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LIBERTÀ RELIGIOSA, I DIRITTI DELLE MINORANZE DIRITTI DELL’UMANITÀ LA FEDE, VINCOLO DI PACE MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLIV - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA CRISI & CASA FAMIGLIE STROZZATE DAL MUTUO, MEGLIO PREVENIRE… ROSARNO UN ANNO DOPO “TRANSUMANTI” STAGIONALI, NULLA È CAMBIATO ALBANIA IL PAESE SI TRASFORMA, MA LO SVILUPPO È SBILANCIATO febbraio 2011

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LIBERTÀ RELIGIOSA, I DIRITTI DELLE MINORANZE DIRITTI DELL’UMANITÀ

LA FEDE, VINCOLO DI PACE

MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLIV - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA.IT

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CRISI & CASA FAMIGLIE STROZZATE DAL MUTUO, MEGLIO PREVENIRE…ROSARNO UN ANNO DOPO “TRANSUMANTI” STAGIONALI, NULLA È CAMBIATO

ALBANIA IL PAESE SI TRASFORMA, MA LO SVILUPPO È SBILANCIATO

febbraio 2011

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editoriale di Vittorio Nozza EUCARISTIA E PACE: UN CAMMINO, QUATTRO COMPITI 3 la sfida dell’educare di Giuseppe Merisi VALUTARE I TEMPI, RITROVARE IL LINGUAGGIO DI DIO 5 parola e parole di Bruno Maggioni PADRE NOSTRO: SIGNORE CHE DONA, AL PLURALE 6

nazionale HOMELESS, PIANETA IGNOTO: CONOSCERE PER AIUTARE 8 di Diego Cipriani database di Walter Nanni 11 STROZZATI DAL MUTUO? MEGLIO PREVENIRE… 12 di Paolo Tomassone LA POVERTÀ? SI ENTRA E SI ESCE. INCOMBE GIÀ LA TERZA SETTIMANA... 14 di Walter Nanni dall’altro mondo di Franco Pittau 16 TRANSUMANTI STAGIONALI, NON È CAMBIATO NULLA 17 di Francesco Chiavarini contrappunto di Domenico Rosati 21

panoramacaritas ZERO POVERTY, MARCIA PACE, BRASILE 22progetti PROMOZIONE DEL VOLONTARIATO 24

internazionale ASIA E ALTRI “BLASFEMI”, NEL MIRINO LE MINORANZE 26 di Massimo Pallotino e Silvio Tessari nell’occhio del ciclone di Paolo Beccegato 30 ALBANIA: SVILUPPO SBILANCIATO, LA POVERTÀ SI TRASFORMA 31 di Francesco Tommasi IL SALVATAGGIO DELL’IRLANDA? «LO PAGHERANNO I VULNERABILI» 34 di Sara Martini eurovolontari 2011 / spagna di Sara Martini 35 DONNE CHE EMIGRANO, AUTONOME E VULNERABILI 36 di Moira Monacelli contrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44 PASQUALE SCIMECA: «“MALAVOGLIA”, L’ITALIA DISGREGATA» 47 intervista di Danilo Angelelli

IN COPERTINAFedeli cristiani

in una chiesa a Lahore,in Pakistan. Il paese asiatico

è uno di quelli dovepiù controversa, negli ultimi

anni, è divenutala questione della libertà

di professare la propria fedefoto AP Photo

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

LIBERTÀ RELIGIOSA, I DIRITTI DELLE MINORANZE DIRITTI DELL’UMANITÀ

LA FEDE, VINCOLO DI PACE

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ALBANIA IL PAESE SI TRASFORMA, MA LO SVILUPPO È SBILANCIATO

febbraio 2011

EUCARISTIA E PACEUN CAMMINO, QUATTRO COMPITI

editoriale

perché siano umani e competenti; lapreparazione di persone che si impegnino a gestire il be-ne comune con onestà, rettitudine, giustizia; l’educazio-ne al dovere della partecipazione e della corresponsabi-lità (nelle scuole, nei quartieri, nelle circoscrizioni, neicomitati...); l’educazione a essere famiglie aperte, chefanno crescere la dimensione della familiarità nei lorocontesti di vita, che si aprono all’accoglienza tempora-nea o permanente di persone in difficoltà e disagio; lapromozione delle molteplici forme di volontariato inrapporto ai vari bisogni letti, osservati (di anziani, am-malati, immigrati, persone sole, malati mentali, famigliein difficoltà...); la promozione, nel mondo giovanile, diespressioni profetiche: anno di volontariato sociale, ser-vizio civile, varie forme di volontariato; la promozione,non solo di gesti individuali, ma soprattutto di esperienzecomunitarie di servizio, in modo che la comunità stessane sia coinvolta e si presenti come segno credibile.

I n entrambi i casi, lo scenario è costituito dalla città di An-cona. Ma qual è il legame profondo che intercorre tra la43ª marcia per la pace “Libertà religiosa via per la pace”

(svoltasi il 31 dicembre 2010) e il 25° Congresso eucaristico na-zionale “Signore da chi andremo? L’eucaristia per la vita quo-tidiana” (che si svolgerà a settembre), alla luce del Messaggioper la Giornata mondiale della pace, che papa Benedetto XVIha diffuso a inizio gennaio? Se si impastano insieme i temi

di Vittorio Nozza

sommario ANNO XLIV NUMERO 1

sto ha, volutamente e strettamente,legato l’eucaristia al servizio, alladiaconia: “Durante l’ultima cena, sialzò da tavola, depose le vesti, versòl’acqua in un catino, cominciò a la-vare i piedi (...). Disse: se io ho lavatoi piedi (...) anche voi dovete lavarvi ipiedi l’un l’altro”, narra il vangelo diGiovanni. Quando si parla di Pa-squa, di eucaristia, si fa memoria siadel banchetto eucaristico sia delladiaconia del Signore. Due aspettistrettamente collegati tra loro. Bene-detto XVI dice “È innegabile il con-tributo che le comunità religiose ap-portano alla società. Sono numerosele istituzioni caritative e culturali cheattestano il ruolo costruttivo dei cre-denti per la vita sociale” (numero 6del Messaggio).

Il servizio, la diaconia hanno al-cuni criteri fondanti: l’adeguamentodei servizi ai veri bisogni delle perso-ne; la preparazione degli operatori

dell’eucaristia e della pace, almenoquattro sono le dimensioni e i com-piti sul cammino del credente.

L’eucaristia e la pace come dono, comegratuità. “Se la libertà religiosa è via perla pace, l’educazione religiosa è stradaprivilegiata per abilitare le nuove ge-nerazioni a riconoscere nell’altro ilproprio fratello e la propria sorella,con i quali camminare insieme e col-laborare perché tutti si sentano mem-bra vive di una stessa famiglia uma-na, dalla quale nessuno deve essereescluso”, scrive il papa nel suo Messaggio, al numero 4. Eu-caristia e pace come dono, dunque. Un dono gratuito: unostile, un modo di essere che sostiene tutto l’insegnamentoche viene dalla “vita buona del Vangelo”. Sentirsi dono, vi-versi come gratuità, comporta alcune conseguenze fon-damentali: anzitutto, assumere il costume, lo stile dellacondivisione; in secondo luogo porta a superare l’ansia, lafrenesia dell’accumulo, ad aprirsi agli altri negli ambiti del-la professione, delle scelte di vita e del tempo libero; in ter-zo luogo significa muoversi nella direzione che GiovanniPaolo II, parlando ai giovani di Firenze, chiamava “teologiadel dono”, raccomandando loro di portare questo segnonella società moderna, questo germe di cambiamentonella società del consumo e del profitto.

Diaconia e liberazioneL’eucaristia e la pace come servizio, come diaconia. Gesù Cri-

Il 2011 della Chiesa italianasi è aperto con la Giornata

della pace dedicataal tema della libertà

religiosa. E culminerànel Congresso eucaristico

nazionale di Ancona.I due argomenti sembrano

distanti. Ma hannomolti legami profondi…

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direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Ugo Battaglia, Paolo Beccegato,Livio Corazza, Salvatore Ferdinandi, RenatoMarinaro, Francesco Marsico, Sergio Pierantoni,Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona [email protected] Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 83962660 - Fax 06 83962655sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177215-249inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie [email protected] abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 21/1/2011

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editoriale

L’eucaristia e la pace come Pasqua, come liberazione. La cenaeucaristica presenta un carattere unico: celebra le libe-razioni passate, le Pasque passate, e inaugura la nuovaPasqua del Signore. Essa non è un pasto-nutrimento, oun pasto-simbolico: è liberazione definitiva dal male ecostituzione e costruzione della famiglia di Dio. Si col-gono, nel celebrare l’eucaristia, due grandi valori legatia quello della liberazione: il dono della pace e della gioia.“Il fanatismo, il fondamentalismo, le pratiche contrariealla dignità umana, non possono essere mai giustificatie lo possono essere ancora di meno se compiuti in nomedella religione. (…) Come negare il contributo delle gran-di religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sin-cera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispettodella dignità dell’uomo…” (numero 7 del Messaggio Li-bertà religiosa via per la pace).

La carità e la pace come liberazione: significa impe-gno a liberare le persone e ad aiutarle a liberarsi. Si ponequi il problema dell’importanza e del limite delle azionidi assistenza. È necessario preoccuparsi che sia un’assi-stenza che apre e avvia alla promozione della persona,che punti alla rimozione delle cause. Una carità che nonporta l’uomo alla promozione, alla liberazione, non è au-tentica. È quello che afferma il Concilio Vaticano II: “Sia-no anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perchénon avvenga che si offra come dono di carità ciò che ègià dovuto a titolo di giustizia”, affermava il decreto Apo-stolicam Actuositatem. C’è una cultura di pace che va in-dotta e realizzata attraverso il servizio, l’amore vicende-vole, il dialogo, la costruzione di intese, i cammini di

riconciliazione, ma anche il rifiuto della corsa agli arma-menti. Dobbiamo avere il coraggio di fare proposte real-mente significative, colte soprattutto come esperienzedi educazione alla pace, al dialogo e alla riconciliazione.

Non esteriori, frutto di alleanzeL’eucaristia e la pace come alleanza. “Questo calice è la nuo-va alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”,scrive il vangelo di Luca. Nel contesto semitico, alleanzavuol dire rapporto personalizzato, che elimina l’anonima-to e crea i legami di un popolo: ognuno è per l’altro, ognu-no può contare sull’altro, ognuno è parte di una famiglia,di una comunità vera. “Nelle svariate culture religiose,mentre deve essere rigettato tutto quello che è contro ladignità dell’uomo e della donna, occorre invece fare te-soro di ciò che risulta positivo per la convivenza civile. Lospazio pubblico, che la comunità internazionale rendedisponibile per le religioni e per la loro proposta di vitabuona, favorisce l’emergere di una misura condivisibiledi verità e di bene, come anche un consenso morale, fon-damentali per una convivenza giusta e pacifica”, affermaBenedetto XVI al numero 10 del Messaggio.

Dovrebbe essere normale nelle nostre comunità unostile di attenzione, di ascolto e di sostegno concreto nelledifficoltà: sostegno di carattere finanziario, nella solitudine(ad anziani, handicappati, malati mentali, malati termina-li, minori soli...), nelle situazioni di mancanza di lavoro odi crisi economica, sostegno di carattere psicologico e spi-rituale... Per celebrare un’eucaristia e promuovere una pa-ce non esteriori, ma frutto di autentiche alleanze.

Dovrebbe essere normale nelle nostre comunità uno stiledi ascolto e accoglienza. Per celebrare un’eucaristiae promuovere una pace frutto di autentiche alleanze

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VALUTARE I TEMPI,RITROVARE IL LINGUAGGIO DI DIO

la sfida dell’educare

per la libertà”, in rapporto ai temidella verità, dell’amore, della felicità,i vescovi si soffermano, nel numero9, su alcuni aspetti, rilevanti dal pun-to di vista antropologico, che influi-scono in particolare sul processoeducativo: l’eclissi del senso di Dio,l’offuscarsi dell’interiorità, l’incertaformazione dell’identità personale,le difficoltà di dialogo tra generazio-ni, la separazione tra intelligenza eaffettività. Si tratta di nodi critici chegenerano disagio, al fondo del qualesi può scorgere la negazione dellavocazione trascendente dell’uomo.

In tale contesto (numero 11), sipuò capire come scetticismo e rela-tivismo, oggi in voga, possano facil-mente escludere o rendere difficile ilriferimento alle due fonti che orien-tano al cammino umano: natura erivelazione, senza le quali è difficile“ritrovare” il linguaggio di Dio. Le os-servazioni che seguono, sui rapportidifficili tra le generazioni e sulle dif-

ficoltà della vita familiare, da mettere in rapporto con laseparazione fra le dimensioni costitutive della persona,consentono ai vescovi di descrivere, a partire dalla testi-monianza di Papa Paolo VI, “l’arte sovrana di educare”con le caratteristiche dell’autentica relazione educativa,che chiama in causa sfera razionale, mondo affettivo, in-telligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito.

Il primo capitolo si conclude con due appelli. Il pri-mo chiede di promuovere l’incontro e l’accoglienza tragli uomini, in riferimento specifico al fenomeno dellemigrazioni di persone e famiglie provenienti da regionie culture diverse. Il secondo chiede specifica attenzioneper la proposta educativa della comunità cristiana, il cuiobiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo dellapersona nella sua totalità in quanto soggetto in relazio-ne, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e lapresenza in lui di un germe divino.

D opo le necessarie premesse e dopo qualche osservazio-ne sulla introduzione degli Orientamenti pastorali peril decennio, pubblicati dai vescovi italiani sul tema del-

l’educazione con il titolo Educare alla vita buona del Vangelo,è opportuno proporre qualche altra indicazione, utile per leg-gere e collocare nella vita delle diocesi e delle Caritas diocesa-ne italiane il testo del documento a cominciare dal primo ca-pitolo: Educare in un mondo che cambia.

di Giuseppe Merisi

È evidente fin dal titolo il riferi-mento alle riflessioni della Confe-renza episcopale italiana degli anniprecedenti, confluite nei Convegniecclesiali di Palermo e Verona, conl’invito costante al discernimento.Dicono oggi i vescovi, al numero 7degli Orientamenti: “È il Signoreche, domandandoci di valutare iltempo, ci chiede di interpretare ciòche avviene in profondità nel mon-do di oggi, di cogliere le domande ei desideri dell’uomo”. E aggiungono,citando il Concilio Vaticano II: “Bi-sogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cuiviviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carat-tere spesso drammatico”. Senza dimenticare che è tuttoil popolo di Dio, con l’aiuto dello Spirito, che ha il com-pito di esaminare ogni cosa e di “tenere ciò che è buo-no”, come ricorda l’Apostolo Paolo nella prima letteraai Tessalonicesi.

Due appelli conclusiviIn questo cammino di discernimento, i vescovi invitanogli educatori a prendere coscienza di alcuni aspetti pro-blematici della cultura contemporanea: la tendenza diridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, labellezza a godimento effimero, cercando di riconoscereanche le domande inespresse e le potenzialità nascostedella cultura di oggi.

Dopo essersi soffermati sulla “accresciuta sensibilità

Nel primo capitolo degliOrientamenti pastorali

per il decennio, i vescovipropongono uno sforzo dicomprensione del mondo

attuale, “drammatico”ma non privo

di potenzialità. Su taleimpegno si basa “l’arte

sovrana di educare”

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PADRE NOSTROSIGNORE CHE DONA, AL PLURALE

fondo. Dio è giudice, certamente,Onnipotente, Signore del mondo:ma questi titoli perdono la loro veri-tà se non sono letti a partire dalla pa-ternità. Perché la signoria di Dio nonè per dominare, ma per donare, sem-pre per donare. La sua onnipotenzaè quella dell’amore, la sua giustizia èper offrire il perdono. Padre è il no-me di Dio, e figlio, sempre figlio, è ilnome dell’uomo che lo prega.

Si è figli quando si avverte cheall’origine della propria esistenzanon c’è stato il caso o la necessità,ma una decisione libera, un atto diamore. Da qui la radice della nostralibertà, della serenità e della sicu-rezza che ci dovrebbero accompa-gnare per tutta la vita. Ma la pater-nità di Dio si esprime al plurale:Padre nostro. Il Padre è insofferentedelle discriminazioni: fa sorgere ilsole sopra i buoni e sopra i cattivi. Evuole che anche i suoi figli si rivol-gano a Lui da fratelli. Per questo tut-

te le richieste sono al plurale, anche la domanda del pa-ne, del perdono e dell’aiuto nella prova. La preghieracristiana è necessariamente una preghiera fraterna. Pertale motivo costruisce comunione. Dio rifiuta di essereinvocato al di fuori del “nostro”. Respinge chi pretendedi raggiungerlo da solo.

Ma nella preghiera che Gesù ci ha insegnato c’è an-che la consapevolezza che colui che è Padre nostro èanche il Signore che è nei cieli. L’essere amati da Dio èdunque un’immensa e gratuita degnazione, cosa cheimpedisce di trasformare la grazia della sua paternitàin spirito di gretto settarismo. La consapevolezza cheColui che abita nei cieli ed è il Signore di tutte le cose ènostro Padre, deve aprirci alla fiducia e alla serenità, alsenso della provvidenza. Certo, anche all’obbedienza eall’umiltà. Ma un’umiltà che non ci schiaccia nella no-stra dignità, bensì ci allarga.

I l Padre Nostro ci è giunto in due forme: quella di Matteo (6,9-13) e quella di Luca (11,2-4). La prima è più ampia e struttu-rata, la seconda più breve. La diversità fra le due versioni ci

dice che i primi cristiani non erano rigidamente attaccati alle pre-cise parole, ma alla sostanza. Il Padre Nostro non è semplicemen-te una preghiera da recitare. È un riassunto dell’intero Vangelo, eogni sua frase deve essere accuratamente meditata e compresa.Lo faremo, in questo e nei prossimi numeri di Italia Caritas.

Nella versione di Matteo, il Pa-dre Nostro si apre con un’invoca-zione e si snoda in sette domande:le prime tre hanno come oggetto ilRegno, le ultime tre il perdono e lavittoria sul male, al centro c’è la ri-chiesta del pane di ogni giorno.Giustamente si è osservato chequeste domande hanno molti pa-ralleli nelle preghiere bibliche e giu-daiche: la preghiera insegnata daGesù è profondamente radicatanelle tradizioni del suo popolo. Pie-tre antiche, costruzione nuova.

Il Padre Nostro è una preghiera essenziale, senza re-torica (così facile nelle preghiere!), né una parola ditroppo. È una preghiera umile, ma anche disinvolta,coraggiosa, serena, di un figlio che si rivolge al Padre.Però non è facile recitare il Padre Nostro nella sua ve-rità: che il Regno venga è davvero il nostro grande de-siderio, sopra ogni altro? Davvero ci occorre – e ci ba-sta! – il pane per ogni giorno? Davvero abbiamoperdonato ai nostri debitori? Chi recita il Padre Nostrocomprende di essere un figlio peccatore. Tuttavia sa diessere veramente figlio, amato dal Padre: la sua pre-ghiera è confidente, a testa alta.

Figlio, sempre figlioPadre: gli attributi di Dio sono tanti. Non è però accumu-landoli che si comprende meglio chi è il Dio di Gesù Cri-sto. Padre è veramente il titolo che definisce Dio nel pro-

La preghiera di Gesù è un riassunto dell’interoVangelo. Nell’espressione

iniziale, evidenzia chela signoria del Padre non

è per dominare. E nonsopporta discriminazioni:

è necessariamentefraterna, costruisce

comunione

parola e paroledi Bruno Maggioni

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fenomeni attinenti alla grave emarginazione che sianoadeguati, replicabili e generalizzabili come premessa perla definizione di politiche volte a contrastare la grave emar-ginazione adulta. Lo stesso governo italiano si era assuntotale impegno sia a livello nazionale che europeo, acco-gliendo la richiesta, avanzata dal Parlamento europeo aglistati membri, di conoscere e documentare in maniera seriae comparabile il fenomeno della grave emarginazione.

La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare la quantità equalità dei servizi formali e informali, pubblici e privati,per le persone senza dimora, di tracciare i profili delle per-sone senza dimora presenti in Italia, di stimare la quantitàdel fenomeno e di analizzare le dinamiche di utilizzo delterritorio e dei servizi. Tuttavia, essendo la prima volta chenel nostro paese s’indaga a tutto campo un fenomeno cosìvasto e complesso, la fase preliminare della ricerca è stataparticolarmente delicata. Si è cominciato, perciò, con la

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Le statistiche ufficiali, infatti, sia che riguardino la co-siddetta “povertà relativa” sia che riguardino la cosid-detta “povertà assoluta”, non ci parlano mai delle per-sone che vivono in condizioni di “povertà estrema” e chesfuggono quindi alle rilevazioni degli studiosi. Il che rap-presenta una grave lacuna in un paese in cui, di fatto, ladignità della persona e la salvaguardia dei diritti nonsono garantite per tutti i cittadini.

Definizione e classificazionePer cercare di colmare questa lacuna, alla fine del 2007 l’al-lora ministero della solidarietà sociale (oggi del lavoro edelle politiche sociali), l’Istat, la Federazione italiana orga-nismi per le Persone senza dimora (Fio.Psd) e Caritas Ita-liana hanno deciso di condurre una ricerca - censimentonazionale sulla condizione delle persone senza dimora inItalia, con l’obiettivo di dotarsi di strumenti di lettura dei

definizione dell’oggetto d’indagine: chi è il “senza dimora”?Può sembrare una banalità, ma solo recentemente gli stu-diosi hanno cominciato a definire un linguaggio comunein questo campo, per cui oggi un individuo è considerato“persona senza dimora” quando versa in uno stato di po-vertà materiale e immateriale ed è portatore di un disagiocomplesso, dinamico e multiforme, e la sua condizione èconnotata da un forte disagio abitativo, cioè dall’impossi-bilità o incapacità di provvedere autonomamente a repe-rire e mantenere un’abitazione in senso proprio.

