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167 La flora e la fauna La distribuzione e l'evoluzione della flora e della fauna sono indubbiamente influenzate dalle condizioni climatiche. In particolar modo questo è vero per le specie vegetali, che sono condizionate principalmente dalle temperature e dalle precipitazioni, ma anche alcuni comportamenti animali, come i fenomeni migratori ed il letargo, sono da ricollegarsi agli stessi parametri climatici. Certo gli animali possono sfuggire ad un ambiente diventato troppo sfavorevole grazie alla loro mobilità, ma come possono le piante vivere laddove le condizioni appaiano estremamente sfavorevoli, ad esempio in alta montagna, dove il manto nevoso rimane al suolo per molto tempo e il vento soffia ad alte velocità? Spesso le strategie di sopravvivenza dei vegetali nei confronti degli agenti climatici si traducono in adattamenti morfologici che ne permettono lo sviluppo anche in condizioni non troppo favorevoli: tornando al nostro esempio, in alta montagna alcune piante assumono spesso portamenti prostrati o striscianti per evitare di essere danneggiate dai venti e riducono il periodo vegetativo a brevi periodi durante la stagione più calda. Così facendo riescono a sfruttare degli spazi vitali dove il rischio di concorrenza da parte di altre specie è molto ridotto, proprio per le condizioni climatiche avverse. Ogni specie vegetale infatti si è adattata ad un certo habitat, determinato sia da fattori climatici che pedologici. Anzi, il legame tra la vegetazione ed il clima è così stretto da permettere una classificazione del territorio da un punto di vista climatico basandosi sul tipo di formazioni vegetali presenti. 6.1 La genesi degli ecosistemi Nel pleistocene superiore (120.000-10.000 anni da oggi) i quadri faunistici della penisola italiana si erano ormai definiti, pur comprendendo, oltre a tutte le specie attuali, anche altre per le quali nel frattempo si è verificata l’estinzione.(Masseti, 2002). Una delle cause principali che hanno portato all’estinzione di molte specie prima presenti è rappresentata soprattutto dagli incisivi cambiamenti climatici, che non hanno permesso l’adattamento di molte di esse. Le variazioni climatiche connesse alle alternanze di periodi glaciali e periodi interglaciali, verificatesi nel Pleistocene, hanno avuto forti influenze sulla flora e sulla fauna; queste variazioni hanno prodotto, infatti, un continuo slittamento dei biomi da Nord verso Sud e viceversa. Molti animali, in conseguenza di tale alternanza, si sono estinti mentre altri si sono spostati per raggiungere luoghi più adatti al loro sviluppo. Tra gli esempi più rappresentativi si può citare la presenza delle renne e l’estensione della tundra fino alle rive del Mediterraneo, nei

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La flora e la fauna

La distribuzione e l'evoluzione della flora e della fauna sono indubbiamente influenzate

dalle condizioni climatiche. In particolar modo questo è vero per le specie vegetali, che sono

condizionate principalmente dalle temperature e dalle precipitazioni, ma anche alcuni

comportamenti animali, come i fenomeni migratori ed il letargo, sono da ricollegarsi agli stessi

parametri climatici.

Certo gli animali possono sfuggire ad un ambiente diventato troppo sfavorevole grazie alla

loro mobilità, ma come possono le piante vivere laddove le condizioni appaiano estremamente

sfavorevoli, ad esempio in alta montagna, dove il manto nevoso rimane al suolo per molto

tempo e il vento soffia ad alte velocità?

Spesso le strategie di sopravvivenza dei vegetali nei confronti degli agenti climatici si

traducono in adattamenti morfologici che ne permettono lo sviluppo anche in condizioni non

troppo favorevoli: tornando al nostro esempio, in alta montagna alcune piante assumono

spesso portamenti prostrati o striscianti per evitare di essere danneggiate dai venti e riducono il

periodo vegetativo a brevi periodi durante la stagione più calda. Così facendo riescono a

sfruttare degli spazi vitali dove il rischio di concorrenza da parte di altre specie è molto ridotto,

proprio per le condizioni climatiche avverse.

Ogni specie vegetale infatti si è adattata ad un certo habitat, determinato sia da fattori

climatici che pedologici. Anzi, il legame tra la vegetazione ed il clima è così stretto da

permettere una classificazione del territorio da un punto di vista climatico basandosi sul tipo di

formazioni vegetali presenti.

6.1 La genesi degli ecosistemi

Nel pleistocene superiore (120.000-10.000 anni da oggi) i quadri faunistici della penisola

italiana si erano ormai definiti, pur comprendendo, oltre a tutte le specie attuali, anche altre per

le quali nel frattempo si è verificata l’estinzione.(Masseti, 2002).

Una delle cause principali che hanno portato all’estinzione di molte specie prima presenti è

rappresentata soprattutto dagli incisivi cambiamenti climatici, che non hanno permesso

l’adattamento di molte di esse.

Le variazioni climatiche connesse alle alternanze di periodi glaciali e periodi interglaciali,

verificatesi nel Pleistocene, hanno avuto forti influenze sulla flora e sulla fauna; queste

variazioni hanno prodotto, infatti, un continuo slittamento dei biomi da Nord verso Sud e

viceversa. Molti animali, in conseguenza di tale alternanza, si sono estinti mentre altri si sono

spostati per raggiungere luoghi più adatti al loro sviluppo. Tra gli esempi più rappresentativi si

può citare la presenza delle renne e l’estensione della tundra fino alle rive del Mediterraneo, nei

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periodi glaciali più freddi e, viceversa, la presenza del daino e la formazione della macchia

mediterranea in Danimarca, nei periodi interglaciali più caldi.

Inoltre, lo scioglimento o la formazione dei ghiacciai, durante ogni fase climatica, liberava o

imprigionava una grande quantità di acqua provocando rispettivamente un innalzamento

oppure un abbassamento del livello marino. Tale alternanza di trasgressioni e di regressioni

marine cambiava ogni volta la paleogeografia del Mediterraneo, facendo variare la linea di

costa e, quindi, l’estensione delle masse continentali ed insulari. Per questo stesso motivo,

durante i periodi glaciali, la macchia mediterranea costiera della Penisola poteva risultare

collegata con quella delle isole, mentre, durante gli interglaciali, queste ultime erano più piccole

e lontane dal continente. Molti animali poterono colonizzare le isole ed espandersi lungo la

macchia costiera italiana durante le regressioni marine approfittando dei ponti di terraferma che

emergevano in corrispondenza di fondali più bassi (G. Carpaneto, 2002).

Testimonianze relative alla fauna del Quaternario sono state recuperate nelle grotte e nei

depositi continentali lacustri. Da questi ultimi, assai diffusi in Toscana, sono stati recuperati

resti di numerosi mammiferi (proboscidati, cervi, rinoceronti, carnivori, ecc.), che hanno

consentito di definire una stratigrafia locale assai importante nelle ricostruzioni degli antichi

ambienti.

