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57 La fauna ad invertebrati BRUNO MAIOLINI · VALERIA LENCIONI Per definizione, gli invertebrati bentonici sono i piccoli animali che vivono, al- meno in una fase della loro vita, a contatto con il substrato. Quelli di maggiori dimensioni (che superano cioè il millimetro di lunghezza) prendono il nome di “macroinvertebrati”: tra questi, gli insetti rappresentano sicuramente la compo- nente più importante. Nei torrenti montani prevalgono gli ordini dei ditteri, efe- merotteri, plecotteri e tricotteri. Gli invertebrati dei torrenti montani si trovano a dover affrontare e superare nel corso della loro vita due principali ostacoli, la velocità della corrente ed il fred- do, che, in condizioni estreme, possono divenire proibitivi per la vita. Questi ostacoli vengono superati grazie a straordinari adattamenti. Per quanto riguarda la corrente, si va dall’appiattimento dorso-ventrale del cor- po (come negli efemerotteri eptageniidi) alle potenti ventose dei ditteri blefari- ceridi, alle corone di uncini dei ditteri simuliidi. La corrente non è però solo qual- cosa contro cui lottare, ma rappresenta anche un continuo flusso di cibo da monte verso valle ed è un ottimo mezzo di dispersione. Ben più problematico è stato invece sviluppare, nel corso dell’evoluzione, una serie di adattamenti per resistere al freddo. La temperatura è infatti considerata da molti autori come il fattore che più influenza l’ecologia, la distribuzione e l’e- voluzione degli invertebrati sia acquatici che terrestri (deposizione e schiusa delle uova, tasso di crescita, accoppiamento, strategia riproduttiva, modelli di at- tività, regime alimentare, ecc.). Gli invertebrati che vivono ad elevate latitudini ed altitudini hanno adottato varie strategie per superare il lungo e rigido inverno. La presenza della copertura nevosa e/o di ghiaccio, la siccità, il forte vento, le rigi- de temperature e la scarsità di cibo sono i nemici più temibili. Gli invertebrati che vivono nei torrenti possono sfruttare la corrente per trasferirsi più a valle e quin- di sfuggire al pericolo di congelamento o essiccamento, oppure trovare rifugio nelle acque sotterranee. Ma numerosi sono i casi in cui questi organismi supe- rano l’inverno senza spostarsi: la capacità di questi invertebrati, in particolare degli insetti, di sopravvivere in ambienti così severi deriva da una serie di adat- tamenti fisiologici, biochimici, morfologici, comportamentali ed ecologici: pos- siamo ricordare la produzione di melanina, la riduzione delle dimensioni, lo svi- luppo di fitta peluria, la nutrizione e l’accoppiamento a terra anziché in volo (a cui si associa la riduzione o scomparsa delle ali), la costruzione di bozzoli, la quiescenza, la diapausa e la resistenza al freddo. Ninfa di plecottero

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57La fauna ad invertebratiBRUNO MAIOLINI · VALERIA LENCIONI

Per definizione, gli invertebrati bentonici sono i piccoli animali che vivono, al-meno in una fase della loro vita, a contatto con il substrato. Quelli di maggioridimensioni (che superano cioè il millimetro di lunghezza) prendono il nome di“macroinvertebrati”: tra questi, gli insetti rappresentano sicuramente la compo-nente più importante. Nei torrenti montani prevalgono gli ordini dei ditteri, efe-merotteri, plecotteri e tricotteri.Gli invertebrati dei torrenti montani si trovano a dover affrontare e superare nelcorso della loro vita due principali ostacoli, la velocità della corrente ed il fred-do, che, in condizioni estreme, possono divenire proibitivi per la vita. Questiostacoli vengono superati grazie a straordinari adattamenti.Per quanto riguarda la corrente, si va dall’appiattimento dorso-ventrale del cor-po (come negli efemerotteri eptageniidi) alle potenti ventose dei ditteri blefari-ceridi, alle corone di uncini dei ditteri simuliidi. La corrente non è però solo qual-cosa contro cui lottare, ma rappresenta anche un continuo flusso di cibo damonte verso valle ed è un ottimo mezzo di dispersione.Ben più problematico è stato invece sviluppare, nel corso dell’evoluzione, unaserie di adattamenti per resistere al freddo. La temperatura è infatti consideratada molti autori come il fattore che più influenza l’ecologia, la distribuzione e l’e-voluzione degli invertebrati sia acquatici che terrestri (deposizione e schiusadelle uova, tasso di crescita, accoppiamento, strategia riproduttiva, modelli di at-tività, regime alimentare, ecc.). Gli invertebrati che vivono ad elevate latitudini edaltitudini hanno adottato varie strategie per superare il lungo e rigido inverno. Lapresenza della copertura nevosa e/o di ghiaccio, la siccità, il forte vento, le rigi-de temperature e la scarsità di cibo sono i nemici più temibili. Gli invertebrati chevivono nei torrenti possono sfruttare la corrente per trasferirsi più a valle e quin-di sfuggire al pericolo di congelamento o essiccamento, oppure trovare rifugionelle acque sotterranee. Ma numerosi sono i casi in cui questi organismi supe-rano l’inverno senza spostarsi: la capacità di questi invertebrati, in particolaredegli insetti, di sopravvivere in ambienti così severi deriva da una serie di adat-tamenti fisiologici, biochimici, morfologici, comportamentali ed ecologici: pos-siamo ricordare la produzione di melanina, la riduzione delle dimensioni, lo svi-luppo di fitta peluria, la nutrizione e l’accoppiamento a terra anziché in volo (acui si associa la riduzione o scomparsa delle ali), la costruzione di bozzoli, laquiescenza, la diapausa e la resistenza al freddo.

Ninfa di plecottero

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La quiescenza è una risposta diretta e temporanea a condizioni sfavorevoli cheviene sospesa non appena si ha il ripristino della situazione favorevole, mentrela diapausa è una risposta diretta a condizioni sfavorevoli che, una volta inizia-ta, non può più essere sospesa fino a quando non sia trascorso un certo perio-do. Negli insetti acquatici la diapausa riguarda le uova o le larve mature, più dif-ficilmente le pupe e quasi mai l’adulto. La lunghezza del giorno (fotoperiodo) èuno dei fattori che controllano la transizione da uno stato fisiologico all’altro. Inambiente artico è stato osservato anche il fenomeno della diapausa prolunga-ta, ovvero la possibilità di prolungare anche per molti anni la fase di inattivitàfinchè le condizioni ambientali non diventano effettivamente favorevoli (il ciclovitale di alcuni ditteri della famiglia dei chironomidi può durare fino a 6-7 anni).La resistenza al freddo, ovvero la capacità di sopravvivere esposti a temperatu-re al di sotto dello zero per un periodo prolungato (anche diversi mesi a -40/-50°C) senza subire alcun danno, si può ottenere attraverso due strategie: l’iber-nazione e il super-raffreddamento. L’ibernazione prevede il congelamento del-l’emolinfa e di tutti i liquidi extracellulari, ma non della matrice cellulare. La tem-peratura alla quale i cristalli iniziano a formarsi e la durata del processo di con-gelamento sono sotto il controllo di alcune sostanze chimiche, quali polioli, zuc-cheri, amminoacidi e proteine complesse ad alto peso molecolare chiamateTHPs (Thermal Hysteris Proteins). Queste sostanze, nel loro complesso, ab-bassano il punto di congelamento dei fluidi corporei aumentandone la densità

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e, formando legami con le molecole d’acqua, riducono la possibilità di forma-zione dei cristalli di ghiaccio.Il “risveglio” primaverile è in genere un processo molto veloce e le stesse so-stanze che hanno permesso l’ibernazione rappresentano una fonte di ammi-noacidi e carbonio alla fine del disgelo, quando nell’ambiente le risorse di cibopossono essere ancora scarse. Per gli insetti ibernanti la morte sopraggiungequando l’esposizione a molti gradi sotto lo zero (-30/-50 °C) si protrae per mol-ti mesi consecutivi o se vengono esposti a temperature ancora più basse (-60/-80 °C) anche per brevissimi periodi o ancora se si dovessero verificare piùcicli consecutivi di gelo e disgelo.Il super-raffreddamento, più comune tra gli insetti acquatici, consente la so-pravvivenza in ambienti in cui la temperatura scende al di sotto dello zero (almassimo -20 °C) per periodi lunghi, mantenendo invece tutti i fluidi corporei al-lo stato liquido. In questi insetti il punto di congelamento viene spostato da -5/-10 °C (come è per la maggior parte degli insetti) a -20/-25 °C grazie all’accu-mulo nei fluidi corporei di anticongelanti della stessa natura di quelli accumu-lati dalle forme ibernanti e all’eliminazione o riduzione delle sostanze che pos-sono agire come nucleatori di ghiaccio. Tra gli anticongelanti viene accumula-to frequentemente il glicerolo, che in alcuni insetti può raggiungere una con-centrazione pari al 10-14% del peso fresco dell’animale.

Il freddo è una sfida che gli invertebrati dei torrenti montani devono affrontare La corrente: un ostacolo per gli invertebrati ma anche un efficace mezzo di dispersione

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mancano le specie carnivore. Neisedimenti fini si trovano in generetubificidi e lumbriculidi, che si nutrono deibatteri associati al sedimento stesso,come i lombrichi terrestri. I tubificidipossono essere anche molto abbondantinei sedimenti ricchi di detrito organico edin genere sono le forme dominanti aprofondità superiore al metro. Dove lagranulometria è grossolana, la corrente èveloce e il tenore di ossigeno elevato, sipossono trovare anche gli enchitreidi, ingrado di colonizzare anche gli ambientiterrestri. Tra gli oligocheti che popolanole acque correnti, solo naididi,lumbriculidi e tubificidi sonofamiglie strettamenteacquatiche e le primedue sono le meglio rappresentatenei tratti di torrenti glaciali e nonglaciali al di sopra del limitesuperiore della vegetazionearborea.

Irudinei. Gli irudinei, più noti comesanguisughe, contano specie per lo piùdulciacquicole, sia di acque correnti cheferme. L’adesione al substrato e ilmovimento avvengono tramite ventoseper cui necessitano di ambienti consubstrati duri quali massi, sassi, ciottoli. Iltratto torrentizio dei fiumi è quindi unambiente ottimale per le specie di acquacorrente, limitate verso l’alto dallatemperatura (non si riproducono contemperature dell’acqua inferiori a 10-11°C) e verso il basso dall’aumento di trattisabbiosi o limosi. Poche sono le specieche si rinvengono nei tratti intermedi, inparticolare Erpobdella testacea,E. octoculata e Dina lineata, predatrici dialtri invertebrati bentonici e capaci diresistere a condizioni di moderatoinquinamento organico; altre specie(Dina krasensis, Trocheta bykowskii)possono spingersi nei tratti sorgentizi,ma a quote modeste. Tali specie possonotuttavia essere numericamente rilevanti.

Acari. Gli acari (vedi disegno) sonoaracnidi lunghi pochi mm; sono moltoabbondanti nella fauna del suolo, inparticolare nella lettiera, dove mostranouno straordinario esempio di radiazioneadattativa, con decine di migliaia dispecie note. Solo poche famiglie si sonoadattate a vivere nelle acque dolci(idracari). Un gruppo di famiglie, notecomplessivamente come idracnelle,contano svariate migliaia di specie nelleacque dolci; anche una famiglia

prevalentemente marina, glialacaridi, conta rappresentantidulcacquicoli. Tra gli ambienti

d’acqua dolce chesostengono le specie di

idracari più interessanti siannoverano le sorgenti dimontagna e l’ambienteinterstiziale. Nelle sorgenti gliidracari costituiscono unafrazione importante della

fauna cosiddetta crenobia, cioè esclusivadi questi ambienti; richiedono sorgentiperenni e non inquinate. Nell’ambienteinterstiziale, ossia nel materassoghiaioso e sabbioso sul fondo deitorrenti, sono presenti specie chepresentano adattamenti alla vita nelleacque sotterranee, quali l’assenza diocchi e di pigmento.Il ciclo biologico degli acari d’acquadolce è straordinario per la suacomplessità. L’eccezionalità si manifestagià all’inizio del ciclo: all’interno dell’uovosi sviluppa una “prelarva” la quale sitrasforma in una larva che abbandonal’uovo e diviene parassita di una larvaacquatica di insetto (ad esempio di unchironomide), di cui succhia i liquidiinterni (emolinfa) e che sfrutta per farsitrasportare in nuovi ambienti(comportamento foretico). Da qui in poi ilciclo diviene ancora più complesso,passando attraverso tre stadi successivi

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Molluschi. La classe dei molluschi èpoco rappresentata nei torrenti montaniin quanto la maggior parte delle specied’acqua dolce predilige ambienti diacque ferme o a debole scorrimento, siaper la difficoltà di reperire fonti alimentariadatte che per la loro scarsa mobilità.Fanno eccezione poche specie e tra

queste il polmonato Ancylus fluviatilis.Nei tratti medio-bassi dei torrenti sonopresenti anche specie del generePisidium, piccoli bivalvi che vivono neisubstrati sabbiosi e ciottolosi.

Oligocheti. Gli oligocheti colonizzanosvariati ambienti d’acqua dolce e neitorrenti si trovano in diversi microhabitat:fondi sabbiosi o melmosi, substrati duri aciottoli e ghiaia, zone di accumulo didetrito organico, vegetazione sommersa,ecc. Gli oligocheti di più piccoledimensioni (per esempio alcuni naididi)possono anche colonizzare l’ambienteinterstiziale. Dove c’è vegetazionesommersa si trovano frequentemente inaididi, che strisciano sul fondo enuotano anche liberamente nell’acqua trale piante acquatiche. I naididi sono per lopiù detritivori o erbivori, ma non

Tricladi. I tricladi (o planarie) sirinvengono frequentemente nelle acquefresche e ben ossigenate di torrentimontani, soprattutto in quelli di originesorgentizia e di piccole dimensioni, dellacui fauna costituiscono un elementocaratterizzante.Questi piccoli animali sono facilmenteidentificabili per il corpo fortementeappiattito e allungato con il qualeaderiscono tenacemente al substratoanche in condizioni di elevata velocità dicorrente. Predano piccoli invertebratiquali larve di insetti, crostacei,gasteropodi e anellidi, ma possononutrirsi anche di animali già morti.Nell’alto corso dei torrenti montani laspecie più frequente è Crenobia alpina,ben adattata alla corrente veloce e allebasse temperature, sostituita più inbasso da Dugesia gonocephala ePolycelis felina. Benché in Italia sianonote meno di 20 specie, per lo più diacque lente o stagnanti, la loro presenzanei torrenti può essere rilevante per laconsistenza delle popolazioni e perl’influenza sulla comunitàmacrobentonica in quanto predatricispecializzate.

