessa scelta) lo definiscono

come “qualcosa relativo a, o che denota, circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno

influenti nel’orientare l’opinione pubblica che non gli appelli all’emozione e le convinzioni

personali”.

Il prefisso “post" della post-verità non indica semplicemente “qualcosa che viene dopo”,

come accade solitamente in inglese (post-war inteso come gli anni dopo la guerra; post-

match, quello che accade dopo la partita). In questo caso, il significato assunto si avvicina al

concetto di “qualcosa che appartiene a un tempo in cui i concetti specificati hanno perso

importanza e sono divenuti irrilevanti”. Qualcosa di analogo era accaduto, a metà del secolo

scorso, con neologismi come post-national (1945) e post-racial (11971).

Per quanto riguarda la post-verità, il termine viene registrato per la prima volta - dicono

sempre hli Oxford Dictionaries - nel 1992. È in quell’anno che Steve Tesich, sulla rivista The

Nation, scrive: «Noi, come popolo libero, abbiamo liberamente deciso che vogliamo vivere

in una sorta di mondo post-verità”. L’argomento è la prima guerra del Golfo, lo stesso ambito

in cui lo stesso termine ricomparirà in Italia, nel 2013 (questa volta, ad attestarlo è

l’Accademia della Crusca), in un articolo a firma di Barbara Spinelli su La Repubblica.

Nel 2016, il concetto di post-verità è emerso con forza in momenti specifici, dal referendum

inglese sull’uscita dall’Unione Europea (la “Brexit”) alla campagna per le presidenziali negli

Stati Uniti. L’aggettivo è stato spesso utilizzato nel contesto di un’espressione precisa: la

"politica della post verità”. Quello che era un termine poco utilizzato e misconosciuto è

diventato all'improvviso un ospite frequente dei dibattiti politici, comparendo sui media

mainstream senza che si sentisse più il bisogno di chiarirlo o di spiegarne la definizione.

La propaganda è da sempre intessuta di notizie false e richiami all’emotività e al credo

individuale, che finiscono per prendere il posto dei dati oggettivi. Ad essere cambiate, oggi,

sono la velocità e le dimensioni assunte dal fenomeno stesso. La Rete consente la diffusione

in tempo reale (con modalità non a caso definite “virali”) di fake news, disinformazione,

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bufale e propaganda. I media si trovano dunque a combattere su un fronte fluido e sfuggente,

in cui i fatti rischiano di essere travolti dalle opinioni, i dati concreti dalle voci incontrollate,

le notizie verificate dalle menzogne. La responsabilità di tutti coloro che lavorano nel mondo

dell’informazione ne risulta così amplificata. Essere giornalisti, oggi, significa rispettare in

maniera ancora più rigorosa ed efficace i principi dell’accuratezza, dell’autorevolezza, della

trasparenza, del rispetto della dignità delle persone e - soprattutto - della verità sostanziale

dei fatti.

di Gabriela Jacomella

GABRIELA JACOMELLA E’ giornalista D di Repubblica, Donna Moderna, Corriere della Sera e presidente dell'associazione Factcheckers

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L’ibridazione del giornalismo

di Carlo Sorrentino

Il giornalismo, così come tutto il mondo della comunicazione, sta cambiando a una velocità

davvero straordinaria. Sempre più frequentemente attribuiamo, giustamente, tali

cambiamenti alla rivoluzione digitale; ma insieme a essa va considerato un più vasto

cambiamento culturale che coinvolge ognuno di noi in un numero maggiore di relazioni

sociali e, quindi, ci obbliga ad acquisire informazioni nei più diversi ambiti tematici. Un solo

esempio, fra i tanti possibili: fino a qualche anno fa le informazioni dall’estero erano relegate

in poche pagine o in fondo ai notiziari televisivi e interessavano un numero ristretto di

persone. Ora dalle politiche europee alla destabilizzazione di molte zone del continente

africano, dai fenomeni migratori alle guerre di religione siamo sempre più consapevoli di

come ciò che accade fisicamente lontano da noi può coinvolgerci a livello economico, politico

e culturale. E quindi le seguiamo molto di più.

