EUCARISTIA IL PASTO E LA PAROLA Minicorso per catechisti ... · Eucaristia è un’apparizione...

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EUCARISTIA: IL PASTO E LA PAROLA Minicorso per catechisti Assunta Steccanella Incontro 2: “L’Eucaristia a partire dal Vangelo” 25/09/2012 Preghiera. *************** Excursus: Dobbiamo ricordare sempre che Cristo è realmente presente, durante l’azione eucaristica, non solo sotto le specie del pane e del vino, come di solito si crede; ricordiamo la formulazione di Sacrosantum Concilium 7 (che riporto per intero suggerendone la meditazione personale come preghiera del catechista), ripresa nel CCC (1372-1373) 1 : Per realizzare un'opera così grande (la nostra salvezza), Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, « offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20). Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado. Possiamo quindi affermare che sono cinque i modi attraverso i quali Cristo si rende presente nel sacrificio eucaristico: 1. Cristo è realmente presente soprattutto sotto le specie eucaristiche 2. Cristo è presente nella persona del ministro, che presiede l’Eucaristia 3. Cristo è presente con la sua virtù nel momento del Memoriale, come in tutti i sacramenti (anche quando uno battezza, è Cristo stesso che battezza) 4. Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura 5. Cristo è presente, infine, nell’assemblea dei fedeli che prega e loda, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20)” La sua presenza si compie però attraverso un linguaggio adatto all’umanità, ossia per mezzo di segni sensibili in modo che ciascuno di noi la possa cogliere e se ne possa sentire raggiunto. 1 Sacrosantum Concilium è il titolo della costituzione sulla sacra liturgia, che il Concilio Vaticano II ha promulgato il 4 dicembre 1963. CCC è abbreviazione di Catechismo della Chiesa Cattolica.

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EUCARISTIA: IL PASTO E LA PAROLA Minicorso per catechisti

Assunta Steccanella

Incontro 2: “L’Eucaristia a partire dal Vangelo” 25/09/2012

Preghiera.

***************

Excursus: Dobbiamo ricordare sempre che Cristo è realmente presente, durante l’azione

eucaristica, non solo sotto le specie del pane e del vino, come di solito si crede; ricordiamo la

formulazione di Sacrosantum Concilium 7 (che riporto per intero suggerendone la meditazione

personale come preghiera del catechista), ripresa nel CCC (1372-1373)1:

Per realizzare un'opera così grande (la nostra salvezza), Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, « offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20).

Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado.

Possiamo quindi affermare che sono cinque i modi attraverso i quali Cristo si rende presente nel

sacrificio eucaristico:

1. Cristo è realmente presente soprattutto sotto le specie eucaristiche

2. Cristo è presente nella persona del ministro, che presiede l’Eucaristia

3. Cristo è presente con la sua virtù nel momento del Memoriale, come in tutti i sacramenti

(anche quando uno battezza, è Cristo stesso che battezza)

4. Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la

Sacra Scrittura

5. Cristo è presente, infine, nell’assemblea dei fedeli che prega e loda, lui che ha promesso:

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20)”

La sua presenza si compie però attraverso un linguaggio adatto all’umanità, ossia per mezzo di

segni sensibili in modo che ciascuno di noi la possa cogliere e se ne possa sentire raggiunto.

1 Sacrosantum Concilium è il titolo della costituzione sulla sacra liturgia, che il Concilio Vaticano II ha promulgato il 4

dicembre 1963. CCC è abbreviazione di Catechismo della Chiesa Cattolica.

Primo momento: proiezione

(ai catechisti viene chiesto di prendere dalla tavola un pane, che potrà essere aperto e letto)

La volta scorsa l’incontro aveva preso le mosse da un momento di introspezione, di riflessione

personale da parte dei catechisti. In questo caso, invece, viene proposta una forma diversa, un

momento di condivisione. Le domande di apertura (che si trovano nei fogli consegnati) sono la

guida per un dialogo attraverso cui recuperare quanto visto insieme e chiarire dubbi e fatiche.

