La forza delle idee...“Mi è venuta un’idea”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase...

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“Mi è venuta un’idea”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase nel corso della nostra vita? Pensiamo, ad esempio, a quando eravamo bambini e la nostra fantasia girava a ruota libera senza fermarsi mai, senza pensare alle “conseguenze” del caso. “Mamma, mi è venuta un’idea”, mi dice spesso Arianna con gli occhi infiammati dal desiderio di potermela raccontare quanto prima; per i piccoli tutto è possibile ed ogni cosa può accadere. Ora soffermiamoci, invece, a contare nella mente quante di queste idee platoniche abbiamo davvero realizzato: probabilmente non ci occorrono nemmeno tutte le dita di una mano. Il punto è che, di solito, abortiamo le nostre idee ancor prima che la nostra bocca possa pronunciarle ad alta voce; non diamo credito ad esse perché “tanto sono solo stupidaggini”. E se, poi, queste idee, nascono spontaneamente e senza sforzo di pensiero allora vanno subito allontanate perché sicuramente non funzioneranno. Cosa accadrebbe qualora l’istinto, invece, avesse ragione? Dovremmo dare maggior credito alle nostre idee, perché è proprio da esse che si generano i grandi successi. Cosa sarebbe accaduto se Edison si fosse fermato a credere che la sua non era, poi, una così buona idea dato che tutti lo ritenevano un folle? Se Ford non avesse avuto fede nei suoi principi? Se l’inventore delle graffette non le avesse reputate un oggetto utile? Non è vero che la creatività degli esseri umani è morta, è solo in uno stato narcolettico in attesa del bacio del principe azzurro. L’omologazione del pensiero scolastico, il mito del posto fisso, lo spauracchio della crisi hanno contribuito a congelare la fantasia della creazione; perché “tanto non funzionerà”, perché “dove vuoi andare se non è riuscito a fare strada lui che ha più possibilità e conoscenze di te”. E ancora: “lascia stare che altrimenti ti accolli un fallimento”. La paura del fallimento; un concetto che, solo al pronunciarlo, in Italia fa girare la testa dall’altra parte e guardare per terra. Non c’è nulla di male, infatti, nel fallire poiché fallire significa averci provato; aver provato a dare credito a quelle idee, alla propria voce interiore. In America se non fallisci una volta nella vita non sei nessuno, qui, nel Bel Paese, se le cose ti vanno male rimani marchiato per il resto dell’esistenza e ripartire diventa la scalata all’Everest (le banche non ti danno più credito e via discorrendo). E’ una questione culturale, di mindset. Spesso si prova un po’ a casaccio, senza crederci pienamente fino in fondo: “Ma sì, ho aperto quell’attività ed è andata male, del resto che vuoi farci, si sa com’è questa città”. Manca il fuoco ardente dietro a queste idee, a questi progetti; una vision chiara che sia benzina quotidiana per il nostro motore. Quel fuoco capace di andare oltre agli ostacoli che si frappongono tra noi e la meta. Alimentiamo le nostre idee, cadiamo, sbagliamo, rialziamoci, riprogettiamo da zero, modifichiamo il modello di business: il futuro oggi è nelle nostre mani e non c’è niente di più bello. Il Direttore La forza delle idee LA RIVISTA INKALCE TRASFERISCE CULTURA RELAZIONALE E ISPIRAZIONE PER CHI CREDE NELLA RINASCITA DELL’ASSETTO ECONOMICO E IMPRENDITORIALE DEL TERRITORIO IN CUI VIVE. INKALCE CREA INTORNO A SÉ UNA COMMUNITY DEDICATA A CHI SCEGLIE IL LAVORO COME REALIZZAZIONE DEL SÉ E DESIDERA SUCCESSO PROFESSIONALE E STRAORDINARIA QUALITÀ DELLA VITA.

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“Mi è venuta un’idea”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase nel corso della nostra vita? Pensiamo, ad esempio, a quando eravamo bambini e la nostra fantasia girava a ruota libera senza fermarsi mai, senza pensare alle “conseguenze” del caso. “Mamma, mi è venuta un’idea”, mi dice spesso Arianna con gli occhi infiammati dal desiderio di potermela raccontare quanto prima; per i piccoli tutto è possibile ed ogni cosa può accadere. Ora soffermiamoci, invece, a contare nella mente quante di queste idee platoniche abbiamo davvero realizzato: probabilmente non ci occorrono nemmeno tutte le dita di una mano. Il punto è che, di solito, abortiamo le nostre idee ancor prima che la nostra bocca possa pronunciarle ad alta voce; non diamo credito ad esse perché “tanto sono solo stupidaggini”. E se, poi, queste idee, nascono spontaneamente e senza sforzo di pensiero allora vanno subito

allontanate perché sicuramente non funzioneranno. Cosa accadrebbe qualora l’istinto, invece, avesse ragione? Dovremmo dare maggior credito alle nostre idee, perché è proprio da esse che si generano i grandi successi. Cosa sarebbe accaduto se Edison si fosse fermato a credere che la sua non era, poi, una così buona idea dato che tutti lo ritenevano un folle? Se Ford non avesse avuto fede nei suoi principi? Se l’inventore delle graffette non le avesse reputate un oggetto utile? Non è vero che la creatività degli esseri umani è morta, è solo in uno stato narcolettico in attesa del bacio del principe azzurro. L’omologazione del pensiero scolastico, il mito del posto fisso, lo spauracchio della crisi hanno contribuito a congelare la fantasia della creazione; perché “tanto non funzionerà”, perché “dove vuoi andare se non è riuscito a fare strada lui che ha più possibilità e conoscenze di te”. E ancora: “lascia stare che altrimenti ti accolli un fallimento”. La paura del fallimento; un concetto che, solo al pronunciarlo, in Italia fa girare la testa dall’altra parte e guardare per terra. Non c’è nulla di male, infatti, nel fallire poiché fallire significa

averci provato; aver provato a dare credito a quelle idee, alla propria voce interiore. In America se non fallisci una volta nella vita non sei nessuno, qui, nel Bel Paese, se le cose ti vanno male rimani marchiato per il resto dell’esistenza e ripartire diventa la scalata all’Everest (le banche non ti danno più credito e via discorrendo). E’ una questione culturale, di mindset. Spesso si prova un po’ a casaccio, senza crederci pienamente fino in fondo: “Ma sì, ho aperto quell’attività ed è andata male, del resto che vuoi farci, si sa com’è questa città”. Manca il fuoco ardente dietro a queste idee, a questi progetti; una vision chiara che sia benzina quotidiana per il nostro motore. Quel fuoco capace di andare oltre agli ostacoli che si frappongono tra noi e la meta. Alimentiamo le nostre idee, cadiamo, sbagliamo, rialziamoci, riprogettiamo da zero, modifichiamo il modello di business: il futuro oggi è nelle nostre mani e non c’è niente di più bello.

Il Direttore

La forza delle idee

LA RIVISTA INKALCE TRASFERISCE CULTURA RELAZIONALE E ISPIRAZIONE PER CHI CREDE NELLA RINASCITA DELL’ASSETTO ECONOMICO E IMPRENDITORIALE DEL TERRITORIO IN CUI VIVE. INKALCE CREA INTORNO A SÉ UNA COMMUNITY DEDICATA A CHI SCEGLIE IL LAVORO COME REALIZZAZIONE DEL SÉ E DESIDERA SUCCESSO PROFESSIONALE E STRAORDINARIA QUALITÀ DELLA VITA.

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4LA FORMULA DEL FRANCHISING SECONDO ASENTIVReplicabile, vincente

16PAOLO MASSOBRIOEnogastronomia,gusto ed eleganza

32PROFESSIONI DIGITALI

6 Moltiplika: il valore delle relazioni

7 Reinventa: la seconda vita delle città

15 Maio Restaurant, tra piatti gourmet e una location da sogno

17 Quando il vino è sinonimo di business

23 Cocchi e i cocktails famosi nel mondo

32 Gli effetti di Instagram

33 Evitare le fake news

34 Come produrre video con lo smartphone

36 Consulente di media relations e consulente editoriale

38 Guadagnare con la SEO

39 Katia Moretto

43 Massimo Giofré

44 Referral marketing

46 Blockchain e cryptoasset

47 Marco Capelletto, il filosofo della finanza

52 Carolina Fisicaro: donne e denaro

53 Daniele Mangano, con la mente nel robot

54 L'Egitto di Belzoni

50RE-BELLE BOX

Cultura ribelle

IN COPERTINA

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FOODEXPERIENCE

LETIZIA GJERGJIL'arte del mio gelato

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IGINIOMASSARI

MOSCHELLAPasticceria simbolodell'impresa giovane

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NOBERASCOLa mission come chiave del successo

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FOCACCE ITALIANECreatività razionale

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17FRANCO PEPEArtigiano al servizio del territorio

20REALIZEIl successo si crea nel retro

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MARCOBIANCHI

24WEDDING PLANNERProfessionisti alla ricerca del dettaglio

26NATASHA STEFANENKONon abbiate paura di essere voi stessi

27CAMILLO'S BAKERYMangeria e beverianel cuore di Vercelli

35&LOVEI contenuti prendono vita

37LEROSAIl digitale positivo

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FRANCESCORENGA

48IVAN MISNER

Vi racconto come ho creato BNI

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MissionAttraverso consulenza dinamica negli affari,coaching e strategie di marketing relazionale distintive, Asentiv crea comunità di imprenditori e professionisti uniti dalla stessa mentalità, che generano affari straordinari e una vita spettacolare!

www.italia.asentiv.com

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Negli ultimi dieci anni, il giro d’affari è cresciuto del 17 %, come attesta il Rapporto Assofranchising Italia: segno che anche nel nostro Paese l’interesse verso il mondo del franchising sta crescendo.«Si tratta di un’attività imprenditoriale, non meno importante e impegnativa di chi decide, invece, di mettersi in proprio con un nome nuovo; scegliere il franchising significa entrare in possesso di conoscenze, strumenti e valori già produttivi: questo facilita il compito e permette di dedicare tutte le energie al business operativo che porta al risultato e non alla costruzione di tutto il suo contorno».Dario Castagna e Monica Passini, Master Franchisee Asentiv Italia, spiegano quali sono i vantaggi per chi decide di abbracciare un Brand attraverso il franchising, «tenendo conto che sovente è il franchising a scegliere le persone giuste che possano diffondere il suo verbo: è importante, infatti, che chi decide di essere franchisee di un’organizzazione sia allineato in relazione a valori e spirito personale e professionale».Altro tassello importante, nella relazione di un professionista con il franchising scelto, è la riflessione che può nascere riguardo la capacità di essere efficiente e di essere efficace. Ricordiamo, innanzitutto, la distinzione dei due termini: mentre l'efficacia indica la capacità di raggiungere l'obiettivo prefissato, l'efficienza valuta l'abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili.

In sintesi: considerando un dato obiettivo, è possibile che lo raggiungiamo ma con una gran fatica e mettendo in campo strumenti ed energie superflue; azione efficace ma non efficiente. Essere efficaci vuol dire raggiungere, sì, quel dato obiettivo, ma utilizzando meno risorse possibili (di tempo, di soldi, di energie). Si è molto efficaci e molto efficienti quando si raggiunge il massimo spendendo il minimo. Scegliere di essere parte di un franchising significa avere quegli strumenti che permettono al professionista di diventare efficace ed efficiente.

Uno dei primi vantaggi da tenere in considerazione «è la comodità di avere un modello di business da utilizzare, già testato e scelto proprio perché funzionale: la ricerca del giusto business model è sicuramente uno dei passaggi più difficili

per un’azienda, perché determina il successo di un’attività».Non solo il modello di business: «Quando si sceglie di rappresentare un Brand, si acquisisce la possibilità di fare nostri tutti quei successi che, proprio in nome di quel Brand, sono stati compiuti: in questo modo sarà più semplice costruire la propria credibilità. Attraverso l’affiliazione, infatti, si assorbe tutto il valore di un Brand».Si sente spesso parlare, quando si parla di imprenditoria, di solitudine: c’è chi, infatti, vive la sofferenza di una solitudine imprenditoriale e chi, invece, si riferisce

La formula del Franchising secondo Asentiv

CONOSCIUTA, REPLICABILE E VINCENTE

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Essere parte di un Franchising significa avere quegli strumenti che permettono di diventare efficaci zed efficienti

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proprio alla mancanza di un team di supporto; «Con un franchising non accade, perché si entra a far parte di una squadra con cui condividere lo stesso percorso, dove vige una sana competizione che garantisce una proficua crescita personale e che permette di non vivere una sorta di agonismo imprenditoriale; non solo: la stessa possibilità di fare carriera interna è sia aperta a tutti sia rappresentativa di un progetto comune. Il tutto, arricchito dalla presenza costante di un Master Franchisee: un mentore permanente, pronto a supportare il suo team a livello

collettivo e individuale. Oltre al mentoring, essere in un franchising significa assicurarsi una formazione continua e specifica, evitando così la doverosa ricerca di consulenti e formatori esterni».Infine, in un settore – quello imprenditoriale – in cui sembra quasi un ossimoro abbinare la parola lavoro a quello di sicurezza, «un franchising maturo si presenta sicuramente come una soluzione sicura, perché in esso si riduce il rischio di insuccesso. È un Brand già esistente, conosciuto, replicabile e indipendente. In sintesi, vincente».

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FAMILY DINNERNon è certo una novità che la convivialità sia un vero e proprio strumento di aggregazione, capace di far nascere nuove relazioni e di consolidare quelle già esistenti: nel primo caso si possono annoverare gli Speed Dating, informali appuntamenti in cui, davanti a un aperitivo o a una cena, si conoscono nuove persone; nel secondo caso, invece, è sufficiente considerare tutte le tradizioni esistenti da secoli, ripetute regolarmente durante l’anno, che vedono famiglie intere attorno a una tavola, tradizioni di cui l’Italia è regina e che scandiscono la vita nella memoria di un individuo.Della “Family Dinner” si può dire che abbia preso tutti i lati positivi dei diversi tipi di convivialità, perché unisce la possibilità di dare vita a nuove relazioni con quella di affiatare ancor di più quelle già esistenti.A differenza delle classiche “cene di fine corso, di fine anno, di fine lavoro” a cui si è abituati, la Family Dinner, è un momento conviviale organizzato dopo che i presenti hanno passato insieme solamente qualche ora; questo permette di conoscersi in maniera più approfondita e di vivere il resto dei giorni con un senso di appartenenza più profondo e avendo già individuato

chi potrebbe divenire parte della propria vita personale o professionale.Non solo: a differenza delle classiche cene a cui siamo abituati, solitamente immaginate dentro a un ristorante, la Family Dinner è organizzata tendenzialmente a casa degli organizzatori, oppure all’interno di un ambiente collettivo; il principio è quello del “bene comune”, dove l’ideale è cucinare insieme e il proprietario di casa mette a disposizione i suoi utensili. Possibilmente niente sedute a tavola: la Family Dinner prevede dinamicità, un buffet a cui servirsi, posti sempre differenti a cui sedersi in modo da avere sempre qualcuno di diverso accanto.Quello della Family Dinner è un concetto ancora nuovo per la realtà italiana, benché il Bel Paese sia il detentore degli appuntamenti culinari, ma sono già molte le organizzazioni e le aziende che la preferiscono al classico appuntamento di “ultimo giorno”: segno, questo, che tutto si muove sempre di più nella direzione della cura delle relazioni, in qualunque ambiente ci troviamo. Anche in Asentiv è stata scelta la Family Dinner: un appuntamento che anche in questa organizzazione punta a diventare tradizione.

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Nel cercare di riassumere ciò che di positivo Moltiplika ha assorbito da Asentiv, è spontaneo notare che tutto si riduce sotto il capitolo delle relazioni. Solo all’apparenza, infatti, i vantaggi spiegati da Federico Giacomuzzi e Marco Grandinetti sembrano essere punti diversi, ma analizzati riportano tutti alla fondamentale cura dei rapporti per il buon funzionamento di un’azienda.Ciò che di diverso hanno scoperto esserci in Asentiv, rispetto agli altri corsi di formazione, è la possibilità di andare a lavorare su quello che è non solo il marketing di un’azienda bensì dell’imprenditore stesso: Asentiv, infatti, pone al centro del business i valori, i principi e l’essenza di chi l’azienda la rappresenta. Vision, Mission e Target Market grazie ad Asentiv sono costruite sulla base di quell’esperienza di vita che in qualsiasi individuo ha lasciato il segno fino a divenire la motivazione per cui si prendono determinate scelte.Possibilità, questa, che Asentiv permette di condividere con altri imprenditori e che, per Federico e Marco, fa la differenza: si va infatti a lavorare all’interno di Community composte da persone che occupano posizioni

professionali completamente differenti. È proprio qui, dunque, che si rivela il valore aggiunto del marketing costruito su misura della persona e non dell’azienda. Non solo: questo, spiegano, dà la possibilità di rendere ancora più ricca la formazione, proprio perché ci si ritrova immersi in un ambiente poliedrico e si sa che è dal confronto con ciò che non conosciamo che deriva la nostra conoscenza. Le persone che abbiamo intorno ci influenzano (direttamente o indirettamente), anche quando non ce ne rendiamo conto. In questo senso, raccontano Federico e Marco, va a collegarsi l’importanza di Asentiv, capace di far aprire gli occhi sulla qualità delle relazioni professionali e personali che fanno parte del nostro quotidiano. Uno dei cambiamenti più importanti che Federico e Marco hanno apportato al processo di Moltiplika è stato proprio quello di chiudere i rapporti professionali con quelle persone che non erano né allineate all’azienda né capaci di essere proficue. Spesso, spiegano, siamo mossi dai sensi di colpa e dai retaggi che ci obbligano a mantenere in piedi qualsiasi relazione, sebbene ci rendiamo conto sia dannosa. Sono rapporti che ci limitano, che ci allontanano dalla Vision. Il fatturato, aggiungono, è una conseguenza di questa scelta selettiva: non va rincorso, bensì curato alla base.E nulla più di un cambiamento positivo può avvicinare a quella che è la propria Vision, timone di qualsiasi percorso aziendale e personale. Proprio in questo, concludono Federico e Marco, Asentiv fa la differenza, rispetto a qualsiasi altro percorso: nella possibilità di capire chi sei stato e chi sei oggi, per meglio comprendere chi vuoi essere non solo nel tuo futuro ma già nel tuo presente. Per sognare in grande, aggiungono, capisci che è necessario non essere soli: Asentiv abbatte il muro della solitudine imprenditoriale e personale, ostacolo più grande alla realizzazione dei nostri progetti.

Il valore delle relazioniper il raggiungimento

della Vision

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Sarebbe sufficiente il suo nome per comprendere pienamente la sua mission: lei è Reinventa, l’azienda il cui obiettivo è quello di migliorare la città attraverso la cura di quelle che Fabrizio Dragoni, il presidente, chiama “ferite”. Case abbandonate, edifici dismessi, grandi fabbriche vuote, strutture lasciate sole dopo averle costruite: sono loro le protagoniste del lavoro di Reinventa, che attraverso una serie di servizi, segue tutte le fasi di una consulenza alla compravendita di terreni e immobili da riqualificare, proponendo solo operazioni di successo. La certezza, quindi, di riqualificare un territorio e creare nuove opportunità di sviluppo, comunità e lavoro.Sono fondamentalmente tre le grandi branche tra le quali si muove Reinventa: quella dedicata ai proprietari di aree e immobili abbandonati, in disuso o che abbiano bisogno di essere ceduti per riuscire ad avere una nuova possibilità di vita; quella per gli investitori, perché «aiutare gli imprenditori a realizzare un loro progetto è il modo migliore per contribuire allo sviluppo della società – spiega Dragoni -: in questo modo la volontà di un individuo incontra la necessità di un’area o di un territorio intero, va quindi a soddisfare, molto probabilmente, i bisogni di numerosi cittadini». Un servizio, questo, che in Reinventa prevede tutta una serie di azioni da attuare per raggiungere gli obiettivi prefissati dagli operatori

REINVENTALA SECONDA VITA

DELLE CITTÀ

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Riqualificare il territorio, creando nuove opportunità di sviluppo, comunità e lavoro.

del settore immobiliare o, come dicevamo, da chi vuole investire o creare impresa; infine, quella dedicata all’organizzazione della domanda, che ben si lega a tutti gli altri settori targati Reinventa: «Per far sì che ogni immobile abbia la sua giusta destinazione d’uso, quindi i giusti utenti che lo possono abitare, è importante capirne la destinazione». Un servizio non solo dedicato alla seconda vita di un immobile dismesso, ma anche a quei cantieri che incontrano problematiche, come quella dell’invenduto, per andare a capire quale potrebbe essere la soluzione. Una mission, quella di Reinventa, che si muove accompagnata dalla Malquati Real Estate, che si occupa di fornire servizi di supporto allo sviluppo immobiliare tenendo sempre fede a un approccio etico ed estetico.