I grandi carnivori della fauna paleartica popolavano le foreste della parte settentrionale

della regione ancora nel XVIII secolo. A testimonianza di ciò si può citare l’affresco di

Bernardino Poccetti presente nella Grotta Grande nel Giardino di Boboli a Firenze, risalente al

1758, raffigurante in effetti, un Orso bruno (Ursus arctos). Il ritiro di gran parte dei ghiacciai,

causato dalla variazione del clima, provocò la scomparsa di questa specie da molte zone.

6.2 Vegetazione in Toscana

La Regione Toscana, oggi come ieri, appare ricca di foreste. Che lo fosse un tempo appare

evidente facendo riferimento alle opere del passato: lo stesso Dante Alighieri definisce il luogo

in cui ha inizio il suo viaggio ultramondano “selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier

rinnova la paura” riferendosi alle foreste che all’epoca ricoprivano le vaste aree collinari e

montane interne o del litorale toscano. E la conoscenza di quali specie fossero presenti è

ricavabile tramite i vecchi diari di viaggio, i dipinti, gli erbari, gli oggetti in legno realizzati dagli

artigiani del passato. Ma quanti sono i boschi oggi esistenti e da che specie sono formati?

Lo strumento che permette di conoscere l’estensione e la composizione della vegetazione

attuale è l’ Inventario Forestale: quello Toscano riporta una superficie boschiva di oltre un

milione di ettari (1.086.016 ha), pari al 47% dell’estensione territoriale della Regione,

includendo anche formazioni non prettamente forestali come i cespuglieti, la macchia

mediterranea e altre categorie.

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Nella tabella seguente viene riportata la superficie forestale ripartita per categorie (Tab. 1),

in figura, invece, l’utilizzo del suolo (espresso in percentuale) per provincia.

Tabella 1- Superficie forestale totale della Regione Toscana ripartita per categorie

inventariali e per destinazione d'uso. (Superfici in ettari)

Regione Toscana Destinazione d'uso

conservativo - naturalistica protettiva produttiva totale

Boschi 5.984 82.672 646.528 735.184 Boschetti 6.528 0 0 6.528 Castagneti da frutto

0 1.872 30.464 32.336

Macchia mediterranea

41.728 1.584 67.12 110.432

Formazioni riparie 17.392 0 0 17.392

Aree in rinnovazione

32 5.136 107.152 112.32

Cespuglieti 5.696 0 0 5.696 Arbusteti 57.568 0 0 57.568 Gariga di ambiente mediterraneo

4.24 0 0 4.24

Aree transitoriamente prive di vegetazione

0 4.24 0 4.24

Aree danneggiate da inquinamento

0 80 0 80

Totale generale 139.168 95.584 851.264 1.086.016

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In generale, per

l’inventario forestale

il termine bosco è

associato a

superfici più estese

di 0,5 ettari che

all’atto della

rilevazione erano

coperte da piante

arboree di altezza

media superiore a 5

metri. La

ripartizione dei

boschi in Toscana è

relativamente disforme, i maggiori

coefficienti di boscosità si trovano,

naturalmente, nelle province con maggior

estensione di territorio montano come Lucca

(51%) e Massa Carrara (56%); le province,

invece, che presentano valori percentuali più

bassi risultano Pisa e Grosseto,

rispettivamente con il 20% e il 19% di

territorio boscato (Figura 1) (L’inventario

Forestale, Regione Toscana, 1998).

Il 38% della superficie forestale è

occupata da boschi con prevalenza di specie

caducifoglie come Cerro (Quercus cerris) e

Roverella (Quercus pubescens) dei quali il

90% nelle province di Grosseto, Siena,

Arezzo e Firenze, dimostrando una distribuzione molto correlata agli ambienti

collinari (Figura 3).

Ad altitudini più elevate, invece, la specie più rappresentativa è il Castagno (Castanea

sativa) consociato ad altre specie come il Carpino nero (Ostrya carpinifolia) e la Robinia

(Robinia pseudoacacia).

Figura 1: Carta complessiva delle aree boscate della regione Toscana. Ogni punto di color verde rappresenta un quadrato di 400 m di lato pari a 16 ha (160000 m2 ). Nella carta i punti sono in scala. Fonte: Regione Toscana

Figura 2: Fonte ISTAT- Percentuale di utilizzo del suolo per provincia

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I boschi di fisionomia montana coprono il

15% della superficie forestale (Tabella 2) e le

specie più rappresentative sono:

• Faggio (Fagus sylvatica),

maggiormente presente

sull’Appennino, specialmente

sulla catena del Pratomagno in

provincia di Firenze

• Abete bianco (Abies alba),

particolarmente presente nella

foresta di Vallombrosa e a

Campolino, nel comune di

Abetone

• Pino nero (Pinus laricio)

Tabella 2: Superfici Forestali (in migliaia di ettari) di fisionomia montana ripartite per provincia (I.F.N.)

Provincia Faggio Abete bianco e

Douglasia Pino nero

Firenze 19.6 3.9 5.0

Arezzo 13.6 4.3 7.1

Lucca 14.5 0.8 1.4

Pistoia 11.9 2.8 0.8

Massa Carrara 9.2 0.6 0.9

Prato 3.3 0.8 0.3

Altre 3.2 0.7 5.0

Figura 3: Distribuzione dei boschi di sclerofille sempreverdi mediterranee e dei boschi di latifoglie decidue. In rosso i boschi a dominanza di specie sempreverdi, in verde quelli a dominanza di specie decidue. Fonte: Regione Toscana -sezione Boschi e Foreste-.

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Particolare importanza risiede nella vegetazione mediterranea che, da sola, occupa 22%

della superficie forestale.

Nella vegetazione mediterranea si possono distinguere due categorie fisionomiche:

• latifoglie sempreverdi, comprendente i boschi di Leccio, la macchia mediterranea e

la gariga

• conifere mediterranee

La vegetazione di latifoglie sempreverdi si trova essenzialmente (per l’85%) in 4 province:

Pisa, Livorno, Siena e Grosseto (Tabella 3). Il fatto che le province a Nord dell’Arno non siano

interessate da questo tipo di vegetazione è da ricercare sia nell’elevato livello di trasformazione

agricola ed edilizia della Versilia e della Lunigiana, sia nel clima più piovoso che permette così

la discesa delle latifoglie decidue.

Tabella 3: Superfici Forestali di fisionomia mediterranea ripartite per provincia (I.F.N.)

Provincia Ettari (in migliaia) Grosseto 69.1 Livorno 36.7 Siena 29.9 Pisa 29.1

Firenze 4.3 Altre 5.9

0

5

10

15

20

25

Firenze Arezzo Lucca Pistoia MassaCarrara

Prato Altre

Mig

liaia

di e

ttari

Faggio Abete bianco e Douglasia Pino nero

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La conservazione della vegetazione di tipo mediterraneo in Toscana rispetto ad altre zone

in cui è presente sia in Italia (Sardegna) che in Europa (Spagna), è dovuta principalmente al

tipo di clima meno arido, al tipo di geomorfologia meno aspra e montuosa, a motivi storici e

sociali.