Il mondo si è ristretto e le nostre competenze informative devono, al contrario, allargarsi.

Insomma, dobbiamo sapere un maggior numero di cose, ma in minor tempo. Si va

allargando lo spazio informativo e contraendo la permanenza delle singole notizie a nostra

disposizione, rapidamente sostituite da nuove, più recenti e urgenti.

Questa compressione spazio-temporale rende obsoleta una distinzione che a lungo ha

caratterizzato la riflessione sui media giornalistici: la radio dà la notizia, la tv la mostra e la

carta stampata la spiega. Benché ciascun media continui a mantenere le sue peculiarità,

ormai la separatezza dei compiti si sta attenuando. Infatti, si parla di ibridazione del sistema

dei media. Anche in questo caso un esempio può chiarire meglio. Prima ciascun medium

scandiva una fase ben precisa della nostra giornata: l’ascolto della radio di prima mattina o

nei momenti in cui ci spostavamo (ad esempio l’ascolto in auto), il quotidiano nei momenti

di pausa dalle altre attività, la TV prevalentemente la sera a cena o dopo cena. In altri

termini, adattavamo i singoli media ai ritmi della nostra giornata.

Adesso, invece, l’informazione fa da colonna sonora permanente della nostra giornata. Il

primo gesto quotidiano che compiono sempre più persone è accendere lo smartphone e

andare sui social oppure sulle App, dove arrivano a getto continuo informazioni, sia quelle

private di parenti e amici, ma soprattutto le news che abbiamo deciso di ricevere, sulla base

dei nostri interessi e delle nostre propensioni. L’ultimo, prima di andare a letto, è spegnerlo,

dopo aver buttato l’ennesima occhiata sulle news dell’ultima ora. Come si dice, con termine

ormai abusato, siamo sempre connessi.

La conseguenza di questa continua esposizione è che ciascuno di noi compie in parte quel

lavoro prima affidato ai giornalisti: selezionare le informazioni. Se leggo un quotidiano o

guardo un TG mi fido della selezione realizzata da quei professionisti. Spesso, si decide

d’acquistare un determinato giornale oppure di seguire l’informazione televisiva e

radiofonica di un emittente proprio perché ci si fida delle modalità con cui queste testate

selezionano e gerarchizzano le notizie. Ora questo lavoro deve essere compiuto da ciascuno

di noi: quando siamo raggiunti da una news, casomai attraverso i social - che stanno

diventando le porte d’accesso alle informazioni per un numero sempre maggiore di individui

soprattutto nelle fasce d’età più giovani - dobbiamo stabilire quanto c’interessa, attraverso

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quali canali acquisire ulteriori informazioni in merito, se andare alla fonte della notizia -

che può essere un’istituzione politica, un’azienda, un sindacato e così via - oppure

approfondirla tramite alcune testate di riferimento, sapendo che l’offerta a nostra

disposizione è straordinariamente cresciuta, perché possiamo accedere a produzioni da

tutto il mondo, specialmente se conosciamo anche soltanto decentemente l’inglese.

Insomma, si apre un panorama sterminato che richiede l’acquisizione di una competenza

nel gestire questi mezzi superiore rispetto al passato.

Per questo motivo ogni programma di educazione ai media, come il progetto ULTIMA ORA,

realizzato da Osservatorio Permanente Giovani-Editori e SKY Academy, diventa sempre più

urgente e necessario.

Conoscere le logiche dei media non può essere più soltanto un’esigenza dei professionisti.

Riguarda tutti, docenti e studenti a maggior ragione, proprio perché ognuno di noi è

chiamato a muoversi continuamente in questo campo. Dobbiamo valutare fra mille fonti,

riconoscerne l’affidabilità e la reputazione, scartare o relativizzare le informazioni

interessate o false di tanti che attraverso le cosiddette fake news - notizie false - guadagnano

soldi o, comunque, vogliono destabilizzare determinati contesti sociali.