Ma la ricerca non è rivolta solo a comprendere megliola realtà delle persone che vivono in situazione di graveemarginazione, bensì anche il sistema che cerca di aiu-tarle e di combattere la povertà estrema. Per questo, unaltro tassello preliminare è stata la classificazione dei ser-vizi potenzialmente rivolti alle persone senza dimora.

In questa prima fase della ricerca sono stati individuatiben 32 tipi di servizi, raggruppati in cinque grandi tipologie:si va dai servizi di supporto in risposta ai bisogni primari aiservizi di accoglienza notturna e diurna, dai servizi di se-gretariato sociale a quelli di presa in carico e accompagna-mento. Il censimento di strutture, organizzazioni e serviziche in Italia offrono aiuto agli homeless ha coinvolto 158comuni, selezionati in base alla loro ampiezza demografica.Sono state contattate 1.684 organizzazioni e a 1.144 di essesono state somministrate interviste, che hanno portato aindividuare 810 organizzazioni che erogano alle personesenza dimora circa 2.450 servizi diversi (una stessa organiz-zazione può offrire più servizi: docce, mensa, ambulatoriomedico, distribuzione indumenti, ecc.), con indici di pre-senza maggiori al nord e al centro e inferiori al centro-sud.

Pochi servizi diurniMentre si sta procedendo all’analisi completa dei dati,l’Istat ha diramato (presentandoli pubblicamente a metàdicembre) i risultati provvisori relativi a 31 comuni, quasitutti capoluoghi di provincia, con una popolazione com-plessiva di circa 4 milioni di abitanti. In questi comunisono state censite 115 organizzazioni che erogano diretta-mente almeno uno dei servizi classificati; nel 79% dei casisi tratta di istituzioni o organizzazioni private, spessoanche i servizi pubblici sono gestiti da organizzazioni pri-vate che contano su un finanziamento pubblico.

In effetti, per quanto riguarda i servizi, nei 31 comuniconsiderati ve ne sono 599, di cui il 15% erogato diretta-mente da un ente pubblico, il 48% da organizzazioni pri-vate finanziate da un ente pubblico, il restante 37% daorganizzazioni private senza finanziamenti pubblici.

nazionalepersone senza dimora

HOMELESS, PIANETA IGNOTOCONOSCERE PER AIUTAREdi Diego Cipriani

L’ALTRA FACCIADELLA FESTAUn uomo senzadimora e il suogiaciglio alla stazioneCentrale di Milano

STEF

ANO

MER

LINI La realtà dei senza dimora, in Italia, sfugge a un’accurata

conoscenza, persino da parte delle istituzioni. Per ovviarea questa lacuna, ministero, Istat, Fio.psd e Caritas hannoavviato una ricerca. Che comincia a proporre risultati

evid era quasi certamente il più piccolo “bar-bone” (mai definizione fu così inappropriata!)tra quelli che popolano le strade delle nostrecittà. Se ne è andato, alla vigilia dell’Epifania,dopo appena 23 giorni di vita, in pieno centrodi una delle città italiane (Bologna) in cui, se-

condo le statistiche, si vive meglio. Strano paese, il nostro,in cui la moria apparentemente misteriosa di qualche de-cina di uccelli fa discutere più della puntuale e immanca-bile morte per assideramento di persone senza dimora.

Il fenomeno dei “senza dimora” è definito dagliesperti un elemento ricorrente di marginalità sociale neipaesi economicamente avanzati; tuttavia – strano mavero – un paese come il nostro, che risulta tra i più svi-luppati al mondo, non conosce nemmeno il numerodelle persone che vivono in strada, condizione essen-ziale per qualsiasi intervento in loro favore.

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nazionalepersone senza dimora

Un terzo dei servizi danno risposta a bisogni primari(tra essi, il 21% sono mense), un quarto sono servizi di se-gretariato sociale, il 22% sono servizi di presa in carico eaccompagnamento, circa il 16% di accoglienza notturna,mentre solo il 4,5% sono dedicati all’accoglienza diurna.

Quanto sono attivi i servizi cen-siti? L’85% dei servizi di accoglienzanotturna è aperto tutti i mesi del-l’anno, il 6% chiude nel mese di ago-sto, il restante 9% è aperto da uno asei mesi l’anno ed è spesso destinatoa soddisfare la maggiore richiestadurante la stagione invernale (so-prattutto nei comuni del centro-nord). Tutti i servizi di accoglienzanotturna rilevati sono attivi settegiorni su sette, con un orario mediodi apertura di circa 18 ore.

Anche la maggioranza dei ser-vizi di accoglienza diurna sonoaperti tutto l’anno (63%), mentretutti gli altri sono aperti da sei a un-dici mesi l’anno. Tra i servizi di sup-porto ai bisogni primari, il 77% èaperto tutti i mesi dell’anno (71%nel caso delle mense). Infine, l’85%dei servizi di segretariato sociale edi presa in carico e accompagna-mento sono aperti tutto l’anno.

Chi opera nei servizi? I volontarirappresentano la maggioranza deglioperatori tra i servizi di presa in caricoe accompagnamento (63%), ma so-prattutto tra i servizi di supporto ai bi-sogni primari (83%, nel caso delle

mense addirittura 93%). Laquota dei volontari si riduce al48% tra i servizi di segretariatosociale e al 44% tra quelli di ac-coglienza notturna. Negli entipubblici i volontari sono solo il10%, mentre nelle organizza-zioni private costituiscono il75% del personale impegnato.

Questi sono dunque i primiesiti della rilevazione. Contri-buiscono a sollevare il velodell’invisibilità sulle decine di

migliaia persone (50, 100, 150 mila?) che vivono da cit-tadini di serie B nel nostro paese. Valutazioni organichesaranno possibili quando la mole dei dati si farà piùcompleta. Ma sin d’ora le istituzioni sono avvertite: l’alibidel “non sapevo” sta per crollare.

Conferenza di consenso e Dichiarazione,l’Europa vuol battere la grave emarginazioneLo stereotipo è rappresentato da un uomo singolo, di mezza età, che dorme per strada. Ma anche in Europa la composizione della popolazione homelessevolve: sono sempre di più i giovani e le donne senza dimora, vittime di disgregazioni famigliari, immigrati e richiedenti asilo. E sulla strada sempre più spesso finiscono anche intere famiglie. Il solo modo per combattere il problema è conoscerlo: la lacuna definitoria è diffusa anche in Europa e ciò ostacola la formulazione di efficaci politiche di intervento.

A questo deficit di conoscenze e di azione politica stanno tentando di rispondere le istituzioni dell’Unione. Dicembre, in proposito, è stato un mesecruciale. Il 9 e il 10 dicembre si è infatti tenuta a Bruxelles la prima ConsensusConference (Conferenza europea di consenso) sull’homelessness, promossa dalla presidenza belga dell’Ue a conclusione del 2010, Anno europeo per la lottaalla povertà e all’esclusione sociale. Avvalendosi di un innovativo metodo di analisi, discussione e definizione dei problemi, sino a quel momento applicatosolo a temi della sanità e della tecnologia, la Conferenza ha affrontato seiquestioni-chiave del fenomeno dell’homelessness: una giuria, composta da setteesperti indipendenti, ha analizzato le tesi pro e contro relative a ogni questione,al fine di stilare un Rapporto conclusivo, atteso per la seconda metà di gennaio,che costituirà il punto di partenza di un approccio comune al fenomeno, da parte di istituzioni europee e governi nazionali.

Anche il Parlamento europeo, il 16 dicembre, si è pronunciato sull’argomento,adottando a maggioranza (con voti da parlamentari di tutti gli schieramentie di tutti gli stati aderenti all’Ue) una dichiarazione scritta che invita l’Unionea realizzare una strategia europea per combattere l’homelessness e spronaregli stati aderenti negli sforzi per porre termine alla grave esclusione sociale,definendo specifiche priorità d’azione. Lanciata da cinque deputati – BrittaThomsen (Danimarca, Alleanza dei socialisti e democratici), Liz Lynne (RegnoUnito, Alleanza tra liberali e democratici), Karima Delli (Francia, Verdi europei),Ilda Figueiredo (Portogallo, Unione della sinistra europea) e Jacek Protasiewicz(Polonia, Popolari europei) –ribadisce il 2015 come termineper sconfiggere l’homelessnessin Europa, definito in unaprecedente dichiarazione approvatadall’Europarlamento, e rafforzail lavoro della Commissioneeuropea per includere la lottaall’homelessness tra gli obiettiviprioritari della Strategia europeaper il 2020.

esclusione socialepolitiche socialidatabase

miciliare a famiglie con minori rap-presenta il servizio con la spesamedia più elevata (oltre 2 mila europer utente, +33% rispetto al 2004). Ilnord-est era l’area che spendevameno in questo settore (1.461 europer utente). Anche se i grandi istitutiper minori non sono più presenti nelterritorio nazionale, la spesa desti-nata alle strutture residenziali è co-munque aumentata del 50% rispettoal 2004; si tratta di 500 milioni di euro,impegnati nel 2008, a favore di strut-ture che ospitano minori privi di tu-tela e talvolta interi nuclei familiari.

La spesa per gli anziani ammontainvece a 1 miliardo 393 mila euro(+6,8% rispetto al 2004); l’importomedio di spesa procapite è 21 euro(71 in Valle d’Aosta, 14 in Umbria). Il49,4% delle risorse impiegate dai co-muni per gli anziani è ascrivibile allamacroarea “interventi e servizi”, di cuil’assistenza domiciliare a carattere so-ciale rappresenta la principale voce di

spesa, con un ammontare di circa 344 milioni di euro (+9%rispetto al 2004); gli anziani che usufruiscono di assistenzanel proprio domicilio sono 191 mila e la spesa media na-zionale per ognuno di essi è pari a 1.797 euro. Le struttureresidenziali per anziani concentrano invece il 31% dellespesa complessiva, accolgono quasi 115 mila ospiti; solo il7,7% di essi è accolto nelle strutture del Mezzogiorno.

Nel 2008, la spesa sociale nel settore della disabilitàammontava a 1 miliardo 668 mila euro (+30,7% rispetto al2004). La regione italiana che investe maggiormente intale settore è la provincia autonoma di Bolzano (50,4euro pro capite), all’ultimo posto la Valle d’Aosta (0,7euro pro capite, ma in alcune regioni la competenza dideterminati interventi socio-assistenziali non è affidataai comuni, bensì ad altre amministrazioni).

Durante la Conferenza nazionale della famiglia, svoltasi a Mi-lano nella prima metà di novembre, sono stati divulgati i piùrecenti dati Istat sulla spesa per interventi sociali dei comuni,

relativi al 2008, prima dei drastici tagli imposti dalle “finanziarie”successive. In quell’anno, la spesa per l’assistenza sociale erogatadai comuni italiani, singoli o associati, ammontava a 6 miliardi 626milioni di euro (+23% rispetto al 2004, +19% rispetto al 2007); la spesamedia procapite era pari a 110,7 euro (+20% circa rispetto al 2004,quando era di 92,4 euro procapite).

LE SPESE DEI COMUNIPRIMA DEL “GRANDE GELO”di Walter Nanni

La spesa media procapite variavatra il massimo di 263 euro della Valled’Aosta e il minimo di 29,2 euro dellaCalabria. Al di sopra della media na-zionale si collocavano tutte le regionidel centro-nord, con la sola ecce-zione dell’Umbria (95,2 euro), men-tre il sud presentava i livelli più bassidi spesa (50,4 euro), circa tre volte in-feriore a quella del nord-est. Nel 2008,il Friuli Venezia Giulia (210 euro perabitante) era la regione più dinamicad’Italia, avendo fatto registrare un in-cremento del 41% rispetto al 2004.

Famiglie e minori, anziani, persone con disabilità:sono i tre principali destinatari della spesa sociale dei co-muni. Su queste aree di utenza si concentrava l’82,6%delle risorse impegnate. Nel complesso, il 38% dellaspesa era destinato a “interventi e servizi” socio-assi-stenziali, il 35% a funzionamento e gestione delle strut-ture, il rimanente 27% a trasferimenti in denaro a indi-vidui e famiglie (+3% rispetto al 2004).

Interventi a domicilioLa spesa per famiglie e minori ammontava a 2,7 miliardidi euro (+28,4% rispetto al 2004); il 19% era destinato ainterventi e servizi, il 56% alle strutture (con particolareriguardo ai costi di funzionamento degli asili nido), il25% a trasferimenti economici diretti. L’assistenza do-

Oltre 6 miliardi di europer interventi sociali.Impegnati, per larga

parte, a favoredi famiglie e minori,anziani, persone condisabilità. L’impegnodelle amministrazioni

locali, nel 2008, apparivain crescita. Ma poi

sono arrivati i tagli…

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quindi in difficoltà a sostenere speseordinarie (per esempio alimenti, bol-lette, tasse, istruzione per i figli) evedrà aumentare la rischiosità incaso di eventi straordinari (anche lasemplice rottura di un elettrodome-stico o la manutenzione dell’auto-mobile). E dovendo rispettare le sca-

denze delle rate, potrà cadere nella trappola dell’usura. Le famiglie con un mutuo casa che incide più del 30%

del reddito, nel 2011 potrebbero essere localizzate nelleseguenti regioni: Liguria (31,5% delle famiglie conmutuo), Abruzzo e Molise (29,2), Lombardia (28,4), Ve-neto (28), Emilia-Romagna (27,3). Le regioni meno a ri-schio sono Basilicata e Calabria (11,7%), Sardegna (14,9),Friuli Venezia Giulia (18), Toscana (19,7).

Due concezioni di casaL’Osservatorio sul costo del credito ha una funzione im-portante, sia come strumento di conoscenza e interpreta-zione dell’impatto del costo del credito sulle condizionieconomiche delle famiglie, sia come supporto per il mo-nitoraggio degli effetti della crisi in atto. L’aggiornamentoannuale, regione per regione, consente per esempio di va-lutare l’effetto sui redditi familiari del forte calo occupazio-nale, cominciato nel 2009. La crisi ha contribuito ad accre-scere la gravità della situazione nelle regioni meridionali,facendo aumentare il fenomeno dello scoraggiamento,quando gli individui con maggiori problemi di inseri-mento lavorativo rinunciano alla ricerca di un’occupa-

zione. La sua gravità, attestata dal rag-guardevole aumento del tasso didisoccupazione, è tuttavia tangibileanche in regioni da sempre caratteriz-zate da un mercato del lavoro forte.

Gli esiti delle rilevazioni suggeri-scono o confermano anche altre con-

CARA CASA, CARO-SPESAFamiglie perplesse: pagarsi una casaè spesso impossibile. Ma non è facile(pagina dopo) neanche fare la spesa...

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siderazioni. È sempre più evidente, per esempio, che è inatto una spaccatura tra le esigenze delle persone e dellefamiglie, legate alle proprie traiettorie di vita e al proprioreddito, e le dinamiche finanziarie del denaro che pro-duce altro denaro, attraverso la formalizzazione e l’auto-matizzazione dei comportamenti sociali e delle proceduretecniche. L’esito di tale spaccatura non sono solo le cicli-che crisi finanziarie susseguitesi negli ultimi vent’anni, maanche la perdita di umanità nelle scelte delle persone. Tut-tavia non sembrano essersi consolidati anticorpi che pos-sano prevenire nuove crisi finanziarie.

Rispetto agli investimenti per la casa, si confrontano(per non dire si scontrano) due concezioni, nonché inte-ressi contrapposti tra chi considera la casa lo strumentosimbolico delle relazioni (medium) tra persone, tra gene-razioni nel nucleo familiare, tra famiglie, tra famiglie e so-cietà, e chi la considera un investimento in senso strettoe si attende incrementi sostenuti dei valori immobiliari,contribuendo così ad andamenti di mercato che deter-

minano situazioni di esclusione da un bene primario, aidanni delle famiglie più deboli.

La mappa del rischioLa mappa del rischio indicata dall’Osservatorio permettedi individuare i destinatari di eventuali interventi, primache si manifestino situazioni critiche ed eventualmenteirreversibili. È evidente che chi ha perso il lavoro non èpiù, nei fatti, in grado di pagarsi il mutuo. Sarebbe dun-que meglio intervenire in via preventiva, concentrandosisu queste categorie a rischio. Per la prevenzione servireb-bero soggetti terzi, cioè realtà strutturate (fondazioni oassociazioni di volontariato o di promozione sociale, oenti ad hoc con personale preparato) che aiutino famigliee cittadini a gestire le proprie risorse (risparmi e reddito),e li accompagnino nelle scelte economiche rilevanti, in-centivando la funzione di “garanzia personale” dei cosid-detti corpi intermedi della società.

Tale attività, che non può essere svolta dalle banche,

nazionaleitalia impoverita

STROZZATI DAL MUTUO?MEGLIO PREVENIRE…di Paolo Tomassone

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Il mutuo-casa si mangia un terzo delle risorse dimolte famiglie, e rischia di farle finire in povertà:

lo conferma l’Osservatorio regionale sul costodel credito, promosso anche da Caritas.

Soluzioni? Intervenire prima di contratti rischiosi

ue anni fa il colosso Lehman Brothers ha dichiarato bancarotta:è stato il culmine della crisi mondiale finanziaria. Da quel giornodiversi governi (Italia compresa) si sono mobilitati per reagire,salvare gli istituti bancari, garantire ossigeno alle banche. Ma glieffetti della crisi hanno cominciato a farsi sentire sull’economiareale, sulle imprese, sul mercato del lavoro. In oltre due anni, la

ricchezza delle famiglie italiane è diminuita di quasi due punti percentuali;è aumentato il numero delle persone in difficoltà economica; è cresciuta larichiesta di crediti. L’indebitamento derivante dai mutui per l’acquisto dellacasa e il credito al consumo stanno gravemente danneg-giando una larga parte della popolazione, in particolareanziani e lavoratori precari.

L’Osservatorio regionale sul costo del credito – pro-mosso da Caritas Italiana e Fondazione culturale Respon-sabilità Etica, in collaborazione con il centro culturaleFrancesco Luigi Ferrari – presenta a febbraio uno studiosull’argomento. Secondo la ricerca, un italiano su quattro,tra quelli che acquisteranno casa nei prossimi mesi, è arischio di povertà. E se si considerano le famiglie che in-tendono, nel 2011, ricorrere al credito per abbandonarel’affitto a favore di un appartamento di proprietà, la “so-glia di povertà” cresce fino al 56%, una famiglia su due.

Lo studio prende come riferimento l’indagine IstatEu-Silc sulla povertà e il disagio sociale e riporta informa-zioni qualitative e quantitative sulle condizioni di disagioeconomico abitativo per oltre 20 mila famiglie (più di 44mila individui). Lo scenario fotografato è decisamenteproblematico: molti tra coloro che decidono di attivareun mutuo per la casa, o che l’hanno fatto nei mesi passati,si trova “strozzato”, perché dovrà spendere ogni mese(fino alla fine dell’accordo sottoscritto con la banca) il30% del reddito per pagare la rata del mutuo; si troverà

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avrebbe anche il pregio di togliere i soggetti a rischio dal“mercato” dell’usura. Si tratta, in altri termini, di educareal risparmio etico, oltre che all’uso efficace ed efficientedelle risorse. Inoltre, indirizzando il risparmio versoforme etiche di investimento, diminuiscono anche i costiper gli investitori, in modo da evitare forme speculative.

Certamente, la mappa del rischio coinvolge soggettidiversi, con diverse responsabilità: le famiglie, con i lorocomportamenti di consumo e di risparmio, che dovreb-bero indirizzarsi a nuovi stili di vita; le espressioni orga-nizzate della società, chiamate ad azioni più incisive di cit-

tadinanza attiva, di auto-mutuo-aiuto e di rete; gli istitutidi credito, con l’impegno a percorrere la strada della de-stinazione universale dei beni verso un compiuto ricono-scimento del credito come diritto di cittadinanza e versouna maggiore professionalizzazione dei propri operatori;gli enti locali, da cui si attendono politiche del territorioimprontate al bene comune, oltre all’integrazione e al co-ordinamento di tutte le risorse disponibili e attivabili. In-fine lo stato, che non può continuare a sottrarsi all’esi-genza di interventi più equi, di sostegno selettivo deiredditi, a partire da quelli più bassi.

nazionaleitalia impoverita

La povertà? Si entra e si esceIncombe già la terza settimana…Le statistiche ufficiali dipingono un panorama statico. Ma il fenomeno,in Italia, si evolve. Secondo tendenze nuove, documentate dai servizi Caritas

a povertà in Italia? Più o meno stabile, dicono daanni le statistiche ufficiali. Ma è davvero così? Incaduta libera, il decimo rapporto sulla povertàin Italia realizzato da Caritas Italiana e Fonda-zione Zancan, tenta di capire come sta evol-

vendo il fenomeno, intercettando e interpretando ten-denze che emergono dal territorio, dai servizi e dagli studisui fenomeni di povertà ed esclusione sociali condotti inambito Caritas. Non si tratta, peraltro, dell’esito di analisi“a tavolino”, ma di esperienze che prendono l’avvio dagliincontri reali con i poveri “in carne e ossa”.

Grazie a tale volume di esperienze e conoscenze, si èper esempio messo a fuoco che è sempre più difficile estra-polare modelli, tipologie o percorsi pre-definiti e genera-lizzabili di povertà: le carriere di povertà, nel nostro paese,sono sempre più veloci, complesse, multidimensionali,con frequenti uscite e “ritorni” in una situazione di disagiosociale. Nel passato, le famiglie rimanevano per lunghianni in situazione di disagio sociale. Appartenevano a de-terminati gruppi sociali, che riproducevano marginalità edisagio di generazione in generazione. Oggi, le nuove fa-miglie povere sono molto differenti: una famiglia può at-traversare gravi difficoltà economiche in modo altale-nante, per periodi di tempo brevi ma ripetuti nel corsodegli anni, attingendo, fino… ad “esaurimento scorte”, allerisorse della famiglia e degli amici. Ma sperimentando

anche bisogni sempre più acuti: le difficoltà economicheche fino a pochi anni fa si affacciavano alla quarta setti-mana del mese, vengono sempre più spesso anticipate, eappaiono già alla terza settimana.