Secondo momento: Analisi

Premessa: non viene proposta un’esegesi dei brani; questo non è lo scopo del nostro percorso (per

inciso: l’11 aprile, in chiesa a Mottinello, ci sarà la lectio su Emmaus). Si tratterà solo di mettere in

evidenza gli elementi che ci aiutano a comprendere e condividere con i bambini il senso

dell’Eucaristia.

Il primo brano con cui ci confrontiamo è l’episodio dei discepoli di Emmaus, in cui troviamo

l’immagine più esplicita di ciò che abbiamo avvicinato attraverso il gesto proposto in apertura: la

presenza reale nel pane e nella parola.

Mosaici del duomo di Monreale

Lc 24,13-35

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette

miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.

Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i

loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state

facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli

disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi

giorni?".

Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta

potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi

lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che

fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono

accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non

avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali

affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano

detto le donne, ma lui non l'hanno visto". Ed egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere

alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella

sua gloria?". E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si

riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare

più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino".

Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo

spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro

vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con

noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?". E partirono senz'indugio e fecero ritorno a

Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano:

"Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone". Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo

la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Cosa troviamo qui? Impariamo mentre facciamo, quindi i catechisti vengono provocati a

raccontare ciò che vedono nelle immagini.

ll testo viene diviso in sequenze, secondo quanto proposto dalle immagini di Monreale.

1. Due discepoli sono in cammino. Per la verità scappano, da Gerusalemme, per quella stessa

paura che terrà i loro compagni nel cenacolo dopo l’Ascensione. Parlano di Gesù, e lo fanno

con tristezza. Sono disorientati, senza speranza (come Elia), non credono a chi annunciava

che Egli è vivo. Ed è perché non credono che sono incapaci di vedere/riconoscere Gesù che

si fa vicino. Lui però non li abbandona, anzi, cammina con loro (come siamo chiamati a fare

noi coi nostri ragazzi, senza scoraggiarci...). Nel cammino li ascolta, li interroga, spiega loro

le scritture (condivide il pane della parola). I discepoli sentono il desiderio di prolungare

l’incontro, per cui lo pregano di restare con loro.

2. Gesù accetta, e una volta a tavola, spezza il pane per loro, offrendosi ancora una volta. I

discepoli allora, e solo allora, lo riconoscono: i loro occhi si sono aperti nello spezzare del

pane eucaristico, in seguito all’ardore del cuore suscitato dalla condivisione della Parola.

3. Gesù sparisce dalla loro vista. Ma questa volta la sua mancanza a livello fisico si traduce in

una presenza a livello spirituale. Gesù Cristo mi viene incontro, nella fede lo posso

riconoscere, ma non posso possederlo, trattenerlo presso di me, perché l’incontro con Lui

è sempre un incontro PER: per testimoniarlo, per raccontarlo, per viverlo con gli altri.

4. Infatti nella quarta scena vediamo i discepoli che si cono convertiti (sono tornati indietro,

hanno fatto inversione ad U), e si recano a portare l’annuncio ai fratelli. Ma prima ancora

che essi riescano a parlare, i discepoli condividono la notizia della Risurrezione, che è da

sempre testimonianza di tutta la Chiesa.

Il vangelo racconta a noi e ai nostri ragazzi che per conoscere Cristo è necessaria un’esperienza

che passa attraverso due tappe:

• l’ascolto della Parola, spiegata in chiave cristiana, nel grembo della Chiesa

• lo spezzare del pane: l’Eucaristia

«Luca vuol dire a tutti i cristiani che verranno: “Voi che siete magari pieni di nostalgia di non aver

potuto conoscere il Cristo nella carne, ebbene il Cristo voi lo incontrate ogni domenica quando

celebrate l’Eucaristia. Quando voi ascoltate la liturgia della parola, il vostro cuore deve ardere

perchè è lui che proclama e spiega la parola; quando spezzate il pane è lui che incontrate”. Ogni

Eucaristia è un’apparizione pasquale. E l’apparizione pasquale non è un fenomeno

parapsicologico: è per eccellenza un’esperienza di fede, un incontro con il Cristo»2.

