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FIG. I - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA IL CORTILE D'INGRESSO LA GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA A PALERMO L E RACCOLTE d'arte appartenenti al Museo di Palermo ebbero, fin dal loro inizio nei primi decenni dell'Ot- tocento, un carattere misto, archeologico e medioevale- moderno i e i due rami ricevettero poi un incremento diverso, ma quantitativamente quasi parallelo. Quando fu costituito il Museo Nazionale, questo comprendeva (non considerando le collezioni minori) due sezioni ben distinte: il Museo archeologico e la Pinacoteca, riunite nella stessa sede sotto la direzione di un archeologo. La necessità pratica e scientifica di dividere i due rami era sentita da moltissimo tempoi ma le intenzioni e i progetti di coloro che si erano adoperati a questo scopo aveva- no sfortunatamente sempre segnato il passo di fronte alla difficoltà di trovare una sede separata per il nuovo isti- tuto, destinato alle opere d 'a rte medioevali e moderne. La guerra ha in un certo senso tagliato i nodi , o almeno aiutato a scioglierli: da un lato rendendo attuale e indi- spensabile l'operazione, dopo lo smontaggio e lo sgom- bero del vecchio Museo i dall'altro costringendo le mo- nache che occupavano il Palazzo Abbatellis, colpito da bombe nel 1943, a ritirarsi in un'ala secondaria. Allora l'edificio monumentale quattrocentesco fu preso in con- segna dalla Soprintendenza ai Monumenti per il restauro i e in seguito fu raggiunto l'accordo per una spartiZIone defini tiva di tu tta l'area annessa all' edificio dalla parte FIG. 2 - PALERMO, - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA LA LOGGIA posteriore. In tal modo, dopo le intenzioni manifestate da più di trent 'an ni e i tentativi fatti anche in altre dire- zioni, come Palazzo Chiaramonte o Palazzo Sclafani, è toccato finalmente al Palazzo Abbatellis di dar sede al nuovo istituto, che si è inaugurato il 23 giugno 1954 col nome di " Galleria Nazionale della Sicilia". In questa occasione anche si tenne a Palermo un Congresso dei Direttori di Museo, organizzato in collaborazione dalla Direzione Generale delle Belle Arti e dall' Assessorato per la P. L della Regione Siciliana. Nel 1943 il Palazzo Abbatellis, che è un edificio quadrato intorno a uno spazioso cortile, aveva subìto il crollo quasi completo del lato destro, su cui si apre il bellissimo log- giato. La Soprintendenza ai Monumenti ne iniziò il restauro dopo la guerra, ricostruì il loggiato, e quindi , attraverso le stasi consuete dovute alla scarsezza dei finanziamenti, proseguì fino al 1953 un delicato lavoro di consolidamento murario e di liberazione da tutte le aggiunte disordinate che il palazzo aveva sofferto in quasi cinque secoli che era ridotto a convento. Nello stesso tempo, dal '50 in poi, e cioè da quando lo scrivente rice- vette dalla Direzione Generale l'incarico di sistemare la nuova Galleria di Palermo, si vennero raccogliendo nel palazzo non solo le opere d'arte medioevale e moderna poste in ricovero durante la guerra, ma anche tutte le altre, numerosissime e ingombranti, che per essere me- no preziose erano rimaste immagazzinate nel vecchio Museo (anche in questo si lavorava, destinato ormai es- clusivamente al materiale archeologico, e quindi si doveva ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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FIG. I - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA

IL CORTILE D'INGRESSO

LA GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA A PALERMO

L E RACCOLTE d'arte appartenenti al Museo di Palermo ebbero, fin dal loro inizio nei primi decenni dell'Ot­

tocento, un carattere misto, archeologico e medioevale­moderno i e i due rami ricevettero poi un incremento diverso, ma quantitativamente quasi parallelo. Quando fu costituito il Museo Nazionale, questo comprendeva (non considerando le collezioni minori) due sezioni ben distinte: il Museo archeologico e la Pinacoteca, riunite nella stessa sede sotto la direzione di un archeologo. La necessità pratica e scientifica di dividere i due rami era sentita da moltissimo tempoi ma le intenzioni e i progetti di coloro che si erano adoperati a questo scopo aveva­no sfortunatamente sempre segnato il passo di fronte alla difficoltà di trovare una sede separata per il nuovo isti­tuto, destinato alle opere d 'arte medioevali e moderne.