La situazione è aggravata dal fatto che le nuove famigliepovere, non avendo conosciuto in passato situazioni dimarginalità socio-economica, non si identificano come fa-miglie “portatrici di bisogno” e non vedono la necessità dirichiedere un aiuto professionale per uscire dalla situa-zione di difficoltà che attraversano. L’elevata frequenza dientrata-uscita dalla povertà determina un’oggettiva diffi-coltà di programmare in tempo utile gli interventi assisten-ziali; la rapidità con cui le forme di disagio evolvono ri-chiede una grande capacità di modularità e di innovazionenella risposta, non sempre possibile per i servizi socio-as-sistenziali territoriali, caratterizzati da un elevato grado distandardizzazione dei modelli di intervento.

Oscillazioni e consumiLe situazioni di povertà incontrate dalla Caritas sonosempre meno legate a storie di individui soli e semprepiù caratterizzate da un coinvolgimento complessivo delnucleo familiare. Gli adulti di una famiglia che attraversain modo oscillatorio situazioni di ansia finanziaria, nonriesce a programmare e pianificare il proprio progetto divita familiare e ha scarsa fiducia nel futuro, vedono tral’altro intaccata la credibilità del loro ruolo genitoriale,soprattutto quando le difficoltà economiche determi-

nano l’impossibilità di soddisfare i bisogni dei figli.La povertà appare inoltre molto legata al ciclo di vita

della persona o della famiglia. Alcuni specifici momenticritici tendono a manifestarsi in coincidenza con le diversefasi di sviluppo della biografia personale. Si può trattare dieventi improvvisi e inaspettati (malattia, disabilità, sepa-razione coniugale, fuga dalle responsabilità genitoriali,ecc.), oppure di “passaggi critici” della biografia familiareo professionale: la nascita eccessivamente ravvicinata difigli, il peggioramento dello stato di salute dei genitori an-ziani, l’instabilità lavorativa persistente, il licenziamento ela perdita del lavoro, il precariato, le situazioni di mono-reddito, la difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro dopola condizione di maternità.

Alcune situazioni di povertà, però, sono legate a mo-delli di consumo non corrispondenti al livello di redditodella famiglia. Il fenomeno è rafforzato da meccanismi cul-turali e finanziari, che possono incentivare situazioni di in-debitamento e di vulnerabilità economica: la diffusionedel gioco d’azzardo e legale (promossa anche dallo stato),la diffusione delle carte revolving, la possibilità di acquistocon pagamenti fortemente posticipati, la rateizzazione ditasse e tributi, la possibilità di contare su valori molto ele-vati di “massimo scoperto” nel conto corrente bancario,che evitano nel breve periodo di “andare in rosso”, ecc.

Al centro d’ascolto un quarto in piùCaritas ha insomma visto parzialmente modificarsi, negli

ultimi anni, soprattutto inrelazione alla crisi, l’utenzaai suoi centri di ascolto e diaiuto. In base alle testimo-nianze provenienti daglioltre 150 Osservatori dioce-sani delle povertà e delle ri-sorse presenti nel territorioitaliano, si possono indivi-duare alcuni dati e alcunetendenze, sintetizzati nelrapporto In caduta libera: . nel corso del biennio2009-2010 si è registrato, intutte le regioni d’Italia, unaumento medio del 25%del numero di persone chesi rivolgono alla Caritas perchiedere aiuto;. rispetto a una maggiori-

taria presenza di stranieri, è cresciuta del 40% la pre-senza di italiani, anche se una gran parte di povertà ita-liana continua a rimanere sommersa;. sono cresciuti (+30%) i nuovi utenti, affiancatisi però alritorno in Caritas (anche dopo 5-6 anni dall’ultima vi-sita al centro di ascolto) di “vecchie conoscenze”;. è cresciuto il numero di utenti seguiti in modo esclu-sivo dalla Caritas o da altre espressioni della chiesa lo-cale: molti nuovi poveri non sono “assistibili” econo-micamente dai servizi sociali, perché nonostanteabbiano un tenore di vita molto basso, percepisconocomunque un reddito “di partenza” (tra cui la pen-sione), oppure dispongono della casa di proprietà;. gli operatori Caritas evidenziano scarsa tempestivitàdegli enti locali nell’affrontare le nuove povertà e lamancanza di competenze adeguate riguardo alla ge-stione dei fenomeni di indebitamento;. persistono però ampie sacche di povertà estrema, do-vuta anche alla riduzione delle risorse di welfare perquesto specifico ambito;. si conferma, infine, l’affacciarsi di nuove situazioni diimpoverimento degli immigrati, dovute alle difficoltàeconomico-finanziarie di molti comparti produttivi, tracui l’evidente crisi del settore dei servizi alla persona.Peraltro le misure di controllo imposte dai recenti “pac-chetti-sicurezza” spingono molti stranieri a non rivol-gersi alla Caritas, per il timore di essere rispediti in pa-tria, assieme alle famiglie.

di Walter Nanni

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n anno dopo la rivolta di Rosarno, poco è cam-biato nella piana di Gioia Tauro. Ora che è ri-cominciata la raccolta degli agrumi, i brac-cianti stranieri sono ricomparsi. Si mettono aibordi delle strade, quando è ancora buio, in at-tesa che i “caporali” li portino a fare giornata.

Riempiono cassette di arance e mandarini da mattina asera per pochi euro, fino a sfinirsi dalla fatica. Di notte tro-vano riparo in qualche casolare fatiscente. Dopo la rivoltae la caccia al nero dei primi di gennaio 2010, lo stato si èdimenticato di quello che il mondo conobbe come l’em-

blema di tante polveriere di sfrut-tamento e risentimento sparse perlo Stivale. Popolate, da una parte,da uomini sfruttati e affamati, mapiena di vita e di voglia di emer-gere; dall’altra, da una popola-zione che si divide tra slanci di ge-nerosa accoglienza, silenzi diconvenienza, pratiche di sfrutta-

mento deliberate. Talvolta comandate dalle mafie.

Il movimento dei “kalifoo”In Libia, le guardie li chiamano, con disprezzo, kalifoo:schiavi a giornata. Quando riescono ad attraversare il Me-diterraneo e ad approdare sulle coste italiane diventano“transumanti”. Così li definisce, più elegantemente, Fra-scesco Saverio Caruso, sociologo all’Università della Cala-bria. Secondo lo studioso, che al fenomeno ha dedicatosvariate ricerche, sarebbero circa 4 mila individui, prove-nienti per lo più da Ghana, Burkina Faso, Senegal e Mali.

Un anno fa i disordini di Rosarno. Ma il caporalatoresta una piaga dell’agricoltura del Mezzogiorno.Lavoratori stranieri sfruttati nei campi: fenomenofiglio delle distorsioni del mercato agro-alimentare,della burocrazia e di cattive leggi sull’immigrazione

TRANSUMANTI STAGIONALI,NON ÈCAMBIATONULLA

BRACCIA SENZA DIRITTIStagionali stranieri nelle campagnedi Palazzo San Gervasio (Potenza):vivono in un casolare abbandonato

Udi Francesco Chiavarini

di Franco Pittau

TRAPIANTO FRUTTUOSONONOSTANTE NERO E CAPORALI

N ell’ultimo decennio sono scomparse mediamente 18 mila im-prese agricole l’anno. E per la prima volta la manodopera agri-cola è scesa sotto le 900 mila unità: 415 mila dipendenti e 459

mila indipendenti nel 2009 (dati Istat). Eppure il settore conserva la suaimportanza occupazionale, produttiva e di tutela dell’ambiente. A te-nere maggiormente sono le aziende “multifunzionali”, così denominateperché sviluppano anche attività secondarie quali agriturismo (leaziende del comparto sono raddoppiate nell’ultimo decennio), trasfor-mazione di prodotti agricoli, conterzismo (cioè noleggio di macchineagricole con operatore), servizi di sal-vaguardia del territorio e manuten-zione del verde pubblico e privato.Circa il 15% delle aziende praticaproduzioni biologiche, settore in cuil’Italia è leader in Europa con oltre1,1 milioni di ettari coltivati.

Tra i coltivatori diretti, in conti-nua diminuzione (12 mila in menol’anno) più di uno su dieci ha supe-rato i 65 anni e manifesta dunquenotevoli difficoltà a continuare l’atti-vità, quando a rilevare l’azienda nonsiano i parenti. Inoltre, come indica-tore dei ritardi strutturali nell’agricoltura italiana, vi èl’elevato numero di imprese individuali, che dispongonoin media di 7 ettari di superficie agricola utile (contro i 12della media europea). Sia tra i lavoratori indipendenti chetra i dipendenti le donne sono poco meno di un terzo.

Cinesi millenariIn questo quadro, l’apporto dei lavoratori stranieri si fasempre più rilevante. Secondo l’Inps, i lavoratori indi-pendenti nati all’estero sono circa 7 mila, ma in unabuona metà dei casi si tratta di italiani nati all’estero epoi rimpatriati. Comunque, gli immigrati non mancanotra i titolari di aziende agricole, i gestori di poderi agricolipresi in affitto o di società di servizi di terziarizzazione(potatura, manutenzione strade) o di piccoli allevamenti.

pesca a Mazaro del Vallo, i nordafricani nelle campagnee nelle serre del ragusano. Un caso particolare è l’impiegonel vercellese dei cinesi, portatori di una tecnica millena-ria e perciò adibiti all’estirpazione del riso crodo, un pe-ricoloso infestante delle risaie. Aumenta anche il loro im-piego nelle coltivazioni orticole e nei vigneti.

Due piaghe del settore sono lavoro nero e caporalato.«I fatti di Rosarno di un anno fa – sostiene Rando Devole,dirigente di origine albanese del sindacato agricolo dellaCisl – con la loro gravità inaudita e la loro inedita miscelaesplosiva, hanno offerto il palcoscenico nazionale a unadelle piaghe sociali più antiche del paese. Lavoro nero eprecarie condizioni di lavoro e di vita sono spesso co-muni agli italiani, ma lo specifico status del lavoratore im-migrato aggrava ulteriormente tali problemi».

Imprese e occupati, nel settore agricolo,

sono in costante calo.L’apporto di lavoratori

stranieri consente di contrastare

la tendenza. Il loroinnesto è positivo in molti settori e

territori. Ma persistonopiaghe inquietanti

dall’altro mondonazionale

Per facilitare il turn over con i vecchicoltivatori diretti italiani, essi an-drebbero aiutati più efficacemente arilevare i poderi perché, a differenzadi altri settori, serve un elevato capi-tale iniziale.

Il maggiore impiego degli immi-grati avviene come operatori agricolidipendenti, specialmente come ge-nerici, a causa della penuria dellamanodopera locale. L’Inea (Istitutonazionale per l’economia agricola)ha di recente rivalutato il numerodegli stranieri occupati, portandoloa 170 mila e includendovi anche i co-munitari: basti pensare che la quotaper l’inserimento di stagionali noncomunitari dall’estero è annual-mente di 80 mila unità.

Sono tanti gli esempi di questofruttuoso inserimento: gli indianisikh in Lombardia e nel Lazio perl’allevamento del bestiame e le colti-vazioni agricole, gli albanesi nella flo-ricoltura del pistoiese, i tunisini nella

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Ragazzi, in genere, con non più di 30 anni, disposti, pur dimettere un piede in Europa, a svendere la sola cosa chesembra avere un mercato: la forza delle loro braccia du-rante i lavori stagionali.

Così da agosto a settembre raccolgono pomodori nellaCapitanata foggiana, da dicembre a gennaio le arance e imandarini in Calabria, da febbraio ad aprile le patate in Si-cilia, in provincia di Siracusa, passando poi in autunno perle serre della Piana del Volturno, nel Casertano, e del Sele,a sud di Salerno. Di volta in volta si uniscono ad altri lavo-ratori stranieri (magrebini, rumeni, bulgari, ucraini) chenei vari luoghi di raccolta rimangono tutto l’anno.

Migranti in movimento per le campagne, a secondadelle stagioni. Con la speranza di trovare prima o poiqualcosa di meglio, magari un impiego, sempre natural-mente in nero, nell’edilizia o nelle fabbriche del Nord.«Passare da una regione all’altra e svolgere nei campi illavoro duro che non vuole fare nessuno, nemmeno gliimmigrati arrivati da più tempo, è per questi giovani afri-cani quasi un rito di iniziazione – spiega Caruso –. Chi sisposta dalla regione subsahariana, attraverso il deserto eil Mediterraneo, mette nel conto che prima di trovare unlavoro nelle aziende del Nord Italia, in Francia, in Germa-nia, sgobberà per un certo tempo nelle campagne delSud. Tuttavia, purtroppo, in molti casi questo primo gra-

dino diventa anche l’ultimo: l’occasione per emanciparsidalla condizione di schiavo non arriva mai».

Dietro ad ogni kalifoo transumante, c’è spesso un inter-mediario: in genere un connazionale, che ha iniziato fa-cendo il bracciante a ore e poi ha trovato il modo di camparesfruttando il lavoro degli ultimi arrivati. A sua volta, dietro aogni intermediario c’è un acquirente di manodopera abasso costo. «Il caporalato è una vecchia piaga del Mezzo-giorno: negli anni Cinquanta i braccianti erano italiani,sfruttati da altri italiani. Quando è cominciata l’immigra-zione dai paesi extraeuropei, gli stranieri hanno progressi-vamente preso il loro posto, sostituendo prima soltanto i la-voratori, poi, dall’inizio degli anni Novanta, anche i caporali.Così oggi abbiamo un caporalato a base etnica, dove sfrut-tati e sfruttatori appartengono allo stesso paese, in alcunicasi allo stesso villaggio, mentre italiano è il vertice, il datoredi lavoro», spiega Anselmo Botte, sindacalista della Cgil diSalerno e autore del libro Mannaggia la miseria (Ediesse).

Il problema è che queste catene di sfruttamento sonopervasive. «Al Sud la stragrande maggioranza dei condut-tori agricoli gestisce aziende piccole. E tutte le aziende aconduzione familiare, il 70% del comparto nel Mezzo-giorno, utilizzano i caporali», afferma senza mezzi terminiBotte. Per capire perché ci sono i kalifoo, bisogna insommacomprendere come funziona il sistema agricolo nel nostro

paese. E seguendo il bandolo di questa matassa, si arrivadiritto dritto al Nord. Dove vive una quota importante deiconsumatori di quei prodotti (pomodori, arance, manda-rini, verdure) che gli “schiavi a giornata” raccolgono a Sud.E dove si decidono i prezzi e i tempi.

Parte integrante del sistema«In tutta questa storia, gli agricoltori del Sud fanno la partedei cattivi. Ma la realtà è un po’ più sfumata – riflette Clau-dia Merlino, della Confederazione italiana agricoltori –. Bi-sogna partire da un dato: in questi anni i conduttori delleimprese agricole non si sono arricchiti. Tra 2008 e 2009hanno perso, in media, il 25% del loro reddito. La ragioni

di questa crisi sono molteplici. Ma un ele-mento è significativo: il prezzo alla produ-zione, quello al quale la grande distribuzioneacquista dal contadino, sceso dell’11% indue anni. La grande distribuzione, che com-mercializza il 70% della produzione agricola,detta le regole e al Sud gli imprenditori,troppo piccoli e divisi, non hanno poterecontrattuale. Così, quando si sono affacciatisul mercato nuovi produttori stranieri, per inostri è stata durissima».

Nelle campagne meridionali, il costo di unbracciante in nero è 25 euro al giorno, com-presa la quota per il caporale. Un lavoratorein regola costerebbe almeno il doppio. Graziea questa differenza le tante, piccole e fram-mentate aziende agricole del Mezzogiornotrovano il margine per convincere i compra-tori delle grandi catene commerciali ad acqui-stare ancora da loro, anziché dai coltivatori diarance tunisini o dai produttori di pomodoricinesi. E così «i braccianti stranieri sfruttatisono diventati parte integrante del sistemaagro-alimenatre del Mezzogiorno, non un’ec-cezione», conferma il professor Caruso.

A valle di questo meccanismo c’è il cit-tadino consumatore. Il quale non ha gua-dagnato nulla né dalla concorrenza deipaesi emergenti, tanto meno dallo sfrutta-mento della manodopera straniera. Mentrei prezzi alla produzione diminuivano, negliultimi anni, i prezzi al consumo restavanogli stessi. «Dentro la filiera della produzioneagricola c’è senza dubbio qualcosa che nonfunziona. Lo stato dovrebbe assumere un

ruolo di regolatore del mercato, invece lascia fare, e anzirende complicato per i titolari delle imprese agricolecomportarsi secondo le regole», sostiene Merlino.

Nei campi, sulle gruE qui si incrocia un altro nodo irrisolto. Ogni anno lo statostabilisce, sulla base del fabbisogno di manodoperaespressa dalle associazioni di categoria, quanti cittadinistranieri possono entrare per gli impieghi stagionali. L’ul-timo decreto flussi ha aperto le porte a 80 mila lavoratori.Una quota, quand’anche sufficiente, difficilmente accessi-bile, a causa della lunghezza e delle incongruenze delle pro-cedure burocratiche. «Dalla richiesta di nulla osta che il da-

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I responsabili dell’insicurezza

GLI ACCAMPATIScene di quotidianitàultraprecaria nelle campagnedi Palazzo San Gervasio

In Italia esiste un sistema normativo apprezzato a livellointernazionale, a sostegno delle vittime di sfruttamento. Tuttavia,come nel resto del mondo, le risposte si sono indirizzate quasiesclusivamente verso la forma più visibile e e su cui è più facileottenere consenso sociale: lo sfruttamento sessuale. Il risultato è che lo sfruttamento lavorativo negli anni è dilagato nel nostro paese,coinvolgendo perlopiù stranieri irregolari. Il tema è apparso in tuttala sua gravità un anno fa, in seguito ai fatti di Rosarno. Poi altri casisono emersi nelle campagne, nei laboratori artigiani, nelle case private.

In questo ambito, gli strumenti giuridici e di protezione e assistenza non sono stati rivisti e attualizzati. Così migliaia di vittime restano invisibili, prive di tutele legali, sociali e sanitarie.Quando entrano in contatto con le forze dell’ordine, spesso sonoespulse come clandestine.

Al di là del singolo fatto di cronaca, seppure grave, Rosarnocostituisce il paradigma di una certa immigrazione, oggi, in Italia. In particolare dell’immigrazione più sfortunata, che ha per protagonistiirregolari, richiedenti asilo, casi umanitari o anche rifugiati, ai qualil’unico percorso di integrazione che viene offerto è una vita di abusie sfruttamento. Un condensato di problemi e questioni aperte, chesi tenta faticosamente di rincorrere, ma senza una strategia chiara.

Peraltro la politica migratoria nazionale, in generale, è stataschiacciata negli anni dalla convinzione che il cosiddettoclandestino, ovvero il lavoratore irregolare, è persona pericolosa in quanto tale, fonte di insicurezza a prescindere. Rosarno ha dimostrato che la vera sicurezza si ottiene anzituttopromuovendo, tra italiani e stranieri, una cultura della legalità, dalla quale discende il rispetto delle leggi, prime fra tutte quelle che garantiscono a ogni lavoratore condizioni di lavoro dignitose.

Chi non riesce a farle rispettare, è il primo responsabile della nostra insicurezza. Oliviero Forti

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contrappunto

parlamento e parti sociali definironoun catalogo dettagliato delle cose dafare – fu detto “libro dei sogni” – conscelte che appassionarono l’opinionepubblica e inizialmente parvero at-trarre un vasto consenso popolare;un sondaggio rivelò addirittura chetra più salario e più cure mediche, lagente optava per le seconde.

Ma la storia delle buone intenzionipresenta anche il rovescio della meda-glia. Idee come quelle delle Acli furonocensurate come espressione del “pau-perismo cristiano” e lo svolgimentodel Piano avvenne su piste divaricaterispetto a quelle previste. Né migliorsorte toccò a Berlinguer quando, neglianni Settanta, propose un disegno diausterità non solo come contrasto allacrisi economica di allora, ma anchecome inedita pedagogia delle masse.E dopo un po’, negli anni Ottanta,venne la piena del neoliberismo: mas-simo arricchimento individuale comefonte esclusiva del bene comune. Ov-

vero. se si alza la marea, tutte le barche galleggiano…Dentro l’involucro di una società “ebbra”, ubriaca di

consumi e speculazioni, come recuperare oggi le virtù diuna condotta sobria? Solo una verifica storica impietosapuò consentire di tenere la proposta al riparo dagli osta-coli oggettivi e soggettivi che, in passato, ne hanno decre-tato il fallimento. È la premessa per inoltrarsi in quell’“eradella consapevolezza”, descritta in un recente, omonimolibro. C’è da affermare un costume di solidarietà in cui cia-scuno si carichi della responsabilità verso tutti: una“nuova stagione dei doveri”, per dirla con Moro. Comin-ciando, per non strafare, dal minimo etico indispensabile:non rubare, pagare le tasse, non corrompere e non farsicorrompere. L’esperienza consiglia di non illudersi, la co-scienza impone di provarci ancora.

S obrietà. È una delle parole che oggi più frequentemente si ac-coppiano con la crisi. Pare che gioverebbe a risolverla, almenoad attenuarla. E comunque sarebbe un esercizio virtuoso, di

fronte all’abitudine allo spreco propria della società dell’abbondanzache non si distribuisce.

Ma che vuol dire sobrietà? In politica viene in genere raccomandataa fasi alterne ed entra naturalmente in contrasto ideologico con il suocontrario, cioè l’impulso a consumare non importa cosa, non importacome, pur di alimentare la crescita del Pil. Così la nozione di sobrietàha conosciuto in diverse circostanzeil destino di segno di contraddizionerispetto alle tendenze correnti.