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Food experience

IGINIO MASSARIL'artedell'equilibrio

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FOCACCE ITALIANELa creatività razionale di Luca

pag. 14

CANNAVACCIUOLO"I miei piatti devono emozionare"

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FRANCO PEPEArtigiano al serviziodel territorio

pag. 17

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Una storia positiva di imprenditoria giovane e al femminile arriva da Rimini. Leticia Gjergji nata a Scutari, in Albania, 29 anni fa ma in Italia dal 2000, ha creato un’attività in cui il gelato si fa arte. Ha iniziato come conista a 18 anni per pagarsi gli studi e non pesare sulla sua famiglia. «Ho imparato osservando. Poi, ho iniziato a fare corsi per prepararmi professionalmente e apprendere le tecniche più sofisticate. Ho preso come riferimento i grandi maestri gelatai che mi hanno permesso di capire che si tratta di una vera arte. Lo scorso anno finalmente ho potuto aprire la mia gelateria», dice la giovane imprenditrice. Il locale si chiama Un cono di ghiaccio dolce. L’ispirazione è arrivata a Leticia leggendo il romanzo Memorie di una Geisha e, in particolare, il momento in cui il direttore incontra la geisha e le regala il cono di ghiaccio dolce: da quel momento nasce l’amore. «Mi auguro che anche le persone che provano il mio gelato se ne innamorino», racconta Leticia. Il suo è un gelato di vera qualità senza preparati, conservanti, coloranti chimici e grassi idrogenati. I gusti sono tanti e dai nomi decisamente originali e fantasiosi: Bianco Timut, con cioccolato bianco biologico e pepe Timut o Sayuri con cioccolato al caramello, anacardi sabbiati al curry e sale di Cervia. «Mi piace creare continuamente nuovi gusti. Li testo con il pubblico e nella maggior parte dei casi riscuotono successo – prosegue - Ho sei differenti gusti al cioccolato, ma anche quelli senza latte e con frutta fresca biologica». La maggior parte delle materie prime vengono dalle terre di San Patrignano: «Il mio gelato è fatto con ingredienti a metro zero, come li definiscono i ragazzi della comunità. Ho scelto di acquistare da loro per valorizzare il territorio circostante e dare un’opportunità concreta a chi sta cercando un riscatto nella vita», sottolinea Gjergji. In particolare, il gusto Borgo è stato premiato come Miglior Gelato d’Italia 2019. Il verdetto è arrivato

nell’ambito del concorso I Migliori Dolci d’Italia, tenuto alla Fiera del Tirreno CT a Marina di Carrara, promosso e organizzato dalla Federazione Internazionale Pasticceria, Gelateria e Cioccolateria (FIPGC). Un intreccio perfetto tra tradizione e innovazione formato da squacquerone, pesto alla rucola biologica, olio evo e pinoli cotti al tegame. «Il Borgo è una dichiarazione d’amore a Rimini, alla Romagna, a questa terra meravigliosa che mi ha accolto come una figlia», dice Leticia con una voce colma di emozione. La giovane gelataia ha creato quest’attività mettendoci tutta se stessa: «Ho una grande passione per la cucina. Per questo mi diverto a sbizzarrirmi creando gusti di gelato inediti». Non mancano anche torte gelato, semifreddi, granite, tartellette farcite con crema e frutta e maritozzi caldi. «Sono felice, ho una squadra unita che mi supporta nella gestione e nelle creazioni. I miei clienti mi apprezzano e stimolano. Mi sento molto fortunata» aggiunge la giovane. Leticia Gjergji è davvero instancabile. Dalla sua voce traspaiono energia, determinazione e positività. Una giovane imprenditrice sempre orientata al futuro: «Il gusto che presto inserirò si chiama Koyo (in giapponese indica la contemplazione dei colori autunnali) e sarà fatto con zucca biologica, noci pecan e cannella indonesiana». Forse non è un caso che un poeta come Fabrizio De André cantando Rimini abbia citato proprio i gelati tra le bellezze della città. Il calore e la bellezza della Romagna hanno accolto Leticia, dandole la possibilità di realizzare i suoi sogni. E lei ha fatto del gelato la sua arte e il suo successo.

LETICIA GJERGJIL’ARTE DEL MIO GELATO

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È limitante identificare la pasticceria con la capacità di produrre un dolce. La pasticceria è l’arte dell’equilibrio, è la cura dell’estetica immediata, l’attenzione alla bellezza armoniosa. La bontà di un dolce altro non è che l’espressione completa dell’unione di tutti questi elementi.

Nel sentirlo parlare della sua professione sembra di tornare indietro nel tempo, a quando da bambini rimanevamo con la bocca semiaperta di fronte alle vetrine delle pasticcerie, la domenica mattina, inebriati dal profumo delicato della crema non appena varcavi l’ingresso.

Emozioni di cui Iginio Massari è il Re indiscusso: Maestro dei Maestri Pasticceri italiani, fondatore dell’accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, consigliere di Relais Dessert, cuoco e, dallo scorso maggio, miglior pasticcere del mondo eletto in occasione del World Pastry Stars 2019 organizzata da Italian Gourmet.

Emozioni che sono tutte racchiuse nella sua mission, quella di mescolare le conoscenze, le competenze e le tecniche applicative imparate nei lunghi anni di lavoro, per offrire al suo pubblico vere e proprie opere d’arte culinarie che si distinguano, che si riconoscano, che si ricordino.

Per offrire qualcosa di particolare, dice.Ma la particolarità, spiega Massari a Inkalce, non la devi cercare. È il risultato di una logica comportamentale, del lavoro costante, della voglia di avere sempre più conoscenza; è sufficiente un’intelligenza media per diventare pasticcere, dice il Maestro bresciano, ma la riuscita dipende dall’impegno e dalle doti individuali di una persona.

IginioMassariL'ARTE DELL'EQUILIBRIO

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Non si creda che la pasticceria sia solo manualità: le mani di un pasticcere devono essere collegate al cervello, l’organo dal quale nascono le tecniche di pasticceria.

Mani, cervello. E cuore. Perché per Massari la pasticceria è legata anche alla sua emotività, nei ricordi di sua madre, che aveva una trattoria gelateria: il mio lavoro, racconta, ha una sfumatura marcata di affetto, ma cerco di tramandare una nuova tradizione.

Il passato, dunque, che si fonde al presente e al futuro. Nella sua vision dice di essere quello di oggi ma pur sempre attento a essere attuale nel tempo. Il presente, spiega Massari, è l’unico momento da vivere a pieno titolo, senza nostalgia di quello che c’è stato e senza paura di quello che ci sarà.

La paura è spesso ciò che blocca anche i giovani, aggiunge, che devono imparare a credere in quello che dicono di volere. Senza fare nulla, è vero, non si teme nulla. Ma se non si fa nulla, non si ottiene nulla. Non bisogna avere timore di sbagliare ed è fondamentale sviluppare uno spirito sincero di autocritica. Non solo. Perché nella sua vision c’è anche la possibilità di rappresentare, attraverso la sua arte pasticcera, l’Italia: sono malato di italianità, ammette sorridendo.

Di complimenti ne riceve tanti, il Maestro. Dai suoi clienti delle sue pasticcerie d’Italia (Brescia e Milano), dagli esperti critici, ma se gli si chiede qual è il migliore che potrebbe sentirsi fare è legato, indiscutibilmente, alla sua mission: mi piace, dice, quando riconoscono nei miei prodotti la particolarità. Distinguersi significa aver fatto bene il proprio lavoro, perché si è riusciti a inserire l’ingrediente fondamentale: il proprio sé.

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Distinguersi significa aver fatto bene il proprio lavoro, perché si è riusciti a inserire l’ingrediente fondamentale: il proprio sé.

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Glielo si chiede in momenti separati, senza dar loro modo di prepararsi, eppure le risposte sono le stesse. Stessa Vision, stessa ambizione. Una complementarietà che va ben oltre le differenze dei ruoli professionali che ricoprono. E un valore aggiunto: quello di avere una totale fiducia uno nell’altro, che ha permesso loro di dare vita alla loro idea e di trasformarla in un’azienda.Nicolò e Christopher Moschella, 25 e 29 anni, sono i titolari della pasticceria “Moschella”, che oggi è anche un marchio registrato.Per Nicolò è difficile stabilire se sia stato lui a scegliere la pasticceria o se sia stata la pasticceria a scegliere lui. Già allievo dell’Istituto Alberghiero, Nicolò aveva scelto la strada della cucina dato il suo amore per il buon gusto; la passione per il cibo lo avvicinò a questo mondo già da bambino, anche se, ancora ai tempi delle scuole superiori, non era ben chiaro in lui cosa volesse “fare da grande”. Lui aveva scelto semplicemente di seguire il suo istinto.Mentre Nicolò frequenta la terza superiore, la scuola organizza un evento di pasticceria che vede protagonista Iginio Massari. In quell’occasione il noto pasticcere presentò il suo libro, “Non solo zucchero” (Italian Gourmet edizioni), che Nicolò comprò, incuriosito dall’aver conosciuto quello che poco dopo diverrà il suo Maestro. È proprio attraverso quell’appuntamento con Massari che Nicolò conosce la vera pasticceria: già affascinato dai dolci delle botteghe e dalle crostate profumate delle panetterie, scopre un mondo fatto di colori, forme, preparazioni, strumenti, tecniche. Scopre che la pasticceria è una scienza perfetta ed è per questo, attraverso la sua tendenza a essere molto preciso, che se ne innamora.E di Massari diventa allievo, arrivandoci con le idee chiare su chi voleva essere. Nicolò non aveva dubbi: sapeva di voler unire il suo amore per la pasticceria alla volontà di

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Nicolò e Cristopher: la loro pasticceria simbolo della gioventù che fa impresa

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fare impresa. Un desiderio che ha incontrato quello di suo fratello Cristopher: ed è così che nasce l’azienda Moschella, nella quale lui si occupa di tutta la parte gestionale, amministrativa e commerciale mentre Nicolò segue il laboratorio di pasticceria.Una scelta, quella imprenditoriale, sicuramente non adatta a tutti, dice Cristopher, ma solo a chi ha il coraggio di affrontare le sfide quotidiane, la pazienza di stringere i denti nel periodo di Startup, la fiducia nel progetto e nella Vision. In tanti, sostiene il 29enne, si lasciano andare alle difficoltà già all’inizio: sta proprio lì il bivio dove si separa chi non è portato per l’imprenditoria e chi, invece, ha tutte le carte per farcela. Così come le ha chi vive come Nicolò, che racchiude in una frase tutto il senso di ciò che fa: amo troppo lavorare per permettermi di fare un lavoro che non mi piace.Oggi la pasticceria Moschella prepara dolci per numerosi ristoranti di Milano e nonostante il loro forte legame con il territorio lombardo, Nicolò e Cristopher sognano di espandere sempre di più il marchio Moschella e di essere conosciuti in tutta Italia così come in Europa.

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Coerenza. Si può dire sia questa la virtù più nobile che, dall’esterno, si percepisce della Noberasco. Il ponderare le scelte dei suoi Brand Ambassador, la diffusione della sua mission attraverso ogni singolo dettaglio quotidiano, l’approccio sempre studiato e preciso al cliente attraverso gli eventi e i prodotti. All’interno della storica azienda, si lavora costantemente tenendo il focus sui giusti messaggi da mandare, facendo attenzione che ogni scelta sia coerente e allineata.Azienda italiana leader nel settore alimentare, Noberasco è regina nel mercato italiano della frutta secca e disidratata: fondata nel 1908 da Benedetto Noberasco, la società è stata perfettamente in grado di adattarsi ai cambiamenti della società e del mercato, dimostrando di avere tutta la versatilità necessaria a sviluppare una capacità imprenditoriale ispirante e funzionante. Prova ne è la leadership che è riuscita ad acquisire all’interno delle più grandi catene di supermercati e dei punti di ristoro stradali, nei quali Noberasco ha saputo trovare il modo per distinguersi a colpo d’occhio, rispetto ai suoi competitors, e dove viene sempre scelta come garanzia di prodotti di grande qualità.«Garantire consumo di frutta e verdura, lontano dal momento del raccolto, senza compromettere i valori nutrizionali: questa è una parte della nostra mission. Obiettivo che raggiungiamo attraverso l’innovazione e andando a curare le relazioni con i clienti – spiega Mattia Noberasco, amministratore delegato della Noberasco, intervistato per Inkalce –. Non solo: per noi è importante che la mission sia compresa anche da chi lavora in azienda, per questo abbiamo un “Welcome Kit” destinato ai nuovi dipendenti: all’interno si trova, ad esempio, il Company Profile aziendale dove sono esplicitati tutti i valori aziendali. La nostra mission è scritta, chiara e diffusa: cerchiamo di informare il più possibile le persone su quali sono gli obiettivi a cui tendiamo e il motivo del nostro lavoro».

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Una mission che l’azienda ha cercato di riassumere nel payoff, cambiato due anni fa e che oggi rappresenta pienamente l’impresa: «“Facile star bene”. È una sintesi estrema, sulla quale insistiamo molto, affinché diventi uno slogan riconoscibile e pienamente rappresentante; abbiamo scelto questa frase proprio basandoci sulla mission aziendale, così come tutte le altre attività che facciamo, dalla comunicazione al marketing, tutte rispettano questo messaggio. Anche la scelta dei nostri Brand Ambassador deve rispettare pienamente la mission, per questo oggi i nostri testimonial sono Federica Brignone (sciatrice alpina, ndr) e Leonardo Fioravanti (orgoglio italiano nel surf mondiale, ndr). Perché oltre ad aver abbracciato uno stile di vita sano, sono impegnati in lotte per la difesa dell’ambiente. Hanno i nostri stessi valori».La perfetta fedeltà alla mission sembra quindi essere la chiave del successo di Noberasco, ma l’occhio è sempre diretto anche alla vision: «La nostra vision si riadatta sempre sia perché, una volta raggiunta quella stabilita, bisogna rinfrescarla, sia perché è necessario che sia coerente alle esigenze di mercato. Oggi la nostra vision è improntata allo sviluppo di nuovi mercati, tenendo sempre conto della facile replicabilità del prodotto Noberasco, quindi per noi è importante tenere alta l’attenzione non solo sul business ma anche sulla capacità di continuare a distinguersi. Puntiamo tutto sull’innovazione: in questi anni abbiamo sempre colpito nel segno, lavoriamo ogni giorno per continuare a farlo».

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Specifica di essere della vergine, ascendente pesci. Un binomio che lo rende capace di razionalizzare la sua creatività, facendo in modo che un’idea diventi un progetto di successo. È questo il suo talento: mescolare la fantasia alla sistematicità, dare all’estro la possibilità di accompagnarsi a un percorso strategico e concreto, centrando così gli obiettivi imprenditoriali.Focacce Italiane è il marchio registrato da Luca Della Torre, che ha voluto ufficializzare l’esistenza del tipico prodotto italiano: l’ispirazione è arrivata una sera, racconta Luca, al cinema; riceve un messaggio sul telefonino da un’amica del Brasile, che gli dice che nel sud America non si trovava la focaccia italiana. Come tutti coloro che sviluppano una mente imprenditoriale - volta all’essere un po’ visionari -, Luca inizia a vedere in quell’sms l’opportunità di un nuovo progetto: iniziava a chiedersi, infatti, perché non esistesse nulla che definisse e proteggesse un alimento così storico e caratteristico della nostra Terra.Luca decide quindi di recarsi in Liguria, per imparare tutti i segreti della focaccia: si accorge, però, che proporre un prodotto già esistente senza nessun particolarità che lo differenziasse non avrebbe funzionato. Lascia, allora, che a stimolarlo siano tutti i viaggi che ha fatto nella sua vita: ciò che ha visto, i profumi, i sapori. Aiutato da un amico

chef, è così che Luca dà vita alle focacce con cui oggi desidera importare cultura in Italia e nel mondo. Quello di Focacce Italiane è un alimento tipico ma atipico: la focaccia, sì, ma colorata, profumata di nuovi ingredienti e proposta in forme insolite capaci di versatilità e innovazione, come il suo essere contenitore alimentare di insalate ricercate. La ricchezza delle focacce è legata alla loro facilità di consumo: possono essere apprezzate a colazione e merenda nella versione dolce,

costituire un pasto con le versioni guarnite e farcite, piacciono durante l’aperitivo accompagnate ad un drink e soddisfano l’appetito a qualsiasi ora del giorno, con l’abitudine di consumarle a casa o per strada.Il rispetto della cultura gastronomica del nostro Paese incontra, così, la voglia di diventare un Brand a cui appartenere, un lifestyle che

si scosta dal locale in cui pranzare perché si è di passaggio divenendo, invece, un nome sotto il quale sentirsi allineati per valori e cultura.Il desiderio di Luca, oltre a far riconoscere Focacce Italiane da chi comprende la sua potenzialità, è doppio: poter diventare un punto di riferimento nel mondo del food and beverage italiano, importando nel mondo la tradizione gastronomica del Paese; essere presente, con i suoi prodotti, agli eventi più esclusivi tramite catering specializzati dove portare non solo cibo ma anche una nuova cultura.

FocacceitalianeLA CREATIVITÀ RAZIONALE DI LUCA

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Sentirsi arrivati è, secondo Massimo, l’indizio di qualcosa che inizia a non funzionare più. È un errore che, dice, un imprenditore non dovrebbe commettere mai: questo, accanto a quello di perdere l’occhio d’impresa.C’è poi una caratteristica che, invece, un professionista deve avere (o sviluppare): il coraggio di rischiare, sottolinea, anche a costo di sbagliare. Non ha paura di parlare degli errori che, negli anni, ha commesso: è da quelli, spiega, che sono nati i suoi più grandi successi.Massimo Maio, imprenditore nel mondo della ristorazione, racconta del suo lavoro dall’ultimo piano de La Rinascente di Milano: lì, dove ha uno dei suoi locali, il Maio Restaurant. Una location esclusiva, forse una delle poche che può permettersi di non avere una clientela definita, semplicemente perché su quella terrazza ci vogliono andare tutti. Turisti, milanesi, passanti: il Maio Restaurant, forte anche della splendida veduta sull’intera piazza del Duomo, è il luogo dove chiunque ha bisogno di fermarsi per una pausa che coniughi il piacere di una buona tavola a quello dell’immersione nella bellezza. Una bellezza capace di unire il fascino della storicità allo charme della modernità.Non solo. Il cliente non è semplicemente attratto dal ristorante: al Maio Restaurant, il

cliente, sta bene. E questo è il frutto di una cura a cui Massimo è attento tutti i giorni: perché, spiega, il focus è su quello di cui ha bisogno l’ospite. Cosa piace a lui, di cosa necessita: le volontà del gestore passano in secondo piano. Questo è solamente uno dei segreti che a Massimo si possono rubare per capire come raggiungere una tale risultato; per gli altri, basta sentirlo parlare. È sufficiente ascoltarlo mentre racconta delle persone che lavorano per lui, ad esempio: non li chiama dipendenti, mai. Li definisce collaboratori e sottolinea più volte che sono loro, “quelli che lavorano”. Un rispetto che definisce, così, un ambiente sereno, equilibrato, in cui il cliente non può che sentirsi appagato.Cura: questa, in fondo, la parola chiave. Per i clienti, per lo staff. Ma anche nella scelta dei partner e delle idee da abbracciare: Massimo dice che non gli piace parlare di soldi. Lui ama parlare di progetti. La parte economica viene di conseguenza, così come è sempre stato conseguenziale, per lui, il guadagno. La sua attenzione è perennemente rivolta alla qualità di un lavoro, di un servizio, a ciò che può portare in termini di immagine.Non è scontata la risposta che Massimo dà quando gli si chiede quale sia l’ingrediente segreto di un successo imprenditoriale. Il lavoro costante, quotidiano dice. Ma, aggiunge, è fondamentale credere davvero in quello che si fa. E non solo a parole.