Le conifere mediterranee comprendono le seguenti specie: Pino marittimo (Pinus pinaster),

Pino domestico (Pinus pinea), Pino d’Aleppo (Pinus Halepensis)

La superficie in ettari coperta da queste specie è la seguente (Tabella 4)

Tabella 4: Superficie Forestale occupata da pini mediterranei (I.F.N.)

Specie Ettari (in migliaia)

Pino marittimo 41.984

Pino domestico 13.856

Pino d’Aleppo 2.464

TOTALE 58.304

Superfici forestali di fisionomia mediterranea ripartite per provincia (I. F. N.)

01020304050607080

Grosseto Livorno Siena Pisa Firenze Altre

Mig

liaia

di e

ttari

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Superficie Forestale occupata da pini mediterranei (I.F.N.)

05

1015202530354045

Pino marittimo Pino domestico Pino d’Aleppo

Mig

liaia

di e

ttari

La maggior parte delle pinete

mediterranee si trova in provincia di

Pisa (23%), seguono poi Firenze (15%),

Lucca, Grosseto e Siena, tutte con il

12%.

L’influenza climatica e la tipologia di

suolo che si incontrano passando dal

litorale tirrenico ai crinali dell'Appennino

determinano un ricco panorama di

associazioni vegetali diverse. Una tra le

formazioni più caratteristiche è

rappresentata, come già accennato in precedenza, dalle colline del Chianti (Figura 4 e 5), nelle

quali vengono coltivate le tradizionali colture quali la vite, l’olivo.

Tipici soprattutto delle province di Firenze e Prato sono i boschi di Cipresso (Cupressus

sempervirens), introdotto dall’Oriente dai Romani, sulla base di chiare conoscenze sulle

possibilità di acclimatazione della specie, oggi adoperato per lo più per il rimboschimento dei

colli calcarei.

Grazie a questa ricca varietà di paesaggi, la Toscana ha ospitato grandi scienziati

naturalisti come il senese Pier Andrea Mattioli, vissuto nel ‘500, che usava raffigurare piante e

Figura 4: Panorama del Chianti. (Foto di C.Vagnoli)

Figura 5: panorama del Chianti (Foto:G.Brandani)

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animali nelle sue illustrazioni; il fondatore della biologia sperimentale Francesco Redi, che nel

XVII secolo dette avvio a questa importante disciplina; Giovanni Targioni Tozzetti, esperto

ricercatore settecentesco che indagò sulle bellezze naturali della regione; Felice Fontana che,

nel 1775, fondò il Museo della Specola a Firenze.

A tanta varietà di ambienti (foreste, laghetti, torrenti, stagni costieri, lagune, spiagge, coste

rocciose, colline, piane fluviali, ecc.) corrisponde una altrettanto ricca varietà di forme di vita. Lo

sviluppo economico e sociale, verificatosi in Italia negli ultimi 50 anni, ha causato profonde

trasformazioni del settore sia agricolo che forestale. La concentrazione dell'agricoltura nelle

zone più fertili ed il continuo e progressivo abbandono di quelle più povere, in particolar modo

dei territori di montagna, hanno modificato in breve tempo l'intero paesaggio della nostra

penisola (Casanova, Cellini, Razzanelli, 1990).

6.3 Aree fitoclimatiche

Diverse sono le classificazioni climatiche ad oggi a disposizione: per l’inquadramento dei

tipi di clima italiani, utilizzando come riferimento i diversi tipi di vegetazione ad essi connessi,

viene normalmente impiegata la classificazione fitoclimatica del Pavari (1916). Tale

classificazione si basa su alcuni caratteri termici (temperatura media annua, temperatura media

del mese più freddo, temperatura media del mese più caldo, media delle temperature massime

estreme, media delle temperature minime estreme) e pluviometrici (precipitazioni annue,

precipitazioni del periodo estivo, umidità atmosferica relativa media); in questo modo si può

suddividere l’intero globo in aree con caratteri climatici assimilabili e quindi confrontare tra loro

aree fitoclimatiche italiane e di altri Paesi. Ciò consente, ad esempio, di stabilire se una pianta

alloctona (non indigena) può essere piantata in una zona italiana; in generale questo è

possibile naturalmente solo se le fasce fitoclimatiche sono simili.

Poiché questa suddivisione tiene conto del clima, la variazione è sia in senso altitudinale

che latitudinale, pertanto si potrà avere, ad esempio, la stessa zona fitoclimatica nell’alta

montagna dell’Appennino centrale e nella bassa collina delle Alpi austriache.

Ogni fascia altitudinale viene definita “zona”. Esistono 5 zone così denominate, dal basso

verso l’alto: Lauretum, Castanetum, Fagetum (descritte in seguito), Picetum, Alpinetum. I nomi

attribuiti alle zone sono tratti dalla specie che caratterizza la zona stessa. Di seguito si riportano

in tabella le principali caratteristiche della suddetta classificazione:

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Zona Temperatura media annua

(°C) Zona

geografica

Limite inferiore (m s.l.m.)

Limite superiore (m s.l.m.)

Specie più rappresentativa

LAURETUM

1° tipo: pioggie uniformi

sottozona calda 15° a 23° 0 600 - 800

Alloro, olivo, leccio, pino

domestico, pino marittimo, cipresso.

2° tipo: con siccità estiva

sottozona media 14° a 18°

3° tipo: con piogge estive

sottozona fredda 12° a 17°

Italia centro - meridionale

CASTANETUM

sottozona calda

1° tipo (senza siccità estiva

600 - 800 1000 - 1300 Castagno, rovere, roverella, farnia,

cerro, pioppo

2° tipo (con

siccità estiva)

10° a 15° Italia centro -meridionale

1° tipo (piogge > 700 mm)

sottozona fredda 2° tipo

(piogge < 700 mm)

10° a 15° Italia settentrionale 0 800 - 900

FAGETUM

Sottozona calda 7° a 12° Italia centro -

meridionale 1000 – 1300 2000

Faggio, pioppo tremulo, pioppo bianco,pino nero

Sottozona fredda 6° a 12° Italia

settentrionale 800 - 900 1000 - 1300

PICETUM

Sottozona calda 3° a 6° 1000 –

1300 2000

Abete rosso, larice, pino

cembro, pino silvestre

Sottozona fredda 3° a 6°

Italia settentrionale

ALPINETUM

Anche < 2°C Italia settentrionale 2000 Limite della

vegetazione

Larice, pino cembro, pino

mugo, rododendro

Sugli Appennini la fascia fitoclimatica del Fagetum rappresenta il limite superiore della

vegetazione arborea. Sulle Alpi, invece, sono presenti altre due zone oltre il Fagetum: il

Picetum e l’Alpinetum, caratterizzate ambedue da un clima molto rigido, nelle quali la

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temperatura rappresenta il fattore limitante, l’umidità è elevata e il manto nevoso permane al

suolo per molto tempo.