Leone XIII, per stare alla dottrinadella Chiesa, proclamò nel 1891 cheai lavoratori andava riconosciuto ildiritto a un salario capace di sosten-tare un operaio “sobrio e onesto”.Lungo il corso del Novecento ci si im-batte nell’idea di sobrietà, o nella suavariante di “austerità”, intese comecondizioni per perseguire un benecollettivo più ampio, nell’ambito diun’economia soggetta a governo de-mocratico. Tale era il pensiero di Ezio Vanoni quando (anniCinquanta) inseriva nel suo “schema” per sviluppare oc-cupazione e reddito la necessità di tenere in equilibrio labilancia dei pagamenti e andava tra i lavoratori a chiedererinunce per l’oggi, in vista di benefici per il domani. Ancorapiù esplicite furono le tesi delle Acli negli anni Sessanta:l’idea di austerità venne presentata come condizione percontrastare le suggestioni della “società del benessere”, nonda respingere, ma da ripartire meglio tra classi e territori.

Pauperismo cristiano?Se però si vuole trovare una formulazione più organica, bi-sogna rispolverare il “Piano quinquennale” 1965-1970 e laprevalenza da esso accordata ai consumi pubblici (istru-zione, sanità, casa) rispetto ai consumi privati: governo,

VITUPERATA SOBRIETÀ,DOBBIAMO PROVARCI ANCORA

Una storia di delusionie fallimenti non è una

buona ragione perrinunciare al tentativo di arginare il disordine

di una società… ubriaca.L’“austerità” non

è opposta al benessere:vuole solo ripartirlo,

secondo il criteriodell’interesse collettivo

nazionale

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tore di lavoro invia, tramite il sito del ministro dell’interno,all’arrivo in azienda del lavoratore straniero, passano inmedia 90 giorni – esemplifica Merlino –. Tre mesi: un’interastagione. Il bracciante richiesto per la raccolta dei pomo-dori a giugno diventa disponibile a settembre, a pomodorimarciti sulle piante. Inconcepibile, per un sistema produt-tivo che implica capacità di previsione e programmazione».

Se ai ritardi burocratici si aggiungono le lacune dellalegge Bossi-Fini, si comprende che il contesto legislativo

non favorisce affatto il lavoro straniero regolare, e di con-seguenza mette a repentaglio la permanenza in Italia.Così nelle campagne del Sud ci si continua a consegnareai “caporali”. Nelle città del Nord ci si arrampica sulle gruo sulle torri industriali. In tutto il paese si pagano falsi da-tori di lavoro per farsi assumere come badanti e colf fittizi.Poter lavorare a un prezzo giusto, e vivere tra noi senzadoversi nascondere, per troppi uomini e donne continuaa rimanere un traguardo inarrivabile.

rosarno, un anno doponazionale

di Domenico Rosati

Rosarno senza dormitorio,Nardò e l’alleanza delle angurieNella cittadina calabrese le promesse non sono state mantenute. Ma unesempio in Puglia dimostra che coniugare accoglienza e legalità è possibile

Rosarno, un anno dopo la rivolta e le violenze,le condizioni dei lavoratori emigrati impe-gnati nella raccolta delle arance non sonocambiate. Anche se gli stagionali stranierisono di meno, perché c’è poco lavoro. Dopo i

fatti di inizio gennaio 2010, le autorità si impegnarono adare un alloggio dignitoso alle centinaia di lavoratori cheogni inverno vengono a sgobbare nelle campagne dellaPiana. Ma il “Villaggio della solidarietà” (dormitorio da150 posti letto, che doveva sorgere su un terreno confi-scato alla mafia) non è ancora stato realizzato. I soldi, 2milioni di euro, ci sono, l’appalto è stato assegnato, mauna ditta ha fatto ricorso e tutto si è bloccato. Così sulpiazzale restano inutilizzati dieci container con bagni edocce costati 250 mila euro.

Tra i pochi a rimboccarsi le maniche, a Rosarno, cisono qualche suora, qualche sacerdote, i volontari. Ladiocesi di Oppido Mamertina, nel cui territorio è situatoRosarno, ha per esempio fatto partire tramite Caritas Ita-liana un progetto finanziato con i fondi dell’otto permille, “La tenda di Abramo – A servizio degli ultimi”: fi-nanzia percorsi di inserimento al lavoro (tramite borsedi sostegno economico) per immigrati vittime della ri-volta di Rosarno. In più, prevede la stabilizzazione deirapporti lavorativi instaurati e la sensibilizzazione dellecomunità locali sui temi della diversità, della societàmultietnica, della cittadinanza partecipativa. Un piccolosegnale di speranza. Un tentativo di dimostrare che faremergere il lavoro nero e dare accoglienza ai lavoratoriimmigrati è possibile.

Nella grande masseriaLo pensano anche a Nardò, cittadina in provincia di Lecceche, grazie a un patto virtuoso tra istituzioni pubbliche,forze imprenditoriali e realtà ecclesiali, è divenuta unesempio per l’Italia, come ha riconosciuto l’Alto commis-sariato delle Nazioni unite per i rifugiati politici (Acnur).Ogni anno, tra luglio e agosto nelle campagne intorno alcentro salentino arrivano centinaia e centinaia di lavora-tori stranieri per la raccolta delle angurie. L’estate scorsa,per la prima volta, le autorità civili hanno deciso di nonfare finta di nulla. Comune, provincia, regione, sotto laregia della prefettura, hanno allestito all’interno dellaMasseria Boncuri, un grande edificio rurale, un campo diaccoglienza da 450 posti per i braccianti immigrati. L’ac-cordo con gli imprenditori è stato chiaro: noi, istituzioni,offriamo l’alloggio; voi vi impegnate a stipulare regolaricontratti di lavoro. Solidarietà, insomma, unita a legalità.

Il discorso è piaciuto alla chiesa locale: la Caritas dio-cesana e le parrocchie hanno istituito un centro diascolto per gli ospiti del campo, dove per due mesihanno lavorato senza ricevere un euro 50 persone, traavvocati, mediatori linguistici, operatori. A circa 250 im-migrati è stata offerta, gratuitamente, assistenza legale esono stati distribuiti scarpe, indumenti, pacchi viveri. Imedici dell’Asl si sono messi a disposizione. «Non è statasconfitta la piaga del caporalato, alcuni datori di lavorohanno continuato ad assumere in nero – spiega Salva-tore Polo, responsabile del progetto per la Caritas dioce-sana –. Ma abbiamo dato un grande segnale: al Sud sipuò essere ospitali e rispettare le regole».

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panoramacaritas

ARCHIVIUM

Verso il 40° compleanno,una storia partita da lontano

Nel 2011 ricorre il 40° anniversariodell’istituzione di Caritas Italiana. Italia Caritas,tramite la rubrica “Archivium”, attingerà almateriale custodito nel centro documentazionee nell’archivio storico Caritas, per ripercorrerele tappe salienti dell’attività caritativa dellaChiesa italiana, fino alla nascita dell’organismo.

Nel 1922 monsignor Ferdinando Baldelli, all’età di 36 anni,diede vita al “Comitato romano Pro-Emigranti”, estendendo dal 1928 la sua attività nell’intero territorio nazionale. Neglianni seguenti, l’emigrazione italiana all’estero ebbe un forteridimensionamento, a causa delle misure restrittive introdottedal regime fascista. Nel 1930 Baldelli istituì dunque l’Onarmo(Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai), che svolse un prezioso lavoro di servizio sociale durante gli anni bui della seconda guerra mondiale.

Dopo la fine delle ostilità belliche, venne istituita la Pcap(Pontificia commissione di assistenza per i profughi), preludiodella nascita della Poa (Pontificia opera assistenza), che – guidata da Baldelli – gestirà la quasi totalità delle risorseeconomiche destinate dalla Chiesa italiana a risollevare dallemacerie fisiche e umane il popolo italiano. Nel 1950 venneredatta la prima bozza dello statuto, ma la Poa sarà costituitaufficialmente con personalità giuridica il 15 giugno 1953 e daràvita, a livello diocesano, alle Oda (Opere diocesane di assistenza).

La Poa influenza il welfareUna copia dello statuto della Poa è custodita nell’archiviostorico di Caritas Italiana, L’articolo 3 ha una strutturaeloquente: “Paragrafo 1: la Pontificia Opera promuove attivitàassistenziali e sociali in Italia, in conformità ai principii dellacarità evangelica e secondo le disposizioni della Santa Sede.Paragrafo 2: in particolare spetta alla Pontificia Opera studiare i problemi caritativi e assistenziali che, per la loro importanza e ampiezza interdiocesana o nazionale, superano i limiti delle singole diocesi. Ne considera gli aspetti religiosi, morali,sociali, giuridici ed economici; ne promuove ed agevola la soluzione. Paragrafo 3: compete altresì alla Pontificia Operafavorire la costituzione delle Opere diocesane di assistenza.Paragrafo 4: la Pontificia Opera svolge azione d’informazione e, con il consenso degli ordinari, di coordinamento delle Operediocesane di assistenza.”

Forte di tali indicazioni statutarie, la Poa contribuirà nei duedecenni successivi alla nascita di una rete di servizi di assistenzasociale, sanitaria ed educativa, in grado di influenzarefortemente il welfare nazionale. Francesco Maria Carloni

MIGRAMED

Duemila persone dagli yacht,Calabria terra di sbarchiAltro che frontiere sigillate. Gli accordi italo-libici non fermanoil traffico di migranti verso l’Italia. E se alcuni sbarchi, comequello presso Latina a ottobre, “bucano” i mass media, tantialtri non superano la dimensione della copertura giornalisticalocale. È il caso degli sbarchi sulle coste calabresi, unaventina nel 2010 (sino a inizio dicembre), con una forteconcentrazione negli ultimi mesi. Dal 18 agosto a metànovembre, infatti, sono approdate in Calabria un migliaio di persone, con una media di uno sbarco alla settimana.

A parte un episodio in Locride il 7 ottobre, gli altri approdi(solo uno avvistato anticipatamente dalle nostre autorità)hanno avuto come teatro il Crotonese, concentrandosi in particolare su Isola Capo Rizzuto. Al punto di far ipotizzarealla Direzione nazionale antimafia l’esistenza diun’associazione criminale che si occupa di traffico di esseriumani su scala internazionale. I punti di partenza sembranoessere Izmir e Kannakale, in Turchia, ma funziona anche la tratta più breve da Igoumenitza, in Grecia, o dalla stessaAtene. E anche Alessandria d’Egitto e forse l’Albaniasembrano essere punti di partenza.

Cambiano invece, in parte, i mezzi di trasporto: oltre ai classici motopescherecci, arrivano sempre più imbarcazionidi lusso, come yacht, velieri, battenti falsamente bandieraamericana. Il viaggio costa ai “trafficati” dai 3 ai 6 mila euro:arrivano migranti in fuga da Kurdistan, Afghanistan, Pakistan.Arrivano persone di nazionalità egiziana, reale o presunta chesia, come nel caso dello sbarco avvenuto un po’ più a sud, a Catania: tutte respinte senza poter chiedere asilo. Ma sonospesso persone provenienti da paesi in guerra, o con fortirepressioni di minoranze in atto, come nel caso dei curditurchi, iraniani, iracheni, siriani sbarcati in Calabria.

Vie più rischioseCome non smette di ricordare l’Alto commissariato delleNazioni Unite (Unhcr) per i rifugiati alle autorità europee e all’Agenzia Frontex, «la necessità della gestione delle frontierenon può prescindere dalla protezione dei rifugiati». L’Unhcrribadisce inoltre che «le politiche di controllo dei confini chebloccano indiscriminatamente gli arrivi non fanno che spingerei richiedenti asilo a percorrere vie ancora più rischiose e disperate per cercare salvezza». Così, tra gli 8.800 migrantiche, secondo stime Unhcr, sono sbarcati nel 2010 in Italia,Malta, Grecia e Cipro, quasi 2 mila sono giunti in Calabria.Compreso un ragazzo arrivato cadavere a Guardavalle, in provincia di Catanzaro, il 25 agosto, dopo essere statogettato in mare dagli scafisti. Roberto Guaglianone

ZERO POVERTY

Lotta alla povertà:firme in Europa,partite di calcio in Italia

MARCIA DELLA PACEConfronto tra fedi,Ancona inauguraun anno di libertàIl lungomare e il centro storicodi Ancona sono stati loscenario del percorso della43ª Marcia per la Pace,incentrata sul tema indicata dal messaggio del papa per la Giornata mondiale della pace(Libertà religiosa, via per la pace). La marcia (nella foto)è stata promossa nella nottedel 31 dicembre dallaCommissione Cie per i problemi sociali e il lavoro,la giustizia e la pace, da PaxChristi e Caritas Italiana. A scandire le tappe del percorso,compiuto da oltre millepersone, oltre agli interventi di monsignor Giovanni Giudici,presidente di Pax Christi Italia,e monsignor Giuseppe Merisi,presidente di Caritas Italiana,sono state le testimonianze

Tre scatoloni, colmi di moduli con oltre 135 mila firme di altrettanti cittadini, raccolte in tutto il continente dalle 48organizzazioni aderenti a Caritas Europa. Gli scatoloni sono staticonsegnati (vedi foto) poco prima di Natale da Lesley-Anne Knight,segretaria generale di Caritas Internationalis, e da Jorge NuñoMayer, segretario generale di Caritas Europa, a Philippe Courard,ministro belga (il Belgio deteneva la presidenza dell’Unioneeuropea nel secondo semestre dello scorso anno) perl’integrazione sociale. Si è conclusa con questo atto la campagna“Zero Poverty”, che per tutto il 2010, Anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, ha impegnato la retecontinentale Caritas in una fitta serie di iniziative: convegni,momenti di analisi e di studio, produzione di documenti, iniziativeaggregative e di piazza. E appunto la raccolta di firme (ancorain corso, verranno consegnate anche le firme ulteriori) in calcea una petizione che delineava proposte concrete, rivolte all’Ue,inerenti quattro obiettivi: eliminare la povertà infantile in Europa;garantire a tutti un livello minimo di protezione sociale;

aumentare la fornitura di servizi sociali e sanitari; garantire unlavoro decoroso a tutti. La rete Caritas lavorerà ora per sollecitarele istituzioni europee a tradurre in atti normativi le indicazionisottoscritte da tanti cittadini d’Europa.In Italia la campagna, che ha visto mobilitate nei territori localidecine e decine di Caritas diocesane, si è conclusa… sui campidi calcio. Nel week end prima di Natale, infatti, la Lega di Serie B– all’interno del progetto “B Solidale”, contenitore di attivitàdedicate alla responsabilità sociale –, ha deciso di dare eco allacampagna Caritas: arbitri e capitani delle squadre della seriecadetta sono entrati in campo, nel turno prenatalizio, esibendomagliette Zero Poverty; il messaggio della lotta all’esclusionesociale su scala europeo è stato inoltre diffuso attraverso neglistadi e tramite i mezzi di comunicazione. Inoltre, la Lega Serie Bha sollecitato le ventidue società aderenti a destinarela somma solitamente stanziata per le iniziative nataliziea favore di progetti di lotta alla povertà condotti, nei rispettiviterritori, dalle Caritas diocesane.

di volontari operanti nelle zonepiù difficili della città. Moltosignificativa è stata anche la tavola rotonda interreligiosa,cui hanno partecipatomonsignor GiancarloBregantini, presidente dellaCommissione Cei, Izzedin Elzir,imam di Firenze, Frida Di SegniRussi, della Comunità ebraicadi Ancona, e padre SilvanoZoccarato, missionario in Africa. Al termine, conl’ultimo tratto illuminato dalletorce lungo la salita al Duomo,celebrazione eucaristicapresieduta da monsignorEdoardo Menichelli, arcivescovodi Ancona-Osimo. E poi gli auguri di un 2011 di pace.

BRASILEAlluvioni,pronta reazionedelle CaritasAmpie zone del Brasile (gli stati di Rio de Janeiro, Sul de Minas, Espírito Santo e San Paolo) hanno subitonella prima metà di gennaiopesantissime alluvioni: intericentri abitati sono statisommersi da acqua e fango.La Conferenza episcopaledel Brasile ha subito lanciatoun appello, insieme a CaritasBrasile, avviando una raccoltadi fondi e sottolineandocome con una maggioreprevenzione e attenzioneal territorio si sarebbero potuti ridurre danni e vittime.La mobilitazione Caritas per i primi aiuti d’urgenza haconsentito di distribuire acquaminerale, materiale igienicosanitario, materassi, coperte,generi alimentari e medicinali

essenziali. In 44 parrocchie nel municipio di Teresópolis,diocesi di Petrópolis, ci si è attrezzati per accoglierei senzatetto e sono stati messia disposizione spazi nellechiese per sistemare i corpidelle vittime. Oltre a quella diTeresópolis, le Caritas di NovaFriburgo, Petrópolis e quellaarcidiocesana di Rio de Janeirosono entrate subito in attività.Caritas Italiana ha espressovicinanza alla popolazione ed è entrata in contatto conCaritas Brasile per offrire aiuto;la Conferenza episcopaleitaliana, che ha stanziato 1 milione di euro per la primaemergenza, invita a faredonazioni a Caritas Italiana.

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progetti > promozione del volontariatointernazionale

MICROREALIZZAZIONI

NICARAGUALa “casa delle donne” si consolidaLa Repubblica del Nicaragua è tra i paesi più poveridell’America Centrale. A La Cal vive una comunità contadinadi 140 persone. La città più vicina è Jinotega, a due ore di cammino (o a dorso di mulo...). Le attività di promozionesociale, appoggiate dalla Caritas diocesana, hannoconsentito significativi progressi economici e culturali; tra le famiglie si sono diffusi valori di solidarietà, reciprocità,dialogo e lavoro di gruppo, che trovano espressione anche in pratiche di volontariato. Esso è molto presente tra le donnedella comunità. Grande importanza ha avuto la realizzazionedi una “Casa delle donne”, luogo d’incontro e di propostadi molteplici attività, anche volontarie. Altre invece di rilevanzaeconomica: il finanziamento del microprogetto prevedel’acquisto di un frigorifero per il minimarket dove vengonovenduti i prodotti delle attività agricole e di una lampada a energia solare per riscaldare l’incubatrice dei pulcini.> Costo 4.500 euro > Causale MP 156/10 Nicaragua

PAKISTANMicroimprese femminili oltre la povertàLa diocesi di Faisalabad si trova a nord-est del Pakistan. Anchein questa area molte famiglie vivono in un contesto di povertàe grave emergenza socio-economica. Il microprogetto, ancheattraverso azioni volontarie, intende dare un contributo alla promozione della donna in dieci aree della diocesi,avviando la formazione di 50 donne e sostenendo l’avviodi microimprese. Il progetto prevede l’acquisto dei materialiper la formazione di base sulla gestione economica e amministrativa e lo svolgimento di due corsi teorico-pratici;al termine verrà concesso a ciascuna partecipante un fondoper avviare e sviluppare una piccola attività commerciale.> Costo 4.900 euro > Causale MP 149/10 Pakistan

UGANDARipulendo il riso si progredisce insiemeIl gruppo giovanile Namugalwe, creato nel 2006 nella parrocchia di Busowa, consta di 15 membri, attivi in agricoltura. Il gruppo (nel cui ambito si effettuano ancheattività volontarie per l’interesse collettivo) si è specializzatonella produzione di riso su larga scala; per migliorarela capacità commerciale, necessita di un modernomacchinario per la sbramatura (pulizia dei chicchi) del riso,che permetterebbe di vendere il prodotto a prezzi più alti.I membri del gruppo devono al momento recarsi a Inanga,120 chilometri da Busowa, per effettuare la sbramatura;il progetto prevede l’acquisto del macchinario, che verràistallato grazie all’aiuto di un ingegnere volontario, che formerà il gruppo sul funzionamento della macchina.> Costo 3.270 euro > Causale MP 181/10 Uganda[ ]MODALITÀ OFFERTE E 5 PER MILLE A PAGINA 2

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Non esistono cifre precise. Anzi,uno degli obiettivi dell’Annoeuropeo del volontariato (tale è stato proclamato dall’Unioneeuropea il 2011) è dotare di basiscientifiche la conoscenza del fenomeno. Si stima che nel continente siano 100 milioni(3 europei su 10) le persone che conducono attività di volontariato, fenomenocruciale per molte politicheeuropee, nonché capace (altrastima) di contribuire per il 5% al Prodotto interno lordo dei 27membri Ue. Inclusione sociale,sviluppo culturale, promozionedei valori di integrazione e pacetra generazioni e popoli: il volontariato è tutto questo. E non solo in Europa: il 2011 è il decimo anniversario dell’Annointernazionale del volontariato,proclamato dall’Onu nel 2001. Caritas Italiana ritiene che il volontariato vadapromosso a tutte le latitudini: ne conseguono progetti, spesso intrecciati con azioni di promozione socio-economica e di lotta all’esclusione sociale.

“GIOVANI PER LA PACE”Formazione in nove paesi dei BalcaniIl mezzo secolo di assoggettamento ai regimi comunisti ha compresso e ritardato, nei paesi dell’Europa dell’est, la propensione a organizzarsi liberamente, non solo sul versante politico e dell’iniziativa economica, ma anchesul fronte del contributo associativo e volontario al progresso civile, sociale, culturale. E lo sviluppo del volontariato si è dovuto misurare, dopo la caduta di quei regimi, con un contesto socio-economico fortementeproblematico e una mentalità che al collettivismo forzato ha sovente sostituito un individualismo selvaggio.

Ora, però, si intravedono germogli di risveglio. Che in molti casi riguardano impegno e aspirazioni dei giovani.Caritas Italiana ha deciso di coltivare questi segnali tramite il progetto regionale “Giovani per la pace in Europa”, che riguarda nove paesi dei Balcani (Albania, Bosnia

Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Kosovo, Macedonia, Serbia,Montenegro, Slovenia). Il progetto organizza diverse attivitàmirate alla promozione del volontariato tra i giovani: percorsiformativi, campi estivi di lavoro, scuole estive di volontariato,finanziamento di microprogetti proposti da piccoli gruppi di volontari organizzati. Tutte queste attività intendonofavorire la conoscenza e lo scambio di buone pratiche e sviluppare rapporti umani nuovi e solidali tra giovaniprovenienti da paesi spesso in conflitto tra loro sino a pochi anni or sono, attualmente provati da una difficilecrisi economica e sociale. La formazione e l’animazione di questi giovani è un contributo importante all’integrazionedi comunità una volta divise, ma anche allo sviluppo di forme nuove di cittadinanza attiva e alla realizzazione di servizi di solidarietà per soggetti sociali vulnerabili.> Costo 35 mila euro> Causale Balcani Psm

IL PROGETTO

Pakistan

Nicaragua

Uganda

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LE RIVENDICAZIONI, LE VITTIMESopra, manifestazione di cristiani a Islamabad,Pakistan. Pagina a destra: il governatore SalmanTaseer, ucciso a gennaio, con Asia Bibi

internazionalelibertà religiosa

l caso giudiziario di Asia Bibi, la donna cristianache in Pakistan rischia la condanna a morte peraver diffamato il profeta Maometto, non si è an-cora concluso. Si è invece molto attenuata l’ecomediatica che intorno a questo caso si era solle-vata, fino a farne – per qualche giorno – l’em-blema delle violazioni della libertà religiosa. Pro-

prio quando i riflettori si spengono, però, è ancora piùimportante cercare di capire le dinamiche che si celanodietro certe situazioni. Tutt’altro che isolate, in un paeseinquieto, qual è il Pakistan di oggi.