MaioRestaurantTRA PIATTI GOURMET E UNA LOCATION DA SOGNO

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L’ENOGASTRONOMIA CON GUSTO ED ELEGANZA

Con la scrittura ha dato anima all’enogastronomia. Un settore che sta riscuotendo un meritato successo. In Italia, Paolo Massobrio, giornalista professionista, fondatore del Club Papillon, ideatore dell’evento Golosaria e di riviste di settore, come “Guida Critica e Golosa”, racconta il suo punto di vista in qualità di esperto. Nel 1985 mosse i primi passi. Epoca pionieristica che aveva come punto di riferimento «Luigi Veronelli in grado di sdoganare la cucina da mero elemento di folklore a fattore di cultura». La trattoria era in trasformazione verso nuove vie con un confronto internazionale e di cambiamenti sistematici. «In questi 34 anni – spiega Massobrio, che indossa sempre il suo amato papillon – ho visto cambiare il mondo. Penso che i bar siano diventati wine bar con l’assaggio del vino più consapevole sulla qualità; i negozi di alimentari invece sono boutique del gusto». Nel 1990 i giovani scommettono su una nuova agricoltura e diversa offerta, come raccontato nel 1994 sul “Golosario”, libro di 1000 pagine. Nel 2000 i protagonisti del gusto e il pubblico s’incontrano alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, in Piemonte, dove nasce Golosaria, all’epoca chiamato Il Salotto di Papillon. Nel 2006 l’exploit a Milano e poi in Monferrato, con due eventi che oggi sono il clou per Paolo Massobrio e il suo team. «Il gusto – spiega il giornalista – è la chiave per scoprire un territorio». Oggi l’Italia come vive l’enogastronomia? «Ci sono le stesse situazioni della politica in Europa e nel mondo. Sembra paradossale ma è così: c’è un tentativo di ridurre e contenere la nostra cucina, originata da un sistema di biodiversità unico al mondo. Credo che la contaminazione tra cucina italiana e giapponese possa creare una delle cose più grandi a livello mondiale». Sulla guida Michelin spiega: «Il mondo è condizionato da questa guida che afferma il primato della cucina francese con interessi che girano intorno a vino e cibo. La cucina italiana

come l’enologia non è mai stata così tanto in salute. Prossimo passo? Portare i nostri piatti all’estero». Paolo ha avuto personaggi come punti di riferimento. Oltre a Veronelli, Giacomo Bologna, produttore di vino a Rocchetta Tanaro (Asti). «Con lui si è capito il vino popolare di casa nostra, la Barbera, tra gioia, gusto, convivialità. Anche Riccardo Riccardi, conte di Santa Maria di Mongrando, è stato un cultore dello stile italiano e con Bruno Lauzi, cantautore ligure, hanno coniugato vino e musica. Non dimentico Carlin Petrini di Slow Food per il Piemonte, oggi regione-laboratorio. Ha incarnato il valore del gusto come passione civile». Con un passo in avanti proiettato al futuro Paolo Massobrio guarda nuovi orizzonti. «Vedo positivo – conclude -. Nessuna involuzione. Esiste una ricchezza qualitativa diffusa. Un racconto anche di nuove generazioni in grado di raccogliere il testimone di un profondo passato. Il settore è vivo. Giovani che hanno fatto propri i valori della sostenibilità, della pulizia e che dialogano con giovani di tutto il mondo. Mi preoccupa però una certa spettacolarizzazione della cucina, come fosse una partita di calcio. Dietro la cucina ci sono storie, uomini e donne che hanno saputo fare tesoro di quello che era l’Italia».

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Medicina ed enologia: due discipline all’apparenza inconciliabili una con l’altra, ma che Guido Invernizzi ha saputo amalgamare alla perfezione.

Chirurgo per vocazione, enologo al servizio dei grandi chef per passione; così il professore col camice bianco ha trasformato la propria vita mettendola nelle mani dei suoi pazienti e dei suoi studenti. «L’amore per il vino nasce all’interno delle mura domestiche, quando erano i miei genitori a farmi assaggiare i primi calici – rivela – Nel 1999, poi, per caso, ho deciso di frequentare un corso Ais a Novara e da lì non mi sono più fermato». I turni in ospedale in cure Palliative Oncologiche di giorno e le lezioni su rossi e bollicine nel weekend nel Bel Paese e all’estero; un lavoro nel lavoro per il quale Invernizzi non sente stanchezza, ma slancio ed entusiasmo: «Oggi c’è una riscoperta dell’universo vino anche a livello mediatico – spiega – il mio ruolo è quello di insegnare tecniche della degustazione per l’Associazione Italiana Sommelier. In tanti si iscrivono ai corsi per modo e curiosità, ma devo dire che c’è tanta attenzione e interesse verso questo settore e che anche i risultati delle certificazioni sono ottimi». I leader del mercato? Oltre a Francia e Italia per Invernizzi la vera novità sono i vini del nuovo mondo: «Australia e Nuova Zelanda in primis – afferma – in queste località il rapporto qualità/prezzo è molto buono. Non necessariamente, infatti, le bottiglie più care sono anche le più buone; di certo il marketing dei francesi, ad oggi, è imbattibile. Per quanto riguarda l’Italia, Piemonte e Toscana la fan sempre da padrone, ma la Val d’Aosta e la Sicilia stanno avendo una crescita esponenziale; buoni i risultati pure per le vigne di Campania e Sardegna». Vino, secondo Invernizzi, è altresì sinonimo di business: «In campo occupazionale tutto spinge in questa direzione, un’occasione da non perdere per chi ha una grande passione per mosti e bollicine».

Quando il vino è sinonimo di business

Franco Pepe » Articolo a pag 18

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Io, artigianoal servizio

del mio territorioNapoleon Hill nel suo celebre romanzo “Pensa e Arricchisci te stesso” rivela che, per avere successo, oltre ad alimentare costantemente un desiderio ardente, è necessario restituire qualcosa al territorio in cui si vive. Franco Pepe non solo ha ridonato un’identità alla Campania grazie al suo operato, ma è anche stato insignito, lo scorso 2 giugno, del titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana dal presidente Sergio Mattarella, il primo pizzaiolo del Bel Paese a ricevere tale onorificenza. Per trovare Caiazzo sulla cartina geografica, un tempo, infatti, era necessario munirsi di Google Maps o chiedere indicazioni a qualcuno residente nel casertano; oggi, Caiazzo, piccolo borgo di appena 5mila anime, è sinonimo di Pepe in Grani e visitato quotidianamente da centinaia di turisti desiderosi di gustare la pizza più buona del mondo. Per Franco Pepe la pizza non è soltanto un alimento, ma uno stile di vita, una missione: «La pizza mi ha permesso di realizzarmi, di mettere in pratica gli insegnamenti di papà e di farli miei – rivela – Ho puntato tutto sul mio saper fare (da piccolo studiavo e panificavo) e sul territorio. Per questo nel 2012 ho deciso di “abbandonare” la pizzeria di famiglia in centro e di aprire un locale tutto mio; in anni in cui la maggior parte delle persone scappavano dalla Campania io ho scelto di restare, di lasciare un posto fisso da insegnante di educazione motoria, inseguire i miei sogni e veder realizzati i miei progetti». Stay hungry, stay foolish: in tanti hanno dato del pazzo a quell’artigiano che decide di ristrutturare un palazzotto in decadenza

del Settecento nel cuore di Caiazzo per reinventare il concetto di pizzeria italiana e mondiale: «Ho vissuto momenti difficili, ma non ho mai mollato perché sapevo bene quale fosse il mio scopo – afferma ancora Pepe – Nel mio locale c’è una sala degustazione

e camere per dormire; l’idea è quella della locanda di una volta. In Authentica (così si chiama la sala da otto posti con un unico forno), io racconto ai miei clienti la storia delle pizze che stanno assaporando. La crescita avviene dal confronto e il dialogo con i propri fruitori, a mio avviso, è imprescindibile;

un’abitudine di mio nonno tramandata a mio padre che ho scelto di fare mia». Perché Franco Pepe prima di essere un personaggio di fama mondiale è soprattutto persona, un artigiano (come ama definirsi) che non smette mai di

Per Franco Pepe la pizza non è solo un alimento. È uno stile di vita, una missione

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apprendere cose nuove e che fa del prodotto e non dell’etichetta, il suo biglietto da visita: «La differenza in questo mestiere la fa la conoscenza nel scegliere, manipolare e trasformare la materia prima – rivela – Io non voglio ricreare Pepe In Grani in tanti luoghi, ma esportare il mio prodotto. Oggi siamo presenti, per citarne alcuni, a Cortina, in Basilicata, a Ginevra e Hong Kong: la richiesta è elevata». Una richiesta che significa altresì lavoro: «Sentiamo sempre parlare di crisi, ma le opportunità ci sono – afferma il mastro pizzaiolo – Io, ad esempio, ho bisogno di tramandare i miei saperi; i mestieri vanno insegnati e appresi. Il manuale può regalare grandi soddisfazioni a questo Stato che sta perdendo i propri sapere e le proprie tradizioni; ho intenzione di consegnare questo progetto a mio figlio e ai suoi amici se vorranno continuare su questa strada». Panificatore ed imprenditore (Pepe è stato anche preso ad esempio da Leopoldo Gasbarro nel suo libro “Il risparmio che vince” in quanto artefice della rinascita della microeconomia locale), il cavaliere della repubblica in questi mesi si è dedicato anche ad un altro ambizioso progetto: la “pizza mediterranea”. «Il menù funzionale, studiato in collaborazione con la nutrizionista Michelina Petrazzuoli, si pone l’obiettivo di sdoganare la pizza da quell’idea propria dell’immaginario collettivo che la vede come uno “strappo alla regola” alimentare – dice Pepe - Esso nasce dall’esigenza di portare

la salute in tavola, ponendo l’attenzione sul giusto equilibrio tra i macronutrienti – carboidrati, proteine e lipidi – presenti nella pietanza, con la presenza di fibra alimentare, poiché incide sui tempi di digestione e di assimilazione contribuendo a rendere la pizza un ottimo “piatto unico”. Considerando l’attenzione dedicata al contenuto di fibre, alcune pizze saranno accompagnate da una porzione “extra-piatto” di verdure che aiutano ad equilibrare il carico glicemico del pasto, a velocizzare il transito intestinale, a bilanciare l’assimilazione e l’eliminazione dei grassi. Nasce così il concetto di Pizza Mediterranea (del resto noi siamo ambasciatori della dieta mediterranea nel mondo) in cui l’apporto calorico è formato per il 55-60% da carboidrati, per il 15-18% da proteine e per il 25-30% da grassi. Il tutto con l’attenzione al contenuto di fibre, di antiossidanti, di Sali minerali, nel pieno rispetto della piramide alimentare mediterranea, come scrive Ancel Keys nel suo “Mangiare bene per stare bene – con la dieta mediterranea”. Inoltre – conclude il pizzaiolo - alla portata del menù viene affiancata una ciotolina delle proporzioni di fingerfood contenente, a seconda della pizza scelta, una “salsa funzionale" in cui il cornicione avanzato nel piatto potrà essere intinto per essere consumato».

LA PIZZERIAPEPE IN GRANI A CAIAZZO (CASERTA)È VISITATA OGNI GIORNO DA CENTINAIA DI TURISTI, DESIDEROSI DI PROVARE LA PIZZA PIÙ BUONA DEL MONDO

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Dalla panetteria all'agenzia di talent

PERCHÉ IL SUCCESSO SI CREA NEL RETRO

Ogni azienda ha il suo fondatore. Come un padre trasmette il suo bagaglio culturale ed esperienziale ai suoi figli, così un imprenditore fa con la sua società.

E quando Pasquale racconta quella che è stata la sua vita, sembra proprio confermare questo principio. Pasquale Arria è il fondatore della Realize Networks, prima “talent agency” in Italia: l’agenzia, che ha sede a Milano, ha scelto il mondo del food come unico settore a cui riferirsi ed è infatti specializzata nell’ideazione e nella creazione di progetti di Branded Entertainment e Branded Content per comunicare marchi e prodotti. C’è da dire che tutto ciò potrebbe addirittura risuonare riduttivo rispetto a ciò che fanno: non solo marchi e prodotti, infatti, perché Realize segue il Personal Branding di chi oggi ha fatto del food il suo ambito di comunicazione e il suo lavoro.

Parliamo dunque di influencer e personaggi di spicco nel mondo della televisione, dei Social e del Web che si relazionano al loro pubblico proprio attraverso discussioni, consigli e racconti legati all’alimentazione: dallo chef Bruno Barbieri alla blogger Chiara Maci, dal volto televisivo di Benedetta Parodi a quello di Damiano Carrara. Produzione, comunicazione, Digital Media Strategy, Scouting e Artist Management: nei percorsi di Realize, c’è il pacchetto completo per la cura del personal brand. Una cura che si ritrova nella Mission aziendale, “essere l’opportunità

per colui che ha talento, aiutandolo ad accrescere il proprio potenziale”: è qui che, come dicevamo inizialmente, c’è l’essenza di Pasquale, che ha voluto fondare un’azienda che pensa al background di un personaggio. Al dietro le quinte.

Una volontà che sembra nascere dalla sua infanzia, quando passava le sue giornate nel retro della panetteria di famiglia, tra il profumo che emanava il forno e la morbida consistenza delle farine; un luogo a cui pochi hanno accesso, perché in genere si è abituati a vedere solo l’esposizione dove capeggiano invitanti panini, soffici focacce e profumate crostate. Pasquale no: lui aveva l’opportunità di osservare e conoscere

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quello che stava dietro, la bottega da cui nasceva tutto ciò che poi le persone guardavano in vetrina.Tutto questo ancora risuona, nell’azienda di Realize: oltre la “vetrina” di Instagram, cosa c’è nel retro bottega di un personaggio? Perché, in fondo, è lì che nasce tutto. Esattamente come il pane.

Oggi Realize gestisce oltre 30 talent, a cui si aggiunge la gestione di più di 90 milioni di profili Social, con una fanbase totale di più di 6 milioni di utenti e una copertura mensile di 45 milioni e collaborazioni con le più importanti reti televisive e i più grandi gruppi editoriali.Con una crescita di fatturato costante negli anni, la società conta nel proprio portfolio la collaborazione con oltre 150 aziende tra le quali Costa Crociere, Parmalat, Disney, Orogel.

Pasquale ha dato vita a Realize a Milano dopo essersi trasferito da Messina nel 2002: ha scelto la città lombarda perché la vedeva come la più adatta a realizzare il suo sogno, quello di dedicarsi al mondo della musica, da sempre la sua grande passione. Trova dunque lavoro, come dipendente, per un’agenzia di organizzazione eventi per la quale lavora per sei anni. Fino al 2008, quando la crisi tocca anche lui: l’azienda lo licenzia per taglio del personale. Ed è proprio qui che Pasquale

scopre quello che oggi ci insegna: che la crisi è opportunità.

Invece di scoraggiarsi, decide di fondare Realize Networks, con tutto il coraggio che un imprenditore deve necessariamente avere: dalla musica sposta il suo focus alla televisione e seduto alla scrivania presa in subaffitto dai suoi precedenti datori di lavoro inizia a curare l’immagine di conduttori, comici, registi. Fino a farla diventare quella che è oggi.La scelta di dedicarsi solo al food ha una ragione duplice: la prima è puramente imprenditoriale, perché Pasquale si è accorto prima di tutti che il mondo della cucina stava prendendo piede anche in Italia; la seconda è una questione di cuore, perché inevitabilmente il cibo è parte della sua vita vista la sua crescita nella panetteria di famiglia.

Quando a Pasquale si chiede quale sia il miglior ringraziamento che potrebbe fargli un personaggio da loro seguito, risponde che è riferito alla creazione. Grazie per averci creato, dice.Un’attenzione alle persone che Pasquale ha dedicato, fin dall’inizio, anche ai suoi dipendenti: «Il talento non lo cerchiamo solo nei personaggi che curiamo, ma anche in chi lavora con noi: è solo dall’unione di talenti che nascono i progetti migliori».

IL PERSONAGGIO

Pasquale sfrutta la crisi del 2008 come un'opportunità:

fonda Realize Networks e inizia a curare l'immagine

di alcuni personaggi della televisione

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Il gusto della sua felicità somiglia a quello del pomodoro. In tutte le sue sfaccettature, specifica. Ed è spontaneo legare questo gusto a quelli appartenenti ai ricordi più teneri del nostro vissuto, come il ragù della domenica della nonna. Spontaneo tanto quanto facile, invece, rimandare la mente a tutto ciò che c’è di più semplice: un piatto di spaghetti al pomodoro, ad esempio, con la loro fogliolina di basilico.Si tratta di cibo, è vero. Delle più basiche ricette. Di tradizioni culinarie. Di preferenze, di gusti. Ma, in realtà, si tratta di vita, di vissuto: i nostri ricordi ne sono la conferma. Ed è proprio di questo che Marco parla nel suo

ultimo libro: di vita. Della sua, in particolar modo. Oltre ai consigli per una vita in salute attraverso una corretta alimentazione, su “Il gusto della felicità” (Harper Collins) Marco ha deciso di mettersi a nudo, con quello che è stato il percorso della sua crescita, fatto di momenti belli e di esperienze che lui, nell’intervista che ha rilasciato a Inkalce, definisce “negative” ma che, in realtà, come ogni esperienza, hanno dato

modo a Marco di essere la persona che è oggi. Nel suo libro Marco racconta anche di ciò che ha subìto a causa del bullismo: per il suo essere “mammone”, per i suoi interessi diversi rispetto ai coetanei che si interessavano di calcio, per la sua “troppa educazione”; non solo, perché il libro nasce proprio da una domanda che i suoi follower gli hanno fatto spesso: Marco, come fai a essere felice? Da qui il titolo del libro, tra l’altro. È un libro in cui emerge la sofferenza di un ragazzino che era in sovrappeso, in cui non si nasconde la difficoltà di una fenice di riemergere dalle sue ceneri ma che dà la

conferma che scoprire e abbracciare un nuovo modo di vivere non solo è possibile ma si può dire sia quasi doveroso. È un libro che, come gli altri firmati Bianchi, può interessare tutti, in una fascia compresa tra i 24 e i 45 anni, proprio per la formulazione di una maturità atta a comprenderlo; la sua Vision, che Marco completa attraverso il libro e la divulgazione delle informazioni con i Social, è quella di seguire quanto imparato da Umberto Veronesi (dove lui lavorava) e, come lui, diventare punto di riferimento del suo settore.Leggere “Il gusto della felicità” significa scoprire un Marco che lui definisce “comune”. Lontano dai numeri dei follower, dei Like su Facebook, dei post su Instagram, delle migliaia di commenti quotidiani. Significa conoscere la persona e non più solo il personaggio.È stato difficile scriverlo, racconta Marco: «È qualcosa che consiglio a tutti di fare, di fermarsi a scrivere di sé. È un buon metodo per capire chi si è, cosa fare, cosa si è fatto, dove andare a limare la propria esistenza… ogni giorno, con i Social, ci sembra di saper parlare di noi, ma non è così: imparare a conoscersi, ecco l’ingrediente imprescindibile della felicità».

Con 380k follower su Facebook e il suo blog, persegue il suo obiettivo di essere “Food Mentor”; Marco Bianchi è Divulgatore scientifico nella squadra del Professor Umberto Veronesi e cuoco amatoriale salutare “ma con gusto”, autore di libri di cucina e volto televisivo. «Cucinare è un gesto d’amore. Per noi stessi, per le persone che amiamo, per tutti coloro che ci vogliono bene. Anche parlare di cibo e di salute rappresenta per me un modo di esprimere questo amore. Il mio obiettivo è quello di promuovere le regole della buona alimentazione come Food Mentor e cercherò di farlo come sempre a modo mio, con un linguaggio semplice, diretto, che parte dalla scienza e arriva sulle vostre tavole in maniera naturale e, spero, divertente. Insomma sarà una porta aperta sul mio mondo e siete tutti invitati».