Noi quindi crediamo, e crediamo di poter incontrare Dio solo perché è lui che si offre a noi. Ora,

come avviene questo? Avviene a livello simbolico, che non significa “meno reale” (come spesso si

2 RAVASI G., Il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 2007, pp. 99-100.

crede…), anzi3. Dio si offre a noi attraverso una mediazione a tre livelli che costituisce la struttura

dell’identità cristiana.

1. la Parola (in origine colui che è la Parola, poi le scritture) – il dono di Dio;

2. i Sacramenti – il momento dell’accoglienza da parte dell’uomo;

3. l’etica – la nostra risposta, l’azione che segue all’incontro, il contro-dono.

� Il dono, come abbiamo visto, avviene in primo luogo attraverso la Parola, la Sacra Scrittura.

I racconti biblici sono ricchissimi di riferimenti al pane, al vino… da ciascun racconto emerge una

sfumatura particolare di un significato inesauribile, perché fatto di tanti aspetti che si intrecciano e

si richiamano. Questo, per i bambini e per le loro famiglie, è il livello primario, da privilegiare,

perché possano riappropriarsi di quei significati che sembrano essere avvolti oggi nelle nebbie

della dimenticanza. Ricordando che non si deve “spiegare” il simbolo riempiendo ancora una volta

i bambini di parole. Bisogna offrirlo, attraverso l’inesausta narrazione dei racconti fontali.

Nella logica della Salvezza

Ogni nostro operare catechistico va perciò inquadrato nella logica di incarnazione, attraverso la

quale Dio Padre ha voluto rivelarsi a noi. È infatti necessario riscoprire «l’umanità della nostra fede

e dell’esperienza sacramentale, e lasciar emergere la cristianità latente dai gesti più semplici,

come quello di prendere cibo o di rivolgere la parola»4.

La sua parola ci guida a comprendere il dono che egli continuamente ci fa, parola che ancora una

volta parla la lingua della nostra quotidianità. Spezziamo insieme il pane della parola, per essere

sempre più aperti a ricevere il Pane del cammino.

Lo facciamo lungo un percorso strutturato secondo le quattro dimensioni che ho evidenziato

nell’incontro precedente.

Importante: le sottolineature proposte sono ad esclusivo uso catechistico; con i bambini è

importante mettere in evidenza pochi elementi, per non creare confusione. Le altre dimensioni

presenti nei brani, ricchissimi, verranno poi scoperte insieme a loro, nel corso del tempo.

3 Il codice simbolico è un codice comunicativo interpersonale che racchiude più significati di quanto appare a prima

vista. Più ricco e articolato del segno, che invece è preciso, statico e chiaro, il simbolo è normalmente un elemento quotidiano, che viene caricato di un significato più grande, nobile e profondo di quello originario, pur rimanendo sulla stessa linea (es. l’acqua che purifica, che è vita…). L’attività di produrre simboli è tipica dell’intelligenza umana e coinvolge l’uomo più profondamente di quanto egli riesca ad esprimere a parole o con la pura razionalità. Il simbolo infatti è intuitivo, e soprattutto ha una forte efficacia unitiva e comunionale. (esempi: la rosa rossa, la fede nuziale…). Dirsi attraverso le cose e soprattutto dirsi all’altro, o dire insieme, sono gesti che fanno sentire profondamente l’appartenenza propria e altrui a una totalità cosmica, armoniosa e bella. Il simbolo è quindi una forma tipica del linguaggio religioso, perché capace di evocare sinteticamente la realtà grande e misteriosa del sacro. È interessante scoprire cosa significa al parola stessa: deriva dal greco sym-ballein (sym-insieme e ballein-portare). Nell’antica Grecia era in uso tagliare in due un anello, una moneta… e darne una parte ad un amico o a un messaggero. Le due metà, conservate dai discendenti di generazione in generazione, consentivano di riconoscersi anche a distanza di molto tempo, o di garantire la provenienza di un messaggio. Il contrario di simbolo è dia- ballein, da cui deriva la parola diavolo, colui che divide. 4 Cfr. LAFONT G., Eucaristia. Il pasto e la parola…, p. 17.

Il lavoro

Gv 2,1-12

Giotto, cappella degli Scrovegni

Tre giorni dopo, ci fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle

nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non

hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”.