Invertebrati: parte tassonomica Bruno Maiolini · Valeria Lencioni

Ancylus fluviatilis

Planaria

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specie molto frequenti nei torrenti e nellesorgenti d’alta quota, in prevalenzamuscicole ed interstiziali, appartengonoall’ordine degli arpatticoidi (ed inparticolare ai generi Attheyella,Bryocamptus, Maraenobiotus,Hypocamptus, Moraria, Parastenocaris);alcune specie sono molto rare elocalizzate a ristrette aree delle Alpi edell’Appennino, altre sono tipicamenteboreoalpine, cioè presentano un arealeche comprende l’Europa settentrionale ele Alpi (raramente le montagne più altedell’Appennino), residuo di una ben piùampia distribuzione durante i periodiglaciali. Un altro ordine, quello deiciclopoidi, predilige i tratti di fondovalle;sono qui abbondanti nell’ambienteinterstiziale i rappresentanti dei generiAcanthocyclops, Diacyclops eSpeocyclops.Accanto ai copepodi, troviamonell’ambiente sorgentizio ed interstizialealtri gruppi di crostacei di minutedimensioni. Tra questi possono esserelocalmente abbondanti nelle sorgenticalcaree gli ostracodi. Il corpo degliostracodi è avvolto da un carapacebivalve (da cui il nome: ostracode derivadal greco e fa riferimento alla “conchiglia”che protegge le parti molle del corpo e leappendici); l’aspetto è soventetondeggiante, o a fagiolo.Anche tra gli ostracodi non mancano lespecie interstiziali, cieche edepigmentate. Tra i generi più diffusi inparticolare nei massicci dolomitici(la presenza di un elevatotenore di sali di calcio èindispensabile perimpregnare il lorocarapace) ricordiamoPotamocypris, Cypria (vedifigura), Pseudocandona, o ipiù rari Cavernocypris eCryptocandona.La presenza di altri

gruppi tassonomici di microcrostaceinell’ambiente interstiziale è occasionale;possiamo trovare talora cladoceri,ampiamente diffusi negli ambienti disuperficie, o più eccezionalmente irappresentanti (ciechi e depigmentati)dello straordinario ordine dei batinellacei,esclusivi di acque sotterranee erecentemente rinvenuti anche a quoteelevate sulle Alpi.Possono essere invece frequenti inalcuni torrenti i crostacei di maggioridimensioni, in particolare i crostaceianfipodi che, in alcuni torrenti difondovalle, possono divenire moltoimportanti come numero di individui e,data la loro biomassa, essere tra le piùimportanti fonti alimentari per i pesci.Sono generalmente associati a trattitorrentizi medio-bassi, con velocitàmoderata di corrente, e alle quote piùelevate sono presenti solo in pochestazioni relitte; lungo l’arco alpino sonofrequenti le specie Gammarus fossarum,G. balcanicus ed Echinogammarusstammeri, sostituiti in Appennino daGammarus aff. italicus, Echinogammarusveneris ed Echinogammarus tibaldii.Altri rappresentanti sono presenti nellesorgenti e nell’ambiente interstiziale,sono completamente ciechi e senzapigmento, ed appartengono al genereNiphargus, che conta in Italia quasi uncentinaio di specie.Nelle sorgenti di montagna non è

infrequente Niphargus strouhali, chesembra prediligere ambienti posti

a quote superiori ai 2000 m;recentemente sono stati

rinvenuti rappresentantidel genere Niphargus

anche nell’ambienteinterstiziale a quote elevate,

come ad esempio nei torrenti glacialiai piedi del massiccio del Bernina, inSvizzera.Gli altri rappresentanti dei crostacei

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Crostacei. La maggior parte deicrostacei presenti nei torrenti montaninon supera il millimetro di lunghezza eappartiene a quella frazione della faunanota come meiofauna.Gli organismi della meiofauna vivono ingenere sul fondo dei corsi d’acqua enelle acque tranquille, a stretto contattocon il substrato (epibentonici) oall’interno di esso, tra i granuli di ghiaia esabbia (fauna interstiziale), anche anotevole profondità.Indubbiamente i crostacei più abbondantinelle sorgenti e nei torrenti alpini sono icopepodi; si tratta in assoluto degliorganismi più comuni del nostro pianeta,

avendo colonizzato praticamente tutti glihabitat ove sia presente acqua (dai marie oceani ai laghi, pozze, stagni, fiumi etorrenti, sino alle piccolissime raccolted’acqua nei tronchi degli alberi, i muschied il terreno umido, le grotte, le acqueinterstiziali e persino le minuscolepozzette d’acqua che si formano incondizioni favorevoli sui ghiacciaihimalaiani a oltre 5000 m di quota). Sonocrostacei dall’aspetto inconfondibile,dotati di un solo occhio (da cui il nome diCyclops riservato ad uno dei generi piùnoti); il corpo, munito di due lungheantennule e due corte antenne, è fornitodi cinque paia d’arti rematori (da cui ilnome copepodi, che deriva dal greco esignifica “piedi a remo”) e termina conun’appendice bifida, la furca, fornita dilunghe setole. La femmina reca una odue sacche ovigere; dall’uovo sgusciauna larva (nauplius), molto diversadall’adulto, che dopo un certo numero dimute (in genere 5) si trasforma in unsubadulto (copepodite), che non siriproduce; dopo 5 ulteriori stadi giovanili,con la sesta muta i copepoditi sitrasformano in adulti. I sessi siriconoscono facilmente poiché nellamaggior parte dei copepodi dei nostritorrenti i maschi hanno le antenneingrossate e prensili, idonee ad afferrarela femmina durante l’accoppiamento. Le

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Coppia in copula del copepode arpatticoideBryocamptus tatrensis

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6564 Comune nei torrenti è anche B. rhodani,specie ad ampia diffusione e con largavalenza ecologica, per cui è diffusa sia inambienti torrentizi incontaminati che neitratti di fondovalle più compromessi.Un terzo gruppo di ninfe è adattato amuoversi strisciando sul fondo (erpofile)ed è rappresentato dalle famiglie cenidi,leptoflebiidi, efemerellidi. Generalmentequesti efemerotteri sono associati adambienti acquatici a lento decorso conabbondante sedimento organico, tuttaviaessi possono essere localmenteabbondanti anche nel tratto medio-bassodei torrenti.Infine esistono ninfe scavatrici (orittofile),raggruppate nelle famiglie efemeridi epolimitarcidi, con processi mandibolari ezampe anteriori modificate per scavaregallerie sul fondo di fiumi e torrenti. Sonopoco diffuse nei tratti torrentizi,prediligendo corsi d’acqua di pianura alento decorso. Fa eccezione Ephemeradanica, localmente anche abbondante, intorrenti con fondo ghiaioso e sabbioso.

prediligono i torrenti a quote basse e sirinvengono solo eccezionalmente neitratti montani. Tra questi molto diffuso èanche il gambero d’acqua dolce(Austropotamobius pallipes fulcisianus),che appartiene all’ordine dei decapodi;predilige i tratti puliti e ben ossigenati deitorrenti a quote più modeste, ma può inparticolari condizioni, come in Trentino,risalire anche sino ai 1500 m di quota. InItalia il gambero è diffuso in gran partedell’Italia settentrionale e si spinge lungol’Appennino sino alla Basilicata,divenendo meno frequente man mano cisi sposta verso Sud. Un tempo molto piùdiffuso e abbondante, è stato soggettoper lunghi periodi ad un prelievoindiscriminato per la prelibatezza dellesue carni, ed ha subito negli ultimi anniuna notevole contrazione numerica, inparte dovuta anche alla sua sensibilità alpeggioramento della qualità delle acque.Per questo motivo il suo prelievo è oggivietato da numerose normative regionali,ed è tutelato a livello comunitario dallaDirettiva Habitat.

Efemerotteri. Gli efemerotteri devono ilnome alla breve durata della loro faseadulta (ephemeros = che dura un giorno epteron = ala). Spesso infatti gli adulti diquesto ordine non hanno un apparatomasticatore funzionante e vivono per ilpoco tempo concesso dalle riserve

energetiche accumulate durante la faselarvale, sempre acquatica. Sono diffusi siain laghi, paludi e pozze sia nelle acquecorrenti, dove trovano gli ambienti piùpropizi dalle quote medie al fondovalle.Diverse specie sono abbastanza tollerantiverso forme moderate di inquinamentoorganico, per cui è possibile trovarepopolazioni consistenti anche in corsid’acqua qualitativamente compromessi. InItalia sono note 94 specie, delle circa 300presenti in Europa.Gli efemerotteri sono considerati unordine piuttosto primitivo, vicino a quellodegli odonati, con uno sviluppo di tipoemimetabolico. Il ruolo ecologico degliefemerotteri nei torrenti montani è dinotevole importanza e in condizionipropizie essi possono rappresentare lacomponente dominante della comunitàmacrobentonica, in termini sia di numerodi individui sia di biomassa complessiva.Le neanidi e le ninfe sono quasi tutteerbivore e a loro volta rappresentano unaimportante risorsa alimentare per altriinvertebrati acquatici e per i pesci. Dopo losfarfallamento diventano prede di moltiuccelli, di pipistrelli e ancora dei pesci cheli catturano nella delicata fase dellametamorfosi, che in molte specie avvienesul pelo dell’acqua. Questo è noto aipescatori e gli efemerotteri adulti sono ipiù imitati nella raffinata arte dellacostruzione di esche artificiali.Gli efemerotteri occupano i più svariatimicrohabitat fluviali con adattamentimorfofisiologici peculiari. Alla famigliadegli eptageniidi appartengono quattrogeneri (Epeorus, Rhithrogena,Ecdyonurus e Heptagenia) accomunatidall’appiattimento dorso-ventrale delleninfe. L’aspetto generale del corpo, concapo, addome e femori appiattiti, vienereso ancor più idrodinamico dalla forma edisposizione delle branchie addominali,utilizzate come efficace ventosa peraumentare l’aderenza al substrato. In

Ninfa di efemerottero del genere Baetis

Subimagine di efemerottero del genere Baetis

Gambero d’acqua dolce (Austropotamobiuspallipes fulcisianus)

questo modo le ninfe possono affrontarecondizioni di elevata corrente restando nelsottile strato a contatto con il substrato,dove la velocità è sempre molto ridotta. Aquesta famiglia appartengono le speciepiù rappresentative dei tratti più alti deitorrenti: Epeorus alpicola, E. sylvicola,Rhithrogena loyolaea, R. alpestris eEcdyonurus alpinus.Caratteristiche simili agli eptageniidi sonopresenti nell’unica specie italiana dellafamiglia oligoneuriidi, Oligoneuriellarhenana, anch’essa presente in torrentialpini ed appenninici con elevata velocitàdi corrente. Le ninfe di queste duefamiglie, dall’aspetto generale “piatto”,vengono anche definite litofile, per latendenza a vivere sulla superficie di sassie massi sommersi.Un secondo gruppo di famigliecomprende ninfe nuotatrici (o iponeofile),dal corpo affusolato e idrodinamico, con itre cerci caudali robusti e frangiati,utilizzati come efficaci timoni o remi. Viappartengono la grande famiglia dei betidie quella dei siflonuridi, quest’ultima conuna sola specie italiana, tipica di ambientilacustri o di acque a debole scorrimento.Le numerose specie della famiglia betidioccupano in gran numero il tratto medio-basso dei torrenti montani, con alcuneche possono spingersi a colonizzare itratti più a monte, come Baetis alpinus,frequente in tutte le regioni italiane.

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Odonati. Gli odonati (o libellule) sono gliinsetti a sviluppo larvale acquatico cheraggiungono le maggiori dimensioni (finoa 6 cm di lunghezza). Gli adulti sonoottimi volatori e possono essere visti aconsiderevole distanza dai luoghi disfarfallamento. L’abilità nel volo permetteloro la colonizzazione di molti ambientiacquatici, quasi sempre di acque ferme oa lento decorso, con poche specie tipichedi ambienti torrentizi. Occasionalmentespecie di acque ferme possono essererinvenute in anse o pozze ai margini ditorrenti o comunque dove si sviluppaun’abbondante vegetazione acquatica.Le ninfe, come gli adulti, sono predatricidi altri invertebrati, girini ed avannotti checatturano grazie ad una struttura boccaletipica detta “maschera”. Si tratta di unasorta di tenaglia a molla che a riposoviene tenuta piegata e può scattare inavanti per catturare le prede dipassaggio. Si tratta quindi di una cacciada appostamento, con le ninfe quasisempre ferme e ben mimetizzate tra la

vegetazione acquatica.L’ordine degli odonati è distinto in duegruppi: zigotteri o damigelle e anisotteri olibellule propriamente dette. Al primogruppo appartiene un solo genereesclusivo delle acque correnti,Calopteryx, con tre specie diffuse in Italia(C. virgo, C. haemorrhoidalis eC. splendens) anche nei tratti torrentizimedio-bassi. Tra gli anisotteri, duefamiglie contano specie adattate alleacque correnti: cordulegastridi e gomfidi.La prima conta un solo genere italiano(Cordulegaster) che comprende pochespecie, tutte di ragguardevoli dimensionie con fase larvale in torrenti a lentodecorso e ruscelli. Le ninfe dei gomfidihanno aspetto più piatto e tozzo e vivonotra il fango del fondo ma anche tra laghiaia di ruscelli montani.

Plecotteri. I plecotteri derivano il loronome dal greco (pleco = intreccio epteron = ala), per la tipica posizione incui gli adulti tengono le ali a riposo,intrecciate a forbice a coprire l’addome. èforse l’ordine più rappresentativo dellafauna bentonica nei torrenti montani inquanto molte specie sonoparticolarmente adattate ad ambienti conacque fredde, molto ben ossigenate epure. Per questo motivo e per il diffusoinquinamento dei tratti fluviali difondovalle, i plecotteri sono quasisempre confinati in torrenti al di sopra di600-700 m s.l.m. Oltre che alle lorostrette esigenze ecologiche (stenoecia),la loro espansione è anche limitata dallascarsa propensione al volo degli adulti.Nel mondo sono note poco più di 3000specie e di queste circa 400appartengono alla fauna europea. InItalia sono presenti, allo stato attualedelle conoscenze, 144 specie,raggruppate in 21 generi distribuiti in 7famiglie.Una particolarità dei plecotteri è l’uso di

segnali sonori ottenuti tambureggiandocon l’addome sul substrato (drumming). Ilfenomeno è stato ampiamente studiato ela registrazione ed analisi dei suonihanno chiarito che si tratta di veri epropri linguaggi. Il ritmo delle battute e lafrequenza con cui si ripetono lesequenze differiscono da specie a speciee tra maschi e femmine. Il alcuni casi èstata addirittura verificata l’esistenza di“dialetti” in popolazioni della stessaspecie ma geograficamente distanti.I plecotteri dell’emisfero settentrionale(Paleartico e Neartico) vengono suddivisinei due grandi gruppi dei sistellognati edegli eulognati. Al primo appartengonospecie in cui gli adulti non hanno unapparato boccale funzionante e quindinon si nutrono.

Le ninfe sono generalmente onnivore espesso abili predatrici negli ultimi stadi disviluppo. Gli eulognati comprendonoinvece specie in grado di nutrirsi ancheallo stadio adulto che può condurre vitasubaerea per qualche settimana. Sia gliadulti sia le ninfe sono vegetariani,nutrendosi di alghe, muschi e detritovegetale.Lo sviluppo è di tipo emimetabolico e ladurata della fase larvale è generalmentedi un anno, ma sono noti cicli di duratabiennale, come ad esempio in Dinocrascephalotes.

Il numero di mute per raggiungere lostadio adulto è generalmente alto ecompreso tra 10 e 20, con un massimonoto di 33 in Dinocras cephalotes, laspecie che raggiunge le maggioridimensioni, con femmine alate lungheoltre 30 millimetri. Giunte a maturità, leninfe si portano fuori dall’acqua ecompiono l’ultima muta da cui usciràl’insetto adulto. Nella maggior parte deicasi questo avviene in primavera, masono documentati molti casi disfarfallamento invernale, con adulti chevolano e si accoppiano sulle riveinnevate. Per lo più si ha una solagenerazione per anno (specie univoltine),ma, in condizioni favorevoli, alla primagenerazione primaverile può seguire unaseconda autunnale (specie bivoltine)come ad esempio in Nemurella pictetii.L’aspetto generale delle ninfe ricordaquello di alcuni efemerotteri, da cui sidistinguono per la presenza di due solicerci caudali e l’assenza di branchieaddominali.Le neanidi e le ninfe dei plecotteri, puressendo tipiche di torrenti di montagna,non sono particolarmente adattate aresistere alla corrente e vanno adoccupare i microhabitat caratterizzati dabassa velocità dell’acqua, come gliammassi di foglie, la parte inferiore disassi e massi, le acque relativamentecalme delle pozze.I plecotteri sono ampiamente diffusi intutti i corsi d’acqua montani e possonorappresentare oltre il 50% delpopolamento macrobentonico incondizioni particolarmente favorevoli.Dopo i ditteri, sono il gruppo checolonizza le acque a quote più elevate,anche con specie di grandi dimensioni,come Dictyogenus fontium, del qualesono state trovate popolazioni fino a2800 m di quota sulle Alpi.Altre specie di minori dimensioni etipiche dei tratti più a monte (specie

Cordulegaster bidentatus

Ninfa di plecottero del genere Perla

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6968 distinguere due categorie di coleotteriacquatici adulti: i nuotatori, rappresentatida ditiscidi, aliplidi e idrofilidi e imarciatori, rappresentati da driopidi,elmidi, idrenidi ed eloforidi. I primi hannofrange di peli natatori sulle zampe,mentre i secondi sono dotati di robusteunghie che conferiscono loro la capacitàdi aggrapparsi al substrato. Gli adultiacquatici possiedono il sistemarespiratorio tracheale tipico delle specieterrestri, per cui hanno sviluppato variadattamenti che permettono loro diimmagazzinare riserve di aria per periodidi immersione anche piuttosto lunghi.I ditiscidi, gli aliplidi, gli idrofilidi, gliidrenidi e gli eloforidi risalgono di tanto intanto verso la superficie per procurarsiuna riserva di aria atmosferica. Durante ilrifornimento di ossigeno, l’animale puòassumere diverse posizioni. I ditiscidi e glialiplidi, per esempio, si mettono a testa ingiù, in posizione obliqua, portanol’estremità posteriore a contatto conl’interfaccia acqua-aria e catturanouna bolla d’aria che finisce nellacamera sottoelitrale, ovveronell’intercapedine tra l’addome ele elitre. I gas espirativengono poi emessi sottoforma di bollicine. Gliidrofilidi, gli idrenidi (vedidisegno) e gli eloforidi invece sidispongono con il corpoinclinato verso l’alto e attraversole antenne convogliano l’arianella camera sottoelitrale. Duedi queste famiglie, idrenidi edeloforidi, sono acquatici soloallo stadio adulto, mentre lafamiglia degli elodidi presentasolo gli stadi giovanili acquatici.Il regime alimentare dei coleotteriè molto vario, sia nelle larve sianegli adulti. Tra i coleotteri acquatici adultii ditiscidi sono carnivori predatori, gliidrofilidi sono onnivori mentre le restanti

famiglie sono in genere erbivore. Le larvesono carnivore predatricinei ditiscidi e negli idrofilidi, erbivoresucchiatrici negli aliplidi ederbivore o detritivore nelle restantifamiglie. I coleotteri acquatici prediligono,in generale, gli ambienti riparicaratterizzati da una ridotta velocità dicorrente e da bassa profondità,soprattutto dove c’è vegetazione e tendead accumularsi materiale organico. Perquesto non si rinvengono nei tratti più altidei torrenti montani, dove la velocità dicorrente, l’instabilità dell’alveo e l’elevataerosione delle rive non favoriscono lacolonizzazione da parte dei coleotteri. Èpossibile rinvenirli alle quote più elevatein zone umide perifluviali che hanno ilruolo ecologico di “aree rifugio”, dove lecondizioni ambientali sono menoestreme.