Dalla classificazione del Pavari se ne sviluppa una ulteriore, quella di De Philippis (1937),

che ha lo scopo di identificare i fattori che determinano la distribuzione geografica delle specie

e delle formazioni vegetali evidenziando, oltre al clima, l’importanza dei fattori storici (variazioni

del clima e della flora sia nel lungo che nel breve periodo) ritenendoli fondamentali

nell’interpretazione di eventuali anomalie nella distribuzione geografica (Piussi, 2004).

6.4 Aree fitoclimatiche della Toscana

Qui di seguito viene riportata la mappa della Toscana secondo la classificazione di Pavari

in base all’altitudine.

Il territorio della Toscana è caratterizzato da una grande varietà di ambienti, dai paesaggi

alpini delle Apuane, alle montagne dell’Appennino, alle coste rocciose e spiagge sabbiose.

Nonostante sia una regione prevalentemente collinare e caratterizzata da importanti

tradizioni agricole, vanta una elevata superficie coperta da boschi e vegetazione arbustiva

tanto da farla annoverare una fra le regioni più boscose d’Italia.

Assomma, infatti, sia specie tipiche dell'aree montana e alpina, che specie spiccatamente

mediterranee, dando luogo ad un panorama naturale assai vario. Nella regione, a suo tempo

Figura 6: Mappa della Toscana secondo la classificazione del Pavari. E’ stata considerata solo l’altitudine

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definita il "granaio dell'Etruria", l'agricoltura ha sempre avuto una grande importanza. Tipici

della regione sono i vigneti (il Chianti e i suoi vini sono famosi in tutto il mondo) e gli oliveti, che

danno olio di alta qualità.

Figura 7: Colline di Greve in Chianti (Foto: G. Brandani)

Figura 8: uliveto (Monti della Calvana)

Foto di C.Vagnoli

Figura 9: Vigneti - Greve in Chianti (Fi)

Foto di G. Brandani

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6.5 Vegetazione della zona costiera: la macchia mediterranea

La vegetazione predominante lungo la costa

toscana, dalla Versilia al grossetano, e le isole è quella

della macchia mediterranea. Si tratta di una formazione

vegetale in cui prevalgono arbusti, alberi di piccola e

media grandezza con specie che si adattano bene alla

siccità (specie xerofile) e alle alte temperature (specie

termofile). Secondo la classificazione fitoclimatica

precedentemente descritta, queste zone prendono il

nome da una pianta, l’alloro (foto), caratterizzando la

fascia del cosiddetto Lauretum.

Tra le specie più rappresentative si trovano il

Lentisco (Pistacia lentiscus), Corbezzolo (Arbutus

unedo), rosmarino (Rosmarinus officinalis) , ginepri

(Juniperus ssp.), olivastri (Oleastro ssp.); frequenti anche

Ginestra (Spartium junceum), Oleandro (Nerium

oleander) (foto), eriche (Erica ssp.), Agrifoglio (Ilex

aquifolium), Fillirea (Phillyrea angustifolia), Mirto (Myrtus

communis) e Alaterno (Rhamnus alaternus).

Figura 10: alloro (Foto:C.Vagnoli)

Figura 11: Fillirea (Foto:R.Magno) Figura 12: Lentisco (Foto: C. Vagnoli)

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Oltre alle specie arbustive, ci sono le specie arboree quali: il Leccio (Quercus ilex); la

Sughera (Quercus suber), nell’area dell’oasi di Orbetello se ne possono ammirare magnifici

esemplari; il Pino domestico (Pinus pinea) e il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis), quest’ultimo

particolarmente resistente alle alte temperature, all’ aridità e al vento.

La macchia ricopre aree estese della Maremma, delle Colline Metallifere, le propaggini del

Monte Amiata e le isole dell'Arcipelago Toscano.

6.6 Fauna della zona costiera Parte della macchia sempreverde è il risultato interventi diretti o indiretti dell’uomo sugli

ambienti della fascia costiera, attraverso l’incendio, il taglio e il pascolo, vedendo, inoltre,

l’introduzione di molte specie animali alloctone come il coniglio selvatico, il daino, il cinghiale e

la lepre.

La fauna che caratterizza la macchia mediterranea è povera di elementi esclusivi, cioè di

specie animali che vivono unicamente al suo interno. La spiegazione risiede probabilmente nel

fatto che, durante l’ultima glaciazione, la vegetazione costiera si era ridotta solamente a piccoli

Figura 13: Pino domestico (foto: C.Vagnoli)

Secondo Bernetti (1994) queste elencate sono le specie sclerofille della flora

italiana:

Quercus ilex, Phillyrea angustifolia, Pistacia lentisco, Quercus suber , Rhamnus

alaternus, Olea europea var. sylvestris, Quercus coccifera , Ceratonia siliqua, Myrtus

communis, Arbutus unedo, Smilax aspera, Phillyrea latifoglia

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lembi isolati che si trovavano,

ovviamente, nelle zone più calde della

penisola e delle isole. Per tale motivo

non è stata possibile la conservazione

di popolazioni vitali di animali,

soprattutto i vertebrati terrestri, ma

anche molti insetti che necessitano di

risorse trofiche abbondanti e distribuite

su vasti territori.

Nonostante la scarsa quantità di

frutti commestibili, la fruttificazione

autunnale di alcune specie come il

mirto, il corbezzolo, il ginepro e la fillirea, garantisce

sostanza trofica disponibile per gli animali presenti, non

solo grandi mammiferi, ma anche molti uccelli che

trovano, all’interno della macchia, condizioni climatiche

idonee per svernare e trascorrere la stagione invernale

cibandosi dei numerosi insetti presenti anche in

inverno. Inoltre la densa copertura sempreverde

garantisce una protezione visiva nei confronti dei

predatori. Alcuni esempi sono le cinciarelle,

cinciallegre, codibugnoli, pettirossi, ecc.

Si potrebbe perciò affermare che il bosco

sempreverde, le zone ecotonali, i coltivi ed infine la

macchia, costituiscono un unico grande ecosistema

caratterizzato da un’elevata diversità biologica.

Figura 14: Leprotto (Foto: C.Vagnoli)

Figura 15: corbezzolo con frutti non del tutto

maturi (Foto:C.Vagnoli)

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182

6.7 Flora delle aree collinari

Salendo di quota si incontra una tipologia di

vegetazione che contraddistingue invece le zone

più interne, collinari, ma sempre caratterizzate da

un clima temperato. Le specie più comuni sono

rappresentate dalle querce decidue e le due

specie prevalenti sono Cerro (Quercus cerris) e

Roverella (Quercus pubescens) consociate ad

aceri e carpini.

Figura 16: querceti in collina (Foto di L.

Massetti)

Figura 17: Cerro in Val di Sieve (foto: C.Vagnoli)

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Le colline sono, per la maggior parte, caratterizzate da estesi appezzamenti di vigneti,

terrazzati e non, e oliveti. Ove possibile l’uomo ha cercato di impiantare queste colture per il

loro pregio economico. La vocazione vitivinicola delle colline Toscane ha fatto sì che

nascessero dei veri e propri itinerari, “Le strade del vino", lungo le quali si trovano cantine di

aziende agricole, agriturismi e attrattive paesaggistiche, culturali e storiche, altamente

organizzati per il turismo.

