La Geometria delle vigne
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Architettura e SocietàCorso di Laurea I liv. in Scienze dell Architettura
LA GEOMETRIA DELLE VIGNE
Bertoni Stefano 204686Relatore Prof. Arch. Darko Pandakovic
Anno accademico 2007/2008
POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Architettura e SocietàCorso di Laurea I liv. in Scienze dell Architettura
LA GEOMETRIA DELLE VIGNE
Bertoni Stefano 204686Relatore Prof. Arch. Darko Pandakovic
Anno accademico 2007/2008
LA GEOMETRIA DELLE VIGNE
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In copertina: Regina Conti, Vendemmia, olio su tela 1931.
Indice
Introduzione p. 7La vite disegna la storia del paesaggio p. 9
Egizi p. 15Ebrei p. 19Greci p. 23Romani ed Etruschi p. 29Medioevo ed epoca moderna p. 39
La geometria dei vignetiPreservare la memoria p. 47Le forme nei vigneti p.51Le forme nel territorio del Canton Ticino p. 71Tra Italia e Ticino p. 79Galfetti p. 91Riscoperta p. 97Snozzi p.103
Conclusioni p.115
Indice
Introduzione p. 7La vite disegna la storia del paesaggio p. 9
Egizi p. 15Ebrei p. 19Greci p. 23Romani ed Etruschi p. 29Medioevo ed epoca moderna p. 39
La geometria dei vignetiPreservare la memoria p. 47Le forme nei vigneti p.51Le forme nel territorio del Canton Ticino p. 71Tra Italia e Ticino p. 79Galfetti p. 91Riscoperta p. 97Snozzi p.103
Conclusioni p.115"
"
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Introduzione
“ L architettura abbraccia la considerazione di tutto l ambiente o che circonda la vita umana. Non possiamo sottrarci ad
essa, nche facciamo parte del consorzio civile, perché l architettura è l insieme delle che e delle alterazioni introdotte sulla e terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato solo il puro deserto.”
(W.Morris, the prospects of Architecture in civilization, 1947).
L uomo è attore in senso assoluto, domina la natura ed è in grado di subordinarla ad uno scopo. Secoli di progresso però ci hanno allontanato sempre più da essa. Nelle città il cemento soffoca ogni cosa e gli attori del teatro urbano perdono di vista le stupende e che il mondo naturale ci mette a disposizione, arrivando o a distruggerle nel tentativo di inseguire il progresso.
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“Solo dopo che l!ultimo albero sarà stato abbattuto. Solo dopo che
l!ultimo fiume sarà stato avvelenato. Solo dopo che l!ultimo pesce sarà
stato catturato. Soltanto allora scoprirai che il denaro non si mangia.”
(Profezia degli indiani Cree)
L!uomo, inconsciamente, sta cercando di uccidere se stesso, un
suicidio tecnologico. Quando la nostra corsa verso la
connessione, verso la comunicabilità, verso le cablature, verso
una raccolta di sapere sarà completa, ci accorgeremo che le
cose che inseguiamo sono scomparse; e che la colpa di questa
scomparsa è imputab i le esc lus ivamente a l nos t ro
comportamento.
La natura perdona, sapientemente avvolge ciò che l!uomo
costruisce, lo distrugge riportandolo alla terra; purifica l!aria che
l!uomo avvelena, soffia sulle nuvole acide che le fabbriche
rilasciano. Ma dove si trova il punto critico? fino a quando ci si
potrà comportare in questo modo? ma soprattutto, è giusto non
pensare alle generazioni che arriveranno, abituandole a
comportamenti insani che poi loro, legittimate dall!esempio
paterno, ripeteranno senza porsi domande?
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La vite disegna la storia del paesaggio.
"
Pangea è il nome che, nel Mesozoico, avevano tutte le terre
emerse e che formavano un!unica isola circondata dalle acque; si
tratta di un era lontana circa 200 milioni di anni da noi. Un
periodo non ancora adatto al diffondersi e allo svilupparsi della
vita. Successivamente l!unica entità delle terre emerse si separò
in una serie di placche, quelle che oggi noi consideriamo i
continenti.
Solo dopo questi assestamenti di ordine geologico nel periodo
Cretaceo, circa 140 milioni di anni fa, sulla terra comparve la vita,
nelle sue molteplici manifestazioni animali ed arboree e tra
quest!ultime comparvero anche le vitacee.
Il primo genere, Cissus, era diffuso in Nebraska, Cina, Portogallo,
Boemia, Croazia e Italia centrale come dimostrano i numerosi
reperti fossili ritrovati in queste zone.
Con l! era Cenozoica successiva le vitacee sparse dagli uccelli
diedero origine alle liane e ai rampicanti nei boschi di quasi tutti i
continenti. Va ricordata la vite fossile di Bolca (Verona) di circa
52 milioni di anni, datata secondo il metodo radiometrico.
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La vite disegna la storia del paesaggio.
"
Pangea è il nome che, nel Mesozoico, avevano tutte le terre
emerse e che formavano un!unica isola circondata dalle acque; si
tratta di un era lontana circa 200 milioni di anni da noi. Un
periodo non ancora adatto al diffondersi e allo svilupparsi della
vita. Successivamente l!unica entità delle terre emerse si separò
in una serie di placche, quelle che oggi noi consideriamo i
continenti.
Solo dopo questi assestamenti di ordine geologico nel periodo
Cretaceo, circa 140 milioni di anni fa, sulla terra comparve la vita,
nelle sue molteplici manifestazioni animali ed arboree e tra
quest!ultime comparvero anche le vitacee.
Il primo genere, Cissus, era diffuso in Nebraska, Cina, Portogallo,
Boemia, Croazia e Italia centrale come dimostrano i numerosi
reperti fossili ritrovati in queste zone.
Con l! era Cenozoica successiva le vitacee sparse dagli uccelli
diedero origine alle liane e ai rampicanti nei boschi di quasi tutti i
continenti. Va ricordata la vite fossile di Bolca (Verona) di circa
52 milioni di anni, datata secondo il metodo radiometrico.
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Sul monte Charmay ( Ardeché ) nel periodo Miocene si sono
ritrovati dei fossili di Vitis Praevinifera, una vite ancestrale che si
avvicina a quelle coltivate oggi.
L! homo habilis fa la sua comparsa sulla terra nel periodo
quaternario, all!inizio la sua condizione è quella di nomade
transumante, poi con lo sviluppo delle tecniche agricole, si
stabilizza e diviene un agricoltore sedentario. La coltivazione
della vite era nota a questi primi uomini, che ne apprezzavano i
frutti, malgrado non possedessero ancora la conoscenza delle
tecniche per ottenere vino. Si sono trovate tracce di prodotti
fermentati, ottenuti dalla linfa delle palme nelle regioni più
temperate e dalle conifere nei climi rigidi del nord.
Sono di questo periodo i fossili di Vitis Diluviana ritrovati in
Provenza e nel Montpellier che rappresentano un un ulteriore
passo evolutivo alla volta della Vitis Vinifera Silvestris.
Circa sei milioni di anni fa alcune glaciazioni resero il clima
terrestre ostile alla vita, causando la scomparsa di alcune specie
animali e arboree. All!ultima glaciazione, nota come Würm,
sopravvissero solamente quelle piante e animali che si trovavano
in rifugi temperati, come quello a nord del Mar Nero, protetto
dalle montagne a nord e mitigato dal clima temperato, derivante
dal mare, a sud.
In questa sacca climatica, la più grande tra quelle di cui si son
trovate tracce, alcune specie di vite trovarono riparo dalle
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glaciazioni e sopravvissero per poi diffondersi da lì in tutto il
continente.
Alle glaciazioni seguirono poi le inondazioni, di cui ci sono tracce
rilevate di innalzamento del livello del mare di circa 100, 150
metri rispetto alle medie precedenti.
Documenti relativi a queste inondazioni si trovano in tutte le
culture, dal Caucaso alla Mesopotamia, dalla Mongolia alla Cina
e dall!India all!Africa per arrivare perfino nelle Americhe.
Studiosi come S. Vavilov (1930) sostennero poi, con prove certe,
che il ceppo di diffusione primario della vite si trovava nei dintorni
del mar Caspio e che da li si diffuse rapidamente.
Mentre nel continente Europeo le popolazioni barbariche, più
rozze, si limitarono esclusivamente alla raccolta di uve da piante
rampicanti su alberi e rocce, in Oriente, popoli più raffinati e
coltivatori con maggiore esperienza, addomesticavano la Vitis
Silvestris fino a trasformarla nella Vitis Vinifera Sativa . Caucaso,
Turkestan e Asia Anteriore si distinsero per un allevamento
intensivo con alberelli bassi a potatura corta.
Dal rifugio Pontico si diffuse seguendo due percorsi principali. Il
primo va dalle zone caucasiche alla Mesopotamia poi da lì verso
L!Anatolia, la Siria, il Libano, poi alla volta di Giordania, Egitto,
Arabia, Persia, Iran per spostarsi verso l! Afganistan, l! India e poi
la Cina. Il secondo è quello che la porta dalla Transcaucasia e
Mesopotamia verso Turchia, Cipro, Grecia, Italia del sud,
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Corsica, Marsiglia, e da lì verso l!Europa centrale e la penisola
Iberica.
Nella foto schema di diffusione della Vitis Silvestris .
Sono stati numerosi i popoli del vino: Assiri, Babilonesi, Egizi,
Cartaginesi e Illiri. Di alcuni di questi sono pervenute tracce certe,
attraverso dipinti e manufatti che rappresentavano la coltivazione,
la vendemmia e la mescita di vino.
In Asia minore, come dimostrano numerose prove scritte,
venivano prodotti i migliori vini dell!antichità e da lì poi esportati e
commercializzati in tutto il resto del mondo allora conosciuto.
In Italia, sui colli Euganei e nei dintorni di Atestini ( oggi Este), si
sono trovate tracce di vigneti in una civiltà che ha dominato la
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zona dall!età dal ferro fino all!invasione Romana, per un periodo
di quasi 1000 anni.
Numerose sono le tracce della cultura vinicola nelle principali
civiltà antiche.
I popoli Caucasici costituivano i primi centri di allevamento e
produzione vinicola; presso Ereva, capitale del mondo Armeno,
sono stati rinvenuti vinaccioli di diversi millenni ( di Vitis Vinifera )
e a Tiflis addirittura, grappoli da cinque chilogrammi.
Le anfore, impeciate all!interno, sono diffuse in queste regioni;
questo tipo di recipiente era utilizzato per conservare il vino.
La Georgia rappresentava il centro viticolo più importante della
zona, dove si selezionavano le specie di vite, fino ad ottenere la
Vitis Vinifera Sativa resistente alle basse temperature tipiche del
continente. Caratteristiche erano anche le anfore georgiane di
terracotta, parzialmente interrate, utilizzate per la conservazione
della bevanda ottenuta dalla fermentazione dei grappoli.
Secondo alcune leggende indiane la vite avrebbe avuto origine
da Brahma, nella valle dell!Indo. Questa leggenda contribuisce a
collocare la pianta in questa regione, probabilmente importata dai
Fenici.
Nel territorio cinese si sono ritrovati fossili risalenti a circa 4000
anni avanti Cristo e un magnifico vaso di bronzo del 3200 a.C.
scoperto nei pressi di Lousham. La Cina fu un polo importante
per lo studio di varietà di viti resistenti ai parassiti e alle malattie.
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Nel fertile bacino mesopotamico, i Sumeri rappresentavano
probabilmente uno dei popoli più colti e antichi; presso questa
grande civiltà si sono ritrovati numerosi reperti. Già dal 3000 a.C.
si parla in questa cultura di vignaioli, e nell!epica epopea di
Gilgames ci sono le prime tracce scritte relative al vino, alla
vendemmia e alla coltivazione della vite.
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Nel fertile bacino mesopotamico, i Sumeri rappresentavano
probabilmente uno dei popoli più colti e antichi; presso questa
grande civiltà si sono ritrovati numerosi reperti. Già dal 3000 a.C.
si parla in questa cultura di vignaioli, e nell!epica epopea di
Gilgames ci sono le prime tracce scritte relative al vino, alla
vendemmia e alla coltivazione della vite.
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Egizi
Gli Egizi sono stati, probabilmente, una delle civiltà in cui la tecnica di allevamento della vite progredì con maggior intensità ed
. In questa evoluta cultura vi sono tracce della coltivazione della vite addirittura anteriori al 4000 a.C.. Le tecniche maggiormente utilizzate sono quelle a spalliera, a pergola o ad arco di cui si trovano tracce nei
i che da millenni adornano la tomba del faraone Phtan Hotep. Con la prima dinastia ( 2850 a.C. circa ) migliorano le tecniche di irrigazione, vennero costruiti canali per condurre l acqua delle piene alluvionali. Il fertile limo lasciato dal Nilo sul terreno, rendeva quest ultimo estremamente fertile e fecondo favorendo l agricoltura.
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Sono stati ritrovati manoscritti che descrivono la presenza di ben
cinque differenti varietà di vino che venivano utilizzate
nelle cerimonie funebri, probabilmente derivanti da varietà
differenti di viti, raccolte dall!esercito durante le campagne
militari.
Durante la IV dinastia, si descrivono dei vigneti a ceppo basso,
detti vigna “Ti” e nell!oasi di Elfaum, sul delta del Nilo sono
descritti dei terrazzamenti in pietra, costruiti per coltivare le viti.
Sotto la I e II dinastia gli esperti vignaioli raggiungono eccellenti
livelli di conoscenza riguardo la potatura, che vennero poi
trasmessi anche ad altre civiltà, come ad esempio quella greca.
Sono svariate le testimonianze di viticoltori egizi portati in Grecia
per accudire le viti, e trasmettere alle popolazioni autoctone le
tecniche da loro affinate.
Nella foto: geroglifici della tomba del faraone Phtan Hotep.
16
I viticoltori egizi devono la loro abilità, oltre alle fertili terre del
Nilo, anche alle brillanti tecniche di potatura; tali abilità furono
ispirate dall!osservazione. Notarono infatti che alcune piante
brucate dalle capre, libere di vagare per le vigne, crescevano forti
e rigogliose. Gli attenti agricoltori non si stupirono dell!insolita
forza delle piante mutilate e ne derivarono l!arte della potatura
che li rese celebri nel mondo antico.
Il sapere Egizio nel campo della viticoltura si diffuse poi
facilmente in tutte le civiltà limitrofe. A testimonianza di questa
diffusione, in Siria sono stati ritrovati documenti sul commercio
della vite risalenti al XV-XIV sec. a.C. che parlano di trattative
riguardanti il vino in un periodo vicino al II millennio a.C. ; vicino
Damasco, è stato ritrovato un tornio di circa 6000 anni
precedente alla nascita di Cristo. Strabone descrive viti dal ceppo
di quasi due metri sulle coste del Marocco.
Le viti coltivate nella penisola arabica erano per lo più tenute
basse , legate con canne o con foglie di palma. La potatura,
avveniva mediante attrezzi appositamente sviluppati per questa
funzione, probabilmente importati dall!Egitto. Successivamente in
Sicilia e Spagna costituirono dei filari di 2 metri per 1,4 e anche i
primi esempi di vite maritata al pino o all!olmo, ad una distanza di
circa sei, sette metri; quet!ultima tecnica, probabilmente, fu
copiata dalle abitudini etrusche, perché non erano diffusi alberi
ad alto fusto nel territorio arabo.
