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La fornace Penna, uno dei più interessanti esempi di Ar- cheologia Industriale in Sicilia, è oggi ridotta a un rudere che si avvia a una inesorabile fine. Le imponenti strutture di calcare perdono di giorno in giorno la loro stabilità sta- tica e si sgretolano precipitando al suolo. Inutili gli appelli, le petizioni, gli allarmi e le richieste di intervento sollevate da più parti. Errori, ritardi burocratici, polemiche e interessi contrastanti hanno reso vani tutti i tentativi di salvare la ‘vecchia signora’. Questo libro è un omaggio all’opera del progettista, un geniale professionista siciliano del secolo scorso, ma anche a tutti coloro che nel corso di questi anni hanno testimoniato nei modi più vari il loro amore e il loro interesse per questo manufatto, frutto delle aspirazioni di una classe imprenditoriale stimolata dalle aspettative pro- spettate dall’emergente sviluppo industriale e tecnologico in atto nel Paese ed espressione dell’entusiasmo e del fer- vore lavorativo che ha sempre distinto il popolo siciliano. Tiziana Firrone è docente di Progettazione Ambientale e Tecnologia dell’Architettura presso il Corso di laurea Magistrale in Architettura a ciclo unico, Classe LM/4 della Facoltà di Architettura di Palermo. Impegnata nello studio dell’evoluzione dei materiali da costruzione, della loro applicazione nel costruito e delle prestazioni ambientali dei sistemi per l’edilizia tradizionale e prefabbricata, svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Ateneo paler- mitano nell’ambito delle eco-tecnologie applicate alla progettazione bioclimatica e alla bioarchitettura. Particolare attenzione è rivolta inoltre ai temi del recupero e della valorizzazione del patrimonio ar- chitettonico in Sicilia. In copertina Foto di Carmelo Bustinto. Tiziana Firrone La fornace di pietra a Marsa Siklah ISBN 978-88-548-6973-8 La fornace di pietra a Marsa Siklah euro 16,00 Tecnologia dei materiali per un’architettura sostenibile 4 ARACNE TMAS 4 Firrone La fornace di pietra a Marsa Siklah

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La fornace Penna, uno dei più interessanti esempi di Ar-cheologia Industriale in Sicilia, è oggi ridotta a un rudereche si avvia a una inesorabile fine. Le imponenti strutturedi calcare perdono di giorno in giorno la loro stabilità sta-tica e si sgretolano precipitando al suolo. Inutili gli appelli,le petizioni, gli allarmi e le richieste di intervento sollevateda più parti. Errori, ritardi burocratici, polemiche e interessicontrastanti hanno reso vani tutti i tentativi di salvare la‘vecchia signora’. Questo libro è un omaggio all’opera delprogettista, un geniale professionista siciliano del secoloscorso, ma anche a tutti coloro che nel corso di questi annihanno testimoniato nei modi più vari il loro amore e il lorointeresse per questo manufatto, frutto delle aspirazioni diuna classe imprenditoriale stimolata dalle aspettative pro-spettate dall’emergente sviluppo industriale e tecnologicoin atto nel Paese ed espressione dell’entusiasmo e del fer-vore lavorativo che ha sempre distinto il popolo siciliano.

Tiziana Firrone è docente di Progettazione Ambientale e Tecnologiadell’Architettura presso il Corso di laurea Magistrale in Architetturaa ciclo unico, Classe LM/4 della Facoltà di Architettura di Palermo.Impegnata nello studio dell’evoluzione dei materiali da costruzione,della loro applicazione nel costruito e delle prestazioni ambientalidei sistemi per l’edilizia tradizionale e prefabbricata, svolge attivitàdi ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Ateneo paler-mitano nell’ambito delle eco-tecnologie applicate alla progettazionebioclimatica e alla bioarchitettura. Particolare attenzione è rivoltainoltre ai temi del recupero e della valorizzazione del patrimonio ar-

chitettonico in Sicilia.

In copertina

Foto di Carmelo Bustinto.

Tiziana Firrone

La fornace di pietra a Marsa Siklah

ISBN 978-88-548-6973-8

La fornace di pietra a Marsa Siklah

euro 16,00Tecnologia dei materiali per un’architettura sostenibile4

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Tecnologia dei Materiali per un’Architettura Sostenibile

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Direttore scientifico/Scientific editorTiziana FirroneComitato Scientifico/Scientific EditorialCarmelo BustintoGiuseppe De GiovanniMaria Luisa GermanàGiovanni SassoAngelo SiragusaLucien SteilMario TozziSimon VelezComitato di Redazione/ Editorial StaffFulvio LanzaroneFilippo Palazzolo

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Tiziana Firrone

La fornace di pietra a Marsa Siklah

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Ringrazio Giuseppe e Gianluca Firrone, Giovanna e Carlo LoMagno, Eloisa Cino che, coinvolti dal mio entusiasmo, hanno dedi-cato parte delle loro vacanze estive del lontano 1989, in sopralluoghi,misurazioni, rilievi e foto della fornace. Ringrazio Giovanna Giallongo,appassionata studiosa e profonda conoscitrice dell’Archivio Storicodell’Opera Pia Carpentieri, Ignazio Emmolo e Giuseppe Savà checon i loro racconti, aneddoti ed informazioni mi hanno aiutata a rico-struire la storia di questa avventura. Ringrazio Filippo e MariaConcetta Palazzolo, Alessia Zappa e Federico Napoli che mi hannoaccompagnata nei recenti sopralluoghi e visite sui luoghi, suppor-tandomi con i loro contributi fotografici e riprese video. Ringrazio infi-ne Carmelo Bustinto che ha condiviso con me l’amore e la passioneper quest’opera, seguendo anno dopo anno gli eventi che ne hannosegnato il lento declino e producendo una enorme quantità di ela-borati grafici e fotografici che fanno parte di un prezioso archivio sto-rico solo in parte qui pubblicato.

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La Fornace del Pisciotto ha da poco compiuto centoanni. Oggi la vecchia signora è ancora lì ma l’imponenza el’eleganza che un tempo rapivano lo sguardo di chi attraver-sava quei luoghi hanno ceduto il posto ad un rudere abban-donato, dalla suggestiva bellezza sfiorita e mortificata dal tra-scorrere del tempo e dall’incuria dell’uomo. Lo splendidopaesaggio che faceva da sfondo al manufatto, è oggi detur-pato da costruzioni abusive, baracche e manufatti sorti inmaniera disordinata nel corso degli anni e da villaggi turisticiad elevata ricettività, realizzati a poca distanza; mentre losperone roccioso dal quale un giorno svettava l’alta ciminie-ra, segno identificativo e puntuale di una fiorente attività pro-duttiva, si è trasformato in set cinematografico1, ovvero“luogo del cinema”, secondo un vincolo paesaggistico intro-dotto nel 2004 dall’allora Assessore regionale dei BeniCulturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione; uno dei tantivincoli che, insieme a quello monumentale, di conservazione,di immodificabilità temporanea, di inedificabilità entro i 150metri dal mare, di destinazione socio-culturale, in realtà pocohanno fatto per la salvaguardia di questo bene.Il tempo sembra essersi fermato a una notte di fine gen-

naio del 1924 (forse 1926, secondo alcune fonti), quandol’inntero opificio venne avvolto dalle fiamme che ne arresta-rono per sempre l’attività produttiva. La natura si è lenta-mente riappropriata di quell’area, invadendo gli spazi occu-

1 - Oggi il luogo dove sorge la fabbrica è conosciuto fuori dallaSicilia con il termine dialettale “La Mánnara” (ovvero “il rifugio delgregge”), così chiamato in alcuni episodi dello sceneggiato tele-visivo Il Commissario Montalbano, tratto da un racconto del notoscrittore siciliano Andrea Cammilleri.

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Premessa

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pati un tempo dalle strutture murarie ormai cadenti.L’inarrestabile degrado e il disinteresse di molti di coloro chenegli anni si sono avvicendati nella gestione delle ammini-strazioni locali hanno fatto il resto: la struttura maestosa dellostabilimento si disintegra lentamente e le sue pietre di calca-re duro dal colore paglierino, composte con mirabile mae-stria e buon gusto dagli artigiani del tempo, tornano pianpiano a riconquistare il suolo, la loro sede naturale, per volon-tà delle leggi che regolano la nostra terra. Oggi la fornace Penna in contrada Pisciotto, a Scicli, è

uno dei più interessanti esempi di Archeologia Industriale inSicilia, originale risultato e frutto delle aspirazioni di una classeimprenditoriale incuriosita ed interessata dalla prospettiva diun’emergente attività industriale che fa capolino in un terri-torio prettamente agricolo come quello siciliano. L’opificio èla testimonianza di un esuberante fervore lavorativo le cuitracce sono ancora leggibili tra quelle mura ormai quasi deltutto dirute. Oggetto di grande interesse culturale ma anchedi infinite polemiche e diatribe sui possibili interventi volti alrecupero, al restauro di mantenimento o soltanto alla messain sicurezza dell’impianto ma che, purtroppo, non trovanoalcun riscontro pratico da parte delle amministrazioni localiné dagli attuali proprietari, i numerosi eredi del baroneGuglielmo Penna e dei suoi soci in affari, la maggior parte deiquali intenzionata a trarne vantaggi economici proponendola realizzazione di strutture ricettive turistico-alberghiere.Il presente studio è un omaggio all’opera di un geniale

professionista siciliano del secolo scorso, ma anche a tutticoloro, tecnici, studiosi, giornalisti, cittadini che nel corso diquesti cento anni appena trascorsi hanno testimoniato conscritti e iniziative il loro amore ed il loro interesse per questomanufatto che tutti noi ci auguriamo continui a farci compa-gnia ancora per lungo tempo.

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Introduzione

Ho visto per la prima volta la Fornace del Pisciotto alla finedegli anni Ottanta quando, ancora studentessa diArchitettura, mi recai in vacanza in quei luoghi che purtrop-po, già a quel tempo, cominciavano a mostrare i primi segnidell’abusivismo edilizio, fenomeno assai diffuso lungo le costesiciliane e frutto di uno sviluppo turistico incontrollato.Durante una passeggiata “esplorativa” lungo il litorale di

Sampieri, scorsi dalla splendida spiaggia del borgo, questamagnifica struttura, solitaria nel suo bianco abbagliante, chesi stagliava contro il cielo terso di quella fortunata mattina.Non ci volle molto a raggiungere il basamento roccioso

dal quale spiccava quello strano edificio che sembrava unagrande chiesa al cui fianco svettava, al posto del campani-le, un'alta ciminiera. Altri corpi di fabbrica in parte cadenti, inparte già diruti erano disseminati qua e là, poco distanti dalla“chiesa”.Feci un giro tra le strutture sopravvissute di questo strano

edificio pericolante e poco rassicurante e mi resi conto chemi trovavo tra i ruderi di una fornace. Dopo la breve visita, mirecai a Sampieri per chiedere informazioni su quello stranomanufatto che ormai aveva rapito la mia immaginazione e ilmio interesse.Tornai alla fornace circa una settimana dopo, con l’at-

trezzatura necessaria per eseguire i rilievi e scattare le foto-

Foto scattata durante le operazioni di rilievo effettuate nel-l’estate del 1989. (Foto G. Firrone).

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grafie e con l’intenzione di mostrare ai docenti del mio corsodi laurea quanto avevo scoperto. Scrissi anche un piccolovolumetto in cui annotai le poche notizie che a quel temporiuscii a raccogliere dagli articoli pubblicati sul Giornale diScicli e da un incontro con un tecnico del Comune. Sono tornata alla fornace nel 2003; una recinzione impe-

diva l’ingresso all’area ma feci ugualmente alcune foto chetestimoniano, a distanza di circa venti anni dalla mia primavisita, l’inarrestabile degrado al quale era stato sottoposto ilmanufatto a causa dei danni provocati dal tempo e dal dis-interesse dei proprietari e delle amministrazioni locali.Nel 2012 la fornace ha compiuto cento anni ed io mi sono

trovata ancora una volta tra quelle rovine che, nella silenzio-sa atmosfera di questo paesaggio, gridano la loro desolataesistenza. Sono ancora una volta qui, a raccogliere la testi-monianza di un passato che l’indifferenza comune sta ineso-rabilmente cancellando per sempre e spero di tornare anco-ra una volta, in un futuro molto prossimo, non per celebrare lasua fine ma per festeggiare un nuovo inizio.Le strutture sopravvissute non sono molte e lo stato di

abbandono in cui versa oggi l’impianto desta non pochepreoccupazioni per il prossimo futuro. Ed è proprio per taleragione che torno nuovamente a scrivere della fornacePenna perché, al di là delle polemiche sorte riguardo il suodestino e della poca attenzione delle autorità preposte nel-l’attuare i provvedimenti presi nel corso degli anni, atteggia-mento che spesso ha rallentato o addirittura impedito ogniiniziativa volta alla sua salvaguardia, riconosco a questoimpianto una grande valenza storica e culturale, importantetestimonianza di un’attività imprenditoriale siciliana emergen-te, proiettata al futuro ma che esprime nella storia, nella cul-tura e nell’arte, le splendide origini di un popolo fiero e corag-gioso.

Il prospetto sud dell’edificio principale fotografato durantele operazioni di rilievo effettuate nell’estate del 1989. (FotoG. Firrone).

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Teatro di questa appassionante ed appassionata storia èla Sicilia sud orientale, nota al mondo per i tesori dell’archi-tettura barocca che impreziosiscono i centri urbani del terri-torio e per le splendide ricchezze naturalistiche che si ammi-rano lungo la costa e nell’entroterra ibleo delle province diRagusa e Siracusa.

L’altopiano collinare calcareo-marnoso dei monti Iblei,inciso da gole segnate da fiumi e torrenti ed interrotto da sug-gestive vallate, digrada dolcemente verso la costa con le suebianche spiagge che si alternano a spettacolari falesie pro-tese sul mare.Elemento caratterizzante dell’area ragusana e soprattutto

delle campagne della contea di Modica, sono i muretti asecco, realizzati con grande maestria dagli artigiani locali perdelimitare i confini delle proprietà, i campi, gli ovili e i porcili,gli orti e i giardini delle ville del Settecento e dell’Ottocento1.Questi manufatti in bianca pietra calcarea, tipica dell’areaiblea, risplendono alla luce del sole segnando l’intero territo-rio nel loro percorso sinuoso che attraversa le campagnecosteggiando carrubi secolari, uliveti, mandorleti e le meravi-gliose piante tipiche della flora mediterranea.Il muro a secco è realizzato con conci prelevati sul posto

o pietrame ricavato dalla roccia affiorante dal terreno chemani esperte spaccano, sbozzano e dispongono su lunghifilari privi di malta. I conci utilizzati per il rinforzo degli angoli e

1 - «Nella contea di Modica, l’abitudine di recintare le proprietàcon i muri a secco era già in uso probabilmente prima dell’annomille. Tra il 1550 e il 1564, i Conti Enriquez Cabrera concessero inenfiteusi gran parte delle loro proprietà, a patto che gli assegna-tari avessero cura di realizzare le recinzioni.». Cfr. GiuseppeRaniolo. Il muro a secco, in “Dialogo”, anno IX, n°4, Modica 1984.

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I muretti a secco della campagna iblea. (foto G. Leone).

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per chiudere il muro in cima richiedono una lavorazione piùaccurata così come la posa in opera che necessita di parti-colare maestria ed attenzione. Dopo un periodo di oblio que-sta tecnica è stata oggetto di nuovo interesse sia in ambitopubblico sia privato. Oggi operano sul territorio ibleo alcuniartigiani specializzati in tali costruzioni che, con la loro attività,contribuiscono a mantenere e trasmettere alle nuove gene-razioni le tradizioni costruttive locali2.Il territorio di Scicli rispecchia, nel suo aspetto, le peculiari

caratteristiche dell’area iblea. La città si estende su una largadistesa «all’incrocio di tre valloni, con case da ogni parte super i dirupi, una grande piazza in basso a cavallo del lettod’una fiumara, e antichi fabbricati ecclesiastici che corona-no in più punti, come acropoli barocche»3. Scicli è oggi una delle più apprezzate testimonianze del-

l’architettura tardo barocca siciliana, riconosciuta nel 2002Patrimonio dell’Unesco, insieme a Ragusa Ibla, Modica,Ispica, Palazzolo Acreide e Noto. Le sue origini risalgono,molto probabilmente, all’età del rame e reperti archeologicirinvenuti in prossimità della foce del fiume Irmino, attestano lapresenza sul territorio della cultura greca con la quale, sicu-

Veduta panoramica di Scicli.

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3 - Elio Vittonini, Le città del mondo, EinaudI, Torino 1997.

2 - Tra Scicli e Sampieri, in contrada Trippatore, è stato realizzatoil museo della pietra; si tratta di una struttura all’aperto che siestende per circa 20 mila metri quadrati. Scopo del museo èquello di recuperare arti antiche come la lavorazione della pie-tra attraverso la formazione di nuovi cultori di questo materiale el’istituzione di laboratori di lavorazione e conservazione delleopere lapidee. All’interno dell’impianto museale sono stati rico-struiti alcuni dei manufatti tipici delle campagne ragusane.

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ramente, gli abitanti del luogo entrarono in contatto. La natu-ra carsica del suolo ha favorito la nascita di numerosi insedia-menti rupestri tra i quali quello di Chiafura, risalente al perio-do bizantino e ancora oggi visibile sul fianco sud-ovest delcolle di San Matteo, già sede del primo insediamento antro-pico della città (VII e il VI sec. a.C.). Nel tempo, altri villaggi si costituirono intorno a quell’area,

tra i rilievi collinari ed in prossimità dei corsi d’acqua. Ma sol-tanto dopo la disgregazione dell’Impero Romanod’Occidente e le successive incursioni arabe, la popolazionedecise di riunirsi in un’unico nucleo abitativo su uno speroneroccioso dominato dal Colle di San Matteo, il cui insedia-mento urbano si era intanto ulteriomente ampliato e fortifica-to, come testimoniano i resti del Castellaccio, struttura costrui-ta a difesa della cit-tadella.Con la conquista

araba dell’864 l’a-rea iblea visse unperiodo di sviluppoeconomico grazieall’introduzione dinuovi sistemi di lavo-razione dei terreniagricoli e di nuovepolitiche commer-ciali che incremen-tarono i contatti coni Paesi delMediterraneo. Uno dei periodi di

maggiore splendoredi Scicli coincideinfatti con l’attivitàlegata al suo portocommerciale, bat-tezzato dagli ArabiMarsa Siklah (Portodi Scicli), in cuiattraccavano i basti-

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Porzione dell’insediamento rupestre di Chiafura.(Foto tratta da http://www.ragusanews.com).

Scicli da Google Earth.

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menti provenienti dall’Africa e dall’Oriente. La sua notorietà sideve al geografo arabo ‘Al Idrisi4, studioso alla corte di reRuggero II di Sicilia e profondo conoscitore dei Paesi delMediterraneo. Questi fu incaricato dal sovrano normanno diintraprendere un lavoro di approfondita indagine e stesuradegli appunti storico-geografici, raccolti durante i suoi viaggie dalla lettura di opere arabe relative al mondo fino ad allo-ra conosciuto. Gli appunti furono pubblicati nel trattato di geografia Al-

Kitab al-Rujari, ovvero Il libro di Re Ruggero, noto anche conil titolo: Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo. Il geografo arabo descrive nei suoi appunti la costa sud-

orientale della Sicilia « ... ricca di dune ad occidente, di ban-chi di arena ad oriente, che vi manda l'Africa, è spessa diseni, e di promontori piccolissimi, che le danno la forma diuna frangia», citando, tra l’altro, tre ancoraggi: Marsa ‘alBawlis, oggi Porto Ulisse, Marsa er Deramin, oggi Pozzallo e infi-ne Marsa Siklah, Porto di Scicli. Egli, inoltre ci regala una bel-lissima descrizione di Scicli e del suo territorio: «... rocca diSiklah, posta in alto sopra un monte, è delle più nobili, e la suapianura delle più ubertose. Dista dal mare tre miglia circa. Ilpaese prospera moltissimo: popolato, industre, circondato dauna campagna abitata, [provveduto] di mercati, a’qualivien roba da tutti i paesi. [Qui godesi] ogni ben di Dio ed ognipiù felice condizione: i giardini producono tutta sorte di frutte;i legni arrivano di Calabria, d’Africa, di Malta e di tanti altriluoghi; i poderi e i seminati sono fertilissimi ed eccellenti sopratutt’altri; la campagna vasta e ferace: ed ogni cosa va per lomeglio in questo paese. I fiumi [del territorio], abbondanti diacqua, muovono di molti molini. ».I Normanni, subentrati ai Saraceni nel 1061, introdussero

nel territorio il sistema feudale e Scicli, insieme alle città limi-trofe, diviene città demaniale. Svevi, Angioini, Aragonesi,Spagnoli, la città ed il suo territorio seguirono il destino di tuttal’isola, tra alti e bassi, tra fasi alterne di ricchezza e povertà. Il fondovalle che si estendeva ai piedi del nucleo abitati-

vo era attraversato dalle fiumare di S. Maria la Nova e di S.Bartolomeo separate da un ampio argine. Nel XV secolo, conl’aumento demografico e lo sviluppo dei commerci marittimi,ha inizio il lento trasferimento dell’insediamento urbano che

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4 - Abu Abdallah Muhammad Ibn Muhammad Ibn Abdallah IbnIdris al-Qurtubi al-Hasani, questo il suo nome completo; è il piùimportante geografo e cartografo della storia islamica antica.Nacque nel 1099, ma la data della sua morte è controversa (trail 1166 per alcuni ed il 1180 per altri), così come è controverso illuogo di nascita che, secondo Annelise Nef, dell’Università Paris-Sorbonne, sarebbe Mazara del Vallo, in Sicilia, mentre, secondoaltre fonti è Ceuta, oggi città autonoma spagnola, situata nelNord Africa. Sono poche le notizie su ‘Al Idrisi in quanto rinnegato dai biogra-fi arabi perché al soldo e alla Corte di un re cristiano. La suaopera si compone di carte geografiche che illustrano tutte leterre fino ad allora conosciute, accompagnate da informazionie commenti relativi sia agli aspetti geografici dei singoli Paesi, siaa quelli economici, storici, culturali e religiosi. Si può certamenteconsiderare il primo tentativo di offrire agli uomini del suo tempouna visione completa del loro mondo. È autore, tra l’altro, di unbellissimo planisfero in argento realizzato per il re Ruggero.

Copia della "Tabula Rogeriana" dal trattato Al-Kitab al-Rujari di ‘Al Idrisi - Il Cairo, 1456 - Oxford, Bodleian Library(Mss. Pococke 375 fol. 3v-4).

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dal colle scende lungo i fianchi dellevallate, fino a raggiungere, nel XVIsecolo, la fertile pianura a ridosso delmare.Nonostante il lento ma inarrestabile

insabbiamento della costa, iniziato nelXIII secolo, i commerci marittimi di Sciclicontinuarono nel tempo grazie ai traf-fici con la vicina Malta, data in con-cessione il 23 marzo1530 da Carlo V aiCavalieri dell’Ordine di San Giovanni5,insieme alle altre isole dell’arcipelagomaltese e a Tripoli. Dai caricatoi dellecoste sicilane partivano grandi quanti-tà di derrate alimentari destinate allapopolazione maltese e agli stessi cava-lieri. Si esportava vino, canapa, bestia-me, pellame e anche tonnellate digrano che, in base al privilegio di con-cessione, non era gravato da tasse diesportazione. Dalle marine diDonnalucata e Sampieri partivacostantemente un flusso di rifornimenti. Inoltre, a Scicli risiede-va uno dei cavalieri dell’Ordine, con incarico di “Ricevitore”che « ... manteneva nel porticciolo di Sampieri una piccolanave, una feluca o una speronara, sempre pronta al serviziopostale con Malta.»6, garantendo così il recapito della corri-spondenza da e per la Sicilia ed il resto del regno. L’importanza di Scicli aumentava di anno in anno e la

costa, punto di approdo delle navi e centro di raccolta e smi-stamento delle merci che transitavano nel Mediterraneo,divenne presto oggetto delle attenzioni di pirati e malfattoriche insidiavano le navi mercantili e gli approdi con gravidanni per l’economia del territorio e seri pericoli per l’incolu-mità degli abitanti. Fu per tale ragione che nel 1535 viene isti-tuita a Scicli la quarta delle dieci sergenzie del regno di Sicilia,così come si rileva da un documento cinquecentesco dellaContea di Modica7.

La città era dunque anche un importante centro militaree strategico che «... controllava tutta la costa del contado di

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Colle e chiesa di San Matteo. (Foto tratta da isegretidegliiblei.blogspot.com.

5 - Cavalieri Ospitalieri del sovrano Ordine di San Giovanni diGerusalemme, divenuti poi Cavalieri di Malta.

7 - Pietro Militello, L’Oppidum Triquetrum di Scicli (Ragusa), inArchivio Storico Messinese, volume 53, 1989.

6 - L. Buono, Scicli. Ricetta. In L. Buono, G. Pace Gravina (a curadi), “La Sicilia dei cavalieri. Le istituzioni dell’Ordine di Malta in etàmoderna (1530 - 1826)”, Roma 2003, cit., p. 261.

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Modica, oltre ad essere l’unico abilitato al rilascio dei passa-porti e patenti di sanità.»8.Con la conquista napoleonica di Malta, nel 1798, ebbe ini-

zio il lento distacco tra l’Ordine e la Sicilia che si concluse defi-nitivamente con il congresso di Vienna, nel 1815, ponendofine ad un periodo di oltre 250 anni di scambi e relazioni.Intanto, il processo di insabbiamento della costa continuavainesorabile limitando sempre più i commerci marittimi di Sciclie decretando anche il declino economico della città e del-l’area limitrofa.Circa l’esatta ubicazione del porto, non si hanno certezze

ma sembra che questo si trovasse in prossimità di Sampieri,antico borgo marinaro di Scicli, da cui dista poco meno dinove chilometri. Sampieri sorge su uno sperone di roccia cal-carea fiancheggiato da due bianche spiagge, oggi metaturistica di molti vacanzieri.L’insediamento conserva ancora la fisionomia del vecchio

villaggio di pescatori, con le case in muratura e gli stretti vico-li intrisi di storia. Oggi è una località a vocazione essenzial-

mente turistica e la pesca,ridotta ad un’attività del tuttomarginale, ha lasciato il postoal lavoro agricolo che ha spin-to la popolazione a spostarsiverso l’entroterra, con il conse-guente sviluppo urbanisticodelle campagne. Il nome primitivo di

Sampieri fu Apolline, cosìcome risulta dai testi del VIsec. a.C.; nome derivatomolto probabilmente dal vici-no tempio di Apollo costruito,si ritiene, su Punta Pizzuddu.Secondo una leggenda loca-le, il nome di Sampieri derive-rebbe da San Pietro che, nel40 d.C., sbarcò in questi luoghidurante il suo viaggio versoRoma.

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Il borgo marinaro di Sampieri. (Foto tratta da www.fotografieitalia.it).

8 - G. Barone, Costruire il blasone. Note sulle aristocrazie dellacontea nel Seicento, in Coco A. (a cura), “Le passioni dello stori-co. Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo”, ed. Del Prisma, Catania1999.

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Ad est dell’abitato si estende, per circa tre chilometri, unamagnifica insenatura sabbiosa che termina con un promon-torio roccioso - Punta Pisciotto - proteso sul Mediterraneo, acirca sette metri sul livello del mare, sul quale si ergono i rude-ri della fornace Penna, comunemente nota come “Fornacedel Pisciotto”: lo stabilimento per la fabbrica di laterizi, piùfamiliarmente chiamato dagli abitanti del luogo “ÔPisciuottu”. Oltrepassata la scogliera sulla quale sorge l’impianto,

un’altra spiaggia, quella del Ciarciolo (caricatore) del PortoSalvo (oggi Marina di Modica9), completa una delle localitàpiù suggestive della costa, magnifico scenario che incorniciaquesto splendido ed originale esempio di ArcheologiaIndustriale.

Panoramica aerea di Punta Pisciotto e del golfo di Sampieri. (Foto Luigi Nifosì).

I luoghi del Pisciotto

La spiaggia di Sampieri da Google Earth.9 - Frazione marinara della città di Modica, sviluppatasi nellaseconda metà del XX secolo come luogo di villeggiatura.

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A pochi metri dalla fornace, in prossimità della costa, si tro-vano i resti di un antichissimo pozzo, di origini remote, scava-to nella roccia calcarea di una grotta da cui sgorgava fino anon molto tempo fa una fonte di acqua potabile. Antichecondotte freatiche fossili ed altre sorgenti sono state indivi-duate in tutta la zona10, caratterizzata da importanti feno-meni carsici, al punto tale da ipotizzare che il porto di Sciclifosse proprio a Punta Pisciotto e costituisse anche un punto diapprodo per il rifornimento di acqua potabile per le imbar-cazioni che navigavano non lontane dalla costa siciliana. La fornace è ancora oggi un elemento di grande impatto

visivo, sia per il viaggiatore che arrivando dal mare scorgeall’orizzonte la suggestiva e solenne imponenza del manufat-to, sia per colui che scendendo lungo la strada provinciale 66che da Pozzallo conduce a Sampieri, intravede la cima delcamino ed il lento delinearsi dei contorni di quei ruderi chesembrano emergere dall’ammasso roccioso di PuntaPisciotto; così come avviene percorrendo la litoranea prove-niente da Donnalucata e dalla quale è possibile scorgere dalontano il bagliore della pietra bianca che brilla alla luce deiraggi del sole e che diventa sempre più inteso ed accecan-te via via che ci si avvicina.

La fornace di pietra a Marsa Siklah

La spiaggia del Ciarciolo. (Foto Luigi Nifosì).

10 - Nei periodi di bassa marea, è possibile ancora oggi indivi-duare nella zona una sorgente subacquea di acqua dolce affio-rante da una piccola insenatura.

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La fornace vista dal mare. (Foto C. Bustinto).

I luoghi del Pisciotto

La fornace vista dalla strada provinciale 66 proveniente da Pozzallo. (Foto C. Bustinto).

