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Società di studi politiciLiceo classico “J. Sannazaro”

Pagine sparse3

Piero CalamandreiDiscorso sulla Costituzione

Napoli 2007

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In collaborazionecon l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

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L’art. 34 dice: «I capaci e i meritevoli, anche se pri-vi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piú altidegli studi». Eh! E se non hanno mezzi? Allora nellanostra Costituzione c’è un articolo che è il piú impor-tante di tutta la Costituzione, il piú impegnativo pernoi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi gio-vani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice cosí: «Ècompito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordi-ne economico e sociale, che, limitando di fatto la liber-tà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pienosviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazio-ne di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, eco-nomica e sociale del Paese». È compito di rimuovere gliostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personaumana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retri-buzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gliuomini dignità di Uomo. Soltanto quando questo saràraggiunto, si potrà veramente dire che la formula con-tenuta nell’articolo primo – «L’Italia è una Repubblicademocratica fondata sul lavoro» – corrisponderà allarealtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità perogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicu-

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rezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da Uomo, nonsolo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondatasul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democra-tica perché una democrazia in cui non ci sia questauguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’ugua-glianza di diritto, è una democrazia puramente formale,non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramentesiano messi in grado di concorrere alla vita della società,di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forzespirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire aquesto cammino, a questo progresso continuo di tutta lasocietà.

E allora voi capite da questo che la nostra Co-stituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte èuna realtà. In parte è ancora un programma, un ideale,una speranza, un impegno di un lavoro da compiere.Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi stadinanzi!

È stato detto giustamente che le costituzioni sonodelle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’èsempre, anche se dissimulata dalla formulazione freddadelle disposizioni, una polemica. Questa polemica, disolito, è una polemica contro il passato, contro il passa-to recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuoriil nuovo regime.

Se voi leggete la parte della Costituzione che si rife-risce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voisentirete continuamente la polemica contro quella che

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era la situazione prima della Repubblica, quando tuttequeste libertà, che oggi sono elencate e riaffermatesolennemente, erano sistematicamente disconosciute.Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e delcittadino contro il passato.

Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è unapolemica contro il presente, contro la società presente.Perché quando l’art. 3 vi dice: «È compito della Re-pubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico esociale che impediscono il pieno sviluppo della personaumana» riconosce con questo che questi ostacoli oggi visono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio,la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio nega-tivo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisognamodificare attraverso questo strumento di legalità, ditrasformazione graduale, che la Costituzione ha messo adisposizione dei cittadini italiani.

Ma non è una Costituzione immobile che abbia fis-sato un punto fermo, è una costituzione che apre le vieverso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perchéper rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qual-che cosa che sovverte violentemente, ma è una costitu-zione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasforma-zione di questa società in cui può accadere che, anchequando ci sono, le libertà giuridiche e politiche sianorese inutili dalle disuguaglianze economiche e dallaimpossibilità per molti cittadini di essere persone e diaccorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale

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che, se fosse sviluppata in un regime di perequazioneeconomica, potrebbe anch’essa contribuire al progressodella società. Quindi, polemica contro il presente in cuiviviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasfor-mare questa situazione presente.

Però, vedete, la Costituzione non è una macchinache una volta messa in moto va avanti da sé. LaCostituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e nonsi muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimet-terci dentro il combustibile, bisogna metterci dentrol’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere questepromesse, la propria responsabilità. Per questo unadelle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferen-za alla politica, l’indifferentismo politico che è – nonqui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghecategorie di giovani – una malattia dei giovani.