La guerra ha in un certo senso tagliato i nodi, o almeno aiutato a scioglierli: da un lato rendendo attuale e indi­spensabile l'operazione, dopo lo smontaggio e lo sgom­bero del vecchio Museoi dall'altro costringendo le mo­nache che occupavano il Palazzo Abbatellis, colpito da bombe nel 1943, a ritirarsi in un'ala secondaria. Allora l'edificio monumentale quattrocentesco fu preso in con­segna dalla Soprintendenza ai Monumenti per il restauro i e in seguito fu raggiunto l'accordo per una spartiZIone defini tiva di tu tta l'area annessa all' edificio dalla parte

FIG. 2 - PALERMO, - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA

LA LOGGIA

posteriore. In tal modo, dopo le intenzioni manifestate da più di trent'anni e i tentativi fatti anche in altre dire­zioni, come Palazzo Chiaramonte o Palazzo Sclafani, è toccato finalmente al Palazzo Abbatellis di dar sede al nuovo istituto, che si è inaugurato il 23 giugno 1954 col nome di " Galleria Nazionale della Sicilia". In questa occasione anche si tenne a Palermo un Congresso dei Direttori di Museo, organizzato in collaborazione dalla Direzione Generale delle Belle Arti e dall' Assessorato per la P . L della Regione Siciliana.

Nel 1943 il Palazzo Abbatellis, che è un edificio quadrato intorno a uno spazioso cortile, aveva subìto il crollo quasi completo del lato destro, su cui si apre il bellissimo log­giato. La Soprintendenza ai Monumenti ne iniziò il restauro dopo la guerra, ricostruì il loggiato, e quindi, attraverso le stasi consuete dovute alla scarsezza dei finanziamenti, proseguì fino al 1953 un delicato lavoro di consolidamento murario e di liberazione da tutte le aggiunte disordinate che il palazzo aveva sofferto in quasi cinque secoli che era ridotto a convento. Nello stesso tempo, dal '50 in poi, e cioè da quando lo scrivente rice­vette dalla Direzione Generale l'incarico di sistemare la nuova Galleria di Palermo, si vennero raccogliendo nel palazzo non solo le opere d'arte medioevale e moderna poste in ricovero durante la guerra, ma anche tutte le altre, numerosissime e ingombranti, che per essere me­no preziose erano rimaste immagazzinate nel vecchio Museo (anche in questo si lavorava, destinato ormai es­clusivamente al materiale archeologico, e quindi si doveva

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FIG. 3 - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA LE SALE DELLA SCULTURA

sgombrarne i locali). Il Palazzo Abbatellis era in pratica ancora soltanto un cantiere di muratori; pure si superò, con grande disagio e preoccupazione, la difficoltà di dovervi depositare dipinti e statue, compierne la revi­sione e cominciare a restaurarli, in mezzo alla polvere e al disordine. Si svolse così il lavoro preparatorio della nuova Galleria, e mentre il restauro monumentale rico­stituiva l'ossatura dell'edificio, si venivano precisando i valori delle cose destinate ad esservi contenute, sia in senso positivo che negativo: se infatti una I Testa di Cri­sto', già attribuita al Correggio, rientrava irrimediabil­mente nella palude dei falsi insieme con altri quadri meno clamorosi, balzavano invece fuori dalle ridipin­ture fulgide gemme come i I Tre Santi' di Antonello, e molti altri dipinti s'illuminavano di nuova luce, special­mente nel campo della pittura quattrocentesca isolana.