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L’opificio era raggiungibile anche da Scicli, attraverso unantico percorso stradale attraversato da carretti, muli o vet-ture gommate impiegate per il trasporto e il commercio deilaterizi e che scendeva fino alla strada che costeggiando ilpantano di fossa Samuele, conduceva ad un ponte in legno,costruito per oltrepassare uno dei canali di drenaggio dellafornace e, percorso il quale, si giungeva all’ingresso dell’im-pianto.

Il pantano di Fossa Samuele.

La fornace vista dalla strada provinciale proveniente da Scicli. (Foto C. Bustinto).

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I l progett i s ta«Non una sola ora, non una sola

lira per il Pisciotto.» , queste furono leparole, pronunciate da IgnazioEmmolo subito dopo l’incendio chein una notte distrusse la fornace dalui progettata, realizzata e diretta neipochi anni in cui fu in attività. I senti-menti di rabbia e di profonda delu-sione per quanto era accaduto allasua creatura, tanto amata e per laquale aveva sacrificato parte dellasua attività professionale, lo accom-pagnarono fino alla fine dei suoigiorni che trascorse mantenendo lasua promessa.

Sono poche e frammentarie lenotizie raccolte sulla figura di IgnazioEmmolo, un uomo schivo e riservatoche amava molto il suo lavoro, pas-sione ereditata dallo zio paternoBartolomeo, stimato ingegnere, poli-ticamente impegnato nella campa-

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Ignazio Emmolo.

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gna meridionale, insieme al fratello Guglielmo e ad altri scicli-tani che diedero il loro contributo alla storia della rivoluzionesiciliana del 1860, partecipando attivamente alle giornateche videro protagonista Modica ed i comuni vicini. Entrambiricordati da Vincenzo Giardina nel suo scritto sulla rivoluzionedi Modica1.

Gli Iemmolo, di origine modicana, si trasferirono a Sciclicon Girolamo, antenato di Ignazio, che andò a vivere nelquartiere di Valverde, dando origine ad una generazione distimati ed apprezzati professionisti in più ambiti lavorativi. Ilpadre di Ignazio, avvocato Guglielmo, fu pretore della cittàdal 1861 fino ai primi anni novanta del secolo.

Gli Emmolo2 si possono senza dubbio annoverare tra i pro-fessionisti più qualificati nell’area iblea, nel periodo compresotra la fine del XIX secolo e la prima metà del Novecento,godendo di grande stima anche da parte della nobiltà loca-le. Furono autori di numerose opere civili progettate e realiz-zate su incarico pubblico e di ricche famiglie tra cui i Pennae i Gravina, tra le più note nel territorio.

Bartolomeo svolge un’intensa attività professionale che lovede tra i protagonisti di un periodo storico di grande impor-tanza per Scicli e le profonde trasformazioni urbanistiche delterritorio. La ricostruzione di Scicli, dopo il terremoto del 1693,aveva già avviato anche l’opera di sottrazione delle areecomprese fra i torrenti S. Bartolomeo e S. Maria la Nova, con-clusasi nel 1880 con la costituzione di tre aree edificate deli-mitate dal corso dei torrenti e collegate tra loro da piattafor-me e passerelle che attraversavano i corsi d’acqua e che incaso di piena venivano distrutte interrompendo per giorni lecomunicazioni tra i vari quartieri del paese.

Bartolomeo Emmolo è tra i primi professionisti ad operarein ambito urbanistico per l’attuazione delle opere di sventra-mento di alcune aree a forte densità edilizia. È suo il progettoper lo sventramento e il livellamento di via Maestranza3 (oggivia Nazionale), che anticipa di qualche anno gli interventiimposti dal piano di risanamento igienico e urbanistico ela-borato dall’ingegnere Filadelfio Fichera nel 1888 e di cui fuper un certo tempo, direttore dei lavori. Progetta anche larete idrica e fognaria del paese, la sistemazione del Piano delCarmine (1888) e l’ampliamento del cimitero comunale.

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3 - «Si fa noto al pubblico che alle ore 11 antimeridiane del gior-no 30 gennaio 1881, nella casa comunale di Scicli, ed innanzi ilsindaco di detto comune, si procederà agl'incanti ad asta pub-blica per l'appalto dei lavori di costruzione della strada internaMastranza. Gl'incanti saranno aperti sulla base di lire 54,938 Si,compresevi lire 8156 85 per imprevisti, risultanti dal progetto del-l'ingegnere Bartolomeo Emmolo, in data del 25 novembre 1879,approvato dalla Deputatione provinciale di Siracusa, sotto il gior-no 7 gennaio 1880». Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia 24dicembre 1880.

1 - Il 17 maggio 1860 «i componenti di quel Comitato BaroneAntonino Mormina, Cav. Agostino Beneventano, Ing. GuglielmoEmmolo, fratelli Ignazio e Filippo Scrofani, Francesco Castro,Ignazio Mormina Papaleo, Guglielmo Battaglia, Dottor GiuseppePeralta, presa la bandiera, la conducono in trionfo per tutte levie della Città, seguiti dalla banda musicale e dal popolo plau-dente, acclamando all‘Italia, a Vittorio Emanuele, a Garibaldi.(...) Nel giorno 10 del successivo giugno partirono da Scicli: i fra-telli Raimondo e Stanislao Penna, l‘Ingegnere BartolomeoEmmolo, Gaetano Celestre ed altri; giusta gli ordini lasciati dalFabrizi, che li attendeva in Catania.». Tratto da Giardina V., Larivoluzione del 1860 in Modica. Contributo alla storia della rivolu-zione siciliana, Stab. Tip. G. Maltese, Modica 1910.

Il primo riferimento del Giardina cita l‘ingengere GugliemoEmmolo quale componente del comitato rivoluzionario di Sciclima probabilmente si tratta di un fraintendimento delll’autoreessendo i due fratelli l’uno avvocato Guglielmo e l’altro inge-gnere Bartolomeo.

2 - Il cognome Iemmolo si trasformò nel tempo in Emmolo.

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Tra le opere di edilizia realizzate a Scicli su incarico dellacommittenza privata spiccano il progetto di palazzo Busaccae di palazzo Scimone a Piazza Busacca, nonchè il progettoper la ristrutturazione del Palazzo Mormino Penna.

Ignazio nasce il 20 settembre 1870; frequenta il biennio diMatematica presso l’Università di Catania, quindi si trasferiscea Napoli dove si laurea in Ingegneria Civile e Architettura, nel1895. Nel corso della sua vita progetta e realizza molte archi-tetture sul territorio di Scicli e numerosi interventi di pianifica-zione urbana e territoriale. Collabora attivamente alla realiz-zazione delle opere previste dal piano di risanamento urbani-stico del Fichera, che si prefigge la totale riorganizzazione ter-ritoriale del paese per far fronte alle emergenze che con sem-pre più evidenza si manifestavano sia in ambito igienico sani-tario sia urbanistico.

Approvvigionamento idrico, fognatura dinamica, piani disventramento, sistemazione stradale, interramento dei torren-ti che attraversavano il centro abitato da parte a parte, sonoquesti gli interventi previsti dal piano e per la realizzazione deiquali furono proposte soluzioni talmente all’avanguardia dafar meritare al piano Fichera la medaglia d’oro all’esposizio-ne artistica di Siena.

Il progetto per l’approvvigionamento idrico, interventosenza dubbio di primaria importanza per l’intero piano di risa-namento dell’abitato subì, nel 1896, un aggiornamento adopera dell’appena laureato Ignazio, incaricato di predispor-re i lavori per migliorare la captazione delle acque dalle sor-give, alla cui uscita presentavano (così come lo stessoFichera aveva già notato dopo un primo dimensionamentoda egli stesso effettuato) una pressione insufficiente. Il nuovoprogetto prevedeva la correzione del tracciato dell’acque-dotto di adduzione, l’utilizzo di tubazioni più grandi, l’amplia-mento della rete di distribuzione idrica in direzione dei nuoviquartieri e la realizzazione di un serbatoio di raccolta incassa-to nella roccia al fine di mantenere le acque fresche.

Tra il 1897 e il 1898 è impegnato nello studio per l’utilizza-zione dell’acqua della ‘cascata del Salto di Lepre’, lungo ilcorso della fiumara di Modica, per il funzionamento di ungeneratore per portare l’elettricità a Scicli. Il progetto perònon ebbe seguito e la luce arrivò alla cittadina solo nel 1932.

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Quanto alla sistemazione stradale, al momento di comin-ciare i lavori, l’amministrazione comunale ritenne (forse acausa di pressioni politiche) che le proposte del Fichera fos-sero superate ed affida nel 1899 l’incarico della riprogettazio-ne all’ingegnere Ignazio Emmolo, incarico che si protrae finoal completamento di tutti i lotti. Tra i vari progetti vi è anchequello per la sistemazione della strada mastra S. Giuseppe, insostituzione dei due interventi proposti dallo zio Bartolomeodieci anni prima ma non attuati a causa di contrasti interni alConsiglio Comunale.

La sistemazione stradale del paese è un aspetto assai deli-cato in quanto la pessima situazione igienico sanitaria di Scicliera direttamente riconducibile alle condizioni delle stradeinterne all’abitato, non livellate e piene di buche procuratedal passaggio delle ruote dei carri che sprofondavano sul sel-ciato morbido e permeabile. Nei giorni di pioggia le ‘con-che’, così chiamate dagli abitanti, si riempivano di fango pro-dotto dalla presenza di immondizia, rifiuti di ogni genere,deiezioni di uomini ed animali che davano origine a fenome-ni di putrefazione con sviluppo di gas e parassiti nefasti4. Inestate, invece, le buche si riempivano di polvere che si solle-vava al passare dei mezzi di trasporto rendendo l’aria irrespi-rabile. Il piano di sistemazione stradale prevedeva la proget-tazione di numerosi percorsi urbani compresa la selciaturacon conci di calcare forte che conferì alle vie e ai vicoli delpaese un aspetto di pulizia e igiene, garantito anche dallapresenza di vespasiani pubblici, progettati dallo stessoEmmolo.

A tale proposito riporto un aneddoto raccontatomi pocotempo fa dal nipote, anche lui ingegnere, anche lui IgnazioEmmolo e che, ricondando il nonno e la grande passione perla sua professione, mi disse: «I vespasiani progettati da miononno furono ben presto trasformati dagli abitanti in magaz-zini per la produzione di concime ottenuto dalle deiezioni che

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4 - Non esisteva ancora la fognatura dinamica e pertanto ledeiezioni venivano raccolte in casa all’interno dei ‘cantri’e tra-vasate, di notte, in bottini distribuiti lungo le strade della città dadove venivano prelevati per essere condotti nelle discariche allaperiferia del paese. Qui giunti venivano mescolati con i rifiutiurbani ottenendo così un fertilizzante utilizzato in agricoltura.

Uno dei vespasiani progettatie realizzati da IgnazioEmmolo a Scicli. (Foto C.Bustinto).

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venivano raccolte nelle abitazioni e conservateall’interno di quei locali. Mio nonno, contrariatoper questa cattiva abitudine dei suoi concittadini,una mattina sprangò la porta di un vespasiano eaffisse un cartello con la scritta “Chiuso perchè ibarbari non vogliono opere di civiltà.” ».

Ignazio è affascinato dall’architettura neoclas-sica, rimasta in voga per tutto il XIX secolo, epocain cui l’eclettismo storicistico si diffonde comenuova tendenza architettonica.

La sua prima opera di architettura èl’Ospedale “Busacca”, realizzato nella sua cittànatale, su incarico dell’omonima Opera Pia, unadelle più importanti istituzioni assistenziali dell’isola,nata dal cospicuo lascito di un ricco mercante ebanchiere ebreo, Pietro Di Lorenzo, vissuto in Sicilianella prima metà del XVI secolo e convertito alcattolicesimo in seguito al decreto di espulsionedegli ebrei, emanato nel 1492 dal re di Spagna.Alla sua morte, il benefattore, detto Busacca5,lasciò in eredità il suo patrimonio alla Confraternitadella chiesa di S. Maria la Nova di Scicli, affidan-dole la gestione amministrativa con la condizionedi distribuire la metà del reddito annuale dei benilasciati in legati di maritaggio e di monacazione,ciascuno di venti onze, (£ 255), in favore delle suediscendenti consanguinee nubili e, in mancanzadi queste, delle povere del comune di Scicli edella contea di Modica. La Confraternita si sareb-be anche occupata del pagamento del riscattoper la liberazione di suoi congiunti nell’eventualitàdi un rapimento ad opera dei pirati barbareschi.

Con l’Unità d’Italia, nel 1861, i legati di mona-cazione ed i pagamenti di riscatto furono perse-guiti e tacciati come “finalità non lecite” e, di con-seguenza, le rendite annuali accumulate a talefine vennero conservate per anni nelle casse dell’Opera Piache moltiplicò i capitali. A seguito della riforma crispina del1889, le Opere pie furono obbligate a modificare i loro scopitradizionali eminentemente a carattere etico-religioso, tra-

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Ritratto di Pietro Di Lorenzo, realizzato da Gregorio Scalia nel 1884.Palazzo Busacca.

5 - Il cognome Busacac è di origine ebraica e, secondo il prof.Giuseppe Barone, Busacca è un soprannome con cui si identifi-cavano gli ebrei convertiti che esercitavano l’attività bancaria.

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sformandoli in obiettivi assistenziali rispondenti alle reali esi-genze della società contemporanea; è per tale ragione chel’Opera Pia “Busacca”, oggi Azienda socio-sanitaria di assi-stenza, diventò a tutti gli effetti un’istituzione benefica chefinanziò importanti opere, tra cui il nuovo ospedale di Scicli, econcesse numerosi prestiti a lunga scadenza e ad interessiminimi a molti Comuni siciliani. Molti interventi del piano dirisanamento urbanistico dell’ingegnere Fichera furono realiz-zati con i finanziamenti a tasso agevolato concessidall’Opera pia Busacca.

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L’edificio principale dell’ospedale “Busacca” a Scicli, progettato dall’ingegnere Ignazio Emmolo. (Foto C. Bustinto).

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Gli eventi legati alla costruzione del nuovo nosocomioriflettono la situazione di estremo disagio e di emergenza incui versava l’intera isola alla fine del XIX secolo, priva di unasufficiente ed efficace rete di assistenza sanitaria. Ma, soprat-tutto, rispecchiano il clima conflittuale che permeava l’interopaese, dove faide familiari e rivalità politico-religiose si susse-guivano da tempo immemorabile.

Quanto alla storia dell’Ospedale, che vale la pena ricor-dare, il vecchio nosocomio di Scicli, chiamato Monte di Pietà,fu fondato dalla Compagnia della Santissima Carità già nel1500 ed era ubicato alla periferia della città, nell’ex conven-to dei Cappuccini, in prossimità della chiesa di S. Andrea.L’ospedale si componeva di una sola camerata che potevaospitare non più di dodici letti e la cura dei malati era affida-ta a tre suore, due infermieri che svolgevano anche funzionidi inservienti, un flebotomo e due medici chirurghi che nondisponendo di idonea attrezzatura chirurgica e di pronto soc-corso, nè di una farmacia per l’assegnazione delle terapie,erano costretti a limitare la loro attività a piccoli interventi acarattere ambulatoriale.

Secondo quanto riportato nella Statistica amministrativadegli ospedali e nella Statistica dei ricoverati6, i locali eranoumidi, quasi del tutto privi di arredo e l’illuminazione con lam-pade ad olio era insufficiente. L’assenza di un regolareimpianto di scarico fognario, imponeva inoltre costanti ope-razioni di espurgo.

Nel 1898 l’Ospedale del Monte di Pietà viene trasferito neilocali del monastero della Concezione, accanto la chiesa diSan Giovanni Evangelista, nel centro del paese. Il convento,abbandonato dalle monache benedettine dopo che lalegge del 1866 aveva abolito l’asse ecclesiastico, era statoacquisito dal Fondo per il culto ed era già stato adattatodapprima a lazzaretto, in occasione dell’ennesima epidemiadi malaria che si abbattè su Scicli nel 1887 e, successivamen-te, a ricovero per gli inabili al lavoro. Nella nuova sededell’Ospedale operavano venti persone tra medici, infermie-ri, religiosi e tecnici amministravi che si prendevano cura deiventicinque degenti ospitati e distribuiti in quattro sezioni: unaper il ricovero degli inabili, una per i malati di tubercolosi, unaper i malati cronici e una per i malati acuti.

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6 - Ministero di Agricoltura, industria e commercio (MAIC),Direzione generale di statistica, Statistica amministrativa degliospedali, Bertero, Roma 1892 e Statistica dei ricoverati in ospe-dali pubblici e privati ed in altri istituti di assistenza nell’anno 1898,Bertero, Roma 1900.

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La Congregazione della SS. Carità chiese al comune diScicli la ristrutturazione dei locali e l’adattamento dell’exmonastero ad ospedale. L’area occupata dal complessomonastico era però destinata all’edificazione del nuovopalazzo municipale; si rese quindi necessario un secondo tra-sferimento dell’ospedale la cui nuova sede, secondo gliamministratori del nosocomio, Benedetto Spadaro eRaimondo Penna, avrebbe dovuto continuare ad essere ubi-cata in un’area del centro urbano.

A sbloccare la situazione giunge il R.D. del 5 maggio 1895in base al quale l’amministrazione dell’Ospedale fino ad allo-ra nelle mani della Congregazione della SS. Carità, viene tra-sferita all’Opera pia Busacca imponendo allaCongregazione di cedere a quest’ultima tutti i suoi beniimmobili, le rendite e suppellettili al fine di contribuire con ilcapitale raccolto alla realizzazione del nuovo ospedale diScicli, della cui edificazione si era fatta carico la stessa Operapia, autorizzata dal decreto, a destinare una parte del pro-prio reddito all’istituzione di un centro per il ricovero e l’assi-stenza di poveri e malati.

Il primo problema da affrontare fu la scelta del sito.L’intenzione era quella di costruire un imponente edificio nelcuore della città, espressione tangibile dell’attività filantropi-ca dell’Opera pia Busacca. Nella primavera del 1896 i tecni-ci del genio civile di Siracusa condussero i necessari rilievinelle aree del centro abitato ma la relazione dell’ingegnereVito Rapisardi7 fu tutt’altro che incoraggiante: la particolareorografia del terreno su cui si estendeva la città, posta allaconfluenza di tre valloni e le infelici condizioni igienico sanita-rie del centro urbano, determinate dalla presenza di ognigenere di rifiuti e di acquitrini, serbatoi a cielo aperto evasche di irrigazione degli orti posti lungo il greto delle fiuma-re che attraversavano il paese da un estremo all’altro, indus-sero il tecnico a sconsigliare caldamente la scelta di quellearee segnalando l’opportunità di preferire un sito al di fuoridel centro abitato, facilmente raggiungibile e possibilmentesu un’altura dove l’aria sarebbe stata più salubre. L’ngegnereRapisardi consigliò, a tal fine, la contrada Palazzola o, in alter-nativa, la contrada Milocca, ma entrambi i siti erano distantidal paese e privi di fornitura di acqua potabile. Fu così che

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7 - Studi preliminari per l’erezione del nuovo ospedale-ricovero escelta del suolo, documento custodito presso l’archiviodell’Opera pia Busacca, busta 31, Ospedale 1897-1902, fascico-lo 5.

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Ignazio Emmolo e Girolamo Cartia, ingegnere agronomoquest’ultimo, furono incaricati della redazione del progetto dimassima per la realizzazione di un impianto di sollevamentodelle acque provenienti dall’acquedotto municipale ancorain fase di completamento.

Nella relazione di accompagnamento al progetto8, pre-sentato nel novembre 1896, i tecnici evidenziavano che laspesa dell’opera, computata per un valore compreso tra cin-quanta e sessanta mila lire, sarebbe stata sufficiente a bonifi-care il piano di Santa Teresa,sede di recente espansioneedilizia e prossima alla circon-vallazione, ma ad alto peri-colo igienico-sanitario acausa della presenza diacque stagnanti spessocausa di sindromi malariche.In alternativa, gli stessi pro-gettisti proponevano l’areaposta alla base della collinaad ovest del paese e, piùprecisamente, su un terrenooccupato dal ‘mandorletodelle coste del ciandroSpadaro’.

Una seconda perizia tec-nica, affidata al medico pro-vinciale Giuseppe Misuracatagliava la testa al toro, indi-cando in Cozzo Pilato, il sitomigliore per l’edificazione dell’ospedale. Il terreno, distantecirca un chilometro da Scicli, era raggiungibile dalla stradaper Donnalucata, in direzione sud-ovest. Ma anche questaproposta non convinse i rettori della confraterinta di S. Mariala Nova, gestori del patrimonio dell’Opera pia, i quali insiste-vano per una soluzione che permettesse la costruzione delmanufatto all’interno del paese. Fu così che nell’aprile del1897 gli ingegneri Emmolo e Cartia ricevono un nuovo incari-co per la redazione di un progetto di bonifica idraulica e risa-namento del piano di S. Teresa.

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8 - Progetto di massima di elevazione dell’acqua potabile, archi-vio dell’Opera pia Busacca, busta 31, Ospedale 1897-1902, fasci-colo 5.

Veduta panoramica di Scicli in una fotografia storica della collezione di Bartolo Trovato. (Inwww.essepress.com).

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Due mesi dopo, la relazione dei tecnici9 evidenziavacome la scelta di S. Teresa sarebbe stata un’opportunità danon perdere in quanto l’iniziativa avrebbe promosso la riqua-lificazione igienica ed edilizia dell’intero abitato sino a quelmomento a grave rischio di infezioni e febbri malaricheanche a causa del mancato completamento della retefognaria e dello scarso servizio di pulizia e raccolta dei rifiutisolidi urbani. I progettisti auspicavano quindi non solo il risa-namento igienico dell’intero insediamento urbano, maanche la redazione di un piano regolatore adeguato ai cam-biamenti avvenuti nel corso degli anni10.

La situazione diveniva di giorno in giorno sempre più com-plessa. Un ulteriore parere dell’ingegnere Sergio Sallicano,membro del Consiglio Sanitario provinciale, interpellato dalprefetto di Siracusa al fine di porre termine alla questione,conferma le criticità del quartiere di S. Teresa, già ampia-mente evidenziate da più parti, proponendo la contradaLicozia sulla collina ad ovest di Scicli, così come in preceden-za fatto da Emmolo e Cartia, raggiungibile attraverso la stra-da per S. Croce Camerina.

La proposta dell’ingegnere Sallicano fu accettata ed ilprogetto dell’opera venne affidato agli ingegneri Emmolo eCartia. Ma quando erano state già concluse le procedureper l’acquisto dei lotti di terreno su cui realizzare il manufat-to11, nella primavera del 1899 la popolazione di Scicli si solle-vò in rivolta contro la scelta del sito ritenuto da tutti inadattoperchè troppo distante dal paese.

Si doveva ricominciare da capo. Il prefetto di Siracusa e lagiunta provinciale chiesero quindi l’intervento di una com-missione per la risoluzione del caso. I tre componenti prescel-ti furono il medico provinciale Francesco Mauceri, l’ingegne-re Sergio Sallicano e l’ingegnere Cultrera i quali, sotto la pres-sione popolare, decisero di optare per la scelta di S. Teresa apatto che l’intervento di risanamento dell’area venisse inparte finanziato dall’Opera pia.

Risolta la questione della scelta del sito si presentò quelladell’acquisto dei terreni, per i quali i proprietari vantavanoelevate richieste di indennizzo che bloccarono nuovamente,nel marzo 1902, la situazione mandando in fumo sette anni dilavoro. Soltanto un anno dopo, con l’arrivo del regio com-

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11 - Si trattava di due lotti di terreno che coprivano circa setteettari per un valore di cinquemila e duecentoundici lire, cosìcome risulta dalla relazione presentata da Emmolo e Cartia il 15aprile 1898, conservata presso l’archivio dell’Opera pia Busacca,busta 31, Ospedale 1897-1902, fascicolo 7.

10 - Il Piano Regolatore sarà predisposto tra il 1924 e il 1925dall’Ingegnere Girolamo Cartia.

9 - Scelta del piano di S. Teresa e trattative d’acquisto, Archiviodell’Opera pia Busacca, busta 31, Ospedale 1897-1902, fascico-lo 6.

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missario Giuseppe Zanetti, posto alla guida della confraterni-ta di S. Maria la Nova e dell’Opera pia Busacca, si riaprì laquestione dell’ospedale e del sito su cui realizzarlo, e per ilquale venne proposto nuovamente il fondo del ‘mandorletodelle coste del ciandro Spadaro’, ai piedi della collina diLicozia, quasi di fronte al piano di S. Teresa. Il sopralluogo delmedico provinciale Francesco Mauceri e dell’ingegnereErcole Celestre confermò la bontà della scelta evidenziandotutti gli aspetti positivi tra cui la posizione panoramica e l’e-sposizione a sud-est, vantaggiosa per l’apporto solare e, nelcaso specifico, ottima per il riparo dai venti predominanti pro-venienti da nord-ovest. La scelta garantiva inoltre la facileaccessibilità al sito, comodamente raggiungibile tramite lastrada per S. Croce Camerina. La relazione dell’ingegnereIgnazio Emmolo, a cui fu affidato il progetto dell’opera, con-fermò tali considerazioni evidenziando inoltre la facile reperi-bilità del materiale lapideo necessario per la costruzione del-l’opera e le ottime caratteristiche del terreno di fondazionecostituito da roccia di calcare miocenico12. I tre ettari delfondo furono acquistati al prezzo di quindicimila lire.

Il trentaquattrenne Ignazio decide quindi di intraprendereun viaggio che lo porterà in numerose città italiane e nelle piùimportanti capitali europee, al fine di prendere visione deinuovi presidi sanitari costruiti in Inghilterra, in Francia e inGermania e progettati secondo criteri innovativi, volti a sod-disfare le esigenze emergenti dai progressi compiuti dallamedicina. Le nuove conoscenze nell’ambito della ricercascientifica e della scienza medica imponevano infatti scelteprogettuali altrettanto innovative sia nell’adozione di nuovetipologie strutturali sia nell’impiego di materiali idonei agarantire l’igiene degli ambienti.

L’atteggiamento di grande responsabilità dimostrata dal-l’ingegnere Emmolo riguardo l’approccio al progetto com-missionatogli conferma l’enorme stima di cui godeva il pro-fessionista, definito dal regio commissario Giuseppe Zanetti,“persona di sicuro affidamento per istruzione, intelligenza edonestà”13.

L’ospedale “Lariboisière” di Parigi, l’ospedale “Eppendorf”di Amburgo, il Policlinico “Umberto I” di Roma costituiscono leespressioni più interessanti di architettura sanitaria nell’Europa

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12 - La relazione della commissione e la perizia dell’ingegnereEmmolo sono custodite presso l’Archivio dell’Opera pia Busacca,busta 33, Ospedale 1904-1908.

13 - Deliberazioni dei rettori 1868-1903, Archivio dell’Opera piaBusacca, busta 395.

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del XIX secolo e dell’applicazione dei nuovi criteri progettua-li tra i quali l’adozione della tipologia a padiglioni che preve-deva la realizzazione di edifici separati con lo scopo di suddi-videre i malati secondo il genere della malattia, il sesso, l'età,ecc.; opportunamente orientati al fine di ottenere adeguatainsolazione e ventilazione, limitando così anche il contagio trai malati.

I primi esempi di presidi ospedalieri ad edifici staccati sipossono trovare già in Inghilterra con l’ospedale di “S.Bartolomeo”, riedificato nel 1730 e con l’ospedale realizzatonella base navale di Plymouth nel 1764.

Alla fine del XVIII secolo il fisico J.B. Le Roy in una suamemoria, poi presentata all’Accademia di Francia nel 1877,dimostrò la superiorità della tipologia a padiglioni su quella amonoblocco in quanto i malati, distribuiti in strutture isolatepotevano godere di una maggiore quantità di aria, indispen-sabile alla loro guarigione. A un secolo di distanza il clinicoGuido Baccelli, allora Ministro della Pubblica Istruzione, inoccasione della realizzazione del Policlinico della neonatacapitale d’Italia, fece propria la teoria di Le Roy in merito alla

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Distribuzione planimetrica dell’Ospedale “Eppendorf” ad Amburgo (a sinistra) e dell’Ospedale“Lariboisière” di Parigi (a destra).

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scelta tipologica parlando di "isola navigantenell'aria".

Al suo rientro a Scicli, Emmolo redige il pro-getto del complesso edilizio che presenta nelmarzo del 1904, insieme alla relazione gene-rale nella quale chiarisce le motivazioni dellesue scelte anche riguardo l’adozione dellanuova concezione tipologica e distributivadegli spazi che segna una svolta decisivanella progettazione di strutture sanitarie inEuropa.

Il nosocomio di Scicli è sicuramente unadelle strutture più avanzate di architetturasanitaria dell’epoca in Sicilia, il cui impianto apadiglioni ripropone, in scala ridotta, l’innova-tiva soluzione progettuale adottata da GiulioPodesti e Filippo Laccetti per la realizzazionedel Policlinico Umberto I di Roma.

Il progetto prevedeva la costruzione di uncomplesso sanitario adagiato su tre quote dif-ferenti, alla base della collina di Licozia ecomposto di 15 edifici, di cui otto padiglioni,atti ad ospitare 275 posti letto. Grande cura furiservata agli aspetti igienico-sanitari, al com-fort e al benessere psicologico dei malati. Ifabbricati furono disposti lungo l’asse Nord-Ovest - Sud-Est esponendo così i prospettidegli adifici alla maggiore quantità di irrag-giamento solare possibile. I reparti contagiosifurono posti lungo il margine ovest dell’im-pianto ospedaliero mentre l’edificio destinatoad ospitare la cucina e il panificio, fornito diquattro caldaie per la preparazione dei pastie due forni a legna, fu posizionato al centrodell’area, servita da percorsi di collegamentoagevoli e comodi.

Particolare attenzione venne posta all’impianto di elimi-nazione dei liquidi fognari che prevedeva un preventivo pro-cesso di disinfezione in due vasche di accumulo, dopo ilquale si procedeva all’immissione nella conduttura dii scarico

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L’edificio principale del Policlinico Umberto I di Roma in una foto del 1900.

L’edificio principale dell’Ospedale Busacca in una recente immagine.(Foto C. Bustinto).