Ma comprendere le logiche dei media, acquisire competenze giornalistiche – anche se non

si aspira a fare questa professione – diventa fondamentale per svolgere bene, con

responsabilità e autonomia il proprio ruolo di cittadini.

Fra le competenze d'apprendere vi è anche la conoscenza dei linguaggi adoperati dal

giornalismo. E’ evidente che un testo scritto è diverso da un video oppure da un’infografica.

Diventa necessario comprendere meglio i processi produttivi di ciascuno di questi prodotti;

anche, e soprattutto, perché ormai questi linguaggi si stanno ibridando. In rete vediamo

testate tradizionalmente a vocazione cartacea che sempre più producono immagini e video;

così come siti di testate televisive corredano i loro video con testi scritti, fotogallery, link che

rimandano a siti esterni, dove si possono scaricare corposi rapporti di ricerca oppure dati.

Insomma, il mondo dell’informazione giornalistica sta moltiplicando le forme produttive e

le modalità di distribuzione di tali prodotti; diventa indispensabile per ogni ricevente, per

ciascuno di noi entrare dentro questi prodotti variegati: studiarli, osservarli, compararli,

direi quasi smontarli e rimontarli, per capire attraverso il loro funzionamento come va il

mondo in cui viviamo. E già, perché è poi questo ciò che fa il giornalismo: raccontarci dove

siamo, cosa facciamo e quindi permetterci di capire un poco meglio chi siamo.

Guarda anche il video con i suggerimenti del professor Carlo Sorrentino

https://vimeo.com/204507317

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CARLO SORRENTINO

Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, fa parte del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Firenze. E' delegato del rettore per la comunicazione. Insegna alla Scuola di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" dell'Ateneo fiorentino Sociologia dei processi culturali - per i Corsi di laurea triennali - e Strategie della comunicazione giornalistica nel Corso di laurea magistrale in Strategie della comunicazione pubblica e politica.

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MATERIALI DIDATTICI

Scheda guida per la realizzazione di un report giornalistico (testo) e di un

servizio TG (video) su un tema di approfondimento

di Piero Cattaneo

Docente a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Piacenza e coordinatore didattico dei Licei dell’Istituto Sociale di Torino

Criteri di scelta e pericoli da evitare

La scelta di un tema/argomento su cui coinvolgere una classe per un approfondimento

presuppone da parte del docente la sensibilità di cogliere una “questione” che sappia

coinvolgere gli allievi e che abbia una rilevanza significativa nel processo di apprendimento,

facilitando e stimolando confronti tra di loro, dibattiti e discussioni anche con “terzi” (es.

docenti, esperti esterni, ecc.), ricerche per acquisire informazioni ulteriori e/o per verificare

i dati in possesso per verificarne la correttezza , la validità e l’affidabilità.

In questo momento storico molte sono le questioni su cui sarebbero opportuni

approfondimenti condotti in classe e documentati da testi scritti e/o video o affrontati con

la presenza in classe di esperti sui temi scelti o di testimoni diretti di eventi collegati alle

questioni che si stanno affrontando.

A titolo esemplificativo ne ricordiamo due: “Le periferie al centro del futuro” e

“Innovazione, solidarietà e comunicazione”.

I due temi proposti (come esempi, ma se ne potrebbero ovviamente fare altri) permettono

ai docenti e agli allievi di cogliere i criteri che stanno alla base di una qualsiasi scelta di un

approfondimento e soprattutto aiutano a non cadere in “trappole” correlate alle mode

culturali e/o di costume, o peggio al gossip o dare retta a “bufale” che spesso invadono i mass

media e i social network. Altro rischio da evitare è l’abitudine del ricorso a “stereotipi”

concettuali, linguistici e rappresentativi di idee ormai superate e non più rispondenti a

nuove posizioni valoriali, culturali, politico-sociali ed economiche.

Un genere letterario da consigliare per un approfondimento è il “racconto”. Ricorrere al

racconto di una storia, di una esperienza collegata ad una questione dibattuta, di rilevanza

personale e/o sociale è molto importante, perché, come scrive Maurizio Maggioni, scrittore

“Siamo storie, siamo le storie a cui apparteniamo, siamo le storie che abbiamo ascoltato.