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I viticoltori egizi devono la loro abilità, oltre alle fertili terre del
Nilo, anche alle brillanti tecniche di potatura; tali abilità furono
ispirate dall!osservazione. Notarono infatti che alcune piante
brucate dalle capre, libere di vagare per le vigne, crescevano forti
e rigogliose. Gli attenti agricoltori non si stupirono dell!insolita
forza delle piante mutilate e ne derivarono l!arte della potatura
che li rese celebri nel mondo antico.
Il sapere Egizio nel campo della viticoltura si diffuse poi
facilmente in tutte le civiltà limitrofe. A testimonianza di questa
diffusione, in Siria sono stati ritrovati documenti sul commercio
della vite risalenti al XV-XIV sec. a.C. che parlano di trattative
riguardanti il vino in un periodo vicino al II millennio a.C. ; vicino
Damasco, è stato ritrovato un tornio di circa 6000 anni
precedente alla nascita di Cristo. Strabone descrive viti dal ceppo
di quasi due metri sulle coste del Marocco.
Le viti coltivate nella penisola arabica erano per lo più tenute
basse , legate con canne o con foglie di palma. La potatura,
avveniva mediante attrezzi appositamente sviluppati per questa
funzione, probabilmente importati dall!Egitto. Successivamente in
Sicilia e Spagna costituirono dei filari di 2 metri per 1,4 e anche i
primi esempi di vite maritata al pino o all!olmo, ad una distanza di
circa sei, sette metri; quet!ultima tecnica, probabilmente, fu
copiata dalle abitudini etrusche, perché non erano diffusi alberi
ad alto fusto nel territorio arabo.
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Ebrei
La vite e il vino nella Bibbia sono citati 650 volte. Questo indica l estrema importanza che rivestono questa pianta e i suoi frutti nella civiltà ebraica.Nel periodo della prima emigrazione alla volta della Caldea attraverso il ume Eufrate e il golfo Persico, il popolo Ebraico portò con se dei tralci di vite che piantò contribuendo alla diffusione della viticoltura. Tuttora due uomini che portano una pertica con appesi dei grappoli d uva sono uno dei simboli del popolo israelita, che ricorda gli esploratori di ritorno dalla terra promessa che portarono in Egitto grappoli enormi come testimonianza delle loro esplorazioni.Ancora nella Bibbia, nell Antico Testamento, si tramanda il
o di Melchi Zedek, che segna il passaggio dell offerta di carne e sangue a quella di pane e vino.
19Nella foto: uno dei simboli del popolo semita.
Era nota l!estrema produttività delle viti coltivate nelle terre di
Israele, presso il mar Morto, “le viti di Ein Gedi producono 4-5
volte all!anno” (Yalkut Shir Hash) e lo stesso Bartolomeo di
Saligniaco nel suo viaggio in terra santa descrive in maniera
estremamente accurata le tecniche per ottenere tre vendemmie
all!anno:
” I primi grappoli apparivano in marzo sui germogli uviferi
( principali ); su questi si asportava tutta la parte distale del
germoglio sopra i grappoli e dalle nuove cacciate ( femminelle di
1° ordine ) si aveva il secondo raccolto; tagliando Le femminelle,
sempre sopra i grappoli, si otteneva una terza vegetazione
( femminelle di 2° ordine ) con i grappoli del terzo raccolto. Le
vendemmie dei tre tipi di grappoli si realizzavano, rispettivamente
in agosto, settembre ed ottobre.”
Questa particolare tecnica, ancora oggi in uso nelle regioni dal
clima arido e secco, evidenzia l!estrema abilità dei viticoltori
Ebrei.
Il profeta Isaia nel capitolo 5 scrive dell!amore con cui viene
portata la vite e come questo amore altro non sia che l!amore di
Dio per i suoi uomini.
" " “Canterò per il mio diletto
" " il mio cantico d!amore per la sua vigna.
" " Il mio diletto possedeva una vigna
" " sopra un fertile colle.
" " Egli l!aveva vangata e sgomberata dai sassi
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Era nota l!estrema produttività delle viti coltivate nelle terre di
Israele, presso il mar Morto, “le viti di Ein Gedi producono 4-5
volte all!anno” (Yalkut Shir Hash) e lo stesso Bartolomeo di
Saligniaco nel suo viaggio in terra santa descrive in maniera
estremamente accurata le tecniche per ottenere tre vendemmie
all!anno:
” I primi grappoli apparivano in marzo sui germogli uviferi
( principali ); su questi si asportava tutta la parte distale del
germoglio sopra i grappoli e dalle nuove cacciate ( femminelle di
1° ordine ) si aveva il secondo raccolto; tagliando Le femminelle,
sempre sopra i grappoli, si otteneva una terza vegetazione
( femminelle di 2° ordine ) con i grappoli del terzo raccolto. Le
vendemmie dei tre tipi di grappoli si realizzavano, rispettivamente
in agosto, settembre ed ottobre.”
Questa particolare tecnica, ancora oggi in uso nelle regioni dal
clima arido e secco, evidenzia l!estrema abilità dei viticoltori
Ebrei.
Il profeta Isaia nel capitolo 5 scrive dell!amore con cui viene
portata la vite e come questo amore altro non sia che l!amore di
Dio per i suoi uomini.
" " “Canterò per il mio diletto
" " il mio cantico d!amore per la sua vigna.
" " Il mio diletto possedeva una vigna
" " sopra un fertile colle.
" " Egli l!aveva vangata e sgomberata dai sassi
20
" " e vi aveva piantato scelte viti;
" " vi aveva costruito in mezzo una torre
" " e scavato anche un tino.
" " Egli aspettò che producesse uva,
" " ma essa fece uva selvatica.
" " Or dunque, abitanti di Gerusalemme
" " e uomini di Giuda,
" " siate voi giudici fra me e la mia vigna.
" " Che devo fare ancora alla mia vigna
" " che io non abbia fatto?
" " Perché mentre attendevo che producesse uva,
" " essa ha fatto uva selvatica?
" " Ora voglio farvi conoscere
" " ciò che sto per fare alla mia vigna:
" " toglierò la sua siepe
" " e si trasformerà in pascolo;
" " demolirò il suo muro di cinta
" " e verrà calpestata.
" " La renderò un deserto,
" " non sarà ne potata ne vangata
" " e vi cresceranno rovi e pruni;
" " alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
" " Ebbene la vigna del Signore degli eserciti
" " è la casa di Israele;
" " gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita.
Isaia cap.5 v.1-7
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Greci
Il popolo greco è stato in grado di apprendere le tecniche viticole dalle numerose popolazioni con cui è venuto a contatto, per poi elaborarle. Fu probabilmente dalla Tracia e dai Balcani che arrivarono le piante di vite e le prime esperienze di allevamento, mentre il contatto con Egizi ed Ebrei portò a dei miglioramenti nelle tecniche di potatura e di selezione. Questi numerosi contatti p e r m i s e r o a i g r e c i d i e v o l v e r e n o t e v o l m e n t e s i a l e t e c n i c h e d i allevamento della vite sia di conservazione del vino ( a riprova di questo, nell Odissea, Nestore beve del vino invecchiato oltre 11 anni ). I coltivatori attici, come segno di profondo sapere e conoscenza
distinsero le varie specie di vite, quelle importate e più e da quelle silvestri che strisciavano abbondanti sulle
rocce di tutta la penisola.
23
Tuttavia i Greci non ottennero la migliore produzione vinicola
sulle aride terre mediterranee del Peloponneso, bensì su quelle
fertili della Magna Grecia. Oenotria, dal greco Oiv#$ipov ossia
palo da vite, è il nome che i Greci davano alla Sicilia e sta ad
indicare la diffusissima coltivazione della vite sull!isola.
I poemi Omerici sono ricchi di aneddoti utili per l!interpretazione e
la scoperta dei tipi di allevamento e sul modo di consumare i
prodotti della vite; l!attacco all!isola dei ciclopi vede Ulisse, a
bordo della nave, stimare le terre siciliane ottime per la
produzione di viti; ancora più tardi, nella caverna di Polifemo,
Ulisse offre del vino di Maronita o di Ismaros ( in Tracia ) per
inebriare il gigante e portare a termine il suo piano di fuga.
Nella foto: Polifemo che si ubriaca con il vino di Maronita.
Polifemo ne beve e lo compara con quello prodotto dalle sue
terre :”Poiché nulla piantano con le loro mani, né arano, tutto
cresce per loro senza semina ne aratura: e grano, e orzo e viti
24
che producono vino, dai grappoli grossi e la pioggia di Zeus li
rigonfia” ( Odissea, IX, 108-111. ).
E ancora Achille, sul suo scudo, porta incisi dei grappoli d!uva e i
suoi sostegni, come è descritto nel libro XVIII dell!Iliade.
I Greci attraverso le colonie, come quella fondata a Marsiglia,
contribuirono alla diffusione della vite sia presso i Liguri, sia
presso i Galli, questi ultimi abituati a bere solamente birra, sidro
oppure idromele.
Dai testi e dalle illustrazioni affrescate nelle residenze o dipinte
sui vasi, si sono dedotte le precise tecniche in uso per la
coltivazione della vite.
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che producono vino, dai grappoli grossi e la pioggia di Zeus li
rigonfia” ( Odissea, IX, 108-111. ).
E ancora Achille, sul suo scudo, porta incisi dei grappoli d!uva e i
suoi sostegni, come è descritto nel libro XVIII dell!Iliade.
I Greci attraverso le colonie, come quella fondata a Marsiglia,
contribuirono alla diffusione della vite sia presso i Liguri, sia
presso i Galli, questi ultimi abituati a bere solamente birra, sidro
oppure idromele.
Dai testi e dalle illustrazioni affrescate nelle residenze o dipinte
sui vasi, si sono dedotte le precise tecniche in uso per la
coltivazione della vite.
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(sistemi di conduzione della vite dall!alto al basso da sinistra a destra: 1 cordoni
concatenati.-2 sistema a gabbia.-3 vite a pergola tipo “vitis camarata”.-4 vite palificata a
gioghi semplici.-5 vite arcate.-6 pergola valdostana.-7 sistema piemontese molto simile
a quello latino.-8 pergola jugatio compluviata)
Queste tecniche prendono varie sfumature a seconda delle zone
e del clima, i vignaioli attici distinsero le viti: striscianti, ad
alberello e palificate trovando per ognuna un metodo unificato.
-Sistema strisciante: segue la naturale tendenza della vite che è
legnosa ma non arborea e quindi non sostenendosi da sola viene
lasciata libera di strisciare sul terreno. Tecnica utilizzata nelle
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zone caucasiche ( diffusa ancora oggi in Armenia ),
mesopotamiche, mediterranee ( Grecia, Libia, Palestina ecc. ),
africane, liguri e spagnole. Le viti striscianti sono le “humiles ac
sine radicis” di Varrone, “vites proiectae per hunum” di Columella
o le “sparsis per terram palmitibus et similes herbarum vagantur
per arva” di Plinio. Si tratta di una tecnica ideale per le zone aride
del Mediterraneo prive di pali o alberi ad alto fusto .
-Sistema ad alberello: Senofonte racconta che in Grecia oltre alle
viti striscianti erano diffuse le vigne a ceppo basso, allineato e
isolato con o senza sostegni. Le “vitis brachiate” crescevano con
un fusto di circa 45 centimetri suddiviso in quattro branche a vaso
con speroni normalmente da due gemme ma anche in alcuni casi
da quattro o cinque.
-Sistemi palificati: si tratta di viti con cordoni a raggiera legate a
paletti o canne. Diffuse soprattutto nei territori degli antichi Liguri ,
nel Piemonte, nel novarese e nell!Oltrepo Pavese. Poi evolutisi in
filari con le viti legate in due file esterne o a spalliera semplice,
con pali lignei che sostenevano i fusti in molti casi estremamente
lunghi e invecchiati.
-Le “vites canteriatae” , definite sublimi da Varrone, erano appese
ad un palo trasversale posto a circa 1,20-2,10 metri da terra .
-Le “vites jugatae” erano quelle allevate a pergola e ne esistono
di varie geometrie come ad esempio le “compluviate” che erano
erano essenzialmente delle pergole quadrangolari, sostenute da
quattro gioghi semplici.
27
I Greci quindi contribuirono alla diffusione della viticoltura più
moderna legata indissolubilmente al territorio, fondamentalmente
il tipo di coltura che anche oggi caratterizza i nostri prodotti. La
tecnica era semplice: viti ingentilite dalla selezione, piante ad
alberello per tenerle vicine al suolo e sfruttarne quindi il calore,
con pochi sostegni o addirittura senza. Un numero elevato di
ceppi ed una coltivazione di tipo intensivo furono in sostanza dei
grandi diffusori del vino.
“ Il vino riempie l!anima di coraggio. Dove cresce la vite ivi è
sorriso di cielo: ivi è sorriso di uomo”
" " " "
" " " " " " Platone(428-348 a.C.)
28
I ROMANI E GLI ETRUSCHI
I Greci mossero dal Peloponneso alla volta della Magna Grecia e
fondarono nel sud Italia numerose colonie, Siracusa, la prima,
circa nel 757 a.C. , Quasi in contemporanea, secondo la
leggenda, con la fondazione di Roma da parte Romolo e Remo
nel 753 a.C. .
La storia delle due città si sviluppò in parallelo, con reciproche
influenze per un paio di secoli; di queste fu soprattutto la coltura
della vite che risentì positivamente delle influenze derivanti dalle
due culture vinicole.
Il popolo romano, una delle più grandi civiltà del passato, era
troppo occupato a legiferare e a costruire le basi per una fervida
repubblica e quindi più che rivoluzionare le tecniche di
allevamento si concentrò sul regolamentare, attraverso leggi e
restrizioni, il commercio, l!importazione e la coltivazione del vino
e delle viti.
Questo controllo sulla produzione e diffusione del vino, era svolto
da funzionari statali; i censori, infatti, giravano per le campagne
vigilando che nessuno trascurasse o abbandonasse i vitigni. La
pena per chi era trovato colpevole di un simile reato era la perdita
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I ROMANI E GLI ETRUSCHI
I Greci mossero dal Peloponneso alla volta della Magna Grecia e
fondarono nel sud Italia numerose colonie, Siracusa, la prima,
circa nel 757 a.C. , Quasi in contemporanea, secondo la
leggenda, con la fondazione di Roma da parte Romolo e Remo
nel 753 a.C. .
La storia delle due città si sviluppò in parallelo, con reciproche
influenze per un paio di secoli; di queste fu soprattutto la coltura
della vite che risentì positivamente delle influenze derivanti dalle
due culture vinicole.
Il popolo romano, una delle più grandi civiltà del passato, era
troppo occupato a legiferare e a costruire le basi per una fervida
repubblica e quindi più che rivoluzionare le tecniche di
allevamento si concentrò sul regolamentare, attraverso leggi e
restrizioni, il commercio, l!importazione e la coltivazione del vino
e delle viti.