Sono ingredienti semplici,quelli per la felicitàMARCO BIANCHI: LA MIA VITA TRA CUCINA E BENESSERE

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Una storia che affonda le radici in un’epoca lontana. Un marchio tra i più noti, oggi sinonimo di “cool” tra i migliori barman del mondo. Giulio Cocchi e il suo vermouth nascono nel 1891 ad Asti. L’ideatore, pasticciere di Firenze, intraprendente genio creativo, scommette sul futuro. Il giovane crea una distilleria; poi diventa spumantista con nuove idee. Inoltre è anche promotore di una catena di bar che portano il suo nome. In Italia (Savona, Novi Ligure, Sanremo) e all’estero, dal Venezuela all’Etiopia. Un precursore dei tempi numero uno per liquori distillati, vermouth con varie ricette e spumante. Una gamma di prodotti che Giulio Cocchi posizionò sul mercato internazionale. Un esempio d’imprenditoria positiva verso nuove prospettive. Nel 1978 l’azienda astigiana cambia orizzonte con l’acquisizione del marchio da parte della famiglia Bava di Cocconato, produttore di vino da tradizione. Cambia impronta spostando l’attenzione verso l’enologia, mantenendo la matrice vinicola con un apporto agli spumanti. Un approccio più moderno. Negli Anni ’80 con il boom economico Giulio Cocchi vira verso il settore dell’enogastronomia. «Il periodo – spiega Roberto Bava – era quello di seguire il sogno: fare il migliore spumante al mondo. Grazie al consulente esterno Donato Lonati la produzione migliora e si guarda all’estero. Si punta sull’Americano e il Barolo Chinato. Poi gli Anni ’90 vanno bene con i grandi spumanti e dal 2000 un ottimo lavoro con le piccole produzioni e il metodo classico». Un’importante vetrina arriva con un articolo dedicato a Giulio Cocchi uscito nel 2010 sul “New York Times”. Racconta Roberto Bava: «Un vero successo involontario. Quella recensione ci ha aiutato a sfondare in qualche modo nuove porte. Tutto molto inaspettato, ma sperato. Siamo diventati un case study da cui prendere esempio. Fu un regalo davvero gradito. Non dimentichiamo però altri importanti trampolini di lancio partiti dal cinema». Due i film che hanno reso ancora più celebre Giulio Cocchi. Pellicole che vedono

protagonista la famosa spia inglese James Bond, nata dalla penna di Ian Fleming. «Prima – commenta Bava – ci fu 'Casinò Royale' e poi 'Skyfall' a rendere omaggio al cocktail a base di Cocchi. Una celebrazione per noi incredibile. Il marchio diventa globale e presente nei migliori 50 bar internazionali. Una sfida vinta. Tra i nostri fiori all’occhiello la ricerca continua come azienda proiettata in grande». Giulio Cocchi, oggi presente nell’associazione “The Spirit of Italy” di marchi storici uniti da una famiglia, è anche autentico perché racconta la storia di un personaggio vero. «Ci definiamo un po’ archeologi del gusto, alla ricerca delle radici del vermouth per rinnovare il suo immaginario, legato a Torino. Vogliamo riportarlo al successo con vari tipi (rosso, bianco, dolce e dry)». La ricerca per Giulio Cocchi è continua come per la riserva Venaria Reale e Savoy. Due vermouth che raccontano i Savoia e le origini di Giulio Cocchi.

Una storia antica proiettata verso il futuroGIULIO COCCHI E I COCKTAILSFAMOSI NEL MONDO

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Weddingplanner

PROFESSIONISTI CERTIFICATI ALLA RICERCA DEL DETTAGLIO

Noi di InKalce Magazine abbiamo avuto il privilegio di poter prendere parte alla conferenza stampa/evento della presentazione del programma di certificazione per wedding planner ideato dall’Associazione italiana wedding planner, di cui siamo media partner, in collaborazione con Uni, Intertek e Accredia. Presenti per l’occasione numerosi addetti ai lavori, i partner del progetto, la founder di DonnaOn, Carina Fisicaro e i massimi esponenti della carta stampata nazionale.

«In Italia il comparto wedding coinvolge circa 83 mila imprese – incluse tutte le realtà imprenditoriali che ruotano intorno al grande giorno, wedding planner, atelier di abiti da sposa e da cerimonia, bomboniere, fiori, riprese

fotografiche e video, catering per gli eventi e persino agenzie di incontri – con un giro d’affari che ammonta a circa 15 miliardi di euro e una crescita annuale nel settore del wedding del 2% - ha spiegato la presidente Clara Trama, ospite recentemente davanti alle telecamere di Uno Mattina Estate - Ad avere mercato nel territorio italiano è anche la figura del destination wedding planner, il professionista che si occupa di gestire ogni aspetto del matrimonio delle coppie straniere che scelgono l’Italia come luogo per celebrare le proprie nozze. La più ampia quota di mercato (49%) in questo ambito viene dagli Stati Uniti, che sono i primi stranieri a scegliere l’Italia, con una spesa media per ciascun evento che supera i 59 mila euro».

Sebbene negli ultimi dieci anni il numero di unioni sia in calo, l’attenzione alla cerimonia e l’investimento non sono diminuiti, anzi: il matrimonio è un evento “privato” che ha oramai raggiunto una valenza spettacolare e perfino mediatica in alcuni casi. Sempre più coppie decidono di rivolgersi a un wedding planner, un professionista in grado di far fronte ai mille dettagli organizzativi ed emotivi legati all’evento matrimonio, una figura professionale che però non ha l’obbligo di appartenenza a nessun ordine e albo.

Alla luce della crescente affermazione sul mercato di queste figure professionali, UNI – Ente Italiano di Normazione e AIWP – hanno elaborato la prassi di riferimento UNI/PdR 61:2019 “Wedding planning – Requisiti di servizio e delle figure professionali del wedding planner e del destination wedding planner”. L’obiettivo del documento, elaborato sulla base del Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF), stabilisce i requisiti oggettivi in termini di conoscenze, abilità e competenze che devono possedere i professionisti che svolgono attività di wedding planning. La prassi di riferimento identifica il benchmark per tracciare

Una location di lusso, l’Hotel Visconti Palace di Milano, e una madrina d’eccezione: Natasha Stefanenko.

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un percorso formativo e di certificazione sia delle persone sia del servizio appoggiandosi a un ente di certificazione accreditato, a tutela dei consumatori e al fine di garantire la valenza sul mercato dei professionisti.

La prassi viene così a essere l’unico riferimento ufficiale sul mercato per permettere a chiunque volesse, associazione o operatore del settore, di certificare il servizio e/o la figura professionale e fornisce gli elementi per la valutazione di conformità del servizio.

Traccia inoltre delle linee guida e le buone pratiche da rispettare nello svolgimento del lavoro. Nel definire l’attività professionale del wedding planner la prassi identifica le fasi che caratterizzano il lavoro: dopo una iniziale definizione della relazione con il cliente al wedding planner è richiesto di redigere un piano commerciale del servizio che si conclude con la firma del contratto contente ogni specifica del caso.

Segue una fase esecutiva di stesura progettuale e di gestione delle pratiche burocratiche e organizzative alla luce delle esigenze del cliente, senza dimenticare l’aspetto emotivo che il wedding planner dovrà tenere in considerazione durante tutto il periodo di organizzazione dell’evento. In seguito all’individuazione del team di fornitori, al wedding planner è richiesto di dimostrare buone capacità di time management e di leadership, per assicurare la comunicazione e l’efficiente coordinazione delle varie tipologie di fornitori.

Infine, nel giorno dell’evento, a un buon professionista è richiesto di coordinare con successo lo staff e di supervisionare la logistica del matrimonio, oltre che di gestire con successo gli eventuali imprevisti.Per poter garantire l’efficacia della valutazione di competenze così articolate e stratificate e che toccano vari ambiti disciplinari, la prassi indica le prove da utilizzare in fase di valutazione.

Al fine di ottenere la certificazione la prassi prevede, oltre all’analisi del curriculum vitae, due esami scritti per la valutazione delle conoscenze e l’analisi di 3 casi specifici, oltre che un esame orale. La certificazione ha durata quinquennale e prevede una sorveglianza documentale annuale; può essere richiesta

da singoli professionisti o organizzazioni di qualsiasi dimensione e forma giuridica.È indicato dalla prassi che l’organismo di certificazione eserciti inoltre un controllo sui soggetti che hanno conseguito l’attestazione per verificare il perdurare della conformità ai requisiti stabiliti; è necessario infatti che risulti l’evidenza di aggiornamento professionale nella misura di almeno 80 crediti formativi nel quinquennio oltre che l’evidenza della continuità dell’esercizio della professione.

UNI e AIWP hanno elaborato una prassi di riferimento per stabilire abilità e competenze dei professionisti

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Sorriso abbagliante, elegante e dai modi mai sopra le righe: sembra quasi impossibile credere, vedendola oggi, che la Natasha Stefanenko bambina fosse timida e insicura. Eppure questi due aggettivi, durante la sua testimonianza tenuta in occasione della presentazione dell’associazione italiana wedding planner in quel di Milano, la splendida modella russa li ha utilizzati come una sorta di leit motiv.

«Ero troppo alta rispetto alle ragazzine della mia età, magra e con la pelle bianchissima – rivela – mi sentivo inadeguata; non avrei mai pensato di intraprendere questa carriera». Sì, perché Natasha è esattamente l’antitesi di alcune icone “postmoderne” per le quali l’unica cosa che conta è l’apparenza; una laurea in ingegneria, un unico grande amore, Luca Sabbioni, e la scelta di un’esistenza non alla ricerca spasmodica dei riflettori per dare spazio alla famiglia.

Un “personaggio pulito” che ha molto da insegnare alle nuove generazioni: «Posso dire loro di non aver paura di rischiare, di osservare sapendo sempre ascoltare – afferma – Noi non ci ascoltiamo abbastanza quando in realtà siamo consapevoli, nel nostro io, di cosa sia giusto o sbagliato per la nostra vita. Non dobbiamo aver paura di seguire il nostro istinto. Oggi c’è una ricerca spasmodica della perfezione, del bello ad ogni costo; spesso, però, non è il nostro corpo ad essere sbagliato ma, semplicemente, il vestito che indossiamo. Sono questi i messaggi che, quotidianamente, cerco di trasmettere attraverso il mio blog; se si sta bene con se stessi si sta bene ovunque e non bisogna mai smettere di cercare il bello e il positivo in ogni situazione».

Stefanenko, inoltre, non ha dubbi: se sì è un volto “famoso” si ha sempre e comunque una responsabilità: «Per questo occorre dare una giusta e reale immagine di sé, che si tratta

Natasha Stefanenko«NON ABBIATE PAURA DI ESSERE VOI STESSI»

di un incontro dal vivo o di un post sul web – spiega – Io sono così, non ho bisogno di fingere per apparire ciò che non sono, mi ritengo una persona coerente; è così bello essere se stessi, indossare quotidianamente una maschera non è affetta semplice ed, in più, è molto faticoso. Dalla mia posizione ho la fortuna di poter aiutare anche tante persone in difficoltà ed il mio impegno nel sociale va soprattutto ai bimbi malati di cancro; Certo non si può piacere a tutti, ma questo è il bello della vita».

Natasha, cinquant’anni compiuti ad aprile, è anche l’orgogliosa mamma di Sasha: «È il mio successo più grande – continua – Ho sempre scelto la famiglia e vivere nelle Marche si è rivelata un’opzione vincente. In questa piccola realtà si respirano ancora le tradizioni del passato, si parla in dialetto, è possibile uscire la sera senza preoccupazioni; Sasha è una diciottenne come le altre e io sono una madre come le altre. Ho imbastito il nostro rapporto sul dialogo e sulla presenza: il tempo è il dono più prezioso che possiamo dare ai nostri figli». Stefanenko, infine, non dimentica le proprie origine: «Ho il cuore diviso a metà, amo la Russia e amo l’Italia – conclude – Lavorando anche nel mio Paese natale viaggio spesso e sono felice di portare in me queste due anime».

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I locali hanno un’anima? Entrando al Camillo’s Bakery la risposta al quesito è, certamente, sì. In questo piccolo scrigno collocato in uno scorcio della pittoresca piazza Cavour, in quel di Vercelli, Simonetta Baracco ha riposto una parte della propria essenza. Non un semplice bar, non un ristorante, ma una Bakery, una “mangeria e beveria” per far riecheggiare le risate casalinghe di quando papà Gianni preparava la panissa per tutti e mamma Piera sperimentava nuove ricette. La famiglia Baracco si trova proprio lì, dietro al bancone dei dolci fatti a mano, tra i divanetti che ricordano le tavole calde americane e quelle originali lampade in ferro battuto. Oggi il Camillo, come viene chiamato dai suoi affezionati clienti, compie cinque anni e il sogno di Simonetta e dei suoi soci, Franco Omodeo Salè e Marco Ferrara, è quello di farlo diventare un franchising: «La cucina è il mio grande amore insieme all’architettura – rivela Baracco – Mi riporta indietro nel tempo quando insieme ai miei genitori andavamo alla

scoperta di nuove portate durante i nostri viaggi o quando radunavamo sotto al

tetto di casa amici e parenti. La filosofia del Camillo’s nasce

proprio seguendo il motto “un locale di amici tra amici”».

Divisa tra l’alberghiero e il Liceo, Simonetta decide di seguire le orme di papà, famoso arredatore di interni e di dedicare la sua vita al servizio del bello; pentole e fornelli, però, non abbandonano la testa della vercellese che, dieci anni fa, decide di frequentare un master al Politecnico di Milano in New Entertainment Design. L’obiettivo? La progettazione di locali innovativi: «Ho sempre amato le sfide – afferma ancora la vercellese – Per me arredare significa poter entrare nella vita delle persone, conoscerne gusti e abitudini, diventare parte di loro. Poter mettere il mio sapere a disposizione di bar e ristoranti da progettare da zero è una sfida che mi ha subito affascinato. Oggi il concetto di ristorante, infatti, è molto diverso rispetto al passato: è il polo aggregativo per eccellenza; Basti pensare che anche le discoteche sono diventati luoghi in cui si mangia». Ecco prendere forma in Baracco l’idea del Camillo’s, un luogo pensato per gli over 25, un punto di ritrovo aggregativo dove sorseggiare un buon vino o mangiare un hamburger di fronte ad una media: «Il mio desiderio è quello di portare un Camillo al mare e non solo – conclude la titolare –Un franchising innovativo in cui rimane il concept, ma ogni locale viene riprogettato ad hoc per il luogo in cui si trova. La bravura di un imprenditore, a mio avviso, sta proprio nel reinventarsi costantemente inventando sempre cose nuove. Per questo motivo abbiamo già apportato delle modifiche strutturali all’interno del ristorante di Vercelli: dopo cinque anni bisogna creare un po’ di scompiglio». E i festeggiamenti del 29 novembre si preannunciano grandiosi…

Camillo’s BakeryNEL CUORE DI VERCELLI UNA “MANGERIA E BEVERIA”

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INTERVISTA A ANTONINO CANNAVACCIUOLO.

IL SUCCESSO NON ARRIVA PER CASO: “NON BISOGNA

FERMARSI MAI, AVERE NUOVI PROGETTI E FARE

SEMPRE IL MASSIMO PER RAGGIUNGERLI”

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I miei piatti devono

emozionareUna delle ultime dichiarazioni che il tennista Djokovic ha rilasciato poco prima di vincere a Wimbledon, è stata quella relativa alla vision: ai media ha raccontanto che quando era ancora un bambino e calpestava, per le prime volte, i campi rossi, non lo faceva per divertirsi o allenarsi. Lo faceva per prepararsi a vincere Wimbledon.Anche Antonino Cannavacciuolo non ha mai studiato cucina solo per passione, ma sempre e comunque con lo sguardo proiettato verso ciò che avrebbe voluto fare e diventare. Il successo non è arrivato come una fortuna, come un caso: è arrivato grazie a quella che lui definisce una sorte di ossessione: «Non fermarmi mai, spiega, avere nuovi progetti e fare sempre il massimo per raggiungerli».

Dalle cucine dei suoi ristoranti alle telecamere di Masterchef, oggi lo chef Cannavacciuolo è diventato uno dei più conosciuti portavoce della cucina italiana, nonché simbolo della tradizione culinaria unita alla più raffinata ricercatezza moderna.«Io mi sono sempre “visto là” - dice Cannavacciuolo in un’intervista esclusiva per Inkalce -, fin da quando ero un giovane allievo della scuola alberghiera. Ho sempre saputo che avrei ottenuto dei risultati importanti. Forse non mi aspettavo la notorietà, ma sicuramente, sapevo che se avessi giocato nel migliore dei modi le mie carte, avrei potuto ottenere dalla cucina delle grandi soddisfazioni. Credo sia una sorta di istinto».

E l’istinto, per quanto possa essere

profondamente irrazionale, almeno all’apparenza, si può dire abbia sempre un legame ragionevole con la nostra esperienza di vita: «Per me è sempre stata una sorta di vocazione. Avevo l’esempio di mio padre, anche lui cuoco, ed ammiravo il suo modo di porsi verso il lavoro, osservavo meravigliato la sua dedizione… e da lì è nato tutto. Non saprei definirlo, forse una sorta di eredità genetica, una predisposizione, ma io sentivo che avrei fatto questo lavoro. La cucina è un ambiente molto stimolante ed una realtà all’interno della quale l’impegno e la costanza mi hanno dato l’opportunità di coltivare questo mio impulso innato».

Non è necessario sottolineare che i piatti gustati all’interno di un ristorante targato Cannavacciuolo siano eccezionali ed esclusivi, ma ci si chiede se per uno chef come lui

può essere sufficiente un complimento sulla bontà di una ricetta o se, una volta consapevole delle proprie potenzialità, non si senta la necessità di un riconoscimento più intimo: «Il ringraziamento migliore che ricevo dai miei commensali quando lasciano uno dei miei locali è il sorriso. Vedere le persone sorridere mi riempie di gioia. Per me e mia moglie Cinzia fare ristorazione

significa dare la possibilità a chi viene a trovarci di stare bene. Facciamo di tutto per offrire le condizioni migliori perché ciò avvenga impegnandoci nell’accoglienza, nell’atmosfera, e nella cura dei minimi dettagli. Il mio lavoro è cucinare e cercare di farlo al meglio, ma creare le condizioni per offrire un’esperienza

LA COPERTINA

“Mi piace creare le mie ricette pensando a quale sarà il commento al riguardo di mia moglie Cinzia”

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indimenticabile, fa parte della nostra filosofia di pensiero».

Cinzia, sua moglie. Parte fondamentale del suo mondo personale tanto quanto di quello professionale: «Non vorrei sembrare scontato, ma mi piace creare i miei piatti pensando a quale sarà il commento al riguardo di mia moglie Cinzia. Abbiamo iniziato 20 anni fa la nostra avventura a Villa Crespi e l’unione delle nostre forze ci ha sempre portato avanti e permesso di superare i momenti più difficili. All’inizio eravamo io e lei, con pochissimi collaboratori.Tutto era deciso insieme, ed ogni sapore, accostamento di ingredienti e portata, venivacondivisa con lei e mi piace pensare che ancora sia così. Fondamentale è il lavoro di squadra, io e mia moglie Cinzia abbiamo iniziato insieme quest’avventura e abbiamo sempre considerato la nostra azienda una famiglia allargata. Arrivi ad un certo punto, in cui non puoi più fare tutto da solo: saper delegare e collaborare con persone fidate che contribuiscano a non perdere il fine degli obietti prefissati, è fondamentale per fare quei piccoli passi, che poco alla volta portino al raggiungimento di grandi risultati. Questo è per me il segreto, ad ora, per riuscire a dedicarmi a progetti aziendali tra loro così diversi. Per fare bene più cose, tra loro diverse, non esiste una regola: bisogna innanzitutto giocarsi al meglio le proprie opportunità, non montarsi la testa e soprattutto affidarsi ai giusti collaboratori che condividano con te passione e determinazione».