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che avveniva nei terreni limitrofi. Il progetto così presentato non

subì particolari appunti se si escludela scelta della malta, la cui compo-sizione era prevista dal progettistacon grassello di calce e polvere dicalcare tenero e per la quale venneinvece suggerito l’impiego di gras-sello di calce, pozzolana e sabbia difiume che, secondo la commissio-ne, avrebbe garantito una maggio-re presa con la muratura. Fu abbas-sata l’altezza dei vani a cinquemetri contro i cinque metri e mezzostabiliti da Emmolo e venne previstala realizzazione di un risvolto arroton-dato del pavimento all’incontro conle pareti al fine di eliminare l’accu-mulo di sporco tra le connessure. Il

Genio Civile consigliò anche l’adozione di orizzontamentipiani in sostituzione delle volte a botte previste dal progettistama questi riuscì a persuadere i membri della commissionetecnica riguardo il vantaggio che avrebbero presentato lecoperture voltate ai fini di una più facile circolazione dell’ariaall’interno dei locali.

I lavori, iniziati nel settembre del 1904, si conclusero allafine del 1907 con il collaudo dell’ingegnere Carlo Buscemache ebbe parole di grande ammirazione per l’opera diEmmolo che definì “un modello di eleganza e di stabilità”14,elogiando la professionalità dell’ingegnere che, in più occa-sioni, venne attaccato con critiche e accuse riguardo il costoelevato dell’opera, appaltata per mezzo milione di lire e chefin da subito divenne oggetto di interessi, polemiche e lottepolitiche locali.

Il complesso sanitario fu inaugurato nel 1908, prima del-l’ottenimento del certificato di agibilità, giunto nel 1909, peraccogliere parte dei feriti vittime del terremoto che colpì lecittà di Reggio Calabria e Messina.

L’ospedale “Busacca” è senza dubbio dal punto di vistaprogettuale, uno dei più importanti istituti sanitari del meridio-

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I padiglioni dell’Ospedale Busacca fotografati dalla collina prospiciente il paese, inuna fotografia storica posseduta da Bartolo Trovato. (In www.essepress.com).

14 - Archivio dell’Opera pia Busacca, busta 31.

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ne d’Italia di inizio secolo anche se in molti ritengono che nonsia possibile affermare altrettanto riguardo la gestione delnosocomio che, nel corso degli anni ha evidenziato notevoliinadempienze.

Nei lunghi anni intercorsi tra il concepimento del nosoco-mio ed il suo completamento, Ignazio Emmolo continua lasua attività professionale che lo vede impegnato in numerosialtri progetti che a volte lo portano anche al conflitto con altricolleghi come, ad esempio, la controversia nata con l’inge-gnere Cartia, incaricato nel 1899 della redazione del proget-to del palazzo municipale, alla cui deliberazione Emmolo pre-senta ricorso adducendo a motivazione il titolo accademicodi Cartia che, essendo ingegnere agronomo, non possedevale competenze idonee per un progetto di ingegneria civile,per la redazione del quale Emmolo presentò la sua disponibi-lità per un compenso di sole trecentomila lire. La proposta furifiutata dal Consiglio comunale in quanto la modesta richie-sta avrebbe innescato una politica di concorrenza cheavrebbe compromesso una scelta serena15.

Rivalità politiche determinarono nel1902 lo scioglimento del Consiglio comu-nale. Il commissario straordinario GiuseppeZanetti nomina Emmolo ingegnere comu-nale ma l’incarico viene revocato nel1903, subito dopo l’insediamento dellanuova amministrazione costituitasi inoccasione delle elezioni amministrative.

Nel 1902 Emmolo progetta la ‘casina divilleggiatura’, realizzata per il cavaliereIgnazio Bonelli, in contrada Sant’Agata.

Il manufatto, dal deciso carattere neo-gotico, è il risultato della trasformazione diun edificio preesistente sul quale l’inge-gnere Emmolo apporta sostanziali modifi-che per adattarlo a residenza estiva dellafamiglia.

La villa, su due elevazioni, si sviluppaattorno ad una corte pavimentata conbasole di pietra sulla quale si affacciano ilocali del piano terra destinati ad ospitare

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Recente immagine della ‘casina di villeggiatura’, oggi Villa Ruben.

15 - L’incarico fu infine affidato all’ingegnere Corrado Sallicanoche adottò molte soluzioni presenti nel progetto di Cartia il qualefu nominato nel 1902, direttore dei lavori.

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i magazzini, il frantoio, il fienile e la stalla dove trovavano rico-vero gli animali del podere e i cavalli dei proprietari. Il restodel piano era destinato alla lavanderia, alla cantina, alla dis-pensa per l’olio e al forno a servizio della cucina. Il prospettoprincipale esposto ad ovest, bucato da aperture ad arco ogi-vale e decorato con colonne binate, archetti pensili e corni-ci, è coronato nella parte sommitale da una merlatura chepercorre l’intero perimetro della costruzione. Poco distante,una piccola costruzione ospitava il fattore, i mezzadri e le lorofamiglie.

Alla morte di Ignazio Bonelli, nel 1924, i figli Francesco ePietro ereditano anche la “casina di villeggiatura” ma fu sol-tanto Francesco a gestire il capitale della famiglia, con l’aiu-to del fattore Angelo Drago che si occupò della villa per oltrecinquant’anni.

La costruzione, oggi chiamata villa Ruben, ha subito unrecente restauro ed è sede di un ristorante.

Ma la grande professionalità di Ignazio Emmolo, insemealla sobrietà stilistica, all’eleganza delle forme e al particola-re interesse per l’architettura neoclassica trovano la massimaespressione nel progetto della fornace Penna, l’opera forseda lui più amata e per la quale interruppe anche la costru-zione della sua casa di via Roma, a Scicli, e alla quale dedi-cò parte della sua vita che si spegne nel luglio del 1953, all’e-tà di ottantatre anni, lasciando cinque figli, Guglielmo,Francesco, Emilio, Giuseppina e Angelo.

Guglielmo e Francesco seguirono le orme del nonno edello zio, laureandosi in ingegneria e svolgendo la loro attivi-tà professionale a Scicli. Guglielmo è autore, tra l’altro, delprogetto per il primo ponte in muratura sul torrente S.Bartolomeo, sotto Chiafura e del Cinema Teatro Italia, inau-gurato nel 1947. Emilio fu notaio, Angelo, ancora in vita, si lau-reò in medicina, specializzandosi in anestesia ed esercitò lasua professione a Siracusa dove ancora oggi vive.

L’unica figlia femmina, Giuseppina Emmolo Scimone,morta nel 2005, ha rilasciato un’intervista al giornalistaGiuseppe Savà, nella quale racconta dei suoi ricordi di infan-zia legati alla fornace Penna e agli eventi che si sono susse-guiti negli anni in cui fu in attività, fino al giorno della suadistruzione16. Il suo racconto, insieme a molti altri documenti,

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16 - Savà G., Mio padre e il suo amore per il Pisciotto: storia diun’impresa, in “Il Giornale di Scicli”, n.9 1999, pp.6-7.

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aneddoti, interviste e articoli raccolti nel corso di circa ven-ticinque anni, hanno permesso di ricostruire la storia della for-nace e dei suoi protagonisti.

La committenzaCommittenti dell’opera furono i Penna, appartenenti ad

una ricca famiglia di commercianti e proprietari terrieri digrande influenza sul territorio sciclitano già a partire dal XVIIsecolo, quando la loro principale attività era il commercio diarbagio, panno grezzo di lana di pecora con cui, un tempo,la povera gente confezionava i propri abiti.

Come lo stesso professore Giuseppe Barone scrive: «Nelventennio 1630-1650 risultano attivissime (a Scicli ndr) alcunefamiglie in ascesa, come i Melfi, i Penna, i Ribera. I primi, adesempio, usano associarsi con piccoli produttori locali(Allibrio, Guarrasi, Bellassai) a cui anticipavano frumento edenaro in cambio dell'obbligo a troiare per almeno tre annifino alla vendita dei suini a comuni risico pericolo et fortuna.Monopolista del commercio degli arbagi (tessuti di lane semi-grezze) era diventato Francesco Penna, che nel 1636 firmò uncontratto triennale per la consegna di 28.000 canne di arba-gio alla Sacra Religione gerosolimitana “per uso delle suegalere et ciurma”, al prezzo unitario di 19 onze e tarì 18 perogni cento capi da consegnarsi ai ricevitori di Scicli o diSiracusa, a condizione che “la quantità di arbaxio dovràessere di lunghezza di palme 2 et un quarto ben parato e delpeso d’oncie quarantadue per canna al netto del pilo dicapra”»1. Continuando, il professore Barone scrive: «A comu-ni interessi economici tutti questi personaggi affiancavano lasolidale appartenenza alla confraternita di San Bartolomeo,in uno stretto connubio tra la sacra devozione e accumula-zione del capitale.»2 .

La famiglia Penna apparteneva da generazioni alla con-fraternita di San Bartolomeo, una delle tante confraternite lai-cali costituitesi attorno ai numerosi edifici religiosi sorti fin dallanascita del nuovo nucleo abitativo di Scicli, alle pendici delcolle di San Matteo. A tali congregazioni aderivano espo-nenti di ogni estrazione sociale, nobili, borghesi, artigiani, agri-

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2 - Giuseppe Barone, Costruire il blasone/Note sulle aristocraziedella contea nel Seicento, in “Cinquant’anni di Archivio/Settesecoli di storia”, a cura di Anna Maria Iozzia, ed. Argo, dicembre2005. Giuseppe Barone, L'oro di Busacca. Potere ricchezza e povertàa Scicli, secoli XVI-XX, Sellerio Editore, Palermo1998.

1 - Una canna equivale a 2 metri, un palmo a 2,5 metri. Il con-tratto fu rinnovato per altri quattro anni, per un importo com-plessivo di 5000 onze.

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coltori, legati da interessi e ideali comuni che perseguivanoattraverso un codice comportamentale tacitamente accet-tato da tutti gli adepti. Alla fine del XVI secolo esistevano aScicli venti confraternite laicali, sette delle quali sopravvive-ranno fino al XIX secolo, tra cui la confraternita di SanBartolomeo e quella di Santa Maria la Nova, che incisero pro-fondamente nella storia della città e non solo per l’aspettolegato al carattere devozionale di tali istituzioni sacre, innome delle quali gli adepti si esprimevano con generosedonazioni ed opere di beneficienza, ma soprattutto per l’atti-vità parallela ad esse correlata e non sempre legittima, intrisadegli interessi delle diverse casate in competizione tra loro perl’acquisizione di un sempre maggiore potere economico epolitico sul territorio. L’arricchimento, l’acquisizione di feudi etitoli nonchè la reputazione di una famiglia erano il più dellevolte raggiunti attraverso prepotenze, sopraffazioni, usurpa-zioni, connivenze, contrabbandi ed ogni altro tipo di iniquitàperpetrate per anni da generazione in generazione.

Numerose sono le fonti archivistiche in cui è possibileriscontrare attività illegali, spesso accompagnate da azioniviolente, condotte a fini di lucro e con l’appoggio di famigliepotenti ed esponenti delle istituzioni corrotti.

Il processo di trasformazione sociale e politica in atto aScicli nel XVI secolo si manifesta in tutta la sua evidenza condiscordie tra esponenti di spicco della società sciclitana inlotta per l’accaparramento delle terre della pianura costieraverso la quale l’originario centro urbano di Scicli si espandeincrementando i commerci marittimi e lo sviluppo dell’agri-coltura. A tutto ciò si aggiunge la minaccia costante delleincursioni piratesche ad opera dei barbareschi che insidianole coste della Sicilia sud orientale e le navi mercantili chefanno la spola tra la Sicilia e Malta, a volte anche con la com-plicità di commercianti locali.

«Con un memoriale inviato al viceré Gonzaga nel marzo1678, il ricevitore generale dell'ordine (gerosolimitano) denun-ciava l'assalto notturno a due fregate maltesi piene di mer-canzie presso la spiaggia di Ciarciolo (Marina di Modica),feudo del barone Penna. (...) L'alto dignitario accusavasoprattutto le guardie costiere che non erano intervenute inquella lunga notte di terrore, le “sospette coperture” dei giu-

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rati e il manutengolismo del capitano di giustizia che nonaveva voluto svolgere le indagini»3 , “. . .et il tutto deriva cheli ladri assassini sono protetti dall'istessi officiali et altri personipotenti, co refugiarli nelli loro casi, anzi si vedono passeggia-re pubblicamente per la città di Scicli armati di scopettonisenza che nessun officiale li molestasse ...”4 .

Quando poi, il R.D. dell’11 ottobre 1817 estese alla Sicilia ilnuovo modello di amministrazione civile, di origine napoleo-nica, già in atto nel resto d’Italia con la Costituzione del 1812,molti esponenti della famiglia Penna furono presenti nellecosiddette “liste degli eleggibili”, previste dalla nuova legisla-zione. Si tratta di elenchi comprendenti i nomi di cittadini diogni estrazione sociale, tra i quali venivano scelti coloro cheavrebbero svolto funzioni pubbliche all’interno delle ammini-strazioni locali. Gli elenchi, in questo caso stilati dalle varieconfraternite di Scicli, venivano aggiornati periodicamente econtenevano, oltre ai nomi dei candidati, anche altre notizierelative alla loro età, alla professione, al grado di istruzione,alla rendita e all’esistenza di eventuali legami di parentelacon altri candidati. Con il passare degli anni la presenza diesponenti di estrazione sociale più modesta quali artigiani,impiegati e commercianti, divenne sempre più scarsa a favo-re del ceto più agiato e poichè esisteva una stretta correla-zione tra la graduatoria della lista e il patrimonio della fami-glia di appartenenza del candidato, i Penna erano sempre incima all’elenco, insieme ad altri notabili della città. È per taleragione che molti di essi sono stati spesso presenti negli orga-ni di governo della città e, in seguito, anche del Paese, comeavvenne nel 1895 e nel 1897 quando Guglielmo Penna venneeletto deputato crispino con il sostegno politico e finanziariodell’Opera Pia Busacca, nonostante questa fosse amministra-ta dalla confraternita di S. Maria La Nova e pur appartenen-do la famiglia Penna, da generazioni, alla confraternitaavversaria di San Bartolomeo. Fu così che i Penna ebbero permolto tempo il controllo dell’amministrazione comunale, gra-zie ad allenze stipulate, a seconda della convenienza, anchecon avversari politici e furono molti gli esponenti della fami-glia impegnati nella carica di sindaco del paese5 e quasisempre più di uno era presente nel Consiglio Comunale conla carica di assessore.

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5 - Guglielmo Penna è sindaco di Scicli nel 1825-27, nel 1834-36e nel 1858-60, fino cioè alla caduta del governo borbonico. Nel1867-1869 è sindaco Ignazio Penna, Dal 1883 al 1887 è sindacoClemente Penna. Dal 1893 al 1895 è nuovamente sindacoGuglielmo. Nel 1898 è la volta del cugino Cav. Bartolomeo.

4 - Lettera di frate Simone Rondinelli al vicerè Gonzaga, in ARSG- Sezione di Modica, Fondo Contea, Segreteria di Giustizia, vol.44,fol 200-2004. Documentazione dall’ottobre 1677 al luglio 1678.

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3 - Barone G. Op. cit.

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Il titolo nobiliare fu invece acquistato dalla famiglia Pennanel XVII secolo, in seguito alla determinazione presa nel 1636dal Parlamento siciliano di vendere titoli nobiliari per far fron-te alla richiesta di 40.000 scudi avanzata dal vicerè spagnolo,Don Francisco de Melo, necessari « . . . per armare la cavalle-ria leggera nella guerra contro la Francia.» . Gli anni Trenta delSeicento segnano il periodo peggiore della crisi economicadell’impero spagnolo e fu così che si decise di rimpinguare lemagre casse del regno mettendo in vendita titoli di “spetta-bile” e di “barone” a chiunque avesse avuto la disponibilitàeconomica per riscattare almeno cinquanta onze delletande regie6 dei comuni del regno che non avevano anco-ra provveduto al pagamento dell’onere fiscale.

Nel maggio del 1638 Don Vespasiano Trigona, capitanod'arme e guerra del Val di Noto, viene inviato a Scicli perriscuotere le somme e ratificare l’acquisizione del titolo,dando inizio alla “nascita” di numerosi “spettabili” e “baroni”,tra i quali don Francesco Penna che «versò 714 onze ed ottotarì per riscattare le prime 50 onze sulla tanda di 185 asse-gnata all'università di Scicli, dietro formale impegno dellaRegia Corte di spedirgli lo privilegio di Barone di Portosalvo,dal luocho o possessione con case, cisterne et vigne existen-te in territorio di Modica, in contrada di Chiarchuri ecc..»7 .

Fu così che Francesco Penna divenne barone diPortosalvo, sulla tenuta di Ciarcuri (Ciarciolo) del Porto Salvo,così chiamata per la presenza di una cappella dedicata allaMadonna protettrice dei pescatori e dei caduti in mare.Ancora oggi nel vicino centro balneare di Marina di Modica,il quindici agosto, viene celebrata la festa in onore dellaMadonna del Porto Salvo.

Lo stemma araldico riconosciuto con il titolo è: «D’azzurroall’aquila d’oro col volo spiegato portante una penna d’ar-gento nel rostro»8 .

Il titolo di barone di Portosalvo venne così tramandato allegenerazioni seguenti attraverso il figlio primogenito cheacquisiva per diritto tutti i privilegi del padre godendo di ognionore e beneficio garantito da tale condizione. É del 1794 ladedica dell’avvocato Francesco Da Paola Avolio al «chiaris-simo signore Don Guglielmo Penna Solonia, Barone diPortosalvo un libro dal titolo “Saggio sovra lo stato presente

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7 - Barone G., Op. cit.

6 - Le tande regie erano oneri fiscali deliberati dal Parlamentosiciliano e che tutti i comuni del regno dovevano annualmentecorrispondere alla Regia Corte (Erario Regio). Il pagamento veni-va eseguito secondo le antiche leggi romane che dividevano lasomma in tre parti la prima delle quali da versare ai primi di gen-naio, la seconda ai primi di maggio, la terza ai primi di settembre.

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8 - Rivista del Collegio Araldico anno XXX1 - 1933.

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della poesia in Siciliaper servire la storiadella letteraturanazionale del secoloXVIII” », pubblicatoin volgare, presso leregie stampe delPulejo, a Siracusai9.

Tutto questo finoalla caduta dellaMonarchia ed alsuccessivo avventodella Repubblicache, con l’articolo 3della Costituzioneproclamò la paritàsociale di tutti i citta-dini e la conseguen-te decadenza degliordini cavallereschie dei titoli nobiliari.

Nonostante ciò, il titolo di barone fu riconosciuto al discen-dente Guglielmo Penna a mezzo di decreto ministeriale del15 maggio 1918 ed ancora oggi, nel XXI secolo, sono molticoloro che continuno a fregiarsi di tale onorificenza per otte-nere privilegi e “rispetto”.

Ma la scalata al potere della famiglia Penna non avevaostacoli e al momento giusto seppe anche trovare il modoper essere accreditata all’Ordine dei Cavalieri di Malta, nellapersona di Ignazio Penna che nel 1815 divenne titolare dellacommenda Cannizzaro di Vizzini10.

« Indossare l’abito crociato consentiva di realizzare l’idea-le aristocratico del santo-guerriero e nello stesso tempo diaccelerare la nobilitazione di nuovi casati, abbattendo lebarriere di ceto e di status che dividevano le oligarchie muni-cipali.»11. La cosa fu possibile poichè, contrariamente aquanto prescritto dalla legislazione del Regno delle due Sicilieche definiva ‘nobiltà generosa’ la condizione derivante dalpossesso di un feudo nobile « . . . nella continuata serie disecoli ... »12, per l’Ordine di Malta il requisito di ‘nobiltà gene-

La storia e i suoi protagonisti

12 - Reale Dispaccio del 25 gennaio 1756 del Regno delle dueSicilie in materia di regolamentazione della Nobiltà.

10 - Collezione delle Leggi e Decreti per il Regno delle Due Sicilie1839, II sem., pp. 173-175.

11 - Barone G., Op. cit.

9 - Fondo storico della Biblioteca “Don Cavolido Ravasi”dell’Istituto Teologico “San Tommaso” di Messina.

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Stemma nobiliare decorativo di unmensolone di un balcone di PalazzoPenna in via S. Giuseppe a Scicli.

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rosa’ richiesto per l’ammissione al cavalierato riduceva ilperiodo di appartenenza di quattro quarti di nobiltà dell’a-spirante cavaliere ad un arco temporale di almeno duecen-to anni addietro, tempo sufficiente « . . . a far dimenticare lepregressa ignobiltà delle famiglie.»13 .

Fu così che Ignazio Penna sottopose all’esame dellaLingua (d’Italia)14 i suoi “Titoli Primordiali”, cioè i documentiattestanti la nobiltà e la legittimità, approvati i quali si potevaavviare il processo di ammissione che fu portato a compi-mento soltanto nel 1815, ben venticinque anni dopo l’appro-vazione dei Titoli Primordiali, avvenuta il 9 agosto 1790, condue voti contrari su sei15.

La causa del ritardo fu un documento inviato in data 5agosto 1790 da don Oronzio Rossi e pervenuto alla Linguadopo l’approvazione dei Titoli; in questo documento, intitola-to “Albero discendentale della famiglia [Penna] di Scicli cheoggi vuol fare il figlio cavaliere per cui di qui ne ha mandatele falsificate sue prove”, erano contenute pesanti accuse chediscreditavano enormemente varie generazioni dei Penna «apartire dal capostipite della famiglia, Vincenzo, indicatocome ‘mastro’, “ figlio di una schiava della casaBeneventano” e sposo nel 1588 della figlia di un "lordo botte-gaio’ (Nicolò Cuffaro); e così per i discendenti successivi, uno- Giuseppe, trisavolo del candidato - sposato con la nipote diun sacerdote (figlia di un figlio naturale di quest'ultimo), unaltro - il bisnonno Giovanni - con la figlia di un argentiere, giùgiù fino al nonno Stanislao e al padre Guglielmo, entrambibaroni di Portosalvo»; quest'ultimo aveva avuto dal secondomatrimonio con Antonia La Rocca “molti figli, il di cui terzoDon Ignazio procura falsamente adornare colla croce diMalta»”»16 . Nonostante ciò Ignazio riuscì a dimostrare la fal-sità delle calunnie grazie alla testimonianza del Magistrato diScicli (giudice Giuseppe Salonia) e di due notabili (tra cui ilcapitano d’armi e guerra Ignazio Carpinteri Salonia) chedichiararono di aver verificato la falsità delle dichiarazionicontenute nel documento, attraverso il confronto diretto deidocumenti custoditi negli archivi. È forse solo un caso che,come nota il D’Avenia17, sia il giudice che il capitano aves-sero lo stesso cognome della nonna paterna di IgnazioPenna, Bartolomea Salonia.

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16 - D’Avenia F., Op. cit. Nobiltà allo specchio, Ordine di Malta emobilità sociale nella Sicilia moderna, Quaderni MediterraneaRicerche Storiche, Palermo 2009.

17 - D’Avenia F., Op. cit.

15 - I Titoli Primordiali presentati da Ignazio Penna erano: regiomilite con cingolo militare, concesso da Filippo II nel 1584 aVincenzo Penna, «dato per stipite di detta famiglia e suoi discen-denti» , e barone di Portosalvo, «coll'acquisto di onze cinquantadelle regie tande con tutte le prerogative ed onori de' baronifeudali, conceduto con editto viceregio a Francesco Penna,figlio del suddetto Vincenzo e loro discendenti» . Fonte D’Avenia F., Nobiltà allo specchio, Ordine di Malta e mobi-lità sociale nella Sicilia moderna, Quaderni MediterraneaRicerche Storiche, Palermo 2009.

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14 - I possedimenti templari erano organizzati in otto Lingue (unaciascuna in Alvernia, Aragona, Castiglia, Francia, Germania,Inghilterra, Italia e Provenza).

13 - Spagnoletti A., L’Ordine di Malta e la Sicilia, in Buono L.,Pace Gravina G. (a cura di), “La Sicilia dei cavalieri. Le istituzionidell’Ordine di Malta in età moderna (1530-1826)”, Roma 2003.

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La famiglia Penna fu fervente sostenitrice dei Borboni e trale varie azioni volte in favore dei regnanti si ricorda il dono diun cannone fatto nell’agosto del 1848 all’esercito del regnodelle Due Sicilie per la repressione dei moti rivoluzionari chepartendo dalla Sicilia sconvolsero tutta l’Europa.Successivamente alcuni esponenti della famiglia sarannoimpegnati nella campagna meridionale a sostegno diVittorio Emanuele e Garibaldi ritenendo che quella sarebbestata l’occasione per far rientrare “l’oro di Busacca” a Scicli.Stanislao e Raimondo Penna furono molto attivi nell’opera direclutamento dei volontari e furono al fianco di Garibaldidopo il suo sbarco in Sicilia. Stanislao, morto in duello, lasciò ineredità il suo patrimonio al Generale.

L’antefattoTornando alla nostra storia, nel

XVII secolo parte dei fondi dei baroniPenna confinavano con i possedi-menti del barone Batà di Palermo ilquale, nei primi anni del 1700, incari-ca Don Antonino Carpentieri,anch’egli proprietario di terre nellazona, di prendere contezza di tutti isuoi possedimenti che comprende-vano anche la tenuta detta ‘dellaCarcara’, così chiamata per la pre-senza di una fornace per la produzio-ne di laterizi nelle cui vicinanze si tro-vava una cava di argilla. Carpentieriricevette la delega del barone Batàdi vendere i terreni suddetti e nel1742 la Carcara viene acquistata daStanislao Penna, giurato di Scicli nel1721 e 1722, con atto oggi conserva-to presso l’Archivio Storico dell’OperaPia Carpentieri a Scicli. Il feudoacquistato dal barone Penna confi-nava con le proprietà di Don

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Nel documento si legge, tra l’altro: « ...nominato di Ciarciolo con i suoi aggregatinominati di Zaccaria Crivaro e luogo ove ogni anno si fanno le tegole nominatoPisciotto e tutte nel territorio di Modica... fino il filo del mare...» .

Documento del 1742 attestante la vendita del feudo a Don Stanislao Penna. ArchivioStorico dell’Opera Pia Carpentieri a Scicli.

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Antonino Carpentieri, di Don Giulio Grimaldi, del baroneRosso e con quelle già appartenenti allo stesso Stanislao

Penna. Si tratta di terreni ubicati sulla fertile pianura

che si protende verso il mare, occupati già nelXVI secolo a seguito dell’espansione demogra-fica ed urbana di Scicli che ne segna anche latrasformazione sociale ed economica. Lo svi-luppo mercantile, i commerci marittimi, i con-tatti sempre più frequenti con i paesi delMediterraneo facevano del litorale sud orienta-le della Sicilia una meta ambita dalla nuovaclasse imprenditoriale che non ebbe scrupoliad occupare con tutti i mezzi, spesso anche ille-gali, quelle terre tanto agognate.

Non sono poche le controversie nate tra i‘gentiluomini’ proprietari di quelle terre che cer-cavano tutte le occasioni per imbastire litigi eprevalere gli uni sugli altri. Nel 1795 nacque unacontesa tra il barone Penna ed il suo vicinobarone Rosso, per la proprietà di un pozzoposto al confine tra i due possedimenti. Alla finedel contenzioso il pozzo venne inglobato nellaproprietà del barone Rosso. Un altro litigio nac-que, negli stessi anni tra Francesco di PaolaPenna ed il barone Carmelo Beneventano, perl’eredità del vicino Don Giulio Grimaldi. Dopouna lunga controversia giudiziaria ebbe lameglio il barone Penna, in quanto sposo diCorradina Grimaldi Solonia, figlia di Don Giulio.

Stanislao e i suoi discendenti, continuaronol’attività di produzione di laterizi affittando la for-nace ai tegolai di Scicli che vendevano coppinelle loro botteghe prospicienti la vecchiaPiazza dell’Annunziata, oggi piazza Busacca.Gli affitti si rinnovavano ogni due-tre anni e ilcontratto prevedeva la cessione al proprietariodella fornace di una quota percentuale delmateriale prodotto che i tegolai si impegnava-no a consegnare puntualmente al barone,

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Contratto stipulato nel 1820 tra il barone Francesco di Paola Penna e ilsignor Gaetano Nifosì. Archivio Storico dell’Opera pia Carpentieri diScicli.

« Il Sig. Barone Francesco di Paola Penna loca per anni ... da con-tare ...dal primo ...1820 sino a 31... 1823 a ... Gaetano Nifosì del Comunedi Scicli, il luogo nominato lo stazzone, o sia Pisciotto per fare le tegole;ciò per la gabella di migliaia di dieci tegole ogn’anno, da consegnarsinei mesi di luglio ed agosto. Patto che migliaia sette devono....di Nifosìsino alla torre di Samuele, ...da consegnarli sopra luogo ...»

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pena la rescissione dello stesso. Questa attività si protrassenegli anni, così come documentato in cinque contratti dilocazione che sono oggi custoditi presso l’Archivio Storicodell’Opera Pia Carpentieri. Nel primo, che porta la data del1820, l’accordo è stipulato tra il barone Francesco di PaolaPenna e il signor Gaetano Nifosì. Il secondo è datato 1836 edefinisce i termini con cui Guglielmo Penna, figlio diFrancesco, affitta per tre anni le terre del Ciarciolo a donGirolamo Favacchio.

Nel 1849 un nuovo contratto stipula la locazione della fab-brica e del terreno ad essa attinente (che qui è denominatoCiaramidaro), ai signori Luigi Nicito, Carmelo Savà, AntoninoAsta e Girolamo Trovato, per uncompenso di novemila tegolel’anno. Infine, nel contratto del1853, il barone Guglielmo Pennaaffitta al signor Carmelo Savà eai fratelli Asta la sua proprietàdal mese di settembre 1856 all’a-gosto 1858, per un compenso didiecimila tegole l’anno. Questavolta, però, il barone si impegna-va al pagamento annuale diun’onza e sei tarì ai locatari.

La fornace continuò ad esse-re affittata fino alla fine del XIXsecolo, quando l’Onorevolebarone Guglielmo Penna deci-de di continuare in proprio l’atti-vità di estrazione e di produzio-ne di laterizi.

Un documento del 1906,anche, questo custodito pressol’Archivio Storico dell’Opera PiaCarpentieri, attesta che giàprima di tale data il baronePenna estraeva argilla dallacava della sua tenuta in contra-da Ciarciolo, nella quale avevaanche avviato la viticoltura con-

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Documento del 1906. Archivio Storico dell’Opera pia Carpentieri di Scicli.