Questo controllo sulla produzione e diffusione del vino, era svolto
da funzionari statali; i censori, infatti, giravano per le campagne
vigilando che nessuno trascurasse o abbandonasse i vitigni. La
pena per chi era trovato colpevole di un simile reato era la perdita
29
del diritto di voto se era un plebeo, la perdita del cavallo qualora
fosse stato un cavaliere e la declassazione se membro elevato
della società.
Cesare, nume tutelare delle vigne, legiferò in modo arguto per la
loro tutela; aveva notato che un contadino è pronto a difendere
anche con la vita le sue vigne, mentre abbandona senza
combattere i campi coltivati a cereali o altre piantagioni minori.
La vigna lega l!uomo che la coltiva alla sua terra e Cesare da
buon condottiero sfrutta questo attaccamento convogliandolo in
un patriottismo che infondeva coraggio negli uomini e quindi nelle
temibili legioni romane che essi costituivano.
La qualità del vino è un altro punto fondamentale sul quale i
romani si soffermavano; Numa Pompilio, ad esempio, vieta l!uso
di vino proveniente da viti non potate durante i sacrifici religiosi,
perché di scarsa qualità, portando il Clero ad una ricerca di
qualità che trascinava di conseguenza tutta la produzione.
L!importazione, soprattutto dalla Grecia e dall!Egitto, fece
progressivamente diminuire la produzione italica fino a renderla
insufficiente; arrivarono a un punto tale che si videro costretti a
proibire il vino agli schiavi, alle donne e ai giovani al di sotto dei
ventuno anni di età. Catone, addirittura, dice “Se tu sorprendi tua
moglie a bere vino, uccidila”.
L!abilità militare e le numerose campagne belliche intraprese da
Roma, portarono le centurie in tutta Europa, e i soldati romani
con il loro seguito portarono sovente dei tralci e impiantarono
30
vitigni in molte località: Africa, Asia minore, Jugoslavia, Spagna, il
nord dell!attuale Portogallo e la Lusitania (dove i soldati Romani e
gli agricoltori Etruschi hanno portato le alberate nella zona dei
“Vinhos Verdes” e della Galiza spagnola, vitigni ancora oggi
esistenti).
Cicerone (106-43 a.C.) nel “ De republica” riporta il primo divieto
della storia relativo alla coltivazione dei vigneti, rivolto ai Vallesi
nel 50 d.C..
Con questa legge, concepita per valorizzare i vitigni italici, si
vieta ai cittadini non romani l!impianto di nuove vigne, anche se
poi gli aventi diritto lo cedevano per denaro, guadagnandosi
l!appellativo di “viticoltori di paglia”.
Questo genere di politica, però, in breve tempo portò ad un
risultato opposto, l!eccessiva produzione di vino. Così Domiziano
nel 92 d.C. si vide costretto al “ de exidendis vineis” un decreto
restrittivo che prevedeva l!estirpazione di metà dei vitigni delle
province e il divieto assoluto di nuovi impianti. Questo per
sopperire alle carenze di grano e per limitare l!appetibilità del
suolo romano agli occhi barbarici estremamente golosi di vino.
Questo editto immancabilmente portò a reazioni di sfida e
sdegno: i Greci fecero «rispondere la vite»: “ Quand!anche tu mi
divorassi sino alla radice, io produrrò sempre tanto da poter bere
abbondantemente sul cadavere di Cesare” ( Svetonio, I-II sec.
d.C.); L!Asia inviò una grande personalità di Smirne ad
31
vitigni in molte località: Africa, Asia minore, Jugoslavia, Spagna, il
nord dell!attuale Portogallo e la Lusitania (dove i soldati Romani e
gli agricoltori Etruschi hanno portato le alberate nella zona dei
“Vinhos Verdes” e della Galiza spagnola, vitigni ancora oggi
esistenti).
Cicerone (106-43 a.C.) nel “ De republica” riporta il primo divieto
della storia relativo alla coltivazione dei vigneti, rivolto ai Vallesi
nel 50 d.C..
Con questa legge, concepita per valorizzare i vitigni italici, si
vieta ai cittadini non romani l!impianto di nuove vigne, anche se
poi gli aventi diritto lo cedevano per denaro, guadagnandosi
l!appellativo di “viticoltori di paglia”.
Questo genere di politica, però, in breve tempo portò ad un
risultato opposto, l!eccessiva produzione di vino. Così Domiziano
nel 92 d.C. si vide costretto al “ de exidendis vineis” un decreto
restrittivo che prevedeva l!estirpazione di metà dei vitigni delle
province e il divieto assoluto di nuovi impianti. Questo per
sopperire alle carenze di grano e per limitare l!appetibilità del
suolo romano agli occhi barbarici estremamente golosi di vino.
Questo editto immancabilmente portò a reazioni di sfida e
sdegno: i Greci fecero «rispondere la vite»: “ Quand!anche tu mi
divorassi sino alla radice, io produrrò sempre tanto da poter bere
abbondantemente sul cadavere di Cesare” ( Svetonio, I-II sec.
d.C.); L!Asia inviò una grande personalità di Smirne ad
31
ambasciare l!indisposizione della provincia nei confronti
dell!editto.
Marco Aurelio Probo, nel 280 d.C., subendo le pressioni delle
province che raramente si sottomisero e rispettarono l!editto,
annullò la legge e ristabilì il diritto di impianto, guadagnandosi il
favore delle stesse. A Reims fu eretto addirittura un arco dedicato
a Probo, primo promotore della viticoltura liberista.
Così il commercio divenne talmente importante che a Roma
venne costruito un mercato di circa tre ettari e si costituì il
“Corpus Vinariorum”. Tutto questo rese il vino uno status symbol
e un grande prodotto di scambio commerciale.
Gli Etruschi, popolo dell!area compresa tra Lazio e Toscana,
vantano origini assai misteriose; numerosi autori della latinità
hanno descritto le origini di questo popolo secondo le loro
intuizioni, a volte supportate da coincidenze, mai del tutto chiare.
Erodoto, ad esempio, colloca le origini nell!Asia orientale; Dionigi
di Alicarnasso sostiene che siano autoctoni e questo può essere
in parte confermato dal tipo di tecnica utilizzata per allevare la
vite; Livio li colloca nel nord Europa; oggi sappiamo che i popoli
di origine araba si sono fusi con popolazioni autoctone circa nel
1000 a.C. ed è a questo periodo, l!era del ferro, che risalgono i
primi vigneti e le prime esperienze documentate di questo
popolo.
Nel IX e VIII sec. a.C. si diffondono i primi vigneti in questa zona,
la vite fu allevata seguendo il corso naturale, imitando la naturale
32
tendenza che la vite ha di appoggiarsi a dei sostegni vivi.
Nascono così le prime esperienze di vite maritata che sarà poi
tipica della coltura promiscua.
In numerosi poemi, Orazio cita la vite non potata e condotta
secondo le regole naturali tipiche dell!esperienza etrusca
“Avviamoci verso campi beati, verso campi e isole doviziose dove
la terra, senza essere arata, produce ogni anno le messi, e la
vigna senza essere potata, fiorisce di continuo” ; Catone poi
parlava di vitigni tenuti lontani dai terreni sabbiosi con pioppi
oppure olmi, tecniche assai differenti da quelle greche diffuse in
tutto il sud Italia.
La Lambrusca era allevata a lato delle colture, dove venivano
impiantati anche i salici che servivano a fornire i rami morbidi e
flessibili con cui venivano legati i vigneti. Questo genere di
espediente, dove più essenze dialogavano ai fini produttivi, era
tipica della coltura promiscua italiana, che disegnava un
paesaggio assolutamente unico che andò a definire le campagne
per i secoli successivi.
Osservando il lavoro degli Etruschi si capisce appieno
l!importanza della scelta del terreno dove vengono impiantati i
vitigni; le differenze dello stesso infatti determinano il tipo di uva
che la vite produce. Se strisciante, se maritata, se su terreni
rocciosi, se su terreni sabbiosi, se in collina o in pianura, la vite
assume caratteristiche assai differenti che daranno poi al vino
sapori decisi e diversi.
33
Varrone (167-27 a.C.) distingue varie tipologie di vite e di
allevamento. “Humiles, sine adminiculo” era quella senza
sostegni che si trovava in Africa e in Provenza, mentre la vite
“sublime” aveva sostegni. Quando la vite si sosteneva con il
proprio fusto veniva classificata come “solitaria” mentre ,se per
crescere si appoggiava ad un albero, veniva denominata
“arbustiva”, o “pergulana jugata” se legata a pertiche o pali;.
Le “maritate all!opulus” erano viti allevate a giogo, legate con
canne dette “tirelle” espediente tipico nella zona del milanese, o
coltivate con i trucchi toscani, ossia a festoni tirati tra alberi vivi.
Columella (I sec. d.C.) con il suo “De re rustica” approfondisce in
modo dettagliato il tema della coltivazione della vite in tutta la
latinità.
Il suo discorso descrittivo parte dalla distinzione tra “Arbustum
Gallicum” e “Arbustum italicum” . La varietà d!oltralpe, si deve
specificare, deriva da quella italica perché i Galli non
conoscevano la vite se non dopo i primi contatti con la nostra
penisola. Questo arbusto in Gallia era coltivato sempre seguendo
il modello etrusco. Il sistema sviluppato dagli Etruschi di
appoggiare le viti a sostegni vivi fu perfezionato molto da loro ma
probabilmente era una pratica già in uso sulle nostre terre.
Plinio e Columella si soffermano in modo puntuale sulla
differenza tre i due tipi di coltivazione: L!Arbustum Gallicum,
caratterizzato dall!elevata altezza di coltivazione e dal prevalente
utilizzo di aceri pioppi ed olmi; L!Arbustum italicum considerato
34
un allevamento basso con essenze arboree più basse su cui far
arrampicare le viti. Gli Etruschi influenzarono anche le zone del
Veneto con la loro tecnica tanto da suscitare in Erodiano, scrittore
del III sec d.C., la seguente descrizione:
“ Nelle campagne intorno ad Aquileia le viti sono disposte a
uguale distanza e sono accoppiate, tra loro formando un quadro
giulivo, tanto da sembrare quelle terre, adorne di corone
frondeggianti”
Lo stesso scrittore si sofferma anche sulla eccezionalità del vino
della valle Padana elogiandone la qualità.
La ricerca dei tutori vivi era assai complicata: si cercavano
essenze arboree che fossero in grado di sopportare i continui
tagli, ma nello stesso tempo che fossero resistenti e in grado di
portare le viti. L!Olmo, sebbene per alcuni troppo ombreggiante,
fu estremamente apprezzato per il fogliame di cui i bovini erano
golosi rivelandosi così la soluzione più consona a questo genere
di problemi. L!alberata romana non era mai superiore ai sei
metri , con la prima impalcatura a circa 2,5-3 metri dal terreno e
le successive a circa un metro di distanza; sulle sue branche
venivano condotti i tralci, singoli o plurimi, i cordoni pluriennali
che formavano i festoni e le tirelle che collegano gli alberi del
filare e di quelli attigui, dando forma così a una pergola o a una
capanna.
35
La cultura dei georgici latini e la viticoltura descritta nelle loro
opere erano sicuramente di influenza asiatico-mediterranea,
greca nello specifico; questi scrittori, provenienti dalle colonie
della Magna Grecia ma anche della Liguria, si soffermarono sulle
tecniche agricole ma non suggerivano una delle tecniche bensì si
limitarono a descriverle tutte quelle in uso nel vastissimo impero
romano.
I Greci influenzarono l!Italia anche sotto l!aspetto religioso; furono
loro infatti a condizionare il culto nella nostra penisola con il loro
Dioniso. Prima dell!influenza Greca, infatti, il vino era utilizzato
spesso nelle cerimonie religiose e nei sacrifici; fu solo dopo la
diffusione del culto dionisiaco che in Italia si cominciò a
consumare vino anche al di fuori delle cerimonie.
Per celebrare il dio greco Dioniso, chiamato Libero in Etruria e
Bacco a Roma, furono istituite numerose feste.
Roma per la scarsità di conoscenze tecniche non poté puntare
sulla qualità del prodotto dovendo così scelse la quantità; fu così
che nei secoli Roma, tramutata in impero, divenne la più grande
produttrice di vino, anche se di scarsa qualità.
Roma e i romani facevano confluire nella capitale per il consumo
e le esportazioni una quantità sorprendente di vino, per lo più si
trattava di vino novello con una bassa gradazione alcolica e una
tendenza repentina all!acidità, che lo rendeva un prodotto di
scarsa qualità e destinato ad un consumo rapido e di massa. Non
mancavano poi vini per le classi più facoltose: si trattava di vino
36
cotto e poi invecchiato per molti anni, spesso svariate decine;
questo processo rendeva il vino aspro e denso, e per questo
doveva essere diluito con acqua ( almeno il 50 % ) prima di poter
essere consumato. Un altro genere di vino era quello che
confluiva a Roma dalle province: un vino aromatizzato, di qualità
superiore, che spesso veniva mescolato con spezie, erbe
aromatiche, essenze lignee profumate, miele, mirra o addirittura
petali di rosa.
L!Impero raggiunse in breve una dimensione critica, la diffusione
dei latifondi diventò intollerabile, scomparvero i piccoli contadini e
la difficoltà di reperire schiavi da impiegare nelle lavorazioni più
specifiche mandò in crisi la produzione. La viticoltura che
necessitava di lavorazioni continue durante l!anno e di un lavoro
attento fu la prima a risentirne; manifestando questo malessere
con una rapida contrazione della produzione, ecco allora che
comparvero sul mercato prodotti surrogati del vino ottenuti
utilizzando altre specie vegetali.
Ci si trova dinanzi ad un cambiamento epocale, la fine di un
impero, il crollo di Roma e l!inizio di una nuova era: il Medioevo.
37
cotto e poi invecchiato per molti anni, spesso svariate decine;
questo processo rendeva il vino aspro e denso, e per questo
doveva essere diluito con acqua ( almeno il 50 % ) prima di poter
essere consumato. Un altro genere di vino era quello che
confluiva a Roma dalle province: un vino aromatizzato, di qualità
superiore, che spesso veniva mescolato con spezie, erbe
aromatiche, essenze lignee profumate, miele, mirra o addirittura
petali di rosa.
L!Impero raggiunse in breve una dimensione critica, la diffusione
dei latifondi diventò intollerabile, scomparvero i piccoli contadini e
la difficoltà di reperire schiavi da impiegare nelle lavorazioni più
specifiche mandò in crisi la produzione. La viticoltura che
necessitava di lavorazioni continue durante l!anno e di un lavoro
attento fu la prima a risentirne; manifestando questo malessere
con una rapida contrazione della produzione, ecco allora che
comparvero sul mercato prodotti surrogati del vino ottenuti
utilizzando altre specie vegetali.
Ci si trova dinanzi ad un cambiamento epocale, la fine di un
impero, il crollo di Roma e l!inizio di una nuova era: il Medioevo.
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DAL MEDIOEVO ALL!EPOCA MODERNA
All!inizio del Medioevo il vino iniziò a scarseggiare, diventando un
prodotto elitario. Il consumo di questa bevanda fu riservato solo
alle persone particolarmente abbienti.