Ditteri. L’ordine dei ditteri è uno dei piùricchi di specie nella classe degli insetti. I

ditteri hanno colonizzato, nei diversistadi del loro ciclo vitale, pressochètutti gli ambienti, escluse le distese

oceaniche. I dittericomprendono più della metàdegli insetti acquatici e come

larve occupano una vastagamma di biotopi, dai torrenti

alle sorgenti, ai laghi, agli stagni ealle paludi. Sono insetti a sviluppocompleto (= olometaboli) confase giovanile (larva e pupa)

terrestre o acquatica, mentrel’adulto vive sempre in

ambiente subaereo. Alcunespecie sono semi-acquatiche e

vivono nel suolo umido, nellacarcasse di animali o in cavitàmarcescenti di piante. Tra le larve

di ditteri si trovano esempi di tutti imodelli di nutrizione, comprendendo siafitofagi e detritivori, sia predatori.Questi insetti derivano il loro nome dal

reofile-orofile) sono Protonemuraausonia, P. caprai, P. elisabethae,P. brevistyla, Nemoura mortoni, N.obtusa, Leuctra rosinae, L. festai, L.teriolensis, Isoperla rivulorum, Perlodesintricatus, Siphonoperla montana eChloroperla susemicheli.Nei tratti medi si incontrano altre speciedi grandi e medie dimensioni quali Perlagrandis, Dinocras cephalotes, D. ferreri,Dictyogenus ventralis, Perlodes intricatus,Isoperla rivulorum.Un cenno particolare merita il genereTyrrhenoleuctra, comprendente la solaspecie italiana T. zavattarii, endemica ditorrenti sardi e corsi.

Eterotteri. Sono comuni negli ambientiacquatici allo stadio sia di ninfa sia diadulto. Derivano il loro nome dal fatto dipossedere “ali diverse” (heteros =diverso; pteron = ala), ovvero ali anterioriparzialmente sclerificate e ali posterioricompletamente membranose. Ninfa eadulto sono molto simili e il passaggio

dall’una all’altro avviene attraversotrasformazioni graduali di forma edimensioni: questo tipo di metamorfosiviene indicato con il termine dipaurometabolia. Gli eterotteri acquaticiprediligono le acque stagnanti, anche semolte specie possono trovarsi nei corsid’acqua, in genere presso le rive, nellepozze, nelle anse calme dei fiumi ocomunque nelle zone a corrente ridotta.Alcuni eterotteri, i gerromorfi, vivono sullasuperficie dell’acqua, mentre altri, inepomorfi, vivono sott’acqua. I primimarciano o pattinano sulla superficiedell’acqua sfruttando la tensionesuperficiale, mentre i secondi marcianosul fondo o nuotano tra la vegetazione. Lamaggior parte delle specie è predatrice ecaccia altri insetti, acari e ragni. Le speciedi maggiori dimensioni succhiano anchegirini, avannotti e uova di anfibi e pesci.Le forme di dimensioni più piccole hannoun regime alimentare onnivoro e sinutrono anche della microfaunabentonica, di alghe microscopiche e didetriti organici.Tra i generi più frequenti nei torrenti,soprattutto presso le rive, Gerris,Aquarius e Velia. Aquarius najas è specieesclusiva dei torrenti, ove frequenta leanse tranquille e le pozze d’acquaprofonda.

Coleotteri. Rappresentano l’ordine dianimali più numeroso, contando almeno350 000 specie, di cui almeno 10 000fanno parte della fauna italiana. Alcunefamiglie si rinvengono nelle acque dolci,sia correnti che stagnanti. Sono gli uniciinsetti olometaboli che si possonorinvenire nell’ambiente acquatico sia allostadio larvale che adulto. I coleotteriacquatici adulti mantengono comunquesempre la capacità di volare, cheutilizzano per andare alla ricerca dicondizioni ambientali migliori.Nell’ambiente dei torrenti si possono

Plecottero adulto del genere Chloroperla

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7170 tipulidi tra i nematoceri, quelle degliantomiidi (o muscidi), atericidi,dolicopodidi, empididi e straziomidi tra ibrachiceri. In particolare, chironomidi esimuliidi sono i gruppi più abbondanti neitorrenti d’alta quota e gli unici presenti,salvo qualche eccezione, nei torrentiglaciali. Più a valle troviamo empididi elimoniidi, quindi taumaleidi, blefariceridi eatericidi.Chironomidi. I chironomidi sono lafamiglia di insetti più rappresentata negliambienti d’acqua dolce, sia per numero dispecie sia per abbondanza di individui.Nel mondo sono note circa 15000 speciee di queste più di 400 sono presenti inItalia. Si distinguono otto sottofamiglie dicui cinque presenti nel nostro Paese:tanipodine, diamesine, prodiamesine,ortocladiine e chironomine.Mentre gli adulti vivono in ambienteaereo, gli stadi giovanili colonizzano i piùsvariati habitat d’acqua dolce:da torrenti, laghi e sorgenti di montagna afiumi, stagni e laghi di pianura; da acqueincontaminate e ricche di ossigeno adacque molto inquinate;da ambienti poveri (oligotrofici) adambienti particolarmente ricchi di nutrienti(eutrofici).Alcune specie hanno colonizzato leacque marine, rimanendo per lo più nellazona compresa tra la bassa e l’altamarea ed altre l’ambiente terrestre.I chironomidi comprendono molte speciead ampia valenza ecologica (euriecie) maanche entità stenoecie, cioè incapaci divivere in condizioni diverse da quelleverso le quali mostrano uno strettoadattamento. Per questo i chironomidisono buoni indicatori biologici, capaci disegnalare anche minime variazioni dellecondizioni ambientali in cui si trovano. Peresempio, la presenza nei corsi d’acqua dilarve di diamesine, in particolare dialcune specie del genere Diamesa, qualeD. steinboecki, è indice di condizioni di

“glacialità”, essendo i tipici colonizzatoridi questi ambienti.Nei torrenti montani i chironomidi sonocertamente i ditteri più abbondanti, sia intermini di numero di individui che dispecie. Alle quote più elevate e negliambienti più estremi, quali i primi tratti ditorrenti glaciali (Kryal), i chironomidi sonoin genere gli unici invertebrati presenti.È nota una chiara successionelongitudinale (da monte a valle) non soloa livello di specie ma anche disottofamiglia. Nei tratti più a monte, dovele acque sono fresche e ben ossigenate,abbondano le diamesine e le ortocladiine.A queste due sottofamiglie appartengonodiverse specie reofile e stenotermefredde, ovvero adattate a vivere nelleacque turbolente, torbide ecostantemente fredde dei torrenti glaciali.In particolare, le larve di Diamesa spp.mostrano gli adattamenti più svariati allacorrente veloce e al substrato instabile,tra cui: a) lo sviluppo di lunghi e robustiunghioni per aggrapparsi al fondo; b)l’allungamento degli pseudopodiposteriori per aumentare la base diappoggio al substrato e quindi la stabilitàdella larva; c) la costruzione di astucci disabbia cementati con la saliva perproteggersi dalla corrente. Inoltre molte di

le forme appiattite dorso-ventralmente) esono caratterizzate dall’assenza dizampe articolate. Possono esserepresenti pseudopodi (cioè “false zampe”)in diverse posizioni, dotati o meno diuncini, spiracoli, tubi o filamentirespiratori. Durante la fase pupale gliindividui possono restare liberi oracchiudersi in bozzoli rigidi, nell’acqua osul terreno. Gli adulti vivono in genere almassimo un mese, periodo durante ilquale avvengono l’accoppiamento (involo, sulla vegetazione, a terra o persinonell’acqua) e la deposizione delle uova. Iditteri comprendono numerose specieadulte ematofaghe che attaccano l’uomoed altri vertebrati a sangue caldo (iceratopogonidi, i culicidi e i simuliidi sononoti per il loro morso irritante) e possonoessere vettori di malattie.Nonostante l’ampia varietà di formepresenti nell’ordine, all’interno dellesingole famiglie vi è un certo grado diuniformità morfologica. Tra i nematoceri ilcapo (capsula cefalica) è completamentesclerificato ed estroflesso, quindi benvisibile (larve eucefale) o soloparzialmente sclerificato, ridotto einfossato nel torace (larve emicefale). Lelarve dei brachiceri sono, salvo rareeccezioni, emicefale o acefale, ovverohanno capo fortemente ridotto, con pocheparti sclerificate, e parzialmente ocompletamente retratto nel torace. Lasegmentazione del corpo è di solitoevidente, ma senza una chiaradistinzione tra zona toracica eaddominale.Le larve di molti ditteri, specialmente diquelli con fase giovanile acquatica, sonopoco conosciute e spesso, peridentificare la specie, è necessarioallevarle fino allo stadio adulto.Le famiglie più rappresentate nei torrentimontani sono quelle dei blefariceridi,ceratopogonidi, chironomidi, dixidi,limoniidi, psicodidi, simuliidi, taumaleidi e

Larve di chironomidi Larve di chironomidi del genere Diamesa

fatto di possedere, allo stadio adulto, solole ali del paio anteriore (dittero significa“con due ali”), mentre quelle posteriorisono trasformate in bilanceri (appendici aforma di clava) atti a stabilizzare il volo.Sulla base della morfologia dell’antennadegli adulti si distinguono due sottordini diditteri: i nematoceri e i brachiceri. I primihanno antenne lunghe, moniliformi ecomposte da numerosi articoli, un corposlanciato come quello di una zanzara ezampe lunghe e sottili. I brachiceri sonoinvece caratterizzati da antenne corte easpetto generale tozzo, esemplificato daquello di una mosca.I ditteri comprendono un’ampia varietà diforme e adattamenti e possonocolonizzare in massa ambienti fortementeinquinati o comunque inospitali per lamaggior parte degli altri insetti, quali leacque cloacali, sulfuree e termali e lefredde acque dei torrenti glaciali. Questofatto è legato alla capacità delle larve dialcune specie di tollerare basseconcentrazioni di ossigeno discioltograzie all’accumulo di pigmenti respiratorisimili all’emoglobina o alla possibilità direalizzare la respirazione anaerobica(cioè in assenza di ossigeno).Le larve sono sub-cilindriche, sottili evermiformi o carnose e tozze (sono rare

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7372 noti anche come “moscerini che nonpungono”. Hanno lunghe zampe cheagitano in modo caratteristico durante ilvolo che appare così “gesticolante” (dalgreco chironomeo = “gesticolo”). Lefemmine depongono le uova sullasuperficie dell’acqua o in prossimità dellerive, riunendole in masse gelatinoselibere o attaccate ad un substrato. Lelarve che ne fuoriescono subiscono unridotto numero di mute (4 o 5) prima dellametamorfosi. Lo sfarfallamento avviene ingenere in primavera/estate e/o in autunnoe la vita degli adulti è breve e finalizzataall’accoppiamento e alla successivadeposizione delle uova.Per quanto riguarda la distribuzionealtitudinale dei chironomidi nei torrenti, lezone torrentizie più a monte, dove latemperatura dell’acqua in estate non

supera i 3-4 °C, sono caratterizzatedall’assoluto dominio della sottofomigliadelle diamesine con il genere Diamesa,rappresentato da specie quali D.steinboecki, D. latitarsis, D. goetghebueri,D. bertrami e D. zernyi. Altro diamesinopresente nei tratti più a monte e talvoltadominante (nei torrenti non glaciali) èPseudokiefferiella parva. Nei torrenti nonglaciali si trova anche Pseudodiamesabranickii, particolarmente abbondante trai muschi e le alghe. A fianco dellediamesine si possono trovare alcuneortocladiine, quali Orthocladiusthicnemanni, Orthocladius frigidus,Eukiefferiella minor, Eukiefferiellabrevicalcar e Tvetenia calvescens. Versovalle, le ortocladiine tendono a divenire lasottofamiglia meglio rappresentata, siacome numero di individui che di generi e

queste larve si stabilisconopreferibilmente nelle piccole depressioniche si trovano sulla superficie dei ciottoliper evitare di rimanere schiacciate incaso di rotolamento in alveo dei ciottolistessi. Queste specie dipendono per ilnutrimento essenzialmente da materialeorganico trasportato dal vento (spore,pollini, frammenti vegetali, insetti morti)che rimangono intrappolati nei ghiacci evengono rilasciati nelle acque dei torrenticon il disgelo.Le larve hanno lunghezza variabile da 2 a30 mm e la loro colorazione va dal grigioal giallo bruno, al violetto, all’arancione, alrosso e al verde. In particolare, alcunespecie della sottofamiglia dellechironomine (per esempio Chironomusdel gruppo thummi) hanno unacolorazione rossastra caratteristica: sonoi comuni “vermi rossi” che vengonospesso utilizzati come mangime per pescid’acquario e in natura vivono in acquecon elevato inquinamento organico. Ilcolore rosso sangue è dovuto allapresenza nella loro emolinfa di unpigmento respiratorio molto simileall’emoglobina umana, che permette aqueste larve di respirare anche inambienti poveri di ossigeno. Tutte le larvehanno aspetto vermiforme, ovvero uncorpo allungato diviso in segmenti,spesso coperto di setole e senza vere eproprie zampe. Hanno solo due paia di“pseudozampe”, un paio anteriore ed unoposteriore, munite di uncini, che usanoper aggrapparsi al substrato.Il tipo di vita e la stessa morfologia dellelarve dei chironomidi sono fortementecondizionati dalle abitudini alimentari.Alcune larve sono erbivore e raschiano lacopertura algale e batterica del substratosu cui vivono, altre sono detritivore eraccolgono piccole particelle di detritoorganico depositate sul fondo ed altreancora sono carnivore e predano piccolianimali. Queste ultime appartengono per

lo più alla sottofamiglia delle tanipodine.Le larve predatrici possiedono tutta unaserie di adattamenti per questo tipo divita: mento scarsamente sclerificato inmodo da poter inghiottire prede intere,mandibole a forma di falce e funzionanticome tenaglie, lingua cospicua esclerificata che, ruotando all’indietro,spinge la preda all’interno della faringe,antenne retrattili che danno al capo unaforma più idrodinamica e pseudopodimolto allungati che consentono rapidimovimenti a scatti. In altre sottofamiglie lasclerificazione del mento e il movimentoobliquo delle mandibole permettono diraschiare alghe e detrito dalle superficisommerse. I chironomidi che vivono sulfondo sabbioso-limoso dei laghi in generecostruiscono tubi all’interno dei quali lelarve, ondulando il corpo, creano unacorrente d’acqua che convoglia leparticelle di cibo (alghe, batteri, ecc.)contro una rete appositamente costruitasul fondo col secreto salivare. La larvaperiodicamente ingerisce la rete e lasostituisce con una nuova. Alcune speciescavano anche sottili gallerie nelle fogliesommerse di piante acquatiche. Infinealcune specie sono simbionti e parassitedi altri invertebrati.Le pupe hanno dimensioni e colore similia quelli delle larve, ma la parte anterioredel corpo è ingrossata per la presenzadegli astucci delle antenne, delle zampee delle ali dell’adulto. Le pupe possononuotare liberamente o, nelle specieviventi nei tubi, rimanere parzialmenteincluse nel tubo larvale stesso. Gli adultisono lunghi da poco meno di 1 a circa 14millimetri ed hanno antenne moltolunghe, piumose solo nei maschi. Il loroesile corpo è simile a quello dellezanzare, da cui si distinguono per avere iltorace gibboso, che fa in parte scudo alcapo, e per l’apparato boccale, che neichironomidi è di tipo succhiante, ma nonpungente. I chironomidi sono per questo