La vegetazione collinare, oltre che offrire un bellissimo paesaggio ricco di colture agrarie, è

rappresentata, come già accennato, da boschi di querce caducifoglie, formazioni che

maggiormente incidono sul paesaggio collinare toscano, in particolare nelle province di

Grosseto, Siena, Arezzo e Firenze. Tali querceti, quasi esclusivamente cedui1, sono

nettamente dominati dal Cerro e dalla Roverella, ma presentano in mescolanza anche altre

specie tipiche di queste altitudini tra cui l’Orniello, Carpino nero e bianco, l’Acero campestre, il

Pino marittimo, il Corbezzolo, ecc.

Cerro e Roverella partecipano al paesaggio toscano anche con boschetti che rivelano l’uso

delle querce caducifoglie anche come piante dei campi dove vengono disposte a gruppi, a filari

o a singole piante.

Altra tipica specie molto presente e quasi divenuta un simbolo per la Toscana è il cipresso,

presente dal litorale tirrenico alle zone collinari interne. Il cipresso nell’immaginario popolare è

un albero legato ai

cimiteri; per tale motivo è

stato da sempre

considerato sacro ma allo

steso tempo lugubre. In

Toscana questo

significato è stato perso

ed il cipresso è diventato

un elemento distintivo del

paesaggio per gli indubbi

effetti ornamentali nella

decorazione di viali,

colline e ville private.

1 Il bosco ceduo, e cioè a rinnovazione agamica tramite polloni, era una forma di governo molto apprezzata perché permetteva utilizzazioni frequenti e remunerative, dalle quali si ritraevano assortimenti molto utili quali la paleria ed il combustibile per il riscaldamento domestico e per l’industria. Inoltre, soprattutto il ceduo di querce, era utilizzato per il pascolo ovino e suino data l’appetibilità delle ghiande per gli animali.

Figura 18: viale di cipressi (foto:C.Vagnoli)

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6.8 Fauna delle aree collinari La fauna selvatica presente nei boschi annovera specie come il cinghiale, che lascia un po’

ovunque il segno della sua presenza rappresentato in maggior parte dagli insogli e dai segni

sui tronchi degli alberi ai quali amano grattarsi. Numerosi anche caprioli, volpi, tassi ed istrici.

La fauna ha inoltre da sempre rivestito un’importanza rilevante per l’alimentazione. La

cacciagione comprendeva infatti starne, lepri, fagiani, cervi, cinghiale e caprioli, ed ancora,

tordi, merli, passerotti, beccafichi,

fringuelli ed allodole.

Il ghiro è stato cacciato per scopi

alimentari, infatti uno dei nomi inglesi

di questa specie è "Edible dormous",

letteralmente "dormiglione

commestibile".

Gli uccelletti allo spiedo,

intercalati con pane, salvia, alloro e

lardo di maiale, divennero un piatto

assai frequente anche sulle tavole

dei borghesi ed entrarono a pieno

titolo nel quadro della cultura gastronomica italiana grazie anche all’opera di Pellegrino Artusi

(“Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” pubblicata per la prima volta nel 1891 e tutt’oggi

ristampata).

Presenti anche rapaci diurni come Poiana e Biancone, oltre che numerosi passeriformi

che si odono nel bosco come capinera, sterpazzola, pettirosso, cinciarella e picchio verde.

Figura 19: beccafico (foto: David Nowell; fonte EBN Italia)

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6.9 Le Zone Umide

Le zone umide odierne derivano dalle numerose aree paludose esistenti in passato (Figura

20) .

L’uomo ha sempre cercato di intervenire modificando questi ambienti per renderli sempre

più adatti al suo insediamento, apportando modifiche all’assetto naturale, sempre

garantendone la continuità. Grandi opere di ingegneria idraulica e regimazione delle acque

stagnanti furono ultimate già ai tempi degli Etruschi ed ampliate in seguito dai Romani.

Successivamente, per tutto il Medioevo, queste zone rappresentarono importanti vie di

comunicazione, i canali erano infatti navigabili e fonti di numerose attività redditizie come la

caccia e la pesca. In seguito, le opere di vera e propria bonifica sono state riprese, in modo

decisivo, dai Medici e, soprattutto, i Lorena.

Dopo gli interventi realizzati dai Medici si vennero a formare dei grandi appezzamenti

terrieri che dettero origine al sistema delle “Fattorie” (ne sono esempi il Padule di Fucecchio e

la Val di Chiana).

I Lorena intrapresero, invece, molte opere di bonifica vera e propria col fine di creare non

solo ampi spazi atti all’agricoltura, ma anche infrastrutture insediative che portarono alla

crescita economica e sociale di quel territorio. (Dal sito delle Zone Umide della Toscana).

Figura 20: dal sito delle Zone Umide Toscane Aree di colore celeste: Area del mare e delle acque interne del Pleistocene inferiore. Aree di colore verde: Ricostruzione delle aree paludose ottenuta sulla base della carta geografica del Granducato di Toscana dell'Ing. Ferdinando Morozzi del 1784 (fondo Lorena - Archivio Generale di Stato di Praga. Aree a righe rosse e bianche: Attuali Aree Umide.

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Oggi come allora queste zone sono caratterizzate da un microclima particolare che ne

definisce la distribuzione sia vegetale che animale. Oltre ai parametri climatici ci sono da

considerare anche il grado di salinità dell'acqua e del terreno circostante, l’allagamento

temporaneo delle aree marginali in determinati periodi e la profondità delle acque.

Gli organismi che vivono nelle zone umide sono molto vulnerabili e risentono dei minimi

cambiamenti dell’habitat proprio perché hanno sviluppato una specializzazione tale da rendere

possibile la colonizzazione di ogni angolo dell’ambiente acquatico, capaci però di sviluppare le

proprie funzioni vitali solo in quella determinata posizione del biotopo palustre.

Le zone umide attuali sono state censite dal Centro Ornitologico Toscano essendo la

Toscana una delle regioni più ricche di aree

idonee alla sosta di uccelli acquatici. Tali

aree sono visualizzate in nella mappa

(Figura 21):

I siti censiti sono aree palustri, laghi,

fiumi e canali, bonifiche, tratti costieri poco

profondi, bacini artificiali e cave.

Il grado di copertura ottenuto è stato

reso possibile grazie alla collaborazione di

diverse decine di rilevatori ed all'aiuto ed al

sostegno fornito da Amministrazioni Locali,

Parchi e Riserve, Enti gestori ed

Associazioni Ambientaliste.

Riguardo alla flora, una specie che fino

a qualche decennio fa era presente in

Toscana è la Calta (Caltha palustris subsp.

Cornuta), una pianta perenne che si trovava

lungo le sponde dei corsi d’acqua, acquitrini

e stagni. Essa rappresenta un relitto

microtermico spintosi nelle zone di pianura durante le glaciazioni e che attualmente è, almeno

in Toscana, da considerarsi estinta. Altra specie presente fino al XIX secolo è il Trifoglio

d'acqua comune (Marsilea quadrifolia) pianta anch’essa estinta.