La diminuzione della produzione dovuta alla scomparsa dei
grandi latifondi romani riportò il vino ad una dimensione più
curata. I contadini dell!alto Medioevo si resero conto che si
trattava di una tradizione che era giusto tramandare perché
estremamente antica e forse inconsciamente si resero anche
conto dell!enorme potenzialità di questo genere di coltura.
Il vino e la coltura della vite sopravissero anche grazie alla
sacralità che i vigneti rappresentavano; le vigne vennero protette
spostandole all!interno delle mura delle città, nelle clausure e nei
broli. L!editto di Rotari testimonia questo tentativo di protezione,
sia dagli uomini che dagli animali che potevano mettere in
pericolo le vendemmie.
La vite maritata scomparve; l!antica tecnica, utilizzata in Italia
probabilmente ancor prima della civiltà etrusca, venne
abbandonata e sostituita da allevamenti bassi ad alberello o a
pergola. Si tornò ad apprezzare il vino per le sue qualità, senza
39
DAL MEDIOEVO ALL!EPOCA MODERNA
All!inizio del Medioevo il vino iniziò a scarseggiare, diventando un
prodotto elitario. Il consumo di questa bevanda fu riservato solo
alle persone particolarmente abbienti.
La diminuzione della produzione dovuta alla scomparsa dei
grandi latifondi romani riportò il vino ad una dimensione più
curata. I contadini dell!alto Medioevo si resero conto che si
trattava di una tradizione che era giusto tramandare perché
estremamente antica e forse inconsciamente si resero anche
conto dell!enorme potenzialità di questo genere di coltura.
Il vino e la coltura della vite sopravissero anche grazie alla
sacralità che i vigneti rappresentavano; le vigne vennero protette
spostandole all!interno delle mura delle città, nelle clausure e nei
broli. L!editto di Rotari testimonia questo tentativo di protezione,
sia dagli uomini che dagli animali che potevano mettere in
pericolo le vendemmie.
La vite maritata scomparve; l!antica tecnica, utilizzata in Italia
probabilmente ancor prima della civiltà etrusca, venne
abbandonata e sostituita da allevamenti bassi ad alberello o a
pergola. Si tornò ad apprezzare il vino per le sue qualità, senza
39
contaminazioni per la sua pura essenza. Ecco quindi una spinta
verso la qualità, verso la ricerca di migliori esposizioni per le
vigne, verso una cura del terreno e anche verso la miglior
potatura possibile dei tralci.
Nel Mediterraneo tra il V e VI sec. si diffuse in maniera esplosiva
il Cristianesimo. Questa nuova religione, per imporre il suo
messaggio sovrannaturale, utilizzò tutta l!iconografia e le
tradizioni del bacino Mediterraneo. La vite quindi divenne subito
un simbolo divino.
“Io sono la vite vera e il Padre mio è l!agricoltore. Ogni tralcio che
in me non porta frutto, lo taglia, e quello che porta frutto lo pota,
affinché frutti di più... Io sono la vite, voi siete i tralci, chi rimane in
me ed io in lui, questi porta frutto; perché senza di me non potete
far nulla. Se uno non rimane in me, e gettato via come il
sarmento e si secca, poi viene raccolto e gettato nel fuoco a
bruciare”
(Nuovo Testamento, Vangelo secondo Giovanni 15,1-8)
Il Nuovo Testamento è ricco di citazioni e questa è sicuramente la
più significativa riguardo la potenza della simbologia che la vite
ha per questa nuova cultura.
Ma il punto fondamentale è durante il sacrificio del rito cristiano,
dove pane e vino divengono il simbolo del corpo e il sangue di
Cristo.
40
Se da un lato il Cristianesimo diventò un veicolo per la diffusione
della vite, dall!altro la religione musulmana fu veicolo di
distruzione per questa cultura. Le proibizioni che questa religione
impose sui suoi fedeli portò all!inevitabile oblio della cultura
vinicola in tutta la parte di influenza araba del Mediterraneo.
In tutto il Medioevo, I monaci, attenti cultori del sapere umano,
protessero e svilupparono nelle loro abbazie il vino, le viti e tutte
le tradizioni che lo riguardano. La regola dei monaci, infatti,
permetteva un consumo moderato e quindi ne giustificò la
produzione. I monasteri, inoltre, offrivano riparo per i viandanti e
per tutti coloro che ne chiedevano, i religiosi offrivano vino come
segno della loro ospitalità.
Il vino divenne poi, anche per i laici, una forma di guadagno
importante. Nel Medioevo era una delle poche bevande salubri,
perché l!acqua tratta da pozzi spesso fangosi e insani era guasta
e imbevibile. Il vino quindi fu l!unico modo per evadere dal
grigiore della condizione di vita per le classi meno ricche.
Nel basso Medioevo la vite si diffuse e questo portò ad un
conseguente aumento delle coltivazioni. La testimonianza più
diretta di questa diffusione è rappresentata dai numerosi statuti
medievali e le leggi che regolamentano la protezione, la
diffusione, l!importazione ma soprattutto che stabiliscono una
data precisa per la vendemmia, questo per non avvantaggiare
nessuno sulla produzione e commercializzazione del vino
41
Se da un lato il Cristianesimo diventò un veicolo per la diffusione
della vite, dall!altro la religione musulmana fu veicolo di
distruzione per questa cultura. Le proibizioni che questa religione
impose sui suoi fedeli portò all!inevitabile oblio della cultura
vinicola in tutta la parte di influenza araba del Mediterraneo.
In tutto il Medioevo, I monaci, attenti cultori del sapere umano,
protessero e svilupparono nelle loro abbazie il vino, le viti e tutte
le tradizioni che lo riguardano. La regola dei monaci, infatti,
permetteva un consumo moderato e quindi ne giustificò la
produzione. I monasteri, inoltre, offrivano riparo per i viandanti e
per tutti coloro che ne chiedevano, i religiosi offrivano vino come
segno della loro ospitalità.
Il vino divenne poi, anche per i laici, una forma di guadagno
importante. Nel Medioevo era una delle poche bevande salubri,
perché l!acqua tratta da pozzi spesso fangosi e insani era guasta
e imbevibile. Il vino quindi fu l!unico modo per evadere dal
grigiore della condizione di vita per le classi meno ricche.
Nel basso Medioevo la vite si diffuse e questo portò ad un
conseguente aumento delle coltivazioni. La testimonianza più
diretta di questa diffusione è rappresentata dai numerosi statuti
medievali e le leggi che regolamentano la protezione, la
diffusione, l!importazione ma soprattutto che stabiliscono una
data precisa per la vendemmia, questo per non avvantaggiare
nessuno sulla produzione e commercializzazione del vino
41
novello, soprattutto perché le tecniche di conservazione non
erano progredite e quindi il vino invecchiato non era diffuso.
Nel 1348 la peste nera imperversa in tutta l!Europa decimando la
popolazione. Le zone bonificate vengono abbandonate, ci si
rifugia nei luoghi più sicuri e così, ad essere abbandonati, sono i
vitigni marginali, con una conseguente contrazione della
produzione.
“La rivoluzione dei noli” nel XIV e XV sec. portò ad un ritorno alla
produzione di massa. I mercati vennero liberalizzati, non fu più
necessario pagare dazi elevati sul peso delle merci, e quindi
prodotti, come il vino, di elevato peso ma non di elevatissimo
valore commerciale, che prima venivano scartati per queste
caratteristiche, ora trovarono nuovi sbocchi commerciali.
L!apertura di questi commerci, portò all!aumento della produzione
e della qualità del prodotto, ridisegnando la mappa delle
coltivazioni e rendendola più simile a quella moderna. In alcune
zone come Monferrato, Liguria, Oltrepo Pavese, colli veneti,
Toscana, Puglia e Calabria si intensificò la produzione, mentre in
altri luoghi si persero i vigneti che vennero sostituiti da
coltivazioni più redditizie come foraggiere, gelso, canna da
zucchero. Tracce di queste variazioni nell!uso del suolo agricolo
si trovano nei catasti, negli inventari di beni e negli atti notarili
dell!epoca.
La scoperta dell!America segnò per il vino e per la vite un
ulteriore passo indietro. La produzione viene ulteriormente
42
ristretta e le zone in cui si concentrò sono quelle dalla tradizione
più radicata. Il rhum, il caffè e poi il cognac e il whisky vanno a
concorre con il vino. La bevanda di Dioniso perde il suo primato
di unico tonificante.
I vini si affinarono e non si distinsero più solo a seconda della
qualità della vite da cui si ricavavano, ma diventò importante
anche il luogo della produzione. Nacquero i primi manuali di
cucina e di farmacia dove il vino venne menzionato nelle
numerose varietà che iniziò ad assumere. Perfino Galileo Galilei,
celeberrimo scienziato, dedica una riflessione al vino.
“Il vino è come sangue della terra, sole catturato e trasformato da
una struttura così artificiosa qual!é il granello d!uva, mirabile
laboratorio in cui operano ordigni, ingegni e potenze congegniate
da un clinico occulto e perfetto. Il vino è licore d!altissimo
magistero composto di umore e di luce, per la cui virtù l!ingegno
si fa illustre e chiaro, l!anima si dilata gli spiriti si confortano e
l!allegrezze si moltiplicano”
(Galileo Galilei)
In Toscana, già dal seicento, ci si iniziò a porre il problema del
miglioramento del vino con un ottica prettamente scientifica. Lo
spunto decisivo arrivò però solamente dopo la fondazione
dell!accademia dei Georgofili nel 1753, spostando l!attenzione
dalla semplice produzione dei vini alla loro conservazione.
43
Incominciarono quindi una serie di importantissime rivoluzioni, come l introduzione del tappo di sughero a metà dell ottocento che permise l invecchiamento in bottiglia e quindi una miglior conservazione del vino. Questa innovazione, abbinata all introduzione dei i in vetro, aprì la strada ad alcuni prodotti italiani , come il Chianti, verso un consumo sempre più diffuso.Nel 1851, un particolare insetto, la Fillossera, fa la sua comparsa
sul suolo europeo. Questo dannosissimo parassita della f a m i g l i a d e i Phy l l oxe r idae ( Rhyncho ta Homopte ra , super famig l i a Aphido idea) è un ofago associato alle specie del genere Vitis che attacca le radici delle specie europee ( Vitis Vinifera ) e l 'apparato aereo di quel le
americane ( Vitis Rupestris, Vitis Berlandieri e Vitis Riparia ) . Questo dannoso parassita della vite, provoca in breve tempo gravi danni alle radici e la conseguente morte della pianta attaccata, con l'eccezione di alcuni vitigni americani. Questo insetto, in breve tempo, azzera tutti i vigneti del continente Europeo mettendo in ginocchio la produzione. Sfruttando però
44* Nella foto:rappresentazione di un esemplare di Filossera.
alcune varietà di viti americane che presentavano un apparato
radicale in grado di resistere al parassita e a sapienti innesti, fu
possibile ripristinare la produzione.
Innestando viti europee su Piede ( ossia sulle radici ) Americano
si è riusciti a controllare i danni dell!insetto ed aprire il campo alla
produzione moderna del vino, così come la conosciamo oggi.
45 46
alcune varietà di viti americane che presentavano un apparato
radicale in grado di resistere al parassita e a sapienti innesti, fu
possibile ripristinare la produzione.
Innestando viti europee su Piede ( ossia sulle radici ) Americano
si è riusciti a controllare i danni dell!insetto ed aprire il campo alla
produzione moderna del vino, così come la conosciamo oggi.
45 46
LA GEOMETRIA DEI VIGNETI
Preservare la memoria
L!uomo si lega alla terra attraverso il tralcio di vite. Cesare si
accorse che un campo coltivato a vite era difeso audacemente
dal suo vignaiolo. Roma utilizzò questo coraggio e questo
profondo legame con la terra per espandere il proprio dominio e
difenderlo nelle zone più remote dell!Impero. Noi, spaesati dal
progresso, sommersi dall!infinita possibilità di comunicare, siamo
sempre più snaturati, non riconosciamo più i luoghi come origine
e siamo lontani dalla terra. La scena su cui ci muoviamo è
sempre più virtuale e meno reale; si perde senza lasciare traccia
la capacità di riconoscere i segni della nostra terra.
47
Il teatro ormai è talmente allargato da aver soppresso i margini
della scena, si riesce a viaggiare verso ogni paese, si comunica
con ogni dove, le distanze sono ormai azzerate.
Il pericolo è che, perdendo quello che ci caratterizza, lo spirito
delle nazioni, si allevino generazioni di cittadini globali che non
sanno più nulla sulle origini, ma conoscono perfettamente la
meta. Dei viaggiatori in un certo senso già arrivati, ma mai partiti.
“E alla fine di tutto il nostro esplorare arriveremo là donde
eravamo partiti e per la prima volta conosceremo quel luogo”.
( Tomas Eliot )
La terra non va dimenticata. Come Eugenio Turri ci descrive nella
sua opera “Il paesaggio come teatro”, ogni contadino porta con
sé il segreto del paesaggio nel quale è vissuto.
Si perde sempre più quel paesaggio che Pavese descrive con
tanto affetto e coinvolgimento assoluto, l!Italia, quella fatta di
colline e orti, quella dei contadini, che passano una vita intera a
sudare sullo stesso pezzo di terra. Quell!Italia di leggende e
tradizioni, di gente semplice ma di un sapere secolare che
sorprende per la sua autenticità, si sta lentamente dimenticando.
“Non siamo mai entrati nella sua testa per sapere cosa pensava
quando osservava i suoi campi e il paesaggio intorno, né siamo
mai neanche entrati nel suo animo per sapere quali dolcezze
provava quando guardava quel giro di colline in cui era nato e in
48
LA GEOMETRIA DEI VIGNETI
Preservare la memoria
L!uomo si lega alla terra attraverso il tralcio di vite. Cesare si
accorse che un campo coltivato a vite era difeso audacemente
dal suo vignaiolo. Roma utilizzò questo coraggio e questo
profondo legame con la terra per espandere il proprio dominio e
difenderlo nelle zone più remote dell!Impero. Noi, spaesati dal
progresso, sommersi dall!infinita possibilità di comunicare, siamo
sempre più snaturati, non riconosciamo più i luoghi come origine
e siamo lontani dalla terra. La scena su cui ci muoviamo è
sempre più virtuale e meno reale; si perde senza lasciare traccia
la capacità di riconoscere i segni della nostra terra.
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Il teatro ormai è talmente allargato da aver soppresso i margini
della scena, si riesce a viaggiare verso ogni paese, si comunica
con ogni dove, le distanze sono ormai azzerate.
Il pericolo è che, perdendo quello che ci caratterizza, lo spirito
delle nazioni, si allevino generazioni di cittadini globali che non
sanno più nulla sulle origini, ma conoscono perfettamente la
meta. Dei viaggiatori in un certo senso già arrivati, ma mai partiti.
“E alla fine di tutto il nostro esplorare arriveremo là donde
eravamo partiti e per la prima volta conosceremo quel luogo”.
( Tomas Eliot )
La terra non va dimenticata. Come Eugenio Turri ci descrive nella
sua opera “Il paesaggio come teatro”, ogni contadino porta con
sé il segreto del paesaggio nel quale è vissuto.