Dare voce alle storie di vita. Questa è l’unica rivoluzione che posso fare. Io racconto perché

incontro. E ogni incontro modifica. Ma si può stare immobili davanti alle cose, agli eventi,

alle trasformazioni”.

Ora un approfondimento necessariamente si differenzia dalla cronaca e dall’ attualità; in

ogni caso l’approfondimento ha un riferimento preciso ad un “contenuto” (che cosa si vuol

approfondire? Perché si vuole approfondire? Qual è il valore aggiunto dell’approfondimento

rispetto al report giornalistico relativo ad un fatto di cronaca? Ma ovviamente …prende le

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distanze ( e non solo temporali dal fatto o dall’evento stesso) per poterne esaminare le

cause, gli effetti, i confini e le estensioni, le sfumature e ..gli aspetti meno immediati, le

conseguenze e le prospettive future, le proposte di ulteriori approfondimenti, ecc.

E soprattutto, un aspetto particolarmente importante, e la messa in luce fin dall’inizio del “

racconto” qual è il rapporto tra chi propone un approfondimento e l’esperienza personale di

chi lo racconta o illustra o presenta ai lettori (es. con un testo scritto – servizio giornalistico)

o lo narra o lo commenta con una filmato o una sequenza di immagini o una musica.

Ricerca delle fonti e delle informazioni

Verifica della veridicità e attendibilità

Nella preparazione di un servizio giornalistico o di un TG di approfondimento, la scelta e il

controllo delle fonti, dei dati e delle informazioni raccolti e che vengono utilizzati nel mettere

a punto l’approfondimento, assumono un rilievo e un significato molto importante.

Ogni servizio giornalistico o video richiede, al di là del racconto personale del giornalista in

merito alla questione che si sta affrontando, riferimenti culturali, storici, sociali, scientifici,

letterari utili all’approfondimento del tema o della questione affrontata e che in ogni caso

vanno sempre verificati.

Ed è proprio nella logica del “racconto” (sia su supporto cartaceo che tramite video) che il

giornalista esprima sue interpretazioni, formuli ipotesi, richiami l’attenzione su punti

essenziali, provochi o stimoli l’interesse e la curiosità del lettore e/o degli utenti del TG

perché, a loro volta, si formino le loro opinioni e ricerchino proprie ipotesi di soluzione o

traggano conseguenze per scelte personali future.

In riferimento alle questioni prese come esempio risulta significativo preparare un servizio

giornalistico (testo) su “Periferie al Centro”.

“Periferie” è la parola chiave per capire Papa Francesco. Ma lui non propone progetti, bensì

processi: andare, uscire, radicarsi in questi luoghi che sono il vero cuore della città.

Ed ecco allora la necessità per i ragazzi di una classe di “riflettere” sulle periferie delle loro

città.

Come sono? Chi vive nelle periferie? Come sono tenute. Nelle grandi città e nei piccoli centri.

Spesso, soprattutto nelle grandi metropoli (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Palermo,

Catania) “le periferie cambiano dal basso”: straordinari laboratori di buone pratiche e di

innovazioni sociali si incontrano non appena ci si inoltra nel vissuto della periferia: aule

scolastiche tenute aperte durante l’estate con laboratori per ragazzi e mamme (Scampia a

Napoli); teatro a Catania, i percussionisti che a Tamburi, quartiere di Taranto, dettano i

tempi di una possibile rinascita.

A Napoli, quartiere Bona, una squadra di calcio arruola ragazzi di tutte le etnie, rom

compresi . E dimostra di saper vincere.

E nella piccola Mantova, al quartiere Lunetta, si può andare a vedere cosa significa far

davvero intercultura.

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In pochi sanno “portare intorno” (che è il significato di periferia) gli sguardi, i pensieri e le

attenzioni verso i bordi. Inoltre la periferia è melange, commistione: in periferia si

sperimenta , in centro si conserva.