Una delle specie ancora presenti, ma in regressione, è la Felce florida (Osmunda regalis),

considerata un relitto termoigrofilo terziario, adatta ad un clima temperato-caldo, ben diverso da

quello attuale.

Gli ambienti delle zone umide sono caratterizzate da un elevato grado di biodiversità.

Figura 21: Zone umide della Toscana Fonte: C. O. T. Centro Ornitologico Toscano

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Le tipologie di vegetazione più comuni in queste zone sono rappresentate da fragmiteti

(canneti), lamineti (piante con foglie galleggianti come le ninfee), prati umidi, sfagnete, cariceti

e boschi idrofili. Tutte queste tipologie di vegetazione comprendono, naturalmente, un elevato

numero di specie.

Tra la fauna presente numerose specie ornitiche, prevalentemente migratorie come le

specie di palmipedi e trampolieri che in autunno e primavera sostano in queste zone in cui

trovano l’alimentazione giusta per continuare il viaggio migratorio verso le zone di nidificazione

o di svernamento.

Figura 22: Golene del Tevere (Ar) Foto L. Massetti

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Altri uccelli, migratori e non, che si trovano

numerosi, sono il Germano reale , la Gallinella

d’acqua, il Cavaliere d’Italia , la Folaga, il

Tuffetto, l’Airone cenerino, la Garzetta, la

Nitticora e molti altri. Riguardo agli aironi,

numerose erano in passato le “garzaie” (nome

dato ai siti di riproduzione occupati da

numerose colonie di aironi) presenti sul

territorio toscano.

Le garzaie attualmente presenti in Toscana

sono 14, ubicate in aree differenti per

caratteristiche ecologiche, tipo di utilizzo del

territorio da parte dell’uomo e grado di tutela. Si

tratta di siti frequentati per la nidificazione sia da una sola specie, sia da più specie

contemporaneamente (C. Scoccianti, R. Tinarelli, 1999). Dati relativi a studi effettuati da

Battaglia & Sacchetti (in Tellini Florenzano et al., 1997) sulla popolazione nidificante di

Nitticora, risulta un progressivo aumento

della presenza di questa specie negli

anni dal 1982 al 1995. In Toscana inoltre

la Nitticora appare la specie presente col

maggior numero di coppie nidificanti e,

dopo la Garzetta, quella presente nel

maggior numero di siti coloniali.

Le zone umide svolgono un

importante ruolo non solo per l’avifauna

acquatica, ma anche per l’esistenza dei

mammiferi, che specialmente durante i

lunghi periodi di siccità possono reperire

in esse il necessario per sopravvivere.

Legata specialmente agli ambienti fluviali

è la nutria o castorino, un animale da pelliccia originario del Sudamerica che, fuggito da

allevamenti artificiali, ha trovato nelle zone umide un ambiente idoneo alla sua sopravvivenza.

Figura 23: Germano reale

(Foto di L. Pini Università di Firenze)

Figura 24: Cavaliere d'Italia (Foto C.Vagnoli)

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6.10 Flora e fauna della fascia appenninica e apuana

Le regioni appenniniche, localizzate lungo la dorsale che cinge la Toscana da sud-est a

nord-ovest e protetta dai venti freddi invernali provenienti dal continente asiatico e dal nord

Europa, costituiscono la parte montana della Regione Toscana, caratterizzata da vette e valli

che assumono una propria conformazione in funzione dei litotipi presenti e dei fiumi che

regolano il deflusso delle acque lungo il territorio.

I rilievi, con vette che spesso raggiungono i 1000 metri, divengono mano a mano più acclivi

e duri nei profili muovendosi verso le Alpi Apuane per effetto del substrato roccioso che diviene

in prevalenza calcareo-marnoso e quindi dotato di una maggiore resistenza all’azione erosiva

degli agenti atmosferici.

L’Appennino è caratterizzato da un’elevata varietà di paesaggi, sia per quanto attiene la

morfologia, piuttosto variabile, che per quanto riguarda il tipo di assetto colturale.

Il paesaggio ha subito, negli anni, molte modificazioni da parte dell’uomo, in seguito a

coltivazioni produttive. Le tracce dei passati utilizzi sono visibili e rappresentati da frequenti

arbusteti che ricolonizzano le superfici abbandonate dall’agricoltura e dalla pastorizia.

Garzaie: descrizione del Savi presente nel suo trattato Ornitologia Toscana (1827-31): “(...) sono socievoli, perciò emigrano in truppe, in compagnia vanno a pascolare, ed i nidi loro

veggonsi a centinaia riuniti nei medesimi luoghi. Son questi siti di difficile accesso, ove

supposero che la loro prole godrebbe tranquillità e sicurezza. Trovansene in varie parti

d’Europa, e diversi, anche molto cospicui, sono in Italia, ove han nome di Garzaje. Nella parte

orientale del vasto padule di Castiglion della Pescaja, non molto lontano dal chiaro della

Meloria, sonovi de’ boschetti di Tamarici, e Salci, che essendo da tutte le parti circondati da

foltissime Cannelle, vegetanti in una fanghiglia molle, profonda, e coperta di poca acqua, non

si può giungere ad essi con i barchetti, e solo vi si può penetrare camminando con gran fatica,

ed anche pericolo, in quell’acqua motosa, ingombra di radiche, e tronchi caduti. In questi

boschetti resi quasi inaccessibili all’uomo, non tanto dalla natura del suolo, quanto per l’aria

pestifera che vi regna in estate, un immenso numero d’Uccelli acquatici vi si propaga. Anatre,

Folaghe, Sciabiche, Gallinelle, ec. han stabilito il loro covo fra l’erbe ed i paglioni, alla

superficie dell’acqua: ma il numero più grande di que’ nidi è d’aironi, e Marangoni, che

riempono tutti i rami, le biforcature de’ fusti, la sommità delle ceppe. …”.

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Nonostante questo conserva comprensori forestali di notevole valore naturalistico e boschi

con elevato grado di naturalità, basti ricordare la foresta di Vallombrosa, la Riserva Naturale

Integrale di Sasso Fratino e la Foresta di Campolino nel Comune di Abetone, nella quale Abete

rosso (Picea abies) e Abete bianco (Abies alba) (entrambi di sicuro indigenato) formano con il

Faggio (Fagus sylvatica) un bosco misto dalla struttura quasi prossima a quella di una foresta

Figura 25: Coltivo abbandonato (Foto: C. Vagnoli)

Figura 26: foresta di Vallombrosa (Foto P. Grassoni)

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primaria.

Oltre alle abetine sono state introdotte anche altre specie frugali di resinose quali il Pino

laricio (Pinus nigra subsp. Laricio) e il Pino nero austriaco (Pinus nigra subsp. nigra),

impiantate sui terreni più poveri al posto delle latifoglie preesistenti.

Le fasce altitudinali che si succedono sono due:

• Castanetum (da 450 m s. l. m. a 900 m s. l. m.) e

• Fagetum (da 900 m s. l. m. a 1450 m s. l. m.).