La cucina è uno dei settori definiti “arte” e come ogni artista anche uno chef ha un’ispirazione che arriva da qualcosa o da qualcuno: «La mia ispirazione, sono i ricordi e la tradizione. Mi piace pensare che un piatto possa trasmettere emozioni. La cucina è un’arte, l’artecomunica, ed io comunico così. Ho la fortuna di essere nato in Campania, di essere trapiantato in Piemonte e di poter sfruttare tra gli altri gli ingredienti di queste due fantastiche regioni, tanto belle e tanto diverse, creando piatti che riportino al mio passato e al mio presente, provando a raccontarmi a chi ha il piacere di condividerli con me».

Infine, la televisione. Un mondo che tanti, relativamente al legame con la cucina, non vedono di buon occhio; molti chef, infatti, sostengono che la televisione abbia rovinato l’essenza della cucina, ponendola così più su un piano commerciale e sempre meno umano: «La televisione è stata per me una

grandissima occasione attraverso la quale ho imparato a conoscere una realtà che non avrei mai immaginato di poter osservare così da vicino. Io sono sempre stato in cucina, conosco le tempistiche dei fornelli, delle cotture e delle lavorazioni degli ingredienti: entrare in televisione mi ha aperto un mondo tutto nuovo, e sono felice di aver avuto l’opportunità di farlo. Come ogni esperienza di vita, anche in questo caso, ho cercato, e cerco tutt’ora diassimilare quanto di più possa aiutarmi per crescere e migliorarmi. Io non credo che sia corretto non apprezzare quanto la televisione, abbia fatto nei confronti della cucina, avvicinando il nostro mondo alle case degli italiani, facendo almeno in parte comprendere le gioie e le fatiche che una cucina può dare».

Forse grazie anche ai programmi televisivi, il mondo della cucina è tornato alla ribalta negli ultimi anni ed è aumentato, quindi, il numero di ragazzi che vogliono diventare chef: «Vero. E quello che consiglio sempre ai miei ragazzi è di impegnarsi a fondo e di lavorare duro. La cucina è una realtà davvero difficile e sacrificante. Solo chi l’ha vissuta può capire di cosa stiamo parlando. In cucina ci sono regole ferree che devono essere rispettate, in cucina ci sono gerarchie, in cucina ci sono gli ingredienti con i quali non ci si può permettere di scherzare.La responsabilità è altissima. Se poi arrivano la fama e la notorietà, questo è un “di più”, che come in tutti i settori non può certo raggiungere chiunque. Lavorare in cucina significa amarla veramente, e solo chi ha questa forte passione riesce a resistere. Diventare un grande Chef, può essere un traguardo, ma per ottenere grandi risultati, quello che conta è stare bene con sé stessi, facendo il lavoro che si ama».

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DIGITALI

Mentre eri sotto l’ombrellone a goderti le meritate vacanze, c’è stata una piccola rivoluzione su Instagram: tutti gli utenti possono caricare i filtri di loro invenzione e usarli nelle storie. Capisci? Ora hai la possibilità di utilizzare migliaia di fantastici filtri, effetti e maschere e realizzare contenuti ancora più originali! Prima era solo Instagram ad avere il privilegio di creare e aggiornare i propri filtri. Ora la feature è accessibile a qualunque utente che sappia usare l’app Spark AR Studio. Usarli è semplicissimo. Verifica di avere l’ultima versione di Instagram, se hai questa icona è il caso di eseguire l’aggiornamento! Fatto? Ok, ora entra nell’area Stories cliccando sull’icona della fotocamera su in alto a sinistra, poi clicca sull’icona della faccina sorridente. A questo punto sei all’interno del magico mondo degli effetti utili a impreziosire le tue storie, la novità è che oltre a quelli pre-installati, cliccando su Altri effetti… potrai accedere alla galleria degli effetti creati dagli utenti della community di Instagram.Ce ne sono per tutti i gusti, raggruppati per categorie: selfie, amore, colore e luci, stili della fotocamera, stati d’animo, divertente, dintorni, animali, fantascienza e fantasy, strani

e spaventosi, eventi, fan e cause. Per provare un filtro ti basterà cliccare sul bottone Provalo in basso a sinistra e scattare una foto o registrare un video. Se l’effetto ti piace, puoi scaricarlo facendo clic sull’icona del download . A questo punto te lo troverai insieme a tutti gli altri filtri delle Stories di Instagram. Oltre a usufruire degli effetti creati dagli altri utenti, potresti realizzarne di tuoi, per sorprendere i tuoi follower e approfittare di questa grande opportunità per metterti in mostra e intercettare un nuovo pubblico, probabilmente molto più vasto di quello attuale. Infatti, ogni effetto riporta l'account di chi lo ha creato, generando una visibilità notevole. All’inizio ho parlato di piccola rivoluzione e non ho esagerato, pensa che prima il privilegio di creare effetti personalizzati era concesso solo a grandi brand come Nike. Tutto quello che devi fare, per iniziare a creare i tuoi effetti AR per le storie di Instagram è scaricare il programma Spark AR Studio (https://sparkar.facebook.com/ar-studio/download). Non è necessario saper programmare, l’approccio è abbastanza intuitivo, inoltre, Facebook fornisce una grande quantità di documentazione e guide (https://sparkar.com/ar-studio/learn/documentation/before-you-start) che illustrano non solo come creare i propri effetti AR (inclusi trame, oggetti, filtri viso, giochi e altro), ma spiegano anche il processo di approvazione e come inviare gli effetti da pubblicare. Dopo aver creato un effetto AR, puoi pubblicarlo sul tuo profilo Instagram o condividerlo su una storia. Quando i tuoi follower vedranno l'effetto, saranno in grado di selezionarlo e usarlo nelle loro storie. Ok, hai capito il potenziale per il tuo brand, ma non hai nessuna intenzione di metterti a smanettare sulla piattaforma. No problem. Nella community di Spark AR ci sono settordicimila agenzie e creatori di realtà aumentata a cui affidare il tuo progetto.

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Gli effetti di instagramsulla gente

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UNA PICCOLA RIVOLUZIONENELL'ULTIMA VERSIONE DELLA APP

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La mamma si rifugia impotente, soffre e urla quando si rende conto che il suo cucciolo non respira più, bruciato dal fuoco criminale dei suoi boschi nella foresta amazzonica. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo e colpito le coscienze di molti utenti. Peccato sia del tutto fuori contesto. Infatti, la foto è del 2017, realizzata dal fotografo professionista Avinash Loshi mentre ritraeva un gruppo di scimmie nel centro di Jabalapur, in India e non in Brasile. La scimmietta non è morta, ma solo svenuta e si è ripresa poco minuti dopo lo scatto.Ho utilizzato questo esempio, ma ce ne sono tantissimi più o meno gravi, più o meno importanti, ma che tutti insieme creano un rumore di fondo insopportabile. In realtà, abbiamo a disposizione diversi strumenti per evitare di pestare fake news e contribuire alla loro condivisione. Nel mio libro SEO&Journalism scritto con Giulia Bezzi, abbiamo dedicato un intero capitolo all’argomento, qui vediamo quelli più semplici da usare, ma più che sufficienti per diminuire drasticamente la diffusione di fake news:• Il Cervello Tutte le volte che prendi in considerazione

una notizia, svuota le tasche da ogni forma di pigrizia, vai oltre il titolo, vai oltre le apparenze, parcheggia con le quattro frecce l’intuito e razionalizza ciò che stai leggendo. Non dare per scontato che il controllo della notizia sia stato fatto da qualcun altro.

• Immagini e video Utilizzando Google Image Search (images.

google.cm) oppure TinEye.com, puoi

Come evitare di pestare le fake news

verificare quando un’immagine è stata postata online per la prima volta. Molto utile per smascherare presunte immagini di attentati o altre breaking news. Utilizzando questo semplicissimo stratagemma potresti evitare figuracce come la condivisione della bufala della scimmietta in Amazzonia.

InVID Verification Plugin, invece, è un vero “coltellino svizzero” del fact-checking, utile a verificare i video condivisi sui social network.

• Siti di fact checking Verificare le notizie è un lavoro lungo e

complicato, se una notizia ti è sospetta, conviene fare un giro su questi siti:• Pagella Politica (pagellapolitica.it)

è un progetto che mira a monitorare le dichiarazioni dei principali esponenti politici italiani, al fine di valutarne la veridicità attraverso numeri e fatti.

• Il Disinformatico (attivissimo.blogspot.com) il blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e debunker per antonomasia.

• Bufale.net (www.bufale.net) è un servizio gratuito che smaschera bufale e truffe online, ideato e diretto da Claudio Michelizza e Fabio Milella. Molto interessante è “la lista nera del Web” in cui sono elencati i siti che diffondono disinformazione.

• Open Migration (openmigration.org) è un progetto focalizzato sul fornire dati obiettivi sui rifugiati in arrivo in Italia, numeri spesso mistificati per ragioni politiche.

• Google Data Search (toolbox.google.com/datasetsearch). Quello che appare come la naturale evoluzione di Google Scholar, ha come obiettivo principale catalogare e rendere ricercabili tutti i database relativi alle scienze ambientali e sociali, come dei dati governativi o veicolati dagli organismi di informazione.

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PROFESSIONI DIGITALI

ECCO UN ELENCO DI PRATICI STRUMENTIPER SCOVARE TUTTE LE BUFALE

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Video e Smartphone: binomio perfetto! Abbia-mo in mano il più potente mezzo di comunicazio-ne mai esistito nella storia dell’uomo, ma, come il cervello, ne usiamo solo il 10%.Lo sapevi che il 90% degli acquisti online avven-gono dopo aver visto un video? E che Youtube è il secondo motore di ricerca al mondo dopo Google? Oppure che l’85% dei video sulla rete vengono fruiti da mobile e senza audio? Sono Roberta Andreoni, video specialist e trai-ner, aiuto imprenditori e professionisti a comu-nicare il proprio valore online attraverso video efficaci e sono felice di condividere con te, in que-sta rubrica, tutti i segreti sulla creazione video con lo smartphone, che ho imparato sporcandomi le mani in questi anni.Ogni giorno vengono condivisi sui social mi-lioni di contenuti e fare la differenza è sempre più difficile. Per comunicare il tuo valore a chi ne ha bisogno, la strada più efficace è di sicuro il video e possibilmente mettendoci la faccia. Se ti racconti o se condividi contenuti utili alle per-sone, ogni giorno, nel tempo conquisterai la loro fiducia e ancor prima di quanto immagini ti cer-cheranno per avere una tua consulenza o un tuo servizio. Se parti da zero, e vuoi cominciare a pro-durre video, il tuo smartphone è lo strumento ideale perché con un budget bassissimo puoi creare contenuti impattanti semplicemente acquistando qualche strumento su Amazon e sca-ricando delle applicazioni facili da usare. La maggior parte delle app, spesso gratuite, ti permettono di creare automaticamente anche solo con delle foto un bel video a ritmo di musica, altre ti consentono di mettere dei sottotitoli o della bella grafica, testi e loghi.Una volta stabilito il contenuto e la forma della tua comunicazione, ad esempio un video da 60 se-condi, quadrato, per Instagram, hai 2 possibilità: o utilizzi una App che monta (edita) il tuo video automaticamente su una base musicale sceglien-do un layout già definito, oppure decidi tu esat-tamente come lo vuoi ed imposti una grafica, un montaggio ed una musica personalizzata e qui

abbiamo una marea di possibilità.Nel primo caso ti consiglio Quik, ottima per tut-ti i dispositivi e semplice da usare, ha tantissimi schemi da scegliere e ti permette di inerire sia video che foto generando immediatamente un vi-deo in tre formati: quadrato, verticale e orizzon-tale, subito pronti per essere condivisi sui tuoi canali social. Nel secondo caso ti consiglio inShot che crea davvero i formati per tutti i social ed ha tutti i tool necessari per creare davvero un con-tenuto superpersonalizzato, puoi scegliere i font che vuoi, caricarne di nuovi ed inserire la grafica o le foto direttamente dalla galleria immagini del tuo cellulare. Entrambe le due App sono gratuite e semplici da usare. Altri suggerimenti su stru-menti e App li trovi seguendomi su Facebook, Instagram e IGTV, oppure nel mio libro Video Smart(phone) su Amazon. Alla Purple Way Academy invece insegno tutto sulla comunica-zione video in un percorso efficacissimo, insieme a Leo Vela e Silvio Zannoni , che sono dei ninja su strategia, personal brand, creazione contenu-ti e funnel. Se ti ho incuriosito sulla produzione video non perderti il prossimo numero di InKalce dove ti parlerò di strumenti utili e regole base per le riprese da cellulare. A tutto Video!

Fare video conlo smartphone per fare business

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Ecco le App di Video editing più scaricate al mondo, a sinistra quelle per iphone/android, al centro per android, a destra solo per iPhone.

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&Love

Emozionare attraverso il personal branding: è questo il concetto alla base della filosofia imprenditoriale di Salvatore Russo oggi rappresentata da &Love, l’azienda fondata dal digital marketing strategist assieme a Giulia Bezzi, “perché - spiega - non si può mai prescindere dalle emozioni”.«L’online ha portato velocità nelle transazioni, ha risolto i problemi di spazio e tempo, ma anche cancellato completamente quegli appigli emotivi cardine della comunicazione offline – rivela ancora Russo – Abbiamo passato anni a ritenere che i supporti tradizionali fossero per i dinosauri, oggi l’audience si sta ricredendo: le persone, infatti, si informano online per poi utilizzare meglio l’offline. Pensiamo ad esempio al mercato dell’automobile: io cerco su Internet informazioni inerenti al modello da me desiderato e poi vado dal concessionario a formalizzare l’acquisto. Qui non desidero trovarmi di fronte ad un venditore, ma ad un amico che mi dia consigli sul colore della carrozzeria, sul tipo di allestimento e via discorrendo». Emozionare tramite i contenuti in rete, quindi, per portare ad una chiamata all’azione: «L’idea del Seo&Love nasce proprio da questo assunto, dal far comprendere che non parliamo di due mondi diversi, ma che Seo e Content Marketing, se uniti, portano a risultati strabilianti – afferma il comunicatore – Era il 2014 quando tutto è iniziato e, senza nemmeno spiegare il format, solo grazie a questo naming abbiamo registrato il sold out nelle prevendite». Verona come sede strategica, scelta vincente in quanto la città indiscussa dell’amore:

«Questo grazie ad un content marketing perfetto – prosegue Russo – Verona non è nata come capitale della passione, ma lo è diventata tramite uno storytelling senza uguale, dalla narrazione del balcone di Giulietta alla possibilità di fare dediche su un pannello che, di volta in volta, torna bianco per essere riscritto». &Love, però, non è solo Seo: «Il Food&Love nasce proprio dall’evento sopracitato o, per

essere più precisi, dal suo pranzo – afferma ancora l’event manager – Il nostro obiettivo è sempre stato quello di regalare un’esperienza al nostro pubblico, non solo speech da un palco. Da qui, la decisione di includere nel biglietto il pranzo; un pranzo, però, non improvvisato, ma con le eccellenze del territorio. La collaborazione con Coldiretti Veneto è nata proprio in

questa circostanza». Filiera etica, prodotti da raccontare e da gustare: questi i mix vincenti di Food&Love giunto quest’anno alla seconda edizione: «Cosa occorre per prendere parte all’evento? Oltre alla qualità e alla bontà di ciò che si produce anche un rispetto dell’ambiente nelle lavorazioni – conclude Russo – In questo contesto deve uscire l’unicità italiana in modo tale da indurre i consumatori ad essere più consapevoli nei loro acquisti fin dalla lettura delle etichette. Al nostro fianco ci saranno come sempre Redoro e Sgambaro e molte altre novità».

I CONTENUTI PRENDONO VITA

Emozionare e chiamare all'azione tramite i contenuti in rete

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Consulente di media relations e consulente editoriale questi sconosciuti. Che ruolo svolgono questi professionisti? Le titolari della casa editrice Brainding, Michela Trada e Sabrina Falanga, che ricoprono rispettivamente i due ruoli sopracitati, ci spiegano perché è bene affidarsi a professionisti della scrittura.Pubblicare un libro non è un sogno: è un progetto. Perché scrivere non è una passione: è un lavoro. Questo significa che non tutti sono nati per farlo. In base a quello che si scrive, infatti, si avranno più o meno risultati anche da parte degli addetti ai lavori. Quante volte abbiamo provato a contattare le redazioni dei giornali per farci pubblicare i famosi “comunicati” invano? Quante volte abbiamo visto tornare al mittente la nostra email preparata con tanta cura? E ancora: quante volte abbiamo “pubblicizzato” un evento su Internet o tramite locandina non ottenendo poi il risultato sperato? Anche realizzare una cartella a stampa ad hoc per i media è una faccenda che non può essere lasciata al caso se si vuole ottenere la classica “massima resa con la minima spesa”. In questo caso la minima spesa è rappresentata dal non affidarsi al solito e raffazzonato “fai da te”, ma a chi ha esperienza nel settore: il consulente di media relations o, se preferiamo, l’addetto stampa. Il suo ruolo è appunto quello di fornire una consulenza ad hoc per navigare al meglio nel mare magnum di giornali nazionali, online e locali. Non solo: realizzare conferenze stampa, collaborare con le agenzie di comunicazione e stabilire il giusto “tono” comunicativo in base alle strategie programmate. Oggi non vince, infatti, chi urla più forte, ma chi offre contenuti di qualità e di utilità. Allo stesso modo capita anche per chi scrive un libro: che sia un

manuale, una raccolta di poesie, un romanzo o un ricettario, ci siamo visti rifiutare da parte delle case editrici a cui abbiamo inviato la nostra proposta; ci sono volte, poi, in cui nemmeno si riceve risposta alle proposte che inviamo. In entrambi i casi sono ben pochi gli autori che si domandano se non siano loro ad aver sbagliato qualcosa.Se ci dimentichiamo dell’anima imprenditoriale

di una casa editrice, rischiamo di non tenere conto del fatto che il nostro libro sarà, per la casa editrice, un investimento e un nuovo impegno a cui dedicare soldi, tempo e progetti: è fondamentale, quindi, che il nostro libro sia per la casa editrice un prodotto bello, sì, ma anche utile e profittevole.

Il consulente editoriale è proprio colui che si interpone tra l’autore e la casa editrice, affinché insieme si possano capire le esigenze editoriali della casa a cui ci si vuole riferire in modo da proporle un libro che sia adeguato a esse, aumentando così le possibilità di pubblicazione. E proprio tramite il suo ruolo di intermediario, il consulente riduce anche il rischio di non risposta da parte della casa editrice: insieme all’autore, infatti, costruirà un percorso di comunicazione che eviterà di rimanere anonimi e di perdersi nelle infinite proposte che quotidianamente arrivano a un editore.