Nel documento si legge: « in quanto al permesso per costruzione di creta, poichè risultaa questa Capitaneria che il barone Guglielmo Penna procede alla estrazione della stes-sa in una sua proprietà, in contrada Ciarciolo, occorre che solamente il cugino Cav.Bartolomeo faccia pervenire la domanda su carta da £ 0,60 allo scrivente, unitamentea cartolina vaglia da £ 4,80 intestata all’Ufficio del Registro di Girgenti per il bollo dellostampato necessario per la licenza» .

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cedendo in enfiteusi le sue terre fin dalla secondametà del XIX secolo.

In una missiva, inviata dalla Capitaneria di Portodel Compartimento Marittimo di Porto Empedocle, èdescritta la procedura per ottenere il permesso per laproduzione di laterizi, richiesta al CavaliereBartolomeo Penna, intenzionato ad intraprenderetale attività insieme al cugino Guglielmo.

Nel 1908 il Sindaco di Scicli chiede al baronePenna di presentare la domanda per la delimitazio-ne delle terre della Contrada Portosalvo di Ciarciolo,unitamente alla planimetria dei luoghi e ai docu-menti attestanti il titolo di proprietà. Sarà soltantopoco tempo dopo che il barone Guglielmo decide-rà di demolire la vecchia fornace per costruirne unamolto più grande e trasformare quella che fino aquel momento era stata una semplice produzioneartigianale in un’impresa di carattere industriale cheavrebbe segnato la nascita di una nuova attivitàlavorativa e produttiva, fino ad allora quasi inesisten-te in Sicilia e lontana dalla realtà contadina, del tuttoestranea ad una economia a carattere industriale.Importanti furono le ripercussioni economiche, socia-li e territoriali determinate da questa iniziativa.

Secondo alcune fonti sembra che tutto abbiaavuto inizio con l’arrivo a Scicli dell’ingegnereLiparasi, esperto di fornaci in quanto aveva lavoratoper lungo tempo presso una fabbrica di laterizi diSpadafora, località nelle vicinanze di Messina, notaper la produzione e l’esportazione di questo materia-le. Sempre secondo tali fonti, la data del suo arrivo aScicli coincide con i giorni immediatamente succes-sivi al 28 dicembre 1908, giorno in cui un catastroficoterremoto scuote l’Italia meridionale portando mortee distruzione nelle città di Reggio Calabria e Messina.

Molti dei sopravvissuti lasciarono le macerie delle loro caserifugiandosi nei territori che si erano salvati dall’immane cala-mità; alcuni feriti furono trasferiti presso i presidi sanitari dellecittà più vicine scampate all’immane disastro, tra questiappunto, l’ingegnere Liparasi che, ferito leggermente, viene

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Comunicazione del Sindaco in merito alla domanda di delimita-zione delle terre di Portosalvo di Ciarciolo che doveva essereeseguita tramite «apposizione dei termini lapidei » cioè a direattraverso la costruzione dei tradizionali muretti a secco, comuniin tutto il territorio. Archivio Storico dell’Opera pia Carpentieri diScicli.

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accolto nel nuovo Ospedale Busacca, appena terminato,dove riceve le visite di alcune esponenti dell’aristocrazialocale impegnate in opere sociali e di solidarietà. Tra queste“dame di carità”, emerge la figura della duchessa InesCrescimanno d’Albafiorita, moglie di Francesco Penna, conla quale l’ingegnere Liparasi intesse un rapporto amichevoleche lo introduce in seno alla famiglia.

In occasione di una passeggiata nelle tenute dei baroniPenna, l’ingegnere viene condotto in contrada Trippatore dacui era possibile ammirare lo splendido paesaggio fino allacosta, dove l’imponente basamento roccioso di PuntaPisciotto si protendeva verso il mare. L’esperienza lavorativafatta a Spadafora e la competenza maturata negli anni glipermisero di valutare molto attentamente le caratteristiche diquello sperone di roccia calcarea, che ben si prestava adospitare un impianto per la produzione di laterizi a carattereindustriale. L’ingegnere Liparasi sapeva bene che la sceltadel luogo era determinante per il soddisfacimento di preciseesigenze quali la reperibilità delle materie prime e la facilitàdei collegamenti via mare e via terra.

L’impiego di materiali provenienti da luoghi vicini all’areadi lavorazione era, in passato, un aspetto di grande impor-tanza per ogni tipo di attività, sia industriale sia edilizia, acausa della mancanza di una capillare rete di comunicazio-ne che rendeva difficile il trasporto dei materiali, con conse-guenti aumenti dei costi1.

Punta Pisciotto sembrò il sito più adatto: la presenza di unacava di argilla, a circa 200 metri dall’impianto e di cui oggirimane un piccolo laghetto circondato da dune, sfruttava ungiacimento di enormi proporzioni, consentendo la facilereperibilità della materia prima, insieme all’acqua provenien-te dalla sorgente carsica locale prima descritta e alla sabbiasilicea delle spiagge della costa.

Altra peculiarità di Punta Pisciotto era il fondale che, non-ostante il fenomeno di insabbiamento che aveva inesorabil-mente colpito la costa, era ancora sufficientemente profon-do per l’attracco delle navi, con una disponibilità sotto chi-glia di circa cinque metri, in rapido aumento già a qualchemetro dalla riva. I velieri potevano essere ormeggiati a pocadistanza dal litorale ed essere facilmente raggiunti dai barco-

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1 - Oggi la necessità di un facile reperimento delle materie primeriguarda non solo l’aspetto economico dovuto ai costi per il tra-sporto delle merci, ma soprattutto quello ambientale legato allesempre più pressanti esigenze di risparmio energetico e di con-trollo dell’inquinamento.

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ni che, carichi di materiale, facevano la spola tra il molo e lenavi. Il trasporto del prodotto finito, attraverso la via del mare,permetteva di raggiungere facilmente e rapidamente lecoste di tutti i Paesi del Mediterraneo e i porti siciliani distri-buendo il materiale anche sul mercato edilizio isolano, in con-correnza con le fornaci dislocate lungo la costa tirrenica.

Un breve percorso di un chilometro collegava inoltre l’opi-ficio alla strada provinciale e il vicino scalo ferroviario diSampieri, a circa sei chilometri dallo stabilimento (due chilo-metri in linea d’aria), garantiva un costante e veloce colle-gamento con le località dell’entroterra.

La presenza di stazioni ferroviarie in prossimità di piccolecomunità come Sampieri o la vicina Donnafugata sembre-rebbe oggi un privilegio singolare ma in un’epoca in cui ilpotere della nobiltà era determinante per l’economia di unterritorio, non appariva affatto strano agevolare i più impor-tanti rappresentanti di questa classe sociale anche nelle loroconsuetudini di vita, come quella di raggiungere più como-damente le loro residenze di villeggiatura.

Nel caso specifico, la stazione di Sampieri, inaugurata il 23dicembre 1891, furealizzata proprio inc o n t r a d aTrippatore, a pocadistanza dalla resi-denza estiva deibaroni Penna, inquanto il progettodella ferroviaS i r a c u s a - G e l a -Canicattì prevede-va il passaggiodella linea propriosulle proprietà dellafamiglia2 .

Il baronelloFrancesco, figlio diGuglielmo, colsel’occasione pervendere quella por-

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Il baronello Francesco Penna Denaro.(Foto gentilmente concessa dallaDott.ssa Giovanna Giallongo.

2 - La costruzione della linea ferroviaria fu abbastanza tardivarispetto alle altre della Sicilia. I lavori si collocano in un arco tem-porale che va dal 1880 al 1894. Il tronco di linea Noto-Modica,lungo 59,49 chilometri e particolarmente articolato, comprende-va la fermata di San Paolo e le stazioni di Rosolini, Spaccaforno(il nome antico di Ispica), Pozzallo, Sampieri, Scicli e Modica.

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zione di terra al prezzo da lui stabilito, imponendo anche lacostruzione dello scalo ferroviario proprio nelle vicinanze dellavilla3. La stazione di Sampieri permetteva così ai baroni Pennadi arrivare molto più facilmente a villa Trippatore così come ilbarone Arezzo de Spuches, giunto alla stazione diDonnafugata, poteva condurre facilmente e in breve tempola sua famiglia all’omonimo castello.

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La Villa Penna, nota anche come Villa Trippatore, nell'omonima Contrada poco a monte di Sampieri, è uno dei più interessanti esem-pi di architettura patrizia rurale realizzati nella seconda metà dell'800 sul territorio ibleo, ricco di tali manufatti che ne caratterizzanoil paesaggio.

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3 - Nel 1919 viene eseguito l’esproprio per pubblica utilità, di unaporzione di terreno coltivato a mandorli e vigne, per la costruzio-ne di un alloggio di 159 metri quadrati, a servizio della linea fer-roviaria e per la quale fu pagata alla famiglia Penna, proprieta-ria delle terre, la cifra di £ 808.

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La piccola stazione, ancora oggi in attività, è servita da unmodesto fabbricato a due elevazioni, non accessibile ai viag-giatori. Lo scalo merci non è più attivo ma è possibile scorge-re alcune porzioni di binari tronchi ed una vecchia pensilinalignea con tetto spiovente, sotto la quale un tempo venivaaccatastata la merce in attesa della partenza.

Tutto sembrava quindi perfetto e l’idea di intraprendereun’attività imprenditoriale a livello industriale solleticavamolto le aspirazioni della famiglia Penna che, come tutta l’a-ristocrazia e l’alta borghesia siciliana del tempo, avrebbevoluto emulare la grande famiglia Florio, tra i principali prota-gonisti del XIX secolo in Sicilia, artefice di un impero economi-co incontrastato, che aveva fatto di Palermo il polo cultura-le, industriale, artistico e armatoriale del meridione.

Già nel 1903 l’Onorevole barone Guglielmo, sposando ilsecondogenito baronello Francesco con la giovane e belladiciottenne Ines Crescimanno, duchessa d’Albafiorita, volevain un certo senso riproporre, a scala ridotta, quello cheIgnazio Florio e sua moglie Donna Franca Jacona della Mottadei baroni di San Giuliano, rappresentavano per Palermo.

Le due bellissime donne, nobili per discendenza e non peracquisizione, entrambi colte, intelligenti e straordinariamente

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Lo scalo ferroviario di Sampieri. (www.stazionidelmondo.it).

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eleganti, avevano ognuna, nel proprio contesto territoriale,un’enorme fascino; ma se Donna Franca ricoprì un ruolo fon-damentale nella gestione dei tanti affari del marito e nei rap-porti con personaggi autorevoli e potenti della terra, dive-nendo una delle figure di maggior spicco della Belle Époqueitaliana, al contrario, la giovane Ines, appena diciottenne, sitrovò catapultata in un mondo che da subito non sentì suo.L’arroganza del suocero, la poca considerazione che il mari-to Francesco manifestata nei suoi confronti, l’ambiente fami-

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Franca Jacona della Motta dei baroni di San Giuliano,(Palermo 1873 - Migliarino Pisano 1950), moglie di Ignazio Florio.

Ines Crescimanno, duchessa d’Albafiorita, moglie del baronelloFrancesco Penna. Caltagirone 1884 - Caltagirone 1968.(Archivio dell’Opera Pia Carpentieri, Scicli).

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liare ostile, fecero della duchessad’Albafiorita una donna incompre-sa e infelice che si rifugiò nel suomondo occupando i suoi giorni inattività benefiche.

Nonostante ciò Ines negli anni sitrasformò in una persona dall’a-spetto freddo e autoritario cheneanche l’amore per le sue cinquefiglie, Carolina, Gerolama, Ottavia,Guglielmina e Gaetana riuscì adissipare.

Il matrimonio tra Ines eFrancesco non fu certo un matri-monio d’amore ma piuttosto unodei tanti contratti matrimoniali chein ambito aristocratico si era solitistipulare per mero interesse eco-nomico. Dopo la morte del marito,nei primi anni Trenta del secoloscorso, Ines abbandonò la famigliae la Sicilia per sempre, lasciando lefiglie alla custodia del suoceroGuglielmo.

Fu un matrimonio da favolaquello di Ines e Francesco, cele-brato nel mese di ottobre e alquale seguì un viaggio di nozzelungo cinque mesi, alla fine delquale gli sposi andarono ad abita-re in una splendida dimora, fattacostruire per l’occasione al postodella chiesa della Concezione pro-prio accanto al palazzo Penna.

L’enorme patrimonio ed unaltrettanto enorme potere econo-mico e politico, non riuscirono peròa fare della famiglia Penna nean-che uno sbiadito ricordo dei Florio.A proposito della Chiesa della

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Francesco Penna Denarocon due delle cinque figlieavute dal matrimonio conInes Crescimanno. (Fotogentilmente concessadalla Dott.ssa GiovannaGiallongo).

La duchessa InesCrescimanno Penna alteatro con tre delle suefiglie e i regnanti d’Italia.(Foto gentilmente con-cessa dalla Dott.ssaGiovanna Giallongo).

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Concezione, si racconta una storia che merita attenta rifles-sione e che conferma, ancora una volta, quanto la fame dipotere e la scalata al successo spesso acciechino le menti emortifichino la dignità degli uomini. La storia racconta che nel1882 la chiesa della Concezione, confiscata dal Fondo per ilCulto istituito dal Ministero dell’Interno a seguito della leggedel 1866 sull’abolizione dell’asse ecclesiastico4, viene conse-gnata al Comune di Scicli che aveva presentato richiesta diassegnazione per la sua trasformazione in Teatro Comunaleregio.

La chiesa, faceva parte del complesso monastico com-prendente il fabbricato ex conventuale e il giardino annesso,anche questi inclusi nella richiesta di assegnazione in uso per-

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4 - Dopo l’Unità d’Italia gli edifici ex conventuali e tutti i beni delpotrimonio ecclesiastico vengono acquisiti dal governo che uti-lizza gli immobili per ospitare le sedi degli uffici pubblici.

Le cinque figlie di Ines e Francesco Penna. (Foto gentilmente concessa dalla Dott.ssa Giovanna Giallongo).

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petuo e in base alla quale sareb-bero stati destinati ad accoglie-re il mercato annonario. Ma nè ilfabbricato nè il giardino risultaro-no idonei cosicchè si stabilì l’alie-nazione di tali beni il cui ricavatosarebbe stato impiegato per larealizzazione della sede munici-pale del paese, fino ad alloraospitata in strutture tempora-nee. Nella vendita fu inclusaanche la chiesa, fino a quelmomento destinata al teatroche, messa all’asta, viene acqui-stata, il 28 marzo 1898, al costodi 7.872,14 lire, dall’unico con-corrente presente, signorGuglielmo Burgaletta, su incari-co del baronello FrancescoPenna Denaro, figlio diGuglielmo, il cui interessamentoall’acquisto della chiesa bastò apersuadere i possibili acquirentia disertare, per ‘rispetto’, tutte leaste che furono bandite a talscopo, « . . . perchè quando inun'asta si presentava un Pennaod un Mormina ogni altro pre-

tendente doveva farsi da parte. Regole non scritte, ma pun-tualmente osservate. Mafia in tight e cilindro.» 5. Si verificò cosìquanto aveva previsto Filippo Scrofani che, in sede diConsiglio comunale aveva alzato gli scudi contro la decisio-ne di mettere all’asta la chiesa sapendo bene che i Pennaavrebbero fatto di tutto per impossessarsi della costruzioneche confinava con il loro palazzo. Ecco alcuni passi dell’in-tervento di Filippo Scrofani nella seduta consiliare del 27novembre 1896: «Né è pensabile che con il calore dell'astapossa essere raggiunto il valore reale dell'edificio perché èrisaputo pubblicamente che la famiglia Penna sin dal 1882 harivolto gli occhi su quella chiesa per annetterla al proprio

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Planimetria della Chiesa della Concezione suvia Oliveto, oggi Corso Garibaldi. Foto trattadal volume di Attilio Trovato Scicli, la città delledue Fiumare.

5 - Attilio Trovato, Scicli, la città delle due Fiumare, ErreProduzioni, Siracusa 2001.

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palazzo e che il b.ne Penna, direttamente o per interpostapersona, si presenterà per comprarla e nessuno si metterà alui di fronte.» 6.

La famiglia Penna fece demolire la chiesa e al suo postorealizzò il completamento del palazzo sul fronte ovest, desti-nando il piano terra ad un piccolo teatro della capienza di180 posti, con galleria e palco centrale riservato alla famiglia.

Il Palazzo andò in eredità alla nipote di Francesco e Ines,figlia di Guglielmina, sposata al barone Ignazio Mormino.

La realizzazione della fornace e l’avvio di un’attivitàimprenditoriale fa parte quindi di un più vasto progetto fina-lizzato al controllo economico e politico del territorio e cheavrebbe sicuramente segnato un passo importante per l’in-gresso della famiglia Penna nel mondo dell’industria, offren-do un segnale rilevante anche in ambito locale in quantoesempio di coraggio, arditezza ed originalità imprenditoriale.

Per l’occasione fu costituita la società ‘Barone GuglielmoPenna e C.’ , una “società di capitali e gentiluomini” , cosìcome la defini Attilio Trovato nel suo libro dedicato a Scicli7.La società nacque infatti da un accordo fatto sulla parola trail barone Guglielmo, figlio di Ottavio, i suoi due figli, Tommaso(primogenito a cui fu trasferito il titolo di barone) e Francesco,il cavalier Bartolomeo Penna, figlio di Raimondo e cugino diGuglielmo, più volte sindaco di Scicli, ed il progettista IgnazioEmmolo che partecipò con il 10%, suddiviso in una quota dicapitale e una di prestazioni. Infatti, oltre all’elaborazione delprogetto, l’ingegnere seguì i lavori di costruzione dell’impian-to e successivamente si dedicò alla direzione dello stabili-mento, attività che si protrasse per tre anni, dal 1912 fino al1915 e per la quale non fu mai retribuito. La società, priva diatto costitutivo e senza statuto, possedeva un capitale di £200.000.

L’ingegnere sospese ogni altra sua attività professionale,interrompendo, come già detto, anche i lavori di costruzionedella sua casa a Scicli, dove è incisa a scalpello la data 1909.

Durante i tre anni trascorsi per la progettazione e la realiz-zazione dello stabilimento Ignazio Emmolo si documentò alungo sul tema progettuale e studiò attentamente il funziona-mento delle fabbriche e delle fornaci fino ad allora realizzatein Italia e in Germania. La figlia Giuseppina racconta che la

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7 - Trovato A. , Op. cit.

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6 - Trovato A. , Op. cit.

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loro abitazione in quegli anni era disseminata di riviste cheritraevano impianti per la produzione di laterizi8. Emmolointraprese anche alcuni viaggi, recandosi lungo la costa tirre-nica dove sorgevano numerose fabbriche di laterizio, comela già citata Spadafora, e visitò anche gli stabilimenti che sor-gevano in Emilia Romagna, vicino Piacenza. Il viaggio inGermania fu invece prezioso per studiare, attraverso l’espe-rienza diretta, il funzionamento delle fornaci Hoffmann chesfruttavano una tecnologia altamente innovativa per i tempiche consisteva nell’introdurre aria calda dalla parte altadella fornace ed esplellere i gas prodotti dalla combustioneattraverso apposite griglie poste sul pavimento della cameradi cottura.

Acquisite le conoscenze necessarie, Emmolo elaborò ilprogetto dello stabilimento, i cui lavori di costruzione furonodati in appalto al capomastro Antonio Carrubba. I lavori furo-no alquanto impegnativi sia per l’approvvigionamento delmateriale lapideo di cui se ne rese necessaria una quantità dicirca 2500 metri cubi solo per la costruzione dell’edificio prin-cipale, sia per la posa in opera dello stesso che avveniva solocon l’ausilio di scale e impalcature attraverso le quali gliuomini trasportavano i blocchi, caricati in spalla, fino alle partipiù alte della struttura, dove venivano impostati sui filari congrande perizia.

La fornace fu inaugurata nella primavera del 1912, even-to che segna un momento molto importante nella storia diScicli e della sua gente che vede in questa impresa la spe-ranza di un futuro di lavoro e l’occasione di riscatto sociale diun territorio e di un popolo avvilito da secoli di sfruttamentoad opera di genti straniere prima e, dalla fine del Settecento,anche della borghesia agraria; e che aveva lottato in primapersona per la causa dell’Unità d’Italia che nulla portò se nonulteriore malcontento.

La disponibilità di un’area così vasta consentì la realizza-zione di un impianto dalle dimensioni a dir poco monumentaliche, negli anni in cui fu in attività, vantava una produzionepiù che ragguardevole raggiungendo anche il numero di10.000 pezzi al giorno. Mattoni pieni, forati, tegole curve etegole alla marsigliese, erano il frutto del lavoro di un centi-naio di giovani operai di età compresa, per lo più, tra i 16 e i

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Una pagina del listino dei prezzi dei prodotti realizzatipresso lo stabilimento del Pisciotto.

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8 - Savà G., Op. cit.

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18 anni, che lavoravano dallesei del mattino fino al tramonto,con una pausa di due ore per ilpranzo, durante la quale, aturno, doveva essere garantitala sorveglianza del motore edelle macchine.

Nei taccuini ritrovati daglieredi dopo la morte dell'inge-gnere Emmolo, insieme ai pro-getti, ai documenti e ai carteg-gi, oggi gelosamente custoditida alcuni eredi del progettista,erano riportate anche noterelative alla paga degli operaiche consisteva in un salario set-timanale di un tumulo di fru-mento e due tarì (poco più diuna lira). Venivano inoltregarantiti i pasti e l’alloggio, disponibile all’interno dei fabbri-cati posti a nord dell’impianto.

Molti di quei piccoli lavoratori erano figli naturali di aristo-cratici e ricchi borghesi che circuivano le giovani donne aservizio presso le loro ricche dimore, costringendole poi adabbandonare i figli negli orfanotrofi o nei conventi. Si rac-conta anche che questi ragazzini erano spesso oggetto diattenzioni da parte di omosessuali che aspettavano la finedella giornata di lavoro per intrattenersi con loro e trascorre-re qualche ora in compagnia, secondo un’ancestrale tradi-zione di emancipazione ed apertura mentale che ha fattodella Sicilia una regione culturalmente più avanzata rispettoal resto d’Italia9.

Il lavoro in fabbricaIl lavoro svolto in fabbrica era molto faticoso e complesso.

Si partiva dall’estrazione dell’argilla che, fino all’avvento del-l’escavatore meccanico, veniva eseguita con badile e car-riola; seguiva la preparazione della materia prima che com-

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I giovani operai della fornace Penna. Archivio Storico Bellia-Savà. Foto tratta dall’artico-lo apparso sul giornale La Sicilia del 12 luglio 2004.

9 - Il codice penale promulgato il 20 novembre 1859 da VittorioEmanuele II, dedicava il Titolo VI del Libro II, ai reati contro il buoncostume (articoli da 420 a 425). Con l’Unità d’Italia, nel 1861, ilcodice penale insieme allo Statuto Albertino furono estesi a tuttal’Italia unita ad eccezione degli articoli di legge sul “reato diomosessualità” (e quelli relativi all’incesto), che non furono appli-cati all’ex regno delle due Sicilie perchè latore di tradizioni deri-vate da un "carattere particolare delle popolazioni meridionali".Il Pisciotto e le sue dune vantano quindi una secolare tradizionedi luogo privilegiato per incontri che avvenivano già agli inizi delNovecento, così come tramandato da vecchi racconti degliabitanti del luogo, grazie alla presenza di ragazzi e giovani uomi-ni che lavoravano tutto il giorno alla fornace e che costituivanoun’attrattiva non indifferente per coloro che aspettando l’uscitadei lavoratori speravano in una possibile occasione di incontri.Tale pratica continuò anche dopo l’incendio della fornace, purcon momenti di particolare inibizione soprattutto durante il perio-do fascista.

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prendeva varie fasi: ibernazione, sminuzzamen-to, affinazione, impasto.

L’ibernazione consisteva nel posizionare l’ar-gilla appena estratta dalla cava in cumuli all’a-perto, dell’altezza di circa un metro, affinchèpotessero venire disgregati dall’azione meteori-ca della pioggia, del vento e del gelo. Il periodomigliore per l’ibernazione era quello invernale equindi occorreva prelevare la maggiore quanti-tà di argilla possibile entro la fine dell’autunno.Se non si riusciva ad ottenere il volume necessa-rio di materiale prima dell’inizio dell’inverno e l’i-bernazione veniva fatta nei periodi asciutti, eranecessario provvedere ad una continua asper-sione dei cumuli di argilla.

La seconda operazione prevedeva lo smi-nuzzamento dell’argilla che avveniva manual-mente in una prima fase, seguita poi dall’impie-go di molazze e cilindri. Una volta sminuzzata lamassa materica veniva fatta passare attraversostacci. I granuli più grossi, che non riuscivano apassare attraverso i fori, venivano asportati.

Il materiale passava quindi alle macchineimpastatrici composte da cilindri verticali e oriz-zontali dentro i quali un albero con lame adelica impastava l’argilla con sabbia di mare eacqua, spingendola verso il foro di uscita colle-gato alle filiere che provvedevano alla forma-tura, cioè alla modellazione del materiale nelleforme e dimensioni stabilite.

Nelle fabbriche di laterizio prive di attrezza-tura di tipo industriale la modellatura avvenivaa mano, costipando il materiale all’interno distampi in legno, senza fondo e preventivamen-te cosparsi di sabbia per impedire all’impasto diattaccarsi alle superfici.

Il materiale che usciva dalla filiera in formacontinua prismatica, scorreva su rulli lungo iquali erano fissati fili di acciaio o astine che,posti ad opportune distanze, tagliavano i pezzi

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Macchina impastatrice e filiera. (http://www.costierabarocca.it).

Due operaii m p e g n a t inella modella-tura dei pezziall’interno diuna fabbricadi laterizi.(http://www.milanoneicantie-ridellarte.it).

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Mattoniera a due eliche con due cilindri laminatori e filie-ra della ditta Ricter e Kolle; da I laterizi, Hoepli, Milano1907.

secondo le lunghezze volute. Per ottenere elementi forati siintroducevano all’interno della filiera elementi a sezionepiena che, attraversati dall’impasto, ne determinavano laforatura. Per la produzione di tegole e pezzi speciali come, adesempio, le tegole alla marsigliese, si utilizzava un impasto piùlavorato e raffinato che veniva introdotto in presse a revolverche comprimevano il materiale entro gli stampi.

Sia i pezzi ordinari sia quelli speciali, prima della cottura,dovevano essere essiccati affinchè perdessero l’umidità ineccesso. Questa fase era molto importante perchè il mate-riale prodotto doveva essere accatastato secondo partico-lari criteri, in modo da garantire la ventilazione, ma nello stes-so tempo doveva essere opportunamente protetto dall’umi-dità, dalla pioggia, dal vento e anche dal sole.

Nello stabilimento del Pisciotto i prodotti più delicati, quali

Pressa a revolver per tegole marsigliesi; da Fabrication del Briques etdes tuiles, Paris 1924.

Tavelle poste suitelai per l’essic-cazione.(http://www.for-nacede l lame-moria.org).

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forati, tegole curve e marsigliesi, venivanoessiccati al piano superiore del fabbricato cheospitava la fornace e la cui aerazione eraregolata meccanicamente da un sistema alamelle predisposto in corrispondenza delleaperture perimetrali. Questi pezzi venivano dis-posti su telai in legno piani provvisti di appoggi(da cui il nome gambette) che venivano issatiattraverso un montacarichi e posti su un nastrotrasportatore lungo circa 75 metri, dove veni-vano continuamente girati da operai espertimuniti di forchettoni, al fine di ottenere un’es-siccazione uniforme. Anche i mattoni pieni, piùresistenti, venivano essiccati prima della cottu-

ra ma il processo avveniva negli essiccatoi predisposti nelpiazzale sud prima descritto.

In alcuni stabilimenti i pezzi, trasportati nelle aree destina-te all’essiccazione, venivano impostati in lunghe file di muret-ti, alti anche due metri, realizzati sovrapponendo i mattoni daessiccare secondo una disposizione a filari alterni o alveolareper garantire l’aerazione dei singoli pezzi. Il materiale cosìimpilato veniva quindi coperto con tavelloni spezzati o stuoiedi cannicciato. I tempi di essiccazione variavano in funzionedelle condizioni meteorologiche ma le alte temperature esti-ve della Sicilia richiedevano tempi piuttosto brevi.

Dopo aver verificato le condizioni di umidità, il materialeveniva condotto alla fornace per la cottura.

I macchinari presenti nello stabilimento del Pisciotto furonoin parte acquistati a Monza e in parte in Germania e com-prendevano: due mulini a martello per lo sfarinamento del-l’argilla essiccata, un’impastatrice ad eliche grandi con ele-vatori a tazze, due laminatoi con filiera per la produzione digallette, laterizi forati e tegole curve o coppi, una pressa arevolver per la produzione delle innovative, per l’epoca,tegole alla marsigliese, una pressa per la produzione di tego-le di colmo e un elevatore a pedane.

Tutti i macchinari furono installati da manodopera localema, una volta pronti, nessuno riuscì ad avviare il fornoHoffmann e l’impianto rischiò di essere bloccato. Emmolochiamò quindi in aiuto un fornaciaro di Monza, il signor Illide

Muretto di mattonipieni impilati a nido

d’ape per agevolarel’essiccazione dei

manufatti prima dellacottura.

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Pernigotto, che arrivò subito in Sicilia e si adoperò per accen-dere la fornace1. I ragazzi si occupavano della manovalan-za, gli adulti erano addetti al funzionamento delle macchine,mentre i compiti più delicati erano affidati ad operai specia-lizzati come don Carmelo Militello, addetto al motore: ungeneratore di energia elettrica della potenza di 80 HP, ali-mentato con gas povero e che doveva azionare tutto l’im-pianto; Il meccanico era il signor Carmelo Spadaro. Un’altrapresenza indispensabile per l’opificio era il falegname, signorGiovanni Migliorino, il quale si occupava di tutti i lavori dicostruzione e manutenzione dei componenti lignei. DonCiccio Carbonara era il magazziniere e addetto alla sorve-glianza. Lo spedizioniere era il signor Xiumè proveniente daRagusa.