Casi del genere non solo rivelano un confronto socialesempre più aspro, ma sono figli di una storia segnata da unforte legame tra autorità politica e identità religiosa. La co-stituzione del Pakistan, varata al momento della separa-zione dall’India, nel 1948 (avvenuta proprio sulla base

dell’appartenenza religiosa), contiene in sé sia il germe diuno stato confessionale, sia il fondamento di quella libertàreligiosa che aveva rappresentato per secoli un tratto di-stintivo del sub-continente indiano. Pur definendo infattil’islam come “religione di stato”, essa riconosce infatti la le-gittimità di altre convinzioni religiose, e scoraggia la diffu-sione di pregiudizi settari tra i cittadini.

La situazione cominciò a radicalizzarsi con la dittaturamilitare del generale Zia-ul-Haq, dalla fine degli anni Set-tanta: nel 1979 furono introdotte nel codice penale alcunenozioni tratte dalla sharia (la legge religiosa islamica) e siavviò un processo che portò all’introduzione di corti spe-ciali (Federal Shariat Court – Fsc), incaricate di vigilare sullacoerenza del diritto pakistano con la legge islamica, e poi ainterpretare in chiave religiosa molti elementi del diritto pa-kistano. Si è così innescata una deriva pericolosa, che hacondotto ad accettare il principio dell’esistenza di cittadinidi serie A e di serie B: per esempio, solo un musulmano ma-schio è accettato come testi-mone in un giudizio, anche pe-nale, promosso su temi religiosi.

Il caso degli AhmadiIn questo quadro, pur non esi-stendo in Pakistan leggi esplici-tamente destinate a limitare lalibertà religiosa, una sentenzadel 1990 ha ravvisato per laprima volta nella conversionedall’islam al cristianesimo una“offesa riconoscibile”, persegui-bile nel quadro delle leggi con-tro la blasfemia. Negli ultimi tre decenni, dunque, i sintomidi una deriva progressiva si sono moltiplicati, e la scelta delleautorità è stata nella maggior parte dei casi purtroppo inlinea con le richieste dei gruppi islamici estremisti, consi-derati fattore di controllo in una società estremamente seg-mentata dal punto di vista sociale e culturale, ma in realtà,come dimostra la storia recente, tutt’altro che controllabili.

In questo scenario di progressiva radicalizzazione, leleggi contro la blasfemia hanno assunto un’importanzaparticolare. La loro origine risale, curiosamente, a previsionidel codice penale inglese rivolte alla repressione della “lesamaestà”, più tardi emendata in “offesa ai cittadini del Paki-stan”. Si tratta dunque di una fattispecie giuridica che ma-nifesta, all’origine, un profondo legame tra libertà di reli-gione e libertà di coscienza: strumento di controllo sociale,più che di difesa dell’islam nei confronti dei suoi avversari.

Tutto ciò appare con nettezza anche dall’analisi dei“bersagli” di tale legge: il 40% delle 1.274 persone accusatein base a questa legge tra il 1986 e il 2010 era rappresentatoda cittadini musulmani. E la commissione Giustizia e Pacedella chiesa cattolica pakistana, che ha esaminato 38 casidi donne accusate di blasfemia, attesta che 14 erano cri-stiane e ben 22 musulmane! Le leggi sulla blasfemia sonoquindi diventate uno strumento di repressione e controllodelle minoranze, più che uno strumento di confronto e per-secuzione dei cristiani in quanto tali. Emblematico il casodegli Ahmadi, setta minoritaria che si richiama all’islam eall’insegnamento di Mirza Ghulam Ahmad, santone vis-suto in India tra il XIX e il XX secolo, che propugnava ideedi non violenza e rispetto per il prossimo: il Pakistan èl’unico paese in cui per gli Ahmadi (poco più di un milionein tutto il mondo) è reato penale proclamarsi musulmani.

Emigrare per un’accusaNell’analisi dei casi in cui talileggi vengono invocate, colpisceil loro comune impiego per re-golare piccole dispute e rivalitàlocali. È stato così nel caso diNaushad Valyani, medico diconfessione ismailita (ramodell’islam sciita che riconosce laleadership del principe AgaKhan), recentemente arrestatocon l’accusa di aver gettato nelcestino della spazzatura il bi-glietto da visita di un informa-tore farmaceutico su cui era ri-

portato il nome del Profeta Maometto. La dimostrazione diprotesta contro il dottor Valyani, cui seguì poi l’interventodella polizia nei riguardi dello stesso medico, era stata or-ganizzata da una diecina di rappresentati di altrettante casefarmaceutiche, incluse alcune compagnie multinazionali.

Lo stesso caso di Asia Bibi, nato su una disputa sull’ac-cesso all’acqua, riporta a una dimensione che di realmentereligioso ha poco o nulla. E non sono rari casi ancora piùparadossali, come quello di un latifondista, di nome Najee-bullah, accusato di aver esposto un calendario con alcuniversetti del Corano, ma ormai vecchio: ciò è bastato comepretesto per un’accusa di blasfemia a un lavoratore pocoprima ripreso per una mancanza, e perché una folla esagi-tata finisse addirittura per linciare e uccidere il malcapitato.

Quest’ultimo episodio suggerisce un’altra riflessione. Èvero, come ricordano le autorità pakistane, che nessuna

IASIA E ALTRI “BLASFEMI”,NEL MIRINO LE MINORANZEdi Massimo Pallottino

Una donna cristiana accusata di avere diffamato Maometto: rischia la condanna a morte. Una sorte simile,in Pakistan, tocca agli esponenti di gruppi etnici e religiosi minoritari. Il radicalismo islamico divienefattore di repressione sociale

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sentenza di morte è stata mai eseguita in seguito a unacondanna per blasfemia (diversamente però da quello chea gran voce chiedono le già citate corti federali islamiche),ma la triste realtà è che la semplice accusa è sufficiente aspingere gli accusati a emigrare, nel tentativo di salvare lapropria vita. Ancora la commissione ecclesiale Giustizia ePace precisa la triste contabilità delle uccisioni degli accu-sati di blasfemia, talvolta in carcere, mentre scontano lapena o mentre aspettano il processo; a volte anche fuoridal carcere, a processo ormai concluso. Sono vere e propriecondanne a morte extragiudiziali, con cui i membri deigruppi più estremisti credono di guadagnarsi il paradiso.Essere accusati, e talvolta neanche in modo formale, èspesso sufficiente per scatenare la rabbia di esagitati,spesso sostenuti da leader religiosi estremisti che predi-cano violenza e odio.

Giustizia, non reciprocitàSono sempre più numerose le voci che chiedono l’aboli-zione o almeno la modifica di queste leggi. Ma le normenon sono il solo sintomo di una crescente pressione controle minoranze. Secondo il Centre for legal aid assistance andsettlement (Claas), citato dall’Agenzia Fides, sequestri e vio-lenze sessuali ai danni delle ragazze cristiane e indù sonoin crescita nel paese, spesso al fine di ottenere conversionie matrimoni forzati. Il senso di insicurezza segna profon-damente la vita dei cristiani e dei membri delle altre mi-noranze, in una terra profondamente ferita da odi e rivalitàche, come insegna la storia, vengono sapientemente uti-lizzati per mantenere il controllo politico su un paese estre-mamente complesso. E proprio in occasione delle inon-dazioni che hanno recentemente colpito il paese, sonostati frequenti i casi di aiuti selettivi o addirittura di inon-

dazioni controllate, ai danni delle comunità più povere,spesso formate da cristiani o indù.

In questo panorama così scoraggiante non mancano,si diceva, segni di speranza. L’appello dei vescovi cattolicia operare uniti per il bene di tutti i pakistani, all’indomanidelle alluvioni che hanno colpito il paese, è stato un semeimportante per segnalare la possibilità di una convivenzapacifica nella ricerca del bene di tutti. La stretta collabora-zione tra Caritas e numerose organizzazioni islamiche nondeve quindi stupire, come non deve stupire che il movi-mento di opinione per introdurre nella vita civile elementidi libertà di coscienza e di religione, così come di una piùsana separazione tra poteri civili e poteri religiosi, sia ani-mato con il contributo di molte organizzazioni islamiche.

È una battaglia difficile, che va combattuta contro chisoffia sul fuoco del confronto sociale, così come nei ri-

guardi di una certa retorica dello “scontro delle civiltà”. Econtro il ricorrente irrompere della violenza politica, comeè accaduto a inizio gennaio con l’assassinio del coraggiosogovernatore della provincia del Punjab, Salman Taseer,“reo” di aver difeso Asia Bibi e criticato la strumentale ap-plicazione della legge sulla blasfemia. Ma come ha dettodi recente il cardinale Turkson, presentando il messaggiodi papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale dellapace 2011, la battaglia per libertà religiosa va combattutasulla base di un criterio non di reciprocità, ma di giustizia.I cristiani sono chiamati a essere gratuiti seminatori dipace: il confronto non è tra (presunte) civiltà contrappo-ste, ma tra gli uomini di buona volontà, di qualunque con-fessione religiosa si facciano portatori, e gli intolleranti,che usano la religione come discrimine per imporre il loropotere nelle società e nel mondo.

internazionalelibertà religiosa

STILLICIDIO DI VIOLENZEMacerie nella chiesadi Nostra Signora della Salvezzaa Bagdad, capitale dell’Iraq,dopo un attacco perpetratoda terroristi islamicia fine ottobre 2010

Libertà religiosa, diritto negatoin quasi 200 paesi del mondoIl messaggio del papa per la Giornata della pace ripropone una questionecruciale della contemporaneità. Di cui soffrono soprattutto i cristiani

ibertà religiosa, via per la pace”. Il mes-saggio di papa Benedetto XVI per la 44ªGiornata della pace, celebrata il 1 gen-naio 2011, ha riproposto un tema cru-ciale per il mondo contemporaneo,

benché sia affrontato e dibattuto da secoli. Affermare ilprincipio di libertà religiosa, in un paese, come l’Italia, lacui Costituzione afferma (all’articolo 8) che tutte le confes-sioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge,può apparire un’ovvietà. Però sono stati versati fiumi disangue, per arrivare a una simile consapevolezza. Ogniconfessione religiosa, peraltro, è stata, in qualche tempo equalche luogo, minoranza religiosa che ha sofferto perse-cuzioni; ma ogni confessione, diventata dominante, ha ri-tenuto di porre limiti, talvolta anche violenti, ad altre,nuove minoranze religiose.

Dopo i secoli di lotte e di guerre, anche in nome dellareligione, dal Medioevo alla modernità, a metà del secoloscorso ci vollero quasi due anni di discussione, all’assem-blea delle Nazioni Unite, per arrivare alla prima Dichiara-zione universale dei diritti umani, comprensiva di quelli

‘‘Ldelle minoranze religiose. Il testo è del 1948: eppure la Di-chiarazione è rimasta in molti paesi e società del mondouna sorta di auspicio, non giuridicamente vincolante. A unaConvenzione vincolante, in materia, si giunse solo il 16 di-cembre 1966, dopo 18 anni di ulteriori discussioni all’Onu.

Come poi questi vincoli siano attuati, lo dimostrano lenumerose persecuzioni che ancor oggi si praticano nelmondo. Il Rapporto 2010 dell’associazione “Aiuto allaChiesa che soffre” ha documentato, di recente, che circa il70% della popolazione del mondo vede negata, o forte-mente limitata, la propria libertà di fede. In ben 194 paesi(dove abitano 5 miliardi di persone) la libertà religiosa èsottoposta a limitazioni, interdizioni, divieti. Il Rapportoinvita a battersi per tutte le minoranze, per la libertà reli-giosa in quanto diritto umano, perché “ognuno ha il dirittodi esercitare la propria libertà di coscienza”. E il papa, ri-cordando che “i cristiani sono attualmente il gruppo reli-gioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a mo-tivo della propria fede”, conferma che “il diritto alla libertàreligiosa è radicato nella stessa dignità della personaumana, la cui natura trascendente non deve essere igno-rata o trascurata”. Tanto che “tra i diritti e le libertà fonda-mentali, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale”.

Affare della società civileI testi sacri delle grandi religioni (cristianesimo, islam, in-duismo, buddismo) sono pieni di espressioni contro laviolenza religiosa, o l’imposizione della fede. Ma in pas-sato questi precetti sono stati più volte contraddetti dallestesse autorità religiose. Il problema oggi, come è noto,per le minoranze cristiane si fa urgente in alcuni paesimusulmani (Iraq, Arabia Saudita, Pakistan). In India c’èinvece una forte “regressione” fra alcune correnti nazio-naliste indù, la cui misura non è data solo paragonandolaall’esempio di Gandhi. Anche nell’altro “gigante” asiaticoe mondiale, la Cina, si può dire che le credenze religiose“in sé” siano variamente perseguitate. Persino l’insospet-tabile Egitto è permeabile a tremendi atti di violenza,come dimostra il sanguinoso attentato alla chiesa coptadi Alessandria a fine 2010.

Questi travagli portano a due conclusioni, già verifi-cate sul piano storico: la libertà politica, cioè la demo-crazia, si rafforza mano a mano che aumenta il rispettoper le minoranze religiose; senza il rispetto per le mino-ranze religiose, d’altro canto, ci si deve purtroppo prepa-rare ad altre “guerre dei 30 anni”, o – dice qualcuno – anuovi scontri di civiltà. “La tutela internazionale è co-munque un processo lento che sfugge alla vita dei singoliindividui e si misura nell’arco di generazioni”, suggerisceAntonio Cassese, esperto di diritti umani di levatura in-ternazionale, nel suo saggio I diritti umani, oggi (La-terza). Peraltro la promozione dei diritti umani e la difesadelle minoranze, di tutte le minoranze, a cominciare daquelle religiose, non possono partire che dalla società ci-vile, dalle ong, dalle Chiese, dai movimenti culturali, conla battaglia delle idee, con un continuo stimolo dell’opi-nione pubblica, affinché non si avveleni, assuefacendosiai soprusi. Ciò deve avvenire interrogando tutti i contesticulturali, il nostro così come il mondo dell’islam. Una so-lidarietà concreta, e universale, può mostrare nei fatti enelle parole che tutti gli uomini godono della stessa di-gnità. E dunque dello stesso diritto a coltivare, nella li-bertà, la dimensione della fede.

di Silvio Tessari ARCH

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internazionalenell’occhio del ciclone

TROPPI MALNUTRITIE L’INSICUREZZA SI MOLTIPLICA

suoli agricoli e dunque a un aumentodel prezzo di mais, riso e grano. Inol-tre, gli effetti del cambiamento clima-tico stanno riducendo le terre fertilinella parte più povera del pianeta, ali-mentando nuovi potenziali rischi dicompetizione per l’acqua e la terra.

Un’evidente manifestazione diquest’ultimo rischio si è avuta recen-temente in Sudan. Gli sforzi interna-zionali per risolvere guerre comequella in Darfur, si concentranotroppo sul peacekeeping e sulle stra-tegie militari, e non abbastanza sulclima e sullo sviluppo. Eppure le ori-gini del conflitto nel Darfur risalgonoprincipalmente alla diminuzione dellepiogge e all’aumento della popola-zione negli anni Ottanta, fattori chehanno scatenato la competizione traagricoltori stanziali e pastori nomadi.

Situazioni di carestia cronicizzataresistono ormai da decenni in almenoun terzo dell’Africa, nel subconti-nente indiano, in Asia centrale e nella

Corea del Nord, mentre forme di malnutrizione emergentiappaiono in molte altre regioni del mondo, ad esempio inAmerica Latina, perfino in Cina e in Europa orientale.

Dal momento che il legame tra il degrado ambientale– inclusi i cambiamenti climatici – e la povertà è semprepiù evidente e quello tra povertà estrema e violenza armatae organizzata lo è ancor di più, documentato da numeroseevidenze scientifiche, l’impegno della comunità interna-zionale e dei singoli governi in tal senso non può mancare,pena il rischio concreto di conflitti armati sempre più in-tensi e interconnessi. Occorre pertanto investire in preven-zione, a partire da politiche ambientali più incisive, dapolitiche finanziarie più tutelanti il diritto al cibo e all’ac-qua, da politiche per lo sviluppo più coerenti con gli im-pegni presi e l’evolversi dei fenomeni.

quelle sanitarie, quelle educative,ecc), è dato dal persistere della mal-nutrizione, che nel mondo riguardaancora circa 900 milioni di persone.Da oltre vent’anni il mondo producecibo in quantità sufficiente per tutti,ma un terzo della popolazione piùpovera del mondo soffre di graviforme di insicurezza alimentare.

Una delle ragioni di questa situa-zione va cercata nello stallo della ridu-zione della povertà rurale, causato siadall’incapacità dei governi nazionalisia dall’incoerenza delle politiche in-ternazionali. Nel 1980 gli stanziamenti contro la povertà ru-rale rappresentavano circa un terzo dell’Aiuto pubblico allosviluppo (Aps) mondiale, oggi poco più del 3%. Nonostantegli Obiettivi del Millennio messi a punto nel 2000, e tutti i“summit” successivi incentrati sullo sviluppo, l’ambiente,la lotta alla fame (incluso il vertice di Cancun, in Messico,svoltosi nello scorso dicembre), gli aiuti all’agricoltura sonodiminuiti del 70% in vent’anni. E questo è avvenuto benchétre quarti dei poveri del mondo vivano in aree rurali.

Rischi di competizioneL’insicurezza alimentare è dunque una realtà che tende ariacutizzarsi. Ai problemi di sempre si è sommata, negli ul-timi anni, la competizione tra i vari produttori di biocar-burante, che ha portato a vere e proprie colonizzazioni dei

Nonostante promesse e vertici, quasi un miliardo

di persone, nel mondo,sono scarsamente

o malamente alimentate.Dipende anche

dalla riduzione dei fondicontro la povertà rurale.

Ne conseguono instabilitàsociali e conflitti

di Paolo Beccegato

I prezzi degli alimenti di base tornano ad aumentare. È un bruttosegnale, legato a vari fenomeni e determinato da diverse respon-sabilità, tra le quali una risulta particolarmente odiosa: la specu-

lazione. Il segno più evidente del fallimento delle politiche di sviluppo,di lotta contro la povertà e le disuguaglianze, e di tutte le politiche col-legate che concorrono al bene comune, soprattutto dei più poveri (in-cluse quelle finanziarie, che dovrebbero comunque mettere al riparoalmeno dalla speculazione sull’acqua e sul cibo, quelle ambientali,

idea che abbiamo dell’Albania ri-mane spesso ancorata a poche imma-gini degli anni Novanta: vecchieautomobili scassate su strade polve-rose e dissestate, edifici fatiscenti euomini – tutti – magrissimi e affamati.L’idea ancora oggi diffusa dell’Albania

è quella di una terra tanto povera da costringere i proprifigli a un’emigrazione dall’esito incerto.

La realtà, però, è un’altra. Suggerita dai dati macroeco-nomici: la crescita dell’economia albanese dal 1992 a oggiè stata quasi uniformemente costante, con un incrementomedio del Pil (del 7% all’anno) fra i più alti al mondo; la ca-pitale Tirana è una città in pieno fermento, con tutti i ser-vizi e le possibilità di consumo cui siamo abituati in Italia.

Anche l’emigrazione, ancora oggi piuttosto viva, ma di pro-porzioni molto più modeste, ha assunto ben altre formerispetto ai primi anni Novanta: la maggior parte degli emi-granti si reca all’estero in aereo, i visti vengono richiesti nonsolo per lavoro, ma anche per turismo e studio.

Sarebbe comunque sbagliato pensare che la situa-zione, in Albania, sia migliorata in maniera uniforme e co-stante. I dati ufficiali sulla crescita del Pil e la vitaabbagliante del centro di Tirana non possono nascondereil profondo divario economico creatosi nel paese. Uno stu-dio della Banca Mondiale, del 2007, dimostra che un realemiglioramento delle condizioni di vita ha interessato solole aree urbane (in massima parte Tirana), mentre le areerurali hanno avuto un miglioramento moderato; le areemontane a scarsa accessibilità hanno addirittura subito unpeggioramento della situazione, spopolandosi a causadella migrazione interna verso le città.

La casa e il giocoMa il problema non è solo il per-sistere di vecchie forme di povertàin aree poco toccate dal recentesviluppo. Nell’Albania che cambianascono anche fenomeni e pro-

di Francesco Tommasi foto di Annagrazia Faraca

internazionalealbania

L’Albania ha vissuto un ventennio di boomeconomico. Concentrato però nelle città,soprattutto Tirana. Nel resto del paese nuoveforme di disagio si assommano alle vecchie.Lo dimostra il primo rapporto Caritas sul fenomeno

L’

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BRICIOLE DI RICCHEZZAPochi prodotti, tantodisordine: mercatinoalla periferia di Tirana

SVILUPPOSBILANCIATO,LA POVERTÀ SI TRASFORMA

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internazionale

blemi nuovi. La sempre più spinta liberalizzazione eco-nomica e il sovraffollamento delle città portano nuovetensioni, alterando le consuetudini e il senso comunitariodella popolazione.