Sua madre disse ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Vi erano là sei anfore di pietra per la

purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse

loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora

attingete e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono.

E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non

sapeva di dove venisse, ma lo sapevano i servi che avevano preso l’acqua - chiamò lo sposo e gli

disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello

meno buono; tu invece hai tenuto da parte il vino buono fino ad ora”.

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i

suoi discepoli credettero in lui.

Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là

rimasero pochi giorni.

Tre giorni dopo: il terzo giorno, giorno della trasformazione della morte in vita, il settimo giorno, il

giorno della FESTA (vedi l’inizio del Vangelo di Giovanni, con la scansione dei giorni in Gv 1,19-51 e

poi 2,1). In quel luogo c’è uno sposalizio: una doppia festa. Ed un momento speciale per compiere

il primo miracolo: un matrimonio…

In quel matrimonio c’è Gesù.

Il vino finisce. Nella festa non c’è più il vino frizzante della gioia. È la madre che se ne accorge…

Gesù le dice: “che cosa c’è tra me e te, donna?” che relazione c’è tra Gesù e la madre?

Lo vediamo dalla risposta di Maria: la relazione è di fiducia, o meglio di fede, di quel dinamismo

aperturale che struttura l’essere umano, l’apertura accogliente verso l’altro, che fa sì che Maria,

senza dubitare, si rivolga ai servi e dica loro: “fate quello che vi dirà”.

Sei sono le giare, servono per immergervi le mani e lavarsi con l’acqua, cioè purificarsi prima di

mettersi a tavola. In quel momento sono vuote: sono state utilizzate dagli ospiti per la

purificazione prima del pasto…

Gesù chiede di riempirle. Non c’è il rubinetto, è un lavoro che chiede di andare al pozzo, prendere

un secchio di acqua, versarlo nella giara, ritornare al pozzo…

Gesù “dice”. È la sua parola che è efficace (non sono gesti magici), come al momento della

creazione, quando Dio disse: sia la luce… è un atto creativo che viene compiuto qui.

L’acqua del lavoro di sei giorni, nel settimo giorno, nel giorno della festa, l’acqua del nostro

lavoro viene trasformata nel vino della gioia, trasfigurata per renderci felici. È il senso della festa.

È il senso dell’Eucaristia, culmen et fons della vita cristiana, nella quale portiamo tutti noi stessi

all’altare perché il Signore trasformi la nostra vita secondo la sua logica. E per darcene la forza,

nella festa il Signore ci dona se stesso, la sua carne e il suo sangue, pane e vino trasformati dalla

sua parola, perché nutrendoci di lui possiamo essere ricolmi di lui e del suo amore.

Il cibo

Gv 6,1-13

Icona moderna, opera della scuola della Glikophilousa (S. Maria di Crochi)

Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e una grande

folla lo seguiva, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose

a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzati gli

occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove potremo comprare il pane

perché costoro abbiano da mangiare?”. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva

quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti

neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea,

fratello di Simon Pietro: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è

questo per tanta gente?”. Rispose Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si

misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver

reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E

quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada

perduto”. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a

coloro che avevano mangiato.

Questo brano di Giovanni introduce il lungo discorso di Gesù sul pane di vita.

Proviamo a scoprire insieme il dinamismo di questo brano: che movimenti abbiamo?

- una folla va da Gesù. Va dove è lui. Ha visto, ha sentito, sa che c’è qualcosa di speciale, lì.

Va. È un’assemblea grande, ancora anonima, che si pone in atteggiamento di ricerca e si

muove dalla sua situazione “feriale” in cerca di qualcosa di diverso…

- lo hanno ascoltato. Lo hanno veduto. Gesù parla e per il momento le loro esigenze

quotidiane restano come sospese…

- Egli li vede. Si preoccupa per loro. Ma dialoga con i discepoli, non agisce e basta… non gli

sarebbe bastato far calare dall’alto il pane per tutti? Decide di aver bisogno di noi…

- i discepoli si sforzano, ma ancora a livello umano, troppo umano…

- l’unico veramente grande è il ragazzino. Come sanno che ha i pani, e i pesci? Si è

avvicinato, li ha offerti “è poco quello che ho, ma quello che ho te lo dono, nella fede che

tu me lo renderai trasformato…”: che offertorio meraviglioso.