«La politica è una brutta cosa», «che me ne importadella politica»: quando sento fare questo discorso, miviene sempre in mente quella vecchia storiellina, chequalcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti,due contadini, che traversavano l’oceano su un pirosca-fo traballante. Uno di questi contadini dormiva nellastiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’erauna gran burrasca con delle onde altissime e il pirosca-fo oscillava. E allora questo contadino impauritodomanda a un marinaio: «Ma siamo in pericolo?», equesto dice: «Se continua questo mare, il bastimentotra mezz’ora affonda». Allora lui corre nella stiva a sve-

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gliare il compagno e dice: «Beppe, Beppe, Beppe, secontinua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affon-da!». Quello dice: «Che me ne importa, non è micamio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È cosí bello, è cosí comodo: la libertà c’è. Si vive inregime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi dipolitica. E lo so anch’io! Il mondo è cosí bello, ci sonotante belle cose da vedere, da godere, oltre che occupar-si di politica. La politica non è una piacevole cosa. Peròla libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quan-do comincia a mancare, quando si sente quel senso diasfissia che gli uomini della mia generazione hanno sen-tito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di nonsentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentirequesto senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscirea creare voi le condizioni perché questo senso di angoscianon lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giornoche sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio con-tributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta inquesti articoli, che dal punto di vista letterario nonsono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietàsociale, della solidarietà umana, della sorte comune, chese va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. Èla carta della propria libertà, la carta per ciascuno dinoi della propria dignità d’uomo.

Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta delfascismo, il 2 giugno 1946: questo popolo che da 25 anni

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non aveva goduto le libertà civili e politiche, la primavolta che andò a votare dopo un periodo di orrori – ilcaos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi.Ricordo – io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui –queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni,disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di averritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questoportare la propria opinione per contribuire a crearequesta opinione della comunità, questo essere padronidi noi, del proprio Paese, del nostro Paese, della nostraPatria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti,delle sorti del nostro paese.

Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare ilvostro spirito, la vostra gioventú, farla vivere, sentirlacome cosa vostra, metterci dentro il senso civico, lacoscienza civica, rendersi conto – questa è una dellegioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nelmondo non è solo, che siamo in piú, che siamo parte diun tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.

Ora, vedete – io ho poco altro da dirvi –, in questaCostituzione, di cui sentirete fare il commento nelleprossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia,tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostresciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi arti-coli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sen-tono delle voci lontane.

Quando io leggo, nell’art. 2, «l’adempimento dei do-veri inderogabili di solidarietà politica, economica e

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sociale», o quando leggo, nell’art. 11, «l’Italia ripudia laguerra come strumento di offesa alla libertà degli altripopoli», la Patria italiana in mezzo alle altre patrie,dico: ma questo è Mazzini, questa è la voce di Mazzini;o quando io leggo, nell’art. 8, «tutte le confessioni reli-giose sono ugualmente libere davanti alla legge», maquesto è Cavour; o quando io leggo, nell’art. 5, «laRepubblica una e indivisibile riconosce e promuove leautonomie locali», ma questo è Cattaneo; o quando,nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate,«l’ordinamento delle forze armate si informa allo spiri-to democratico della Repubblica», esercito di popolo,ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, «nonè ammessa la pena di morte», ma questo, o studentimilanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomilontani.

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quantosangue e quanto dolore per arrivare a questa costitu-zione! Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, ogiovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduticombattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti difame nei campi di concentramento, morti in Russia,morti in Africa, morti per le strade di Milano, per lestrade di Firenze, che hanno dato la vita perché la liber-tà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.

Quindi, quando vi ho detto che questa è una cartamorta, no, non è una carta morta, questo è un testa-mento, un testamento di centomila morti.

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Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo doveè nata la nostra Costituzione, andate nelle montagnedove caddero i partigiani, nelle carceri dove furonoimprigionati, nei campi dove furono impiccati. Do-vunque è morto un italiano per riscattare la libertà e ladignità, andate lí, o giovani, col pensiero perché lí è natala nostra Costituzione.

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Il presente Discorso sulla Costituzione fu pronunciato il 26gennaio del 1955, a Milano, nel Salone degli Affreschi dellaSocietà Umanitaria in occasione dell’inaugurazione del ciclodi conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da ungruppo di studenti universitari e medi.