Castanetum: dal nome della pianta che vi trova l’optimum ambientale per svilupparsi e

riprodursi, il Castagno (Castanea sativa) . Fascia altitudinale caratterizzata da scarsa siccità

estiva e temperature più favorevoli alla produzione di legname.

Oltre al Castagno, nelle esposizioni più soleggiate, si ritrovano cedui misti di latifoglie

caratterizzati da una notevole mescolanza di specie.

Figura 27: Castagno (Foto di L. Massetti)

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Fagetum: dal nome della specie che

vi trova l’optimum ambientale per

svilupparsi e riprodursi, il Faggio (Fagus

sylvatica). Sugli Appennini rappresenta il

limite superiore della vegetazione

arborea.

Le zone che si trovano all’interno di

questa fascia altitudinale sono

caratterizzate da abbondanti piogge,

assenza di siccità estiva ed elevata

umidità atmosferica; il fattore limitante è

rappresentato dalle basse temperature rappresentando così un limite alla crescita di alcune

specie. In questa zona, pertanto, vegetano specie mesofile e igrofile come appunto il Faggio,

alcune querce e l’Abete bianco. Quest’ultimo vive anche in piccoli gruppi spontanei in alcuni

luoghi, come al Passo del Cerreto e in Val d’Ozola (versante emiliano), a testimoniare la

maggiore espansione che questa conifera ebbe nel passato, quando il clima le era più

favorevole e l’uomo non era ancora intervenuto con lo sfruttamento del suo ricercato legname.

Le faggete delle zone più prossime ai crinali hanno una funzione prevalentemente

protettiva date le sue caratteristiche di maggiore stabilità, rispetto ad altre specie, soprattutto

nei confronti dei venti, che spirano con particolare frequenza e intensità. Tali boschi, governati

a ceduo, accusano per lo più sofferenze acute dovute ad eventi climatici occasionali come le

gelate fuori stagione o come le annate molto siccitose, o ancora, il fenomeno della galaverna ,

particolarmente insidioso per il verificarsi. In generale, le zone in cui la

galaverna si verifica con maggiore frequenza sono le zone appenniniche ed alpine, in cui le

nubi basse fungono da serbatoio di umidità, in cui molto spesso si possono trovare giornate

nebbiose con temperatura inferiore allo zero. Un’evoluzione del clima, con una ulteriore

riduzione dell’innevamento, potrebbe

portare a fenomeni di ritiro della

specie.

Al di sotto dei 1.300 m, si trovano

specie tipiche quali l’Acero montano

(Acer pseudoplatanus), l’Acero riccio

(Acer platanoides), il Tiglio (Tilia

platyphyllos), l’Olmo montano (Ulmus

glabra) ed il Frassino maggiore

(Fraxinus excelsior).

Figura 28: foglie di Faggio (Foto:L. Massetti)

Figura 29: Galaverna su Rosa canina ( Foto:Francesco Ferreri; Fonte: www.bellappennino.net)

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Alle quote inferiori ai 1.000 metri predominano i querceti con Cerro, molti dei quali sono

stati trasformati in castagneti da frutto, coltivati in parte ancora oggi.

La posizione del tratto di Appennino riparato dalle Alpi Apuane e dalle miti correnti

tirreniche, è esposto ai freddi venti continentali (nel versante emiliano) tali da creare condizioni

climatiche molto particolari, vicine a quelle alpine, che si riflettono sulla flora e sulla fauna delle

quote più alte (tratto dal portale della provincia di Massa-Carrara).

Al di sopra dei 1.700 metri di quota vegetano la brughiera e la prateria. Dalla brughiera a

mirtilli emerge sporadicamente il Sorbo alpino (Sorbus chamaemespilus), alberello poco più

alto di un metro, molto raro in Appennino. Sempre in quota, spesso nelle zone più fredde dove

la neve rimane per lungo tempo, il pascolo ripetuto nel tempo ha trasformato la brughiera in

nardeto, un’interessante prateria bassa composta principalmente dal nardo (Nardus stricta),

graminacea poco gradita alle pecore e ben adattabile anche a condizioni estreme. Sugli

ambienti di cresta battuti dai venti, si sviluppa un altro tipo di prateria tipicamente montana.

Questa volta la specie dominante non è una graminacea ma il piccolo Giunco delle creste

(Juncus trifidus), piantina filiforme alta appena una decina di centimetri, proprio per meglio

resistere alla forza dei venti.

La flora e, in minor misura, la fauna, comprendono numerosi “relitti glaciali”, specie che

hanno colonizzato l’Appennino settentrionale durante le glaciazioni e sono sopravvissute, dopo

la scomparsa dei ghiacci, solo nelle località più fredde dell’Appennino, come testimoni isolati

del clima passato. Un esempio è la Rana temporaria, anfibio distribuito principalmente nell’arco

alpino ed in alcune località appenniniche e presente nei ruscelli che scorrono nelle foreste di

Faggio e Abete bianco sopra i 1000 m di quota.

Le aree ancora coltivate e pascolate e gli arbusteti ospitano alcune delle pochissime

coppie di Zigolo giallo (Emberiza citrinella) ancora nidificanti in Toscana ed altri uccelli non

comuni quali l’Averla piccola (Lanius collurio), il Saltimpalo (Saxicola torquata) e lo Zigolo

muciatto (Emberiza cia).

I mirtilli costituiscono un cibo prelibato per

Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), giunta

nell’Appennino durante l’ultima glaciazione.

Tra i piccoli passeriformi si ricordano

l’Allodola (Alauda arvensis) e lo Spioncello

(Anthus spinoletta); ad essi si associa lo Stiaccino

(Saxicola rubetra), specie tipicamente alpina,

molto rara in Appennino.

Nei mesi primaverili ed estivi, i passeriformi

trovano risorse trofiche, come insetti e semi, nelle

le praterie di crinale ad erba bassa.

Figura 30: Zigolo giallo (Foto:E. Critelli

fonte:EBN Italia)

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Tra i rapaci diurni, l’Aquila reale (Aquila chrysaetos), il Gheppio (Falco tinnunculus), la

Poiana (Buteo buteo) e, talvolta, il Falco pellegrino

(Falco peregrinus). Questi rapaci usano le praterie

come territori di caccia, preferendo per la

nidificazione luoghi più riparati e a quote più basse.

L’Aquila reale, in particolare, è presente con

diverse coppie nidificanti.

Tra i mammiferi, le due più comuni specie dì

ungulati oggi presenti su tutto l’arco appenninico,

anche se in modo discontinuo, sono: Capriolo

(Capreolus capreolus, 1758) (Foto) e Cinghiale

(Sus scrofa, 1758).

Entrambi hanno avuto

una fase di espansione

territoriale ed un

notevole incremento

numerico, dovuto allo

spopolamento delle

campagne, alla minore

utilizzazione delle

superfici boschive e alla

diminuita concorrenza

pabulare da parte del

bestiame domestico

allevato allo stato brado

(Casanova, Capaccioli,

Cellini, 1993).