- ed è quello che Gesù fa. Trasforma il povero frutto del nostro lavoro in cibo per la vita che

non muore, per la vita eterna che è già qui, ora, non una attesa incerta e lontana (Gv 6,54).

- C’erano circa cinquemila uomini… il ragazzo non è considerato, eppure è lui che diviene il

centro, lui che con il suo piccolo dono risponde ai problemi di tutti.

È una messa: veniamo da lontano, in uno spazio sacro separato dalle nostre incombenze

quotidiane. Ci veniamo perché sappiamo che lì c’è qualcuno di speciale, e siamo accomunati dal

lavoro, dalla fatica, dai bisogni. Lo ascoltiamo. E la sua parola ci spinge a porre nelle sue mani il

frutto del nostro lavoro, non perché lui se lo tenga, ma perché ce lo renda trasformato dal suo

amore, trasformato in se stesso, così da essere cibo per ciascuno di noi, così che ciascuno se ne

possa nutrire, si possa nutrire della sua capacità di amare e inizi, qui, adesso, a vivere la vita piena,

una vita piena di amore da dare, perché prima l’amore ci è stato donato, ci si è donato…..

Le relazioni

Gv 13,1-15

Giotto, cappella degli Scrovegni

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo

al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano,

quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù

sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,si

alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò

dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di

cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”.

Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Gli disse Simon

Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”.

Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Soggiunse Gesù:

“Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi,

ma non tutti”. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “Non tutti siete mondi”. Quando

dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi

ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore

e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato

infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.

Osservazioni:

1. Gesù si spoglia. Non conserva il suo ruolo di maestro, ma si cinge del ruolo di servizio. Dovete

sapere che allo schiavo di origine ebraica non veniva chiesto di lavare i piedi al padrone, né di

mettergli i calzari, perché la cosa veniva ritenuta troppo umiliante. Gesù si pone al livello più

basso della scala sociale. Quindi è nelle condizioni di chi non ha nulla da dare se non appunto

il proprio servizio.

2. Gesù si pone al di sotto del livello del discepolo seduto. Non si pone al di sopra ma si china e

guarda negli occhi l’altro non dall’alto anzi, dal basso. È come se ci dicesse di essere

pienamente immerso nella vita terrena, di ogni giorno.

Cosa possiamo dedurne per il nostro oggi? Intanto un atteggiamento. Pare scontato dire che si

tratta di atteggiamento di servizio, io però voglio farvi notare meglio una cosa: la posizione in cui è

Gesù. E’ accovacciato, ai piedi del discepolo, e lo guarda negli occhi. Proviamo ad applicarlo a noi.

Quando abbiamo un bambino piccolo a cui far capire per bene una cosa, che facciamo? Ci

mettiamo sul suo stesso piano, ci facciamo piccoli, ci abbassiamo… Testimoni di Cristo abbiamo

detto, di questo Cristo, che ce lo ha detto chiaro in un’altra pagina: se non diventerete come

bambini (Mt 18,3)… si tratta di un “farsi” piccoli, non di uno smettere di crescere. Si tratta di

rinunciare alle nostre presunte superiorità, all’atteggiamento di chi deve solo dare, insegnare, per

accogliere la nostra infinita necessità di imparare, di comunicare, di aprirci al Signore e all’altro.

Cosa molto semplice quando l’altro ci piace, è buono o arrendevole o simpatico o quando il

Vangelo ci accarezza nella nostra affettività. Ma se l’altro mi disturba? Se la Parola mi mette in

discussione? Cosa faccio, pretendo che l’altro cambi e mi lamento (dei ragazzi, dei genitori, del

parroco…)? O penso a che cosa IO sono chiamato a fare?

3. I personaggi sono tanti, e ci propongono atteggiamenti diversi: c’è chi si sta togliendo i calzari,

chi va verso Gesù portando l’acqua… Gesù “resta”. Non scappa, non ordina, non reagisce che

chiedendo ai fratelli di farsi vicini tra loro. Accoglie i diversi atteggiamenti con naturalezza.