Si perde sempre più quel paesaggio che Pavese descrive con
tanto affetto e coinvolgimento assoluto, l!Italia, quella fatta di
colline e orti, quella dei contadini, che passano una vita intera a
sudare sullo stesso pezzo di terra. Quell!Italia di leggende e
tradizioni, di gente semplice ma di un sapere secolare che
sorprende per la sua autenticità, si sta lentamente dimenticando.
“Non siamo mai entrati nella sua testa per sapere cosa pensava
quando osservava i suoi campi e il paesaggio intorno, né siamo
mai neanche entrati nel suo animo per sapere quali dolcezze
provava quando guardava quel giro di colline in cui era nato e in
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cui aveva lavorato per tutta la vita, il piacere di scoprirsi in quello
scenario nel quale si erano svolte vicende indimenticabili: dalla
sparatoria di un commando tedesco durante la seconda guerra
mondiale al primo bombardamento aereo degli alleati in una
mattina di Maggio sino all!arrivo degli americani, e poi i tumulti, i
gridi della gente, le sue vicende personali, le passeggiate furtive
nei campi con la ragazza dei vicini, il primo atto d!amore in un
giorno di primavera, e infine il funerale dei parenti, la crescita dei
figli in quello stesso luogo in cui era nato e dov!era nato suo
padre, anch!egli contadino, che aveva tribolato sugli stessi campi.
Di queste vicende parlava spesso, ma non sappiamo quale era il
senso del tempo, che avvertiva guardandosi intorno, la bellezza
che coglieva rimirando la campagna in certi giorni fulgidi di
primavera o in certe giornate d!autunno, la goduta percezione dei
suoni e dei rumori conosciuti, del rintocco delle campane, al
tuono dei temporali estivi, dallo strepitio agostano delle cicale sui
frassini alle grida dei contadini e al borbottio autunnale dei trattori
nei campi.
Non siamo mai entrati nel suo animo, ma sappiamo che era un
ottimo contadino, che teneva in bell!ordine il suo podere, che
dava una perfetta quadratura al suo vigneto, che potava con
molta cura le viti, gli olivi e gli altri alberi, dando contributi
importanti alla buona immagine del paesaggio nel quale
operava”.
(Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro)
49
Le città , ingrigite dalle persone, sono spazi di lavoro dei quali
però nessuno si cura; le campagne si dimenticano, sempre più
delle mani dei contadini, che pazientemente stagione dopo
stagione con tenacia le modellavano.
La vite è vita, presente in molte culture e in tutte le epoche, la
pianta che per eccellenza ha bisogno di cure per produrre, senza
un tutore non si regge e senza una guida si perde in tralci
infruttuosi. Queste sue caratteristiche l!hanno resa nei secoli
immortale, celebrata come metafora in molte religioni, il suo
succo vinificato è usato per festeggiare e celebrare riti.
Nei secoli si è infiltrata e arrampicata nella nostra tradizione,
come fa con un olmo nelle campagne. Sopravvive come prodotto
elitario, come celebrazione di se stessa, in milioni di anni di
evoluzione. Sopravvive in vigneti meccanizzati studiati e affrontati
in modo scientifico, ettari di terreno sfruttati da macchine sempre
più automatizzate. La storia riserva un lieto fine, non tutto è
macchina e progresso, il cemento e il diesel non arrivano
dappertutto, non invadono tutti gli spazi. Le mani, callose e
rovinate dalla terra , devono ancora sporcarsi. Le vigne
reclamano ancora un lavoro costante e manuale. Le macchine
non possono scegliere il tralcio migliore, quello che porta più
frutto e potare gli altri in modo che tutta la forza della pianta si
concentri su quest!unico. La sapienza dei contadini viene
affiancata al progresso e non sostituita e dimenticata.
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Le forme nei vigneti
La vite nei secoli lascia sulle nostre terre segni assolutamente indelebili. Nel bagaglio di immagini di ogni uomo c è un vigneto o
un grappolo d uva; tutti ne hanno bevuto il vino, o ne hanno assaggiato i frutti. Migliaia di anni di evoluzione h a n n o p o r t a t o l e t e c n i c h e d i allevamento a svilupparsi in molteplici direzioni. Sono i i modi di condurre i tralci, di addomesticarli e di potarli per renderli più fruttuosi;tutte queste tecniche si differenziano e
vengono preferite l una rispetto all altra secondo regole precise. Gli anziani agricoltori, che passano tutta un esistenza immersi in un territorio, una terra nella quale sono cresciuti, sanno bene quali punti sono meglio esposti e dove il terreno è più consono; portano millenni di tradizione in maniera inconscia, con un sapere quasi automatico, derivato dalla tradizione orale. Ogni contadino
51Nella foto: varie tipologie di allevamento a spalliera.
sa. Questo fa si che i vigneti prosperino curati dal loro infinito
amore per le cose ben fatte.
Ogni tecnica piega le viti con forme differenti che disegnano
striature particolari sui terreni. Le forme più antiche e semplici di
allevamento della vite sono quelle ad alberello, che consistono
nel tenere la vite potata bassa a circa 50-60 cm dal terreno e
selezionare le branche a seconda del tipo di forma che si vuole
ottenere.
Nella foto: fasi progressive della crescita di una vite allevata ad alberello.
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L alberello minimo è costituito da un unico tralcetto, derivato dal ceppo principale, sorretto da un unico tutore secco; quello pugliese, invece, viene lasciato con due o tre tralcetti; l alberello a coppa o a vaso deriva probabilmente dal metodo greco di coltivazione e viene lasciato con un minimo di quattro a un massimo di dieci branche disposte a raggiera intorno al fusto,
disegnando così una sorta di cono rovescio simile ad un vaso; l alberello a d o m b r e l l o , invece, è di natura d i f f e r e n t e : i n i z i a l m e n t e i l fusto, legato ad un
tutore ligneo, viene lasciato libero di crescere per due-tre anni o a raggiungere circa un metro d altezza e successivamente vengono selezionati due speroni che porteranno negli anni successivi più branche che ricadono verso il terreno; ci sono poi le viti a piramide, che vengono condotte dando una forma piramidale e un evoluzione di questo sistema è quello delle palmette verticali e delle palmette
53Nella foto: vite allevata ad alberello.
verticali alterne che sviluppano la vite su una spalliera o a muro, secondo una geometria rigorosa.Esistono sistemi che necessitano di sostegni complessi, come quello a cordone o con speroni. In questo caso il ceppo, diramato in uno o due bracci laterali, viene fatto correre su un
o tra due pali in modo da formare un cordone dal quale poi verranno condotte le branche verso l alto. Da questo particolare sistema ne derivano altri,
come quello a spalliera o a muro in cui i cordoni vengono condotti in modo da formare delle scacchiere riempite dai tralci.
Nella foto: vite allevata con il sistema Guyot.
54Nella foto in alto: viti allevate con la tecnica della spalliera a muro.
verticali alterne che sviluppano la vite su una spalliera o a muro, secondo una geometria rigorosa.Esistono sistemi che necessitano di sostegni complessi, come quello a cordone o con speroni. In questo caso il ceppo, diramato in uno o due bracci laterali, viene fatto correre su un
o tra due pali in modo da formare un cordone dal quale poi verranno condotte le branche verso l alto. Da questo particolare sistema ne derivano altri,
come quello a spalliera o a muro in cui i cordoni vengono condotti in modo da formare delle scacchiere riempite dai tralci.
Nella foto: vite allevata con il sistema Guyot.
54Nella foto in alto: viti allevate con la tecnica della spalliera a muro.
Esistono poi i sistemi d allevamento a medio sviluppo e a potatura mista, come quello di Guyot, dove la vite viene piegata e allevata in modo orizzontale facendo attenzione a rimuovere, durante la potatura, i tralci che hanno già prodotto frutti per favorire quelli nuovi; o il sistema Casalese, chiamato in questo modo perché abbondantemente utilizzato nei dintorni di Casale, in cui la vite, disposta in i distanti 5-6 metri gli uni dagli altri, è
piegata ad arco perché, costretta in quel modo, essa produce di più.L archetto romagnolo, invece, è costituito da un unico sostegno secco sul quale cresce il fusto e che sorregge uno o due
i metallici intorno ai quali si conducono i tralci piegati ad archetto, andando a disegnare così una curva che è tipica delle colline romagnole.L e c a n n e d e l s i s t e m a l a z i a l e
caratterizzano le colline dei castelli romani. Il sostegno è a tre canne, una verticale e due piegate ad angolo verso quella centrale, che si intrecciano a piramide con quelle dei i vicini. Questa selva di canne rende i vigneti nei dintorni romani inconfondibili.I sistemi a doppio tralcio fruttifero sono identici a quelli singoli, solo che i tralci sono due e condotti in direzioni opposte.
55Nella foto: alberello ad ottavi con tralcio ad archetto.
Nei dintorni di San Donà di Piave, invece, è caratteristico il
sistema Bisinotto dove l!armatura di sostegno è formata da tre
canne: una prima verticale che sostiene il fusto, una seconda ad
arco che si congiunge con la prima in alto e una terza orizzontale
bassa che porta il tralcio.
Questo sistema caratterizza i vitigni con una forma a balzi quasi
come fosse uno scheletro di canne che disegna i filari.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso a Rovigo.
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Nella foto: sistema di allevamento a mezza spina di pesce e a spina di pesce completa.
I sistemi a pergola o pergolati, di tradizione antica, sono senza
dubbio quelli a cui la vite meglio si addice. Noti sin dal tempo
degli egizi, furono ripresi in età classica dai romani. Svariati e
ricchi sono i sistemi e le revisioni nelle regioni italiane. Il sistema
più semplice è il pergolato a terra o a catene striscianti ,
introdotto dal vignaiolo Dionigio Lusseaudeau nel 1879.
Queste viti vengono lasciate libere di strisciare, separate da terra
solamente attraverso rudimentali forcelle lignee, lasciando sul
terreno una ragnatela di tralci che rendono i vigneti omogenei in
altezza e complesse ragnatele se visti dall!alto.
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Nella foto: sistema di allevamento a mezza spina di pesce e a spina di pesce completa.
I sistemi a pergola o pergolati, di tradizione antica, sono senza
dubbio quelli a cui la vite meglio si addice. Noti sin dal tempo
degli egizi, furono ripresi in età classica dai romani. Svariati e
ricchi sono i sistemi e le revisioni nelle regioni italiane. Il sistema
più semplice è il pergolato a terra o a catene striscianti ,
introdotto dal vignaiolo Dionigio Lusseaudeau nel 1879.
Queste viti vengono lasciate libere di strisciare, separate da terra
solamente attraverso rudimentali forcelle lignee, lasciando sul
terreno una ragnatela di tralci che rendono i vigneti omogenei in
altezza e complesse ragnatele se visti dall!alto.
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Nella foto: sistema pergolato a terra.
Nella foto: sistemazione dei pendi nella zona delle cinque terre.
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La zona delle Cinque Terre, presentava la forma di allevamento dove l intervento sul terreno era più evidente. Le terre, spesso con un elevata pendenza, erano scavate e modellate con muri a secco che contenevano il terreno necessario a far prosperare le viti. Questi intensivi interventi sulla terra rendevano il o delle colline sul mare inconfondibile e producevano vini di indiscussa fama e successo, come l amabile di Monte Rosso o la vernaccia di Corniglia.
I pergolati a pertiche, invece, si trovano pe r l o p i ù i n P iemon te . Sono caratterizzati da gruppi di 3-4 viti poste a distanza di 4 metri circa, che vengono fatte salire su pali robusti di castagno disposti a croce di S. Andrea e sovrastati da un palo orizzontale sul quale si poggiano i tralci fruttiferi ad una altezza di circa 2 metri.Nell Oltrepo Pavese, nelle zone di Voghera, Broni e Bobbio, il sistema più utilizzato è quello a rocca o gabbiera,
dove un gruppo di 5-6 viti è circondato da pali incrociati che le sostengono per i primi anni di vita; poi i tralci vengono condotti con una curva verso pali verticali disposti in e laterali e da lì proseguono in maniera orizzontale negli anni successivi senza
59Nella foto: pergolato piemontese o pavese.
La zona delle Cinque Terre, presentava la forma di allevamento dove l intervento sul terreno era più evidente. Le terre, spesso con un elevata pendenza, erano scavate e modellate con muri a secco che contenevano il terreno necessario a far prosperare le viti. Questi intensivi interventi sulla terra rendevano il o delle colline sul mare inconfondibile e producevano vini di indiscussa fama e successo, come l amabile di Monte Rosso o la vernaccia di Corniglia.
I pergolati a pertiche, invece, si trovano pe r l o p i ù i n P iemon te . Sono caratterizzati da gruppi di 3-4 viti poste a distanza di 4 metri circa, che vengono fatte salire su pali robusti di castagno disposti a croce di S. Andrea e sovrastati da un palo orizzontale sul quale si poggiano i tralci fruttiferi ad una altezza di circa 2 metri.Nell Oltrepo Pavese, nelle zone di Voghera, Broni e Bobbio, il sistema più utilizzato è quello a rocca o gabbiera,
dove un gruppo di 5-6 viti è circondato da pali incrociati che le sostengono per i primi anni di vita; poi i tralci vengono condotti con una curva verso pali verticali disposti in e laterali e da lì proseguono in maniera orizzontale negli anni successivi senza
59Nella foto: pergolato piemontese o pavese.
più cambiare direzione. Questo crea una maglia omogenea con
un addensamento centrale in prossimità dei fusti. A Broni, però,
questo sistema presenta delle varianti, dove la gabbia centrale
viene rimossa e le piante vengono condotte su una selva di
canne secche che le sostengono.
Nel novarese invece si diffonde il cosiddetto sistema a gattinara,
in cui una pergola a scacchiera si sviluppa in modo regolare a
130-150 cm da terra; i pali secchi e robusti portano dei fili
perpendicolari al senso del filare e lungo il perimetro, sul quale i
viticoltori novaresi girano i tralci frutticoli delle viti.
Nella foto: sistema di allevamento gattinara.
Notevole è anche il pergolato di Bellano, diffuso nell!alto Lario,
nel quale si hanno gruppi di tre viti in basso e di due o più in alto,
affrancate a pali secchi distanti un metro sulla fila e due tra le file
e sulla testa dei quali veniva posta una frasca che serviva per far
correre i getti di rinnovo.
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Nella foto: pergolato di Bellano.
La pergola nota presso i Romani come “jugatio compluviata”
adornava le piscine, gli orti e l!atrium. Oggi questo sistema è in
uso soprattutto in alcuni vigneti specializzati del Tirolo anche per
ottimizzare gli spazi nei vigneti tradizionali nei pressi di sentieri o
canali di scolo.
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Nella foto: pergolato di Bellano.
La pergola nota presso i Romani come “jugatio compluviata”
adornava le piscine, gli orti e l!atrium. Oggi questo sistema è in
uso soprattutto in alcuni vigneti specializzati del Tirolo anche per
ottimizzare gli spazi nei vigneti tradizionali nei pressi di sentieri o
canali di scolo.
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Nella foto: sistema a pergole multiple bolognese.