Uno stimolo particolarmente forte arriva dall’antropologo Arjun Appadurai che nella sua

riflessione “Dal Probabile al Possibile” (in “Vita” 9 settembre 2016) afferma:

“Nel cuore delle nostre città o al loro margini, nel pieno delle loro periferie e persino nelle

periferie delle periferie, dobbiamo essere mediatori, catalizzatori e promotori di un’etica

della probabilità. Dobbiamo favorire ciò che può accadere, non attendere passivamente

ciò che , grazie alla nostra inerzia, è provabile che accada.”

Accanto al “racconto” di quanto avviene già, un approfondimento cerca di rispondere anche

ad altre domande. E allora quale migliore opportunità di raccogliere domande nelle classe,

nella scuola, nel quartiere, nella circoscrizione della propria città per migliorare le periferie,

per migliorare le nostre città, per migliorare non solo le periferie…..urbane, ma anche e

soprattutto, come dice Papa Bergoglio, le periferie …esistenziali.

Indicazioni operative per la redazione del Report Giornalistico (Servizio

Giornalistico di approfondimento)

Un report giornalistico di approfondimento non può essere un testo lungo: la brevità del

testo è un requisito fondamentale per la coerenza con il taglio e i tempi di lettura del testo.

Quindi in sintesi gli elementi caratterizzanti sono sicuramente:

- un titolo efficace che in poche parole faccia cogliere al lettore quale argomento o questione si vuole approfondire. Il titolo può essere formulato anche con una domanda oppure può avere un sottotitolo che puntualizzi o focalizzi meglio la questione. Esempio: ricorrendo all’esempio precedente delle “Periferie”, alcuni tutoli potrebbero essere:

Le periferie al centro del futuro Pensare oltre gli stereotipi La periferia cambia dal basso Al lavoro per “fare luoghi” Partire dalle periferie per “ricominciare” la storia di una città?

margini del problema e guardarlo da fuori. Mettersi cioè alla periferia delle cose. Sul

limitare, infatti, si è meno coinvolti, si tiene una via di fuga aperta, si mette una distanza

tra noi e le cose centrali” (Periferia, Guido Bosticco)

- uno stile accattivante: in ogni caso, per ciascun approfondimento, è sempre

importante avere il coraggio di “buttare il cuore” oltre l’ostacolo e cercare di capire come

l’ “altro” o l’ “altrove” possano di fatto aprire nuovi orizzonti.

- la focalizzazione sui punti che si ritengono essenziali e di maggior appeal per il lettore e/o per chi vede il TG.

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In questo caso, potrebbero risultare particolarmente interessanti le “narrazioni” brevi di “esperienze” come sono vissute le periferie dai ragazzi, dai genitori, e registrare i loro racconti. Con un video si potrebbero filmare e raccogliere le “esperienze” più ricche di novità, più creative, più frequentate dai ragazzi. Le periferie possono essere urbane e umane e le due possono coincidere o no. Per esempio le periferie umane sono gli anziani nella città. Ovunque siano collocati urbanisticamente, essi sono “periferici”. Poi ci sono le generazioni periferiche, i gruppi periferici……la nostra società crea continuamente periferie umane perché è una società dell’utile, è una società che con internet ognuno si collega a migliaia di chilometri di distanza, ma evita la realtà della prossimità.

- l’efficacia della comunicazione è garantita nel caso del report di approfondimento dall’uso di parole chiave, da brevi sintesi o sommari all’inizio di ogni paragrafo del testo, oppure affiancando il testo da colonne di sintesi in cui raccogliere gli elementi essenziali riferite a eventuali interlocutori e/o esperti di riferimento oppure da brevi schede di sintesi per chiarimenti lessicali e concettuali.

- è buona norma mantenere sempre separata l’interpretazione del dato obiettivo di riferimento. In ogni approfondimento è comunque importante riportare le idee, le convinzioni, le osservazioni e le riflessioni di “esperti” diversi dal giornalista che redige il testo dell’approfondimento.

Nel caso del TG: www.skyacademy.it/factory/ultima-ora.html

Nel caso del REPORT SCRITTO non guastano le foto o eventuali schemi o grafici che possano richiamare l’attenzione del lettore sugli elementi essenziali della questione esaminata.