In questo panorama, Caritas Italiana ha promosso esupportato la costituzione, da parte di Caritas Albania, diun Osservatorio sulle povertà e le risorse. L’Osservatorio,attivato nel 2009, ha prodotto nel 2010 un primo report:Guardare alla povertà con gli occhi della Caritas. Lo studiosi è basato su dati raccolti fra le persone assistite dallaChiesa, dove questa è più presente e ha maggiore accessoal tessuto sociale; ne emerge l’immagine di una società indifficoltà, dove vecchi e nuovi fattori di esclusione socialesi intrecciano, creando inedite condizioni di disagio.

Alcuni dei problemi registrati rimandano a un contestodi povertà rurale ormai cronicizzato in alcune parti delpaese: la mancanza di un’abitazione adeguata affliggel’87,2% delle famiglie del campione; nelle campagne è unproblema quasi generalizzato, molto frequentemente lecase non solo sono sprovviste di qualsiasi servizio (luce,acqua o gas), ma hanno anche gravi problemi strutturali(cedimenti dei tetti, infiltrazioni di acqua e umidità).

Altri problemi, invece, come l’alcolismo (21,51% degliassistiti dalla Chiesa) o la diffusione dei debiti di gioco(12,95%) hanno un’origine molto più re-cente, e sono legati a un contesto di rapidaurbanizzazione e di grandi evoluzioni eco-nomiche, in cui si diffondono facilmente (especularmente) l’aspettativa di guadagnifacili e la frustrazione sociale.

Vecchi e nuovi problemi sono comun-que aggravati da una non adeguata atten-zione da parte delle autorità pubblicheriguardo le politiche di welfare e l’eroga-zione di servizi al cittadino: servizi che do-vrebbero essere universalmente garantitisono assenti o inefficaci, l’assistenza allefasce deboli (anziani, bambini a rischio,portatori di handicap) risulta inadeguata.Riguardo ai disabili, per esempio, solo unaparte (il 45%) di quelli assistiti dalla Chiesaricevono anche l’assegno dell’assistenzasociale garantito dallo stato, e il livello diintegrazione sociale risulta bassissimo,basti pensare che il 44% dei disabili non haacquisito nessun titolo scolastico e che il77% è disoccupato.

Anche nell’erogazione dei servizi ordi-

nari, come detto, vi sono inefficienze che creano situa-zioni sociali insostenibili. Ne è un esempio la mancanzadi istruzione, problema che colpisce il 35% delle fami-glie assistite dalla Chiesa, con dati molto preoccupantiriguardo l’analfabetismo e l’abbandono scolastico (en-trambi presenti nel 13% delle famiglie assistite). Inmolti casi ci sono anche problemi di accessibilità fisicaai servizi di base: scuole, ospedali o altre strutture nonsono raggiungibili nelle aree più remote del paese; inaltri casi la barriera è rappresentata dall’ignoranza inmerito ai propri diritti. Infine, c’è un oggettivo pro-blema di qualità dei servizi, tanto che le molte aziendeprivate attive nel campo della sanità e dell’istruzionehanno grande successo nonostante i costi elevati, ac-cessibili solo a una minoranza.

Famiglia, risorsa e limiteParticolarmente grave, per la sua diffusione estrema, èil problema della disoccupazione, che affligge almenouna persona nel 72,5% delle famiglie studiate dal re-port. E il dato sottovaluta in buona parte la compo-nente femminile del fenomeno; per ragioni legate allastruttura familiare tradizionale e ai ruoli di genere, unadonna che esaurisce la sua attività nella cura della fa-

miglia non viene considerata disoccupata.In Albania, tradizionalmente, la famiglia gioca un ruolo

preponderante sia come soggetto sociale che come unitàeconomica di base: in famiglia si gestiscono le risorse e se-condo gli interessi della famiglia vengono prese decisionifondamentali per la vita dei singoli individui, riguardantiad esempio l’educazione o i matrimoni.

Le famiglie descritte nello studio dell’Osservatorio Ca-ritas sono perlopiù numerose: più di 5 persone (moltospesso più di 8) sotto lo stesso tetto. All’interno della fami-glia, gli uomini accusano più spesso problemi relativi allaterza età o alle dipendenze (alcol e gioco d’azzardo), mentrele donne risultano essere maggiormente esposte ai pro-blemi di disoccupazione, oltre che, troppo spesso (nel 10%delle famiglie circa) a gravi situazioni di violenza domestica.

La famiglia è comunque un’istituzione sociale più chesolida; divorzi, separazioni e abbandoni sono una rarità.Questa stabilità è dovuta in parte a un condizionamentoculturale che limita moltissimo i diritti della donna e im-pedisce il divorzio anche in casi gravissimi di violenza,ma in generale la famiglia, in particolare la famiglia estesa,costituisce la principale rete di solidarietà per fare frontealle difficoltà. Il 27% delle famiglie, infatti, ha dichiaratodi ricevere aiuto “sostanziale” dai propri parenti, attra-verso una gamma di azioni che comprendono ospitalità,

prestiti o donazioni di denaro,sostegno all’educazione deifigli e in generale tutte leforme di aiuto che si possonooffrire e ricevere fra pari.

Si arricchiscono le éliteStando ai dati delineati dall’Osservatorio di Caritas Alba-nia, in definitiva, lo scenario risulta molto complicato. Losviluppo del paese, con una fortissima urbanizzazione eun autentico boom economico, ha portato un nuovo be-nessere (concentrato a Tirana e in altre città), accompa-gnato però da nuove tensioni e problemi sociali (peresempio il gioco d’azzardo), mentre del passato dell’Alba-nia permangono alcuni elementi culturali, come il fortis-simo ruolo della famiglia, che costituiscono allo stessotempo un limite alla libertà individuale e un’irrinunciabilerisorsa di solidarietà sociale.

Nel complesso, si può parlare di uno “sviluppo sbi-lanciato”, che ha favorito la città rispetto alle campagnee l’economia di consumo rispetto alla società, divi-dendo il paese in una classe di nuovi ricchi e in una divecchi poveri. Si tratta di un percorso comune a moltis-simi altri paesi in via di sviluppo, che vedono arricchirsialcune èlite, talora a scapito del resto della popolazione,e che dovrebbe condurre a ripensare il problema del di-vario economico su scala globale: più che distingueretra Nord e Sud del mondo, dovremmo farlo tra ricchi epoveri del mondo.

albania

Caritas Italiana ha operato per la promozione dell’Osservatoriosulle povertà e le risorse di Caritas Albania da maggio 2009 a ottobre2010. L’obiettivo era rendere disponibile alla Chiesa locale e allasocietà albanese, in forma organica e formalizzata, le conoscenzeaccumulate da tanti operatori della carità, ma frammentato e dispersonelle esperienze personali e locali. Un lavoro fondamentale è statodunque mettere in rete con la Caritas nazionale, attraverso le Caritasdiocesane, una moltitudine di religiosi, volontari e operatori sociali che lavorano nei territori a contatto con i poveri, creando occasioni di scambio e dibattito, utili peraltro anche a rafforzare il loro senso di comunità. Queste persone hanno ricevuto una formazione specificasull’utilizzo degli strumenti di indagine (i questionari), venendo coinvoltianche nella loro progettazione. Ogni Caritas diocesana è stata inoltreattrezzata per organizzare l’immissione e l’archiviazione informatica deidati, mentre l’Osservatorio nazionale si occupa della loro elaborazione.

A gennaio 2010 la rete dei volontari (che operava in 54 centri di raccolta dati nel paese) ha registrato informazioni su circa 3 milapersone fra quelle normalmente assistite dai vari centri di aiuto,fornendo così il campione di studio del rapporto Looking at PovertyThrough the Eyes of Caritas, presentato a Tirana il 30 ottobre.

NUOVIE SPORCHIEdifici moderni,servizi inadeguati:lo sviluppodell’Albanianon garantiscequalità del vivere

L’OSSERVATORIO CARITAS

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internazionaleeurovolontari 2011 | spagna

NON SOLO GIOVANI,ESPERIENZA PER TUTTE LE ETÀ

tra i 36 e 55 anni, il 14% tra 56 e 65anni e l’8% ha più di 65 anni.

«Il volontariato in Spagna è tra-dizionalmente collegato al mondogiovanile, perché da un lato vi è latendenza a percepirlo come untempo di acquisizione di competenzeprima dell’inserimento lavorativo, edall’altro si è diffusa un’immagine delvolontariato conforme a un profilodi gente giovane», chiarisce EmilioLopez Salas. Però, anche in Caritas,ma soprattutto in ambito istituzio-nale, si sta cominciando a insisteresulla necessità di diversificare l’etàdei volontari, promuovendo un in-cremento del volontariato in modoparticolare tra i pensionati. «Il 23 di-cembre è stato approvato l’ultimodei periodici Piani statali sul volon-tariato, per gli anni 2010-2014: ci au-guriamo che l’anno che l’Unioneeuropea dedica a questo tema sia pertutti noi motivo di impegno ulteriore,anche sotto il profilo della riflessione

e del confronto circa i problemi aperti, le sfide e le pro-spettive che il volontariato propone nel nostro paese».

Di queste sfide sono testimonianza le conclusioni del-l’Annuario del terzo settoredi Azione Sociale, piattaforma diong spagnole: “il volontariato – vi si legge – rappresenta unasfida importante nella gestione del capitale umano e delleorganizzazioni che operano in ambito sociale. Questo è do-vuto soprattutto al fatto che la collaborazione disinteressataspesso sostiene la struttura organizzativa e funzionale diqueste realtà. Tuttavia, dato che la motivazione di questepersone non è quella economica, sembra essere rilevanteche queste organizzazioni sviluppino altre strategie per laformazione e la motivazione del volontariato: l’acquisizionedi esperienza professionale, di competenze specifiche, lasocializzazione o altre aspettative personali».

«Questa presenza è non solo nu-mericamente rilevante, ma anchequalitativamente decisiva – affermaEmilio Lopez Salas, dell’Area volonta-riato di Caritas Spagna –, perché rap-presenta un elemento di dinamismo,critica costruttiva e proposta, speciein situazioni di particolare vulnerabi-lità ed esclusione. È bene che il ruolodel volontariato sia sempre più svi-luppato, purché i volontari non sianoorientati principalmente e solo allarealizzazione pratica di compiti e ser-vizi, ma svolgano anche incisiva atti-vità di sensibilizzazione e denuncia sociale, andando oltreil mero rapporto strumentale che può crearsi tra i volontarie gli enti presso cui svolgono la loro attività».

Strategie di motivazioneMa qual è il ruolo del volontariato nella Spagna di oggi,paese che ha visto svilupparsi una legislazione specificaalla metà degli anni Ottanta sia in ambito statale che neidiversi governi regionali? Il quadro legale di riferimento ècostituito in particolare dalla legge sul volontariato(6/1996) e le persone impegnate in questo ambito sonocirca 4 milioni. Tra esse, circa un milione svolgono attivitàin ambito sociale e vi è una decisa e generale prevalenzadi donne (60%). Quanto all’età dei volontari spagnoli,circa il 43% si colloca nella fascia tra i 18 e 35 anni, il 33%

Il volontariato in Spagna è sempre stato

interpretato comeoccasione per introdursia una professione. Oggi

la sensibilità diffusa e i piani istituzionali di

settore stanno cambiandoapproccio. E si fa più fortela necessità di formazione

di Sara Martini

P rima accoglienza, campagne di sensibilizzazione, coordinamentodi progetti, area comunicazione, mense e centri diurni. Ma ancheruoli direttivi e amministrazione. Sono questi alcuni degli ambiti

in cui si impegnano i circa 60 mila volontari che, secondo il Rapporto2009 dell’organizzazione, collaborano con la Caritas in Spagna. Una re-altà il cui peso specifico è assai rilevante, basti pensare che il volontariatorappresenta il 92% delle persone operanti in Caritas, mentre il personaleremunerato o a contratto rappresenta l’8% delle forze attive.

internazionalepovertà in europa

Il salvataggio dell’Irlanda?«Lo pagheranno i vulnerabili»La crisi finanziaria, e le misure attuate per contenerne gli effetti nell’isola,rischiano di penalizzare i poveri. Preoccupata analisi degli organismi ecclesiali

e negoziazioni del governo irlandese con laCommissione europea, la Banca centrale euro-pea e il Fondo monetario internazionale si sonoconcluse il 28 novembre. Il “salvataggio Du-blino” (risultato di un intervento congiunto di

Ue, Bce e Fmi) prevede un piano triennale di aiuti più con-tenuto rispetto a quello della Grecia, pari a 85 miliardi dieuro, 35 da destinare alle banche. Ulteriori prestiti bilateralisaranno concessi da Regno Unito, Svezia e Danimarca.

«Il fulcro delle decisioni sta nel fatto che a soffriredell’impatto negativo della crisi bancaria sono coloroche pagano le tasse in Irlanda, persone povere e vulne-rabili»: così commenta, tramite il suo sito web, Social Ju-stice Ireland, una fondazione che è l’emanazione laicadella Conferenza dei religiosi irlandesi (equiparabile allaCaritas in Irlanda). Negli ambienti ecclesiali e della soli-darietà, è forte la preoccupazione per una crisi che ponela necessità di risanare drasticamente la deriva del bilan-cio (possibilmente senza colpire la crescita economica)e d’altro canto rischia di far pagare le maggiori conse-guenze delle perdite dovute alle speculazioni bancarieai cittadini più vulnerabili, di qualsiasi nazionalità essisiano. In quest’ottica, anche lo scambio tra finanzia-menti (europei e internazionali) e rigore fiscale richiestoal paese sembra essere risultato molto vantaggioso perle banche, ma assai penalizzante per i cittadini.

La crisi (meglio, le crisi vissute in questi mesi in Eu-ropa) richiede una riflessione profonda sul modello di Eu-ropa sociale che si va costruendo. L’integrazione europeanon si è mossa, dall’inizio, su binari “sociali”; solo in annirecenti il tema delle politiche sociali ha assunto rilevanza,in particolare attraverso programmi di lotta alla povertà eper le politiche del lavoro. I paesi europei hanno inoltretradizioni molto diverse in termini di welfare. «Lo stato so-ciale così come è oggi realizzato potrà sostenere negli anniprossimi solo le persone in condizioni migliori. Le per-

Lsone povere e le categorie più vulnerabili sono escluse daicambiamenti in atto e non sono comprese nel ripensa-mento generale delle misure da adottare», hanno denun-ciato riguardo alla situazione irlandese Seán Healy e BrigidReynolds, direttori di Social Justice Ireland, in un docu-mento presentato nei giorni della crisi e del “salvataggio”dell’Irlanda. E Cori (Conference of Religious of Ireland, or-ganizzazione che coordina i religiosi dell’isola) sostiene inuna nota che si parla sempre di sviluppo europeo in ter-mini di processo volto a portare e mantenere la pace e lastabilità democratica, ma poco si parla dell’impegno eu-ropeo per la costruzione di uno stato sociale, che com-prenda risorse e possibilità per tutti.

Energie che se ne vannoLe recenti crisi, sostiene la nota di Cori, hanno reso an-cora più evidente la necessità di un modello sociale eu-ropeo per garantire sicurezza sociale. «Certo i costi sonoe saranno alti, ma lo saranno ancora di più se si lasciatutto invariato. E inoltre si tratta di una strada obbligata,se si vogliono garantire realmente uguali diritti sociali atutti i cittadini».

Un fenomeno da non sottovalutare, nell’Irlanda in gi-nocchio per la crisi finanziaria, è inoltre la fuga dei giovani,che lasciano il paese per motivi di studio o lavoro. I nu-meri parlano di una sorta di emigrazione di massa, comenon si vedeva da quasi trent’anni. Negli anni Ottanta l’ul-tima crisi economica aveva posto le basi perché quellasuccessiva divenisse la “generazione Ryanair”, che ha ap-profittato dei voli low cost della compagnia irlandese perandare in cerca di fortuna oltre il paese dei quadrifogli.Oggi a pensare di partire sono tanti studenti. «È anchequesta una forma di povertà, sia per gli studenti costrettia partire, sia per il paese che perde menti ed energie pre-ziose per il suo dinamismo e rilancio?». Riflessioni che ac-comunano oggi l’Irlanda a molti altri paesi europei.

di Sara Martini

PER SAPERNE DI PIÙhttp://www.socialjustice.ie/content/unjust-choices-rob-poor-protect-gamblers-damage-economy

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internazionalemobilità planetaria

L’argomento è stato oggetto di una conferenza inter-nazionale, intitolata “Il volto femminile della migrazione”,organizzata da Caritas Internationalis in Senegal, a iniziodicembre, alla presenza di più di cento delegati in rappre-sentanza di 52 paesi. Le loro testimonianze e i loro ragio-namenti hanno confermato che oggi si deve parlare – alplurale – di “volti femminili” della migrazione, fenomenomultidimensionale, che coinvolge aspetti sociali, econo-mici e giuridici, che pone rilevanti sfide. Si tratta, infatti,di proteggere le donne migranti, in quanto soggetti vul-

nerabili, ma anche di riconoscere il loro ruolo di protago-niste nella lotta alla povertà e nei processi di sviluppo.

Cause umanitariePer inquadrare la questione, è importante cercare di ri-spondere ad alcune domande chiave: perché le donne mi-grano? Quali difficoltà specifiche incontrano? Quali sono iruoli che assumono nei paesi di destinazione? Quale l’im-patto su loro stesse e su ciò che lasciano alle spalle?

Diverse sono le ragioni che spingono sempre più donnea una scelta radicale, che apre una nuova fase nella loro vita,non priva di problemi e difficoltà. Il ricongiungimento conaltri membri della famiglia, spesso mariti che hanno pre-cedentemente trovato un lavoro all’estero, era la principaleragione di migrazione in passato: oggi si assiste a una pro-gressiva autonomia nella scelta di migrare, alla ricerca diun’istruzione, di un lavoro e di una vita migliore.

Lo ha fatto Maria, originaria dell’Europa dell’est, di-ploma da infermiera, poche opportunità di lavoro nel suopaese, mezzi insufficienti per mantenere la famiglia edare una buona istruzione ai tre figli: ha deciso di emi-grare in Italia, lavorando dapprima come badante e poi,dopo il corso di lingua per superare le barriere della co-municazione e il riconoscimento del diploma, trovandouna buona occupazione e uno stipendio fisso. Una storiaa lieto fine, anche se la nostalgia della famigliaè difficile da sopportare.

Peggio, però, è andata ad altre donne. Khadja,eritrea, ha perso il marito nella carestia del 2009e incinta, dopo aver venduto le poche cose rima-ste, ha contattato qualcuno che potesse aiutarlanel suo progetto di emigrare in Italia, dove alcuniparenti lavoravano già: un viaggio lunghissimo,infernale, attraverso Sudan, Egitto, Libia, nellanotte, a piedi, esposta ad attacchi criminali; poi il battelloverso l’Italia, un’attraversata senza cibo né acqua potabile,l’arrivo in un centro di accoglienza in Sicilia per essere as-sistita nel parto. E Aisha, sudanese, una vita segnata dallamorte del marito durante il conflitto in Darfur, nessunascelta possibile, se non quella di emigrare in Ciad per fug-gire a violenze e miseria. Poi l’arrivo nel campo rifugiati:paure, sofferenze, fino al sostegno di alcune organizzazioniche hanno cercato di supportarla per aprire una piccola at-tività economica, dalla quale trarre di che vivere. E ancoraAnne-Marie, rifugiata in Congo durante il conflitto inRuanda, arriva in Belgio nel 1998: lontana dalla famiglia,una nuova cultura a cui adattarsi, un periodo iniziale moltodifficile, le difficoltà di conciliare il lavoro con la vita fami-

liare in un paese straniero, la naturalizzazione ma anche lasensazione di non partecipare veramente alla vita sociale,pur essendo portatrice di competenze e specifiche e altequalifiche: una donna che si sente un numero, in tasca undocumento del paese d’approdo, ma pur sempre straniera.

Gli esempi forniti da queste storie mostrano che lecause di migrazione sono spesso umanitarie: si fugge daun conflitto o da situazioni di estrema povertà, di instabi-lità economica e politica; e si cerca protezione da persecu-zioni e violenze, interne persino alle famiglie di origine.

A fronte delle condizioni politiche, sociali ed economi-che che innescano la scelta delle donne di migrare, soprat-tutto in Europa e negli Stati Uniti, c’è oggi una domandacrescente di manodopera e di lavoro in settori specifici, acominciare dall’assistenza domestica: tra le cause delle mi-grazioni, vi sono anche quelle “a valle”, relative all’attrazioneesercitata dalle opportunità di impiego nei paesi più ricchi.

Occuparsi di due famiglieIl percorso della migrazione, però, è tutt’altro che facile.Anzi, spesso è tortuoso. E nei lunghi viaggi dal paese diorigine a quello di destinazione tante donne finisconovittime di sfruttamento, o di abusi fisici e psicologici. Sil-via, originaria dell’Honduras, ha lasciato la famiglia e laterra natale per emigrare negli Stati Uniti, presso alcuni

parenti: senza documenti, con pochi mezzi disostentamento, ha attraversato Guatemala eMessico. Qui è stata rapita, e la sua famiglia èstata minacciata, per estorcerle denaro; pic-chiata e maltrattata, la giovane è rimasta nellemani dei rapitori per tre mesi e rilasciata soloquando questi hanno ottenuto una parte del ri-scatto. Silvia è tornata in Honduras, traumatiz-zata fisicamente e psicologicamente.

Ma anche le donne che raggiungono i paesi di destina-zione in sicurezza, il cammino non è facile: spesso hannopoche garanzie legali, un’insufficiente tutela sanitaria epossono risultare vittime di discriminazioni e di abusi daparte dei datori di lavoro. E poi ci sono le difficoltà econo-miche, le scarse garanzie dal mercato del lavoro, il ritrovarsiin una cultura completamente diversa… ne scaturisconotante storie di solitudine e isolamento, soprattutto didonne che lavorano come colf e badanti.