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Altri scritti

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La storia del costume fascistadi Piero Calamandrei

[...] Lo sappiamo: il fascismo, come ordinamento politico,è finito: le sue strutture esterne, le colonne di cartapesta e gliarchi di falso antico, lo sappiamo, non torneranno mai più.«La storia – ci ammonisce Benedetto Croce – non fa in modoefficace la caricatura di sé medesima». Ma il costume sotter-raneo resta: circola, serpeggia, fermenta: alimenta altre rube-rie, incoraggia altre tracotanze, suscita altre oppressioni. E idominatori, anche se sotto divise meno marziali (e magari,oggi, sotto vesti pie; e domani chissà sotto quali altri trave-stimenti) sono sempre loro e le vittime sono sempre le stesse.

Quello che più sorprende nelle lettere dei condannati amorte della Resistenza, è la nuda ed umile semplicità: primadi andare a morire per la libertà, ognuno di quei giovaniaveva dovuto vincere una guerra di liberazione morale nel-l’interno della propria coscienza. Proprio questo è stato ilmiracolo che ancora ci esalta: che giovani di questa umanasensibilità siano venuti fuori da quel clima palustre; che sianoriusciti da sé a strapparsi da dosso il costume di quel venten-nio. Bisogna far di tutto perché quella intossicazione vischio-sa non ci riafferri: bisogna tenerla d’occhio, imparare a rico-noscerla in tutti i suoi travestimenti. In quel ventennio c’èancora il nostro specchio: uno specchio deformante, che dà achi vi si guarda un aspetto mostruoso di caricatura.

Ma i tratti essenziali sono quelli: non dimentichiamoli.Solo riguardando ogni tanto in quello specchio possiamoaccorgerci che la guerra di liberazione, nel profondo dellecoscienze, non è ancora terminata.

Da Resistenza e nazifascismo, «Il Ponte», X, 1952.

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Ora e sempre Resistenza*

di Piero Calamandrei

Lo avraicamerata Kesselringil monumento che pretendi da noi italianima con che pietra si costruiràa deciderla tocca a noinon coi sassi affumicatidei borghi inermi strazianti dal tuo sterminionon colla terra dei cimiteridove i nostri compagni giovinettiriposano in serenitànon colla neve inviolata delle montagneche per due inverni ti sfidarononon colla primavera di queste valliche ti vide fuggirema soltanto col silenzio dei torturati

più duro d’ogni macignosoltanto con la roccia di questo pattogiurato fra uomini liberi che volontari s’adunaronoper dignità non per odiodecisi a riscattarela vergogna e il terrore del mondosu queste strade se vorrai tornareai nostri posti ci troveraimorti e vivi collo stesso impegnopopolo serrato intorno al monumentoche si chiamaora e sempreresistenza

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Non rammaricatevi**

di Piero Calamandrei

Non rammaricatevidai vostri cimiteri di montagnase giù al pianonell’aula ove fu giuratala Costituzionemurata col vostro sanguesono tornatida remote caliginii fantasmi della vergognatroppo presto li avevamodimenticati

è bene che siano espostiin vista su questo palcoperché tutto il popoloriconosca i loro voltie si ricordiche tutto questo fu verochiederanno la parolaavremo tanto da imparare

manganelli pugnali patibolivent’anni di rapinedue anni di carneficinei briganti sugli scanni i giustialla torturaTrieste venduta al tedescol’Italia ridotta un rogo

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questo si chiama governareper far grande la patria

apprenderemo da fonte direttala storia vista dalla parte dei carneficiparleranno i diplomatici dell’Assei fieri ministri di Salòaprirannoi loro archivi segretidi ogni impiccatosapremo la sepolturadi ogni incendio si ritroverà il protocollo

Civitella Sant’Anna Boves Marzabottotutte in regola

sapremo finalmentequanto costò l’assassinio

di Carlo e Nello Rossellima forse a questo puntopreferiranno rinunciare alla parolapeccatoquesti grandi uomini di statoavrebbero tanto da raccontare

* Epigrafe dettata il 4 dicembre 1952 per una lapide “Ad igno-minia”, in occasione dell’VIII anniversario del sacrificio di DuccioGalimberti, collocata nell’atrio del Palazzo Comunale di Cuneo insegno di imperitura protesta per l’avvenuta scarcerazione del crimi-nale nazista Albert Kesserling.

** Da «Il Ponte», giugno 1953, scritta in occasione del ritorno inParlamento del M.S.I.

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