Rappresentazione schematica del ciclo di sviluppo dei ditteri chironomidi: uova ( 1 ); larva ( 2 ); pupa ( 3 );adulto o imagine (maschio 4? e femmina 4/)

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evitando così problemi di competizioneper lo spazio e il pericolo di esserepredati. In ambienti torrentizi convegetazione macrofitica in alveo possonoaderire, in numero impressionante, sullediverse parti delle piante e un singolostelo d’erba sommersa può ospitare 200-300 larve. Le larve attraversano da sei anove stadi di crescita e quindicostruiscono un bozzolo di forma più omeno triangolare all’interno del qualeiniziano la metamorfosi. Nellasottofamiglia dei prosimuliini il bozzolo èappena accennato e non ha una formadefinita.Gli adulti hanno l’aspetto di piccolemosche gobbe, dal “naso” schiacciato(da cui derivano il nome) e le femmine dimolte specie sono ematofaghe. Il pastodi sangue è una necessità dettatadall’esigenza di assumere ferro organicoper portare a maturazione le uova.La scelta dell’ospite a cui suggere ilsangue è piuttosto rigida e così esistonospecie che attaccano uccelli (sottogeneriEusimulium e Nevermannia), cavalli(sottogenere Wilhemia), bovini(Prosimulium latimucro, P. rufipes,Simulium ornatum, S. intermedium,S. variegatum, S. paramorsitans).Nel caso di attacchi massivi a bovini

l’intensa reazione anafilattica puòprovocare la morte dell’animale e casi dimorie si sono avuti in diverse regionialpine, a partire dagli anni settanta. Gliattacchi avvengono sempre di giorno emai al coperto, per cui il ricoveroimmediato del bestiame è sufficiente adevitare danni estremi. Anche l’uomo puòessere punto, ma generalmente senzagravi conseguenze, se non in caso disoggetti allergici.Lo sviluppo di focolai larvali ègeneralmente favorito da un leggeroaumento dell’inquinamento organico edalla conseguente maggior disponibilitàdi batteri e particellato organiconell’acqua. Livelli elevati di inquinamentoinvece limitano la presenza dei simuliidianche per la riduzione di superfici liscedisponibili, che in questi casi si ricopronodi patine batteriche e perifitiche.La distribuzione altitudinale delle specieè relativamente ben prevedibile in quantomolte specie sono strettamente legate alproprio ambiente (stenoecie). Le zonetorrentizie più a monte rappresentanol’incontrastato dominio della sottofomigliaprosimuliini, e alcune specie(Prosimulium latimucro, P. rufipes) sonoin grado di colonizzare i primi metri deitorrenti glaciali alpini, con temperature

specie (Chaetocladius gr. piger,Heleniella spp., Corynoneura spp.,Thienemanniella partita, ecc.). Nelfondovalle diamesine ed ortocladiinelasciano il posto alle chironomine,rappresentate, nei torrenti montani, per lopiù da Micropsectra gr. atrofasciata.Simuliidi. Insieme ai chironomidi, isimuliidi sono tra i primi colonizzatoridelle acque correnti d’alta quota, dovepossono dar luogo a focolai che, incondizioni favorevoli, diventanonumericamente imponenti. Trascorrono lafase larvale sempre in acque correnti,dove si insediano nei punti di maggiorvelocità. Si tratta di un gruppo moltoantico e il fossile di una pupa testimoniala loro esistenza già 160 milioni di anni fa,in pieno periodo giurassico. Attualmentesono note oltre 1500 specie e di questecirca 400 vivono in Europa e unasettantina in Italia.I costumi di vita dei simuliidi sonoparticolarmente interessanti sia nella faselarvale sia in quella adulta. Le larvehanno una forma caratteristica, conaddome rigonfio verso l’estremitàposteriore, conferendo all’animale unaforma leggermente piriforme.Si nutrono di particellato organico fine edi batteri, filtrati con appositi organi, detti

ventagli cefalici o mandibolari. Questiderivano dalla trasformazione di partilabiali che si sono evolute in ventagliformati da una serie di rami,generalmente tra 30 e 50, sui quali sonoinseriti trasversalmente numerosi peli, aformare un efficace apparato di cattura.Le larve sono provviste di ghiandolesericigene con le quali producono unliquido colloso che attaccano al substratoformando un appiglio. Su questo siagganciano con uncini presenti siasull’unico pseudopodo toracico che infondo all’addome. Alternando la presacon le due serie di uncini e costruendonuovi appigli, sono in grado di muoversisu superfici lisce anche controcorrente,per trovare i microambienti dove lavelocità dell’acqua è maggiore e quindimaggiore la quantità di filtrato nell’unitàdi tempo. Per muoversi verso valleutilizzano ancora le ghiandole sericigene,incollando la bava al substrato e “filando”con grande velocità una “corda disicurezza” alla quale restano attaccatefinché non sono giunti nella posizionedesiderata. Questo originale sistemapermette alle larve di simuliidi dioccupare anche le superfici lisce dimassi esposti alla corrente, dove pochialtri macroinvertebrati possono resistere,

Larve di ditteri simuliidi La particolare tecnica utilizzata dalle larve dei simuliidi per spostarsi in acqua controcorrente Esemplare adulto di dittero simuliide

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7776 posizione ventrale lungo i due latidell’addome.I blefariceridi sono considerati indicatoridi buona qualità ambientale, in quantomolto sensibili a diverse forme diinquinamento. La sensibilità di questiditteri all’inquinamento non derivaesclusivamente dall’intolleranzafisiologica alle alterazioni chimico-fisichedell’acqua, ma anche ad una serie dieffetti indiretti, primo fra tutti la ridottaaderenza al substrato dovuta allaformazione eccessiva di patinebatteriche, alghe filamentose e muschi,che ricoprono i substrati in ambientieutrofici. Data la scarsa mobilità dellelarve e l’abitudine di occupare la partesuperiore dei massi, i blefariceridi sonoanche sensibili alle improvvise variazionidi portata che tipicamente si verificano intorrenti sottoposti a regimazioneidroelettrica. La loro presenza in untorrente ne testimonia quindi le buonecondizioni trofiche e idrauliche.In Italia sono presenti 5 generi e 13specie, tutte d’acqua dolce. Tra queste,Liponeura cinerascens che con le duesottospecie minor e cinerascens,occupa le acque a maggior altitudine,rispettivamente sulle Alpi e sulladorsale Appennino-Alpi Marittime.Atericidi. Si tratta di una piccolafamiglia di brachiceri con larvetutte acquatiche e adulti talvoltaematofagi (vedi disegno) sualtri artropodi o su mammiferi.Sono frequenti in torrenti conbasso o moderato caricoorganico. Le larve vivono ingenere nelle zone deltorrente dove leacque sonomenoimpetuose,infossate nellasabbia o tra la ghiaia, tra le cortecce dirami sommersi o ancora tra i muschi.

Molto caratteristica è la deposizione delleuova da parte delle femmine di moltespecie, le quali si riuniscono in grannumero sui rami di un albero sospesosopra l’acqua e vi depongono unammasso di uova sul quale rimangonoalla fine appesi i corpi delle femminemorte. Le larve cadono poi direttamentenell’acqua corrente sottostante.Tre sono le specie più diffuse nei torrenti:Atherix ibis, Ibisia marginata e Atrichopscrassipes.Empididi. È una famiglia numerosa, conalmeno 270 specie note sinora in Italia.Si tratta di un gruppo ubiquitario, che haconquistato praticamente tutti gliambienti, compresi quelli alle quote piùelevate (oltre i 2000 m s.l.m.), con larveterrestri, acquatiche e semi-acquatiche.Nei torrenti vivono tra i muschi e le pietreo sui sedimenti fini e umidi delle rive.La capsula cefalica è ridotta e gli uncinimandibolari sono particolarmentesviluppati. Questo è legato alle abitudinialimentari delle larve, che sono voracipredatrici, in genere di simuliidi echironomidi.Altre famiglie di ditteri. Per quantoriguarda le altre famiglie di ditteri, moltecomprendono anche specie capaci di

vivere in ambienti molto particolariquali i residui di fogna, le acque di

scolo, le acque termali e salmastre,ecc. Tra queste gli psicodidi, i

ceratopogonidi, i muscidi e glistraziomiidi.Nei torrenti queste famiglie diditteri si trovano in generenelle zone di maggioreaccumulo di detrito

organico, doveè presenteunavegetazione

sommersa o neitratti in cui prevalgono i sedimenti fini(sabbia e limo).

medie intorno a 0°C. In ambienteappenninico si trovanoP. albense e P. calabrum, la prima estesafino alla Sicilia, la seconda endemica ditorrenti calabri. Insieme ai prosimuliini,ma a quote meno elevate, si rinvengonospecie della grande sottofamiglia deisimuliini, appartenenti al sottogenereNevermannia, diffuse sia sulle Alpiche sugli appennini, come Simuliumvernum. Esempi di specie endemicheappenniniche sono S. fucense eS. marsicanum.Nei tratti torrentizi intermedi sirinvengono numerose specie deisottogeneri Simulium,Eusimulium, Obuchovia eTetisimulium, alcune tolleranti(Simulium ornatum,S. variegatum) o moltotolleranti (S. intermedium)verso forme di inquinamentoorganico.Limoniidi. I limoniidi sono unafamiglia di ditteri molto ricca dispecie (se ne conoscono circa230 per l’Italia), la maggiorparte delle quali è diffusa nelleregioni settentrionali, con pochespecie legate ai torrenti. Le larve dialcune specie sono tipiche dellafanghiglia presso le rive, altre vivono intubi di seta coperti di detrito tra le piantesommerse e possono essere erbivore,detritivore o carnivore.I generi più frequenti nei torrenti d’altaquota sono: Dicranota, Rhypholophus eTricyphona.Taumaleidi. In Italia sono presenti con 14specie appartenenti a quattro generi.Di questi, Thaumalea è il più diffuso neirilievi alpini. A prima vista le larve sonomolto simili ai chironomidi, con cuipossono essere confusi. Si distinguonoper la capsula cefalica leggermenteschiacciata, setolosa e munita di piccoleprotuberanze dorsali. Inoltre,

posseggono un solo pseudopodioaddominale anteriore ed uno posteriore euna larga placca dorsale sclerificata suogni segmento del corpo. Le larve deitaumaleidi sono frequenti nei torrenti enelle sorgenti montane sulle roccebagnate dagli spruzzi e da un sottile velodi acqua corrente (larve igropetriche).Blefariceridi. Sono tra i ditteri meglioadattati a vivere in acque con elevatavelocità di corrente, grazie allaparticolare architettura delle larve (vedidisegno) che le rende inconfondibili. La

parte dorsale del corpo è formata dauna serie di archi tondeggianti, adatti

a scaricare la forza dellacorrente. Sulla parte ventralepossiedono delle potenti ventoseche permettono loro di rimanereaderenti al substrato anchesotto le cascate più impetuose.Le ventose dei blefariceridisono le più funzionali eperfezionate fra quelle checompaiono tra gli insetti: sonodotate di una vera e propria

pompa formata da una possentemuscolatura che produce il vuoto,

consentendo una perfetta adesioneal substrato. Ciascun disco adesivo èmunito di una fessura anteriore chepermette il distacco della ventosa equindi la locomozione. I segmentiaddominali, separati da strozzatureevidenti, sono muniti di pseudopodipiccoli e conici, di ciuffi branchiali e diappendici laterali.Le larve si nutrono raschiando la patinabatterica e perifitica che si sviluppa susubstrati formati da ampie superfici liscesottoposte ad elevate velocità dicorrente. Anche le pupe vivono attaccateal substrato negli stessi ambienti in cui sitrovano le larve ed hanno dimensionisimili a quelle delle larve mature (5-12mm). Le pupe aderiscono al substratotramite 3 o 4 punti di attacco situati in

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metamorfosi le larve viventi in foderitrasportabili si arrampicano su massi oaltre sporgenze, fissandosi nei pressidella superficie dell’acqua. Anchel’apertura anteriore del ricovero vienechiusa e la metamorfosi ha inizio.È frequente osservare lunghe collane diquesti astucci pupali ordinatamentedisposti su massi emergenti lungo lineesegnate dal livello medio dell’acqua. Itricotteri privi di astuccio si impupanoinvece all’interno di un ricoveroappositamente costruito e ancorato sottoi sassi, racchiusi in un bozzolo sericeo.La scarsa mobilità della maggior partedelle larve dei tricotteri li rendeparticolarmente vulnerabili ai repentinicambiamenti di portata e non è rarotrovarli miseramente spiaggiati inseguito al ritiro delle acque dopo untemporale. Questa condizione tuttavia siverifica molto più frequentemente intorrenti regimati da esigenze diproduzione idroelettrica. Le variazioni diportata sono anche rilevanti, questa

volta per cause naturali, in torrentialimentati prevalentemente da acque difusione glaciale. Nel complesso quindi lascarsa mobilità, la preferenza diambienti con velocità di corrente medio-bassa e il prevalente ruolo trofico ditagliuzzatori-raccoglitori di sostanzaorganica grossolana (per lo più fogliemorte), limitano per lo più la presenzadei tricotteri ai tratti sotto la vegetazionearborea.Questo tuttavia non ne esclude lacolonizzazione di ambientiparticolarmente favorevoli anche a quoteche superano i 2500 m s.l.m.Nel tratto superiore troviamo specieorofile e stenoterme di acque fredde tracui Rhyacophila tristis, Philopotamusmontanus, Plectronemia conspersa,Drusus discolor; più in basso questespecie sono sostituite da altre, a piùampia valenza ecologica, qualiRhyacophila torrentium, Hydropsycheinstabilis, Potamophylax cingulatus,Sericostoma pedemontaum.

7978 Tricotteri. I tricotteri derivano illoro nome dalle parole grechethrix, trichos (pelo) e pteron(ala), per l’aspetto degli adulti involo, simili a farfalle dalle ali pelosee dai colori generalmente attenuati.A riposo invece le quattro ali sonopiegate a formare una sorta di tettosull’animale. In Italia sono note piùdi 330 specie, suddivise in unaventina di famiglie.Gli adulti sono crepuscolari onotturni e volano spesso in grandisciami nuziali nelle sere d’autunnoin vicinanza di corsi d’acqua ointorno a fonti di luce.Particolarmente interessanti sonoi costumi delle larve, checonducono tutte vita acquaticasia in acque correnti sia ferme(unica eccezione il genereEnoicyla, con ciclo biologicocompletamente terrestre). L’unicità dellelarve dei tricotteri è data dalla capacità dicostruire una vasta gamma di ricoveri,con forme e finalità diverse.Relativamente ai ricoveri larvalipossiamo distinguere i tricotteri in trecategorie: con astuccio mobile, conricovero fisso e libere. Alla primacategoria appartengono la maggior partedelle specie, che costruiscono astucciintorno al proprio corpo con lo scopo diproteggersi ed aumentare la resistenzanei confronti della corrente. La tecnicacostruttiva consiste nella produzione diuna sostanza collosa con la qualefissano materiale inorganico (sabbia,sassolini, vedi disegno) oppure organico(nicchi di molluschi, pezzetti di foglie,cauli, semi, bastoncini). La forma ècilindro-conica con materiale inorganiconelle famiglie dei sericostomatidi,odontoceridi, bereidi, e con materialiprevalentemente organici o misti nellefamiglie dei brachicentridi,lepidostomatidi, leptoceridi, limnefilidi.