Le prime contrarietà Nonostante la fornace fosse stata finalmente avviata e

nonostante la presenza di personale specializzato, i lavorisegnarono subito una battuta d’arresto in quanto lo spessostrato di arenaria che copriva il giacimento di argilla per 4-5metri sotto il piano di campagna, richiedeva un faticoso elungo lavoro di rimozione del cappellaccio roccioso che per-mettesse l’estrazione della materia prima. Come se nonbastasse, il prodotto ottenuto era troppo fragile. Emmolo feceanalizzare l’argilla ma l’esito non fu confortante in quantorisultò non idonea alla produzione di laterizi ma la cosa nonconvinse molto l’ingegnere in quanto si trattava dello stessomateriale estratto ed impiegato dai tegolai che in passatoavevano affittato quelle terre e la vecchia fornace ivi pre-sente per la produzione dei loro manufatti che vendevano intutto il territorio. Furono quindi fatti numerosi tentativi, provan-do con impasti a diverse percentuali di argilla e sabbia ma gliesiti erano sempre deludenti. Il materiale ottenuto risultavasempre troppo cotto ed i manufatti si rompevano con estre-ma facilità. Quando ormai le speranze sembravano infran-gersi come i laterizi sfornati dalla fabbrica, il 15 agosto 1912 glioperai, approfittando della mezza giornata di ferie perfesteggiare il Ferragosto nel vicino borgo di Sampieri, lascia-

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1 - L’accensione delle fornaci Hoffmann era molto complessa erichiedeva la presenza di personale altamente specializzato.

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rono distrattamente i laterizi dentro le camere con i forniaccesi a fuoco bassissimo. Al ritorno alla fornace trovarono ilaterizi cotti ed in perfette condizioni. L’ingegnere si rese subi-to conto che il problema era legato ad una particolarecaratteristica dell’argilla, la cui cottura richiedeva un tempoprolungato ed una temperatura bassa. Apportate le modifi-che necessarie, sostituendo il carbon fossile con la sansa ecalibrando i tempi di cottura del materiale (annotati diligen-temente sui suoi quaderni di lavoro), il problema fu felice-mente risolto e da quel momento la produzione entrò a pienoregime.

L’ingegnere Emmolo era orgoglioso della sua creatura e sidedicò a tempo pieno nella direzione tecnica dell’opificio.Attilio Trovato racconta che «di fronte alla clientela egli erasolito collaudare la solidità del prodotto facendo esercizi diequilibrio su una tegola coppa rovesciata, cioè poggiata aterra dalla parte convessa»1.

Il lavoro era limitato al periodo compreso tra maggio esettembre, cessando all’arrivo delle piogge perché la cavadi argilla si riempiva d’acqua ed era pertanto impossibileestrarre la materia prima. Nonostante ciò, l’attività era moltointensa e permetteva di produrre una grande quantità dimateriale che non era destinato ad un impiego esclusiva-mente locale anche perché il mattone in laterizio non faparte della tradizione costruttiva tipica siciliana, legata piut-tosto all’uso della pietra naturale2.

I laterizi del Pisciotto venivano caricati su carri agricoli o suitreni merce che facevano tappa nella vicina stazione diSampieri e fornivano il mercato siciliano sviluppando un flori-do commercio che si estese anche ai Paesi del Mediterraneotra cui l’isola di Malta e la Libia, dove giungevano i marlinga-ri (velieri maltesi) che partivano da Punta Pisciotto. Il materia-le veniva portato al punto di imbarco attraverso vagoniDecauville3 che viaggiavano su un sistema di rotaie dispostodallo stesso ingegnere Emmolo e di cui, fino a non moltotempo fa, emergevano le tracce dei binari in pietra. Ivi giun-to, attraverso un pontile mobile in legno, veniva caricato suibarconi e trasportato sui velieri ormeggiati poco distante.

Quando il mare era molto agitato il pontile veniva smon-tato e le operazioni di imbarco temporaneamente interrotte.

2 - La pietra bianca di Siracusa, il basalto dell'Etna, la pietra fortedel ragusano, l’arenaria di Caltanissetta e Niscemi, le calcareni-ti e le rocce tufacee delle cave di Carini e Aspra, i marmi diCustonaci, ecc., caratterizzano gran parte degli insediamentiantropici dell'Isola evidenziando il massiccio sfruttamento dellavasta gamma di materiale lapideo presente nel territorio sicilia-no.

3 - La Decauville produce locomotive, vagoni e strutture ferro-viarie fin dal 1875. Il fondatore, Paul Decauville, apportò unimportante innovazione in questo campo inventando la ferroviaa scartamento ridotto che veniva costruita con elementi pre-fabbricati provvisti di traversine e che grazie alla loro leggerezzapotevano essere facilmente trasportati, montati e smontati.

1- Trovato A., Op. cit.

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La Libia fu un importante acquirente, in particolare per laricostruzione di Tripoli, distrutta durante la guerra del 1911. Ilgoverno locale acquistò per l’occasione una grande quanti-tà di laterizi del Pisciotto.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale interruppe l’atti-vità produttiva dell’impianto sia perché non arrivavano piùcommesse, sia perché i giovani operai che lavoravano allostabilimento furono chiamati a “servire la Patria”. Come senon bastasse, la guerra sottomarina, messa in atto dai tede-schi nel Canale di Sicilia, rese impossibile il trasporto dellamerce via mare, impedendo così il commercio anche con iPaesi del Mediterraneo. Nel maggio del 1915, quindi, la fab-brica fu costretta a chiudere i battenti.

L’ingegnere Emmolo ritorna alla sua attività professionalee, sempre in ambito pubblico, si interessa del progetto per larealizzazione del mercato coperto di Scicli che subì numero-se rielaborazioni sempre ad opera dello stesso Emmolo e cheimpegnò il Comune di Sicli per circa un trentennio. Il proget-to prevedeva la realizzazione di un percorso porticato svilup-pato su una pianta a C a lati uguali, ognuna comprendentecinque grandi arcate che si affacciavano su uno spazio sco-perto.

Emmolo mise molta cura nell’elaborazione del progettoprevedendo, tra l’altro, la fornitura di acqua in tutti i locali perconsentire la costante pulizia degli ambienti secondo quantoprevisto dalle nuove indicazioni in materia igienico sanitaria.

Quando nel 1919, finalmente, vennero ripresi i lavori, gli

Il disegno illustra la facilità di trasporto e montaggio delle traversinebrevettate da Decauville. Fonte dei disegni: Lavori di terra dell'inge-gnere Giuseppe Martelli, Ulrico Hoepli, Milano 1881.

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operai tornarono al Pisciotto insieme a don Carmelo Militelloche si occupava del motore e al meccanico CarmeloSpadaro, ma l’ingegnere Emmolo si rifiutò di riprendere ladirezione dello stabilimento senza alcun compenso edabbandonò la fabbrica per continuare la sua attività profes-sionale. In quegli anni progetta e dirige i lavori per la pavi-mentazione del primo tratto del corso Garibaldi, per il qualel’ingegnere prevede la realizzazione di un lastricato di calca-re forte «configurato a baule, dello spessore di cm 22-25,lavorato semplicemente a piccone» 4.

Intanto la famiglia Penna affida la gestione dello stabili-mento a due parenti di Caltagirone, uno dei quali, il cavalie-re Ciancio, marito della sorella maggiore di Ines, morì di lì apoco. Il secondo, un certo Annino, non fu in grado di riac-cendere la fornace ma cercò di avviare ugualmente l’attivi-tà facendo costruire due forni provvisori in prossimità dell’opi-ficio.

Alcune fotografie della fornace, risalenti agli anni Ventidel secolo scorso, testimoniano la presenza di questi corpi difabbrica posti in corrispondenza dei lati nord ed est dell’edifi-cio che ospitava la fornace e destinati a contenere i due fornied il magazzino. Di questi oggi resta soltanto la traccia degliinnesti della muratura e del tetto del corpo di fabbrica realiz-zato lungo il fianco nord del manufatto, in corrispondenza delforno Hoffmann.

Nel 1923 il Pisciotto viene dato in gestione alla società“Polara e compagni” del barone Saverio Polara di Modica;

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4 - Trovato A., Op. cit.

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A destra, foto tratta dall’articolo apparso sul giornale LaSicilia del 12 luglio 2004. L’immagine ritrae il fianco norddella fornace sul quale è innestato il nuovo corpo di fab-brica.

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questi era consapevole che l’unica persona in grado di farfunzionare una struttura tecnologicamente all’avanguardiacome il forno Hoffmann fosse il suo caro amico Emmolo e nonesitò a chiedergli di tornare a dirigere la fabbrica. L’amoredell’ingegnere per quella creatura che era nata dal suo

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Una porzione dell’attuale prospetto nord della fornace. Si possonoancora scorgere le tracce degli innesti della parte di fabbricato fattacostruire successivamente. (Foto C. Bustinto).

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genio e che aveva seguito nei primi anni con devozione epassione, lo indusse ad accettare, anche se decise di dedi-care a quella attività solo parte della sua giornata, conti-nuando a mantenere il suo studio di ingegneria a Scicli. Così,tutti i pomeriggi l’ingegnere arrivava con il treno alla piccolastazione di Sampieri dove veniva prelevato e condotto allostabilimento.

L’epilogo Ripresa la sua attività, la prima cosa di cui occuparsi era

ovviamente il riavviamento del forno Hoffmann e per fare ciòEmmolo chiese nuovamente l’aiuto del fornaciaro IllidePernigotto il quale tornò volentieri in Sicilia chiedendo di esse-re ospitato nella stessa stanza in cui era stato alloggiato nel1912, quando fu chiamato per la medesima ragione.

La fornace fu così riaccesa e la produzione riprese, anchese si rendeva necessaria la sostituzione del generatore di cor-rente che, ormai vetusto, non riusciva ad alimentare tutti imacchinari della fabbrica. I titolari della società promisero albarone Polara che avrebbero provveduto alla sostituzioneentro la primavera del 1924 e l’attività proseguì regolarmentefino alla notte del tragico incendio, quasi sicuramente dolo-so, che avvolse tra le fiamme l’intero complesso, distruggen-do in poche ore tutte le strutture lignee (solai, coperture, infis-si) e quanto altro completava l’impianto di produzione dellostabilimento, facendo crollare i piani superiori dell’edificio edecretando la definitiva cessazione dell’attività.

Al divampare dell’incendio tutti gli abitanti dei dintorniaccorsero in aiuto, arrivarono i pescatori da Sampieri e gliagricoltori dai campi vicini, ma vani furono i tentativi didomare le fiamme devastatrici che illuminarono a giornoquella terribile notte. Guglielmo Penna assistette increduloalla scena che si presentò ai suoi occhi, affacciato alla ter-razza della sua villa, in contrada Trippatore e quando all’albail magazziniere don Ciccio Carbonaro andò da lui e gli disse:«Lo stabilimento non c'è più» , questi rispose: «A mmia m’han-no scippatu un pilu di capiddu» , o, come fu successivamen-te riportato dalle cronache del tempo: «Hanno tolto il pane a

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tanti operai, a me non hanno tolto nulla» . Il nipote del progettista, ricordando il nonno così racconta:«Mio nonno aveva un carattere impetuoso e, presa una deci-sione, la manteneva con tenacia. Non solo non volle piùoccuparsi della fornace, ma, da allora, in famiglia fu vietatoperfino parlarne. Alla sua morte, fra le sue carte, sono stati tro-vati progetti, documenti e carteggi.» .

Ed in realtà nessuno più fece qualcosa per riportare in vitala fornace, di cui era rimasto integro solo lo scheletro murarioche ancora oggi fa da sfondo alle coltivazioni di vite che pre-sto ricomparvero nelle terre a nord dell’opificio.

Circa la data dell’incendio esistono opinioni contrastantiin quanto secondo alcune testimonianze, prima fra tuttequella di Giuseppina Emmolo Scimone, il disastro è avvenutonel gennaio del 1924; secondo altre fonti, tra cui il testo diAttilio Trovato, sembra che sia avvenuto il 30 gennaio 1926.L’autore, infatti pubblica una fattura emessa dalla dittaPolara al sig. Giovanni Benedetto di Pozzallo, in data 16 apri-le 1924, cioè tre mesi dopo la data indicata dalla figlia del-l’ingegnere Emmolo. La fattura documenta l’acquisto di mat-toni pieni e forati per un importo totale di 1.222 lire. É proba-bile che la vendita del materiale sia continuata anche dopol’incendio della fabbrica, così come è avvenuto per tutte lemacchine dell’opificio scampate al fuoco, ma di questo nonsi può avere certezza.

Sulla dolosità dell’incendio, invece, non c'è mai statoalcun dubbio dal momento che, quando questo divampò, lostabilimento era chiuso da quattro mesi perchè, come giàdetto, le piogge invernali riempivano la cava di argilla impe-dendo l’estrazione della materia prima. Pertanto, fu subitoesclusa l’ipotesi di un guasto o di un incidente. Sono stateavanzate più ipotesi riguardo la responsabilità del gesto: sipensò ad una vendetta socialista o ad una vendetta fascista.Quanto alla prima ipotesi questa sembra poco attendibilepoiché nel 1926 il regime fascista, già al potere, aveva messofuori gioco i socialisti locali che, sotto la guida di Lucio Schirò,avevano costituito il più forte movimento socialista dellaSicilia, strenuo difensore della lotta dei lavoratori contro laborghesia conservatrice e reazionaria. È quindi impensabileche i socialisti abbiano potuto bruciare lo stabilimento pri-

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Fattura della Fabrica Polara emessa il 16 aprile 1924.Foto tratta dal volume di Attilio Trovato Scicli, la cittàdelle due Fiumare.

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vando del lavoro circa un centinaio di persone. Più accetta-bile sembra la seconda ipotesi in quanto, l’opposizione almovimento socialista fu in quegli anni, nel territorio ragusano,molto forte e violenta.

A supporto della seconda ipotesi, ovvero di un’azionefascista, si ricorda che i primi anni del ‘900 segnarono il gra-duale inizio della crisi delle attività connesse alla lavorazionedella pietra. Il fenomeno fu avvertito anche in ambito cultu-rale ed in particolare in seno alla scuola d’arte di Comiso,diretta allora dal Prof. Giacomo Cusumano, allievo di Basile eche più volte fece presente tale situazione anche al Ministerodell’Antichità e delle Arti chiedendo la promozione di mostre,fiere campionarie e la riduzione delle tariffe ferroviarie perconsentire di superare la crisi e anche la concorrenza dellafornace del Pisciotto che con la produzione di laterizi minac-ciava di oscurare la tradizione locale. La scuola d’arte diComiso fu molto appoggiata in questo intento dal regimefascista che non lesinò alcun tipo di aiuto, forse anche quellodi un’azione a carattere doloso.

Le richieste di aiuto al Ministro dell’Antichità e delle Articontinuarono anche dopo il 1926 ma il superamento dellacrisi non avvenne.

La tesi politica è stata però più volte contestata dallafamiglia Emmolo: «Dell’origine dolosa del fatto a casa non siè mai dubitato. Quando l’incendio divampò, lo stabilimentoera chiuso da quattro mesi, l’ipotesi di un guasto o di un inci-dente sarebbe perciò infondata (...) Abbiamo sempre avutoun sospetto, ma nessuno di noi lo ha mai detto. Forse è statoun nemico acerrimo di mio padre» . Questo è quanto ha rac-contato Giuseppina Emmolo Scimone a Giuseppe Savà nel19991.

Quanto ad altre spiegazioni circa le cause del rogo, si rac-conta che questo sia stato provocato dall’incendio sviluppa-tosi in una delle baracche in prossimità della fornace e acausa del quale morì un uomo che si disse essere stato l’au-tore materiale del disastro. Sono racconti comunque privi dialcun riscontro e di conferme, così come quello secondo ilquale la responsabilità sarebbe riconducibile ai mezzadri checoltivavano l’uva nei terreni limitrofi alla fornace. Secondoquanto ipotizzato a tal proposito sembra che i giovani lavo-

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1 - Savà G., Op. cit.

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ratori dell’impianto, durante la pausa, si introducessero neivigneti senza autorizzazione, per raccogliere qualche grap-polo d’uva e che i mezzadri, per spaventare gli operai, aves-sero appiccato l’incendio come ammonimento. Purtroppo,però, le fiamme presero il sopravvento e si diffusero veloce-mente in tutta l’area dello stabilimento distruggendolo inpoche ore. Ma il racconto non trova una rispondenza plausi-bile in quanto l’incendio avvenne a gennaio, quando lo sta-bilimento era chiuso e i vigneti erano ancora privi di grappolidi uva. Resta comunque il fatto che l’incendio del Pisciotto fuun evento talmente straordinario ed inaspettato che scon-volse per molto tempo la vita degli abitanti del luogo che peranni cercarono di farsene una ragione, a volte anche par-landone in termini fantasiosi o poco attendibili.

L’ingegnere Emmolo profondamente colpito da questatragedia concentrò tutte le sue energie nella sua professioneche esercitò ancora per diversi anni. Le sue conoscenze inambito geologico e la sua passione per l’ingegneria idraulicalo portano ad essere tra i protagonisti della bonifica dell’agrodi Donnalucata, una delle più importanti iniziative condotteper l’incremento della coltura intensiva del territorio costiero,già praticata da oltre un trentennio. Le caratteristiche clima-tiche e territoriali della piana di Donnalucata facevano diquesto territorio il luogo ideale per la produzione di coltureorticole precoci destinate ad un mercato di nicchia. Protettaa nord dalle colline, lambita dalle calde brezze marine ebagnata dall’acqua dei torrenti e delle sorgenti vicine, lavasta pianura alle falde dell’altopiano ibleo è tra i maggioriproduttori di pomodoro di qualità precoce fin dalla secondametà del diciannovesimo secolo.

Ma è nel periodo compreso tra il 1925 e il 1927 che avvie-ne la grande trasformazione agraria del territorio costiero,grazie alla domanda sempre più in aumento di un mercato inespansione. L’esigenza di disporre di una maggiore quantitàdi terra agricola e di acqua sufficiente all’irrigazione imposeai proprietari delle aree costiere un intervento di vaste pro-porzioni e di enorme impegno economico volto al recuperodi terreni aridi e incolti, attraverso opere di dissodamento e dicaptazione delle acque sotterranee per l’irrigazione dei nuovicampi.

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La prima trivellazione viene fatta nel 1925 dal cavaliereBartolomeo Penna sulle sue terre di contrada Fossa, vicinoSampieri. L’acqua, trovata alla profondità di sessantacinquemetri, con una portata di 150 litri al secondo, veniva solleva-ta ad un serbatoio posto all’altezza di trenta metri e da quidistribuita ai campi riuscendo ad irrigare sessantacinque etta-ri di terre.

Seguono altre trivellazioni di cui sei diedero esito positivo,tra le quali quella eseguita nel 1927 dal barone GuglielmoPenna, in Contrada Ciarciolo, con una portata di cento litri alsecondo che garantiva l’irrigazione di cento ettari di terre.

In questo contesto di grande fermento l’ingegnereEmmolo è chiamato a redigere il progetto per la captazionee la canalizzazione delle acque sotterranee che scorrevanosotto il greto del torrente Modica-Scicli, per l’irrigazione dellapiana di Donnalucata. Il progetto commissionatogli e appro-vato dal Consorzio di Bonifica dell’agro di Donnalucata2,giunse a compimento nell’ottobre del 1928 consentendo lacaptazione di 250 litri di acqua al secondo intercettati dallevene che scorrevano sotto la collina di Licozia, a circa un chi-lometro di distanza dalla costa e convogliate in una galleriasotterranea che le conduceva per caduta libera fino a valle.

L’opera consentì l’irrigazione di circa trecento ettari diterra che permisero di aumentare la produzione orticola deiprimaticci, incentivando l’occupazione di molti bracciantiagricoli del territorio ed arricchendo i proprietari di quelleterre che fino a qualche anno prima erano aride pietraie, maanche i commercianti e gli agricoltori. Anche in questa occa-sione la famiglia Penna è in prima linea; tra i produttori piùattivi furono il barone Tommaso Penna e il cavaliereBartolomeo Penna.

Nel 1927 Emmolo progetta la sistemazione di PiazzaFontana (oggi Piazza Italia) del Piano del Collegio il cui livel-lamento era stato già compiuto nel 1885 in occasione dellosventramento di via Maestranza, secondo il progetto dello zioBartolomeo. L’intervento di Ignazio riguardava lo spazio com-preso tra il Palazzo del cavaliere Bartolomeo Penna ed ilponte del Gesù. Il progetto prevedeva la copertura del tor-rente S. Bartolomeo e la ripavimentazione della piazza, opereconcluse nel 1932.

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2 - Il Consorzio di Bonifica venne riconosciuto con Regio Decretodel 3.11.1927.

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Con il figlio Guglielmo, giovane ingegnere, realizza, tral’altro, la facciata della chiesa di S. Maria del Gesù in CorsoMazzini e le scuole elementari di via Bixio. Negli anni Trentadel secolo scorso, progetta e dirige i lavori di ampliamentodella villa Mormino in contrada Santa Rosalia, nota anchecome villa Santa Rosalia. Il progetto prevedeva la realizzazio-ne di un nuovo corpo di fabbrica con prospetto arretratorispetto all’edificio originario, risalente alla seconda metà delXIX secolo e composto da un edificio a due elevazioni, con

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Piazza Italia ritratta in una cartolina del 1950.

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ingresso principale posto al centro del prospetto e fiancheg-giato da due balconi-finestre.

La figura di Ignazio Emmolo è ricordata da Attilio Trovatonelle parole che seguono e che esprimono in tutta la loro effi-cacia la grande personalità e la professionalità di uno scicli-tano che ha lasciato un segno tangibile del suo amore per lasua città di cui andava fiero: «Poteva essere l’anno 1947, edin piazza Maria Josè (oggi piazza Italia) attorno all’ing. IgnazioEmmolo, considerato a giusto titolo un maestro, si formò uncapannello di professinononisti, fra i quali, ricordo come,c’ero anch’io, prossimo alla laurea. Uditore molto attento eral’ing. Bartolomeo Piccione, da poco tempo tornato dalla pri-gionia militare. Orbene, con un parlare fascinoso da cui tra-spirava il suo amore per la professione, l’Emmolo ci tenneperipateticamente una dotta lezione di geologia, spiegandola natura del sottosuolo sciclitano ed il percorso sotterraneoche le acque piovane compiono dal luogo di raccolta almare, e più in particolare la struttura morfologica delle roccedei monti Iblei che, grazie alla loro porosità, hanno una gran-de capacità di trattenuta delle acque piovane, che poi rila-sciano gradatamente alimentando in tal modo i corsi d’ac-qua perenni, superficiali e sotterranei.» 3.

Quanto ai Penna, questi insieme ad altri notabili delpaese, continuarono a gestire più o meno palesemente lesorti di Scicli tramandando da generazione in generazionel’arroganza di una famiglia abituata ad ottenere sempretutto ciò che ha voluto senza porsi tanti problemi.

Alla morte del baronello Francesco, negli anni Trenta, lamoglie Ines, come già detto, lascia Scicli per trascorrere ilresto della sua vita nelle proprietà di Campobasso e di Roma.Le figlie rimangono con il nonno Guglielmo. Queste, educatein un convento a Rimini, seguono destini diversi: la più grande,Carolina, nata nel 1904, ha vissuto la sua vita alternando aperiodi di permanenza a villa Trippatore, lunghi viaggi di pia-cere in compagnia della Principessa di Savoia sua caraamica. Secondo alcune testimonianze ha sempre avuto acuore la sua città natale e si è prodigata in opere di benefi-cienza in favore dei più poveri ed emarginati. Non si è maisposata ed è morta ultranovantenne a Palermo nel 1994.

Guglielmina, detta Mimì, sposa nel 1929 il Barone Ignazio

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3 - Trovato A., Op. cit.

Carolina PennaCrescimanno

D’Albafiorita, figlia delBarone Francesco

Penna e della duchessaInes Crescimanno.

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Il barone Guglielmo Penna ritratto, in una foto degli anni Trenta del secolo scorso, con quattro dellenipoti, figlie di Francesco e Ines. (Foto gentilmente concessa dalla Dott.ssa Giovanna Giallongo).

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Mormino ed ha cinque figli tre maschi e due femmine, il primodei quali, Francesco (detto Picci), acquisisce il titolo di baro-ne di Portosalvo ottenuto per discendenza dallo zio Tommasoche, sposato con la cugina Nunziatina Penna, ebbe solo figliefemmine così come il fratello Francesco. Picci, nato nel 1930muore prematuramente.

Ottavia, nata nel 1907, sposa un medico, il dottore FilippoBuscemi Galasso e si trasferisce a Caltagirone, nella casadella madre Ines. Ottavia fu una delle 21 donne che nel 1946fecero parte dell'Assemblea Costituente e, nel 1953, si pre-senta alle elezioni amministrative di Caltagirone e viene elet-ta nelle fila del Partito Monarchico, divenendo così primadonna sindaco in Italia. Fu anche candidata a primo presi-dente della repubblica. Muore a Caltagirone nel 1986lasciando due figlie Maricò e Cristina.

Di Gerolama e Gaetana poco si conosce. Oggi, parte dell’archivio privato

della famiglia Penna è stato dona-to al Museo del Costume di Sciclidal Professore Gabriele Arezzo diTrifiletti, entratone in possesso perascendenza familiare.

Molte testimonianze fanno riferi-mento alla duchessa InesCrescimanno e a sua figliaCarolina, ma la donazione si com-pone anche di alcuni documenti emanoscritti appartenuti al baronelloFrancesco Penna e riguardanti, tral’altro, la fabbrica del Pisciotto. Ladott.ssa Giovanna Giallongo, esper-ta archivista e studiosa ha ordinato,catalogato e inventariatol’Archivio Storico dell’Opera PiaCarpentieri arricchitosi anche dellarecente donazione. Si riporta diseguito un suo breve contributotratto da alcune note riguardanti ilmatrimonio di Francesco Penna eInes Crescimanno.

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Le ventuno donne della Costituente, ritratte su un giornale dell’epo-ca.

Ottavia Penna Buscemi.

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Le Nozze Penna - CrescimannoGiovanna Giallongo*

«Come nei racconti delle fate, si videro e si amarono e daquel giorno germinò nei loro cuori tutta una primavera florea-le, irrorata dalle soavi rugiade d'amore» . Con queste righe ilGazzettino Siciliano del 20 settembre 1903 presenta sullaprima pagina le nozze Penna - Crescimanno. È lunedì sera del14 settembre 1903 e nel palazzo municipale di Caltagirone,alle ore 23, si celebrano le nozze civili tra la signorina InesCrescimanno, figlia del duca Gaetano e della duchessaGirolama Maggiore e il baronello Francesco Ignazio Penna,figlio di Guglielmo barone di Portosalvo e della fu baronessaCarolina Denaro. Dopo la funzione, gli sposi e gli invitati sirecano con le carrozze al Palazzo Crescimanno dove haluogo il matrimonio religioso. Accanto alla sposa, bella comeuna gemma nel suo ricchissimo abito, per tutta la cerimoniaecclesiastica e per l'ultima volta, c'è la colta e buona signori-na Giuseppina Manari, l'istitutrice e confidente di Ines per bendodici anni. Mentre il Mons. Mineo celebra le nozze, la Manariricorda il giorno in cui viene assunta in casa Crescimanno peristruire nella musica e nelle lingue la piccola Ines, una bambi-na di 6 anni, minuta e piccola di statura per l'età e che, acausa della cagionevole salute, non frequenta alcun tipo discuola.

Una lacrima scende sul viso della signorina Giuseppinaquando rievoca i momenti di incertezza di Ines nello sceglie-re il vestito e il gioiello adatto per l'evento mondano comeuna prima serata teatrale a Catania o Palermo o un ballo digala al Castello di Donnafugata, dimora della zia, grandu-chessa Ignazia Crescimanno. È sempre la signorina Manari acui Ines, ormai diciottenne, confida le sue prime ansie d'a-more e di gelosia quando conobbe il nobile Francesco. Deglistrepitosi applausi riportano nella realtà la signorinaGiuseppina; piange di felicità perché la sua "bambina" nonha più bisogno delle sue premure, ha accanto un giovanericco di bontà e nobiltà d'animo.

Dopo il rinfresco di dolci e liquori, gli sposi distribuiscono atutti gli invitati i sachets de mariage, raffinatissimi borsellini

La storia e i suoi protagonisti

Una pagina della rivista “Gazzetta Commerciale” del 30aprile 1909.

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pieni di confetti e, verso le cinque del mattino, partono allavolta di Scicli, paese natio dello sposo. Molto ricchi ed ele-ganti i doni offerti agli sposi, dai gioielli con perle, diamanti ebrillanti, ai servizi in cristallo e argento fino all'automobile, l'u-nica a Scicli in quel periodo, regalata dal barone GuglielmoPenna.

Nel corso degli anni, la duchessa Ines si distingue, tra lenobildonne sciclitane, per generosità d'animo e spirito d'ab-negazione: provvede alla distribuzione di indumenti e cibo trai profughi della catastrofe del 1908 a Messina; fonda, nel1915, con alcune signore aristocratiche del paese, "Le Damedella Carità", per soccorrere ammalati e bisognosi; provvedefinanziariamente all'istruzione dei figli dei suoi servi.

Nel 1930 muore il baronello Francesco ed Ines lascia persempre Scicli per andare ad abitare a Roma. Tornerà spora-dicamente, solo per qualche visita alle sue cinque figlie, due

delle quali rimaste nubili.Muore nel 1968 e la sua

attività di benefattricesarà continuata dallafiglia maggiore la duches-sina Carolina.

* Giovanna Giallongo, lau-reata in Scienze dei BeniCulturali, vive e lavora a Sciclidove svolge un’intensa attivi-tà di studio e ricerca pressol’Archivio Storico dell’OperaPia Carpentieri. Curatrice dinumerose mostre, organizzaconvegni, dibattiti e incontrisu tematiche riguardanti lacittà di Scicli, la sua storia, ilsuo passato economico, cul-turale e sociale.

Foto dell’automobile donata agli sposi da Guglielmo Penna.

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77Rilievo prospetto ovest. (Elaborazione grafica C. Bustinto).

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La fornace di pietra a Marsa Siklah

Punta Pisciotto. Google Earth.