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Scheda guida per la realizzazione di un report giornalistico (testo) e di un

servizio TG (video) su un fatto di cronaca/attualità

di Gianluigi Sommariva

Scrittore per ragazzi

Criteri di scelta e pericoli da evitare

La scelta del fatto di cronaca-attualità dovrebbe rispondere ad un bisogno reale della classe,

legato al vissuto scolastico o extra scolastico dei ragazzi, qualcosa, ad esempio, che ha

suscitato spontaneamente i loro commenti. Qualunque sia il suo contenuto, positivo o

negativo, drammatico o leggero, sorprendente o prevedibile, l’importante è che venga

analizzato, nel report/ servizio TG, come un ‘documento umano’, per usare una categoria

letteraria cara ai naturalisti francesi. Questi, come è noto, volevano trasformare lo scrittore

in una sorta di ‘scienziato sociale’, capace con i suoi romanzi di studiare scientificamente la

complessa realtà umana. E’ ovvio che i limiti spazio-temporali di un report giornalistico o di

un servizio TG non sono quelli di un romanzo e non consentono di spingersi troppo in

profondità; ciò non toglie che si possano cogliere ugualmente aspetti importanti della realtà

rappresentata, specie nei suoi risvolti umani. Il vecchio detto giornalistico “ non fa notizia il

cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane” va interpretato anche nel senso che il

soggetto giornalistico più interessante è sempre l’uomo, attraverso cui tutta la realtà è

filtrata. Il giornalismo, cartaceo o televisivo, è nemico della retorica, sicché un pericolo da

evitare nella preparazione dell’elaborato sarà quello di voler costruire a tutti i costi un testo

o un video magari anche pregevoli sotto il profilo ‘estetico’, ma di scarsa efficacia

informativa. Questo non significa giustificare la sciatteria formale, bensì privilegiare la

trasmissione di notizie, vera essenza della comunicazione giornalistica. Per comprendere

come i due aspetti (formali e contenutistici) possono e debbano convivere, sarà utile la

lettura di qualche celebre cronaca o servizio TG.

Ricerca delle fonti e delle informazioni: loro verifica

Nella necessaria divisione di compiti all’interno della classe in vista della preparazione del

report e del servizio TG, un momento fondamentale è costituito certamente dalla ricerca

delle fonti, dalla raccolta delle informazioni e dalla verifica della loro attendibilità.

Purtroppo in questi anni si è fatto strada un modo errato di fare giornalismo, che ha prodotto

un’informazione da ‘desk’, vale a dire costruita a tavolino, a volte lontana dalla ‘realtà

effettuale’, direbbe Machiavelli. Da qui derivano a volte superficialità informativa,

approssimazioni, esagerazioni, omissioni, smentite e contro- smentite e perfino la

trasmissione di notizie false e tendenziose. Essere certi della verità di quanto si comunica è

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forse il primo compito deontologico di un giornalista degno di questo nome. Se un modo di

procedere ‘per sentito dire’ può risultare ‘comodo’ per il giornalista pigro, non rende certo

un buon servizio alla ricerca della verità. Perciò è bene che i ragazzi si procurino fonti e

informazioni di prima mano, magari andando personalmente a verificarne l’attendibilità.

Oggi, si ripete spesso, la ‘merce’ più pregiata è diventata proprio l’informazione: purché sia

di qualità, però. Il lavoro per il progetto ULTIMA ORA può essere, dunque, anche l’occasione

per riflettere sulla grande quantità di ‘spazzatura informativa’ presente nella rete e sulla

necessità di adottare un atteggiamento di sana diffidenza prima di prendere per oro colato

le notizie. L’obiettività che si deve perseguire il più possibile nella redazione del report e

nella preparazione del servizio Tg comporta che ci si sforzi, seguendo una nota regola del

giornalismo anglosassone, di separare il più possibile i dati oggettivi dalle opinioni e che

non vengano sottaciuti eventuali punti controversi o problematici del fatto analizzato,

riportandone le varie versioni.