Infine la Soprintendenza ai Monumenti consegnò il Palazzo Abbatellis alla Soprintendenza alle Gallerie nel 1953, e questa ne compì la sistemazione vera e propria a museo in meno di un anno, valendosi della collabora­zione dell' Arch. Carlo Scarpa. Furono necessarie nuove opere murarie, intese soprattutto a risanare dall'umidità

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alcune pareti, a rendere più agevole il giro delle sale e a migliorarne in qualche caso la luce; si studiarono con cura particolare il taglio dei nuovi passaggi, l'uso della pietra, la qualità degli intonaci e le tinteggiature, al fine di ottenere una nota dominante di armonica semplicità. Alla quale si vollero sempre adeguare, pur se marcati talvolta da un vivo gusto personale, anche i particolari relativi all' esposizione delle opere. Il problema era in­fatti soprattutto quello di ottenere una naturale fusione fra contenente e contenuto, fra l'architettura di Matteo Carnelivari e il museo; l'uno doveva far vivere l'altra, la­sciandone intatta l'ariosa limpidezza e quel gusto fanta­stico e giovanile, quasi di capricciosa serietà, che scaturisce dall'unione del gotico catalano con lo spirito del rinasci­mento. Oggi, con la sua destinazione a museo, il Palazzo Abbatellis è forse l'esempio più vivo di questo momento nobilissimo dell'architettura di Palermo.

L'opera di Matteo Carnelivari è dunque la prima che il visitatore può ammirare entrando nel cortile della Galleria, dove l'ombra severa dello scalone e del portico s'illeggiadrisce sul verde degli erbosi riquadri listati di pietra. Dal cortile, sulla sinistra, si accede alle sale del pianterreno: gli avanzi di un portale arabo in legno inta­gliato, alcuni avanzi architettonici gotici e qualche scul­tura decorano l'ingresso e la susseguente aula, costituita dalla porzione terminale della chiesa, che fu addossata al fianco sinistro del palazzo dopo la sua costruzione, quindi già nel '500, e che rappresenta con le sue altis­sime volte costolonate un curioso esempio di tarda revi­viscenza gotica. Essa ha una nuda abside quadrata, di epoca ancora più tarda, illuminata da una cupola, e qui, nel fondo dell'abside, si trova il grandioso affresco del • Trionfo della Morte, proveniente dal Palazzo Sclafani. Quest'opera enigmatica, dipinta a Palermo verso la metà del '400 da un ignoto maestro che parlava una lingua internazionale mista di inflessioni genericamente fiam­minghe, spagnole, francesi e italiane, è quasi il simbolo delle molteplici correnti d'arte che affluirono in Sicilia attraverso il Mediterraneo; e quindi è in un certo senso anche logico che si presenti subito al visitatore. Ma tale posizione era inoltre obbligata dalle eccezionali dimen­sioni del dipinto (circa sei metri di altezza per sette di larghezza), che nessun'altra sala avrebbe sopportato. Il • Trionfo' è una recentissima acquisizione alle raccolte della Galleria: distaccato dopo la guerra dal Palazzo Sclafani, esso era stato collocato nella sala d'onore del Municipio, che ha acconsentito a lasciarlo trasferire nella Galleria e che qui è doveroso ringraziare per la compren­sione dimostrata verso la nostra richiesta. Esso è stato restaurato (staccato dal vecchio supporto, alleggerito dell'intonaco sul tergo, applicato su tela, pulito e rein­tegrato) dal personale dell'Istituto Centrale del Restauro; i mezzi finanziari sono stati messi a disposizione dall' As­sessorato Regionale, e tutto il lavoro è stato compiuto nel Palazzo Abbatellis, nonostante le difficoltà a cui abbiamo accennato prima, durante l'ultimo periodo di sistemazione della Galleria. Il problema dell'applicazione del dipinto sulla parete, in modo che non fosse a contatto col muro e permettesse un controllo da tergo in caso di bisogno, e nello stesso tempo non ne fosse troppo

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distaccato (per ovviare a una luce ec­cessivamente radente nell'avvicinarsi alla perpendicolare della cupola), è stato risolto in maniera abbastanza ardita, date le di~ensioni dell'opera, con un telaio metallico tubolare rin­forzato, incernierato su cuscinetti a' sfere a una colonna montante; in tal modo si potrà, occorrendo, far ruo­tare in fuori l'affresco come se fosse un enorme sportello. Un doppio ve­lario steso all'altezza dell'anello della cupola ha procurato una diffusione uniforme della luce.