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L’impianto planimetricoIl basamento roccioso a ridosso del mare, ospitava tutte le

strutture che componevano il grande impianto per la produ-zione di laterizi, sviluppato su una superficie di circa 18 milametri quadrati.

Veduta panoramica dell’impianto. (Foto aerea di Paolo Nifosì).

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Impianto planimetrico dell’insediamento. (Elaborazione grafica C. Bustinto).

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L’ingresso, posto lungo il lato nord dell’area,era individuato da due pilastri in blocchi di pietracalcarea squadrata con aggetti lapidei in sommi-tà lavorati a bugnato e dalle cui estremità si arti-colavano alcuni corpi fabbrica bassi, a serviziodell’opificio, segnando parte del confine dell’im-pianto. Le costruzioni alla sinistra dell’ingressoseguono un andamento planimetrico ad L che sisviluppa a nord-est su un fronte di cinquanta metrisul lato lungo e di dodici metri su quello corto. Unaparte di questo fabbricato si elevava su due pianied era adibito ad alloggi per il personale, mentrela parte ad una elevazione ospitava gli ufficiamministrativi.

Alla destra dell’ingresso si trovavano tre picco-le costruzioni, una delle quali oggi crollata, desti-nate a magazzini e depositi di materiali e combu-stibili. Un grande piazzale di oltre 8.000 mq divide-va questi manufatti dall’edificio principale, postopiù a sud e destinato alla produzione dei laterizi.

Il monumentale edificio a tre elevazioni, dall’originalearchitettura neoclassica, sviluppa la sua pianta rettangolarelungo l’asse est-ovest, per una lunghezza di 86,70 metri ed

L’ingresso all’opificio, oggi ostruito dalla presenza di blocchi lapideiposti a ridosso di quello che resta della struttura metallica di unarecinzione in tubi dalmine. (Foto C. Bustinto).

Il piazzale nord che divide la fornace dai fabbricati di servizio. (Foto F. Palazzolo).

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una larghezza di 25,54 metri. Il piano terra ospitava a ovest lasala macchine, il vano motore in cui era alloggiato il genera-tore di corrente elettrica che azionava tutte le macchinenecessarie al funzionamento dell’opificio ed altri vani di lavo-razione tra cui un piccolo ambiente destinato alla fabbrica-zione di stampi, tegole marsigliesi e rulli scorrimento per i car-relli delle filiere. A est trovavano posto il deposito per il mate-riale e la fornace di tipo Hoffmann, alimentata dall’alto concombustibile fiacco1. Il forno era composto di una galleriaellittica che costituisce la camera di cottura e che potevaessere suddivisa in sedici scomparti o camere, separabili condiaframmi mobili.

Una scala in muratura, oggi parzialmente crollata, condu-ceva al piano superiore, in cui trovavano posto i locali perl’essiccazione dei prodotti più leggeri e delicati, che veniva-no issati con un montacarichi, sistemati su un nastro traspor-tatore ed essiccati attraverso un sistema di ventilazione natu-rale regolato mediante l’apertura di lamelle orientabili appli-cate alle finestre.

1 - Il combustibile fiacco è un tipo di combustibile con poterecalorifico inferiore rispetto a quello di combustibili generalmentein uso quali carbon fossile, benzina. Combustibili fiacchi sono ilmetano, il GPL, il carbone di Sebenico, i combustibili da biomas-sa come la sansa, i gusci di mandorle.

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Pianta piano terra (Elaborazione grafica C. Bustinto).

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Il forno Hoffmann costituisce un’innovazione tecnologicain quanto sostituisce sia la tipologia di forni a circolazione d’a-ria ascendente2, utilizzati fino alla metà dell’800, il cui fumoveniva evacuato dalla sommità della struttura attraverso unaserie di sportelli, sia la prima generazione di forni discendentidenominati a ciclo singolo o ad intermittenza in quanto ogniciclo di cottura prevedeva l’introduzione del materiale nell’u-nica camera del forno quando questo era freddo, la cotturagraduale dei mattoni, il successivo raffreddamento e lo svuo-tamento del forno3. Questo determinava una limitazionedella quantità di materiale prodotto ad ogni ciclo. Il fornobrevettato da Friedrich Hoffmann in Germania, nella secon-da metà dell’Ottocento, oltre ad essere a circolazione d’ariadiscendente, era anche a ciclo continuo, cioè garantiva unfunzionamento continuo di 24 ore al giorno in quanto ognicamera è provvista di uno sportello di carico e scarico indi-pendente.

Nel caso specifico della fornace Penna ogni camera dicottura comunicava con l’esterno attraverso una porta edera provvista di uno sbocco, regolabile da valvole azionatedall’esterno, per l’evacuazione dei fumi che venivano con-

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3 - Nei forni a circolazione discendente, l’aria calda veniva intro-dotta dall’alto mentre i gas di combustione defluivano dallabase attraverso griglie poste sul pavimento. Fondamentale inquesto sistema era la presenza della ciminiera che agevolava lacircolazione dei gas.

2 - I forni a circolazione d’aria ascendente non garantivanoun’essiccazione uniforme dei mattoni in quanto quelli posti inbasso, essendo a contatto con il fuoco, si riscaldavano troppomentre quelli più in alto non venivavo cotti a sufficienza.

Schema di funzionamento del forno Hoffmann realizzato all’interno dell’edificio. (Immagine tratta dal sito www.gianlucadaman-te.com).

COLLETTORE

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COLLETTORE

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vogliati in un collettore predisposto in corrispondenza dellaparete interna della camera di cottura e in comunicazionecon la canna fumaria. Il fuoco giungeva dall’alto, attraversogli ugelli dei bruciatori, allocati al di sopra del forno, che lan-ciavano le fiamme verso il basso percorrendo la camera dicottura secondo la sequenza dei vani. Era quindi il fuoco cheavanzava mentre il materiale restava sempre allo stessoposto così che mentre una parte di questo veniva cotto inuno dei sedici vani dove giungeva il fuoco, in quello prece-dente, in cui il fuoco era già stato spento, i laterizi cotti comin-ciavano a raffreddarsi. Nel vano successivo, invece, avveni-va il preriscaldamento del materiale.

Dai racconti tramandati negli anni da anziani abitanti diSampieri, sembra che il forno Hoffmann sia costato, allora,duecentocinquantamila lire.

In prossimità del lato sud dell’edificio, a metà della lun-ghezza del forno, si ergeva l’alta ciminiera che, con i suoiquarantuno metri di altezza, dominava l’intero complesso. Laciminiera costituisce un elemento fondamentale nei forniHoffmann in quanto permette la circolazione dei gas prodot-ti dalla combustione e la sua altezza era determinante per ilcorretto funzionamento della fornace.

Poco distante dalla ciminiera, un fabbricato con copertu-ra a falde ospitava gli attrezzi, mentre l’abitazione del respon-sabile dello stabilimento era isolata dal resto delle costruzionie sorgeva a monte dell’area. Sempre a sud, in un’area dicirca 5.400 mq, si trovavano gli essiccatoi dove venivano fattiasciugare i laterizi pieni prima della cottura. Di queste struttu-re restano oggi soltanto le tracce affioranti dei basamenti,disposti perpendicolarmente al lato maggiore della fornace.

Una litografia del 1921 ritrae gli essiccatoi costituiti da cor-ridoi stretti e lunghi, disposti uno accanto all’altro. L’immagineritrae anche una sequenza di costruzioni che delimitano ilconfine ad ovest dell’opificio. Dell’effettiva esistenza di que-sti manufatti non si ha certezza nè si conosce l’eventualedestinazione d’uso, essendo la documentazione e gli elabo-rati grafici in mano agli eredi del progettista. Le uniche trac-ce rimaste sono quelle di un lungo muro, in parte cadente,che potrebbe anche essere ciò che resta di una delimitazio-ne di confine dell’opificio.

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Litografia del 1921, tratta da Il Giornale di Scicli, 17 Aprile 1988.

I ruderi del muro sul fronte a mare, forse quel che resta di corpi di fabbrica a servizio dell’opificio, forse un semplice muro di confi-ne dell’impianto. (Foto C. Bustinto).

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La fornace. (Foto C. Bustinto).

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Analisi morfologica e strutturaleSebbene tutto l’impianto industriale comprendesse nume-

rosi corpi di fabbrica dislocati su un’area di circa 2 ettari,quello che certamente rapisce oggi l’attenzione sono i rude-ri dell’edificio che un tempo ospitava la fornace e i macchi-nari per la produzione di laterizi. Questo perché il manufattopresenta caratteristiche formali e canoni estetici molto raffi-nati per una costruzione a carattere industriale quale l’edifi-cio era destinato e nel quale furono applicate tecnologiesenza dubbio all’avanguardia per i tempi.

Le visite condotte dal progettista alle fornaci a queltempo attive in Emilia Romagna e in Toscana, furono comun-que determinanti per la stesura del progetto. Si trattava disemplici capannoni la cui pianta, per lo più rettangolare emolto allungata, ospitava al suo interno il forno Hoffmann. Lastruttura muraria, realizzata con mattoni in laterizio e segnataritmicamente da ampie aperture, si sviluppava su più eleva-zioni coperte con tetto ligneo a falde inclinate.

Per quanto la tipologia della fornace Penna sia pressoc-chè simile a quella dei manufatti industriali destinati al queltipo di produzione e fino ad allora realizzati in Italia, lo stile,ispirato all’architettura neoclassica, rispecchia invece i gustidel progettista, professionista di grande talento e appassio-nato cultore di questa forma espressiva, sulla quale, comeabbiamo avuto già modo di apprezzare, sono improntatemolte delle sue opere più significative, tra le quali l’OspedaleBusacca e la sua stessa casa di via Roma, a Scicli.

Alle semplici e modeste strutture in laterizio, stilisticamenteanonime e prive di alcuna valenza architettonica, l’ingegne-re Emmolo contrappone un elegantissimo e maestoso edifi-cio neoclassico, con impianto architettonico ispirato all’edili-zia religiosa e sapientemente costruito con calcare durolocale, impreziosito da sobri dettagli stilistici. Tali sono le carat-teristiche che contraddistinguono questa singolare opera eche hanno intrigato negli anni studiosi e appassionati di artenel tentativo di dare una spiegazione alle scelte progettualidell’autore.

Limitiamoci invece ad ammirare il risultato o meglio ciòche ne resta, a oltre cento anni dalla sua realizzazione e alla

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Analisi morfologica e strutturale

Fornace di laterizi a Campotto, Emilia Romagna.(http://www.panoramio.com).

Ruderi della Fornace Penna. (Foto C. Bustinto).

Ruderi della fornace Brunori a Borgo San Lorenzo, Mugello.(http://www.ilfilo.net/fornacibrunori01.htm).

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luce dei danni provocati dall’incendio, dal tempo e dall’in-curia degli uomini.

Dal punto di vista della morfologia complessiva, è paleseil riferimento all’architettura sacra ed in particolare alla tipo-logia della basilica romana, con facciata a capanna e tettoa falde inclinate, a cui si affianca la snella e svettante struttu-ra della ciminiera che ricorda il campanile di una chiesa. Ilmanufatto si sviluppa simmetricamente, lungo l’asse longitu-dinale est-ovest, definendo in pianta i tre percorsi caratteristi-ci delle navate basilicali: la centrale, più ampia, che si elevasul doppio ordine e le due laterali più strette e con un’altezzapiù contenuta.

Archi a tutto sesto impreziositi da conci e chiavi in rilievo,lavorati a bocciarda, forano al piano terra le imponenti mura-ture perimetrali in calcare duro lasciato a vista, dal colorepaglierino. Su questi poggiano eleganti bifore a sesto ribassa-to. Anche le murature di spina, più alte di quelle perimetrali,sono scandite da alti archi a tutto sesto e soprastanti bifore.

La presenza degli archi e delle finestre che marcano conregolare modularità la struttura muraria, per tutta la lunghez-za dell’edificio, conferisce al complesso una particolare leg-gerezza unita all’eleganza data dalle modanature delleporte e delle finestre. Peculiarità queste che vanno oltre leesigenze funzionali di un comune edificio a carattere indu-striale.

Ma quello che più sorprende di questa magnifica opera èil materiale impiegato per la sua realizzazione e la tecnicacostruttiva adottata.

L’uso della pietra naturale è una scelta decisamente ori-ginale per la realizzazione di fornaci che, per consuetudine etradizione costruttiva, presentano un impianto strutturale inlaterizio, essendo questo il materiale specifico ottenuto dal-l’attività produttiva di tale opificio. L’adozione della pietralocale è spiegabile non solo dal punto di vista tecnologico ecioè con l’esigenza di garantire una maggiore resistenzadella muratura alle condizioni ambientali del luogo, vista laposizione del manufatto particolarmente esposto all’azioneerosiva della salsedine ed ai venti predominanti che soffianoda ovest; ma anche dal punto di vista estetico, per la sensibi-lità del progettista che ha voluto garantire, anche con l’ap-

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propriato uso dei materiali, il completo inserimento della suaopera in un luogo di particolare bellezza.

La pietra locale, infatti, deriva dalle cave di calcare1 chesi estendono sul territorio ragusano, in un’area a sud-est delcapoluogo che comprende, in particolare, i comuni diVittoria e Comiso a ovest e il comune di Modica a est.

Le cave di questi territori forniscono un materiale che puravendo nelle linee generali le stesse caratteristiche, presentanel dettaglio alcune specifiche peculiaritàche ne identifica la varietà.

Il materiale estratto nel territorio di Modicasi distingue in due tipi: un calcare tenero,molto poroso e poco compatto e un calcareduro, poco poroso e compatto, denominato‘pietra forte’.

Il calcare tenero ha una formazione geo-logica risalente a un periodo compreso tra ilSerravalliano e il Messiniano (10-20 milioni dianni fa). Presenta un colore bianco tendenteal giallo oro o al grigio, secondo le cave dacui viene estratto e dell’esposizione agliagenti atmosferici variabili da luogo a luogo.Di questo materiale l’eminente storico dell’ar-te Antony Blunt così scrive: «La pietra … è … diun pallido colore giallo-oro che al sole acqui-sta un’indescrivibile opulenza: abbastanzatenera per consentire un taglio elaborato, la sipuò anche lasciare quasi nuda, in modo dadar libero corso al molteplice linguaggio dellamateria»2.

Questa pietra, molto diffusa nel territorio e facilmentelavorabile, è particolarmente adatta alla realizzazione di ele-menti ornamentali anche se il suo impiego a scopo struttura-le è ampiamente testimoniato dai meravigliosi edifici civili ereligiosi che impreziosiscono la città di Modica e la sua pro-vincia.

Il calcare tenero non è solo una prerogativa del territoriomodicano, questo è ampiamente diffuso anche nelle aree diPalazzolo, Noto e Siracusa, località da cui rispettivamenteprende il nome: pietra di Palazzolo, pietra di Noto e pietra

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1 - Tutti i calcari, assieme alla farina fossile e ai diaspri, apparten-gono alle rocce organogene. In funzione del grado di coerenzae di cristallinità si distinguono in calcari incoerenti (usati per puli-re i metalli e per realizzare i gessetti da lavagna), calcari teneri(facilmente lavorabili, segabili e molto durevoli, come la pietra diLecce e la pietra bianca di Siracusa), calcari compatti (con otti-me proprietà tecniche e meccaniche, molto diffuse nella peni-sola italiana e in Sicilia dove troviamo la pietra di Comiso) e cal-cari cristallini (marmi, con proprietà meccaniche inferiori a quel-le dei calcari compatti).

Cava Gisana in territorio di Modica. http://www.verdi-modica.it.

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2 - Anthony Blunt, Barocco siciliano, Edizioni il Polifilo, Milano 1968,p.31.

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bianca di Siracusa. Inoltre, per le sue particolari caratteristi-che estetiche e di lavorabilità è stata utilizzata, già a partiredal 1300, anche in altre zone della Sicilia, così come ci infor-ma il professore Roberto Calandra3. Le cave di estrazione si

trovavano in prossimità dei centriabitati se non, addirittura, al lorointerno.

La particolare porosità di que-sto calcare (circa 30%), è unadelle cause principali del deterio-ramento del materiale, che pre-senta fenomeni di degrado parti-colarmente accentuati se in pre-senza di umidità.

Il calcare duro è, invece, unaroccia sedimentaria costituita dabiocalcareniti cementate amacroforaminiferi di colore biancogrigiastro, formatasi nel Miocene(10-26 milioni di anni fa). I massi,chiamati ‘balate’, affiorano sul

piano di campagna e quindi è sufficiente asportare lo stratosuperficiale di terreno ed incidere gli strati che compongonoi banchi calcarei dello spessore variabile da 50 cm a 2-3metri.

«Prima dell'uso delle pale meccaniche, per sollevare emovimentare le balate affioranti sul terreno, gli scalpellinilavoravano direttamente su di esse in aperta campagna,riquadrando con solchi a V, del tipo di quelli per il calcaretenero, i diversi pezzi secondo le misure richieste; poi, inseren-do in essi dei cunei, con colpi di mazza si rompeva a misuravoluta la roccia. Le tecniche di lavorazione antiche si sono inparte conservate nella attuale seconda lavorazione fatta suipezzi squadrati con seghe a disco diamantato.»4.

Oggi le balate, delle dimensioni di 1-1.5 metri in larghezza,di 2-3 metri in lunghezza e di 0.3-0.6 metri in spessore, vengo-no estratte dal suolo con l’ausilio di pale meccaniche e cari-cate sui camion per essere trasportate negli stabilimenti dilavorazione che si trovano in prevalenza nel territorio diModica.

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Pietra di Modica.

3 - Roberto Calandra, progettista, urbanista, è stato docente direstauro presso la Facoltà di Architettura dell’Università diPalermo.

4 - Corrado Fianchino, Le pietre nell'architettura, I.D.A.U.,Catania 1988, cit, p. 110.

Cattedrale di Noto.

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La particolare durezza del calcare ne ha permesso l’im-piego anche per la realizzazione di elementi che non richie-dono particolari lavorazioni di sagomatura, quali elementi dizoccolatura, basamenti, pavimentazioni esterne lastricate,cantonali, gradini. Anche il calcare duro, così come tutti imateriali lapidei che caratterizzano l’area iblea, ha un uso

antico5, diffuso e continuato nel corso dei secoli, fino all’in-troduzione del calcestruzzo armato il cui impiego ha stravoltoin meno di cento anni la fisionomia di quei territori in cui spic-cano i meravigliosi gioielli del barocco siciliano, oggi protettidall’Unesco e simbolo della genialità e della maestria diarchitetti, ingegneri, artisti e artigiani locali. L’esportazione diquesta pietra ebbe un notevole incremento alla finedell’Ottocento, grazie anche allo sviluppo della ferrovia chepermetteva un commercio più rapido e capillare. La diffusio-ne del calcare duro ibleo in Sicilia è testimoniato da opere digrande pregio architettonico. La pietra raggiunse anche lecoste africane (Tripoli e Bengasi) e l’isola di Malta.

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Chiesa Madre di San Giorgio, Modica.

La fornace Analisi morfologica e strutturale

5 - È doveroso precisare che il calcare del territorio dei montiiblei era stato ampiamente utilizzato in tutta l'area anche primadel catastrofico sisma del 1693 che distrusse gran parte del terri-torio, come testimoniano alcune latomie risalenti al periodo dellecolonie greche, in sarcofagi e sepolcri rinvenuti nelle necropoligreco-romane del IV secolo a.C., in manufatti risalenti al periodobizantino, normanno ed aragonese ed in alcune bellissime operedi architettura civile ed ecclesiastica di Modica, di Ragusa e diScicli; nonché gli splendidi manufatti realizzati durante la rico-struzione, ad opera di una maestranza locale altamente specia-lizzata e ricca di esperienza frutto di un’attività costante e con-solidata anche negli anni che precedettero il tragico evento.

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La pietra di Vittoria non è un vero e proprio calcare maun’arenaria biancastra molto compatta6, con ottime carat-teristiche meccaniche. Ampiamente utilizzata per la realizza-zione di strutture murarie portanti, di tamponamento edanche elementi divisori. Poco adatta alla realizzazione difregi, cornici e modanature varie.

La pietra di Comiso è una roccia di calcare a grana com-patta, formatasi nell’Oligocene Superiore (37-38 milioni dianni fa), largamente diffusa nel ragusano ed in particolarenelle colline che sovrastano Comiso, città nota al mondo perla splendida architettura barocca che la contraddistingue,interamente ricostruita con questo materiale, dopo il disastro-so terremoto che nel 1693 la rase completamente al suolo.

La coltivazione della pietra di Comiso viene fatta in cave’pirrere’) a cieloaperto; se i giaci-menti sono affio-ranti sui rilievi lecave assumonouna conformazio-ne ad anfiteatro,se in pianura, loscavo viene effet-tuato a fossa.Ogni cava ècomposta dallasuccessione dipiù strati, dellospessore e numero variabile a seconda della località di estra-zione: le cave ad ovest di Comiso presentano generalmenteventiquattro strati, quelle ad est sono costituite da un numeromaggiore. Ogni strato presenta, inoltre, valori di durezza ecompattezza che li differenziano l’uno dall’altro e ne carat-terizzano le peculiarità.

Il calcare, dall’intensa tonalità paglierina, presenta aspet-ti del tutto simili al marmo e viene largamente impiegatocome materiale da costruzione per interni ed esterni; maanche nel settore artistico-decorativo, nel quale vengonosfruttate le sue caratteristiche di segabilità, lucidabilità, dure-volezza, nonché nel campo dell’arredo urbano.

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6 - L'errore di considerare questa arenaria un calcare deriva dalfatto che, in passato, insieme all'arenaria sono state rinvenutemodeste quantità di calcare.

Pirrera della famiglia Lena a Comiso,1948. (http://comisani.altervista.org).

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Le particolari caratteristiche meccaniche7 di questo cal-care, tra le quali ottima resistenza a compressione, buonalavorabilità e durevolezza, ne hanno permesso un largoimpiego nel settore edilizio, in particolare per la realizzazionedi elementi strutturali quali fondazioni, murature portanti, voltereali.

Analizzando le varie parti del paramento murario della for-nace del Pisciotto, si può notare come ad una maggiore uni-formità nella natura del materiale costituente il paramentoesterno, corrisponda in alcune porzioni della muratura inter-na, la presenza di conci lapidei di colorazione diversa. È vero-simile ritenere che la diversa colorazione dei blocchi sia dovu-ta alle caratteristiche proprie del materiale estratto da piùcave8. Si ipotizza infatti che, data la mole dell’opera e la rapi-dità dei tempi richiesti per la sua realizzazione, era impossibileche una sola cava potesse fornire tutto il materiale occorren-te, considerato anche il fatto che le tecniche di estrazione

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Basilica Maria SS. Annunziata, Comiso.

7 - La pietra di Comiso ha peso specifico di 2490 kg/mc, resisten-za alla compressione di Mpa 100, resistenza alla flessione di Mpa21,1 e resistenza al calore di classe A.

La fornace Analisi morfologica e strutturale

8 - Era piuttosto usuale prelevare il materiale lapideo per lacostruzione di un'opera da cave ubicate in zone diverse, cosìcome è avvenuto, ad esempio, per la chiesa di San Giorgio aModica per la quale è stato utilizzato calcare proveniente da piùcave (contrada Vignazza, contrada S. Filippo, contrada sopra laPianta di Santa Teresa, Santa Maria, Consolazione).

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erano a quei tempi ancoraartigianali, così come leattrezzature che si limitavanoa cunei, mazze e picconi.Tale ipotesi è confortataanche dal fatto che in unastessa porzione di muratura,soggetta quindi allo stessotipo di azione di degrado, iconci non presentano tutti lemedesime condizioni e trablocchi contigui si evidenziaun diverso stato di conserva-zione dei blocchi.

Per di più, anche il mate-riale prelevato da una stessacava presenta caratteristichedifferenti (dalla struttura piùporosa a quella più compat-ta), a seconda della profondi-tà dello strato in cui vieneestratto. Ogni strato ha unapropria denominazione dia-lettale, derivante dalla tradi-zione locale. Si riporta diseguito un esempio di stratifi-cazione del fronte dell’antica

cava in contrada “A Razia”, situata ad est di Comiso, oggi incompleto abbandono, come tutte le cave del ragusano.

1. Cappellaccio2. Otto strati di “selvaggia”3. Quattro strati di “fradicia”4. Uno strato di “marcasita”5. Uno strato di “timpazza di sopra”6. Uno strato di “timpazza di sotto”7. Uno strato di “buttignuni”8. Uno strato di “scuoccio”9. Uno strato di “timpa di quattro palmi”10. Dodici strati di “selvaggia”.

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Dettaglio di alcuni conci costituenti una porzione del paramento di un setto murario inter-no. (Foto C. Bustinto).

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Quest’ultimo strato, di circa 30 centimetri ciascuno, è unottimo calcare ampiamente impiegato.

Da quanto sopra esposto e dall’esame visivo della pietracostituente le strutture murarie del manufatto oggetto delpresente studio, si può tranquillamente ritenere che questasia stata prelevata dalle cave di Modica o di Comiso. Si trat-ta infatti di un calcare duro a grana compatta che giunto incantiere dalla cava, veniva lavorato in conci mediamentesquadrati e di dimensioni variabili.

Le strutture murarie furono realizzate con blocchi di calca-re aventi pezzatura di media grandezza e forma più o meno

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Dettaglio di alcuni conci costituenti una porzione del paramento di un setto murario interno. (Foto C. Bustinto).

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regolare, sbozzati con buona tecnica nella faccia a vista,mentre una lavorazione più grossolana si evidenzia sul restodelle superfici che costituiscono il piano di posa dei vari stratie le facce interne della muratura. Le dimensioni dei blocchipresentano una lunghezza compresa tra 20 e 40 cm, un’al-tezza tra 5 e 25 cm e una larghezza tra 15 e 30 cm. Questifurono utilizzati sia per le strutture perimetrali, sia per i muri divi-sori. La muratura perimetrale è spessa 75 cm alla base e pre-senta una risega in corrispondenza di ogni orizzontamento,diminuendo lo spessore di circa 10 cm per volta cosicchè lamuratura del primo piano si riduce a 65 cm e quella dell’ulti-ma elevazione a 55 cm.

I blocchi lapidei costituiscono i paramenti esterrni dellamuratura e furono posti in opera a giunti sfalsati su filari oriz-zontali. Blocchi più piccoli e irregolari furono inseriti nell’inter-capedine muraria insieme alla malta aerea.

Gli interstizi tra un concio e l’altro del paramento murariovenivano riempiti con malta e schegge di pietrame o lateriziodi varia pezzatura, al fine di garantire una corretta distribuzio-ne dei carichi verticali su tutta la struttura muraria.

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Misurazione dei blocchi lapidei durante un sopralluogo effettuato nel febbraio 2012. (Foto C. Bustinto).

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Blocchi delle dimensioni pari alla larghezza del muro veni-vano disposti trasversalmente per migliorare la solidità dellastruttura. La grande perizia e sapienza costruttiva delle mae-stranze coinvolte hanno dato vita ad un manufatto sorpren-dente il cui risultato è ancora oggi agli occhi di tutti.

Lo spazio interno era scandito da alti pilastri sormontati daarchi a tutto sesto che segnavano l’andamento longitudina-le delle tre navate, interrotto trasversalmente dalla presenza

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Schegge di calcare inserite tra un concio e l’altro. (Foto C. Bustinto).

Dettagli della struttura muraria in cui si evidenzia la tec-nica di posa in opera dei conci. (Foto C. Bustinto).

Sezione trasversale della struttura muraria.(Restituzione grafica C. Bustinto).

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dei setti murari che delimitavano il vano motore ed altri spazidi servizio, dividendo la sala macchine, ad ovest, dal fornoHoffmann, ad est.

La struttura muraria lasciata a vista mostra i fori dellebuche pontaie, di tradizione medievale ma ampiamenteusate nel sud Italia fino al XIX secolo, necessarie per la costru-zione delle impalcature che dovevano sostenere gli operaidurante l’esecuzione dell’opera. Altri fori si possono scorgerein corrispondenza degli interpiani dove le travi dei solai ligneisi innestavano alla struttura in elevazione.

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Le grandi arcate delle navate centrali fortemente danneggiate. (Foto C. Bustinto).

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Le partizioni interne dei vani erano realizzate anch'esse inconci di calcare duro ma la muratura presenta uno spessoreinferiore a quello delle strutture portanti principali.

Contrariamente al resto dell’edificio, alcune pareti di que-sti vani presentano tracce di intonaco sulle due facce.

La struttura muraria denuncia una lavorazione più accu-rata laddove è stata integrata da elementi sia strutturali siadecorativi che conferiscono all’edificio una particolare ele-ganza, come I cunei degli archi a piano terra e delle bifore

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Le partizioni interne: si può ancora scorgere qualche traccia di intonaco su alcune pareti dei vani centrali. (Foto C. Bustinto).

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delle successive elevazioni, lavorati a bocciarda e posti inrilievo di circa 10 cm. Le chiavi di volta degli archi sono piùalte degli altri cunei e il concio d’imposta è impreziosito dauna modanatura semicircolare. Anche le mensole poste al disotto delle travi di solaio, necessarie a ridurre la luce liberad’inflessione, contribuiscono a conferire una sobria eleganzaal manufatto.

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A sinistra, particolare di una mensola ricavata da un blocco di calcare e posta in corrispondenza degli appoggi delle travi disolaio per la riduzione della luce libera di inflessione. A destra, le arcate e le bifore di prospetto impreziosite dagli elementi lapidei

lavorati a bugnato ed emergenti dal piano del paramento murario. (Foto C. Bustinto).

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Le spalle degli archi e delle bifore soprastanti, gli spigoli ei cantonali sono realizzati con conci più grandi accurata-mente lavorati. Questi ultimi presentano ottime ammorsaturenelle due direzioni che garantiscono un perfetto ancoraggiotra le pareti9. I prospetti dei lati più corti presentano alte para-ste (anche queste leggermente aggettanti e bocciardate),che segnano il paramento murario in corrispondenza della“navata centrale” dell’edificio.

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9 - In genere, spigoli e cantonali venivano realizzati con conci dicalcare tenero, più facilmente lavorabile, sui quali era possibilerealizzare decorazioni e rilievi. Nel caso specifico della FornacePenna, anche i sobri cantonali sono stati realizzati in conci di cal-care duro, così come era uso comune nell'edilizia rurale per laquale non erano richieste particolari lavorazioni.