Lo ‘stile’ comunicativo

Fondamentale è poi l’adozione dello ‘stile’ di narrazione del fatto-notizia. In proposito, si

potrebbe leggere qualche pagina dei famosi “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, lo

scrittore francese divenuto celebre soprattutto per aver raccontato in novantanove modi

diversi un banale fatto di cronaca quotidiana, ambientato su un tram: verso mezzogiorno,

su un autobus affollato, un uomo si lamenta con chi lo spinge di continuo e, trovato un posto

libero, lo occupa; due ore dopo, l’io narrante lo rivede da un'altra parte con un amico, che gli

suggerisce di far mettere un bottone sulla sciancratura del soprabito. Riportiamo la prima

variante, intitolata “ Notazioni”, in cui Queneau descrive la situazione in modo tra diaristico

e telegrafico. Segue una versione “giornalistica” del fatto, la n°13, intitolata “Precisazioni”.

Notazioni

Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella

al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il

tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa

qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si

butta. Due ore piú tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con

un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in piú al soprabito». Gli fa vedere

dove (alla sciancratura) e perché.

Precisazioni

Alle 12,17 in un autobus della linea S lungo 10 metri, largo 3, alto 3,5, a 3600 metri dal suo

capolinea, carico di 48 persone, un individuo umano di sesso maschile, 27 anni, 3 mesi e 8

giorni, alto m 1,62 e pesante 65 chilogrammi, con un cappello (in capo) alto 17 centimetri, la

calotta circondata da un nastro di 35 centimetri, interpella un uomo di 48 anni meno tre

giorni, altezza 1,68, peso 77 chilogrammi, a mezzo parole 14 la cui enunciazione dura 5

secondi, facenti allusione a spostamenti involontari di quest’ultimo, su di un arco di

millimetri 15-20. Quindi il parlante si reca a sedere metri 2,10 più in là. Centodiciotto minuti

piú tardi lo stesso parlante si trovava a 10 metri dalla Gare Saint-Lazare, entrata banlieue, e

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passeggiava in lungo e in largo su di un tragitto di metri 30 con un amico di 28 anni, alto

1,70, 57 chilogrammi, che gli consigliava in 15 parole di spostare di centimetri 5 nella

direzione dello zenith un bottone d’osso di centimetri 3,5 di diametro.

Lo stile di “Precisazioni “ è sicuramente cronachistico, anche se l’autore, con tante

informazioni assurde e inessenziali, vuole ottenere effetti comico-stranianti. Si chieda agli

studenti di riscrivere il pezzo eliminando il superfluo e si otterrà un normale pezzo di

cronaca. Naturalmente nessun giornale lo pubblicherebbe, in quanto la banale quotidianità

del fatto non fa notizia, ma la forma è del tutto in sintonia con il linguaggio giornalistico.

Queneau, dunque, può insegnare che esistono molteplici modi di approcciarsi alla realtà e

ciascuno di esse la illumina di una luce particolare. La stessa disposizione, nella

presentazione della notizia, delle cinque famose W ( Who? (Chi?) What? (Che cosa?) When?

(Quando?) Where? (Dove?) Why? (Perché?) non è ininfluente sula percezione del fatto e va

quindi attentamente valutata in rapporto alle finalità comunicative. Il report/ servizio deve

avere infatti un suo ‘centro’, una sua ‘anima’, per così dire, che si esprime nei due differenti

linguaggi ( verbale e iconico). Se l’incipit del report/video si concentra sul ‘dove’, ciò significa

che a questo aspetto viene attribuita una importanza particolare; se l’ ‘attacco’ è sul ‘quando’,

ne risulta evidenziata la dimensione temporale, e così via. La stessa cura deve essere

riservata alla sintassi (nel caso del video, la ‘sintassi’ consisterà nella sceneggiatura-

montaggio) e al lessico, attraverso l’adozione di un linguaggio facilmente comprensibile.