Uscendo dall' abside, si passa a quello che dovette essere in origine un ingresso laterale del palazzo in comunicazione col cortile: sono qui esposti il famoso vaso arabo in cera­mica, forse del sec. XIII, con deco­razioni di oro pallidissimo su fondo avorio, e l'altro in terracotta grezza, recentemente acquistato dal Mini­stero e donato alla Galleria di Paler­mo. Seguono tre sale di scultura: nella prima domina il busto di Eleo­nora d'Aragona, e vi hanno il loro posto anche la statua della Madonna e la testa di un paggio, dello stesso Laurana, con altri tre pezzi mino­ri; nella seconda è rappresentata la scuola dei Gagini con una elegante

FIG. 4 - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA: SALA DEI GAGINI

testa di S. Vito e con tre Madonne, di cui una è quella gentilissima, cosiddetta del Buon Riposo, di Antonello Gagini; nell'ultima si trovano due statue e alcuni basso­rilievi cinquecenteschi, e vi è esposto provvisoriamente il busto di Pietro (o Niccolò?) Speciale attribuito al Lau­rana, che il proprietario avv. Puglia, su nostra richiesta, ha gentilmente concesso alla Galleria per un anno m occasione della inaugurazione.

D al fondo di quest'aula una breve scala moderna in pietra, disegnata con particolare finezza dall'arch. Scarpa, allaccia il circuito interno della Galleria allo scalone originale del palazzo, che conduce al primo piano par­tendo direttamente dall'esterno del cortile. Dallo scalone si esce nel loggiato. Questo trovarsi sempre in contatto col fulcro del palazzo, che è il cortile, e perciò anche col sole e con l'azzurro che ne fanno parte, è una caratteri­stica della Galleria: il raccoglimento proprio delle sale di esposizione è vivificato per contrasto da questo con­tinuo aprirsi del circuito al respiro dell'architettura nella luce aperta dell ' esterno; e d 'altronde è quasi come se lo stesso cortile, col suo cielo e con la sua silenziosa inti­mità, fosse anch'esso una sala d'esposizione.

Sul loggiato hanno ingresso e finestre le prime due sale di questo piano, che è tutto destinato alla presenta­zione dei dipinti, qua e là variata, quasi di scorcio, da qualche oggetto di oreficeria o di altra specie. Trat­tandosi della parte del palazzo ricostruita dopo la falla creatavi dalle bombe, queste due salette hanno un taglio

semplicissimo di vani moderni, inseriti nel complesso an­tico con sincerità e soltanto con uno studio accurato delle proporzioni. Sono qui esposti i dipinti due e trecenteschi che documentano il vario affluire di opere e di artisti nella Sicilia di quel tempo, coi nomi di Bartolomeo da Camogli, di Giovanni di Nicola, di Turino Vanni, del Gera da Pisa (suoi la ' S. Agata ' e il ' S. Giorgio ', ricu­perati attraverso il restauro), di Niccolò di Magio da Siena, di Giovanni di Pietro da Napoli. Ma una novità veramente ragguardevole per la Galleria è la 'Croce' pisana, che anticipa di un secolo i rapporti artistici cono­sciuti fra Pisa e la Sicilia; è stata anch'essa ricuperata dagli orribili imbratti che la deturpavano e da una desti­nazione extra-Museo (era stata data in deposito al Museo Etnografico Pitrè), che certamente ha contribuito a ren­derla finora ignota anche agli specialisti dell'argomento. Si tratta di una Croce particolarmente vicina, anzi direi della stessa mano di quella di S. Paolo a Ripa d'Arno oggi nel Museo di Pisa, e quindi da attribuire a uno scolaro molto prossimo a Giunta Pisano.

La sala seguente contiene i dipinti del primo '400 siciliano, e vi si distinguono il Maestro del Polittico di Trapani e l'altro che ho chiamato Maestro delle Incoro­nazioni (v. Catalogo della Mostra di Antonello). Poi nel salone, che occupa tutta la lunghezza della facciata del palazzo fra le due quadrate torri angolari, si trovano le opere di Tommaso de Vigilia, con la serie dei suoi affreschi provenienti dalla cappella di Risalaimi, e altri