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Consulente di media relations

e consulente editoriale CHI SONO E A COSA SERVONO

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Cambiare noi stesse per cambiare il mondo

IL GRUPPO LEROSA: IL DIGITALE NELLA SUA ESPRESSIONE POSITIVA

Partiamo innanzitutto dal nome, che ben racchiude la Mission. LeROSA è un gruppo dedicato alle donne, sì, ma non fa riferimento al banale colore femminile; LeROSA è un termine che arriva dal profumo della carta dei libri, uno in particolare, uno di quei testi che inizi a sfogliare da bambino e che poi ti ritrovi tra le mani e tra i pensieri anche da adulto, perché contiene verità che non sapresti spiegare in altro modo, rispetto a come sono scritte lì sopra. Trattasi de “Il Piccolo Principe”, il celebre capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, in cui una delle massime di vita che incontriamo cita: “È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”.Sì, perché LeROSA è un gruppo di condivisione di esigenze personali e professionali, al fine di migliorare la propria vita e quella altrui, tenendo presente che ogni cosa cresce in base alle attenzioni che le si riservano. Chiamarlo “gruppo online”, benché sia un gruppo Facebook, è riduttivo: nasce dall’online, sì, per arrivare alla quotidianità reale delle partecipanti.LeROSA, ideato da Giulia Bezzi, è la parte benefit di SeoSpirito Società Benefit e, come si legge sullo statuto, nasce con la voglia di contribuire al benessere femminile e del territorio attraverso l’utilizzo di strumenti di diffusione online. Obiettivo, come dicevamo, è la ricerca della felicità e lo sviluppo del proprio business e talento, fornendo supporto tramite contatti, informazioni e formazione tra le persone che aderiscono; ne LeROSA l’ascolto delle necessità è fondamentale, soprattutto per far seguito a un supporto concreto attraverso

connessioni sul territorio e online; un altro scopo è quello di facilitare l’incontro delle donne e stimolare discussioni interessanti, capaci di ispirare al cambiamento e alla voglia di fare. Non solo: ne LeROSA si può fornire il proprio pacchetto di servizi e prodotti (a costo inferiore a quello di mercato) per dare alle partecipanti la possibilità di risparmiare durante l’anno e a chi fornisce il pacchetto di accedere a un pubblico in target e andare ad aumentare l’arricchimento culturale individuale e collettivo.«Usiamo il digitale nella sua espressione

positiva – spiega Giulia –, tornando a ricreare un gruppo con sogni e voglia di darsi da fare per cambiare le cose, perché restare a guardare comincia ad annoiarci. LeROSA è un progetto per un

modo migliore di vivere, concentrandosi sulle cose belle; nasce per comunicare di nuovo, creare rapporti umani, tornare a stringersi le mani e scoprire realtà che fino a ieri ci lasciavano indifferenti».Infine, un appunto: perché proprio dedicato alle donne? «Perché non abbiamo ancora eliminato dal nostro Dna la tendenza a farci la guerra per dimostrare, forse più a noi stesse, che siamo brave, capaci – conclude Giulia –. È necessario creare relazioni e reti che dimostrino che non solo brave e capaci lo siamo già, ma che non è mettendoci una contro l’altra che lo testimoniamo. Anzi, è esattamente il contrario. Anche in questo LeROSA intende essere un cambiamento del modo di vivere: cambiamo noi stesse, per cambiare il mondo. Partendo dalle concezioni che ci hanno messo nella testa, che ci autodistruggono e che, in realtà, non ci appartengono».

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Primo pezzo per Inkalce Magazine e tanta voglia di far innamorare tutti del magico mondo della SEO a modo mio. La SEO (Search Engine Optimization) è quella branca del web marketing che si occupa di fare in modo che per ogni ricerca effettuata in Google, ci sia un sito che sia tra i primi risultati. Non è un caso, ci sono persone come me che fanno di tutto per poter vedere i siti dei propri clienti svettare nelle prime 5 posizioni, dove abbiamo circa il 75% di click al nostro sito.Per me, per esempio, è importante essere tra i primi posti quando qualcuno cerca una consulenza SEO a Padova. Così abbiamo lavorato per poter essere presenti con la SeoSpirito (la mia azienda) il più in alto possibile, non è un caso è dovuto, anche, al lavoro che abbiamo svolto e allo studio costante di Google e dei suoi desiderata.

La faccenda è ancora più complessa perché Google non è del tutto cristallino nel raccontarci i desiderata per cui serve tanta voglia di analizzare, sperimentare, non smettere mai di misurare le performance e continuare a studiare. Ogni sito web, argomento, parola chiave (la parola che viene digitata

nella stringa di ricerca dalla maggior parte di noi) è un mondo diverso, tutto da scoprire. È affascinante pensare che in 11 anni di carriera io abbia potuto imparare tutto sul turismo della Lombardia così come tutto sulle vasche di zincatura a caldo, per poi

Guadagnare online con la SEO:si può fare

passare alla cura dei denti o alla cartoleria. Per ogni sito c’è tanto lavoro di conoscenza da affrontare. È difficile persino pensare che tutte le volte che affrontiamo un nuovo progetto abbiamo la soluzione in mano. Certo, applichiamo con dedizione ciò che ha funzionato, ci sono molto best practices che sono ormai pilastri di noi del settore ma, nella stragrande maggioranza dei casi, sappiamo che ogni caso è unico e spiegarlo ai nostri clienti non è sempre così semplice. Così ho pensato di non trattare la mia materia utilizzando paroloni tecnici e dando consigli troppo specifici. Io voglio dire a grandi linee da che cosa è composto il mio mondo e voglio porre l’attenzione il più possibile su quanto sia necessario il contributo di un SEO specialist per crescere il proprio business online, per guadagnarci dal click di un utente in target al sito e per far venire la voglia matta di provarci e provarci bene. Per cui, iniziamo velocemente con dei dati molto interessanti che potrebbero solleticare:• il 70-80% degli utenti dei motori di ricerca

si concentra solo sui risultati organici (MarTech, 2018);

• il 93% delle esperienze online inizia con un motore di ricerca (Crazy Egg, 2018)

• Google riceve oltre 69.663 ricerche ogni secondo (Internet Live Stats);

• le ricerche locali portano il 50% degli utenti di dispositivi mobili a visitare i negozi entro un giorno (Google, 2018);

• oltre il 51% degli utenti di smartphone ha scoperto una nuova azienda o prodotto mentre effettuava una ricerca sul proprio smartphone (Google, 2018).

E concludiamo con 3 assunti fondamentali:1. La SEO è come i diamanti, per sempre: non

si può abbandonare finché c’è un sito online e un motore di ricerca.

2. La SEO non è fatta per gli impazienti: i tempi per una buona riuscita possono essere lunghi ma, la soddisfazione successiva sarà pazzesca.

3. Nessun SEO specialist al mondo può dire con certezza che farà il miglior lavoro possibile, con tempi, risorse e denaro a disposizione per far guadagnare il proprio cliente.

La magia della mia materia è che quando si lavora bene, non è possibile vedere un cliente infelice, perché per quanto complessa, se curata premia sempre.

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Tutto l’umano della consulenzaBISOGNA SCEGLIERE LE PERSONE GIUSTE

Così come quando si parla di consulenza finanziaria, si crede che s’intenda il solo aiuto alla pianificazione economica presente e futura, ma c’è molto di più: «Bisogna tenere conto dei beni intangibili. Anzi, è proprio da quelli che si deve partire per progettare il domani. E per proteggerli è compito del consulente non solo porre attenzione ai beni materiali del suo assistito, ma anche avere cura della relazione e la giusta sensibilità per scegliere la giusta comunicazione e il più corretto dei modi di approccio».Katia Moretto è consulente finanziaria, ha il suo studio a Oderzo (in provincia di Treviso) dove pratica come libera professionista dopo tanti anni di lavoro in banca: «Mi accorsi che i clienti non sceglievano più il Brand, ma Katia. Alcuni di essi – racconta sorridendo – non sapevano nemmeno dove fosse l’entrata della banca: è una piccola dimostrazione di quanto le persone scelgano te, prima dell’organizzazione che rappresenti».Tra le prime difficolta che un consulente incontra nell’ambito del passaggio generazionale c’è «la resistenza da parte dei genitori, dovuta alla non conoscenza della materia. Sanno di dover affrontare questo passaggio, ma non sanno come farlo.

Non hanno idea di cosa significhi pianificare il patrimonio per un futuro sicuro ed è qui che entrano in gioco i beni intangibili: si tratta di tutti quegli affetti e quei legami da proteggere, perché quando si tratta di patrimoni avvengono spesso diatribe familiari che rischiano di minare i rapporti. Quindi invece di parlare di pianificazione, parlo della necessità di mettere ordine: non è solo questione di semantica, quanto di sensibilità ed empatia. Doti necessarie quando si ha a che fare con le paure, i desideri e le fragilità delle persone. Infine, si stima che nei prossimi anni passerà di "mano" da una generazione all'altra una ricchezza

quasi pari al doppio del debito pubblico italiano: c'è da chiedersi se la generazione che riceve è pronta a tutto questo».C’è una frase che Katia prende da esempio per spiegare un altro fattore da tenere in considerazione: «Una frase che ho sentito da Magda Pozzo, durante una conferenza. Dice che si è eredi per genetica ma imprenditori per volontà di eccellere. Anche questo, infatti, è importante

considerare nel passaggio generazionale: scegliere le

persone giuste sia per preservare il lavoro fatto fino a quel momento sia per non gravare le persone di responsabilità che magari non vogliono».Il modo in cui Katia affronta il suo lavoro si può riassumere tutto sotto una parola ed è lei stessa a sceglierla: «Consapevolezza. Ho imparato a usare il cuore per arrivare alla ragione: è questo che mi distingue, come professionista».

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Passaggio generazionale, non significa semplicemente tramandare a un erede un’azienda, un patrimonio o dei beni.

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L’album L’altra metà di Francesco Renga, prodotto da Michele Canova Iorfida, è composto da 12 brani dal sound e dal linguaggio contemporaneo. Di fatto, rappresenta l’altra metà della vita, della storia, della musica di Francesco Renga: un altro capitolo, caratterizzato da nuove consapevolezze e forme, sonore e linguistiche. «È sempre molto difficile raccontare un album. È come cercare di raccontare qualcosa che è successo nonostante te, a tua insaputa. E non è semplice descrivere quello che in maniera inconsapevole, quasi misteriosamente, ha preso forma, quel qualcosa che avevi bisogno di dire. Ancora non ne conosci le motivazioni, lo stesso linguaggio ti suona a tratti estraneo, perché frutto di un’urgenza che nemmeno sapevi di avere. Ti ritrovi così a dover parlare di cose che sono uscite dalla tua bocca prima ancora che decidessi di aprirla, prima

che te ne rendessi conto, improvvisamente, come un urlo che non puoi controllare. Cose tue, che si muovevano dentro di te. Hai cercato di negarle, di nasconderle, ancora forse non hai nemmeno cercato di comprenderle... ma eccole lì: improvvisamente e inaspettatamente alla mercé di tutti. E tu che le credevi protette nella tua fortezza che pensavi inespugnabile. Ma questa è la fortuna dell’artista, il miracolo dell’arte».Dall’esordio a personaggio affermato, ne è passata di acqua sotto i ponti. D’altronde, Renga non ha mai smesso di essere un sognatore e di credere in se stesso.«È un’urgenza sulla quale non puoi pretendere di avere il controllo: sarebbe un ossimoro. Quello che ho fatto in più di 35 anni di lavoro è stato cercare di essere un artista e soddisfare questa urgenza, chetarla. Usare la mia fortuna per raccontare il mio universo… la visione che ho del mondo e della mia vita. Scrivendo canzoni.

L'USCITA DEL NUOVO ALBUM,UN ALTRO CAPITOLO, CARATTERIZZATO DA NUOVE CONSAPEVOLEZZE E FORME, SONORE E LINGUISTICHE

L’ALTRA METÀ… DI FRANCESCO RENGA

L'INTERVISTA

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41L'INTERVISTA

La canzone rappresenta, insieme alla musica, la forma più popolare e diretta di linguaggio. La musica è una delle forme più evolute del pensiero, arriva attraverso i sensi direttamente all'essenza dell'individuo senza intermediazioni, la sua comprensione avviene su un piano ancora più alto di quello della parola, per questo è universale. La canzone pop per me ha sempre rappresentato un'impavida sortita oltre le mura, piuttosto che la difesa di un comodo perimetro chiuso tra le pareti del mio essere. Ho sempre voluto abbattere le mura del castello, perché per me ogni muro rappresenta una prigione… non voglio difendere, voglio condividere».In effetti, c’è da dire che il suo linguaggio espressivo, dai Timoria alla carriera da solista, è cambiato parecchio.«Se ripenso ai miei vent’anni, a quando nel '91 sono stato a Sanremo con i Timoria, ti dico che quel tipo di linguaggio, che pure sconvolse, era per noi naturale. Oggi, per me, era questa naturalezza l’obiettivo da raggiungere e per farlo mi sono rimesso in gioco e mi sono sentito vivo. Se fai musica pop con l’intento di comunicare qualcosa e arrivare al pubblico, devi trovare un linguaggio adatto ai tempi che stai vivendo. È una scommessa difficile, ma che è giusto fare. Se a vent’anni la propensione a rompere gli schemi è naturale, a cinquant’anni per rimettersi in gioco ci vuole più tempo, ma vale la pena farlo».Con L’altra metà, Renga sarà impegnato in un tour in vari teatri italiani e questa inedita cifra stilistica pare sia mossa dall’urgenza di narrare la vita.«I contenuti di questo nuovo progetto hanno preso forma quasi misteriosamente: mi sono reso conto che avevo da dire delle cose dopo averle espresse. L’altra metà racconta il modo di evolvermi, la voglia di sperimentare, di guardare con occhi attenti e curiosi il mondo e intercettare, a modo mio, il nuovo. Quest’autunno poi tornerò nel luogo in cui mi sento di più a casa: il palcoscenico. In particolare, la dimensione teatrale mi ha sempre affascinato: il rapporto che si riesce a creare con il pubblico in un contesto simile è impareggiabile, per questo è un progetto a cui tengo moltissimo».

In buona sostanza, parliamo di gloriosa rinascita, di cambiamento dell’anima. Volgendo uno sguardo al passato e uno al futuro, tra rimpianti e tenerezza, si prospettano nuove avventure all’orizzonte.«L’altra metà rappresenta questa consapevolezza. Ho cominciato a fare dischi, cantare, suonare, scrivere e raccontarmi con la musica, le parole, la voce… quando tutto era un’altra cosa. Non solo la musica, le canzoni… il mio lavoro, il mio paese… e soprattutto la cosa più importante, per ognuno di noi… la vita. E se la mia vita adesso è altro, è cambiata, le mie canzoni non possono che essere diverse, cambiate a loro volta. L’altra metà è il frutto di un percorso cominciato anni fa con Tempo reale quando mi sono reso conto che il linguaggio popolare era mutato e ho sentito l’esigenza di rimanere collegato a un mondo del quale avevo disperato bisogno di sentirmi parte. Essere adeguato ai miei bisogni artistici

è sempre stata la mia priorità. Perché non ho un altro modo per stare al mondo… non c’è e non lo conosco. La musica, le parole, la mia voce sono gli unici strumenti che ho a disposizione per non tradire la mia anima. Da qui parto per condividere questo racconto con voi. Perché le motivazioni, l’urgenza, il bisogno non ve li posso spiegare, ma posso provare a farvele sentire. Da Tempo reale a L’altra metà ho vissuto

un percorso espressivo e di affinamento del linguaggio che con questo disco trovano una loro sublimazione e una cifra specifica molto personale. Da qui il titolo: L’altra metà ovvero l’altra metà della mia vita, della mia storia, della mia musica… una sorta di ripartenza con una consapevolezza rinnovata. Completamente nuova anche nelle sue forme. Questo album è frutto di oltre 35 anni di lavoro, di ricerca, di passione, d’amore, di vita spesa a cercare di raccontare e raccontarmi attraverso la musica e le parole… attraverso la mia voce. Ho scritto insieme con moltissimi giovani autori, musicisti e artisti perché avevo bisogno di trovare il linguaggio giusto per riuscire a parlare – attraverso queste canzoni - anche ai miei figli, senza paura di risultare sbagliato. È questo, credo, il miglior pregio del disco: canzoni, parole e musica che

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Il TOUR di Francesco Renga lo vedrà protagonista sul palco insieme ai musicisti Fulvio Arnoldi (chitarra acustica e tastiere), Vincenzo Messina (pianoforte e tastiere), Stefano Brandoni (chitarre), Heggy Vezzano (chitarre), Phil Mer (batteria) e Gabriele Cannarozzo (basso). Queste le date:

11/10 - MILANO - Teatro degli Arcimboldi12/10 - MILANO - Teatro degli Arcimboldi14/10 - CREMONA - Teatro Ponchielli15/10 - FIRENZE - Teatro Verdi16/10 - FIRENZE - Teatro Verdi19/10 - MESTRE (VE) - Teatro Toniolo 23/10 - BERGAMO - Teatro Creberg24/10 - BERGAMO - Teatro Creberg26/10 - BASSANO DEL GRAPPA (VI) - Palabassano 2 28/10 - BRESCIA - Teatro Dis_Play29/10 - BRESCIA - Teatro Dis_Play31/10 - MONTECATINI (PT) - Teatro Verdi03/11 - ROMA - Auditorium Parco della Musica04/11 - ROMA - Auditorium Parco della Musica05/11 - CESENA - Nuovo Teatro Carisport08/11 - SANREMO (IM) - Teatro Ariston12/11 - GENOVA - Teatro Carlo Felice13/11 - GROSSETO - Teatro Moderno 15/11 - ATENA LUCANA (SA) - Gran Teatro Paladianflex18/11 - NAPOLI - Teatro Augusteo19/11 - NAPOLI - Teatro Augusteo21/11 - BARI - Teatro Team22/11 - BARI - Teatro Team 23/11 - CROTONE - Pala Milone25/11 - PALERMO - Teatro Golden 27/11 - CATANIA - Teatro Metropolitan 01/12 - LUGANO - Pala Congressi05/12 - VARESE - Teatro Openjobmetis06/12 - TRENTO - Auditorium Santa Chiara 07/12 - TRIESTE - Teatro Rossetti10/12 - BOLOGNA - Europauditorium12/12 - TORINO - Teatro Colosseo13/12 - TORINO - Teatro Colosseo14/12 - PARMA - Teatro Regio17/12 - BOLOGNA - Europauditorium20/12 - LA SPEZIA - Teatro Civico 10/05 - ZURIGO - Volkshaus13/05 - BRUXELLES - La Madeleine15/05 - PARIGI - La Cigale16/05 - LONDRA - O2 Shepherd’s Bush Empire18/05 - MADRID - Teatro Nuevo Apolo

riescono a essere contemporanee; che riescono a raccontare la vita che mi attraversa e che, a sua volta, è attraversata dallo sguardo di un uomo di 50 anni».A conti fatti, con L’altra metà si apre una nuova fase, forse più serena e matura, della sua carriera. «È un bel punto di arrivo per me essere riuscito a trovare un mio linguaggio che sia adeguato alla musica che mi circonda. Questo disco è appunto uno spartiacque tra un prima e un poi. Mi ci è voluto un po’ di tempo per arrivare a questa sintesi: già nel mio precedente lavoro sentivo che la musica stava cambiando e che avevo bisogno di trovare un linguaggio nuovo, che mi tenesse ben radicato nel presente musicale. È un disco che ha una cifra molto univoca pur essendo altrettanto vario, avevo bisogno di trovare quella naturalezza nella scrittura e nel canto, che fosse contemporanea, ma che rispettasse anche il mio percorso artistico».Molte le collaborazioni musicali: Ultimo, Colapesce, Gazzelle e Danti. Il registro dell’album L’altra metà è più colloquiale, addirittura più social. Si tratta di una scommessa, appunto. Dalle canzoni che lo compongono si evincono immagini tipiche del pop, non più melodiose ballate emotive.«Da anni mi sono accorto che la musica pop italiana stava cambiando e nelle canzoni de L’altra metà sono cambiato, ma sono ancora io. Ne L’altra metà sono riuscito a trovare una quadra a tutto quanto anche grazie al confronto con giovani autori e musicisti come Ultimo, Gazzelle e tutti gli altri. Mi premeva collaborare con nuovi autori per trovare una mia via al cambiamento; un nuovo modo per esprimermi, rispettando la mia cifra stilistica».A maggio 2020, si esibirà anche all’estero… insomma un 2019 e un 2020 esplosivo!«Sì, a maggio 2020 partirà un tour europeo che vedrà cinque date tra Zurigo, Bruxelles, Parigi, Londra e Madrid. Mi sento carico di responsabilità ma allo stesso tempo pieno di emozione: non sto davvero nella pelle!»