Forme particolari si hanno nellafamiglia degli idroptilidi, le cuiminuscule specie costruisconopiccoli ricoveri di seta e granelli disabbia a forma di borsellino; igoeridi inseriscono pietruzze piùgrosse a fianco degli astuccicilindrici, usate come bilanceriper evitare il rovesciamento; iglossosomatidi invececostruiscono ricoveri a forma digobba di cammello, conun’apertura in ciascuna delledue cuspidi. La tecnica

costruttiva delle larve deitricotteri è stata messa a profittoda alcuni gioiellieri che hanno

allevato larve in un acquariocontenente grani, bastoncini e

laminette d’oro, piccole pietre preziosedi vario tipo, ottenendo così degli

originalissimi ed unici gioielli “biologici”.Le larve di altre famiglie (idropsichidi,policentropodidi, filopotamidi)costruiscono invece ricoveri fissi di solaseta, non a scopo di protezione, ma diraccolta di alimenti. Si tratta di vere eproprie “ragnatele” di forma più o menoconica e con l’apertura verso la corrente,capaci di filtrare, o meglio pescare, lasostanza organica viva o morta che lacorrente trasporta.Queste larve sono munite di pigopodicon lunghe setole a formare dellepiccole “scope” con le quali spazzolanole reti radunando il “pescato” pernutrirsene.Le reti vengono costruite sotto sassi emassi o comunque dove la velocitàdell’acqua non è tale da danneggiarle.Infine i tricotteri comprendono specie(famiglia dei riacofilidi), le cui larve noncostruiscono alcun tipo di ricovero, maconducono vita libera e sono predatricidi altri macroinvertebrati bentonici.Lo sviluppo è di tipo olometabolico equando si avvicina il momento della

Astuccio larvale di tricottero limnefilide Esemplare adulto di tricottero

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■ Ittiofauna

I salmonidi dei torrenti italiani. L’elemento faunistico che il sapere popolareaccosta con maggiore immediatezza al torrente montano è la trota. In realtà, aben guardare, la distribuzione di questo pesce non appare limitata a tale tipolo-gia di acque, andando a comprendere ad esempio anche gli ampi corsi pede-montani, i grandi laghi prealpini di origine glaciale, le risorgive della bassa pia-nura. Si tratta di ambienti accomunati da acque fresche o decisamente fredde -con una temperatura che solo occasionalmente e per brevi periodi tocca valoriprossimi ai 20° C, restandone di solito ben al di sotto - e da una conseguentebuona ossigenazione. È proprio in base all’elevato fabbisogno di ossigeno diquesto pesce, conseguente a un metabolismo particolarmente attivo, che vaindividuato lo stretto legame tra la trota e il torrente alto-montano, ove la turbo-lenza dell’acqua aumenta il tenore di ossigeno, portandolo spesso a livelli disovrasaturazione. È questo il tratto di corso d’acqua che gli idrobiologi classifi-cano come “zona a salmonidi superiore e media” o senz’altro, “zona a trota”tout court.La trota è dunque, relativamente all’ittiofauna, la specie-guida di queste acque,quella cioè che per il suo migliore adattamento alle condizioni ecologiche risultadominante, se non addirittura l’unica presente. Ma si fa presto a dire trota: qualetrota popola le acque dolci italiane? La domanda richiede una risposta che ètutt’altro che scontata, e costituisce il terreno di ricerca e confronto su cui tuttorasi cimentano, con opinioni non sempre univoche, molti studiosi. Secondo Torto-nese - autore, nei primi anni Settanta, dei due volumi della “Fauna d’Italia” dedi-cati ai pesci ossei - le trote italiane apparterrebbero tutte alla specie Salmo trut-ta, polimorfa e politipica, caratterizzata da grande variabilità nella taglia, nella li-vrea, nel comportamento, capace di dare origine a varietà locali ed ecotipi. Inparticolare la forma nominale Salmo trutta trutta, cui viene ricondotta la trota ditorrente o trota “fario”, è considerata presente in tutte le regioni (Sicilia e Sarde-gna comprese); accanto ad essa sono riconosciute due sottospecie endemiche:la trota “marmorata” (Salmo trutta marmoratus), distribuita nel Po e nei suoi af-fluenti di origine alpina, e il carpione del Garda (Salmo trutta carpio), presentesolo nel più esteso dei laghi italiani. Non viene invece dato valore sistematico al-la trota “lacustre” e alla trota “sarda” o “macrostigma”.

La fauna a vertebratiSERGIO PARADISI

Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)

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8382 Una ventina d’anni dopo, Gandolfi e Zerunian proposero una diversa interpre-tazione sistematica, per altro non ritenuta risolutiva dagli stessi Autori. In talequadro viene concesso rango di specie al carpione del Garda (Salmo carpio) eal carpione del lago di Posta Fibreno (Salmo fibreni). Viene inoltre proposto diconsiderare Salmo trutta una “superspecie” rappresentata in Italia da tre “semi-specie” (intese quest’ultime come popolazioni che hanno completato solo inparte il processo di speciazione): esse sono la trota fario (Salmo [trutta] trutta),ampiamente diffusa in tutta la Penisola in seguito a semine e ripopolamenti, maper gli Autori autoctona forse solo in alcuni torrenti dell’arco alpino; la trota me-diterranea o macrostigma (Salmo [trutta] macrostigma), presente nei tributari tir-renici dell’Italia centro-meridionale e insulare; la trota marmorata (Salmo [trutta]marmoratus), endemica del distretto padano-veneto.Il dubbio sull’autoctonia della trota fario è una questione ancora aperta. Nel1936 l’ittiologo Edoardo Gridelli così scriveva riguardo alla situazione friulana:“La fario manca nelle acque del versante adriatico della Venezia Giulia e delFriuli, oppure, se vi si trova, la sua presenza è dovuta a immissioni recenti. È in-vece indigena nelle acque del versante danubiano”; cioè unicamente nei corsidella conca di Tarvisio, tributari del Danubio tramite la Gail e la Drava. L’affer-mazione categorica del Gridelli sull’assenza della fario dai corsi alpini tributaridell’Adriatico (perlomeno da quelli friulani) è stata progressivamente mitigatadagli Autori successivi, fino all’ipotesi che voleva la marmorata tipica dei corsidi fondovalle e di pianura, mentre la fario restava relegata ai torrenti d’alta quo-ta. Quest’ipotesi però presenta l’incongruenza concettuale della presenza didue sottospecie in simpatria, all’interno dello stesso bacino fluviale. È vero chela fario e la marmorata hanno tendenza a diversificare habitat e alimentazione,ma è parimenti vero che la marmorata si rinviene in molti casi anche in acqued’alta quota, specie se di portata non proprio infinitesimale (1 m3/s) e se poco onulla interessate a immissioni di fario.Secondo il Gridelli, le prime semine di fario nei fiumi della regione friulano-giu-liana risalirebbero al 1906, quando vennero immesse nell’Isonzo uova prove-nienti dall’incubatoio di Ilidze, presso Sarajevo. Proprio agli inizi del ’900, soste-nuta dalle continue immissioni a fini alieutici, la fario ha cominciato l’espansio-ne che l’ha portata ad essere di gran lunga il salmonide più diffuso sul territorionazionale. È tuttavia importante sottolineare che l’allevamento della trota e l’in-troduzione nei corsi d’acqua del materiale ittico così ottenuto non sono praticherecenti: i primi allevamenti su scala industriale vennero impiantati in varie na-zioni europee attorno alla metà del 1800, mentre in Italia il primo allevamentoittico sorse in Piemonte nel 1860. Di pochi anni successivi sono alcuni impiantifriulani e trentini, mentre nel 1885 risultano già funzionanti due impianti dema-niali promossi dal Governo italiano: il Regio Stabilimento Ittiogenico di Brescia,operante con varie filiali e decine di piccoli incubatoi in tutto il Nord Italia, e lo

Trota iridea (Oncorhynchus mykiss)

Trota mediterranea (Salmo [trutta] macrostigma)

Trota fario (Salmo [trutta] trutta)

Trota marmorata (Salmo [trutta] marmoratus)

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usando il ventre e la pinna caudale, una depressione di 20-40 cm di diametro incui depone le uova che, una volta fecondate, vengono ricoperte di ghiaia conl’uso della pinna caudale; in tal modo vengono a trovarsi sotto 5-15 cm di ghiaiae sono così relativamente al riparo da insidie ambientali. Una buona circolazio-ne interstiziale è di grande importanza per garantire l’ossigenazione delle uovadeposte: la costipazione delle ghiaie dovuta alla deposizione di limi equivale al-la distruzione delle zone di frega.L’accrescimento non è particolarmente rapido. In una troticoltura di pianura ali-mentata da acque di risorgenza le trotelle fario nell’autunno dell’anno di nasci-ta raggiungono in media il peso di 25 grammi e la lunghezza di 12-15 centime-tri, ma ben altra cosa è il torrente montano. In natura infatti i risultati sono net-tamente inferiori e sono in ogni caso dipendenti dall’ambiente: in generale vi èuna correlazione con i valori altitudinali e in ultima analisi con la temperatura,che influenza direttamente i processi metabolici. Il carattere oligotrofico dei pic-coli corsi d’alta quota gioca ovviamente la sua parte, come pure la quantità dienergia consumata per opporsi alla velocità della corrente; pertanto le trote deitorrenti montani, pur vitalissime, mostrano sempre taglie ridotte e accrescimen-to lento. È interessante ancora notare che, per quanto riguarda la trofia, le ac-que “dure”, proprie dei distretti calcarei, risultano più favorevoli delle acquescorrenti su graniti, offrendo in genere una maggiore abbondanza di organismimacrobentonici.Oltre alla velocità di accrescimento, l’ambiente condiziona anche la taglia mas-sima raggiunta. La trota fario raggiunge normalmente nelle acque correnti ita-liane dimensioni attorno ai 50 cm di lunghezza con un peso di 1,2 - 1,5 chilo-grammi; lo stesso si può dire per la macrostigma, mentre nettamente maggiore

8584 Stabilimento di Roma. La quasi totalità delle fario allevate in questi allevamenti(e immesse nei nostri corsi d’acqua) era - ed è del resto ancor oggi - di ceppo“atlantico”. La diversità tra queste fario “atlantiche”, quelle dei fiumi tributari delMediterraneo e quelle che popolano le acque del bacino danubiano non è sem-pre evidente sulla base dei caratteri morfologici, ma è ben rilevabile ricorrendoa tecniche biochimiche e di genetica molecolare. L’ipotesi dell’autoctonia dellafario nel bacino padano richiederebbe pertanto il rinvenimento in quest’area dipopolazioni “mediterranee”. Di recente, studi morfologici e molecolari hanno ri-velato che alcune popolazioni di fario presunte indigene delle Alpi piemontesi(torrenti Ripa, Chisone e pochi altri) sono filogeneticamente più vicine alle trotedi ceppo mediterraneo che non alle popolazioni originate da ripopolamenti.Analoghe considerazioni - basate però solo su caratteri morfologici - sono sta-te avanzate per le trote di alcuni piccoli corsi dell’Appennino reggiano, come adesempio il torrente Riarbero (alto bacino del Secchia). Si tratta in ogni caso ditorrenti prossimi agli spartiacque alpino ed appenninico, molto vicini cioè alletestate di valli percorse da tributari del Tirreno e cioè da acque appartenenti al-l’areale della trota mediterranea. Per questo motivo tale presenza potrebbe tro-vare spiegazioni in eventi geologici (ad es. fenomeni di cattura fluviale per ero-sione regressiva, o inversioni dell’alto corso dei fiumi nelle valli alpine in epocaglaciale) o più semplicemente in transfaunazioni ad opera dell’uomo.Alla domanda iniziale - quali trote popolano i torrenti italiani? - è quindi possibi-le rispondere, allo stato attuale delle conoscenze, riassumendo quanto sopraesposto. In tutti i corsi che affluiscono nel Po e nei tributari adriatici veneto-friu-lani è autoctona la trota marmorata; essa non è presente negli affluenti di de-stra del Po, a iniziare dal Belbo: l’assenza è probabilmente dovuta alle caratte-ristiche degli alvei, ricchi di sedimenti fini e non idonei alla sua riproduzione.Autoctone sarebbero anche alcune popolazioni di fario dell’Appennino reggia-no e del Piemonte occidentale, affini alla macrostigma. Quest’ultima risulta di-stribuita in vari corsi del versante tirrenico e ionico dell’Italia centro-meridionalee in alcuni fiumi delle due isole maggiori e della Corsica.Mentre la biologia delle popolazioni italiane di macrostigma risulta ancora pocoindagata, le conoscenze relative a marmorata e fario sono invece piuttostobuone e mostrano fra i due taxa varie analogie, ma anche alcune differenze. Inentrambe è simile il comportamento riproduttivo. La maturità sessuale vieneraggiunta dalle femmine al 3° anno d’età, mentre i maschi risultano maturi al 2°anno per quanto riguarda la fario, al 3° per la marmorata. Il periodo di frega èdeterminato da vari fattori, tra cui la temperatura e il fotoperiodo. All’avvicinarsidel momento dell’ovodeposizione la trota cessa di nutrirsi e risale i corsi d’ac-qua alla ricerca dei siti adatti; questi consistono in zone a profondità ridotta, concorrente compresa tra 20 e 60 cm al secondo, che determina un fondo conghiaie di adatta granulometria. Giunta sul luogo di frega la femmina scava,

Trota fario (Salmo [trutta] trutta)

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8786 è la taglia raggiungibile dalla marmorata, per la quale sono noti esemplari bensuperiori al metro di lunghezza con pesi prossimi ai 20 chilogrammi. Nei rii d’al-ta montagna la taglia rimane molto inferiore a queste misure e si mantiene ingenere al di sotto dei 30 cm (raggiunti al quarto-quinto anno d’età).Pur essendo la trota strettamente carnivora, il suo spettro alimentare è assaiampio, comprendendo invertebrati appartenenti ai più svariati gruppi tassono-mici: oligocheti, crostacei, insetti acquatici e insetti terrestri accidentalmentecaduti in acqua; i vertebrati sono ovviamente rappresentati soprattutto da pic-coli pesci (la predazione può riguardare anche i cospecifici), ma occasional-mente anche da anfibi e dalle loro larve. Alcuni soggetti possono avere un’ali-mentazione specializzata che talvolta porta a variazioni dei caratteri organolet-tici della carne: è il caso delle cosiddette “trote salmonate”, nelle quali il parti-colare colore arancio della muscolatura è prodotto dall’assunzione di carote-noidi (ad esempio l’astaxantina, presente nel corpo di alcuni crostacei).

I salmonidi introdotti. Oltre alle trote sinora citate, i nostri torrenti ospitanocon frequenza due specie affini provenienti dal Nord America, introdotte a finialieutici. La più nota è Oncorhynchus mykiss, la trota iridea (o trota iridata, otrota arcobaleno). Indicata fino a non molti anni fa come Salmo gairdneri, que-sta specie, importata per la prima volta in Europa dal Nord America attorno al1880 (dove è nota come “rainbow trout”), conta oggi popolazioni naturalizzateanche in Sud America, Sud Africa, Asia australe e Nuova Zelanda. Benché visiano popolazioni selvatiche in Austria e in alcune zone dell’ex Jugoslavia, nel-le acque europee la specie è da considerarsi non acclimatata, in quanto gene-ralmente non si riproduce. Anche in Italia i casi di riproduzione in acque libere,pur documentati, restano comunque un’eccezione e la diffusione dell’iridea ri-sulta pertanto fluttuante, essendo legata in maniera contingente alle immissio-ni, negli ultimi anni in sensibile calo. L’iridea è la tipica trota “da pescheria”, cioèla specie in assoluto più allevata nelle troticolture europee in virtù di un migliorcoefficiente di conversione del cibo (e quindi di una più rapida crescita) rispettoalle trote nostrane.L’altro salmonide americano occasionalmente immesso nelle nostre acque è ilsalmerino di fonte (Salvelinus fontinalis), originario delle regioni nord-orientalidell’America settentrionale, ove popola i fiumi che si gettano nell’Atlantico e nel-la Baia di Hudson, dal Nord della Georgia al Labrador. Come l’iridea, è stato in-trodotto in Europa alla fine del XIX secolo. Nei territori di origine (dov’è nota co-me “brook trout”) la specie è presente anche con forme migratrici anadrome(che migrano cioè dai corsi d’acqua al mare); in Europa si mantiene stabilmentenelle acque dolci. Nelle acque italiane il salmerino di fonte ha mostrato difficoltàa costituire popolazioni stabili nei torrenti: l’habitat e lo spettro alimentare simili aquelli delle trote indigene danno luogo a fenomeni di competizione che portano

Trota iridea (Oncorhynchus mykiss)

solitamente alla scomparsa della specie dai corsi d’acqua in cui viene introdotta,scomparsa cui potrebbero non essere estranee anche difficoltà a riprodursi inmodo adeguato. La sua immissione ha avuto invece maggior successo in alcunilaghi in quota. Le popolazioni acclimatate sono distribuite in modo molto fram-mentario sull’arco alpino e nell’Appennino settentrionale.Un altro salmerino, Salvelinus alpinus, è presente e autoctono nelle acque al-pine, sia pure in modo assai localizzato. In realtà la specie ha ampia diffusio-ne circumpolare ed è presente lungo tutte le aree costiere dei mari artici e neifiumi che vi sfociano, in cui si comporta da migratore anadromo; nell’arco alpi-no è da considerarsi un relitto glaciale. In Italia il salmerino è indigeno quasicertamente solo in alcuni laghi alpini del Trentino-Alto Adige; attualmente, inseguito a immissioni, esistono popolazioni acclimatate in vari bacini lacustrid’alta quota dell’arco alpino e dell’Appennino settentrionale. Contrariamente aquanto accade a latitudini più settentrionali, i salmerini delle Alpi sono legati inmodo esclusivo all’ambiente lacustre, dove avviene la riproduzione; il reperi-mento di esemplari in torrente è perciò occasionale.