Spesso infatti gli alunni, quando hanno chiari in mente i concetti, ritengono superflue

puntualizzazioni e ulteriori spiegazioni, dimenticando che, se per loro risultano evidenti,

non lo sono necessariamente per i destinatari. Così pure, termini o immagini non devono

avere, nella comunicazione giornalistica, un carattere meramente esornativo o pleonastico.

Le parole-imagini dei giornali e della Tv hanno un ‘costo di produzione’ e servono per

trasmettere il loro contenuto informativo, non per evidenziare una (presunta e discutibile)

‘bellezza estetica’ (anche a questo proposito la lettura di Queneau servirebbe molto a

individuare quei registri che nulla hanno da spartire con la lingua dei giornali). Niente,

insomma, può essere lasciato al caso nella disposizione delle parti del testo e del video.

Il rapporto testo/immagine/musica

Questi aspetti devono essere discussi all’interno della classe per adottare una strategia

condivisa di presentazione della notizia ed evitare che qualcuno, assumendosi ruoli di leader

che nessuno gli ha attribuito, finisca per imporre agli altri le sue scelte. Ugualmente

produttivo, anche sotto il profilo didattico, può essere presentare agli studenti di altre classi

versioni diverse del report/ video e, attraverso il loro feed-back, valutarne punti di forza e di

debolezza. In particolare, si potrà esaminare, a livello di contenuto informativo, il rapporto

detto-non detto, vale a dire l’esplicito e l’implicito. Come è noto, a volte il silenzio su un

particolare è più eloquente della sua stessa marcata presenza: l’importante, però, è che al

lettore siano fornite le coordinate essenziali per avere un’informazione corretta sul fatto. Da

valutare con molta attenzione, infine, il rapporto testo (parlato o scritto) e l’immagine

(statica come la fotografia o in movimento come quella televisiva). Nella preparazione degli

elaborati, occorre ovviamente fare in modo che i due linguaggi si integrino al fine di

potenziare l’impatto informativo. Il rischio è infatti che l’uno e l’altro finiscano per ‘oscurarsi’

a vicenda. Un caso del genere, ad esempio, potrebbe verificarsi scegliendo una sottofondo

musicale sbagliato o troppo ‘ingombrante’ per il video: la combinazione immagini- musica

finirebbe per collocare in secondo piano il valore informativo del testo.

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In generale, per il linguaggio iconico- televisivo e il suo rapporto con il pubblico, valgono

sempre le seguenti, acute osservazioni di Umberto Eco, che gli studenti dovrebbero

analizzare:

“E’ chiaro: è perfettamente inutile parlare dei bisonti preistorici di Altamira, lodandone la vivacità

impressionistica […], se non si ha ben chiaro il tipo di rapporto che si istituiva tra chi faceva queste

immagini, le immagini stesse e chi le vedeva, ammesso che, dipinte nei penetrali della caverna,

fossero destinate veramente a una visione. Sinché non si sono chiariti gli usi magici e rituali ai

quali queste pitture erano finalizzate, è inutile iniziare un discorso in termini di apprezzamento

estetico ( a meno di fare dei facili estetismi).

Così è per la televisione: di fronte a un “servizio” che coordina diverse forme di espressione, dal

giornalismo al teatro e alla pubblicità, per comprendere come il “servizio” ponga nuove condizioni

a ciascuno di questi “generi” trasposti in una nuova situazione, occorre capire a chi si rivolge la TV

e cosa lo spettatore fruisce veramente quando si trova davanti a uno schermo televisivo”. (Umberto

Eco, Apocalittici e integrati, Tascabili Bompiani, 1984, pp.328-329).

In sintesi, il fatto di cronaca/attualità oggetto del report e del video prodotti dai ragazzi esige

che i due linguaggi (verbale e iconico) convergano nell’essenzialità di discorso, nella ricerca

del massimo contenuto informativo, nell’attenzione al destinatario e alla situazione di

fruizione; elementi specifici della comunicazione televisiva sono invece la prevalenza di

immagini, la sapiente alternanza con il parlato (voce fuori campo, interviste, racconto del

giornalista,…), l’eventuale commento musicale.