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FIG. 5 - PALERMO, - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILlA : IL SALONE

dipinti che appartengono al clima siculo-mediterraneo pro­prio della metà del secolo e decenni successivi. Le cinque grandi trifore dalle esilissime colonnine, col loro carattere

di esotica raffinatezza, si accordano pienamente con tale pittura; le loro luci incrociantisi dalle opposte pareti lunghe del salone non disturbano la buona visibilità delle opere,

essendosi disposti gli affreschi, che non dànno lustri, su quelle pareti che si scambiano la luce in faccia, e le tavole invece sulle altre due o al centro su ap­positi supporti: due Croci sono distri­buite in tal modo nel salone, e lo ani­mano con la loro linea decorativa. Un problema particolare da superare era qui costituito dal soffitto, che era stato ricostruito in cemento armato a trava­ture; è sembrato preferibile mante­nergli il suo carattere naturale, senza infingimenti di sorta, solo sovrappo­nendogli una superficie scabra di tinta a pastella adatta al colore delle pareti e tale da neutralizzarlo il più possibile.

FIG. 6 - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILlA : LA CROCE GlUNTESCA

Subito dopo viene la sala di Anto­nello, che occupa la posizione centrale e nello stesso tempo più raccolta del museo. All" Annunziata', posta al centro, e ai tre' Dottori della Chiesa', si accompagnano soltanto una I Madon­na' attribuita dal Berenson a Marco Basaiti, e un gonfalone processionale siciliano, che avviva coi suoi sottili intagli la penombra di un angolo e ricorda i gonfaloni perduti dipinti dal grande Antonello.

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Segue una sala dalle spaziose volte a crociera, che è di nuovo la chiesa già veduta, sopraelevata in questa parte fino al livello del primo piano, e che accoglie principal­mente opere di Riccardo Quartararo; a quelle già cono­sciute la Galleria ha aggiunto ora una grande • Croce, col Cristo rattrappito in una caricatissima smorfia di dolore, che era sempre stata in magazzino senza attribu­zione e che il restauro ha ricondotto ai suoi valori origi­nali. Un altro pezzo minore, diventato 'degno di esposi­zione, è la ' Madonna ' firmata da Niccolò da Pettineo, 1498, che era completamente sfigurata da una ridipin­tùra settecentesca.

Dall'alto si rivede il • Trionfo della Morte' in fondo all'abside della chiesa, mentre si passa nella sala dove sono esposte opere di Antonello Crescenzio e di altri pittori siciliani dei primi decenni del '500. Seguono i dipinti fiamminghi; la • Deposizione ' di Jan Provost, i trittici dell" Adorazione dei Magi ' e della' Deposizione , fanno corona a quel miracolo di finitezza e di consuma­tissima esperienza figurativa che è il famoso 'Trittico' del Mabuse. Due salette sono dedicate, l'una alla pittura italiana della prima metà del '500, con opere che hanno abbandonato senza alcun danno le vecchie attribuzioni un po' troppo rumorose a Raffaello, Andrea del Sarto e via dicendo; e l'altra a una scelta rappresentanza dei numerosi prodotti di Vincenzo de Pavia. All'ultima sala si è riservato il compito provvisorio di suggerire quella che sarà la prosecuzione della Galleria : accanto a una bella • Deposizione' di Palma il Giovane e a qualche altra opera di scuola veneta e cremonese, un dipinto di Mattia Preti, uno di Van Dyck (?) e uno del Novelli se­gnano il termine che lo spazio ha imposto allo svolgimento attuale del museo. Di qui si avrà poi l'ingresso alle future sale, quando sarà compiuto il lavoro di ricostruzione del­l'edificio che nel '700 ingrandi il convento, prolungando posteriormente il lato destro del Palazzo Abbatellis ; in esse troveranno luogo le opere dalla fine del '500 in poi, e le collezioni minori, ceramiche, ecc. Il lavoro di rico­struzione di quest'ala settecentesca, di cui rimangono in parte utilizzabili soltanto i muri perimetrali, è stato già predisposto dalla Soprintendenza ai Monumenti, con finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno.