Sui rilievi appenninici si possono segnalare specie autoctone come capriolo e cervo, quasi

estinti dal bracconaggio, oggi reintrodotti e numericamente elevati, tali da porre grossi problemi

per la rinnovazione naturale delle foreste e per i rimboschimenti. Altre introduzioni, a scopi

venatori hanno riguardato specie non autoctone sono il daino, il cinghiale ed il muflone.

Le foreste di querce e quelle di faggio sono popolate da cinghiali, caprioli e cervi che

frequentano le radure erbose e arbustive per alimentarsi, salendo di quota nei mesi più caldi.

Tra le specie più significative presenti è di estremo interesse la presenza del lupo. Lungo la

dorsale appenninica occupa solitamente un habitat compreso tra gli 800 e i 1.600 m s.l.m. in

Figura 31: Allodola

(Foto:Gabriella Motta Fonte:EBN Italia)

Figura 32: Poiana

(Foto: A. Battaglia fonte:EBN Italia)

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cui prevalgono faggete e praterie. Oggi questo mammifero è presente in modo stabile grazie

alla protezione ed alla nuova disponibilità di prede, fra cui caprioli, cervi e mufloni.

Le praterie di alta quota sono infine l’ambiente favorito

dalla marmotta, introdotta alcuni decenni fa ed oggi preda

elettiva dell’Aquila reale. (Dal sito della Provincia di Massa

Carrara)

Altri mammiferi che valgono la pena di ricordare sono: il

gatto selvatico, relativamente frequente nelle formazioni

boschive, la Lontra (Lutra lutra), quasi estinta e soppiantata

dal castorino (Nutria) e numerose popolazioni di Lepre

(Lepus europaeus), Volpe (Vulpes vulpes) e Tasso (Meles

meles).

Nella parte nord ovest della regione si trovano le Alpi

Apuane: breve catena montuosa paragonata alle Prealpi

per il suo aspetto aspro e per le vette elevate.

Nel corso dell’evoluzione geologica si sono verificate molte mutazioni, come sommersioni e

riemersioni, che hanno dato un relativa complessità a queste zone.

Le condizioni di vita estremamente selettive, i particolari microclimi, le differenze esistenti

nel tipo di terreno, l’esposizione dei versanti ai venti marini e, non ultimo, l'intervento dell'uomo,

hanno reso gli ambienti delle Apuane assai vari, favorendo lo sviluppo di specie endemiche,

presenti cioè soltanto sulle Alpi Apuane, come il Fiordaliso del Borla (Centaurea montis-borlae)

e la Globularia delle Apuane (Globularia incanescens).

Le risorse di legname non sono state sfruttate molto nel corso della storia dalle popolazioni

locali e proprio per tale motivo in alcune zone la vegetazione è fitta e incontaminata.

La flora delle Apuane è rappresentata da boschi di querce, Carpino nero, faggi d'alta quota

e secolari Castagni da frutto (che un tempo fornivano agli abitanti delle montagne uno degli

alimenti principali del loro sostentamento) e dalle specie tipiche della Macchia Mediterranea.

Figura 33: Volpe (Foto:L. Massetti)

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La particolare varietà di microclimi delle Apuane ha inoltre permesso ad un certo numero di

piante di diversificarsi dalle specie originarie. Nei prati di vetta si trovano primule, genziane,

crochi mentre più a valle felci, ciclamini, roseti, narcisi, orchidee, gigli ed altri fiori.

Al contrario di quanto avviene per la flora, la fauna apuana non sembra presentare

caratteristiche tali da conferirle un significato particolare. Più che dalla presenza di specificità

locali, o comunque particolarmente rare, l'interesse deriva dalla tipologia delle associazioni

animali presenti. Funzione sia della peculiare evoluzione dell'ambiente apuano sia delle

caratteristiche attuali dell'habitat naturale.

La fauna si compone, per quanto riguarda i volatili, principalmente da: Rondine montana

(Hirundo rupestris), Picchio rosso minore (Picoides minor), Picchio muraiolo (Tichodroma

muraria), Gheppio (falco tinnunculus), Falco pellegrino (Falco peregrinus), Gracchio alpino

(Pyrrhocorax graculus), Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) e Aquila reale (Aquila

Chrysaetos).

Figura 34: fioritura di crocus sulle Apuane(foto:F.Berretti)

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Ricca la presenza di specie anfibie,

tra le quali: la Salamandrina dagli occhiali,

il Tritone alpestre apuano, la Salamandra

pezzata, il Geotritone italico. Tra i

mammiferi troviamo: lo scoiattolo, la

martora, la donnola, la faina, la lontra, la

puzzola, la volpe, il ghiro, il capriolo e il

cervo.

6.11 Avifauna Le popolazioni ornitiche variano a seconda del tipo di associazioni vegetali presenti sul

territorio e, naturalmente se si tratta di migratori, a seconda della stagione considerata.

In inverno, la macchia mediterranea offre cibo e rifugio a molte specie di uccelli come ad

esempio, nei mesi più rigidi, a gruppi numerosi di passeriformi quali cinciallegre, cinciarelle,

codibugnoli e pettirossi, frequentatori della fascia inferiore della vegetazione.

Le colline, grazie alla vicinanza con il mare ed alla loro estesa copertura vegetale,

rivestono un ruolo importante per l'avifauna in migrazione, basti ricordare, ad esempio, la

Beccaccia (Scolopax rusticola),

legata all’ambiente boschivo e

che si rinviene, in Toscana,

solamente durante la stagione

autunno-invernale.

Tra gli uccelli, di passo o

stanziali, si annoverano anche

molti passeriformi appartenenti a

varie specie di Hirundinidae

come Rondine , Balestruccio e

Topino, ed ancora Tordi

(bottaccio e sassello), Cesena,

Fringuello, Verzellino,

Cardellino, Verdone, ecc.

Figura 35: Scoiattolo (Foto L. Massetti)

Figura 36: Rondine che porta il cibo ai nidiacei. Parco dell’Uccellina

(Foto: G. Brandani)

Page 32: La flora e la fauna in Toscana - portaleragazzi.info e fauna in Toscana... · 167 La flora e la fauna La distribuzione e l'evoluzione della flora e della fauna sono indubbiamente

198

La scomparsa e l'estrema rarefazione di ambienti boschivi determinano la distruzione di

habitat preziosi per lo sviluppo di molte specie di animali, da ricerche effettuate (Comune di

Livorno) risulta, ad esempio, una diminuzione di diverse specie di Strigiformi, rapaci notturni

(Gufo, Barbagianni, Allocco, Assiolo), che un tempo facevano echeggiare in forre e valli i loro

tenebrosi richiami e che, data la loro massiccia presenza, dettero il nome alla “Valle delle

Stregonie”.

La decadenza numerica di tali specie risiede nello sfruttamento elevato del bosco, soggetto

per decenni al taglio e agli incendi, che non è più in grado di offrire idonei spazi per la

riproduzione. Il decremento di queste specie ha portato ad uno squilibrio trofico negli

ecosistemi tanto da portare all’incremento di specie come ratti, topi campagnoli ed altri piccoli

roditori.