Altre specie ittiche. Oltre ai salmonidi citati, ben poche sono le altre specie itti-che rinvenibili nei corsi alto-montani; la più ricorrente tra queste è lo scazzone(Cottus gobio), distribuito su tutto l’arco alpino e, con popolazioni isolate, in varicorsi dell’Appennino settentrionale, sia sul versante padano che su quello tirre-nico. La specie ha raggiunto l’Italia probabilmente dal distretto danubiano, in se-guito a fenomeni di cattura fluviale tra l’alto corso di fiumi cisalpini e transalpini,distribuendosi poi - durante le fasi di regressione marina conseguenti alle gla-ciazioni (e di concomitante espansione del paleo Po) - nei bacini del distretto pa-

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italiane sono state sostenute da immissioni, effettuate in molti casi con mate-riale di provenienza danubiana.Parzialmente sovrapposta alla distribuzione della trota è anche quella di dueciprinidi, il vairone (Leuciscus sopuffia) e la sanguinerola (Phoxinus phoxinus);entrambi frequentano le acque fresche e ossigenate dei corsi pedemontani ecollinari e delle risorgive della pianura, ma si rinvengono non di rado anche aquote elevate. Si tratta di due specie gregarie di piccola taglia che si intratten-gono in banchi in prossimità del fondo, evitando comunque la zone a maggiorturbolenza; frequentano anche laghetti oltre i 2000 m di quota. La sanguinero-la, che prende il nome dal color rosso vermiglio che tinge le parti inferiori delmaschio nel periodo riproduttivo, è autoctona in Italia nel distretto padano-ve-neto, mentre il vairone è indigeno dei distretti padano-veneto e tosco-laziale.Soprattutto quest’ultima specie è però oggetto di transfaunazioni più o menovolontarie (è noto l’uso che ne fanno i pescatori come pesce-esca) che hannodato luogo a popolazioni isolate in vari corsi appenninici al di fuori dell’arealeoriginario.Nelle acque appenniniche la zona a salmonidi inferiore assume connotazionidiverse rispetto alle acque alpine: condizionano il popolamento ittico le quotesul livello del mare oggettivamente più basse, le conseguenti condizioni idro-logiche, le vicende geologiche che hanno determinato le faune dei diversi di-stretti. Procedendo verso valle, la progressiva rarefazione della trota va di paripasso con la comparsa e l’incremento della presenza di varie specie di ciprini-di reofili: il barbo (Barbus plebejus), il cavedano (Leuciscus cephalus), il già ci-tato vairone, cui possono accompagnarsi nelle acque del versante padano ilbarbo canino (Barbus caninus) e nei tributari tirrenici di Toscana, Lazio e Cam-pania il barbo appenninico (Barbus meridionalis) e il cavedano dell’Ombrone(Leuciscus lucumonis). La distribuzione di tutte queste specie nell’area ap-penninica ha subito in tempi recenti molte alterazioni ad opera dell’uomo.

dano-veneto. Catture fluviali pleistoceniche fra corsi degli opposti versanti ap-penninici hanno verosimilmente determinato la successiva penetrazione nel di-stretto tosco-laziale. Si tratta di un pesce di piccola taglia (raramente raggiungei 15 cm), attivo durante le ore crepuscolari e notturne, la cui morfologia ne de-nuncia le abitudini bentoniche e la scarsa disposizione al nuoto sostenuto: l’a-spetto è tozzo, la testa è grande rispetto al corpo, con occhi spostati verso l’alto,la bocca è ampia e pare rivolta verso l’alto. Frequenta acque fresche e ossige-nate, dalla pianura fino ad oltre 1200 metri sul livello del mare.Con la trota lo scazzone dà vita ad una associazione caratteristica, con mutuirapporti di predazione e di concorrenza alimentare: lo spettro trofico compren-de invertebrati bentonici, ma anche uova di pesce e avannotti, non escludendoquelli della propria specie. Lo scazzone si riproduce da febbraio a maggio; lafemmina depone qualche centinaio di uova sulla volta di un riparo ricavato dalmaschio al di sotto di un sasso o di un altro oggetto sommerso. Ogni maschioinduce in genere più femmine a deporre nella propria cavità, e accudisce le uo-va (potendo però, come si è detto, divorarne una parte!) fino alla schiusa, cheha luogo dopo 2-3 settimane.Altre specie ittiche, tipiche della regione a salmonidi inferiore dei corsi d’acquapossono, in condizioni idrologiche particolari, risalire verso acque più marcata-mente montane. Tra queste il temolo (Thymallus thymallus), che in Italia pre-senta una distribuzione molto simile a quella della trota marmorata. Fino ad al-cuni decenni fa era abbondante in quasi tutti i tributari di sinistra del Po e in al-cuni di quelli di destra (Tanaro, Bormida), e poi nell’Adige, Brenta, Piave, Liven-za, Meduna, Tagliamento, Isonzo; in alcuni torrenti del versante padano del-l’Appennino settentrionale è stato introdotto in tempi recenti. Questa speciegregaria è da sempre considerata indicatrice di acque pulite ed è in effetti an-data rarefacendosi con il progressivo deterioramento delle condizioni ambien-tali. È per questo motivo che negli ultimi decenni molte popolazioni di temolo

Scazzone (Cottus gobio)

Vairone (Leuciscus sopuffia)

Sanguinerola (Phoxinus phoxinus)

Sanguinerola in livrea

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9190 acquatici. La salamandra nera può prescindere infatti dalla presenza di acquecorrenti o stagnanti in quanto si tratta di un urodelo viviparo: dopo un periodo digestazione molto lungo, che può durare anche quattro anni, la femmina partori-sce uno-due piccoli (raramente tre o quattro) perfettamente metamorfosati.Acquatico dalla primavera inoltrata alla tarda estate è invece il tritone alpestre(Triturus alpestris), che per il resto dell’anno frequenta i sottoboschi umidi mo-strando abitudini fossorie. La riproduzione - che vede il maschio impegnato in ri-tuali di corteggiamento - segue il periodo di quiescenza invernale; ambienti d’ele-zione sono laghetti alpini, stagni e torbiere; la specie può però essere rinvenutaanche nelle pozze marginali e nelle anse tranquille delle acque correnti dei tor-renti. Le larve si sviluppano nei mesi estivi e rimangono in acqua fino al compi-mento della metamorfosi, segnata dal riassorbimento delle branchie, mentre gliadulti in agosto iniziano a rientrare nei quartieri autunnali. In Italia la specie è pre-sente sull’arco alpino (ove è presente la sottospecie nominale), sulle Alpi Maritti-me, Appennino Ligure, Tosco-Emiliano e Laziale (Triturus alpestris apuanus) e,con popolazioni relitte, in alcune località della provincia di Cosenza (Triturus al-pestris inexpectatus). Il tritone alpestre è l’unico urodelo acquatico che si rinven-ga oltre i 1500 metri sul livello del mare; a quote inferiori è possibile incontrare al-tre specie ad esso molto simili per biologia, aspetto e comportamento: il tritonecrestato meridionale (Triturus carnifex), presente in tutta la Penisola, e il tritonepunteggiato (Triturus vulgaris), assente nelle regioni meridionali.In Italia la specie è rappresentata da due sottospecie così differenziate dal pun-to di vista morfologico, eco-etologico e genetico da aver fatto più volte supporreche si tratti di due specie distinte. La sottospecie nominale (Triturus vulgaris vul-garis) nel nostro paese si trova soltanto sulle Alpi Giulie e Carniche ove è legataa zone paludose situate all’origine di alcuni fiumi e torrenti montani. La forma me-

■ Erpetofauna

Il torrente montano nella sua facies tipica non appare certo come l’ambienteideale ad ospitare degli anfibi; purtuttavia lungo il suo corso sono frequenti picco-li ambienti marginali (anse con acqua semistagnante, rami minori a debole cor-rente, minuscoli affluenti da ruscellamento, pozze temporanee, lembi di torbiera)che offrono a questi animali buone opportunità residenziali o perlomeno riprodut-tive. Certamente laghetti, pozze d’alpeggio, torbiere estese, stagni e fondovalleimpaludati sono habitat più favorevoli, ma l’incontro con un anfibio lungo le spon-de di un rio di montagna è un avvenimento consueto, non foss’altro che per il mi-croclima umido che si instaura nelle vicinanze del corso d’acqua.Uno di questi incontri, specialmente con tempo piovoso, può riguardare la sala-mandra pezzata (Salamandra salamandra), diffusa in tutta Europa e relativa-mente comune nei boschi collinari e montani di tutta la nostra Penisola, fino aquote ben superiori ai 1000 metri sul livello del mare. Questo animale elusivo, diabitudini notturne o crepuscolari, ha generalmente costumi terragnoli. È comun-que legata all’acqua nel primo periodo di vita: le femmine infatti trattengono le uo-va fecondate all’interno del proprio corpo e partoriscono alcune decine di larvebranchiate in ruscelli a corrente non elevata o, più raramente, in raccolte di acquastagnante. I piccoli sono di norma già ben formati in autunno, ma vengono parto-riti nella tarda primavera (in estate a quote elevate). Le larve, che si nutrono di in-vertebrati bentonici, pervengono allo stadio adulto nell’arco di alcuni mesi.Sulla catena alpina e sui rilievi dinarici vive anche la salamandra nera (Sala-mandra atra); l’incontro con questo anfibio - sul versante meridionale delle Alpipossibile solo a quote elevate, oltre il limite della vegetazione arborea - è unevento raro ed occasionale, e certamente non legato alla vicinanza di ambienti

Salamandra pezzata (Salamandre salamandra) Tritone alpestre (Triturus alpestris)

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9392 laghetti montani, ma talvolta è possibile osservare i suoi girini in vene laterali deltorrente. Ogni femmina depone qualche migliaio di uova e non è infrequente im-battersi in impressionanti assembramenti di girini; solo un ridotto numero diesemplari sopravviverà però fino al quarto anno, età in cui viene raggiunta lamaturità sessuale. L’elevata mortalità solitamente dipende non tanto dai preda-tori quanto dai fattori ambientali; tuttavia va messo in rilievo che le indiscrimina-te immissioni di trote e salmerini operate in pressoché tutti i torrenti montani, masoprattutto in molti piccoli laghetti d’alta quota che non ospitavano pesci, costi-tuiscono un reale pericolo di estinzione per le popolazioni di anfibi di questi deli-cati ambienti. Altra rana rossa di montagna è la rana italica (Rana italica), rinve-nibile in molte zone dell’Appennino, talora anche oltre i 1000 metri di altitudine;più piccola della temporaria, frequenta di preferenza le sponde delle acque cor-renti, ed è un importante endemita della fauna italiana.Fra i pochi predatori naturali presenti nel torrente d’alta quota, un posto di rilie-vo spetta alla biscia d’acqua dal collare (Natrix natrix), che deve il nome alledue caratteristiche macchie chiare quasi sempre presenti dietro il capo, dop-piate da due chiazze semilunari scure. Questo serpente, molto frequente in Ita-lia, si trova in tutti gli ambienti acquatici; è un ottimo nuotatore e il suo spettroalimentare comprende soprattutto gli anfibi e le loro larve e i pesci di piccola ta-glia; invertebrati possono rientrare nella dieta degli esemplari giovanili. È comu-ne anche in ambiente montano: le grosse femmine, che spesso sono rinvenibi-li anche in ambienti moderatamente xerici lontano dall’acqua, possono spinger-

ridionale (Triturus vulgaris meridionalis)è invece più tipica della Pianura Padanae delle colline che la circondano pur po-tendo superare la quota di 800 metri.Sugli Appennini è vicariata da T. itali-cus, che lungo le aste fluviali può spin-gersi a discrete quote.Ma il più importante urodelo italiano le-gato ai torrenti appenninici è certamen-te la salamandrina dagli occhiali (Sala-mandrina terdigitata), che nei trattimontani dei ruscelli depone le uova ecompleta lo sviluppo larvale. Si tratta diun urodelo di pochi centimetri di lun-

ghezza, ma di enorme importanza evoluzionistica e conservazionistica. È infat-ti un endemita appenninico, unico rappresentante vivente di un genere di anti-che origini; si tratta forse dell’unico genere di vertebrato veramente esclusivodel nostro paese, al punto che la salamandrina dagli occhiali è stata utilizzatacome simbolo dell’Unione Zoologica Italiana.Tutti gli urodeli (e anche le loro larve) sono strettamente carnivori e ricercanoprede vive: lo spettro alimentare comprende soprattutto invertebrati acquatici,ma gli adulti predano anche uova e larve di altri anfibi.Gli ambienti acquatici marginali più sopra descritti consentono la presenza - e inqualche caso la riproduzione - anche di alcuni anuri: non è raro osservare nelleresidue pozze laterali del torrente i tipici cordoni di uova o i girini neri del rospocomune (Bufo bufo), il più grande anfibio europeo, in grado di spingersi anche ol-tre i 2000 metri. Due specie di piccole dimensioni che abbisognano solo di picco-le raccolte d’acqua temporanee per riprodursi sono la raganella (Hyla spp.) e gliululoni (Bombina variegata e B. pachypus). Le raganelle, tuttavia, ben di rado fre-quentano le porzioni più elevate dei bacini imbriferi, mentre l’ululone dal ventregiallo (B. variegata), piuttosto comune nell’Italia nord-orientale, è in grado di spin-gersi fino ai 1900 metri di quota. Pur prediligendo pozzanghere, stagni ed abbe-veratoi per il bestiame, si riproduce anche nelle anse più tranquille dei torrentimontani. Sugli Appennini esso è vicariato da una forma affine (B. pachypus) chemostra analoghe tendenze ecologiche.L’anuro tipico della montagna è però la rana temporaria (Rana temporaria); l’a-reale italiano della specie comprende l’Arco Alpino e l’Appennino settentriona-le. È una specie di bosco che può essere rinvenuta ben oltre i 2000 metri diquota, fino nelle mughete e negli arbusteti nani al di sopra del limite della vege-tazione arborea; si incontra facilmente anche nei pascoli umidi ed è frequentesulle sponde prative dei torrenti. Si riproduce preferibilmente nelle torbiere e nei

Uova di rospo comune (Bufo bufo)

Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata)

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vicinanze dell’acqua, non di rado sotto un ponte o dietro una cascatella, spes-so inserito nella cavità di una roccia o di un muro o fra le radici di un albero, maanche celato fra le erbe della sponda.Tra marzo e aprile, secondo un calendario influenzato dalla quota e dall’anda-mento della stagione, avviene la deposizione delle uova, che schiudono dopo15-18 giorni. I piccoli vengono nutriti da entrambi i genitori e dopo una ventinadi giorni abbandonano il nido. In questa fase non sono ancora in grado di vola-re, ma sono già piuttosto abili nel nuoto, e iniziano così un processo di affran-camento dai genitori che li porterà in tempi piuttosto brevi - altre 4 o 5 settima-ne - a distribuirsi lungo il corso d’acqua natìo o in altri torrenti con erratismi an-che di svariate decine di chilometri.In generale il merlo acquaiolo è molto legato alla zona di nidificazione. Tuttaviaspostamenti verticali verso il fondovalle vengono attuati nei mesi invernali daisoggetti che vivono alle quote maggiori, e nelle stagioni più sfavorevoli alcuniindividui possono comparire anche in pianura. L’abbandono del territorio si de-termina talvolta in seguito ad alterazioni ambientali, in quanto la specie si rive-la assai sensibile alla qualità dell’acqua ed ai mutamenti del regime idrologicodel corso: ciò avviene, verosimilmente, per i conseguenti riflessi sulla disponi-bilità trofica.Altre - poche - specie ornitiche, pur senza aver nulla dell’acquaticità del merloacquaiolo, nidificano regolarmente lungo le sponde del torrente. Una di queste

si anche oltre i 1500 metri di altitudine, e la loro alimentazione va a comprende-re soprattutto rospi, rane, micromammiferi e lucertole. Pur essendo l’unico retti-le acquatico a queste quote, la biscia d’acqua dal collare non è però il solo ser-pente che si possa incontrare sulle sponde del torrente montano: il bosco ripa-riale moderatamente umido, specie lungo i corsi di fondovalle, è congeniale allapresenza del saettone (Elaphe longissima), mentre i massi e le ghiaie dei gretipossono essere siti di termoregolazione sia per colubridi sia per viperidi. Fraquesti ultimi, preferenza per ambienti con un certo grado di umidità manifesta ilmarasso (Vipera berus), ora presente in Italia solo sull’arco alpino, certamenteuno dei serpenti meglio adattati alle alte quote. Strette affinità corologiche edecologiche con il marasso, con cui spesso coabita, sono evidenziate dalla lucer-tola vivipara (Zootoca vivipara). Le Alpi e la Pianura Padana rappresentano ilmargine meridionale del suo vastissimo areale che comprende buona parte delcontinente euroasiatico. Alle nostre latitudini la microtermia della specie ne limi-ta la presenza agli ambienti montani e submontani al di sopra dei 600-700 metridi altitudine e ad alcune stazioni di pianura infrigidite dal fenomeno delle acquedi risorgenza, ove vive la forma ovipara Z. v. carniolica.