La necessità di conservare ordinatamente e nel minore spazio possibile tutti i dipinti sei e settecenteschi, spesso di grandi dimensioni, che dovevano aspettare questa futura sistemazione, ha imposto di costituire dei depositi agili e razionali. Per i quadri più grandi sono state adibite a questo scopo le tre navate costruite forse nel '600 den­tro la chiesa goticheggiante che già conosciamo dal giro della Galleria (è proprio questa costruzione interna a dividere la chiesa primitiva, in alzato e in lunghezza, nelle due sezioni di cui abbiamo parlato, una al livello del pianterreno e l'altra allivello del primo piano) . Grandi telai metallici a rete sono allineati trasversalmente nelle navate laterali; essi sono impostati su binari mediante rotelle con cuscinetti a sfere, che ne consentono il faci­lissimo scorrimento nello spazio libero della nave cen­trale, in modo da consentire la piena visibilità dei quadri appesi a ciascun telaio, sia da una parte che dall'altra; la manovra è possibile a chiunque senza bisogno di aiuto,

FIG. 7 - PALERMO - GALLERIA NAZIONALE DELLA SICILIA

IL DEPOSITO DEI DIPINTI

anche se si tratti di pesanti tavole d'altare o delle enormi tele od affreschi del Novelli e di Vito d'Anna. Purtroppo le limitazioni finanziarie hanno concesso per ora di or­ganizzare razionalmente questo solo deposito ; ma è indi­spensabile crearne almeno un altro con telai di propor­zioni più piccole, scorrevoli su guide al soffitto invece che a terra, destinato alla rimanente grande quantità di dipinti che è ancora da sistemare.

La particolare necessità di questi depositi organizzati razionalmente per la Galleria di Palermo è determinata anche da un'altra ragione: la consistenza estremamente varia, quantitativa più che qualitativa, delle collezioni del Museo, le condizioni di conservazione del materiale, lo spazio .limitato, hanno imposto una scelta notevole dei pezzi da esporre. In un museo che, come quello di Palermo, si è andato accrescendo specialmente nel secolo scorso con una certa facilità, attraverso doni di intere collezioni private e acquisti compiuti anche presso anti­quari non eccessivamente qualificati, sono numerose le opere per una ragione o per l'altra poco adatte o addi­rittura inutili ad essere esposte al pubblico. T ali opere devono però essere conservate e tenute in ordine nel modo migliore, in depositi che ne consentano facilmente la ricerca e la visibilità.

Provvisoriamente, per ovviare alla insufficienza dei depositi, una sala indipendente dal circuito della Galleria

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e destinata alle attività periodiche di mostre temporanee didattiche e simili, è stata adibita a raccogliere una parte di tali opere, che maggiormente possono interessare gli studiosi: e cioè quelle che, ridipinte a oltranza e magari a ripetizione, com'è facile trovarne in Sicilia, oppure immalinconite dall'aria patetica e talvolta antica della re­plica, della copia o del falso, offrono qualche motivo di incertezza o di discussione. Questa sala, che rappresenta forse una novità nell'organizzazione di una galleria, po­tremmo chiamarla, senza offesa od impegno per nessuno, la "sala del dubbio ,,; e in fondo non è altro che una particolare sala di studio per gli specialisti, che al pub­blico non interessa.

Per il pubblico invece, e per espresso desiderio della Direzione Generale, è stato previsto l'impianto elettrico necessario a una eventuale illuminazione notturna della Galleria: le prove fatte in sede sperimentale hanno di­mostrato preferibile di mescolare un uso ridottissimo e debole di lampade fluorescenti, destinate a fornire una tenue luce diffusa, con l'uso prevalente di lampade a in­candescenza, dirette ad illuminare determinati oggetti o determinate zone. In pratica quindi l'illuminazione dovrà

LIBRI RICEVUTI

C. CESCHI, Architettura romanica genovese, Ed. Luigi Alfieri, Milano, 1954.

La breve ma chiara descrizione della città quale si presentava dall'VIII al XII secolo avvince fino dalle prime pagine l'interesse del lettore di questo volume, perché presenta l'ambiente in cui sorsero le chiese di quel tempo che ancora rimangono in Genova. Logge torri e porte, alcune sopravviventi nelle loro salde strutture, altre mentalmente ricostruibili attraverso gli avanzi pre­sentati ed illustrati, ci danno succose notizie sull'archi­tettura civile genovese quasi interamente distrutta nel volgere dei secoli dalle vicende politiche ed economiche. Vediamo la precoce apparizione dell'arco spezzato pre­gotico fino dai primi decenni del XII sec::llo nei portici di sottoripa; il singolare coronamento a triplice ordine di archetti pensili che completa la poderosa massa delle torri; i segni della confluenza delle correnti artistiche che caratterizzarono l'arte romanica in Liguria.