In quest’ultimo caso, chiara è la difficoltà del doppioruolo: da un lato si è donne migranti, che acquistano im-portanza e rispetto, per ciò che si fa, nei confronti della fa-miglia di origine; d’altro canto si è lavoratrici cui spesso nonvengono riconosciuti, dalla famiglia datrice di lavoro, il ri-

Sono ormai il 49% dei 200 milioni di migranti nel mondo.Seguono traiettorie complesse:

sempre meno ricongiungimenti,sempre più sfruttamento

uecento milioni: sono, oggi, i migranti nelmondo. Tra essi, circa la metà sono donne:spose, madri, lavoratrici, che sognano unavita migliore – per sé e le famiglie –, maspesso si trovano di fronte a realtà che dif-feriscono da progetti e speranze. La migra-zione femminile si consolida a livello

mondiale, coinvolge sempre più paesi di origine, tran-sito e destinazione, richiede di essere affrontata in basealle sue specificità.

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VIOLENZEE PREGIUDIZIFatna cucinain un campo persfollati a Kubum,nel Darfur.Pagina dopo:manifestazioneper i dirittidei migranti

DONNE CHE EMIGRANO,AUTONOME E VULNERABILIdi Moira Monacelli

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CLIMA “SREGOLATO”NON DISTURBATE IL DRAGONE

paesi ricchi per via della crisi, il climapeggiora per tutti, perché l’adatta-mento ai nuovi modelli di protezionedell’ambiente ha costi notevoli. A Co-penaghen un anno fa era stato decisoun pacchetto di finanziamenti di 100miliardi di dollari, che i ricchi si impe-gnavano a elargire ai più poveri per ri-mettere in sesto le loro emissioni. Mail Fondo è ancora vuoto. A Cancun èstato riproposto, anche se i calcoli di-cono che dovrebbe essere dotato didenaro pari a cinque volte tanto peravere qualche effetto.

Il vertice messicano ha prodottoun accordo di mediazione estrema:nessun taglio alle emissioni, ma unpercorso per introdurre tagli in futuro.Promesse e basta, per evitare che l’in-ciampo del clima possa disturbare laripresa economica globale. Il Fondoverde c’è, ma parte con le mani legate:non si tratta di soldi stanziati, ma solo“mobilizzati”, cioè chiusi a doppiomandato in una cassaforte control-

lata dai soliti attori economici, i quali hanno chiesto allaBanca mondiale di gestirli, nonostante le critiche pesantidei Paesi più poveri sulla condizioni poste dalla Bancamondiale e sui progetti che essa ha fin qui sostenuto, quasitutti bocciati riguardo al loro impatto ambientale.

I soli preoccupati del riscaldamento ambientale, chepotrebbe raggiungere la soglia pesantissima dei due gradi,siamo noi, che non ci avvediamo affatto dei rischi che cor-rono invece i paesi più vulnerabili in termini di disastri am-bientali, di aumento dei prezzi dei cereali di sussistenza, disiccità, di incremento delle migrazioni. Ecco perché unpatto vincolante sul clima è difficile, se non impossibile. Bi-sognerebbe metter mano all’economia-canaglia, che ormaiè spalmata sul mondo. E di cui anche Cina e India sono ma-novratori. Assolutamente da non disturbare.

L a Cina ha fatto saltare il banco. Ma nessuno lo ammette, per nondisturbare il “dragone” inquieto di per sé. È Pechino uno dei prin-cipali produttori di gas serra, la micidiale anidride carbonica, che

quest’anno nel mondo ha raggiunto picchi record (+3%), uno sprint chevanifica qualsiasi speranza, dopo il rallentamento dell’anno scorso. Ep-pure la Cina non va sul banco degli imputati, perché, se si calcolano procapite, le sue emissioni restano ancora basse. Sono i paradossi del si-stema e degli accordi che lo regolano. Ma è anche una capriola dellaglobalizzazione, che si invoca quandoserve e si nasconde quando comportariflessioni severe. Così l’ennesimovertice sul clima (a Cancun, in Mes-sico, a dicembre) è scivolato un’altravolta sulla realpolitik della differenza,praticamente incolmabile, tra obiet-tivi proposti e fatti quotidiani. La Cinaè responsabile del 24% della quotamondiale di CO2 emessa nel mondo.Si piazza al primo posto, seguita dagliStati Uniti con il 17%. Ma non sta sulbanco degli imputati, perché la quotava divisa per le teste dei cinesi. È untragico giochetto, che mette in crisi ogni percorso multila-terale sul clima, esattamente come era accaduto un annofa, allo sciagurato vertice di Copenaghen.

Poi c’è la crisi economica, che aveva fatto tirare unsospiro di sollievo: meno produzione, meno emissioni.Ma l’analisi era parziale e non teneva conto della com-plessità del sistema: a compensare le minori emissionidei paesi industrializzati in crisi di consumi ci hannopensato Cina e India con simmetrico aumento di Pil. E,di conseguenza, emissioni alle stelle.

Patto impossibileInsomma, la crisi economica non porta l’asticella più giù.È l’altro paradosso dell’economia globale: se mancano in-vestimenti verdi nei paesi in via di sviluppo da parte dei

contrappuntointernazionale

di Alberto Bobbio

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internazionalemobilità planetaria

Ennesimo vertice,a Cancun, concluso con

vaghe promesse. E con la“mobilizzazione” di fondi

in realtà chiusi in unacassaforte governata dai

soliti noti. La crisinon incrina le emissioni

nocive. Anche perchéCina e India…

spetto e i diritti dovuti. Un’anomalia sociale, ma anche uncontrasto interiore, che tante donne vivono spesso in modoproblematico e per cui avrebbero bisogno anche di sup-porti psicologici, oltre che di assistenza giuridica. Ancheperché settore domestico e assistenza familiare sono l’am-bito di lavoro in cui le donne sono più impegnate.

Queste donne, in definitiva, si occupano contempora-neamente di due famiglie. E in quella d’origine, cui vieneinviata la maggior parte dei guadagni, i problemi nonmancano. Alle spalle di una colf immigrata, infatti, ci sonospesso figli piccoli o adolescenti, che crescono in assenzadella figura materna: “orfani della mobilità”, che magarigodono di un tenore di vita più elevato dal punto di vistamateriale ed economico, ma pagano un alto costo in ter-mini psicologici, perché non beneficiano della protezionedi cui necessiterebbero e acquisiscono troppo in fretta re-sponsabilità da adulti, che alterano le loro relazioni infantilie adolescenziali e spesso li isolano dagli altri coetanei.

Infine, anche per l’emigrazione al femminile rimaneelevato, oltre che il tasso di irregolarità, anche quello di la-voro nero: molti mestieri risultano invisibili, le donne sonovittime di assunzioni illegali e di contratti a breve terminesenza garanzie, prive di tutela sanitaria e stato sociale, co-strette a lavorare per tante ore continuamente, senza ri-poso e con pochi giorni di ferie all’anno. E questi problemisi ripercuotono sull’integrazione nella comunità di acco-glienza, in cui per lungo tempo le donne finiscono per sen-tirsi sopportate, quando non discriminate.

Urge maggiore tutelaTutti questi problemi non vanno sottovalutati, né elusi. Manon bisogna dimenticare i numerosi, in tutto il mondo,esempi positivi di integrazione, che testimoniano il valoreaggiunto dell’immigrazione al femminile e l’importanzadell’intreccio di culture, storie, tradizioni, percorsi diversi,

che le donne riescono a tessere con grande pazienza, te-nacia, abilità. Dal fenomeno delle migrazioni femminilideriva dunque, in generale, la conferma che le migrazioni,quindi la mobilità, costituiscono oggi un elemento impor-tante dello sviluppo umano, ma anche l’ammonimento alavorare, sul piano culturale e politico, affinché tutti com-prendano che l’integrazione è un esercizio bilaterale, chespetta sia all’immigrato che alla comunità che lo accoglie.

Anche da questo punto di vista le donne, assai vulne-rabili, perché spesso soggette a discriminazioni e priva-zioni di diritti, quando non vittime del traffico di esseriumani (nuovo capitolo della schiavitù) dovrebbero esseremaggiormente tutelate a livello nazionale e internazionale,attraverso strumenti (anche giuridici) comuni e condivisi.Giovanni Paolo II, nella Lettera alle donne del 1995, hascritto che proprio alle donne deve essere restituito il pienorispetto della loro dignità e del loro ruolo: urge promuoverepolitiche e comportamenti che realizzino l’effettiva ugua-glianza dei diritti delle persone. Si tratta di un atto di giu-stizia, ma anche di una necessità ineludibile in un’epocain cui il ruolo sociale delle donne si va facendo sempre piùesposto, ma anche più cruciale per uno sviluppo equo,equilibrato, autenticamente sostenibile.

L’altra metà della mobilità

214 milioni i migranti nel mondo, il 49% sonodonne. Nel 1960 erano il 46,6%, nel 2000 il 48,8%.In Italia nel 1991 erano il 42%, nel 2004 il 48,4%

70-75% la quota di donne e minori tra i profughi e i rifugiati nel mondo (dato 2003)

80% la quota di donne (in maggioranza conmeno di 25 anni) tra le vittime di sfruttamento,abusi, traffico (tratta). Il fenomeno coinvolge tra 600 e 800 mila individui ogni anno

due terzi la quota di donne tra gli 875 milionidi adulti analfabeti nel mondo. I giovanianalfabeti sono invece 131 milioni; tra essi il 61% sono bambine e ragazze

57% il reddito da lavoro delle donne in proporzione a quello maschile nei paesiindustrializzati. In Europa centrale e orientale è il 59%, in America Latina e Caraibi il 40%, in Asia orientale e Pacifico il 62%, in Asiameridionale il 39%, in Medio Oriente e Africa del nord il 28%, in Africa sub-sahariana il 51%

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agenda territori

sportiva sistematica, che Caritas si staimpegnando a far diventare strutturaleall’interno dei percorsi di recupero dei detenuti: allenamenti, partite e torneidi calcio, con l’obiettivo di consolidareregole di convivenza e di rispetto trapersone recluse. Gli 80 detenuticoinvolti partecipano con costanza agliallenamenti settimanali; un torneo si ègià svolto l’anno scorso e altri impegniagonistici seguiranno nel 2011. Unruolo importante è ricoperto dagli agentidi polizia penitenziaria, che malgradoil problema del sovraffollamento e dellacarenza di personale garantisconoil necessario servizio di sorveglianza.

CONCORDIA-PORDENONESportello di consulenzaper famiglie alle presecon scelte economiche

Prendere una decisione economicaimportante. Scegliere se accendere unmutuo. Organizzarsi economicamentedopo un matrimonio. Arrivare a fine

mese, nonostante le tante richiestedei figli. Sono tante le situazioni delicatein cui una famiglia può ritrovarsi e chepossono porla in difficoltà, fino a metterein crisi il rapporto di coppia o a influirein modo negativo sull’educazione dei figli. Ma nella diocesi di Concordia-Pordenone da dicembre c’è unostrumento per coloro che hannobisogno di supporto: uno sportello di consulenza per famiglie poste di fronte a delicati problemi di gestioneeconomica. Lo sportello (aperto ognilunedì pomeriggio e sabato mattina) è nato dalla collaborazione tra NuoviVicini onlus (organizzazione promossadalla Caritas diocesana), Consultoriofamiliare Noncello (presso cui ha sede),Acli e Fism. Il servizio offre consulenzeeconomico-finanziarie riguardo allaconvenienza di intraprendere certeoperazioni economiche e attivitàdi orientamento familiare, per aiutarela coppia a definire i criteri sui qualibasare le proprie scelte importanti.

TRIESTEDonatori o volontari,il “pane quotidiano”chiama all’accoglienza

“Dona anche oggi il tuo panequotidiano”: con questo slogan laCaritas diocesana di Trieste ha lanciato,

in Avvento, unacampagna di raccoltafondi e promozionedel volontariato,individuando unservizio di assistenzae accoglienza, per ogni

zona della città (in totale una decina) e invitando le persone di quel territorio a supportarne le attività, sia tramitedonazioni sia dedicando tempo alservizio di volontariato. Per questi ultimi,a gennaio parte un corso di formazione.

COMO E BERGAMODormitorioemagazzino,aiuto ai senza dimorae ai centri per i poveri

C’è una nuova struttura d’accoglienzaper le persone senza dimora di Como. Il dormitorio cittadino permanente, situatonella Piccola Casa Federico Ozanam e allestito da comune e provincia, èstato inaugurato a dicembre. La Caritasdiocesana gestirà la struttura, grazieanche alla collaborazione di circa 80volontari: essa rimarrà aperta per tuttol’anno e ospiterà 45 persone (finoa 50 in casi di emergenza) in statodi difficoltà e grave marginalità. Il nuovodormitorio è un passo avanti notevolenelle politiche di accoglienza, ma laCaritas ha sottolineato che i problemidei senza tetto nel comasco sono soloparzialmente risolti.In un altro territorio pedemontanolombardo, Bergamo, la Caritasdiocesana ha attivato un magazzinoattrezzato (con cella frigorifera e altrispazi) per stoccare le derrate alimentari

raccolte dalle parrocchie e distribuirle a ben 70 enti che si occupano di poveriin diocesi. Il progetto “Tabga” (dal nomedel luogo sul Mare di Galilea dove,secondo la tradizione, avvenne ilmiracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci) è stato realizzato in unacascina della provincia.

TREVISOEducare col pallone,i detenuti si giocano“La rivincita”

Un po’ gioco, un po’ occasione di sfogo,un po’ metafora di come si puòguardare al futuro, nonostante lelimitazioni del presente. È sempre piùconsolidato, e arriva ormai a coinvolgere80 persone detenute, il progetto “Larivincita”, avviato nel 2010 nel carceredi Treviso dalla locale Caritas diocesana.Grazie alla disponibilità gratuita degliallenatori di una società calcistica del territorio, il Giorgione di CastelfrancoVeneto, è stata avviata un’attività

ottopermille

Centro diurno, autoaiuto, internet:le relazioni creano cittadinanza

di Marco Aliotta

La casa di Erba, dove a fine 2006 fu compiuta unastrage che provocò la morte di quattro persone, tra cuiun bambino, ospiterà (per sei mesi prorogabili di altrisei) una famiglia che attraversa un periodo di difficoltàabitativa. La casa, offerta in comodato gratuito da CarloCastagna (nella foto), marito, papà e nonno di tre dellevittime, sarà gestita dalla Caritas della cittadinalombarda, essendo entrata a far parte di una rete di “appartamenti sociali” (quattro monolocali per la primaemergenza, tre appartamenti per l’accoglienza in regimedi comunità e un appartamento per permanenze di medio periodo) che la Caritas Ambrosiana, insiemealle parrocchie e alle associazioni locali, gestisce

per offrire ospitalità a persone e famiglie in difficoltà, segnalate dai servizi sociali pubblici. Il progetto è stato realizzatocol sostegno di Fondazione Cariplo: il contributo è stato utilizzato in parte per arredare la casa, in parte per sostenere le spese di gestione per almeno un anno.Gli ospiti della casa potranno infatti contare anchesull’accompagnamento di un gruppo di volontari e di un educatore. Le chiavi dell’appartamento sono stateconsegnate il 14 dicembre, al momento dell’offertorio,durante la messa di suffragio svoltasi nella chiesa diErba, dallo stesso Castagna al prevosto della città e alresponsabile della Caritas della zona pastorale di Lecco.

Dopo aver rafforzato la rete di servizi parrocchiali di ascolto nella prima parte degli anni 2000, CaritasTrieste dal 2006 ha utilizzato l’opportunità dellaprogettazione otto per mille per ripensare i propriservizi di ascolto in un’ottica di accompagnamentosociale. La multidimensionalità del fenomeno,

evidenziata dalle analisi diocesane sulla povertà, ha ispirato un interventosociale multilivello, con forte connotazione relazionale. Si è pensatoanzitutto di rafforzare il Centro d’ascolto diocesano con operatori di accompagnamento sociale, ponte tra i servizi della Caritas diocesana e del territorio (pubblici, del privato sociale, delle parrocchie).

Una seconda azione è consistita nell’apertura del centro diurno “La Tenda”, affiancato al servizio “storico” della mensa Caritas.L’erogazione di un pasto è diventata veicolo per attivare reti di contrastodell’esclusione sociale e percorsi di presa in carico e fuoriuscita dal disagio. Nel centro diurno si sono sviluppate varie attività: corsi di italiano per stranieri e di alfabetizzazione informatica e di inglese, azioni di supporto nella ricerca lavorativa, laboratori artistici, cineforum...

Il passaggio successivo ha riguardato la promozione di gruppi di auto e mutuo aiuto, valido mezzo per implementare le capacità relazionali,attraverso un mutuo supporto tra i membri nella gestione della vitaquotidiana. L’attività è supervisionata da una consulente psicosociale, la quale offre anche percorsi individualizzati.

In rete nei Piani di zonaUn tassello importante del progetto è stato l’inserimento delle personeseguite (senza dimora, o segnate da varie forme di disagio ed esclusione)in attività di socializzazione all’interno di strutture diocesane o parrocchiali.Tali attività sono un primo passo, precedente all’inserimento in borselavoro di comune e provincia, e servono, prima che a testare le capacitàlavorative, a curare la dimensione relazionale di persone fragili.

Un ultimo intervento ha riguardato la comunicazione sociale, nellaconvinzione che non c’è accoglienza se non si creano i presupposti per una generale sensibilità e informazione sulla povertà e l’esclusione sociale. Un nuovo sito internet con un forte utilizzo di materiale multimediale e unanewsletter che arriva a circa 3 mila iscritti sono due dei risultati ottenuti.

Tutte le azioni proposte dal progetto, conclusosi a fine 2008, sonotuttora attive, essendo diventate parte integrante delle attività della Caritas.È un nodo importante del sistema di servizi messi in rete attraverso i Pianidi zona dei comuni di cui si compone la diocesi di Trieste.

MILANO

Erba, la casa che fu teatro della strageinserita in una rete di “alloggi sociali”

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agenda territori

Si terrà dal 6 al 11 febbraio 2011, a Dakar,in Senegal, nel decimo anniversario dalprimo raduno, il Forum sociale mondiale.Riunitosi per la prima volta dal 25 al 30gennaio 2001 a Porto Alegre in Brasile,come risposta al Forum economicomondiale di Davos, il Fsm è nato comespazio in cui movimenti e reti sociali, ong e organizzazioni della società civile di tutto il mondo potessero confrontarsi e avanzare proposte, di carattere culturale, ma anche politico ed economico-sociale, a partire dalla prospettiva che “un altro mondo è possibile”.

Il primo Forum fu organizzato dalle organizzazioni brasiliane della societàcivile; nel 2007 sbarcò per la prima volta in Africa, a Nairobi (nella foto).Molti soggetti ecclesiali hanno da sempre accettato la sfida (multiculturalee multireligiosa) del Forum, nella convinzione che i suoi contenuti potesserointeragire con la dottrina sociale e l’azione pastorale della Chiesa.

Responsabilità indirettaIl Forum sociale mondiale di Dakar si aprirà con una giornata dedicata alladiaspora africana; nei due giorni seguenti i partecipanti si confronterannoattraverso attività auto-organizzate; a conclusione del Forum, e con la volontàdi fare sintesi, due giorni di assemblee tematiche. Il Forum di Dakar metteràl’accento in particolare sulle resistenze e sulle iniziative dei popoli africanie cercherà di creare un’interfaccia tra le iniziative globali e le strategie di soggetti sociali operanti nel continente, e più in generale nel Sud del mondo. Tra gli assi tematici di riflessione, ne spiccheranno alcuni: l’uscita dalla crisi, la regolazione globale, la restrizione delle libertà, l’ascesadell’autoritarismo e della xenofobia, il posto dei paesi emergenti sulla scenainternazionale, il cambiamento climatico e le migrazioni.

Caritas Italiana, dopo aver partecipato al Fsm nel 2007 a Nairobi (Kenya)e nel 2009 a Belem (Brasile), sarà presente con una delegazione anche in Senegal. Lo stesso farà la rete Caritas Internationalis: nel Position Paperpreparato per l’occasione, essa ricorda che il Forum è anche uno spazio perla formazione di alleanze operative; in vista del Forum, inoltre, ha proposto ai membri della sua rete una riflessione sulle migrazioni forzate, in particolaresu quelle causate dai cambiamenti climatici. Caritas Italiana organizzeràinvece una tavola rotonda sul tema “La responsabilità indiretta. Nuove formedi partecipazione nella finanza, nell’economia e nella cultura, per la giustizia,lo sviluppo e l’alternativa”: l’appuntamento, in programma mercoledì9 febbraio, darà voce a testimoni italiani e di alcune Caritas africane.

unclimadigiustizia

Forum sociale mondiale a DakarCaritas presente da protagonista

di Anna Arcuribacheca

Terra Futura e i benicomuni: possibilità,non solo tragedia

L’appuntamento da segnare in agenda è dal 20 al 22 maggio 2011. L’ottavaedizione di “Terra Futura” promette di far lievitare ancora numeri e qualitàdella “mostra-convegno sulle buone pratiche di vita, di governo e d’impresa,verso un futuro equo e sostenibile”. Alla Fortezza da Basso di Firenze ci saràspazio per la rassegna espositiva di organizzazioni del non profit, impreseeticamente orientate, enti locali e istituzioni, affiancata da unaprogrammazione culturale sempre più ricca: facile prevedere che si andràoltre i 92 mila visitatori, le 600 aree espositive con 5 mila realtàrappresentate, i 280 appuntamenti culturali e più di 250 tra animazioni e laboratori dal 2010.

Unitarietà di destinoPrima di mettere a punto il calendario delle iniziative, però, i promotori di Terra Futura (sistema Banca Etica, Adescoop, regione Toscana, insieme ai partner Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Legambiente, Fiera delle utopieconcrete) hanno definito il documento programmatico, che ispirerà la riflessione, l’approfondimento e le azioni dell’edizione 2011. Il documentoPer un governo partecipato dei beni comuni articola un approfonditoragionamento, a partire dalla premessa secondo cui «i beni comuni sono al centro di un conflitto sull’idea stessa di sviluppo, di futuro del pianeta, che non può esaurirsi entro la dialettica fra proprietà pubblica e proprietàprivata. Essi richiedono piuttosto una profonda riflessione politica e culturale,una coerente e continuativa azione politica per la loro tutela, un consensodiffuso alla trasformazione della “tragedia” in “possibilità” dei beni comuni».