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Questo disco è uno spartiacque tra un prima e un poi. Una sorta di ripartenza con rinnovata consapevolezza

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La mia mission:essenza e presenza MASSIMO GIOFRÉ SI RACCONTA: «IO CI SONO»

Quando raccontiamo di un professionista, potremmo anche non fare riferimento al lavoro che svolge, al ruolo che occupa all’interno di un’azienda. Sappiamo bene, infatti, che a fare la differenza sono i suoi valori, i principi a cui fa fede, che vanno a costituire il modo in cui svolge la sua professione, in cui si approccia alle sue persone.Onesta e lealtà: sono queste le prime virtù a cui Massimo fa riferimento, quando racconta della sua quotidianità. Non del suo lavoro, perché ricopre più di un ruolo professionale nella sua vita, ma lo fa sempre fedele ai valori che lo muovono: Massimo Giofré è impresario edile della Essegibi di Cornaredo (provincia di Milano) e Assistant Director in Bni (ha creato il capitolo Corniolo, insieme a Micaela Ceschiat, primo capitolo Hall of Fame della Region Milano-Nord, terra natale di BNI Italia). Due cariche che gli permettono di esprimere al meglio la sua personalità: «Quando una persona si avvicina a me, per avere informazioni riguardo al mondo Bni, con lei sarò totalmente sincero, anche a costo di sentirsi dire cose che magari non vuole sentirsi dire. Non ho mai promesso a un membro, ad esempio, che avrebbe ottenuto qualcosa da Bni senza impegnarsi. A questo va a legarsi un altro valore che fa pienamente parte di me: la perseveranza. Nulla arriva a chi non ha costanza, pazienza di non arrendersi e coraggio di rialzarsi dopo ogni caduta».Massimo non lo dice, ma tra le sue colonne portanti c’è anche la coerenza: «Mantengo sempre la parola data e desidero avere intorno persone che con me facciano la stessa cosa. Solo così si può costruire, insieme, un ambiente in cui vivere in armonia, in cui avvertire felicità: è importante, per me, che le

persone che ho intorno siano felici, se non lo sono mi chiedo se io abbia sbagliato in qualche modo o se c’è qualcosa che io possa fare». È esattamente come dicevamo: nel sentirlo raccontare, dopo un po’ si perde coscienza

di quale ruolo professionale stia parlando. Perché Massimo è sempre fedele a se stesso e ai suoi valori, indipendentemente dagli abiti che indossa; «Potrei riassumere la mia Mission in tre semplici parole: io ci sono. È valida per il mio ruolo da Director, attraverso il quale voglio trasmettere la

sicurezza di poter avere fiducia; ed è valida nella mia azienda, nella quale ho scoperto che sono tante le persone che hanno paura di essere abbandonate dopo un lavoro, mentre io garantisco la mia presenza. Cerco di dare alle persone quello che da loro vorrei ricevere io».

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COME FARE PER NON PERDERE DI VISTA CIÒ CHE STIAMO COSTRUENDO

Il tempo delle cattedrali

Quando si entra a far parte del mondo del business, da professionista o da imprenditore, si viene catapultati in una realtà molto più complessa di quello che si pensava all’inizio.Si entra infatti in un turbine fatto di mille attività collaterali: dalla burocrazia ai rapporti con i clienti e con i fornitori, alla gestione degli imprevisti. Quante volte ci siamo ritrovati a pensare, “ma chi me lo ha fatto fare?” oppure “come sono arrivato fino a questo punto”.Queste domande sembrano, spesso, senza risposta. In queste pagine voglio condividere con voi alcune riflessioni su questi argomenti. Le risposte assolute non le ho anche perché quelle domande, spesso, me le pongo anche io. Questo numero di InKalce coincide per me con un momento molto speciale, il mio compleanno. E non un compleanno qualunque ma un traguardo importante ossia i miei primi 60 anni. State tranquilli! Niente bilanci o consigli da imprenditore “maturo”. Voglio invece parlare di un concetto che sempre più spesso viene trascurato: l’essenziale.

Un concetto a prima vista semplice, potremmo dire naturale, semplice, quotidiano. Eppure, nel mondo del business, l’essenziale è un concetto sempre più lontano dalla nostra quotidianità.Ho iniziato a riflettere più attentamente su questo concetto qualche mese fa. Mi stavo preparando a partire per la Conferenza BNI Italia, che quest’anno è stato particolarmente importante per la presenza del fondatore, Ivan Misner, e di oltre 1.200 professionisti e imprenditori Membri e Director BNI.Ogni anno ho l’abitudine di condividere alcune riflessioni, alcuni spunti che possano essere anche suggerimenti utili per la propria attività di networking. Ed è un’occasione a cui tengo particolarmente. Parlare a così tante

persone nella stessa giornata è, nell’anno, cosa molto rara. Direi anzi unica. E quindi eccomi, a preparare il mio intervento. Leggendo Il Corriere della Sera alcune settimane prima mi sono imbattuto in un breve articolo di Alessandro D’Avenia (giornalista e scrittore, NDR): La metà invisibile delle cose. L’articolo partiva dalla citazione del libro Il piccolo principe, celebre per la frase “L’essenziale è invisibile agli occhi” per poi passare ad un concetto che mi aveva davvero colpito.D’Avenia infatti si chiedeva che cosa fosse questo essenziale di cui si parlava tanto nel libro e perché questo essenziale fosse invisibile.E per rispondere a questa domanda ha citato

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un racconto che ci porta molto indietro nel tempo, al medioevo.Protagonista del racconto era un pellegrino che, camminando, si era imbattuto in un gruppetto di scalpellini che stavano lavorando alacremente.Il pellegrino chiese ad uno di loro: «Cosa stai facendo?» E lo scalpellino, anche piuttosto infastidito dalla domanda, rispose. «Non vedi? Mi sto spezzando la schiena per la fatica». Il pellegrino pose la medesima domanda ad un altro scalpellino che gli rispose stavolta,«Non

lo vedi? Lavoro per dare da mangiare ai miei figli».Ma il pellegrino era curioso e quindi non si fermò nel suo domandare e chiese ad un terzo scalpellino «Cosa stai facendo?». La risposta,

questa volta, fu davvero sorprendente. «Non lo vedi? Sto costruendo una cattedrale».

Abbiamo parlato di business, di mondo imprenditoriale e professionale, di consigli…come siamo arrivati alla cattedrale? Ebbene leggendo quell’articolo in cui D’Avenia riportava quel racconto e in cui lo collegava all’essenziale, anch’io ho riflettuto sul fatto che il terzo scalpellino conservava ancora quello che spesso noi, nella nostra vita quotidiana perdiamo di vista: il fatto che lavoriamo per uno scopo, un obiettivo, una cattedrale più ampia.Lo scalpellino infatti ha dato al pellegrino l’unica risposta che aveva al suo interno una finalità. Pur nella fatica e nel lavoro quotidiani, non aveva perso di vista il perché, ogni mattina, si alzava per fare quello che stava facendo.Ognuno di noi quando ha iniziato la propria attività professionale o imprenditoriale aveva sicuramente un obiettivo, uno scopo, un progetto: un perché.

Per alcune professioni è sicuramente più semplice ricordare il proprio perché. Per altre forse è più difficile ma se ci pensiamo bene e guardiamo la nostra cattedrale, quello che stiamo costruendo dall’esterno, sarà più semplice ricordare il punto di partenza.Per questo molte aziende, nella loro comunicazione spesso ricordano la loro

vision, ossia il punto a cui vogliono arrivare, la finalità che sta dietro a tutto un meccanismo fatto di business plan, piani vendita, logistica, burocrazia. Lo fanno per ricordare a chi si interfaccia con loro qual è il loro obiettivo ultimo, la loro promessa.

Anche nel mondo della piccola e media impresa o dei professionisti è importante ricordarsi sempre il progetto che ci guida e, soprattutto, il perché ci troviamo su una determinata strada. Lo descrive bene Simon Sinek, nel suo celeberrimo libro Partire dal perché. Senza ricordarci il perché abbiamo intrapreso un determinato tipo di percorso, rischiamo, ogni giorno, di dimenticarci il punto di partenza.Leggendo l’episodio raccontato da D’Avenia nel suo articolo per me è stato immediato fare un paragone con la mia esperienza personale e con l’organizzazione BNI e mi sono immedesimato nel pellegrino pensando alle risposte che i Membri avrebbero potuto darmi alla domanda “Perché fai parte di BNI?”. Alcuni, pochissimi ovviamente spero, mi potrebbero rispondere “Sto perdendo il mio tempo”. Qualcun altro invece potrebbe rispondermi “Sto cercando di creare nuove opportunità per il mio business”. Ma la risposta che, da pellegrino del referral marketing, mi piacerebbe più di tutti sentire è “Non lo vedi? Sto collaborando

a cambiare il modo in cui il mondo fa business”.

Collaborazione, reciprocità, opportunità…sono tutte parole che sono state le fondamenta della mia cattedrale professionale.E ho preso l’abitudine, negli ultimi anni, di ricordarlo ogni giorno che entro nel mio ufficio. Ad

attendermi, ogni mattina, un quadro che ogni giorno mi ricorda il mio perché. È un quadro che rappresenta una mischia durante una partita di rugby. Da ragazzo sono stato un giocatore di rugby e ho conservato una grandissima passione per questo sport che mi ha indirizzato verso la strada della collaborazione, del gioco di squadra e che mi ha accompagnato in qualsiasi circostanza e occasione. Perché una cattedrale può nascere anche dal fango di un campo di rugby.

Nel quotidiano spesso dimentichiamoche stiamo lavorandoper un obiettivopiù ampio

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Blockchain e Crypto AssetMASTER AI BLOCCHI DI PARTENZA

La formazione di tutte le generazioni nell'ambito dell'evoluzione dell'ecosistema digitale quale elemento indispensabile per la crescita del futuro. Rispettando la tabella di marcia anticipata nell'articolo di Inkalce del mese di giugno abbiamo avviato il Master in Blockchain Economy e Crypto Asset di 1° Livello per l'Anno Accademico 2019/2020 presso l'Universitas Mercatorum (l'Università delle Camere di Commercio Italiane) che mi vede impegnato in qualità di Direttore Scientifico. Questo è solo l'inizio di un percorso che si pone l'obiettivo di far conoscere nei prossimi anni accademici tutte le caratteristiche delle tecnologie esistenti e di quelle che si affermeranno nell'ambito dell'Ecosistema Digitale. In un contesto economico in cui la tecnica finanziaria e la tecnologia digitale si fondono, il Master “Blockchain Economy e Cryptoasset”, fornisce competenze ed operatività nell'ambito della tecnologia Blockchain, come risposta alle svariate applicazioni presenti nella vita quotidiana di persone, professionisti, aziende, istituzioni e multinazionali.Il Master, basato su continui aggiornamenti, seguirà le evoluzioni e le tendenze della tecnologia Blockchain. Rendendolo unico nel panorama della formazione.Contestualizzati in un'unica piattaforma

saranno trattati i temi della Blockchain. Dell'integrazione con la robotica ed i processi di intelligenza artificiale, dei big data e della cyber security, dell'adozione dello I.o.t. (internet of thinks) fino ad arrivare agli aspetti etico-sociali. Gli obiettivi formativi del Master sono quelli di creare un “Mindeset” adatto a beneficiare dei cambiamenti che la Blockchain porta e porterà nella vita aziendale e non, inoltre di aggiornare le competenze di imprenditori, manager e professionisti e di favorire il dialogo operativo tra le nuove professioni ed il tessuto economico-industriale. Durante il Master saranno fornite le competenze necessarie per avere i seguenti sbocchi professionali: formatore esperto in Blockchain, consulente aziendale Blockchain expert, manager(Top e Middle) d'azienda, financial coach, minset coach,consulente finanziario esperto in digital asset e dirigente di P.A. Con specializzazione in Blockchain organization. I contenuti del master prevederanno elementi di Economia Aziendale e Gestione d'Impresa, Digital Trasformation e change Management, fondamenti della Blockchain e delle Crypto, fiscalità, contestualizzazione strategica ed applicazioni della Blockchain inserita nell'evoluzione globale mondiale (analisi predittiva, intelligenza artificiale, cyber security).Il Master è rivolto in particolare ad operatori nell'ambito del settore finanziario-bancario che vogliano ampliare la loro preparazione e conoscere le applicazioni in materia, a dirigenti e azionisti di aziende che vogliano approfondire l'eventuale impatto della Blockchain nella loro attività, a professionisti che vogliano capire come la Blockchain potrebbe migliorare l'operatività della loro attività a qualsiasi livello nell'ambito delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione per comprendere l'uso applicativo della Blockchain ed a neo-laureati che vogliano avere una specializzazione in materia di Blockchain al fine di aumentare la possibilità di inquadramento lavorativo.

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Le mette nel mixer e ci restituisce un’esistenza agli antipodi di quella che ci eravamo prefissati con risultati sorprendenti. Da musicista a consulente finanziario, da amante della letteratura e della scrittura, a esperto di finanza... Marco Capelletto è sia uomo di numeri che di persone; occorrono pochi minuti per comprenderlo, basta osservare i suoi occhi mentre descrive il suo rapporto con i clienti: «Sono uno strumento nelle loro mani, il mio compito è quello di guidarli nell’universo della finanza e di custodire il loro patrimonio esattamente come se fosse il mio – rivela – Il mondo degli investimenti ha molta più filosofia e umanità di quanto si possa credere. È questo che, vent’anni fa, mi ha fatto innamorare del mio lavoro». Da dipendente negli uffici di Biverbanca a Vercelli, a consulente nell’omonima filiale di Milano fino ad approdare alla libera professione con Banca Consulia e, oggi, in CheBanca. «La mia carriera ha vissuto due cicli e ora è entrata nel terzo – afferma ancora il professionista col sorriso sulle labbra – Mi piacciono le sfide, sono costantemente in “formazione” per fornire un servizio all’altezza di chi, tra tante offerte, sceglie me; da buon appassionato di enigmistica, infatti, sono sempre stato orientato alla soluzione dei problemi». Contrariamente a quanto si ritiene, la bravura di un consulente non si misura dalla sua capacità di vendere, ma dalla retention: «Un cliente va seguito, guidato, confortato se è necessario – dice Capelletto – Non stiamo parlando di numeri, ma di persone. So che può sembrare un parallelismo forte, ma il nostro lavoro è equiparabile a quello

del medico: quest’ultimo si occupa della salute del paziente, mentre noi ci occupiamo del suo denaro. Spesso le emozioni che suscitano nel bene e nel male i risparmi e la salute sono proprio simili; la fiducia deve quindi essere essenziale e alla base di ogni relazione». Sicurezza: è questa la parola chiave sulla quale verte il cosmo di Capelletto: «Il cliente con me deve sentirsi al sicuro e protetto, in primis da me e poi dal sistema – spiega – Oggi, rispetto al passato, ci sono più informazioni relative al nostro mondo o, per meglio dire, è più facile accedervi. Internet, però, rappresenta un’arma a doppio taglio perché nella rete si nascondono molteplici fake news e non sempre quello che troviamo scritto sui giornali, forse con superficialità, corrisponde al vero. Quando le convinzioni non sono suffragate dai fatti diventa complicato. Perché la libera professione? Perché desidero che la scelta finanziaria ricada su di me in quanto professionista e non per il brand che rappresento». Infine, una considerazione: «Si dice che investire costi, ma quanto si perde, invece, a non farlo? – chiosa Capelletto - È qui che il nostro operato diventa fondamentale, quando è necessario trovare un equilibrio nell’emotività».

Marco Capelletto

IL FILOSOFO DELLA FINANZA

A volte ci pensa la vita. Entra a gamba tesa, scompagina i nostri piani, le nostre aspettative.

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VI RACCONTO COME HO CREATO BNI

Spiega che coraggio è il termine sbagliato, perché dover cercare il coraggio di fare qualcosa significa che, dentro, coviamo una paura.

E la spinta emotiva che l’ha portato a dare vita alla sua impresa è stata dettata dall’en-tusiasmo, dall’adrenalina. La sottolinea bene, quell’assenza: non c’era paura di fallire, perché sa che il fallimento è parte di un qualsiasi pro-cesso. Il suo era puro piacere di costruire quello a cui nemmeno aveva pensato.Perché Ivan Misner, Bni non l’aveva assolutamente concepita quando ha creato il primo gruppo di imprenditori: amici che si riunivano con la promessa di referenziarsi uno con l’altro. L’obiettivo era quello di migliorare la propria rete di contatti, di aumentare la quantità e la qualità della clientela, non quello di partorire ciò che oggi Bni è: l’organizzazione di marketing referenziale più grande al mondo.Inizia tutto così, quindi. Ivan riunisce le persone più fidate attorno a un tavolo, il fine era chiaro: lavorare tutti per uno e uno per tutti. Era inconsciamente in atto il concepimento di quello che, oggi, è il cardine dell’organizzazione: il Givers Gain. Nonostante la forma embrionale del gruppo, una regola era già presente e precisa: non potevano subentrare figure professionali già presenti all’interno del team costituito. Ed è stato questo il punto di sviluppo di tutto il resto: a Ivan una donna chiede di aiutarla a creare il suo gruppo, perché la sua posizione lavorativa era già occupata. Una richiesta che a Misner suona strana, perché non era quello a cui puntava né l’aveva anche solo

ipotizzato. Eppure quella donna non fu l’unica: regolarmente gli veniva chiesto aiuto per un altro gruppo e poi un altro ancora. E se inizialmente aveva delle resistenze nei confronti di questo sviluppo, a un certo punto decise di arrendersi e di prestare la sua capacità consulenziale a chi gli stava chiedendo quel tipo di aiuto. C’era un motivo, insomma, se le richieste erano continue e sempre più numerose. È stato sufficiente un anno: da un dicembre all’altro, nascono i primi venti gruppi. Uno sviluppo che fu il protagonista delle riflessioni che Ivan fece tra Natale e Capodanno, periodo in cui è solito ritirarsi per meditare su ciò che è stato e su ciò che sarà, per comprendere e progettare. Si accorse che era successo qualcosa che non era assolutamente nei suoi piani, eppure aveva avuto un successo grandioso. Accadde proprio in quel momento quella che lui definisce la sua prima illuminazione: era il dicembre dell’85 e Bni stava nascendo.«Il marketing si muove sulla base di due meccanismi: il ‘push’ e il ‘pull’. Nel primo caso, sei tu a spingere. Nel secondo, vieni spinto e trasportato in base alla società e al mercato. È quello che successe a me: ero continuamente tirato dai bisogni collettivi e individuali – racconta Misner –. È stato proprio comprendere questo meccanismo che mi ha portato a sviluppare il mio piano di sviluppo, la mia Vision: ho creato la mia idea di ciò che volevo da quel momento ai futuri sette anni, ho immaginato quello che doveva essere il nostro team di lavoro, anche se inizialmente, come tutte le piccole imprese che nascono, io e altre due persone in part-time ricoprivamo tutti i ruoli necessari. Il mio obiettivo era quello di andare a inserire la persona giusta in ogni mansione, io ne volevo rimanere solo il fondatore».Fin da subito la carta vincente dell’organizzazione si mostra essere, insieme al Givers Gain, il passaparola: un principio

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già insito nell’essere umano, un processo che si può dire spontaneo e naturale, «ma che non era strutturato. Non aveva metodo, strumenti – spiega Ivan – : è anche per questo che ho personalmente scritto i manuali, all’interno dei quali c’erano e ci sono tutte le singole regole, le modalità, i principi. Avere metodo significa rendere possibile la replicabilità ed è questa che è mancata a quei Network che sono morti sul nascere». Un passaparola che persiste anche nell’epoca del web e dei social network; un meccanismo che non esce sconfitto dalla tecnologia, ma rafforzato: «Anni fa un vostro collega mi chiese se il marketing referenziale avrebbe sostituito nel futuro la pubblicità – prosegue Misner –. Non si tratta di un “aut-aut” ma di un “e-e”. La rete (sostantivo significativo già a livello etimologico e semantico – ndr) integra alla perfezione i nostri

processi e viceversa». A sentire parlare il “papà” di Business

Network International sembra quasi che lo scopo principale dell’organizzazione sia maggiormente legato alla formazione che al business vero e proprio: «In realtà questi due fattori sono legati uno con l’altro – rivela – formandoti elevi le tue

capacità di realizzare business; gli altri network non sono cresciuti poiché, come

precedentemente affermato, mancava in essi la scalabilità, una scalabilità portata anche dalla formazione. E’ il metodo, anche quando si gestisce un’impresa, a fare la differenza». Bni è un’organizzazione mondiale, ma c’è una nazione che meglio ne incarna la filosofia? «Sicuramente l’Italia – afferma Misner col sorriso sulle labbra – Ci sono Paesi entusiasti del sistema, che lo fanno proprio e che riescono a trasmettere energia e passione in ogni processo.