Cantonale realizzato con grandi blocchi in leggero aggetto rispettoal piano della muratura. (Foto C. Bustinto). Misurazione dei blocchi lapidei durante un sopralluogo

effettuato nel febbraio 2012. (Foto C. Bustinto).

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Sia i cantonali sia le paraste partonoda un piccolo basamento in pietracostituente il piano di imposta di tutta lastruttura muraria e si concludono, insommità, all’altezza della copertura.

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Il prospetto est dell’edificio non denuncia crolli e risulta ancora in buone condizioni non essendo esposto ai venti predominanti e all’attaco diret-to della salsedine. (Foto C. Bustinto).

Dettaglio dell’attacco aterra. (Foto C. Bustinto).

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Quanto alle pavimentazioni interne, di cui ancora oggirimane qualche traccia, queste erano realizzate con mar-mette pressate, in genere di forma quadrata, con lato com-preso tra 35 e 40 cm ed uno spessore di circa 3 cm.

Gli infissi di porte e finestre erano in legno, così come lacopertura e i solai.

La restante parte del piano terreno era occupata dalgrande forno Hoffmann, a pianta ellittica, che si sviluppavaper una lunghezza di 44 metri, all’interno dell’area delimitatadalla navata centrale, i cui pilastri erano parzialmente inglo-bati nella struttura muraria leggermente inclinata nella facciaesterna.

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Fianco laterale del forno in una foto del 1989. (Foto T. Firrone).

Qualche residuo della pavimentazione dei vani. (Foto C.Bustinto).

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Il paramento murario esterno, realizzato con blocchi dicalcare, denuncia anch’esso la presenza di conci lapidei dif-ferenti sia nella pezzatura che nella natura intrinseca delmateriale.

Le bocche delle sedici camere del forno riprendono latipologia ad arco di tutte le aperture che forano l’edificio eanche queste sono incorniciate da blocchi accuratamentelavorati. Il grande corridoio ellittico del forno è largo 3,20 metried è coperto da una volta a sesto ribassato, avente un’al-tezza di 2,80 metri in sommità. Attraverso i fori praticati nellavolta le fiamme giungevano in una camera dopo l’altra,ognuna lunga 5 metri e separata dagli altri vani da setti rimo-vibili.

La struttura interna del forno è stata realizzata con matto-ni refrattari in argilla con alta percentuale di allumina e silice,in grado di sopportare altissime temperature e notevoli shocktermici. I mattoni, legati con malta anch’essa refrattaria, furo-no poi rivestiti esternamente con i blocchi di calcare.

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Porzioni del corridoio ellittico del forno (foto F. Palazzolo e C. Bustinto).

Una delle porte di ingresso alla fornace. (Foto C.Bustinto).

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Le uniche strutturerealizzate con mattoni dilaterizio sono, oltre il giàcitato forno, il caminodella ciminiera, il cuibasamento è rivestitocon i blocchi lapidei cheesaltano il contrastomaterico, e parte deglialtri edifici di servizioannessi all’opificio.

L'elegante ciminieraper il tiraggio forzato deifumi svettava con i suoi41 metri, in prossimitàdello stabilimento, inposizione centrale rispet-to alla lunghezza delforno. Un basamento apianta ottagonale, face-va da piano di appoggioall'alto camino circolarerealizzato in mattoni rossicon mirabile tecnicacostruttiva, oggi venutaalla luce a causa delcrollo parziale del manu-fatto.

Le altre costruzionipertinenti all’impiantonon presentano partico-lari stilistici degni di nota.Si tratta in genere dicostruzioni modeste, rea-lizzate con conci di cal-care duro insieme a mat-toni in laterizio impiegatiper la costruzione di stipi-ti, cantonali, architravi,archi ribassati.

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L’alto basamento della ciminiera, rivestito esternamente in pietra calcarea e impreziosito dasemplici accorgimenti stilistici, conferisce maggiore solennità all’intero complesso. (Foto C.Bustinto).

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Suggestiva immagine della fornace ripresa dall’alto in cui è possibile valutare le condizioni di degrado in cui versa il manufatto. (Foto tratta dalsito http://www.vanityfair.it. Viaggi di Archeologia Industriale in Italia).

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Lo stato dell’arteL’edificio principale è ridotto a un rudere: l’intera struttura,

priva di orizzontamenti, ha perso la stabilità e i muri di spinanon hanno alcun elemento a contrasto delle spinte trasver-sali, tranne i setti murari del vano motore e degli altri ambien-ti di servizio.

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Porzione delle strutture murarie del vano adibito alla fabbricazione degli stampi. Si può ancora vedereu na porzione dell’arco di scarico dellascala in muratura che conduceva al primo piano. (Foto C. Bustinto).

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Alcune arcate sono crollate così come la porzione supe-riore del prospetto ovest.

Il calore prodotto dal gravoso carico d’incendio, costitui-to da tutti i componenti lignei presenti in esso (solai, copertu-re, infissi ed altro), hanno minato la staticità dell’opera mura-ria che si eleva in gran parte a bandiera, per un’altezza dicirca tredici metri. Inoltre, la mancanza della copertura hafacilitato l’azione corrosiva della acque meteoriche che, infil-trandosi tra le connessure, hanno contribuito al degradodella malta aerea usata come legante e del materiale lapi-deo che, lasciato a faccia vista, costituisce l’intero paramen-to murario e sul quale si notano fenditure di varia entità. Leacque meteoriche sono un fattore determinante nei proces-

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Dettaglio delle connessure tra i conci in cui si evidenzia la mancanza della malta erosa dall’azione meteorica. (Foto C. Bustinto).

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si di degrado anche se in questo caso specifi-co, essendo il calcare compatto e non poroso,lo stato di alterazione riguarda soltanto la super-ficie esterna esposta o eventuali fessure presen-ti nel materiale.

Il vento di tramontana e il vento di ponentecontinuano a colpire impietosamente le ormaisemidistrutte facciate esposte a nord e a oveste la salsedine ha intaccato interamente la strut-tura.

L'attenta osservazione del manufatto haposto in evidenza che alcune zone della mura-tura risultano più degradate di altre. Si rileva, inparticolare, l’esfoliazione e la differente colora-

Prospetto ovest. (Foto C. Bustinto).

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Prospetto nord. (Foto F. Palazzolo).

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zione della parte superficiale dei conci del paramento mura-rio interno, che risultano più scuri in corrispondenza dellaquota di solaio, dove la presenza massiccia di elementi ligneicolpiti dalle fiamme, ha agito sui blocchi lapidei in manierapiù incisiva e più a lungo rispetto ad altre zone della muratura.

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I blocchi di calcare forte calcificati dall’incendio. (FotoC. Bustinto).

Porzioni di muratura in cui è possibile vedere i fori per l’alloggiamento delle travi e i blocchi lapidei più scuri, proprio al di sopradelle travi di solaio, perchè più intensamente colpiti dalle fiamme. (Foto C. Bustinto).

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Tutti i serramenti lignei sono ovviamente mancanti.Restano le tracce dei perni in legno infissi agli stipiti delle arca-te per accogliere i controtelai delle porte di accesso al corpodi fabbrica.

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A destra, dettaglio dei perni in legno peril fissaggio dei serramenti. (Foto C.Bustinto).

Dettaglio dei blocchi lapidei che hanno subito maggiori danneggiamenti acausa delle altissime temperature e del prolungato tempo di esposizione allefiamme. (Foto C. Bustinto).

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Le erbacce e la vegetazione si sono riappropriate deglispazi svuotati dai macchinari ed avanzano su quello cheresta della struttura pericolante. Le macchine, le attrezzature,tutte le parti metalliche e le rotaie dei vagoni Decauville cheportavano il prodotto finito all'imbarco, furono venduti subitodopo quella devastante notte che mandò in cenere i sogni ele speranze di un centinaio di giovani operai e con essi quellidi una rappresentanza dell'imprenditoria siciliana.

Crolli di consistente entità si osservano sull’alta ciminierache sovrasta l’edificio e che, ormai persa la sua funzione pri-maria, sopravviveoggi come suggesti-vo segnale. L’altobasamento in cal-care è ancora inbuone condizioni,mentre la strutturadel camino circola-re, colpito da un ful-mine a metà deglianni Ottanta delsecolo scorso, nel1989 è crollata, ametà, per quasitutta l’altezza delcamino, mostrandogravi danneggia-menti e importantilesioni nella parterestante della com-plessa struttura, chefanno temere unimminente definitivocrollo.

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Le strutture superstiti del manufatto, invaso dalla vegeta-zione e disseminato dai blocchi che costantemente edinesorabilmente cadono al suolo. (Foto C. Bustinto).

La ciminiera (FotoC. Bustinto).

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In buona parte della muratura è infatti assente la malta cheun tempo legava i mattoni, molti dei quali sono gravementedegradati e continuano a staccarsi dal manufatto con seripericoli per l’incolumità di chi, mosso dalla curiosità e dal

fascino di questi luoghi, siavvicina ai fabbricati perammirarne da vicino l’im-ponenza e l’accurata fattu-ra. Il deterioramento deigiunti ha determinato l’infil-trazione delle acquemeteoriche con ulteriore econtinuato aggravamentodelle condizioni statiche delmanufatto, che si possononotare anche lungo lepareti interne del camino.

I crolli hanno messo anudo la struttura ‘a doppiacanna’ del camino, posta

Dettaglio del paramento murario del camino in cui si evidenzia il dis-tacco dei mattoni provocato dal degrado della malta. (Foto C.Bustinto).

Interno del camino. (Foto F.Palazzolo).

Dettaglio della tecnica costruttiva impiegata per lacostruzione del camino. (Foto C. Bustinto).

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in opera con grande maestria. Si tratta di una costruzionealquanto complessa che prevede la realizzazzione di uncamino interno a sezione circolare costante, collegato alrivestimento esterno attraverso sedici costolonature chehanno anche il compito di irrigidire la snella struttura delmanufatto, consentendo altezze maggiori rispetto al passato,necessarie per lo smaltimento veloce dei fumi. Il rivestimentoesterno, inoltre, smorzava l’escursione termica delle pareti delcamino interno, proteggendolo anche dagli agenti atmosfe-rici.

Delle strutture destinate ad essiccatoi per i mattoni pienied il materiale più resistente, restano oggi solo le tracce chesi sviluppano perpendicolarmente al fianco sud del fabbrica-to principale, per una lunghezza di circa 42 metri, estenden-dosi su una superficie di circa 1900 mq ed occupando circaun terzo del grande piazzale a sud dell’impianto.

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Tracce delle strutture murarie costituenti gli essiccatoi. (Foto C. Bustinto).

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In prossimità della ciminiera sorgeva un fabbricato contetto a capanna, destinato ad accogliere alcune attrezzatu-re. Oggi le mura, anche queste in blocchi di calcare forte,sono quasi del tutto dirute ma si possono ancora vedere learcate a sesto ribassato dei prospetti più corti, realizzate conmattoni pieni, sapientemente ammorsati, che regalano untocco di colore al bianco delle superfici murarie.

I resti del corpo di fabbrica in prossimità della ciminiera. (Foto C. Bustinto).

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I corpi di fabbrica a nord dell’opificio si presentano anco-ra in discreto stato conservativo. In particolare, alcune costru-zioni che si sviluppano lungo il fronte nord-est, destinate adalloggi ed uffici, presentano parziali crolli delle coperturelignee, a falde inclinate, che hanno determinato il degradodelle strutture interne sottoposte all’azione degli agenti atmo-sferici. Le strutture murarie, anche queste realizzate in calca-re compatto, sono invece in discrete condizioni, pur presen-tando in alcune porzioni del paramento murario condizioni didegrado maggiore rispetto ad altri punti.

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Porzione del fronte nord dell’impianto. Le costruzioni si presentanoancora oggi in discrete condizioni. (Foto C. Bustinto).

A destra fotodi un ambien-te interno diun fabbricatoa due eleva-zioni. Il tetto ècrollato, cosìcome il solaiodi interpianor e a l i z z a t ocon profili inacciaio etavelle inlaterizio. (FotoC. Bustinto).

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Alcuni di questi fabbricati sono abitati da contadini localiche lavorano i campi intorno la fornace, ancora oggi colti-vati a vite.

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Attuali condizioni dei corpi bassi fotografati dal piazzale interno dell’opificio. (Foto C. Bustinto).

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I vigneti intorno alla fabbrica. (Foto C. Bustinto).

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La fornace costituiva un polo di grande interesse econo-mico attorno al quale si svolgeva un'attività frenetica chevedeva coinvolto non solo il lavoro degli operai ma gli inte-ressi dell'imprenditoria siciliana della fine del secolo scorso econ essi l’abilità, l’inventiva, il senso d'avventura che caratte-rizzò la prima Rivoluzione Industriale1.

Dopo il disastro nessuno volle più occuparsi di ciò cherestava dello stabilimento bruciato. Venduti i macchinari equel poco che rimase delle attrezzature, tutto fu lasciato cosìcome si presentò all’alba dall’incendio. L’ingegnere Emolonon volle più sentir parlare della fornace e lo stesso baronePenna e la sua famiglia, si disinteressarono completamentedell’impianto il cui terreno si trasformò ben presto in pascolo,circondato dai preesistenti vigneti.

Dopo pochi anni dall’incendio dello stabilimento, il baro-ne Guglielmo dona ai figli, Tommaso e Francesco, le terre delPisciotto ed «ogni suo diritto e pertinenza sul detto diruto sta-bilimento ed accessori ed annessi dello stabilimento medesi-mo» che vengono divisi in parti uguali tra i due fratelli cosìcome si legge nell’atto notarile redatto il 7 marzo 1930, dalnotaio Francesco Paolo Conforto di Scicli e registrato al n.488.

Un primo segnale di interesse per la sorte della fornace simanifesta nel 1955, quando gli eredi dei soci della ‘BaroneGuglielmo Penna e C.’, costituita per la realizzazione dell’opi-ficio, conferirono procura speciale al dott. Alberto Vacirca diNoto di espletare « ...tutte le pratiche necessarie per ottenere

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Un destino ancora incertoCarmelo Bustinto*

1 - Gli ultimi anni dell’800 e i primi del ‘900 individuano per l’Italiaun momento decisivo dell’evoluzione industriale del Paese, in cuiemerge una fervente attività imprenditoriale agevolata edincrementata dallo sviluppo delle tecnologie industriali.

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tutte le agevolazioni fiscali e di qualunque altra natura relati-ve all’impianto per la produzione di laterizi e di altri eventualiprodotti prefabbricati per l’edilizia in Contrada Pisciotto, interritorio di Scicli e per la costruzione, fra gli stessi comparentied altri, di una società a responsabilità limitata per la produ-zione e vendita di laterizi ed altri eventuali materiali per l’edi-lizia» . L’atto, redatto dal notaio Francesco Favi di Scicli, indata 18 ottobre 1955 e registrato al n.450, fu firmato daGuglielmo Penna figlio del barone Tommaso, Raimondo eMariannina Penna figli del cavaliere Bartolomeo, Gerolama,Carolina e Gugliemina Penna figlie del baronello Francesco edella duchessa Ines, Guglielmo, Francesco ed Emilio Emmolofigli dell’ingegnere Ignazio.

Nel febbraio del 1963, con atto del notaio Cartia di Scicli,i signori barone Guglielmo Penna, ingegnere Mario Galvanoe il signor Raffaele Tomai costituirono una società per azionidenominata ‘Industria Laterizi Mediterranea’, iscritta al n.420,con capitale sociale di £ 1.000.000 e sede a Scicli; ma dopopoco più di due anni, il 12 luglio 1965, una delibera di assem-blea straordinaria, annotata nel registro società presso laCancelleria del Tribunale di Modica, ne decretò lo sciogli-mento.

Intanto, sempre negli anni Sessanta, la costa sud-orientaledell’isola cominciava ad assumere importanti valenze turisti-che e la fornace del Pisciotto di Scicli non fu più solo ‘lo sta-bilimento bruciato’, tristemente noto alla popolazione locale,ma cominciò ad essere considerata un simbolo di quei luoghie, insieme, oggetto di grandi polemiche e dibattiti. Gentecomune, enti, associazioni, si sono più volte mossi negli anni enei modi più vari, al fine di svegliare l’interesse dei responsa-bili sulla necessità di salvaguardare quel che restava dell’opi-ficio. Ma raccolte di firme, manifestazioni, mostre, incontri,convegni, proteste, articoli apparsi sui quotidiani locali, tesi dilaurea e proposte di recupero, sono finiti sempre nel silenzio el’intera area, sempre più degradata, è oggi ridotta ad uncumulo di immondizia e a luogo di incontro di coppie incerca di privacy.

I problemi che determinano la stasi sono molteplici, primofra tutti è la divergenza degli intenti portati avanti dai privatie dalle amministrazioni pubbliche; c'è poi il problema legato

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agli elevatissimi costi degli interventi di messa in sicurezza, risa-namento ed eventuale recupero dell’area.

Un destino ancora incerto

Omaggio alla fornace Penna dello scomparso pittore sciclitano Ugo Caruso, legato fortemente alla sua terra e ai luoghi delPisciotto dove amava trascorrere il suo tempo libero.

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I privati sono sempre stati interessati essenzialmente al pro-fitto economico propendendo, per lo più, per la completademolizione del manufatto o, in alternativa, per l’inserimentodi nuove strutture all’interno del costruito. Numerose sonostate, in tal senso, le iniziative presentate fin dagli anniOttanta del secolo scorso, con proposte quali la realizzazionedi un centro multimediale di supporto del Costaiblea FilmFestival di Scicli o di un impianto polifunzionale, servito da unporto turistico, con albergo, teatro e museo o, ancora, uncentro sperimentale per le colture in serra della fascia costie-ra. L’Amministrazione Pubblica ha invece optato per propo-ste operative inizialmente mirate alla rifunzionalizzazione del-l’area (ma non del manufatto), nel tentativo di riabilitare areeabbandonate, realizzando passeggiate panoramiche ed iti-nerari naturalistici. Il rischio però di relegare l’edificio della for-nace a un mero reperto archeologico e l’incalzare di petizio-ni popolari e lettere aperte, nonchè il succedersi dei crolli, haindotto, verso la fine degli anni Ottanta, ad un diverso atteg-giamento volto alla preservazione della memoria collettiva ealla promozione di interventi di restauro delle strutture soprav-vissute. A tale fine il Comune di Scicli ha imposto una serie divincoli per impedire la demolizione dello stabilimento ma nonè ancora riuscito a procedere all’acquisizione del manufatto,unico mezzo per giungere alla sua valorizzazione pubblica.

Già nell’agosto del 1989 il Giornale di Scicli pubblicò unapetizione popolare con la quale veniva espressa la preoccu-pazione dei cittadini e dei villeggianti per il lento e inarresta-bile processo di degrado delle strutture murarie della fornace,minata dall’azione erosiva del tempo e dall’incuria umana.

A tutela, salvaguardia e valorizzazione dell’impianto, mira-bile testimonianza di archeologia industriale, i firmatari dellapetizione proponevano le seguenti linee operative:

«1. interventi urgenti di ripristino e di consolidamento con-servativo utilizzando, eventualmente, anche i poteri di ordi-

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Fotografia tratta dall’arti-colo pubblicato il 5 feb-braio 1989 su Il Giornale diScicli.

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nanza sindacale;2. acquisizione al Comune della fornace e dell’area del

Pisciotto;3. concorso di idee per la valorizzazione e l’uso pubblico

del Pisciotto»2 .Sempre nell’agosto del 1989 viene istituito a Sampieri il

Premio Nazionale di Poesia ‘Marsa Siklah’, promosso e orga-nizzato dal Club Nautico di Sampieri, con il patrocinio delComune di Scicli e la collaborazione dell’AmministrazioneProvinciale di Ragusa, della Camera di Commercio, Industria,Artigianato e Agricoltura di Ragusa (C.C.I.A.A.) e delComune di Modica. Obiettivo principale del Club Nautico, ilcui simbolo ritrae la fornace Penna, era quello di valorizzare illitorale, le dune e la spiaggia di Sampieri e richiamare l’at-tenzione su Punta Pisciotto e la sua fornace, splendidamenteilluminata per l’occasione.

Nel 1990 la Fondazione Culturale Vitaliano Brancati otten-ne la disposizione del decreto di “Vincolo Monumentale” sullo

Un destino ancora incerto 123

2 - Pisciotto: una petizione popolare, in “Il Giornale di Scicli”, 27agosto 1989.

La Fornace Penna illumi-nata a giorno in occasio-ne del Premio Nazionaledi Poesia promosso dalClub Nautico di Sampieri.

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stabilimento, ai sensi della ex legge 1089/39, con il riconosci-mento di “Esempio di Architettura Industriale di notevole pre-gio”, ma l’apposizione del vincolo non ha mai avuto naturagiuridica cogente in quanto la notifica fu inviata ad uno solodegli eredi che, tra l’altro, la ricevette solo nel 2004, con benquattordici anni di ritardo.

A causa di questo grave errore la Sovrintendenza nonpotè operare una perizia di messa in sicurezza in danno deiproprietari, dato che il vincolo non era stato formalmentenotificato agli stessi.

Intanto la fornace continua a sgretolarsi sotto gli occhi ditutti e nel 1993 crolla parte della facciata esposta a ovest.

Nel 1997 l’assessore regionale ai Beni Culturali e Ambientaliemana un provvedimento di tutela della costa in prossimità diSampieri, apponendo un vincolo di “ImmodificabilitàTemporanea” al fine di procedere alla pianificazione paesi-stica adottata dalla Regione Sicilia con un proprio PianoTerritoriale. Tale provvedimento vietava, fino all’approvazio-ne del Piano Territoriale, ma comunque non oltre il 1998, « ...qualsiasi modifica ordinaria, straordinaria, d’assetto del terri-torio nonchè qualsiasi opera edilizia con l’esclusione degliinterventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consoli-damento statico e di restauro conservativo che non alterinolo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.» .

Nel 1998 viene presentato il Piano Regolatore Generale,redatto dall’architetto Paolo Portoghesi, che prevedeva perla Fornace e il lotto a questa pertinente una destinazioned’uso socio-culturale, destinando invece il fabbricato cheospitava gli operai e gli uffici, posto a nord dell’area, adattrezzatura privata turistico-ricettiva. In conseguenza di ciò,nello stesso anno, viene apposto alla Fornace il vincolo di“Destinazione Socio-Culturale”. La cosa non fu gradita daglieredi che già in sede di osservazione del PRG chiedevano lamodifica della destinazione d’uso della fornace da socio-cul-turale a turistico-ricettiva. Ma anche la Variante Generale alPRG, approvata nel 2002, conferma le due diverse destina-zioni d’uso.

Nell’art. 35.Ft1 al punto 9 si legge: «... nella zona Ft.2(Attrezzature ricettive ovvero il fabbricato a L) adiacente allafornace Penna non è consentita l’edificazione di nuovi edifi-

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ci nè l’ampliamento di quelli esistenti » .3Intanto, nel 1999 era stato approvato il Piano Paesistico

Regionale nel quale la fornace Penna viene classificatacome bene isolato, al n.241 per la classe D9, ovvero architet-tura produttiva (calcare, fornaci, forni, stazzoni).

Veniva anche proposto all’Ars l’inserimento in finanziaria2001- 06 di 500 mila euro per la riqualificazione del sito. Lacifra fu ridotta della metà, ma lo stanziamento non avvenne.

Oggi le proprietà di Contrada Pisciotto di Ciarciolo sonoregistrate al N.C.T. del Comune di Scicli al foglio 135, particel-la 63 di ha. 0.70.30 e particella 65 di ha. 1.92.30, ricadente inZona E1, ovvero “zona agricola di particolare interesseambientale”, sulla quale grava un vincolo di inedificabilità

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Articolo comparso su La Sicilia il 12 agosto 1997.

3 - Articolo 35 Ft.1: attrezzature balneari, Titolo IV: norme perzone. Norme Tecniche di Attuazione del Piano RegolatoreGenerale del Comune di Scicli.

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assoluta. Il Comune di Scicli

chiese ai proprietari lamessa in sicurezzadell’impianto ma solonel 2003 questi provvi-dero a fare realizzareuna recinzione, oggiin parte distrutta, perimpedire l’ingressoall’area ormai perico-lante.

Sempre nel 2003 lafamiglia Penna ritornaalla carica presentan-do, in occasione diuna conferenza diservizio tra laProvincia Regionaledi Ragusa, il Comunedi Scicli e laSoprintendenza, laproposta per la tra-sformazione della for-nace in un resort a

cinque stelle, l’Hotel Barone di Portosalvo, con 100 camerecon vista mare e duecento posti letto, sala congressi ecampo da golf. Una costruzione sviluppata su tre livelli edinserita nella preesistente struttura. Gli eredi speravano così diconvincere i rappresentanti delle amministrazioni a modifica-re la destinazione d’uso della fornace da socio-culturale aturistoco-ricettiva.

La baronessa Angela Penna che detiene la maggioranzadella proprietà, insieme ai figli Guglielmino e Francesca con-tinua a battersi per portare a compimento l’intenzione delmarito Francesco Penna, barone di Portosalvo, prematura-mente scomparso, il quale fin dai primi anni Ottanta avevalavorato all’idea di realizzare un albergo, avviando unanuova attività imprenditoriale che, sulle orme del suo avoGugliemo, avrebbe garantito la continuità del controllo della

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Stralcio della tavola 14 della variante generale del PRG.

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famiglia sul territorio, in cambio di nuove prospettive di lavoroe crescita economica in un contesto già valorizzatodall’UNESCO per le sue prestigiose opere barocche e ricer-cata meta turistica per l’offerta naturalistica e paesaggistica.

I pareri a tal proposito furono contrastanti. Esponenti dellaSovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Ragusa,avevano apprezzato il progetto, definendolo accettabile dalpunto di vista della tutela in quanto prevedeva l’inserimentodi corpi di fabbrica all’interno della struttura esistente che nonveniva pertanto demolita. Anche gli esponenti dellaProvincia di Ragusa sembrava vedessero di buon grado que-sta proposta in quanto in linea con la politica di sviluppo turi-stico del territorio, volta alla qualificazione del patrimonio arti-stico di Scicli e del suo comprensorio.

Il sindaco di Scicli pro-tempore, passò la mano dichiaran-do di non essere nelle condizioni di poter prendere una deci-sione che, per la sua delicatezza, richiedeva un più ampiodibattito che oltrepassasse anche i limiti territoriali della pro-vincia, coinvolgendo esponenti della cultura e tecnici.Seguono incontri, dibattiti e convegni sull’argomento, inoccasione di uno dei quali, promosso nel 2004 dall'Assessoreal Territorio e Ambiente, sulla salvaguardia dell’ex fornacePenna, sono emerse due possibili linee di condotta: una rela-tiva alla proposta di intervento di carattere privato che miraalla ristrutturazione finalizzata alla realizzazione di un’attivitàalberghiera; l’altra che prevede la costituzione di un tavolotecnico composto da esponenti della Provincia, del Comunee della Sovrintendenza con lo scopo di mettere in atto inter-venti urgenti e mirati per fermare il processo di degrado dellostabilimento. Anche in seguito la Giunta Comunale e laSoprintendente della Provincia di Ragusa, in carica dal 2007al 2010, si espressero negativamente riguardo il progetto perla realizzazione di un’attività turistico-alberghiera, ritenendoche il nuovo impianto turistico avrebbe distorto lo skyline el’essenza stessa del sito e « ... avrebbe stravolto la natura del-l’edificio ...»4. Ma al di là di alcune proposte per la rifunziona-lizzazione dell’area (e non del costruito), con passeggiatepanoramiche e itinerari naturalistici, nulla ad oggi è statoeffettivamente compiuto.

Intanto, altri vincoli si sono aggiunti nel tempo tra cui il

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4 - A questo seguirono altri progetti presentati all’Ufficio TecnicoComunale e che ricorrevano all’artificio del “falso storico” perricostruire la fornace e farne struttura ricettiva turistica, ma le pro-poste sono sempre state bocciate.

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“Vincolo di inedificabilità entro i 150 metri dalla costa” ilquale, secondo quanto previsto dall’art. 15 della LeggeRegionale 78/76, prescrive che: «... entro detta fascia sonoconsentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione delmare, nonchè la ristrutturazione di edifici esistenti senza alte-razione dei volumi già realizzati.».

Ma, nella notte dell’8 dicembre 2005, la maggioranzaall’Ars approva un maxi emendamento, nel pacchetto omni-bus della Finanziaria Regionale, consentendo ai privati pro-prietari di ruderi ricadenti entro 150 metri dalla battigia, di uti-lizzare i volumi urbanistici precedenti e costruire strutture ricet-tive; legge che avrebbe permesso la realizzazione dell’alber-go dentro la fornace. Fortunatamente, nel 2007, ilCommissario dello Stato impugna l’emendamento.

Le proteste dei cittadini si fanno sempre più accese edenti e associazioni fanno di tutto per svegliare il torpore checontinua a gravare sulla fornace. C’è chi approda a PuntaPisciotto per affiggere la sagoma di un tirannosauro vicinoalla fornace , con la scritta: «Immobile abbandonato a rischiodi estinzione.».

É opinione sempre più condivisa che primo passo per ilrecupero del bene debba essere l’esproprio e quindi l’acqui-sizione della fornace al patrimonio pubblico. È un percorsoindividuato dalla legge sui beni culturali del 1939 (risalentequindi al Ventennio fascista) e ribadita dal cosiddetto“Codice Urbani”, varato dal Ministro Giuliano Urbani.

La legge prevede che nel caso in cui i proprietari di unbene sottoposto a vincolo monumentale non provvedano

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La sagoma del tirannosauro campeggia sulla staccionata delPisciotto nell’estate del 2007.

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alla preservazione del monumento, la Sovrintendenza hal’obbligo di agire in sostituzione e in danno dei privati ina-dempienti. A tal fine il Comune di Scicli ha sollecitato laSovrintendenza competente per territorio ad attivare un iterche prevede, in prima istanza, la richiesta agli eredi di unintervento di tutela per la preservazione del monumento e, inmancanza di adempimento, un intervento della stessa insostituzione e in danno dei privati proprietari, addebitandoagli eredi i costi di intervento che, vista la dimensione del sito,l’imponenza dell’opera e le condizioni in cui versa, non sareb-bero indifferenti.