■ Ornitofauna

Contrariamente ai corsi idrici di pianura, in condizioni di naturalità frequentatida una ricca avifauna che trae giovamento dalla varietà degli habitat, dalla ric-chezza di nicchie ecologiche e dalla buona disponibilità trofica, il torrente mon-tano costituisce un ambiente severo, che offre ben poche opportunità agli uc-celli acquatici.Una sola specie risulta in questo ambiente strettamente legata per tutto l’arcodell’anno all’elemento liquido: si tratta del merlo acquaiolo (Cinclus cinclus),singolare passeriforme presente sia sull’arco alpino sia sull’Appennino.La straordinaria peculiarità di questo animale consiste nell’estrema disinvolturacon cui non solo si immerge e nuota, ma anche cammina sul fondo del torren-te, procedendo di solito in senso contrario alla corrente e aiutandosi con movi-menti equilibratori delle ali e della coda.Queste immersioni possono durare anche una quindicina di secondi, e con-sentono al merlo acquaiolo di catturare gli organismi di cui si nutre: principal-mente invertebrati bentonici, ma anche uova e avannotti di pesci; la dieta com-prende occasionalmente una componente vegetale molto ridotta, costituita so-prattutto da semi caduti in acqua.La specie risulta più frequente come nidificante fra i 500 e i 1700 metri di quo-ta, ma nelle zone prealpine può nidificare fin quasi in pianura, mentre sono pe-raltro note nidificazioni oltre i 2200 metri nelle Alpi occidentali. Il nido, di formasferica, viene costruito con muschio e altro materiale vegetale nelle immediate

Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus)

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9796 è lo scricciolo (Troglodytes troglodytes)che nidifica, con poche eccezioni, inaree montane e collinari a quote com-prese tra i 500 e i 2000 metri. In marzo-aprile il maschio, fortemente territorialee non di rado poligamo, costruisce unoo più nidi di muschio di forma globosa apochi metri d’altezza dal suolo, di rego-la nei sottoboschi umidi e ombrosi espesso in vicinanza di un corso d’ac-qua. La cova e l’allevamento della prolesono invece lasciati alla femmina (o al-le femmine). Quasi sempre, solitamen-te a giugno, viene effettuata una se-conda deposizione. Lo scricciolo è pre-sente - nelle aree adatte - in tutto il ter-ritorio italiano. Le poche coppie che ni-dificano in pianura mostrano preciseesigenze microclimatiche e sono quasisempre localizzate nei boschi ripariali.Analogo discorso vale per il beccafico(Sylvia borin), un piccolo silvide che inItalia nidifica sull’Arco Alpino e sull’Ap-pennino settentrionale ad altitudini soli-tamente tra i 900 e i 2000 metri, prefe-rendo i lariceti radi, la fascia degli arbu-sti contorti e - in particolare - i freschicespuglieti che bordano i torrenti. La

specie nidifica sporadicamente a quote inferiori, in aree collinari, e di rado an-che in pianura, dove risulta sempre associata a sponde con folta copertura ve-getale a salici e ontani. Il beccafico ha un comportamento alquanto schivo, edè localizzabile soprattutto al canto.La presenza di questo silvide, migratore transahariano, è esclusivamenteestiva. Meno elusive e di frequente incontro sulle rive del torrente sono duespecie tra loro affini, la ballerina bianca (Motacilla alba) e la ballerina gialla(Motacilla cinerea), ubiquista la prima, più strettamente legata all’acqua laseconda. Il nido della ballerina gialla viene posto in ogni tipo di anfratto in vi-cinanza della sponda; talvolta vengono anche utilizzati vecchi nidi di scriccio-lo o di merlo acquaiolo. Entrambe le specie sono comuni nelle aree collinari emontane di tutta la Penisola; la densità è minore in pianura, in special modoper la ballerina gialla.

■ Mammalofauna

I mammiferi presenti nei territori mon-tani in Italia costituiscono un gruppo dispecie discretamente numeroso, ma diben pochi di essi si può dire che risulti-no legati in senso stretto ad ambientid’acqua dolce, e al torrente d’alta quo-ta in particolare. Le sue sponde cono-scono le scorribande dei camosci, ilpascolo vigile delle marmotte, le caccedell’ermellino e i frenetici andirivieni diinvisibili roditori; ma per elencare lespecie veramente acquatiche - chesvolgono cioè alcune delle loro abituali attività dentro l’elemento liquido - ba-stano ampiamente le dita di una mano. Due di esse sono minuscoli insettivori lacui “acquaticità” è suggerita già dal nome: il toporagno d’acqua (Neomys fo-diens), diffuso in quasi tutte le regioni italiane, ma assente dalle isole e dal me-ridione d’Italia, e il toporagno acquatico di Miller (Neomys anomalus), diffuso intutta la Penisola. Pur essendo i più grandi tra i topiragno italiani, si tratta di spe-cie di piccolissima taglia (70-90 mm esclusa la coda il primo, appena più picco-lo il secondo) e come tali caratterizzate da un forte tendenza al raffreddamentoe da un conseguente elevatissimo livello metabolico indispensabile a mantene-re costante la temperatura corporea, tanto più se gli ambienti frequentati sonoa clima rigido. Ecco perciò che le frequenze cardiaca e respiratoria sono moltoalte; anche la ricerca del cibo è frenetica e continua, e avviene sia a terra chesott’acqua. Neomys fodiens appare fra i due il più adattato all’ambiente subac-queo disponendo, lungo tutta la parte inferiore della coda e sui margini dellezampa posteriori, di frange che ne migliorano l’attitudine al nuoto. In Neomysanomalus tali strutture sono presenti in misura ridotta e, per quanto riguarda lacoda, sono del tutto assenti o limitate alla porzione terminale. Entrambe le spe-cie sono in grado di chiudere le aperture auricolari durante l’immersione.Lo spettro alimentare comprende invertebrati terrestri ed acquatici, ma ancheanfibi e pesci di piccola taglia e le loro larve; un ausilio alla cattura delle predeviene dalla saliva, che contiene sostanze tossiche trasmesse con il morso. Re-centi ricerche indicano che Neomys fodiens è in grado di raggiungere fonti ali-mentari anche profondamente sommerse, mentre N. anomalus limita le sua at-tività trofiche alla superficie delle torbiere ed ai prati umidi. La tana è sotterra-nea, ed è costituita da una cavità collegata all’esterno da cunicoli, almeno unodei quali sbocca in genere sotto il pelo dell’acqua; parte di essa viene tappez-zata da erbe, muschi e altri residui vegetali a costituire il nido del parto. Questi

Ballerina bianca (Motacilla alba)

Beccafico (Sylvia borin) Toporagno d’acqua (Neomys fodiens)

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in pianura - in conseguenza delle grandi opere di bonifica e dell’imporsi dell’a-gricoltura intensiva; il generalizzato degrado del reticolo idrico, soggetto asempre maggiori alterazioni antropiche; il prolungato protrarsi dell’attività ve-natoria sulla specie, considerata “nociva” in Italia fino al 1978; l’impatto dieventi negativi occasionali, come ad esempio gli investimenti stradali, su po-polazioni già numericamente esigue.Ma il fattore decisivo, quello che ha fatto della flessione numerica della lontra intutta l’Europa occidentale un evento sincrono, repentino, silenzioso e inizial-mente sottostimato, è stato quasi certamente il massiccio impiego in agricoltu-ra di pesticidi organoclorurati (DDT, Aldrina, Dieldrina, Lindano ed Eptaclor). Aqueste sostanze, ormai bandite da gran parte dell’Europa, si é più tardi aggiun-ta un’altra categoria di pericolosi inquinanti, i policlorobifenili (PCB), utilizzatianche in Italia fino al 1983 come fluidi idraulici, plastificanti, dielettrici, scambia-tori di calore, additivi negli olii lubrificanti. Fra l’altro ancor oggi la combustionedi varie materie plastiche porta alla liberazione di PCB, che nell’atmosfera pos-sono essere trasportati a grande distanza. Tutte queste sostanze sono liposo-lubili, estremamente stabili, soggette a lentissimi fenomeni di bioaccumulo, esono in grado di provocare una flessione della fertilità positivamente correlataalla loro concentrazione nell’organismo dei predatori.Le conseguenze, per quanto riguarda il nostro Paese, sono emerse con dram-matica evidenza da una imponente indagine condotta da vari gruppi di ricerca-tori su tutto il territorio italiano: i risultati, pubblicati nel 1986, vedevano le ultimepopolazioni di lontra disperse e confinate in un esiguo numero di bacini fluviali.Da allora il declino è ancora proseguito. In Italia la lontra oggi sopravvive sol-tanto in alcune zone depresse del centro e meridione, con un numero di effetti-vi che secondo le più ottimistiche stime non supera le 130 unità.Va detto comunque che le lontre sono tendenzialmente animali di pianura odi collina. Con l’aumento di quota, infatti, la produttività degli ecosistemi flu-viali decresce, i corsi d’acqua diventano oligotrofici, e la disponibilità di risor-se si fa complessivamente molto limitata. Per questo motivo, anche in condi-zioni ottimali la densità popolazionale della specie è inversamente correlataall’altitudine; attorno ai 400 metri cala drasticamente fino a raggiungere valo-ri subliminali nelle aste fluviali d’alta quota, ove la presenza della specie èsempre stata sporadica e limitata a ben precise fasi del ciclo vitale. Le mag-giori quote sono infatti dominio stagionale dei giovani esemplari in dispersio-ne: in questa fase essi risalgono i minori affluenti, si disperdono alla ciecalungo i versanti vallivi, superano i crinali - spingendosi talora sino ai 2000 me-tri - e assicurano lo scambio di geni fra le popolazioni dei diversi bacini imbri-feri. Nell’attuale realtà italiana questo avviene molto raramente, e fra i proble-mi delle nostre popolazioni di lontra va annoverato certamente anche l’isola-mento genetico.

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toporagni sono fortemente territoriali: non solo le immediate vicinanze della ta-na, ma anche il territorio di caccia vengono attivamente difesi dall’ingresso deicospecifici con un grado di aggressività alquanto elevato. I combattimenti chene conseguono, pur violenti, sono però molto ritualizzati e pertanto di solito pri-vi di conseguenze gravi. Neomys fodiens è la specie più territoriale, mentre N.anomalus appare più gregario.Uno dei carnivori forestali più legati alle fresche e umide golene boscose deglialvei fluviali è la puzzola (Mustela putorius), che in questi ambienti ricerca so-prattutto anfibi e topi. La specie è in fase di regresso in tutta l’Europa occiden-tale, ma sopravvive in gran parte degli impervi tratti montani delle aste fluvialialpine ed appenniniche.Parlando di mammiferi acquatici non si può non citare la lontra (Lutra lutra).Questo magnifico carnivoro, estremamente esigente sia dal punto di vista tro-fico, sia dal punto di vista delle scelte ambientali, diffuso fino alla metà del ’900- sia pure con densità diverse - in tutti gli ambienti acquatici del nostro Paese,è oggi probabilmente il mammifero a maggior rischio di estinzione non solo inItalia, ma nell’intera Europa. Le cause del drammatico e simultaneo crollo ver-ticale delle popolazioni europee di questo mustelide vanno ricercate in unapluralità di fattori: la vulnerabilità derivante dallo status di superpredatore, equindi da una densità in natura di per sé normalmente non elevata; la riduzio-ne degli habitat idonei alla presenza della specie, costituiti da estesi boschi ri-pariali, dovuta agli imponenti mutamenti ambientali sopravvenuti - soprattutto

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Puzzola (Mustela putorius)

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Molto spesso, nella comune percezione del territorio in funzione dell’uso uma-no, il torrente di montagna è visto come una via di deflusso, di drenaggio delleacque che scorrono entro un alveo per raggiungere il più rapidamente possi-bile la pianura. Drenaggio che spesso equivale anche a smaltimento dei refluidelle attività umane.Questa visione, che potremmo definire quasi “ingegneristica”, giustifica gli in-terventi sui corsi d’acqua, il tentativo perenne di piegare la natura al voleredell’uomo al fine di far giungere l’acqua in pianura nel modo più rapido ed in-dolore possibile, evitando i danni che le piene arrecano agli insediamenti edalle attività produttive umane. Si tratta tuttavia di una visione limitante, poichèillustra solo parte della realtà. Infatti, dal punto di vista dell’ecologo, il torrenteè un ecosistema, o meglio una successione di ecosistemi che si susseguonodalla sorgente alla foce, ognuno dei quali ospita comunità animali e vegetalidiversificate. In questo capitolo verrà illustrato il funzionamento di questo eco-sistema, e verranno esaminati i fattori che ne regolano la struttura e la diver-sità.