Il documento si riferisce anche ai «beni immateriali che, comele risorse naturali, sono decisivi per la qualità della vita e che hannoun valore in quanto di fruizione collettiva»: sono i «valori relazionaliche, quanto e più dei beni materiali, costituiscono la base della felicitàindividuale e collettiva delle comunità: equità sociale, lavoro, salute,pluralismo culturale, conoscenza, spazio pubblico per le religioni, laicità,riconoscimento dei diritti civili e sociali, democrazia».

Attorno ai beni comuni «scoppiano le contraddizioni del modello di sviluppo». Ma è altrettanto vero «che essi hanno offerto l’occasione a migliaia di comunità e realtà nel mondo e nel nostro paese perelaborare soluzioni a problemi, progetti di co-sviluppo, sistemi socialiaperti e responsabili, innovativi e sostenibili, democratici e partecipati»,che evidenziano «una unitarietà di destino della biosfera e dellasociosfera»: proprio su essi Terra Futura intende investire.INFO www.terrafutura.info

FORLÌ-BERTINOROAperto nel chiostroun centro diurno,primo di tre impegni

È stato inaugurato alla vigilia di Nataleil centro diurno voluto dalla diocesi di Forlì-Bertinoro, con il supporto del comune del capoluogo, nel chiostrodi San Mercuriale. Il centro è coordinatodalla Caritas diocesana; vi collaboranoaltri soggetti sociali, ecclesiali e istituzionali del territorio. Il centrodiurno, attivo sette giorni alla settimana(ore 9-12 e 14-18) offre un posto caldoe un punto di riferimento a personesenza dimora e a tutti coloro che sitrovano in situazioni di disagio abitativo.L’attività si integra con i servizi garantitidalle strutture del centro di ascoltodiocesano (accoglienza notturna,mensa, colazione, servizio guardaroba e doccia, ecc.); inoltre all’interno delchiostro, messo a disposizione dalladiocesi, sono organizzate attività dianimazione. L’apertura del centro diurnoconcretizza uno dei tre impegni assuntia inizio dicembre, nel corso di unatavola rotonda, dalla diocesi insiemecon le istituzioni civili e le organizzazionieconomiche, per fronteggiare le formedi povertà del territorio. Gli altri duesono il sostegno al Fondo di solidarietàper le famiglie e la rapida individuazionedi nuovi alloggi temporanei per soggettie famiglie in difficoltà.

ROMAL’Emporio raddoppia,la spesa è gratuitaper nuclei in difficoltà

L’Emporio raddoppia. Il supermercato di generi alimentari, promosso e gestitodalla Caritas diocesana di Roma, ha

la sua sede originaria, aperta un paio di anni fa, in via Casilina Vecchia. Ora,per rispondere ai bisogni di famiglie di un’altra parte di Roma, il progettoraddoppia. Una nuova sede è infattistata aperta in via Avolio 60, nella zonadi Spinaceto, Roma Sud. La nuovastruttura ha una superficie di circa 200metri quadrati: volontari garantirannol’apertura in alcuni giorni dellasettimana. All’interno ci sarà anche un centro di ascolto. E, ovviamente,tutto ciò di cui le famiglie (soprattuttoquelle con figli) possono avere bisognoper fare la spesa. L’Emporio Caritas è infatti concepito come un progetto disupporto al bilancio famigliare: i prodottialimentari sono raccolti nel territoriooppure offerti da aziende partnero ancora reperiti mediante raccoltealimentari nei supermercati; all’Emporioaccedono soggetti in situazione di disagio economico, selezionati dallaCaritas e dotati di una tessera per faregratuitamente la spesa da uno a seimesi, a seconda delle esigenze.

AMALFI-CAVA DE’ TIRRENIAuto mutuo aiuto,crisi e difficoltàsi affrontano insieme

La Caritas diocesana ha promosso la nascita di gruppi di auto mutuo aiuto,

in collaborazionecon una psicologa e psicoterapeutadel territorio.I gruppi sonoformati da persone

che condividono lo stesso problemao forme analoghe di disagio socialee personale e si sostengonoreciprocamente. Gli incontri,nell’esperienza di Amalfi-Cava, sonoinizialmente aperti a donne con un’etàcompresa fra 35 e 50 anni.

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villaggio globale

Due proposte dalla casa editrice Il Seminatore, cheopera soprattutto per tradurre in parole e immagini,con un linguaggio attuale, i testi religiosi e letterari, in modo da divulgarli presso un vasto pubblico, con particolare attenzione ai bambini e ai ragazzi. Un esempio di questa linea editoriale è il Vangelo dei Piccoli, un vangelo visto con gli occhi dei bambini.Questo fumetto intende presentare ai più piccoli la figura di Gesù, mettendo in rilievo alcuni suoimiracoli e i suoi insegnamenti fondamentali, e sottolineando in modo particolare la meraviglia e lo stupore che i fatti della sua vita suscitavano in coloro che ne erano spettatori e il fascino che la figura di Gesù esercitava su tutti, compresi i piccoli.Allo scopo sono state introdotte alcune figure di ragazzi che da lontano seguono gli avvenimenti.

Ma Il Seminatore non si rivolge solo ai più giovani.Tra le novità per gli adulti segnaliamo Cronache della Chiesa cattolica nel mondo 2010, un’opera che passa in rassegna gli eventi che nel 2010 hanno caratterizzato la vita della Chiesa, dai viaggi

di Benedetto XVI al lavoro della Cei sull’emergenza educativa (che ha portato alla stesura degli Orientamenti pastoraliper il decennio), dalle persecuzioninei confronti dei cristiani a fatti che hanno avuto meno risonanzatramite i media ma sono comunquesignificativi. La pubblicazione vuolestimolare la curiosità e l’interesse nei confronti di unaChiesa che è davvero una madre capace di riservareattenzione a tutti gli uomini, in qualunque situazioneessi si vengano a trovare. Le Cronache permettonoinoltre di rendersi conto della ricchezza delle iniziativepromosse dalla Chiesa e dai fedeli, che rischia di sfuggire anche quando si seguono quotidianamentestampa e tv e si naviga sul web. Due indici, uno per giorni e uno per argomenti, aiutano il lettore a ritrovare facilmente ciò che può interessare.INFO SULLE PUBBLICAZIONI DEL SEMINATORE

www.ilseminatore.com

Z OMO

VIDEOUn film documentail lavoro Caritas ad Haitiun anno dopo il sisma

Il lavoro di solidarietà si puòdocumentare, oltre che con numeri e parole, anche per immagini. E così,dodici mesi dopo il rovinoso terremotoche ha messo in ginocchio l’isola

caraibica,CaritasInternationalisha prodottoHaiti: buildingtogether

(Haiti, costruire insieme), documentariodi 15 minuti che ripercorre e illustra la risposta della confederazione Caritas

(che raccoglie 165 organizzazionicattoliche in tutto il mondo), per darerisposte d’urgenza e poi avviare la ricostruzione, a fianco delle comunitàlocali e della chiesa haitiane. Il filmpuò essere scaricato in alta risoluzionedal sito di Caritas Internationalis dai membri della rete Caritas.INFO www.caritas.org

LIBRILa casa di Igiaba,viaggio tra i ricordidi seconda generazione

Quando è scoppiata la guerra in Somalia, Igiaba non se n’è accorta.Aveva sedici anni, stava a Roma,

e quella sera sperava solo di baciare il ragazzo che le piaceva. Non sapevache per due anni non avrebbe piùavuto notizie di sua madre. Nonsapeva che la guerra si porta via tutto,anche l’anima. Igiaba è nata a Romaperché suo padre, ex ministro degliesteri somalo, ci veniva a “studiare la democrazia” negli anni Cinquanta. E dunque la scelse come destinazione,quando il colpo di stato di Siad Barrecostrinse lui e la famiglia all’esilio inun altro paese. Per questo Igiaba perlungo tempo ha sentito parlare dellasua terra solo attraverso le fiabe dellamadre e i racconti nostalgici deifratelli, che ricordavano i fasti passati– i viaggi in limousine, gli incontri conpolitici di primo piano, la stima della

Fumetti e cronache, con “Il Seminatore”nuovi linguaggi per temi e fatti religiosi

Era il 1971. Per volontà di papa Paolo VI nasceva CaritasItaliana, dando attuazione allo spirito di rinnovamentoavviato dal Concilio Vaticano II. Oggi, nell’anno del suo40° anniversario, Caritas Italiana, insieme al Centroeuropeo risorse umane di Firenze, pubblica il sestoaudiolibro della collana PhonoStorie per ricordare uno dei protagonisti della sua storia. L’opera, dal titolo Dove Dio è accampato, è dedicata infatti al pensiero e agli scritti di Luigi Di Liegro, sacerdote della diocesi di Roma, direttore e anima, per oltre vent’anni, della Caritas diocesana di Roma. L’audiolibro (il sestodella collana, dopo quelli dedicati a Chiara Lubich, Alcide De Gasperi, Madre Teresa di Calcutta, don PrimoMazzolari e Rosario Livatino) mette in risalto la fortefigura di don Luigi, ma soprattutto la sua battaglia controla povertà, l’emarginazione e l’indifferenza nel contestometropolitano. Narra la nascita, con lui, dei primi centri di ascolto, di ambulatori, ostelli, mense per i senza dimora,case di accoglienza. E illustra la sua appassionata lottaper sollecitare la comunità cristiana e civile, ma anche le istituzioni, a farsi carico della lotta alla povertà.

L’audiolibro è una fusione di arti diverse: letteratura,recitazione e musica. Di alto profilo la presenza, comevoci recitanti alcuni testi di e su Di Liegro, di attori qualiClaudia Koll, Fabrizio Bucci, Eleonora Mazzoni, IgnazioOliva, Mi Sook Kim, Arufu Kisyaba. Contributi in voceanche dal giornalista del Tg1 Piero Damosso, dal calciatore e capitano dell’Inter Javier Zanetti, dalcantautore Nek (presente con il suo brano Se non ami).Ma di grande prestigio sono soprattutto due interventiche arricchiscono l’opera, affidati al presidente dellarepubblica, Giorgio Napolitano, e al cardinale AgostinoVallini, vicario del papa per la diocesi di Roma.All’audiolibro, che costa 22,90 euro, sono collegati due progetti di solidarietà, finanziati anche attraverso le vendite: “Tutti a scuola”, proposto da Caritas Roma persviluppare i corsi di italiano per stranieri, e “Formazionee microimprese” della Fondazione Pupi. L’audiolibro vienepresentato pubblicamente lunedì 14 febbraio all’ostelloper senza dimora di via Marsala, a Roma (uno dei serviziavviati da don Di Liegro), nel primo anniversario della visita di papa Benedetto XVI allo stesso.

Z OMODon Luigi sta “Dove Dio è accampato”,

audiolibro per conoscere Di Liegro

gente. Lei della sua infanzia romanaricorda bene invece gli insulti deicompagni di classe per il colore dellapelle e le incursioni a Trastevere con la madre, nel cuore della notte, peravere un po’ di pasta e qualche vestitodalle associazioni del quartiere. Ora

è diventata la voce ironicae intensa della secondagenerazione di immigrati,sospesa tra il fascinoper le proprie radici e l’amore per la terrain cui è cresciuta.

Il suo nuovo libro, La mia casa è dovesono (Rizzoli, 2010), è il racconto di cosa significa portarsi dietro la casain un paese nuovo, delle difficoltà di essere accolta, accettata, amata.

dunque, per una compagnia particolare:il progetto Malkia è nato infatti nel 2005 all’interno del programma di recupero di ragazzi e ragazze di strada Children in Need, che Amrefconduce a Nairobi, capitale del Kenya,

grazie alla collaborazione con la registaLetizia Quintavalla e il Teatro delleBriciole Solares Fondazione delle Arti. Il progetto è stato il seguito del percorso artistico e formativo che ha portato al successo i ragazzidel Pinocchio nero di Marco Baliani

È un ritratto delle molte identitàdell’Italia odierna, che ancorafatichiamo a capire davvero. È la storiadi Igiaba: ma in fondo, parla di noi.

TEATROLe regine di Malkia,dalle strade di Nairobialle scene con Brecht

Dopo il debutto a Nairobi dell’agosto2007, a gennaio il Malkia Theatredell’ong Amref è tornato in Italia. Hafatto tappa al Teatro Leonardo da Vincidi Milano e al Teatro dell’Archivolto di Genova con un libero adattamentodel Cerchio di Gesso del Caucasodi Bertolt Brecht. Testo impegnativo,

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atupertu di Danilo Angelelli

Malavoglia, o dell’Italia disgregata dai consumiScimeca: «Il Sud prenda in mano il proprio futuro»

è capire che il futuro si costruisce con le proprie mani e che il lavoro non è più solo pane, ma soprattutto dignità.’Ntoni alla fine torna a fare il pescatore, lavoro che è anche una passione: il mare è il suo elemento naturale.

E il suo lavoro, il cinema, resiste ancora come forma d’arte nonostante le logiche del marketing?Il cinema ha perso la sua componente artistica. È diventato marketing, propaganda, mistificazione della realtà.Siamo in tanti a cercare di resistere. Non è facile, ma sono le cose difficili ad avere valore, perché ti migliorano.

«L’inverno del nostro scontento» è il tempo che stiamo vivendo. Soprattutto i ragazzi del Sud, «persi in questa immensa periferia urbana che è la nostraesistenza». Il regista siciliano Pasquale Scimeca (tra i precedenti lavori, PlacidoRizzotto) cita John Steinbeck e rilegge la contemporaneità di Giovanni Verga. Nel nuovo film Malavoglia, da febbraio nelle sale, fa cadere l’articolo plurale “i” dal titolo verghiano, trasforma uno dei personaggi in un immigrato nell’Italia di oggi e utilizza attori non professionisti. Per raccontarci come siamo diventati.

Attraverso il libro di Verga si può posare lo sguardo sul mondo attuale?Tutte le grandi opere della letteratura possiedono elementi che hanno a che fare

con l’animo degli uomini, quindi vanno oltre il tempo. Qui poi ci sono le vicende di unafamiglia, i Malavoglia appunto, che si disgrega. E noi oggi assistiamo a una disgregazionequasi naturale di questa istituzione. Non ci sono più le famiglie numerose, con reti parentalie comunità forti, che si facevano carico anche del dolore. Oggi la famiglia è composta da tre persone, vive isolata nelle grandi periferie urbane, con pochissime relazioni parentali.E se, come spesso accade, i coniugi si separano, è davvero una tragedia. La famiglia è il nucleo centrale della società, deve tornare a svolgere il ruolo che le spetta. Il romanzodi Verga per me è una chiave di lettura per capirla come uomo e descriverla come regista.

Nel film Malavoglia lei parla soprattutto dei ragazzi del Sud. Cosa dicono i giovanidella sua Sicilia?

Verga inserisce la storia in una Sicilia che esce da un governo borbonico e all’improvviso si trova dentro il nuovo Stato unitario. Questo cambiamentodeterminò una forte crisi nelle coscienze. Oggi nel Sud vedo una crisi ancora peggiore, a seguito del passaggio dalla civiltà contadina a quella dei consumi. Il film è girato a Portopalo, in Sicilia, la città più meridionaled’Europa, e ormai possiamo dire la più settentrionale d’Africa. I nativi si mischiano alle migliaia di giovani arrivati dall’Africa. Ognuno cerca di trovare soluzioni a seconda dei propri costumi, vivendo lo smarrimento

del presente e del futuro. Nel film i personaggi, come ’Ntoni e Alef, tunisino immigrato,vivono lo stesso senso di disperazione. Molto spesso i nostri ragazzi imparano dal sensodel dovere, dallo spirito di abnegazione dei loro coetanei immigrati, che lavorano dieci ore al giorno per pochi soldi, e subito dopo, stanchissimi, si ritrovano per le loro preghiere.Mi ricordano le prime comunità cristiane.

Nel romanzo solo quelli che si adattano possono salvarsi. E nel film?Il finale del film è diverso dall’epilogo dell’opera di Verga. Offre una soluzione: prendere in mano il proprio futuro, cercare di tornare a essere famiglia. Il senso di una famiglia

VERGAPARLA DI NOISopra, il registaPasquale Scimeca e la locandina delsuo film Malavoglia,da febbraio nelle saleitaliane. Sotto, i protagonisti del filmsulla costa siciliana

villaggio globale

L’“eresia” del Tolstoj maturo:nonviolenza, religione della felicitàe un’inestinguibile sete di veritàA un secolo dalla morte, chi è stato veramente Lev Nicolaevic Tolstoj?Sicuramente un grande romanziere russo (Guerra e Pace e Anna Kareninagli hanno dato fama internazionale). Ma è interessante soffermarsi sul Tolstojche alla soglia dei 50 anni si accorge che la vita non ha senso, lo aspettanosolo malattia, vecchiaia e morte (ampiamente descritta nella Confessione),viene preso dalla disperazione, arrivando persino a rinnegare tutti i suoiromanzi, e inizia un lungo percorso spirituale che lo accompagnerà fino alla morte. Diviene vegetariano, contrario alla caccia, abbandona le ricchezzee inizia a lavorare la terra.

È un periodo segnato da un’immensa produzione letteraria e saggistica,di argomento molto vario: condanna il consumismo, parla di pace, di difesadelle masse contadine e operaie dallo sfruttamento, di non violenza. E si schiera contro guerre e nazionalismi: Lev Tolstoj Scritti politici. Per la liberazione nonviolenta dei popoli (Sankara, pagine 128), è una raccoltache documenta questo versante del pensiero del grande letterato russo.

Il Tolstoj “maturo” ha affermato che solo una ricerca in sé stessi e una rilettura dei testi sacri permette un ricongiungimento con Dio. In questo periodo, forse “colpito” da una crisi mistica o profetica, si proponecome un “inviato” con uno speciale messaggio per l´umanità in pericolo: ne parla Anna Borgia Nel cuore di Tolstoj. Ricerca della verità nei diariintimi (Libreria Editrice Fiorentina, pagine 230), libro che va al cuore del cuore del romanziere, analizzando la ricerca e la lotta per la verità che lo ha occupato per tutta la vita e che ne indaga le riflessioni personali, nellaricerca spirituale che lo accompagnò per tutta la vita e che tradusse nei suoi

scritti. Sempre alla ricerca di quell’amore operante, di una religionepratica in grado di “dare agli uomini la felicità sulla terra”.

Infine Lev Tolstoj Perché la gente si droga? E altri saggi su società,politica, religione (Mondadori, pagine 544): altra raccolta di saggi,articoli, lettere aperte, appelli ai governi, all’umanità, che diffusero con grande clamore quella che potremmo chiamare “l’eresia tolstoiana”. Il grande scrittore attacca le maggiori confessioni religiose, il sistema di produzione capitalistico: tra il fastidio e l’aperta ostilità degli ambientiaccademici ortodossi, Tolstoj vuole la fondazione di un mondo nuovo, il regno del Dio-amore e dell’uomo autentico, mosso da un’inestinguibileesigenza di verità, ovvero ciò che occorre a ciascun individuo percomprendere il senso della propria vita e per viverla nel modo migliore.

paginealtrepagine di Francesco Dragonetti

e si presenta come un laboratorio di teatro-formazione, pensato per un gruppo di giovani donne nate e cresciute nelle baraccopoli di Nairobi.

SEGNALAZIONILa Luce del Papae la libertà religiosanegata a moltissimi

Benedetto XVI, Peter SeewaldLuce del mondo (LibreriaEditrice Vaticana 2010,pagine 284). Nei 18 capitoli

che compongono il libro intervista a tutto campo con il giornalista tedescoPeter Seewald (raggruppati in tre parti:“I segni dei tempi”, “Il pontificato”,“Verso dove andiamo”), il Papa rispondealle più scottanti questioni del mondo di oggi, da cui emerge un’immagine di Benedetto XVI inedita e innovativa.

Aiuto alla Chiesa che soffre(Acs) Libertà religiosa nelmondo. Rapporto 2010(pagine 558). La vicenda

di Asia Bibi in Pakistan è solo la puntadi un iceberg: miliardi di persone nelmondo vedono la loro libertà di religionenegata, limitata o interdetta. Sebbene a livelli diversi, a seconda delle situazionilocali, queste violazioni interessano il 70% della popolazione mondiale.

Massimo Franco C’era unavolta un Vaticano(Mondadori, pagine 178).Documentata ricostruzione

cronistica di fatti e processi che hannocaratterizzato, negli ultimi anni, il ruolodella Chiesa cattolica in Italia: mal’interesse del testo risiede soprattuttonella collocazione di quei dati nel contesto dei grandi mutamentigeopolitici internazionali avvenuti a cavallo dei due secoli.

La parola Malkia in lingua swahilisignifica “regina”: il teatro diventatoun’occasione, anche per le ragazze,per cambiare l’immagine di sé (fino

a tornare a scuola), per prendere la parola e acquisire consapevolezzadei propri diritti, ed essere rispettatedavvero come “regine”.

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febbraio 2011

La finestra sul cortiledella prossimità

dell’accoglienzadella solidarietà

Italia Caritas

Dal 1° ottobre 2010 per ricevere Italia Caritas è necessario sottoscrivere l’abbonamento annuale (10 numeri),per l’abituale importo di 15 euro, da versare esclusivamente• tramite bollettino di conto corrente sul nuovo c/c postale n. 4763223• o tramite bonifico bancario sul conto BancoPosta Iban n. IT 07 C 07601 03200 000004763223.I bollettini vanno intestati a Idos rivista Italia Caritas. L’abbonamento verrà attivato nel momento in cui verrà ricevuto il contributo.Per informazioni: Edizioni Idos, tel. 06.66.51.43.45 (int.1) [email protected]

Abbonamenti 2010-2011NUOVE MODALITÀ DI ABBONAMENTO

PARROCCHIE, CARITAS E UFFICI PASTORALI CONTINUERANNO A RICEVERE UNA COPIA DI IC A TITOLO GRATUITO, A SOSTEGNO DELLE LORO ATTIVITÀ DI INFORMAZIONE E ANIMAZIONE NEL TERRITORIO

UNANNOCON