L’Italia, così come ad esempio l’India, è uno di questi». Una cosa è certa: Bni ha

cambiato la vita a migliaia di persone; ed è proprio venire a conoscenza di

questi cambiamenti il ringraziamento più bello per Misner: «Quando sento l’impatto che l’organizzazione ha avuto nella vita di un director o di un membro sono grato per il mio operato – conclude –. Fortunatamente ho avuto l’opportunità di ascoltare moltissime storie di questo tipo. Vuol dire che stiamo lavorando nella direzione giusta».

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Annamaria è un portento e il suo magnifico progetto tutto al femminile anche. L’ha tirato su grazie anche al supporto della sorella Rosaria. Stiamo parlando di Re-Belle Box. Come definirlo? Sorprendente. Emozionante. Originale. In poche parole, un mondo creativa in grado di solleticare sognatori e non. «Il progetto nasce una sera, quasi per gioco. Abbiamo trovato un articolo che parlava delle subcription box, molto in voga all’estero e ci ha colpito molto. Non le conoscevamo e ci è subito piaciuta l’idea della sorpresa da scartare che ti arriva a casa, la riscoperta della meraviglia, una sorta di bustone a sorpresa come quello che da bambini trovavamo in edicola. Queste box però sono di solito solo commerciali, dedicate alla promozione di brand e funzionano semplicemente da vetrina. Noi abbiamo ripreso l’idea, ma abbiamo voluto dargli

un’anima, uno scopo». Ecco in cosa consiste. «Re-Belle Box è una scatola a sorpresa che somiglia a una borsetta e che racchiude un’esplosione di creatività, arte, storie, idee e progetti al femminile: libri, fumetti,

illustrazione, beauty, make-up, home design, moda, artigianato. Re-Belle Box è un concentrato di emozioni e di sorprese: si tocca, si legge, si annusa, e a volte qualche contenuto si mangia anche. Ogni mese il tema cambia e con esso anche il contenuto: in ogni bauletto ci sono 5/6 prodotti realizzati da artiste di ogni parte del

mondo legate al tema del mese e per ciascun prodotto c’è una scheda abbinata, uno spazio in cui la creativa che l’ha realizzato si presenta e si racconta. Questa cartolina/scheda è forse la parte più importante del nostro progetto, la storia che c’è dietro ogni singolo prodotto è fondamentale… le donne che partecipano alla box con i loro lavori spesso si sono reinventate, lasciando la vecchia strada per seguire la loro passione e vogliono essere di ispirazione per le acquirenti. Re-Belle Box è fatta dalle donne- per le donne, come dice il nostro slogan “Girls can do anything!”. Si può sottoscrivere l’abbonamento (trimestrale o semestrale) o acquistare un singolo bauletto per un solo mese. La Re-Belle Box arriva direttamente a casa col suo carico di meraviglie».

In buona sostanza, principalmente è per l’universo femminile. «È destinata a donne curiose, che amano le sorprese, l’arte, le belle storie e i prodotti originali».La cosa interessante è che questa bellissima iniziativa sostiene campagne sociali di varia natura. «Sì, spesso presentiamo progetti legati

Cultura ribelleINTERVISTA AD ANNAMARIA DI MATTEO,

CO-FONDATRICE DI RE-BELLE BOX

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al tema del mese che tutelano la salute o i diritti delle donne e facciamo una donazione con parte dei ricavati alla fine del mese di vendita. A volte ci sono delle eccezioni off topic, ad esempio in occasione della box dedicata alla primavera e alla natura di quest’anno abbiamo sostenuto il WWF. Essendo una box con protagoniste le donne, dare una parte del ricavato ad associazioni o progetti particolari che le sostengono, ci dà uno scopo per fare sempre meglio e impegnarci al massimo».

La caratteristica tematica contraddistingue in tutto e per tutto Re-Belle Box. È una sorta di marchio di fabbrica. «Sì, c’è sempre un tema che fa da filo conduttore a tutti gli oggetti che si troveranno all’interno e che viene svelato all’inizio del mese di prenotazione delle box. è una bella sfida e c’è un grande lavoro di ricerca dietro per proporre sempre prodotti originali, mai banali, che si leghino al tema e che siano comunque molto diversi tra loro. A volte creiamo anche noi qualcosa di esclusivo insieme alle artiste e ultimamente stiamo anche sperimentando delle combo creative che stanno riscuotendo grande successo: mettiamo in contatto più creative per creare qualcosa di unico ed esclusivo».

Ad aiutare Annamaria e Rosaria, c’è anche Giuseppe (marito di Annamaria)… lui è l’uomo dietro le quinte: si occupa della parte amministrativa e logistica. E nell’ottica di un ampliamento, tutti e tre si stanno dando parecchio da fare. «Stiamo lavorando per portare le nostre Re-Belle fuori dal solo shop on-line: in futuro si potrà trovare anche in libreria e in alcuni concept store».Il lavoro di ricerca e di scouting degli artisti è fondamentale per offrire sempre prodotti

di qualità. «Scoviamo i creativi su siti dedicati all’artigianato e ai progetti indipendenti, social, mercatini. È la parte più impegnativa, ma anche la più divertente! Scegliamo molto di pancia, in base al tema che dobbiamo sviluppare. Semplicemente, ci innamoriamo di un progetto o di una bella storia e vogliamo condividerla e farla conoscere ai nostri follower. Da un po’ di tempo, però, stiamo ricevendo un gran numero di proposte e candidature direttamente dalle artiste, Re-Belle Box è diventata anche una vetrina per farsi conoscere».

Non possiamo farvi anticipazioni sulle future box e neanche i diretti interessati possono svelarci molto. Sapete perché? «Un fattore importante delle box è la curiosità, l’effetto sorpresa… non possiamo fare grossi spoiler, ma abbiamo delle collaborazioni molto importanti in cantiere e un paio di esclusive davvero SUPER in programma».

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Donne, denaro e spiritualità: un’espressione che racchiude alcuni degli elementi più impor-tanti per la crescita personale e professionale di una donna, sia essa imprenditrice o meno. Non solo, però, i più importanti: si tratta, infatti, an-che di alcuni dei cardini più difficili da costrui-re. Perché quanto è vero che per qualsiasi in-dividuo non è sempre immediato e semplice impostare una sana relazione con il denaro, per una donna lo è ancora meno: è bene tene-re conto di tutti i retaggi culturali e sociali che non solo aleggiano ancora nel presente, ma che da secoli e secoli viaggiano da una generazione all’altra. Non sono poi così lontani i tempi in cui una donna non andava al lavoro ed era il marito a pensare all’economia della famiglia: la moglie non aveva né indipendenza economica, quasi fosse una concessione che non meritava solo per il genere, né facoltà di decidere sulle scelte finanziarie proprio perché il denaro non le ap-parteneva.Questo e tante altre congetture hanno influen-zato il rapporto tra il denaro e le donne, che oggi portano nel loro Dna i segni di una storia diffici-le da superare del tutto.È proprio in questo che ben si incastra il terzo concetto, quello della spiritualità: attraverso la possibilità, che una donna concede a se stessa, di entrare nella propria spiritualità, si va a capire che spesso le nostre difficoltà derivano proprio da convinzioni limitanti che non ci appartengono ma che abbiamo fatto nostre.Non è così raro, ad esempio, che nonostante a livello razionale una libera professionista sia libera da questo pregiudizio, nel suo inconscio creda ancora allo stereotipo dell’imprenditore arido e “padrone” (uomo, tra l’altro), figura a cui non vuole assomigliare. Questo la porterà, senza che se ne renda conto, a credere che tale potrebbe diventare nel caso aumentasse il suo business imprenditoriale: non sarà facile per lei chiedere i soldi che le spettano e rischierà sempre di essere in continuo credito.

Così come influenti sono i retaggi familiari di chi è cresciuta in ambienti dove la paura dei debiti e di rimanere senza soldi era così forte da non darsi l’opportunità di fare alcune spese, benché minime: non è difficile immaginare che in questo caso una donna, anche da adulta, con-tinuerà a temere di fare un investimento in più, seppur conscia di quanto sarebbe utile alla sua crescita professionale e personale.Si comprende così, dunque, che nonostante il denaro sembri una questione meramente materiale, è in realtà il simbolo di una rela-zione con molteplici fattori, tra cui le nostre convinzioni limitanti, la nostra autostima, la nostra mente inconscia; è per questa ra-gione che è impossibile non denotare al denaro una concezione spirituale, alla quale fare fede per riuscire ad avere un rapporto con esso sano, proficuo e appagante.L’abbondanza è un merito che acquisiamo spontaneamente alla nascita, nessuna costrui-ta convinzione deve limitare il suo arrivo.

Il denaro Simbolo del rapporto

di una donna con se stessa

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Sono ormai due anni che non lavoro più come dipendente; questa condizione, sulla carta, dovrebbe rendermi più libero nella ricerca di nuovi contratti, ma il problema è complesso: da alcuni mesi il mercato dell’automazione è pressoché fermo. Spiego tutte queste cose a Vic-toria: le ho fatto il quadro completo della situa-zione, almeno per quello che pare a me essere, ma la assicuro: “Non starò con le mani in mano. Da stasera comincio a inviare curriculum a raffi-ca. In Italia, in Europa, soprattutto in Germania”. Sono passati diversi giorni da allora, e continuo a passare le notti a mandare e-mail. Ne avrò mandate alcune centinaia, ma l’inizia-tiva non ha ancora sortito effetti. Solo qualche risposta, e nelle diverse lingue, della serie: “La ringraziamo, terremo conto della sua candida-tura, se avremo necessità la contatteremo”. Ma a me è venuta un’idea. Un azzardo. E se invece di propormi come consulente professionale mi presentassi come titolare di un’azienda di servizi? Magari mi prendono sul serio. Già, però, io un’azienda non ce l’ho… Sì, però posso

inventarmela… Mi ha telefonato il responsabile tecnico di una società che in Germania lavora a supporto di grandi case automobilistiche: “Mr. Mangano, abbiamo ricevuto la presentazione della sua azienda, siamo interessati alla vostra propo-sta. Vorremmo fare due chiacchiere con lei e il suo staff…”. Da questo azzardo prende slancio la storia della torinese Manganorobot e dei suoi pro-tagonisti. In questa sinossi c’è tutta l’essenza di Daniele Mangano, titolare dell’omonima azien-da e del suo narratore, Adriano Moraglio. La nuova opera letteraria targata Rubbettino sarà presentata martedì 8 ottobre al Mondadori Bo-okstore di Torino in via Monte di Pietà 2. Un onore per noi di Inkalce Magazine che ab-biamo raccontato l’impresa di Daniele esatta-mente un anno fa su queste pagine dedicando al suo genio anche la nostra copertina. “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”: sicura-mente il potere di Daniele Mangano è quello di andare oltre e credendo nel bello e nella forza dell’animo umano.

Con la mente nel robotLA STORIA DI DANIELE MANGANO TARGATA RUBBETTINO

Merci pericolose, queste sconosciute. Tutti noi, infatti, siamo convinti che siano solamente le grandi industrie a doversi occupare dello smaltimento di questa tipologia di rifiuti, ma non c’è ideologia più erronea: «Pensiamo ad acidi, liquidi infiammabili e via discorrendo – rivela Valentina Ciocchetti – E anche al rispetto della normativa e, di conseguenza, alla corretta compilazione dei documenti necessari. Per questo motivo è sempre bene affidarsi ad un consulente, al fine di evitare

di incappare in spiacevoli e salate sanzioni». Non solo le ditte chimiche, quindi, devono preoccuparsi di questi aspetti, ma anche chi ha a che fare con il verde e con l’alimentazione: «Persino per le esenzioni si devono eseguire procedure specifiche, è un settore che non deve essere assolutamente sottovalutato». Per ulteriori informazioni sull’argomento è possibile contattare l’esperta via email a [email protected] o visitare il sito www.valentinaciocchetti.it

Merci pericolose, la parola al consulente

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Un personaggio fuori dagli schemi che ha avu-to il merito di far conoscere l’Egitto in Italia e in tutta Europa. Il padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) è stato esploratore, attore, ingegnere esperto di idraulica: è difficile rac-chiudere in una definizione una personalità esuberante che in pochi conoscono ma che ha contribuito in modo significativo a “importa-re” nel Vecchio Continente le meraviglie della terra dei Faraoni. La sua città natale celebra con una grande mostra archeologica i 200 anni dal suo ri-torno dall’Egitto e lo fa con un’esposizione di reperti originali, disegni e racconti che narra-no l’epopea di questo personaggio sui generis. Il materiale proviene da prestigiosi musei ita-liani ed europei, con alcuni pezzi e documenti esposti per la prima volta. L’evento è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, dal Consorzio Città d’Arte del Veneto, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e organizzata dall’agenzia di comuni-cazione Gruppo icat.

È questa l’occasione per raccontare in modo suggestivo la vita eccezionale di un personag-gio che, partito dalle oscure vie del Portello, ha trascorso alcuni anni in Inghilterra per poi proiettarsi - a partire dal 1815 - sugli appas-sionanti scenari della civiltà dell’Egitto, allo-ra quasi del tutto sconosciuta in Europa. Un personaggio unico che ha affascinato anche il grande cineasta George Lucas nel crea-re l’Indiana Jones dei Predatori dell’arca perduta (1981). La mostra racconta l’Egitto all’epoca Belzoni, ma anche l’Egitto della civil-tà faraonica che, grazie al nostro infaticabile esploratore, iniziava a svelare i suoi segreti. Centrale è la narrazione sul personaggio, sulla sua eccezionalità, sulla sua acutezza intellet-tuale. Ricostruzioni di ambienti, tecnologia digitale ed effetti speciali si snodano lungo il percorso espositivo, il cui filo conduttore è costituito dai tre viaggi compiuti da Belzoni

lungo il Nilo tra il 1816 e il 1818: in tal modo al visitatore sarà possibile rivivere l’emozione della scoperta. Veri protagonisti sono però i re-perti archeologici, prestati da prestigiose Isti-tuzioni italiane e straniere: Belzoni, padovano, ha contribuito in modo fondamentale alla cre-azione della collezione egizia del British Mu-seum di Londra e di altre collezioni europee.

Il percorso racconta la vita del “grande Belzoni” alternando sistemi di visita tra-dizionali, con teche e pannelli esplicativi, a momenti di grande impatto emotivo con il ricorso a tecnologie innovative, effetti mul-tisensoriali e multimediale a effetto immersi-vo. Ricostruzioni ambientali e ricostruzioni evocative di oggetti di grandi dimensioni in scala reale suggeriscono l’entità delle imprese belzoniane anche dal punto di vista tecnico. Il percorso espositivo diventa a tratti uno spazio scenico che coinvolge il visitatore in spetta-coli teatrali e in giochi d’acqua virtuali; uno spazio in cui l’alternarsi di passaggi stretti e labirintici, evocativi del percorrere cunicoli all’interno delle sepolture, e di spazi più ampi suscita continuamente il desiderio vedere che cosa accadrà dopo. Il percorso è arricchito da postazioni multimediali interattive, con moni-tor touch screen, per approfondimenti su temi specifici.

L’Egitto di BelzoniPADOVA CELEBRAIL FAMOSO ARCHEOLOGO L'EGITTO

DI BELZONIUn gigante nella terra delle piramidi

25 OTTOBRE 2019 / 28 GIUGNO 2020

Prenotazioni 0292897792www.legittodibelzoni.it

PADOVACentro Culturale Altinate San Gaetano - via Altinate, 71

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EVENTI E CULTURA

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STRUMENT

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Magari è per voi già consuetudine dare appunta-menti ai vostri clienti, collaboratori o prospect in pausa pranzo, o davanti a un aperitivo. Ma è difficile che ci si fermi a chiedere se stia facendo la scelta giusta e, soprattutto, se si stiano rispet-tando le regole che definiscono un buon appunta-mento perché abbia la finalità del business.“Business a tavola ovvero Referral Tasting” (Guerini Next Edizioni) affronta proprio questa tematica: Claudio Messina, Paolo Mariola e Irene Alleruzzo – gli autori – spiegano in che modo l’in-contro tra cibo, tavola e networking può collegar-si in maniera proficua.Ma attenzione: Referral Tasting non è un de-calogo di cosa fare o non fare nei confronti dei commensali affinché, dopo il caffè, firmino un contratto; Referral Tasting, basandosi sui prin-cipi del marketing relazionale, è il racconto di strategie per creare relazioni professionali di successo. Se vi aspettate, dunque, un manua-le che indichi passaggio dopo passaggio cosa fa un buon venditore, ne rimarrete delusi; il valore aggiunto sta proprio nella capacità, di questo li-bro, di raccontare tutto ciò che di umano muove le relazioni (ovviamente, in questo caso, a tavola) affinché il lettore trovi dentro di sé gli strumenti giusti per raggiungere successi professionali ed economici.

Non può infatti esistere una serie di regole preimpostate adatte a tutti, come fossero un ve-stito a taglia unica: Referral Tasting ci insegna quali sono i principi delle relazioni, studiati sul-la base di precetti umani e psicologici, dai quali invece non si può prescindere.Tra questi, la cura. Spiega addirittura attraver-so il principio del filosofo Heidegger. La scelta della giusta location, l’attenzio-ne a eventuali intolleranze dell’altro, la comprensione delle scelte di chi è a tavola con noi: ci si è mai chiesti, ad esempio, come mai pro-prio quel piatto risulta es-sere il preferito del nostro commensale? E soprattutto, siamo sicuri che sia meglio un pranzo di un aperitivo? Sono scelte che poco hanno a che vedere con il cibo stes-so, ma che tanto interessa-no il rafforzamento delle relazioni, che solo attraverso la cura dei dettagli diventano così profonde da non aver nemmeno più bisogno di un decalogo per la buona riuscita di un business. Tutto verrà da sé.Ispirato dai principi di Bni e Asentiv, Referral Tasting è un viaggio per imparare gli stili com-portamentali, per diventare consapevoli di nuo-vi comportamenti, per acquisire una nuova cul-tura: così, come nessuno ce l’ha mai insegnata.

Gli autori:Claudio Messina (nella foto). Executive Director Bni, formatore e franchiseee Asentiv Italia; fon-datore del progetto Referral Tatsting®.Paolo Mariola. National Director di Bni Italia; dopo oltre vent’anni di carriera manageriale, ha portato Bni in Italia.Irene Alleruzzo. Responsabile della comunica-zione di Bni Italia, si occupa di consulenza e for-mazione per il personal branding delle aziende.

Cibo e network

STRUMENTI

COME CREARE RELAZIONI PROFESSIONALI DI SUCCESSO A TAVOLA

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Consulenza editoriale: M&D

Progetti speciali: Silvia Casini Fotografi: Claudio Porcarelli,Gian Luca Marino Impostazione grafica: LCV Studio

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Uscita trimestrale.

M A G A Z I N E

TRIMESTRALE | ANNO II | SETTEMBRE 2019 | N.05

GLI EVENTI IN TARGET:

Ottobre5/10 - 24/11Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba

18 - 22Host Milano

Novembre5 - 10 Eicma Milano

8 - 12Merano Wine Festival

16 - 19 Gluten Free Expo

17 - 19 Gustus Napoli

22 - 24 Gourmet Food Festival

SUL PROSSIMO NUMERO...Le città si accendono di nuovi colori e nonostante quella in arrivo a dicembre sia una stagione fredda, sembra avere in sé tutto il calore necessario: con il sopraggiungere dell’inverno, infatti, si iniziano nuove attività, si riprendono quelle di sempre, si scelgono nuove o affezionate mete.

Di questo parleremo nel numero di dicembre, dedicato al mondo del turismo invernale: dai ristoranti alle piste da sci, dalle Spa ai luoghi montanari più gettonati, andremo alla scoperta dell’imprenditoria on the snow. E, come sempre, avremo le interviste ai volti più noti.

Non solo: affronteremo anche il tema del Franchising, della Comunicazione Digitale e di tutti quegli argomenti con i quali, uscita dopo uscita, scopriamo le mille sfaccettature del fare impresa.

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