La trattazione acquista più ampio respiro quando l'in­teresse dell'autore si volge all'architettura religiosa per­ché, come dovunque, in periodo romanico, la capacità realizzatrice nel campo edilizio fu anche a Genova con­centrata nella costruzione delle chiese. E tutte le chiese, a partire da S. Fruttuoso di Capodimonte della seconda metà del X secolo fino a S. Giovanni di Prè del II 80, sono passate in esame, sia quelle giunte ad oggi in discrete condizioni, sia quelle in parte compiute su dati sicuri o graficamente presentate in base a pochi avanzi ed a dati attendibili.

L'analisi delle strutture e delle decorazioni autentiche, le deduzioni ricavate dall'esame dei muri superstiti e

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essere ottenuta soprattutto a mezzo di riflettori, in modo da calcolarne l'effetto migliore per ciascun'opera o grup­po di opere; e perciò l'impianto, a parte quello destinato alla luce di servizio per la custodia, si è principalmente costituito con una numerosa serie di prese di corrente nei punti ritenuti più idonei allo scopo.

Quanto ai servizi essenziali della Galleria per la con­servazione e il restauro delle opere, essi sono disimpe­gnati da un gabinetto per il restauro, un gabinetto foto­grafico e una falegnameria, alla cui moderna attrezzatura si è provveduto specialmente con un finanziamento appo­sito ottenuto dall'Assessorato Regionale. Di tali mezzi di lavoro la Soprintendenza deve servirsi per provvedere alle necessità di tutta la Sicilia; ma volendo ora limitarci solo a quanto riguarda la Galleria di Palermo, se ne può consta­tare visibilmente il risultato nel fatto che, salvo pochissimi casi, tutte le opere esposte sono state restaurate già prima dell'inaugurazione; e naturalmente il lavoro continua, al­meno nei limiti delle possibilità finanziarie, che purtroppo non sono ancora adeguate alle necessità di un istituto nato da poco ma già adulto, e per di più in attesa di crescenza, com'è la Galleria di Palermo. G. VIGNI

dei rimaneggiamenti avvenuti, sono condotte con splnto critico e formano oggetto di acute osservazioni, perchè l'a. si vale non soltanto di un'esperienza acquisita in decenni di operosità nella regione che lo ebbe capo del­l'ufficio di tutela dei monumenti, ma anche delle osser­vazioni condotte sul materiale offerto dalle regioni vicine che, come la Lombardia, ebbero parte nello sviluppo del­l'architettura romanica genovese.

Non sono ad esempio da passare sotto silenzio le nota­zioni sulle maestranze antelamiche operanti nella città al principio del XII secolo, ma particolare attenzione merita il capitolo riguardante le vicende costruttive della cattedrale di S. Lorenzo prima del secolo tre dicesi mo, nel quale maestri francesi si unirono ad artisti locali per iniziare la trasformazione del tempio. Fra l'altro nel duo­mo genovese sono rimasti, ottimamente conservati, i due portali, sui fianchi, di S. Giovanni (II30 c.) e di S. Got­tardo (II50 c.) il primo con sculture attribuibili ad artisti formatisi alla scuola di Wiligelmo; il secondo pure con decorazioni scultoree, ma poco più tarde, di carat­tere lombardo emiliano.

Nè mancano ampie notizie sui danni provocati dalla guerra, alcuni irreparabili, come la dolorosa perdita di S. Bartolomeo del Fossato, altri risarcibili come quelli di S. Maria della Vesulla che si è potuta ricostruire in base alle parti superstiti, salvo qualche soluzione ipote­tica onestamente indicata dall'autore.

Il Ceschi appartiene alla famiglia di quei tecnici -arti­sti che, avendo spiccate tendenze per gli studi storici, non si contentano di affrontare e risolvere ardui problemi di restauro, ma colgono l'occasione per indagare a fondo le vicende di un monumento, mettere in luce le varie fasi

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