La favola del Grillo parlante - BookSprint Edizioni...la favola di Perrault: Pollicino....

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La favola del Grillo parlante

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Il parere espresso è soggettivo dell’autore e in nessun modo vuole oltraggiare il sentire comune morale. Immagini dell’autore.

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Antonio Baudino

LA FAVOLA DEL GRILLO PARLANTE

Racconto

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Questa favoletta la dedico a tutti voi bambini, in particolare ad Antonio e Caterina.

La suggerisco pure agli adulti, con un cuore grande ma ancora bambino, che credono sia ancora possibile modificare l’animo folle,

squilibrato, irragionevole, svanito, bizzaro, scriteriato, fanatico, opportunista, ipocrita, voltagabbana

di coloro che governano il mondo.

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Prologo

Il mio rapporto con le favole risale alla prima infanzia, ai raccon-ti dei fratelli Grimm che mamma ci leggeva prima della “buona notte”. In prima elementare avevamo come insegnante un giova-ne “novizio” in attesa della consacrazione sacerdotale. Alcuni minuti prima della fine delle lezioni ci leggeva una paginetta del-la favola di Perrault: Pollicino.

Nell’estate del 1939, non avevo ancora otto anni, abitavo con mamma, papà e i miei tre fratelli in una tranquilla città di pro-vincia. Ai lati della via si allineavano una serie di modeste villet-te, ognuna con il suo piccolo giardino. Un giorno, mentre stavo importunando il nostro vecchio gatto, la mia attenzione fu attrat-ta da sibili e strani rumori provenienti dalla strada. La folta siepe di ligustro m’impediva di vedere quanto stava accadendo. Uscito sul marciapiede notai una schiera di operai intenti a smontare le recinzioni in ferro di tutte le villette. Stupito e preoccupato mi precipitai in casa urlando: «Mamma! Ci stanno rubando le can-cellate…»

Mamma, come tutti gli abitanti della città, era stata preventi-vamente informata delle decisioni prese dal Governo. Al mio ru-moroso e improvviso apparire mi accolse con un mesto sorriso e, cercando di calmarmi, mi spiegò: «Non ti preoccupare… è un ordine inviato a tutti i cittadini. Dobbiamo contribuire alla rac-colta di ferro e metalli vari per collaborare, in caso di necessità, alla difesa della Patria…»

«Scusa mamma, a cosa servono le cancellate?» «Sono di ferro… e con il ferro si costruiscono armi, cannoni,

bombe… L’Italia non ha miniere di ferro, di carbone… e in caso di guerra…»

Era preoccupata. Rispondeva a voce bassa, con fatica. Le sue parole mi richiamarono alla mente le canzonette fasciste che do-vevamo imparare a scuola: Giovinezza, Salve o popolo d’eroi, Fi-schia il sasso… Quest’ultima esaltava il ragazzo di Portoria, “quell’intrepido balilla fu gigante nella storia”. Era il giovinetto

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che nel 1746, a Genova, si trovò di fronte le truppe d’occupazione austro-piemontesi. I soldati volevano obbligare i cittadini del quartiere Portoria a rimuovere un cannone sprofondato nel fan-go. Il balilla (ragazzo nel gergo ligure) afferrò un sasso e lo sca-gliò contro i soldati. Fu l’inizio della rivolta… Collegare il sasso alle cancellate fu cosa immediata…

«Mamma» le domandai «se facciamo la guerra… una volta fi-nite le cancellate cosa facciamo… tiriamo i sassi?»

L’anno seguente la guerra scoppiò! I libri delle favole furono confinati in soffitta e noi bambini diventammo improvvisamente adulti. Il silenzio e l’approvazione del re all’entrata in guerra, il discorso di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia… misero un sigillo alla nostra adolescenza. Ci risvegliammo increduli, do-po cinque anni d’incubo, in un mondo nuovo, diverso, pieno d’aspettative. Le persone adulte, anche quelle compromesse con il passato regime, affermavano che il popolo, dopo secoli d’oppressione, aveva raggiunto la libertà di decidere e governare. Anche la retorica su Garibaldi, Cavour, Casa Savoia e la Grande Guerra, ultima Guerra d’Indipendenza, finì nella polvere per la-sciar posto alle diatribe sui meriti della resistenza bianca o rossa.

Noi giovani, minori di ventuno anni, non avevamo voce in ca-pitolo. La maggioranza di chi poteva decidere era occupata dai soliti profittatori, quelli di prima della guerra, eletti da sprovve-duti elettori. Alcuni erano ansiosi d’approfittare dell’insperata li-bertà, nell’accezione più ampia della parola, mentre la maggior parte dei cittadini non era in grado di capirne il valore, o l’eventuale strumentalizzazione. Fu una libertà affidata a una democrazia improvvisata, sconosciuta, contesa da interessi con-trapposti.

La guerra mi aveva mantenuto in forma: a quattordici anni ero alto un metro e settanta e pesavo quarantasette chili. Non ero anoressico… affamato sì! Nel 1946 partecipai, con una quaranti-na di ragazzi, a un campeggio scout a Pieve Tesino, dalle parti di Cima d’Asta, nel Trentino. Dopo cinque anni di guerra e di priva-zioni fu un’esperienza esaltante, indimenticabile.

L’organizzazione, il mezzo di trasporto, sacchi di farina, scato-lame e rifornimenti vari furono messi a disposizione da un per-sonaggio indimenticabile: Tullio Dal Ferro. Tullio era un appas-sionato escursionista, amava la natura e la montagna. Poche pa-role, precise e al momento giusto, erano più che sufficienti per dirimere qualunque discussione e regolare la vita di quaranta ra-

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gazzi, dalla sveglia del mattino al grande falò serale. Un grande organizzatore, comunicatore più con l’esempio che con la parola.

Un vecchio camion con rimorchio ci trasportò sul posto cari-candoci sul cassone assieme al vettovagliamento e alle attrezza-ture recuperate nei “campi ARAR” (dov’erano ammassati: vestia-rio, scarponi, zaini, sacchi a pelo, tende militari). Giunti a desti-nazione dovemmo trasportare l’equipaggiamento sul posto asse-gnatoci per il campeggio. Mi caricai sulle spalle uno zaino mili-tare… pieno di libri. Un peso insopportabile per la mia gracile costituzione. Quando arrivammo alla meta, un ampio prato che confinava con il torrente Grigno, nel tentativo di liberarmi dal pesantissimo zaino, caddi all’indietro. Le sue cinghie mi avevano indolenzito le braccia a tal punto da non poterle muovere. Nella caduta fuoruscirono dallo zaino alcuni libri e tra questi facevano bella mostra Le Avventure di Pinocchio del Collodi. Per due giorni dovetti rimanere a riposo. Seduto sotto un larice, appoggiato a una catasta di tronchi di pini e abeti che emanavano un profumo inebriante di legno e resina, mi abbandonai alla lettura del capo-lavoro del Collodi. Durante la notte sognai Geppetto...

Abitava in una strana casa, un grande fungo, e il suo laborato-rio di falegname emanava un intenso profumo di resina e pino mugo.

Oggi i bambini non leggono e non ascoltano più le favole. Hanno mille diavolerie elettroniche che li attraggono, liberando i genitori dal faticoso impegno di allevarli e prepararli alla vita. La scomparsa della famiglia sta segnando la fine della società. Do-vremmo tornare a una vita più lenta e meno caotica, alla condi-visione, all’amicizia, alla solidarietà, alla semplicità, alla fami-glia, agli insegnamenti delle favole…

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