In questo sistema le viti, essendo piantate da una sola parte,
mandano i loro tralci sopra un graticolato costituito da un piano
inclinato, posto dalla parte opposta rispetto ai ceppi. Queste
impalcature sono costruite in legno o ferro e la loro geometria è
determinata dalla zona, dall!esposizione e dall!umidità ed è a
discrezione del vignaiolo.
Carema (Torino), con i suoi pergolati costituiti da un graticcio di
pali posti normalmente tra loro a formare una scacchiera sospesa
e appoggiata su pilastri robusti in pietrame, rappresenta un
paesaggio unico e inconfondibile.
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Nella foto: sistema rustico ligure.
Le vigne che richiedono una potatura lunga, in modo particolare il
Nebbiolo, trovano in questo metodo di allevamento una forza
eccezionale e crescono rigogliose.
Nella provincia di Genova i pergolati presenti negli orti e nei
poderi e che si trovano simili anche in altre regioni italiane, sono
costituiti da travi robuste, sostenute da colonne e pilastri, e
traversate da canne e bastoni, sulle quali vengono poi fatte
arrampicare le viti. Questo crea uno spazio ombreggiato nel
quale vengono allevati gli ortaggi.
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I pergolati del Trentino sono costituiti da robusti pali verticali che
sorreggono una trave lignea obliqua; queste strutture sono legate
tra loro con del filo di ferro e questo crea delle linee sulle quali le
viti vengono fatte arrampicare da un solo lato.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso in Alto Adige.
La vite maritata al tutore è forse la forma più affascinante di
allevamento; l!altezza che raggiunge e la simbiosi con il tutore
vivo rendono questo metodo il più complesso ma sicuramente il
più bello.
L!usanza di maritare i tralci con sostegni vivi è antichissima e
prende spunto dalla tendenza naturale che la vite silvestre ha di
arrampicarsi. Osservando questa tendenza molti popoli
dell!antichità, tra cui etruschi e romani, hanno adottato nelle
campagne questa tecnica.
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Nella foto: alberate reggiane.
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Nella foto: alberate reggiane.
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Oggi, a causa dei costi sia di coltivazione che di vendemmia, le rigogliose vit i maritate scompaiono dai nostri orizzonti; l antichissima arte si perde nel tempo e scompare nelle nebbie delle nostra Italia. Sono rari i casi in cui si possono ancora osservare i lari di olmi o pioppi, a lato dei campi sui quali cresce impetuosa la vite, simboli della coltura promiscua che ha caratterizzato tutto il nostro paese nello scorso secolo.Nella foto qui accanto sono riportati alcuni sistemi utilizzati in Toscana per arrampicare le viti sugli alberi. Il primo in alto è il sistema a catena o pinzana, il secondo al centro è detto pinzana doppia e l ultimo in basso è detto a catena divaricata. Tecniche, diffuse soprattutto nel pisano,
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Nella foto dall alto: sistema toscano, variante del sistema toscano, sistema di Pontedere
sono caratterizzate dall!incrocio di festoni fruttiferi provenienti da
due viti opposte.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso nella regione del Chianti.
Queste però sono affiancate anche da sistemi a vite singola,
diffusi soprattutto nel marchigiano, come quelli costituiti da filari di
viti appoggiate a ramificazioni del tutore rese orizzontali.
Esistono varianti di pergolati pensili, che con diverse sfumature si
trovano nei dintorni di Bologna e del modenese; queste
alberature auto-sostengono delle canne che creano un graticcio
sul quale la vite è libera di prosperare.
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Nella foto: vite maritata nei pressi di San Giorgio, Bologna 1948.
La ricchezza di questo tipo di coltura è dovuta all!antichità del
metodo, e alle numerose condizioni geografiche in cui si è
diffuso. I vignaioli, mossi dalla conoscenza della propria terra,
hanno adattato, nel modo più consono possibile, un metodo alle
condizioni climatiche e al tipo di terreno. Tutte le regioni si sono
distinte per particolari virtuosismi o tecniche che ne hanno
caratterizzato il paesaggio.
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Nella foto: sistema a raggi trentino.
Per anni sono stati curati graticci di svariate forme e geometrie,
al fine di produrre vini più corposi e robusti rispetto a quelli piatti e
di bassa gradazione alcolica ottenuti da uve cresciute in
allevamenti tradizionali al suolo.
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Nella foto: sistema a raggi trentino.
Per anni sono stati curati graticci di svariate forme e geometrie,
al fine di produrre vini più corposi e robusti rispetto a quelli piatti e
di bassa gradazione alcolica ottenuti da uve cresciute in
allevamenti tradizionali al suolo.
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LE FORME NEL TERRITORIO DEL TICINO
Se capita di perdersi per le cantonali del Ticino, non si può che
dar subito ragione ai numerosi cartelli che pubblicizzano il
Cantone come il più vignato della Svizzera.
La campagna di sensibilizzazione al territorio è puntuale e
presente in maniera insistente in tutto il Ticino. Se si cena in un
ristorante o si prende il caffè in un bar, ovvero in tutti quei luoghi
in cui si interagisce socialmente, sono presenti opuscoli in cui
vengono pubblicizzate attività ed eventi riguardanti il territorio. Si
possono fare, e sono ben segnalate, passeggiate di carattere
eno-gastronomico alla portata di tutti, che sono sicuramente il
metodo più semplice e diretto per sensibilizzare le masse e dare
alle politiche territoriali il giusto peso.
Nel 2003 il monte San Giorgio e tutto il suo comprensorio sono
diventati “Patrimonio mondiale dell!umanità Unesco” per la
ricchezza paleontologica davvero straordinaria.
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Il terreno roccioso del monte San Giorgio è estremamente vario: dolomie, vulcanit i , marne, depositi glaciali, arenarie, graniti e marmi, scisti bitumosi, argille, ghia ie, rocce vulcaniche e numerose altre varietà. Queste
rocce, con una caratteristica di acidità e basicità uniche, vanno a costituire il substrato sul quale si sviluppa una viticoltura che è tra
Ticino.
Nella foto: vigne a sud di Mendrisio.
72Nella foto in alto: monte San Giorgio fotografato dal satellite.
Merlot, Cabernet Sauvignon e Pinot Nero sono alcune delle uve che trovano su questo territorio il terreno adatto e le giuste condizioni di sole per prosperare.Il rapporto che si crea tra viticoltura e territorio è forte e le caratteristiche dell ambiente e le favorevoli condizioni climatiche hanno reso il Mendrisiotto una zona ideale per la viticoltura. Dagli anni 60 del secolo scorso, dopo un lungo periodo di abbandono, sono state recuperate molte terre agricole che versavano in condizioni disastrose. Va elogiato la tenacia dei contadini di queste zone, non solo per l espansione economica raggiunta, ma anche per l intervento di fondamentale valore ambientale. In questi anni sono stati recuperati numerosi vecchi terrazzamenti e balze in disuso, che modellano i pendii collinari, e
Sono inoltre stati ricostruiti i muri a secco, tradizionale sistema di sostegno c h e i m p e d i s c e l erosione dovuta al d i l a v a m e n t o d e i pendii e che aiuta a garantire la giusta
73Nella foto: tetto in ardesia presso Cabbio valle di Muggio.
Merlot, Cabernet Sauvignon e Pinot Nero sono alcune delle uve che trovano su questo territorio il terreno adatto e le giuste condizioni di sole per prosperare.Il rapporto che si crea tra viticoltura e territorio è forte e le caratteristiche dell ambiente e le favorevoli condizioni climatiche hanno reso il Mendrisiotto una zona ideale per la viticoltura. Dagli anni 60 del secolo scorso, dopo un lungo periodo di abbandono, sono state recuperate molte terre agricole che versavano in condizioni disastrose. Va elogiato la tenacia dei contadini di queste zone, non solo per l espansione economica raggiunta, ma anche per l intervento di fondamentale valore ambientale. In questi anni sono stati recuperati numerosi vecchi terrazzamenti e balze in disuso, che modellano i pendii collinari, e
Sono inoltre stati ricostruiti i muri a secco, tradizionale sistema di sostegno c h e i m p e d i s c e l erosione dovuta al d i l a v a m e n t o d e i pendii e che aiuta a garantire la giusta
73Nella foto: tetto in ardesia presso Cabbio valle di Muggio.
quantità d!acqua ai vigneti della zona.
Le vigne del Merlot, che si estendono dalla piana del Laveggio
(Mendrisio) fino alle pendici del monte San Giorgio, sconfinando
poi nel comune di Clivio della vicina Italia, sono indiscutibilmente i
sovrani del paesaggio collinare, un grande patrimonio che
rappresenta la sapienza raggiunta dalle maestranze di queste
contrade che si fondono con l!ambiente circostante.
Sono continue le scoperte di terrazzamenti che sfumano e
diventano case, creando angoli in cui le attività tradizionali, come
la lavorazione della pietra, sono ancora presenti e dominano
l!economia in un modo sorprendente.
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Nella foto: Cabbio valle di Muggio.
La natura e la cultura in questo angolo di Svizzera sono
conservate con attenzione e assoluta dedizione. Le persone sono
consapevoli del territorio, portano memoria delle loro tradizioni
attraverso musei etnografici e della civiltà contadina e sono
legate alla loro terra rispettandola in maniera civile. Con
attenzione promuovono ciò che per loro è più caro e sono pronti
a condividerlo.
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Si tratta di un atteggiamento non turistico bensì culturale, una voglia di non dimenticare, di guardare avanti, restando però ben saldi sulla terra.Passeggiando per queste colline non si respira un odore stantio di una civiltà c h e s c o m p a r e m a , a l contrario, i giovani fanno r i v i v e r e l e t r a d i z i o n i attraverso rivisitazioni e m o s t r e . L e a t t i v i t à tradizionali non scompaiono ma vengono trasmesse di generazione in generazione, la qualità dei prodotti viene man t enu t a g raz i e a l l a
saggezza degli anziani e le nuove generazioni riescono a rendere questi prodotti appetibili, creando così una vera nicchia eno-gastronomica che si
a vendendo ottimi prodotti e facendo l economia del Cantone.Si tratta di un vero e proprio rinascimento culturale: ritornano le tradizioni e e migliorate, le valli rivivono, il turismo
76Nella foto: parete di una baita a Cabbio nella valle di Muggio
cresce e porta p r o s p e r i t à . I guadagni sono reinvestiti e così si ricostituisce un p a e s a g g i o a g r a r i o d i i n d u b b i a bellezza.La politica non è indi fferente e, con l ordinanza federale sulla protezione dei vigneti numero 916 .20 del 28 febbraio 2001, si concentra sulla protezione, regola la produzione dei vigneti del Cantone, stabilisce l entità della produzione, le regole per un prodotto doc. e il modo per ottenere
77Nella foto: tetto in Ardesia presso Cabbio valle di Muggio
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78
TRA ITALIA E TICINO
La Comunità Europea nel 1980 con la legge 454 vieta l!impianto
di nuovi vigneti su tutto il territorio; nel 1990 la legge 3302
consente il trasferimento di vigneti da una zona ad un altra
assicurandosi di distruggere il vigneto spostato. La CEE tra il
1998 e il 1999 consente di impiantare nuovi filari qualora sia
dimostrata l!effettiva insufficienza della produzione.
Queste ferree restrizioni hanno sensibilmente limitato l!impianto
di nuove vigne e così in Italia nel 2000 i dati relativi ai vigneti
segnavano una diminuzione da 1.900.000 ettari di inizio secolo a
circa 800.000, al contrario la produzione è passata da 35-40 a
55-60 milioni di ettolitri annui. La tendenza italiana alla
diminuzione delle dimensioni degli appezzamenti verso una
maggior produzione in termini di quantità per ettaro è seguita da
tutte le principali regioni Europee. Le restrizioni hanno reso
estremamente costoso l!impianto di un nuovo vigneto e quindi
tutti i maggiori coltivatori si sono concentrati su quelli esistenti e,
attraverso un approccio scientifico e macchinari estremamente
efficaci, hanno aumentato la produzione di vino in modo
significativo. Gli impianti si sono standardizzati, le coltivazioni si
sono piegate alle macchine, i sistemi come quello del ritocchino o
79
TRA ITALIA E TICINO
La Comunità Europea nel 1980 con la legge 454 vieta l!impianto
di nuovi vigneti su tutto il territorio; nel 1990 la legge 3302
consente il trasferimento di vigneti da una zona ad un altra
assicurandosi di distruggere il vigneto spostato. La CEE tra il
1998 e il 1999 consente di impiantare nuovi filari qualora sia
dimostrata l!effettiva insufficienza della produzione.
Queste ferree restrizioni hanno sensibilmente limitato l!impianto
di nuove vigne e così in Italia nel 2000 i dati relativi ai vigneti
segnavano una diminuzione da 1.900.000 ettari di inizio secolo a
circa 800.000, al contrario la produzione è passata da 35-40 a
55-60 milioni di ettolitri annui. La tendenza italiana alla
diminuzione delle dimensioni degli appezzamenti verso una
maggior produzione in termini di quantità per ettaro è seguita da
tutte le principali regioni Europee. Le restrizioni hanno reso
estremamente costoso l!impianto di un nuovo vigneto e quindi
tutti i maggiori coltivatori si sono concentrati su quelli esistenti e,
attraverso un approccio scientifico e macchinari estremamente
efficaci, hanno aumentato la produzione di vino in modo
significativo. Gli impianti si sono standardizzati, le coltivazioni si
sono piegate alle macchine, i sistemi come quello del ritocchino o
79
dei piccoli terrazzamenti e girapoggio stanno sparendo o sono
già scomparse. I pali una volta lignei sono stati sostituiti da quelli
in cemento, le pergole vengono dimenticate e l!usanza di
maritare la vite agli alberi è ormai soltanto un ricordo lontano
racchiuso in una sbiadita fotografia o in vecchi libri di tecniche
viticole. Il paesaggio cambia, i filari sono sempre più paralleli, le
viti sono condotte per soddisfare le esigenze delle macchine che
le potano e le curano, l!altezza dei filari e il passo che li separa
sono adattati a quelli delle macchine che devono accudirli. I
terrazzamenti non sono sostenuti da muri a secco e spesso, non
essendo curati, franano sotto l!erosione causata delle acque
piovane .
La produzione è diventata una fonte di reddito importante, spesso
l!unica spinta che sostiene la viticoltura; il mercato è invaso da
vini spesso figli della chimica e delle esigenze di mercato e non
più delle mani e delle conoscenze di vecchi vignaioli.
Il territorio cambia: i piccoli coltivatori, che una volta accudivano
soltanto le vigne che riuscivano a seguire lavorando a mano i
filari, ora sono sostituiti dalle macchine; le cantine sociali che
univano tutti i coltivatori per produrre un vino stentano a
sopravvivere; l!esportazione globale e la concorrenza dei vigneti
californiani, africani e australiani che danno vini dolciastri
secondo i gusti del mercato americano, sono spietate. Le piccole
produzioni sopravvivono in Francia e in Italia solamente grazie ad
una nicchia di appassionati che ricercano vini pregiati, di fattura
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mirabile e che sono disposti a pagare un prezzo superiore alla
media per un prodotto d!élite. Le nostre colline cambiano; i
terrazzamenti, abbandonati a se stessi, scompaiono; il bosco
riguadagna gli spazi un tempo lavorati e curati dagli agricoltori.