4. Ma proviamo a guardare ancora l’immagine. Quanti sono gli Apostoli a cui Gesù lava i piedi?

Sono 12, anche se vediamo chiaramente solo 11 volti. Il dodicesimo è quasi elemento

imbarazzante per lo stesso Giotto, che si limita a raffigurarne l’aureola in secondo piano.

Sappiamo bene chi è: si tratta di Giuda, il traditore. Se riflettiamo ci accorgiamo che

l’imbarazzo di Giotto è spesso anche il nostro. (racconta lavanda dei piedi in parrocchia con 11

chierichetti…)

Quanti di noi, di fronte ad un ragazzo difficile, o molto difficile, non sono sbottati dicendo:

“dobbiamo fare qualcosa, il parroco deve prendere una decisione, per colpa di quello non seguono

neppure quelli che sarebbero interessati….” La tentazione è spesso quella di allontanarlo, e se non

succede l’atteggiamento è scostante, di rifiuto, di critica a lui e alla famiglia che lo ha educato.

E quanti di noi sfuggono alla relazione con i genitori, perché è difficile, perché può mettere in

discussione? O quante volte ci siamo avvicinati solo ai genitori dei ragazzini più difficili unicamente

per riempirli di lamentele, dicendo che devono dire al figlio di… accumulando sulle spalle dei

bambini e delle famiglie solo ulteriori frustrazioni?

Gesù non fa così. Sa benissimo chi è il più debole dei suoi, ma si pone ai suoi piedi, perché “Se

dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli

altri”. Non chiede riconoscenza per sé, non dice “lavateMI” ma chiede che il suo servizio trabocchi

in servizio all’altro, chiunque e comunque sia… in atteggiamento di fede nell’altro, perché è il

Signore per primo che ha fede nell’uomo. A questo genere di relazioni educa l’Eucaristia.

La morte

1Cor 11,23-26

J. Huguet (1470 ca.)

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella

notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il

mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese

anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta

che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di

questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.

Questo racconto della Cena è il più antico che abbiamo, più antico anche dei Vangeli, scritto da

Paolo intorno al 54 d. C.. In questo passo, che tutti conosciamo per il fatto che viene proclamato

nel Memoriale, «noi ci rivolgiamo immediatamente a Dio, riprendendo un racconto antico quanto

lo stesso cristianesimo, che è stato sempre ripetuto lungo le generazioni cristiane sul fondamento

della testimonianza apostolica. Esso è capace di restituirci l’evento che, nello Spirito che ci ispira,

noi consideriamo come fondante»5.

L’evento è il dono di sé, la morte per amore di Cristo, la morte che ci salva, la morte che ci dice che

non tutto finisce con la morte. Il dono avviene attraverso il pane e il vino, il corpo e il sangue: dice

ancora Paolo, nella lettera ai Romani (6,5) “Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una

morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua Risurrezione”. Paolo parla del Battesimo, ma

questo segna tutta la logica dei Sacramenti, e avviene nell’Eucaristia in modo speciale: si realizza il

nostro con-morire in Cristo, per poter con-risorgere con Lui. E questa dinamica di salvezza non è

riservata all’eternità, ma contagia il nostro presente, donandoci la capacità di morire al nostro

egoismo per vivere nel segno del dono di noi stessi.

5 Cfr. LAFONT G., Eucaristia. Il pasto e la parola…, p. 111.

Sottolineo che nessuna riflessione teorica sulla morte e risurrezione di Gesù Cristo può

raggiungere la pieneza di realtà e di senso che questi avvenimenti raggiungono quando vengono

commemorati nell’Eucaristia. È qualcosa di unico, speciale, vitale, grazie all’azione dello Spirito che

opera concretamente e grazie all’azione di noi in quanto Chiesa che accogliamo questo evento

nella nostra vita. A messa un racconto teorico diventa azione, diventa relazione, diventa voce e

pane e cammino e preghiera. Diventa vivo.

Terzo momento: riespressione