Nel 2008, la Sovrintendenza provvede a notificare nuova-mente il decreto di “Vincolo Monumentale” apposto nel 1990ma, come già detto, pervenuto nel 2004 ad un solo erede equindi privo di effetti legali. Ancora una volta, a causa di unerrore, un erede residente negli Stati Uniti, non fu raggiunto;cosa che indusse la famiglia Penna a ricorrere al Tar che con-fermò comunque la responsabilità degli eredi riguardo lacustodia e la tutela del rudere.

Nel 2009 si procede ancora una volta alla notifica chepare sia finalmente giunta a tutti i proprietari5 e pertanto puòprodurre gli effetti legali conseguenti e prima descritti.

In data 9 luglio 2009 il Sindaco di Scicli emette un’ordinan-za con oggetto: «Messa in sicurezza della struttura denomina-ta Fornace Penna in C.da Pisciotto» che ordina agli erediquanto segue:

«a) A provvedere alla messa in sicurezza delle aree adia-centi l’immobile denominato “Fornace Penna” sito in C.daPisciotto del Comune di Scicli, mediante opera manutentivae/o sostituzione della barriera interdittiva esistente, costituitada rete metallica e paletti, allo stato attuale in più punti divel-ta, al fine di ricostruirne l’ntegrità e l’inaccessibilità delle areeadiacenti l’mmobile.

b) La messa in sicurezza di pozzi e buche presenti nelpiano calpestio dell’area adiacente l’immobile rudere inoggetto, fra l’altro questi resi ancora più pericolosi in quantooccultati alla visibilità dalla vegetazione.

La messa in sicurezza di cui ai punti a) e b), dovrà essereeseguita entro giorni 6 (sei) dal ricevimento della presentenotifica.».

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5 - Attuali proprietari della fornace Penna: Terranova AngelaMaria Emma, Penna Guglielmo Francesco Tommaso, GravinaFrancesco, Mormino Alessandra, Mormino Emanuele, BartoliGaetana, Buscemi Maria Concetta, Buscemi Maria CristinaGaetana, Buscemi Francesca, Buscemi Giuseppe, MorminoRaffaella Maria, Mormino Ines, Mormino Mario Emanuele,Mormino Antonio, Mormino Marcella, Mormino Ignazio, BianchiLoredana, Papaleo Maria Concetta, Musso Clemente.

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A tale ordinanza sindacale segue infine il vincolo di“Conservazione con effetto immediato”, imposto il 31 luglio2009 con decreto, vigente e cogente, dell’AssessoratoRegionale ai Beni Culturali. Nel decreto di vincolo si legge, tral’altro, che «Il complesso fa già parte della letteratura specifi-ca essendo stato registrato negli anni 60 dall’Enciclopediadella Tecnologia (Boringhieri, Torino, 1967) e dalla rivistaIndustrial Archeology nel 1992, e più recentemente censitocome esempio di archeologia industriale da Wikipedia» eche «... rappresenta un esempio rarissimo di architettura indu-striale produttiva ...» ed obbliga i proprietari ad effettuareinterventi di «... manutenzione preventiva ai fini dell'incolumi-tà del bene ...», obbligo non atteso dagli eredi che ricorrononuovamente al Tar.

L’articolo 17 del Piano Paesaggistico Provinciale, appro-vato nel 2010, con riferimento ai beni isolati e alle linee guidaregionali così recita: «... sono sottoposti a regime di conser-vazione e pertanto soggetti a soli interventi di restauro con-servativo i manufatti di rilevanza elevata od eccezionale, peri quali qualsiasi trasformazione potrebbe avere come ricadu-ta un danno grave per il paesaggio oltre che per il bene ...» ,ovvero «... i più importanti manufatti dell’architettura produt-tiva, da quelli contraddistinti da carattere di rarità, come letonnare e le saline, ai grandi edifici legati alle attività agrico-le e zootecniche (bagli, masserie, stabilimenti enologici), aicomplessi di archeologia industriale di rilievo.»6.

Il Pisciotto rientra inoltre nel decimo dei paesaggi locali incui è stato suddiviso il territorio ragusano sempre dal PianoPaesaggistico Provinciale. Secondo tale suddivisione, il deci-mo paesaggio locale è sottosposto a “livello di tutela 2” inquanto rientra nelle aree «... caratterizzate dalla presenza diuna o più delle componenti qualificanti e relativi contesti equadri paesaggistici. In tali aree (...) è prescritta la previsionedi mitigazione degli impatti dei detrattori visivi da sottoporre astudi ed interventi di progettazione paesaggistico ambienta-le. Va inoltre previsto l’obbligo di previsione nell’ambito deglistrumenti urbanistici di specifiche norme volte ad evitare usidel territorio, forme dell’edificato e dell’insediamento e opereinfrastrutturali incompatibili con la tutela dei valori paesaggi-stico-percettivi o che comportino varianti di destinazione

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6 - Articolo 17: beni isolati, Titolo 1: norme generali, PianoPaesaggistico Provinciale.

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urbanistica delle aree interessate.»7. Sempre nel 2010, architetti, tecnici e sovrintendenti ai Beni

Culturali e Ambientali della Provincia di Ragusa si sono recati

nuovamente allo stabilimento bruciato per controllare anco-ra una volta le condizioni del manufatto. I rappresentantidella Sovrintendenza hanno constatato come «... dalla rico-gnizione esterna emerge che la recinzione lato mare, inpaletti di cemento armato e rete metallica, è interrotta in piùpunti e dal lato a monte è assolutamente insufficiente adescludere l’ntromissione in quanto costituita da paletti di variotipo che sorreggono le più disparate tipologie di recinzione(canneto, reti da letto, tubi in ferro). È stato constatato, con-frontando la situazione attuale con le foto risalenti all’epocain cui è stato avviato il procedimento vincolistico, l’inarresta-bile degrado della struttura della fornace: il crollo parzialedella canna fumaria, il crollo dell’ultimo ordine della facciatacorta lato mare e crolli diffusi nell’ultimo ordine delle muratu-re con conci in equilibrio precario. Assistiamo alla progressivaperdita del monumento e registriamo un grave pericolo per

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7 - Articolo 20: articolazione delle norme, Titolo III: norme per pae-saggi locali, Piano Paesaggistico Provinciale.

Stralcio della TAV.4 del Piano Paesaggistico Provinciale.

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le persone che, incautamente, si introducono nel sito.». E,continuando: «... il monumento ormai rischia la totale perditae bisogna pertanto stabilire una comune strategia per salva-re quanto ancora recuperabile.». Intanto, i proprietaridovranno provvedere a installare una recinzione più sicura,poi si attende una perizia in danno dei proprietari per lamessa in sicurezza.

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Recinzione divelta. (Foto C. Bustinto).

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E c’è chi cerca di attirare l’attenzione di turisti e bagnantibruciando vecchi copertoni all’interno del camino della cimi-niera nel tentativo di far risuscitare la memoria di un passatoproduttivo ormai definitivamente scomparso.

Nel settembre 2012, ha avuto luogo, presso la sede dellaProvincia di Ragusa una Conferenza di servizio tra il sindacodi Scicli, il vice commissario alla Provincia e il Sovrintendentedi Ragusa, per discutere del recupero e della salvaguardiadella fornace. Sono stati concessi a ciascun ente quindicigiorni di tempo per verificare, secondo le proprie competen-ze8, lo stato di validità giuridica dei vincoli; si convocherannoquindi i proprietari e si procederà con lo studio degli strumen-ti necessari alla salvaguardia e al recupero. È ipotizzabileanche l’attuazione di un bando pubblico internazionale per

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Ferragosto del 2010: il fumo nero prodotto dalla combustione di vecchi copertoni esce dalla ciminiera.

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8 - Il Comune ha competenza per la pubblica incolumità, laSovrintendenza per la tutela artistica dei luoghi.

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la manifestazione di interesse finalizza-ta alla messa in sicurezza dell’impian-to e ad un intervento di recupero efruizione del manufatto rispettoso deiluoghi. Stiamo ancora aspettando.

Portano le date del 9 marzo e del14 marzo di quest’anno due articoliapparsi rispettivamente sul quotidianoLa Sicilia e sul settimanale l’Espresso,che parlano dell’iniziativa del WwfItalia “No al consumo di suolo, sì alriuso dell’Italia” che prevede un’enne-sima raccolta di firme come seguitoalla campagna “RiutilizziAmo l’Italia”svolta da giugno a novembre 2012 edurante la quale sono state raccoltein poco meno di cinque mesi ben 575segnalazioni di aree ed edifici dismes-si o abbandonati in tutta Italia, conrelative proposte di recupero, riqualifi-cazione e riuso. Tra queste rientra apieno titolo la fornace Penna che,insieme al lazzaretto di Trapani e alvecchio carcere borbonico diSiracusa, costituisce una delle emer-genze più attenzionate in Sicilia.Intanto, nell’attesa che qualcosa simuova, tutta l’area è invasa dacumuli di rifiuti e sporcizia con gravedanno anche per il decoro del luogo,meta di turisti e amanti della natura.Ma anche per gli interventi di pulizianon mancano controversie e scaricabarile. Ovviamente la pulizia all’inter-no dell’area dello stabilimento spettaai proprietari ma sul territorio limitrofodovrebbe essere di competenza delComune. Inoltre, una circolare asses-soriale regionale, dispone che i tratti dicosta che rientrano all’iterno del peri-

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Cartacce e rifiuti di ogni genere gettati tra le rovine della fornace. (Foto C.Bustinto).

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metro urbano sono di competenza delComune per la pulizia, mentre quelliche ricadono all’esterno sono di com-petenza della Provincia.

A peggiorare la situazione del con-testo ambientale lo scandalo nel qualesono stati coinvolti i villaggi BaiaSamuele e Marsa Siclà, in località TorreSamuele, nelle immediate vicinanzedel Pisciotto. Queste strutture turistiche,tra le più grandi in Italia, sono stateoggetto di sequestro preventivo condecreto emesso dal GIP del Tribunaledi Catania il 19 gennaio 2012, sullascorta delle indagini svolte daiCarabinieri di Modica e dalla Capitaneriadi Porto di Pozzallo, in merito agli episo-di di inquinamento a mare riscontrati,soprattutto nella stagione estiva, neltratto di costa in corrispondenza dellaspiaggia di Sampieri e della Fornacedel Pisciotto e attribuibili alle gravicarenze strutturali nello smaltimento enello scarico dei rifiuti liquidi dei due vil-laggi le cui fosse settiche sono risultatesottodimensionate e quindi insufficientia contenere i reflui fognari prodotti dainumerosi ospiti delle strutture e chevenivano così smaltiti da una ditta diespurgo, anche questa sotto inchiesta,che provvedeva a sversarli illecitamen-te in mare e nelle campagne circo-stanti. Inoltre, la presenza di canali discolo non segnalati, che fanno capoli-no tra gli scogli della costa di pertinen-za del comune di Scicli e della cuiappartenenza nulla si sa con esattezza,costituisce un grave pericolo per l’am-biente costiero di questo splendidotratto di costa siciliana che ha subito

Chiazze di inquinamento lungo la costa di Sampieri.

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Uno dei tanti sbocchi di canali di scolo abusivi per reflui lungo la costa.

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negli anni non pochi suprusi. Come se non bastasse, a circa dodici miglia a sud dalla

costa, al largo di Pozzallo, spicca con i suoi sessanta metri dialtezza dal pelo dell’acqua Vega Alfa, la più grande piatta-forma petrolifera fissa off-shore9 realizzata in Italia dal gruppoEdison. È collegata, tramite condotte sottomarine, ad undeposito galleggiante da 110.000 tonnellate, per lo stoccag-gio temporaneo, ricavato dalla trasformazione dell’ex petro-liera Leonis ed ormeggiato ad una monoboa situata a circaun miglio e mezzo dalla piattaforma.

L’enorme struttura della piattaforma è stata fissata al fon-dale nel febbraio del 1987 tramite un traliccio tubolare inacciaio con otto gambe ancorate al suolo attraverso 20 pali.È del 14 febbraio 2013 la notizia del rinvio a giudizio di sei per-sone con l’accusa di illecito profitto derivante dallo smalti-mento di rifiuti speciali.

Intanto la base Vega, ben visibile dalla costa, continua afare l’occhiolino alla “vecchia signora” affacciata ormai daun secolo al davanzale del suo basamento calcareo. Duesimboli, seppur contrastanti, dell’inesauribile e instancabilevolontà dell’uomo di andare sempre oltre. Ma se la fornacePenna rappresenta soltanto il tentativo di sviluppo imprendi-toriale di una nuova borghesia travolta dal dilagare dellarivoluzione industriale e che, nei fatti, non è stato causa diconseguenze particolarmente negative per il territorio anchedal punto di vista ambientale, per la piattaforma petroliferala situazione è ben diversa e va decisamente oltre, coinvol-gendo interessi che esulano dal contesto locale destinatosolo a fare i conti con i danni di una inarrestabile, cieca e dis-sennata rincorsa al benessere dell’unica specie vivente almondo capace di distruggere tutto quello che ha avuto indono dalla terra.

Questo è ciò che resta oggi di una costa, tanto amatadalla sua gente, tanto apprezzata dai turisti e tanto martoria-ta da interessi e speculazioni che spesso travalicano i nostriconfini.

Della fornace e del suo ricco impianto produttivo ogginon rimane che il ricordo di un passato prossimo che tornaalla memoria ogni volta che ci si accosta con lo sguardo aquesta suggestiva struttura, prezioso esempio di "monumentoLa piattaforma Vega Alfa al largo delle coste siciliane.

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9 - I primi giacimenti petroliferi in Sicilia furono scoperti intornoagli anni Cinquanta nei territori di Ragusa e di Gela. Da alloraebbe inizio la produzione di petrolio. Nel 1959 comincia anchel’esplorazione off-shore anche se si deve aspettare la fine deglianni Settanta e i primi degli Ottanta per avere risultati certi. Oggiil Canale di Sicilia è sottoposto a continue trivellazioni in cerca dipetrolio e gas naturale, con conseguenze ambientali disastrose.

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industriale", uno dei più interessanti sia per le valenze stilisti-che, senza dubbio originali e di grande impatto, sia cometestimonianza dei primi tentativi in Sicilia di organizzazioneindustriale del lavoro, fatto di impegno, di entusiasmo, di inno-vazione tecnologica, di scelte a volte anche azzardate mache segnano l’identità di un popolo e che rimarranno incisesu quelle mura fin quando il tempo lo consentirà.

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I ruderi della fornace Penna. (Foto C. Bustinto).

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Sono queste le ragioni per cui la fornace del Pisciotto si inseri-sce a pieno titolo nel campo degli interessi dell'ArcheologiaIndustriale impegnata in un complesso lavoro di indagine e recu-pero di tutte le testimonianze del nostro passato produttivo chenon solo hanno lasciato un segno tangibile sul territorio, ma chehanno posto le basi per l'evoluzione ed il progresso tecnico dellasocietà moderna.

* Carmelo Bustinto, architetto, vive e lavora a Palermo. Dirigentepresso l’Assessorato Regionale delle Infrastrutture e della Mobilitàdella Regione Siciliana, è Cultore della Materia di “ProgettazioneAmbientale” e di “Tecnologia dell’Architettura” presso il Corso diLaurea Magistrale a ciclo unico in Archtettura della Facoltà diArchitettura di Palermo. Ha scritto numerose pubblicazioni scientifi-che in ambito nazionale ed internazionale su temi di ricerca relativiall’architettura temporanea, al recupero e alla conservazione deibeni architettonici e alle problematiche connesse alla sostenibilitàambientale. É componente del Comitato Scientifico della collanaTecnologia dei Materiali per un’Architettura Sostenibile editadall’Aracne Editrice.

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Nel corso dei secoli l'argilla, un materiale facilmente repe-ribile in natura, ha avuto un ruolo importante nel campo dellacosmesi, della medicina, dell'edilizia e dell'arte.

La sua trasformazione materica, ottenuta tramite il pro-cesso di cottura in forni ha permesso la realizzazione di ele-menti costruttivi e prodotti di vario genere che hannoaccompagnato l’uomo nelle varie epoche della sua evolu-zione.

Il forno è stato quindi un elemento determinante per laproduzione di materiali a base di argilla e per tale ragione hasubito nel tempo una serie di perfezionamenti trasformandosiin strutture sempre più complesse fino ad arrivare alle fornaci.

Il sistema di cottura più arcaico è quello denominato a“focolare aperto”. Tale sistema, così come descritto ancheda fonti storiche, consiste nella cottura in un’area circoscrittaa cielo aperto, nella quale vengono collocati i manufatti diargilla preventivamente modellati che vengono così cotti adiretto contatto con il combustibile. L’intero processo èalquanto complesso in quanto prevede la scelta del luogoadatto che deve essere una porzione di terreno pianeggian-te o una fossa profonda, spesso scavata appositamente.Segue il posizionamento dei manufatti che devono essereimpilati sopra un letto di rami secchi, legna e carbone o altromateriale pronto da bruciare e facilmente reperibile in loco,formando così un cumulo poi coperto con altro combustibile,cocciame e zolle di terra o materiale simile, lasciando a que-

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Tecniche di cottura dell’argilla

Filippo Palazzolo*

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sta rudimentale copertura oppor-tuni fori per il tiraggio.

Le terrecotte prodotte contale sistema subiscono una cottu-ra non omogenea che ne deter-mina una scarsa qualità conconseguente notevole percen-tuale di scarti del prodotto finito.

Questa tecnica di cottura,chiamata anche ‘a catasta’, èadottata ancora oggi in alcunearee del pianeta, laddove lacostruzione di una struttura piùcomplessa richiede enormi quan-tità di materiale che non com-pensano i livelli di produzione. Nelresto del pianeta si utilizza la for-nace che permette la cottura deimanufatti attraverso il calore pro-dotto all’interno di una strutturadetta camera di cottura, che

non richiede il contatto diretto con il combustibile. Tale solu-zione impedisce la dispersione del calore e permette di man-tenere costante il calore all’interno della camera contenen-te i manufatti, garantendo così una cottura più uniforme eduna migliore resa del prodotto finito. Questa tecnica, detta amodalità intermittente, prevede l’accensione del fuoco ed ilsuo successivo spegnimento ad ogni ciclo di produzione, perconsentire le operazioni di carico e scarico dei manufatti.

Queste fornaci vengono distinte in verticali e orizzontali aseconda dell'andamento del tiraggio, cioè del percorsoseguito dalla corrente d'aria che si forma all'interno della for-nace stessa all'aumentare della temperatura e determinatodal diminuire del peso specifico dell'aria man mano che essasi riscalda.

La fornace verticale è costituita principalmente da unacamera di cottura dove vengono posizionati i manufatti dacuocere. Questa è munita di una copertura con tanti foricomunicanti con l'esterno ed attraverso i quali avviene iltiraggio con fiamma diritta dal basso ed in senso verticale

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Fornace del IV-VI secolo a.C.

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rispetto ai manufatti. Al contrario la fornace orizzontale ècomposta da una camera di cottura con una volta chiusasulla sommità e senza aperture cosicchè i gas caldi vengonocostretti ad un andamento quasi orizzontale che percorre lacamera fino al camino posto in fondo alla galleria e nell'a-spetto simile ad una ciminiera, attraverso il quale avviene losmaltimento dell’aria.

Nella fornace verticale la propagazione dell'energia ter-mica avviene per conduzione e convezione, in quella oriz-zontale si sfrutta anche la propagazione termica per irraggia-mento; quest'ultima ha un rendimento migliore permettendodi raggiungere temperature oltre i 1000°C e di cuoceremanufatti modellati con caolino e argilla caolinica.

La fornace orizzontale è stata largamente utilizzata inoriente ed è rimasta pressocché sconosciuta in occidentefino ai tempi moderni. La fornace più tradizionalmente usatain occidente è infatti quella verticale, in quanto nell'areamediterranea sono abbondanti le argille secondarie che adifferenza di quelle caoliniche, la cui presenza è invecealquanto limitata in queste aree, non richiedono temperatu-re di cottura molto elevate. La fornace verticale ha permes-so agli artigiani locali di produrre buoni manufatti pur utiliz-zando l'argilla disponibile in loco.

La fornace di tipo verticale, che spesso è orientata inmaniera tale da sfruttare il vento o le correnti predominantidella zona, è composta di due parti: quella sottostante, in cuiavviene il processo di combustione e quella al livello superio-re, dove vengono impilati i manufatti pronti per la cottura; ledue zone sono separate da un divisorio orizzontale chiamatopiano forato in quanto munito di piccole aperture per l’aera-zione. La parte inferiore della fornace, che di solito vieneinterrata o circondata da un ammasso argilloso al fine di daremaggiore stabilità alla struttura sovrastante, comprende labocca di accesso denominata prefurnio e la camera di com-bustione. L’interramento di questa parte della fornace garan-tisce un migliore isolamento termico della struttura e la rendepiù resistente alle escursioni termiche.

Il prefurnio può avere lunghezze variabili in funzione del-l'afflusso di aria necessaria alla combustione. Questo, oltre acontenere il combustibile, ha la funzione di trattenere le

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esplosioni di fiamma provocate nel momento dell'immissionedel combustibile. Tale vano precede la camera di combu-stione, dove avviene il processo termico utile alla camera dicottura che si trova proprio al di sopra. Il calore viene propa-gato verso la camera sovrastante attraverso il piano forato ilquale deve avere la capacità di reggere il peso dei manu-fatti crudi e quindi deve essere costruito e sorretto da robustisostegni per evitare crolli durante il processo di cottura. Dascavi effettuati in Italia si è scoperto che le fornaci venivanodotate di diverse tipologie di sostegni il che ha permesso dipoter classificare queste strutture non solo in base alla formadella camera di cottura e della camera di combustione maanche secondo il tipo di sostegno su cui era poggiato il pianoforato.

La parte superiore che costituisce la camera di cottura, diregola ha una forma analoga alla camera di combustione,avendo il piano forato come pavimento ed una coperturache può essere temporanea, se è costituita da strati di coc-ciame ed argilla intervallati da piccoli fori per il tiraggio epoggiati sopra i manufatti crudi impilati sopra il piano forato.Tale soluzione è alquanto rudimentale e fornisce un bassorendimento poiché determina una notevole dispersione dicalore verso l'esterno. Inoltre, la stessa deve essere demolitasubito dopo la fine di ogni processo di cottura per consentirel’estrazione dei manufatti cotti.

La soluzione cosiddetta con copertura permanente pre-senta spesso una volta stabile sovrastante la camera di cot-tura, allestita con elementi di alleggerimento o con tubuli fit-tili cavi o vasi di forma approssimativamente cilindrica. Anchequesta costituisce un elemento strutturale di completamentodella fornace e nel quale sono presenti dei fori che servonoper il tiraggio dell'aria verso l’esterno. La porzione esternadella volta è esposta all’azione degli agenti atmosferici erichiede quindi una manutenzione frequente per evitare l’in-sorgere di debolezze strutturali che potrebbero compromet-terne la stabilità.

ll carico e lo scarico dei manufatti all'inizio ed alla fine diogni processo di cottura avviene attraverso un’apertura for-nita di porta che si può trovare in asse col prefurnio o in posi-zione laterale o, ancora, sul retro.

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Lo studio delle tecniche e dei criteri costruttivi adottati perla realizzazione di queste fornaci hanno permesso di determi-nare anche le problematiche evidenziate da questi manu-fatti, avviando un processo di evoluzione che ha consentitola realizzazione di impianti sempre più sofisticati utilizzatianche in ambito industriale.

Le prime fornaci dell'era moderna, costruite intorno al XVIIIsecolo in Europa e negli Stati Uniti d'America, sono il frutto diuna grande quantità di brevetti di studio e di costruzione dinuove tipologie di fornaci che, nel tempo hanno affinato ilcriterio di funzionamento fino ad arrivare alle nuove fornaci aciclo continuo dette anche ad aria discendente, differenti daquelle a circolazione d'aria ascendente fino ad allora realiz-zate e che presentavano il problema della cottura non uni-forme del materiale. Questo problema era determinato dalladistanza più o meno elevata dal fuoco dei singoli manufatticostituenti uno stesso carico. Ciò rendeva difficile otteneremanufatti che alla fine della cottura presentassero identichecaratteristiche tecniche, di colore e resistenza del prodotto.

Nelle fornaci ad aria discendete si metteva in atto unmetodo esemplificativo che prevedeva l’introduzione delcalore dalla parte alta del forno, facendo defluire i gas dicombustione attraverso griglie poste a pavimento. Ciò checaratterizzava tale struttura era la presenza di una ciminieranecessaria per far circolare i gas prodotti dalla combustionee per evitare che il fuoco fuoriuscisse dall'impianto.

Tra le tipologie di fornaci ad aria discendente quella adalveare è la più semplice. Questa presenta una forma circo-lare con copertura a cupola ribassata ma l’inconveniente didover aspettare, alla fine di ogni processo di cottura, che ilforno si raffreddasse per permettere l’estrazione dei manufat-ti pronti e la sistemazione di quelli da cuocere, non era anco-ra risolto. Questa soluzione pone anche un problema riguar-do il processo di cottura dei manufatti che ad ogni cicloimpone l’arresto del forno e il conseguente limite nella quan-tità di manufatti realizzabili.

Nel 1858, il brevetto di Friedrich Hoffmann, pone fine a tuttiquesti inconvenienti, proponendo un sistema che consentivaun ciclo di produzione di tipo continuo e senza soste.Hoffmann propose un vero e proprio processo coordinato

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all'interno di una struttura a ciclo continuo che dopo esserestato avviato poteva continuare a cuocere mattoni, cemen-to e calce senza bloccare la produzione.

Il forno Hoffmann, rendeva il processo di fabbricazione deimattoni migliorativo sia dal punto di vista della qualità chedella quantità e per tale ragione divenne presto la soluzioneottimale per un’epoca in cui in Europa si stava affermandocon sempre maggiore insistenza la tecnologia industriale.

Dopo l’accensione, il funzionamento del forno Hoffmannproseguiva 24 ore al giorno e per tutto l'anno, senza interru-zioni ed alcuni impianti continuarono il loro ciclo di produzio-ne ininterrottamente per decine di anni.

Originariamente la camera di cottura aveva una formacircolare e veniva suddivisa in settori, ciascuno delimitato dasetti movibili e sportelli di carico e scarico indipendente chepermettevano la continuità del processo di cottura. Il fuoco,proveniente dall’alto si spostava da una camera all’altra inmodo tale che in alcune camere avveniva il preriscalda-mento e la cottura, in altre avveniva il raffreddamento, in

altre ancora avveniva lo scaricoed altre dove avveniva il carico.Questo permetteva la produzionedi enormi quantità di laterizi.

Il sistema controllato attraversovalvole di direzionamento e devia-zione permetteva l’uniformità delcalore e il convogliamento dei gasverso la ciminiera. Al sistema apianta circolare, di limitata capa-cità di contenimento, venne sosti-tuito in seguito quello a piantaovale o rettangolare con i lati corticurvi.

L’allungamento della strutturapermise una maggiore efficienzadel forno in quanto consentiva lospostamento del fuoco prodottonelle camere di combustione, sudistanze minori. La larghezza dellegallerie poteva raggiungere una

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Fornace Hoffmann circolare. Castelvetro.

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dimensione di 4,6 metri e i lati lunghiarrivavano fino a 100 metri di lunghez-za, suddivisi in 24-32 celle di combustio-ne. Le pareti delle gallerie erano realiz-zate con una muratura a sacco costi-tuita da paramenti esterni in mattonicotti e riempimento con materiale lapi-deo e pezzame di laterizi, sulla qualeveniva poggiata una copertura avolta ribassata. Il pavimento era in bat-tuto di terra.

Il tunnel di cottura spesso veniva cir-condato e riparato dall'esternomediante una struttura ad esso annes-sa e nella quale venivano stoccati imanufatti prima e dopo la cottura.

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Pianta del forno Hoffmann della Fornace Bagiardi di San Giovanni Valdarno.

Camera di cottura di un forno Hoffmann a galleria ellittica.

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La ciminiera era collocata in prossimità e lateralmente allafabbrica.

Spesso la struttura veniva realizzata in prossimità del terre-no di estrazione del materiale primario e di un corso d'acquae non molto lontano venivano costruiti gli alloggi degli operaidella fabbrica ed i magazzini per lo stoccaggio dei prodottifiniti.

* Filippo Palazzolo, architetto, vive e lavora a Palermo. É Cultore della Materia di "Progettazione Ambientale" e "Tecnologiadell'Architettura", presso il Corso di Laurea Magistrale in Architetturaa ciclo unico della Facoltà di Architettura di Palermo. Impegnatonella ricerca dell'innovazione e in programmi di sviluppo sostenibilebasati sulle eco-tecnologie applicabili all'architettura, volge il suointeresse verso il territorio antropizzato e le problematiche ambientalie collabora attivamente con le istituzioni alla formazione di unacoscienza basata sulla decrescita felice. É componente delComitato di Redazione della collana Tecnologia dei Materiali perun’Architettura Sostenibile edita dall’Aracne Editrice.

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Sitografiawww.comune.scicli.rg.itwww.ilgiornalediragusa.itwww.ilgiornalediscicli.itwww.voxhumana.blogspot.comwww.costierabarocca.itwww.sicilia.itwww.ragusanews.comwww.sampieri.itwww.larepubblica.itwww.archiportale.comwww.novarchitectura.comwww.archdaily.comwww.europaconcorsi.com

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Indice

Ringraziamenti........................................................................................................................................5Premessa.................................................................................................................................................7Introduzione....................................................................................................................................9I luoghi del Pisciotto.............................................................................................................................11La storia e i suoi protagonisti...............................................................................................................21

Il progettista....................................................................................................................................21La committenza.............................................................................................................................37L’antefatto......................................................................................................................................43Il lavoro in fabbrica........................................................................................................................57Le prime contrarietà......................................................................................................................61L’epilogo.........................................................................................................................................66Le nozze Penna-Crescimanno.....................................................................................................75

La fornace.............................................................................................................................................77L’impianto planimetrico................................................................................................................79Analisi morfologica e strutturale..................................................................................................87Lo stato dell’arte..........................................................................................................................107

Un destino ancora incerto................................................................................................................119Tecniche di cottura dell’argilla........................................................................................................139Riferimenti bibliografici......................................................................................................................147

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