La Svizzera è da sempre un!isola a sé nel panorama europeo,
sempre neutrale e pronta a seguire le proprie idee e gusti. Una
nazione con un forte senso di identità e di eterogeneità e senza
dubbio un esempio da analizzare. L!ordinanza relativa alla
protezione dei vigneti numero 916.20 del 28 febbraio 2001 si
pone in contro-tendenza rispetto alle politiche in vigore in tutta la
Comunità Europea. Su tutto il territorio della Confederazione
elvetica le vigne sono protette e le cantine sociali fioriscono
attraverso piccole ed eccellenti produzioni. Spesso capita che
dopo lavoro le persone sostituiscano la fatica delle palestre con il
lavoro in vigna legandosi al proprio territorio attraverso la vite.
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Nella foto: vigne a nord di Bellinzona.
Le amministrazioni cantonali istituiscono servizi di consulenza per
le tecniche e per tutelare i diritti dei coltivatori. Le associazioni di
vinattieri aumentano sempre più la loro influenza, creano e
sostengono un mercato emergente con un prodotto valido. Le
coltivazioni fioriscono, le aziende vinicole aumentano e ne
sorgono di nuove; la Confederazione e il Cantone Ticino hanno
istituito un ufficio della consulenza agricola che ha il compito di
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favorire il miglioramento gestionale tecnico ed economico delle aziende agricole e della posizione sociale dei contadini, migliorandone le conoscenze sullo sviluppo economico regionale. Tutto questo ha ripercussioni sul territorio: ovunque sorgono piccoli e grandi vigneti, le case si adornano di viti allevate a spalliera, le pergole vengono restaurate o costruite ex-novo secondo le antiche tecniche. I pali in legno, i muriccioli a secco, le vecchie cantine riprendono vita ricreando e restaurando un
paesaggio agricolo estremamente ricco d i t e c n i c h e e esperienze differenti. Le colline vengono d i s e g n a t e d a numeros i p i cco l i vigneti che, coltivati da persone di tutte le estrazioni sociali, danno de l l e uve
genuine e dei vini, per lo più Merlot, di fattura notevole. I pali secchi delle viti coltivate con il metodo Guyot riemergono, si recuperano i vigneti e si ripiantano le rose all inizio dei . Le rose secondo la saggezza dei coltivatori antichi indicano in modo preciso la salute di un vigneto se quest ultima si trova forte e in
83Nella foto: vigne a nord di Bellinzona
buona salute allora vigoroso sarà anche il vigneto se invece
soffre o perde di forza allora anche il filare risulta debole e poco
produttivo.
Nella foto: vigne a est di Bellinzona
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L!associazione per la protezione del patrimonio artistico e
architettonico di Valmaggia ha portato a termine un nuovo ed
importante lavoro: il ripristino di alcuni vigneti di Coglio e
Giumaglio. L!apertura al pubblico è avvenuta nel 2004, nel corso
di una giornata di festa istituita per l!occasione che ha visto anche
l!inaugurazione dei nuovi sentieri di pietra allestiti da Vallemaggia
turismo. La collaborazione ha dato vita a nuovi percorsi, che
interessano Maggia, Lodano, Coglio e Giumaglio, che passano
attraverso le zone viticole recuperate e che potranno così essere
facilmente visitate e apprezzate dagli escursionisti.
Nella foto: vigne a Coglio, Valmaggia.
85
Sotto la supervisione di alcuni maestri pietrai sono stati recuperati
e ricostruiti i muri a secco e i vecchi sostegni in sasso, ”carasc”, s
è poi ricostruita e ripristinata la paleria ormai scomparsa dei
vigneti e formati nuovi pergolati in legno di castagno, mentre il
terreno veniva lavorato per ospitare barbatelle di Americana,
Merlot e Gamaret.
A Giumaglio i vigneti sistemati si trovano sopra il nucleo, mentre il
nuovo vigneto di Coglio è situato accanto alla chiesa e all!ossario.
Il progetto vuole favorire la salvaguardia del territorio ed essere di
incoraggiamento e stimolo alla viticoltura dei piccoli produttori.
Nella foto: vigne del comune di Tremona località Ronco.
Ovunque chi ha a disposizione delle terre con la giusta
esposizione e la quantità di sole necessaria a far crescere una
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L!associazione per la protezione del patrimonio artistico e
architettonico di Valmaggia ha portato a termine un nuovo ed
importante lavoro: il ripristino di alcuni vigneti di Coglio e
Giumaglio. L!apertura al pubblico è avvenuta nel 2004, nel corso
di una giornata di festa istituita per l!occasione che ha visto anche
l!inaugurazione dei nuovi sentieri di pietra allestiti da Vallemaggia
turismo. La collaborazione ha dato vita a nuovi percorsi, che
interessano Maggia, Lodano, Coglio e Giumaglio, che passano
attraverso le zone viticole recuperate e che potranno così essere
facilmente visitate e apprezzate dagli escursionisti.
Nella foto: vigne a Coglio, Valmaggia.
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Sotto la supervisione di alcuni maestri pietrai sono stati recuperati
e ricostruiti i muri a secco e i vecchi sostegni in sasso, ”carasc”, s
è poi ricostruita e ripristinata la paleria ormai scomparsa dei
vigneti e formati nuovi pergolati in legno di castagno, mentre il
terreno veniva lavorato per ospitare barbatelle di Americana,
Merlot e Gamaret.
A Giumaglio i vigneti sistemati si trovano sopra il nucleo, mentre il
nuovo vigneto di Coglio è situato accanto alla chiesa e all!ossario.
Il progetto vuole favorire la salvaguardia del territorio ed essere di
incoraggiamento e stimolo alla viticoltura dei piccoli produttori.
Nella foto: vigne del comune di Tremona località Ronco.
Ovunque chi ha a disposizione delle terre con la giusta
esposizione e la quantità di sole necessaria a far crescere una
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vite, impianta dei . I Ticino a appunto i
L e attenta ha o i i di dove i tivat i po o e a i en a o anit ,
e tecniche, i pe i , pe impianto e pe e i i di . Si a di una e di
a a di a incentiva a dif e di vitigni, i i e e e i o con . Sono
i e tenute e con e meccanico e ad una y.
La à e e è a ad una fatica genuina, a ad uno . o o e che i
o un o
Le e che o e
e a ud e v i d e T i c i n o è
e e m p i o d i u n o o
t i o n i . S i v o vecchie
tecniche: e con
87
sostegni in pietra, molto simili a quelle che ordinavano i cortili delle case genovesi e su tutta la costa ligure, oppure ancora pergolati lignei, si diffondono in tutta la zona.Le case nei paesi di montagna vengono r e s t a u r a t e e riutilizzate, adornate da stupende viti che d a d e c e n n i l e d e c o r a n o avvinghiandosi alle pareti. Le cantine della tradizione vinicola riprendono vita, vengono recuperate e
riadattate alle mutate esigenze.
88Nella foto: vigne a sud di Bellinzona
Nella foto: rustico Cabbio val di Muggio
Spesso diventano luoghi ameni immersi nella tranquillità e nella
bellezza delle vigne in cui ritirarsi dopo le fatiche lavorative e
dove invecchiare le botti del proprio vino, sudato per tutto un
anno di duro lavoro.
Un passatempo che ridisegna il paesaggio e che riscopre le
tradizioni che altrimenti si perderebbero nell!oblio.
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90
Aurelio Galfetti
Lo stato si impegna nel ritrovare e restaurare vigneti di pregio storico e di indubbia bellezza come nei dintorni del castello di Belinzona dove un magn i co vigneto tenuto in modo impeccabile sembra incastonare la secolare bellezza del castello grande e delle sue mura.L archi tet to Aurel io Galfetti è l del restauro del castello s u d d i v i s o i n d u e momenti: il primo dal
91Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
1981 al 1991 ed il secondo dal 1992 al 2000.
Aurelio Galfetti è nato a Lugano nel 1936. Dopo gli studi al
Politecnico federale di Zurigo, apre uno studio di architettura a
Lugano nel 1960.
Tra il 1962 e il 1980 collabora con gli architetti F. Ruchat, I.
Trümpy, I. Gianola, L. Vacchini, M. Botta, R. Tami e L. Snozzi. Nel
1984 insegna in qualità di professore invitato al Politecnico
federale di Losanna, assumendo un impegno didattico che
avrebbe proseguito in seguito a Parigi (UP8, 1987) e
all!Accademia di Architettura di Mendrisio (1996-2006), come
direttore, professore di progettazione, responsabile del ciclo
Master per l!architettura del territorio, nonché esprimendosi
regolarmente nell!ambito di conferenze e seminari.
L!esperienza del restauro del castello di Bellinzona dura oltre
dieci anni e si trasorma in un progetto di natura territoriale come
lo stesso Galfetti descrive:
“ -Conservare = trasformare- è stato lo slogan che ha sorretto il
lungo lavoro di restauro durato quasi dieci anni.
Nel rapporto tra antico e contemporaneo, negli inevitabili conflitti
per rendere veramente possibile questo confronto diretto tra
passato e presente senza subordinare quest!ultimo a presunti
maggiori valori del passato, ho impegnato molte energie. Nel
passato, durante 6000 anni, a partire dalla nascita del villaggio
neolitico sulla sommità della collina, questo rapporto tra vecchio e
nuovo si è più volte realizzato senza le difficoltà che oggi invece
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incontra, conferendo all!insieme costruito quella particolare
bellezza che deriva dalla stratificazione delle varie epoche. Con il
restauro non ho evidentemente voluto interrompere questo
processo, ma continuarlo nella contemporaneità. Tuttavia, a
distanza di 25 anni, di questo restauro, ciò che forse sarà più
duraturo è ciò che è stato fatto in modo silenzioso, senza grandi
conflitti: come ad esempio l!introduzione nel lavoro di restauro
della dimensione territoriale.
L!incarico prevedeva infatti solo il restauro degli edifici che stanno
sulla sommità della Rocca. Ho creduto che fosse più importante
dare al restauro una dimensione urbanistica. Il progetto di
supporto a tutto il restauro è quello del parco della città di
Bellinzona, un parco fatto solo di roccia, muri di pietra, erba, 4
alberi, un “laghetto” e il cielo. Un parco é uno spazio da
percorrere e quindi il suo progetto é un progetto di percorso che
attraversa uno spazio pubblico, un vuoto che mette in relazione
gli utenti con il grande paesaggio giù fino al lago Maggiore, su
fino alle Alpi. “
Aurelio Galfetti
93
incontra, conferendo all!insieme costruito quella particolare
bellezza che deriva dalla stratificazione delle varie epoche. Con il
restauro non ho evidentemente voluto interrompere questo
processo, ma continuarlo nella contemporaneità. Tuttavia, a
distanza di 25 anni, di questo restauro, ciò che forse sarà più
duraturo è ciò che è stato fatto in modo silenzioso, senza grandi
conflitti: come ad esempio l!introduzione nel lavoro di restauro
della dimensione territoriale.
L!incarico prevedeva infatti solo il restauro degli edifici che stanno
sulla sommità della Rocca. Ho creduto che fosse più importante
dare al restauro una dimensione urbanistica. Il progetto di
supporto a tutto il restauro è quello del parco della città di
Bellinzona, un parco fatto solo di roccia, muri di pietra, erba, 4
alberi, un “laghetto” e il cielo. Un parco é uno spazio da
percorrere e quindi il suo progetto é un progetto di percorso che
attraversa uno spazio pubblico, un vuoto che mette in relazione
gli utenti con il grande paesaggio giù fino al lago Maggiore, su
fino alle Alpi. “
Aurelio Galfetti
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Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
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L’intervento di Galfetti trova sostenitori in tutta la comunità di
architetti internazionali e viene preso ad esempio come termine di
paragone.
Da Castelgrande si gode anche di un'ottima vista sulla zona
circostante: circa 200 metri più in alto troneggia il castello di
Sasso Corbaro, e sotto, circondato da vigneti, il castello.
Bellinzona, nota anche con il soprannome di «Turrita», oltre a
essere la capitale cantonale, abbonda di torri, mura e castelli.
Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
Questo è un paesaggio curato, attento, la passione per il territorio
educa le persone ad una nobiltà d!animo, una nobiltà contadina
persa nelle pagine di scrittori dimenticati.
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L’intervento di Galfetti trova sostenitori in tutta la comunità di
architetti internazionali e viene preso ad esempio come termine di
paragone.
Da Castelgrande si gode anche di un'ottima vista sulla zona
circostante: circa 200 metri più in alto troneggia il castello di
Sasso Corbaro, e sotto, circondato da vigneti, il castello.
Bellinzona, nota anche con il soprannome di «Turrita», oltre a
essere la capitale cantonale, abbonda di torri, mura e castelli.
Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
Questo è un paesaggio curato, attento, la passione per il territorio
educa le persone ad una nobiltà d!animo, una nobiltà contadina
persa nelle pagine di scrittori dimenticati.
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RISCOPERTA
Queste colline vengono insediate di nuovo e la loro riscoperta ha
portato alla creazione di un nuovo mercato: quello del vino.
Questo mercato incrementa la ricchezza dei coltivatori in termini
di: crescita, successo, aumento del lavoro stagionale, possibilità
di investire i guadagni in ristrutturazioni volte al turismo eno-
gastronomico e altro ancora.
Nella foto: vigne del comune di Coldrerio.
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RISCOPERTA
Queste colline vengono insediate di nuovo e la loro riscoperta ha
portato alla creazione di un nuovo mercato: quello del vino.
Questo mercato incrementa la ricchezza dei coltivatori in termini
di: crescita, successo, aumento del lavoro stagionale, possibilità
di investire i guadagni in ristrutturazioni volte al turismo eno-
gastronomico e altro ancora.
Nella foto: vigne del comune di Coldrerio.
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E! interessante vedere come il progresso e la tecnologia,
permettano di valorizzare in modo efficace, culturalmente e
socialmente utile, il territorio. Come una vigna possa trasformare
e creare positivamente un indotto che va, in maniera sempre più
penetrante, affascinando un!utenza sensibile alla bellezza e ai
piaceri del gusto, che la natura ci può regalare.
Non è un caso se, in un momento critico e di recessione come
quello che stiamo attraversando, sopravviva e sia anzi in forte
espansione il mercato del vino e ci sia un incremento per il
piacere del palato, del gusto e della convivialità che il vino,
nettare per eccellenza, regala ai suoi estimatori.
Nella foto: vigne del comune di Coldrerio.
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L!architettura non è impassibile o indifferente a tutto ciò: da
tempo le vigne non sono più solo esperienze contadine ma
vengono celebrate ed utilizzate per radicare i progetti al suolo. La
vigna e la casa che le sta accanto sono diventate un icona nella
concezione dell!abitare ticinese e creano intorno a loro un
interesse economico volto a produrre e ad abbellire e mantenere
il territorio. Le vecchie cantine restaurate diventano Crotti,
ristoranti tipici, che propongono piatti semplici della tradizione
alpina, oppure seconde case dove ospitare gli amici per cena o
rilassarsi lontano dal caos del lavoro quotidiano.
Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
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L!architettura non è impassibile o indifferente a tutto ciò: da
tempo le vigne non sono più solo esperienze contadine ma
vengono celebrate ed utilizzate per radicare i progetti al suolo. La
vigna e la casa che le sta accanto sono diventate un icona nella
concezione dell!abitare ticinese e creano intorno a loro un
interesse economico volto a produrre e ad abbellire e mantenere
il territorio. Le vecchie cantine restaurate diventano Crotti,
ristoranti tipici, che propongono piatti semplici della tradizione
alpina, oppure seconde case dove ospitare gli amici per cena o
rilassarsi lontano dal caos del lavoro quotidiano.
Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
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Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
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Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
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Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
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Luigi Snozzi
Architetto di fama internazionale, da sempre ha caratterizzato la
sua opera attraverso un ossessiva ricerca dei luoghi. Per lui
parlano i progetti, si è sempre rifiutato di pubblicizzare i suoi
lavori, di vendere le sue tavole e i suoi modelli, gli schizzi sono
per lui strumento di lavoro, effimeri, e quindi dopo il loro uso
vengono distrutti.
Da sempre la sua attività si è contrapposta al modaiolo evolversi
della progettazione; resistenza , critica, polemica, lotta seguono
ogni sua opera fin da quando nel 1985 si insediò come
professore al Politecnico di Losanna, fortemente voluto dagli
studenti (snozzidarnösc). Queste sue note di scontro, di
anticonformismo, lo hanno portato ad essere stimolante e
creativo.
“ In ogni denuncia o in ogni elegia si nasconde naturalmente lo
spazio per un utopia e l!utopia consiste nel credere che le cose
potrebbero anche andare diversamente”
(Max Frisch, corriere del Ticino 1983)
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La scelta di esprimere le proprie convinzioni solo attraverso le
sue opere lo ha reso unico e forse poco conosciuto rispetto ai
nomi più blasonati dell!architettura internazionale.
“ Un progetto parla un linguaggio molto più chiaro di un
manifesto”
(Luigi Snozzi)
Il luogo è presente in maniera maniacale nelle opere di Snozzi.
L’architetto analizza l’uomo moderno, si accorge che quest’ultimo
ha perso il relativo spazio vitale, l’identità, L’orientamento, ossia
“il luogo” . L’uomo ha perso i propri riferimenti, vive alienato in un
mondo che non riconosce più che non gli appartiene.
Secondo Snozzi tutte le azioni dell’uomo necessitano di un luogo
appropriato per potersi realizzare. Il luogo quindi è parte
integrante delle azioni umane; indissolubilmente l’uomo è legato
al rapporto con gli uomini e senza questo legame perde di senso
l’esistenza stessa.
Una casa di Snozzi è ancorata alla natura, inamovibile,
profondamente innovatrice ma con un occhio sempre rivolto al
territorio e alle linee che lo compongono. I volumi sono e
sembrano scaturire dalla naturale morfologia del sito; il sapiente
uso dei materiali, delle forme, dei pieni e dei vuoti radica le
costruzioni al territorio con un forte legame. Di solito si tratta di
due volumi intersecati ravvivati da una tensione portata
attraverso l’uso di finestre a nastro e porticati che sembrano voler
104
rompere l’unione dei solidi portando dinamicità; specchi d’acqua,
piccole piscine strette e lunghe, sono concepite per suggellare
questa tensione tra i volumi.
Nella foto: casa Menazzi.
I muri a secco, soprattutto nelle costruzioni su declivi, sembrano
essere parte storica dell’intervento, una preesistenza che
suggella il legame dell’architettura con la storia del Ticino dove
numerose delle sue residenze sono state pensate. L’architettura
di Snozzi prende e assume valore dal confronto con il luogo.
105
rompere l’unione dei solidi portando dinamicità; specchi d’acqua,
piccole piscine strette e lunghe, sono concepite per suggellare
questa tensione tra i volumi.
Nella foto: casa Menazzi.
I muri a secco, soprattutto nelle costruzioni su declivi, sembrano
essere parte storica dell’intervento, una preesistenza che
suggella il legame dell’architettura con la storia del Ticino dove
numerose delle sue residenze sono state pensate. L’architettura
di Snozzi prende e assume valore dal confronto con il luogo.
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Nella foto: casa Snider a Verscio.
Razionalità e trasparente intelligenza emergono con forza dai
progetti. Un efficiente sistema ordinatore emerge con spontaneità
dalle linee che seguono queste case. Le esperienze nelle valli del
Ticino, dove il tessuto leggibile è il più fragile della comunità, è di
una innocente spontaneità e indiscutibile efficacia.
106
Nella foto: casa Wasler a Loco.
Nel rapporto tra luogo e spazio è racchiuso l!uomo, poiché la
relazione dell!uomo con i luoghi e attraverso i luoghi con gli spazi
risiede nel abitare. Le case di Snozzi aiutano l!uomo ad abitare
e ,attraverso i luoghi, lo collocano in una dimensione reale.
107
Nella foto: casa Wasler a Loco.
Nel rapporto tra luogo e spazio è racchiuso l!uomo, poiché la
relazione dell!uomo con i luoghi e attraverso i luoghi con gli spazi
risiede nel abitare. Le case di Snozzi aiutano l!uomo ad abitare
e ,attraverso i luoghi, lo collocano in una dimensione reale.
107
Il Cantone Ticino con il suo paesaggio complesso e mutevole ospita numerose case di Snozzi, tutte accomunate dall estrema forza comunicativa e dalle profonde radici con il suolo. Casa Morisoli, ad e s e m p i o , s o r g e s u u n l o t t o estremamente piccolo, si tratta di due case contigue che sorgono sul limite della strada. Dal parcheggio coperto, percorrendo pochi gradini, si arriva alla quota del giardino dove un portico conduce all ingresso. Ai piani superiori, una a dal soggiorno affaccia sul giardino interno, mentre gli oblò sul retro consentono la visione del paesaggio circostante, caratterizzato dalla presenza di un folto vigneto. Le due case si uniscono ai piani superiori lasciando che al piano terreno dei vuoti rompano la rigidità dei volumi.
108Nella foto: casa Morisoli Locarno (piante).
Questa realizzazione fu possibile grazie alle nuove norme
sull!edificazione in Ticino che consentivano la costruzione di due
abitazioni così vicine.
Nella foto: casa Morisoli Locarno.
Gli spazi interni sono quelli classici dell!architetto dove doppie
altezze e ambienti luminosi trovano la celebrazione assoluta. Le
ampie finestre rendono possibile la vista dei vigneti circostanti
che già negli anni 80 iniziavano a comparire nei giardini e nei
piccoli spazi che le cittadine del Cantone offrivano, segno di
109
quanto questo processo sia radicato e ormai giunto alla fase
matura.
Nella foto: casa Morisoli Locarno.
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Casa Guidotti, nota anche come casa del sindaco è sicuramente
quella che presta più attenzione al tema dei vigneti nel Cantone.
Edificata nel 1984 a monte Carasso, pochi chilometri a sud di
Bellinzona, si tratta di un edificio forte rispetto al profilo del paese,
costituito da abitazioni di pochi piani, ed emerge come una
piccola torre isolata in mezzo ad una vigna direttamente al centro
dello stesso. Segna con precisione il luogo in cui l!anello viario
del paese cambia direzione; costituisce un eccezione, un sistema
isolato dalle tipologie esistenti ma legata alla storia e alle
tradizioni dalla vigna che, recuperata, costituisce una
preesistenza storica.
Nella foto: casa Guidotti monte Carasso (piante).
111
Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
112
Il soggiorno al piano terra, aperto su un vuoto a doppia altezza, si prolunga a l l e s t e r n o c o n u n a terrazza lunga e stretta e i n u n a p e r g o l a c h e delimitano e seguono il bordo della strada.Tu t t i ques t i e lement i riprendono le proporzioni e gli orientamenti dei lari della vigna, che occupa il corti le interno. Snozzi utilizza le geometrie e le forme dei i per creare e suggellare la tensione che nelle sue case lega i volumi principali.Le aperture e i telai delle
e sono tutte regolate dal passo dei . Casa G u i d o t t i s i i m p o n e fortemente sul o del
113Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
Il soggiorno al piano terra, aperto su un vuoto a doppia altezza, si prolunga a l l e s t e r n o c o n u n a terrazza lunga e stretta e i n u n a p e r g o l a c h e delimitano e seguono il bordo della strada.Tu t t i ques t i e lement i riprendono le proporzioni e gli orientamenti dei lari della vigna, che occupa il corti le interno. Snozzi utilizza le geometrie e le forme dei i per creare e suggellare la tensione che nelle sue case lega i volumi principali.Le aperture e i telai delle
e sono tutte regolate dal passo dei . Casa G u i d o t t i s i i m p o n e fortemente sul o del
113Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
paese e trae la sua forza dalla vigna, che da sempre è il cuore di questo abitato.
114Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
CONCLUSIONI
L!architettura è una forma d!arte, forse la più complessa e deve
tener conto di tutte le altre arti e fonderle in uno spazio. Un buon
architetto è quello interessato al mondo e ciò che accade in esso,
quello che indaga sui margini, sulle spazialità complesse, sul
concetto di luogo e sulla terra.
Il luogo è quello dell!interazione umana e, per gestire e ospitare
una simile complessità, bisogna che si studino spazi appropriati.
La sensibilità di un architetto verso il suolo che gli appartiene è
qualcosa di naturale, di una bellezza semplice, genuina, ma non
scontata. Chi riesce ad osservare la realtà con occhio critico e
indagatore, si eleva ad una condizione di outsider che gli
permette di capire i meccanismi, come uno spettatore posto
dietro le quinte che riesce a cogliere i tempi e i delicati equilibri
che regolano una buona rappresentazione.
Se si guarda veramente ad un paesaggio, si possono intuire i
lenti meccanismi che lo regolano, la natura non è soggetta alle
nostre leggi, anche se spesso è piegata al nostro volere.
115
CONCLUSIONI
L!architettura è una forma d!arte, forse la più complessa e deve
tener conto di tutte le altre arti e fonderle in uno spazio. Un buon
architetto è quello interessato al mondo e ciò che accade in esso,
quello che indaga sui margini, sulle spazialità complesse, sul
concetto di luogo e sulla terra.
Il luogo è quello dell!interazione umana e, per gestire e ospitare
una simile complessità, bisogna che si studino spazi appropriati.
La sensibilità di un architetto verso il suolo che gli appartiene è
qualcosa di naturale, di una bellezza semplice, genuina, ma non
scontata. Chi riesce ad osservare la realtà con occhio critico e
indagatore, si eleva ad una condizione di outsider che gli
permette di capire i meccanismi, come uno spettatore posto
dietro le quinte che riesce a cogliere i tempi e i delicati equilibri
che regolano una buona rappresentazione.
Se si guarda veramente ad un paesaggio, si possono intuire i
lenti meccanismi che lo regolano, la natura non è soggetta alle
nostre leggi, anche se spesso è piegata al nostro volere.
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La nostra epoca ha prodotto più veleni, costruito più strade,
disboscato, avvelenato l!aria; il progresso ha soffocato spesso il
buon senso.
Dobbiamo tener conto dell!impatto che le nostre azioni hanno
sull!ambiente e sulla nostra vita e su quella delle generazioni
future.
Una vigna ha un potere straordinario, ordina, abbellisce con un
rigore naturale ma allo stesso tempo controllato. Il vignaiolo è il
miglior architetto, conosce l!orografia, la storia del suo paesaggio,
le preesistenze storiche, l!illuminotecnica, l!idrografia, l!arte, la
geometria e la botanica. Chi imposta un vigneto si pone una serie
di domande che sono tipiche dell!indagine architettonica; la
posizione è quella giusta? la disposizione dei pieni e dei vuoti
consente una giusta illuminazione? la quantità di acqua piovana
in che modo influirà sul suolo e sulla sua solidità? come saranno
le stagioni? che inclinazione bisogna dare per sfruttare il calore
naturale? quali sono le corrette proporzioni per ottenere il
giusto?
Le vigne e le soluzioni che da mil lenni sono state
affinate ,possono e devono essere infinita fonte di ispirazione per
un architetto.
L!architettura sostenibile cerca di risolvere gli stessi problemi che
i vignaioli si trovano a dover affrontare. Il legame con il terreno, il
naturale inserimento, la luce e il calore, non si possono ignorare.
La forza del paesaggio che le vigne creano sono un esempio di
116
abbagliante bellezza; il vignaiolo si isola, sceglie un luogo, lo
conosce a fondo, se ne innamora, lo fa suo, lo cura, lo protegge
non lo abbandona. La vite è vita e il vignaiolo interpreta la vita,
adatta la sua a quella dei tralci e si sacrifica per dare al suo vino
un!anima, la sua. Se un architetto riuscisse a raggiungere una
tale simbiosi con il terreno e con i luoghi allora si che stile e
forma sarebbero parte di qualcosa di unico, di potente e
irresistibile.
I vini sono una questione di semplicità: i sofismi che alcuni
produttori inventano per poter primeggiare gli rubano vita, il vino
dev!essere il frutto dell!interpretazione del terreno per ottenere un
prodotto corretto, sincero, che scaturisce da una determinata
terra.
Così le case devono essere il prodotto della terra, non un
imposizione. L!architetto è il mezzo che realizza ciò che la terra
richiede, interpretandone i segni.
117
118
Bibliografia
-G. Buzzi, Atlante dell’edilizia rurale in Ticino, edizioni scuola
tecnica superiore del Canto Ticino, Locarno 1993.
-D. Cavazza, Viticoltura, UTET, Torino 1934.
-D. Cavazza, Viticoltura in: nuova enciclopedia agraria italiana in
ordine metodico redatta da cultori delle diverse discipline
agrarie, uniti tipografi torinesi, Torino 1923.
-G. Dalmasso I. Eynard, Viticoltura moderna, manuale pratico,
editore unico Hoelpi, Milano 1979.
-M. Fregoni, M. Boselli, potatura della vite, Reda, Roma 1982.
-E. Corazzina, La coltivazione della vite, botanica, morfologia,
impianto, potatura, difesa, vendemmia, uva da tavola,
edizioni l’informatore agrario, Verona 1988.
-A.I. Pini, Vite e vino nel medioevo, editrice Clueb, Bologna 1989.
119
-M. Manaresi, Il Burson, l’uomo, la vite, il vino, società editrice Il
Ponte Vecchio, Cesena 2005.
-A. Morando, Vigna Nuova, materiali e tecniche per l’impianto del
vigneto, Edizioni Vit.En., Asti 2001.
-L. Benevolo, I segni dell’uomo sulla terra, una guida alla storia
del territorio, Accademia universitaria della Svizzera
italiana, Mendrisio 2000.
-P. Disch. Luigi Snozzi, Buildings and project 1958-1993, text by
A.Siza, R Diener, P.A. Croset, ADV Publishing House,
Lugano 1994.
-L. Zangheri, Storia del giardino e del paesaggio, il verde nella
cultura occidentale, Leo S. Olschki, Città di Castello (PG)
2002.
-E. Turri, Il paesaggio come teatro, Marsiglio Editori, Venezia
1998.
120
Bibliografia
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