■■ Le zonazioni dei corsi d’acqua

Nell’ambito degli studi sulla distribuzione della flora e della fauna delle acquecorrenti assume particolare rilievo l’individuazione delle “zone ecologiche” chesi susseguono dalla sorgente alla foce dei corsi d’acqua. Le zonazioni furonooriginariamente individuate soprattutto in funzione della distribuzione della fau-na ittica, ed uno dei pionieri di questa ricerca fu l’ittiologo francese Marcel Huetnell’immediato dopoguerra. I lavori di Huet hanno posto in luce come la struttu-ra del popolamento ittico vari in relazione alla pendenza dei corsi d’acqua, ve-nendo influenzata da tutti i parametri chimici, fisici e morfologici che con la pen-denza sono strettamente correlati. Si tratta della famosa “regola delle penden-ze”, che distingue i popolamenti ittici lungo un ideale corso d’acqua in base adalcune “specie guida” caratteristiche di ogni singola zona piscicola (altre specieche mostrano preferenze per una determinata zona vengono dette “specie dicorteggio”). Questa classificazione è stata (ed è tuttora) largamente usata nel-l’Europa centro-settentrionale - sulla cui realtà ambientale è stata tarata - e conmodifiche viene utilizzata anche in Italia. L’uso delle “zone piscicole” ha comun-

Ecologia dei torrenti montaniFABIO STOCH

Alle quote più elvate i torrenti possono essere alimentati dal lento e continuo sciogliersi di nevi e ghiacci

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103102 mente una corrispondenza tra popola-menti macrobentonici e popolamenti it-tici; pertanto al rhithral si può far corri-spondere la zona a salmonidi, mentreal potamal corrispondono essenzial-mente le zone a ciprinidi.La delimitazione di queste zone non ènetta, nè è semplice applicare questaclassificazione a tutte le regioni; lamorfologia del territorio in cui si trova ilreticolo idrografico oggetto di studiopuò alterare drasticamente lo schemaproposto. Queste metodiche “tradizio-nali” utilizzate nel definire le zone eco-logiche sono ritenute da parte di moltiidrobiologi insoddisfacenti per la man-canza di un metodo scientificamente“rigoroso” per stabilire l’appartenenzatipologica di un tratto di corso d’acqua,carenza che lascia ampio spazio allescelte soggettive. Questo problema ècomplicato dal fatto che le zone nonsono ben delimitate, ma sovente sfu-mano le une nelle altre accavallandosi.Secondo l’idea originale di Illies e Boto-saneanu, ogni volta che un affluente dirilevo confluisce con il corso d’acquaoggetto di studio, le variazioni di porta-ta causerebbero variazioni nella com-posizione delle comunità macrobento-niche; non si tratta tuttavia di un fattocomprovato e generalizzabile. A questimetodi “storici” si sono affiancati per-tanto negli ultimi anni moderni metodimatematici (statistica multivariata) checonsentono, con l’aiuto degli elaborato-ri elettronici, di ragguppare le stazionistudiate (classificazione gerarchica) odi ordinarle lungo assi (ordinamento) inbase alla somiglianza dei loro popola-menti faunistici.

que principalmente un valore pratico più che teorico, poiché trascura il restodella fauna.Secondo Huet, lungo il corso di un fiume si vengono a distinguere quattro zone:● zona a trota: acque veloci, fredde e ben ossigenate, con substrato a granulo-metria eterogenea (roccia, massi, ciottoli, ghiaia grossolana) e assenza di vege-tazione acquatica; specie guida: trota fario e scazzone; eventuali specie di cor-teggio: pochi ciprinidi reofili, quali sanguinerola e vairone;● zona a temolo: acque meno veloci, ma ancora fredde e ben ossigenate; sub-strato ghiaioso a granulometria costante; vegetazione sommersa in prevalenzaalgale e muscinale, ma compaiono le prime macrofite nei tratti a corrente piùlenta; specie caratteristica è il temolo, accompagnato da salmonidi e alcuni ci-prinidi reofili;● zona a barbo: la pendenza dell’alveo diminuisce e la corrente rallenta; l’ossi-genazione è ancora buona; il substrato è ghiaioso e sabbioso, la copertura ma-crofitica si fa consistente; il barbo, specie guida, è accompagnato da cavedanoed altri ciprinidi;● zona ad abramide: la pendenza diviene molto dolce, la corrente è lenta, il sub-strato prevalentemente fangoso e la copertura macrofitica consistente; l’abrami-de (Abramis brama) è assente dalla nostra fauna; in Italia la specie guida è quin-di considerata la carpa, accompagnata da tinca, scardola, alborella, triotto.Le prime due zone constituiscono l’insieme delle “acque a salmonidi” - e sonoquelle che interessano i torrenti di montagna - mentre le ultime due quello delle“acque a ciprinidi”, confinate alle aree collinari e pedemontane, nonché ovvia-mente a quelle planiziarie. Questa semplice suddivisione è di estrema utilità pra-tica, tant’è vero che in Italia è stata adottata anche da una recente normativa dilegge (D.L. 25 gennaio 1992 n. 130) che recepisce una direttiva comunitaria (at-tuazione della direttiva 78/659/CEE sulla qualità delle acque dolci che richiedo-no protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci).Il concetto di “zonazione ecologica” delle acque correnti è stato ribadito in se-guito da Illies e Botosaneanu in un lavoro “storico” apparso nel 1963, da consi-derarsi come una vera trattazione organica del problema, con particolare riferi-mento alla componente macrobentonica. Centrato principalmente sul concettodi “zonazione”, il lavoro di Illies e Botosaneanu distingueva essenzialmente tregrandi “zone ecologiche” che sono state denominate, con una terminologia an-cor oggi largamente usata, crenal (o krenal, zona delle sorgenti), rhithral (ru-scelli e torrenti) e potamal (fiumi di pianura). Per ogni zona, piuttosto eteroge-nea, sono state poi indicate delle sottozone (si parla allora di ipocrenal, epi-, me-ta- e iporhithral e di epi-, meta- e ipopotamal). Ad ognuna di queste tre zone cor-rispondono indubbiamente popolamenti macrobentonici molto diversi tra loro (lecomunità animali insediate in queste zone hanno desinenza in -on: pertanto adesempio viene definito crenon il popolamento tipico del crenal). Esiste ovvia-

Crenal (zona delle sorgenti)

Iporhithral (zona inferiore dei torrenti montani)

Metarhithral (zona intermedia dei torrenti)

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105104 ■ Il River Continuum Concept

Nonostante l’interesse e l’utilità pratica di suddividere i corsi d’acqua in “zoneecologiche”, il concetto stesso di zonazione è stato ritenuto da alcuni ricercato-ri non solo impreciso, ma addirittura privo di significato, poiché non terrebbeconto del fatto che le comunità a monte influenzano quelle a valle attraverso iltrasporto di materia da parte dell’acqua corrente. Secondo questi studiosi, ilcorso d’acqua si configura come una successione di ecosistemi dalla sorgentealla foce. Gli autori americani Vannote, Minshall, Cummins, Sedell e Cushingsono stati, in un lavoro passato alla storia dell’ecologia, i proponenti del RiverContinuum Concept. Secondo questo modello, la struttura delle comunità variagradualmente dalla sorgente alla foce dei fiumi senza soluzioni di continuità, infunzione della pendenza, della velocità della corrente e di tutti i fattori fisico-chi-mici (temperatura, ossigeno e sali disciolti nelle acque), morfologici (granulo-metria del substrato) e trofici (presenza di sostanza organica particellata) adessi legati.Nonostante questo concetto sia molto convincente da un punto di vista teorico,è tuttavia innegabile che molti corsi d’acqua mostrano bruschi cambiamentidelle condizioni ambientali (in particolare del regime idraulico) che contribui-scono ad una reale zonazione delle comunità biologiche. Numerose e giustifi-cate sono state pertanto le critiche al concetto di continuum. In realtà, comemolto spesso accade nelle dispute scientifiche, la verità sembra stare nel mez-zo, o anzi, in questo caso, da ambo le parti. I concetti di zonazione e continuumsono in realtà due modi diversi per rappresentare lo stesso fenomeno e sonostati già ampiamente dibattuti in altri campi, come ad esempio nella fitosociolo-gia (la branca della botanica che si occupa di studiare le associazioni vegetali).Il continuum è infatti un concetto teorico, che parla di un gradiente dalla sor-gente alla foce che può essere in parte ideale e serve a formulare teorie chevanno successivamente testate per via sperimentale. Qualsiasi continuum teo-rico calato nella realtà locale si frammenta in più zone ecologiche in funzionedelle particolarità del territorio: la zonazione è pertanto l’aspetto reale del con-tinuum, ed è molto utile per inquadrare le comunità in uno schema pratico e fa-cilmente comprensibile.

■ Ecologia degli invertebrati bentonici

Gli invertebrati bentonici dei corsi d’acqua, cioè tutti quegli organismi che vivo-no in prossimità del substrato o al suo interno, possono essere ascritti a tregrandi gruppi ecologici. Con il termine microfauna intendiamo tecnicamente tut-ti quei microscopici organismi che passano attraverso un retino con vuoto dimaglia di 60 µm (60 millesimi di millimetro); vi appartengono la maggior parte

FRAMMENTATORI PASCOLATORI PREDATORI BATTERIRACCOGLITORI

FRAMMENTATORI PASCOLATORI PREDATORI BATTERIRACCOGLITORI

PREDATORI BATTERIRACCOGLITORI

MATERIA ORGANICAGROSSOLANA

MATERIAORGANICAFINE

Successione delle comunità dimacroinvertebrati lungo uncorso d’acqua secondo il RiverContinuum Concept

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ro ciclo vitale (freatofili, in particolare giovani larve di plecotteri e ditteri chirono-midi). Andando invece più in profondità nel sedimento le condizioni ambientalisono più stabili e le acque, seppure meno ossigenate, fluiscono in modo piùlento e costante; è questo il luogo dove potremo trovare i freatobi, cioè gli orga-nismi esclusivi dell’ambiente interstiziale. I freatobi sono una particolare cate-goria di stigobi, nome molto in uso che raggruppa tutti gli organismi che sonoesclusivi delle acque sotterranee.Lo studio dei freatobi si è sviluppato in particolare nella seconda metà del se-colo scorso; le difficoltà sono insite soprattutto nel metodo di campionamentoidoneo a sondare l’ambiente interstiziale. Due sono le principali metodiche diraccolta di questi organismi, tecnicamente molto semplici. La prima (che dagliideatori prende il nome di metodo Karaman-Chappuis) consiste nello scavaredelle buche nella ghiaia e nella sabbia non lontano dalla riva del torrente; l’ac-qua interstiziale che riempie la buca dopo un certo lasso di tempo (che dipen-de dalla permeabilità del substrato) viene raccolta con un recipiente e filtrataattraverso un retino a maglie fitte. Il secondo metodo (metodo Bou-Rouch) ri-chiede l’uso di una pompa manuale, che si applica ad una sonda metallica bu-cherellata nel tratto terminale; la sonda viene infissa nella ghiaia sul fondo deltorrente, in cui può esser fatta penetrare anche per 1-2 m di profondità (a se-conda del tipo di substrato) e con essa si aspira l’acqua interstiziale contenen-

dei protozoi, molti nematodi e gli stadi giovanili di organismi di maggiori dimen-sioni. La microfauna dei corsi d’acqua è ancora pochissimo studiata e pertantonon ce ne occuperemo in questa sede.La meiofauna raggruppa tutti quegli animali che sono trattenuti dal setaccio oretino precedentemente citato, ma passano invece attraverso un retino convuoto di maglia di 500 µm. Si tratta grossolanamente di organismi di taglia infe-riore al millimetro: oligocheti, nematodi, acari, copepodi, ostracodi.Infine i macroinvertebrati vengono trattenuti da un retino con vuoto di maglia di500 µm; vi appartengono i più noti abitatori delle acque correnti; ne abbiamoparlato diffusamente nel capitolo dedicato agli invertebrati.Esaminando superficialmente questa classificazione, si potrebbe pensare che imacroinvertebrati siano i più importanti componenti delle comunità dei torrenti;le loro maggiori dimensioni fanno ritenere che in termini di biomassa siano gliorganismi più abbondanti, ed il fatto che sono largamente studiati ed utilizzaticome indicatori farebbe supporre che da soli siano sufficienti a caratterizzarel’ecologia dei corsi d’acqua. In realtà l’esperienza dimostra che non è così. I po-chi studi effettuati sulla densità della meiofauna dei torrenti ha dimostrato chequesta, in termini sia di numero di individui sia di biomassa, è talora largamen-te superiore a quella dei macroinvertebrati. Ne deduciamo che i macroinverte-brati sono ampiamente studiati solo perché più facilmente campionabili edidentificabili, ossia solo perché si avvicinano maggiormente alla scala di perce-zione dell’occhio umano.

La meiofauna. Nei torrenti di montagna la meiofauna popola l’ambiente delleacque cosiddette “interstiziali”, ossia le acque che scorrono negli interstizi cheseparano i granuli di ghiaia e sabbia. Naturalmente il fattore più importante checondiziona l’abbondanza e distribuzione della meiofauna è dato dalla granulo-metria del substrato: l’ampiezza degli interstizi pone dei limiti fisici alle dimen-sioni della fauna. Se i granelli di sabbia sono troppo piccoli (fatto che accade ra-ramente nei torrenti di montagna, ma è più frequente nei fiumi di pianura), an-che gli spazi interstiziali saranno piccoli - spesso colmatati da detrito organico -e la meiofauna sarà molto povera. Quando invece i granuli di ghiaia sono trop-po grossi, come nei tratti ad elevata pendenza, il flusso dell’acqua tra i granulisarà troppo elevato ed anche in questo caso la meiofauna sarà povera. Abbia-mo invece una ricca fauna interstiziale nei tratti con spessi depositi di ghiaia fi-ne e sabbia grossolana.Anche la stabilità delle condizioni chimico-fisiche è importante; nel tratto postoimmediatamente sotto la superficie del substrato sul fondo dei torrenti (la co-siddetta “zona iporreica”), le fluttuazioni dei parametri ambientali sono marcatee la meiofauna è composta in prevalenza da organismi occasionali in questoambiente (freatosseni), o che conducono in questa zona solo una parte del lo-

La fauna dell’ambiente interstiziale

Ostracodi

Oligochete Proasellus

Copepodi

Copepode ciclopoide

Gasteropode

Bathynella

Niphargus

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rie debbano necessariamente variare lungo un corso d’acqua, in funzione prin-cipalmente della disponibilità di sostanza organica. Il River Continuum Conceptha come suo punto fermo la graduale variazione della disponibilità di sostanzaorganica dei diversi tipi spostandosi dalla sorgente alla foce di un corso d’ac-qua e pertanto presuppone che le reti alimentari varino di conseguenza in unmodo che può essere predetto dalla teoria. I frammentatori sono in genere piùabbondanti nei tratti superiori dei corsi d’acqua (dove, in funzione della velocitàdella corrente, è maggiormente disponibile la sostanza organica grossolana); ifiltratori aumentano gradualmente scendendo lungo un torrente, finché la cor-rente non diviene troppo lenta, rendendo inefficiente il meccanismo di filtrazio-ne; i pascolatori sono più abbondanti nei tratti intermedi dei torrenti; infine i rac-coglitori sono dominanti nei tratti inferiori, nei fiumi di pianura o nelle anse late-rali dei torrenti di montagna ove vi è accumulo di detrito. Tutti questi organismipertanto svolgono quello che viene definito “riciclaggio della sostanza organi-ca”: si nutrono cioè, ad eccezione degli erbivori, di detrito grossolano e fine, “ri-ciclandolo”. Il ruolo di questi organismi è pertanto fondamentale anche nel rici-claggio della sostanza organica prodotta da fenomeni di inquinamento (adesempio da scarichi fognari), contribuendo a quello che viene definito “potereautodepurativo” di un corso d’acqua.

te i freatobi. L’applicazione di questi semplici metodi ha dischiuso agli scienzia-ti un intero nuovo mondo di esseri stranissimi, ciechi e depigmentati, con organidi senso molto sviluppati e modificazioni del corpo idonee a raggomitolarsi tra igranuli di sedimento (forme volvazionali), o dal corpo allungato atto a infilarsi ne-gli interstizi tra granulo e granulo (forme allungate e vermiformi).A misura di quanto si sale lungo il corso dei torrenti e si raggiungono quote piùelevate, man mano la granulometria del substrato diviene più grossolana ed ilnutrimento più scarso; la diversità dei freatobi diminuisce pertanto con la quota.I freatobi sono dunque poco abbondanti nei tratti glaciali, ma non per questoassenti; anzi proprio in questi tratti si rinvengono alcune specie rare e taloraendemiche, esclusive di un’area limitata a pochi massicci alpini.

Macroinvertebrati e categorie funzionali. Nelle acque correnti l’attenzionedegli ecologi è stata rivolta principalmente al ruolo funzionale che gli inverte-brati, come consumatori, rivestono nella rete alimentare e pertanto alle moda-lità con le quali si procurano il cibo. Il pioniere di questi studi fu l’americanoCummins che nel 1974 ideò uno schema che attribuisce gli invertebrati dei tor-renti a quattro categorie principali:● frammentatori (shredders): sono invertebrati che si nutrono di detrito (detriti-vori) e, alimentandosi, frammentano la sostanza organica grossolana (cioè lecui particelle hanno un diametro superiore ai 2 mm); appartengono a questacategoria, ad esempio, le larve di tricotteri limnefilidi, molte larve di plecotteri, icrostacei antipodi● collettori (collectors): sono detritivori che si nutrono della sostanza organicafine (cioè particelle di diametro inferiore ai 2 mm) che possono procurarsi indue modi; i raccoglitori (gatherers) la raccolgono dal fondo, dai detriti organici edai sedimenti (esempio: larve di efemerotteri scavatrici come quelle del genereEphemera; oligocheti; molte larve di chironomidi; la maggior parte della meio-fauna); i filtratori (filterers) filtrano invece l’acqua corrente ricavandone le parti-celle alimentari trasportate della corrente (ad esempio le larve di ditteri simulii-di, le larve di tricotteri idropsichidi)● pascolatori (grazers)-raschiatori (scrapers): si nutrono delle alghe e dellostrato organico attaccato al substrato o a detrito grossolano (tronchi, foglie,ecc.) che possono prelevare o raschiare con l’apparato boccale appositamenteconformato; vi appartengono ad esempio i coleotteri elmidi, gli efemerotteri ep-tageniidi o, tra i raschiatori, i gasteropodi● predatori (predators): vi appartengono i carnivori, che predano altri inverte-brati; tra questi ad esempio gli irudinei, le larve di odonati, i coleotteri ditiscidi, ichironomidi tanipodini; appartengono ovviamente a questa categoria, pur nonessendo invertebrati, i pesci come salmonidi e cottidi.Naturalmente si può intuire come le abbondanze relative delle diverse catego-

FRAMMENTATORI

MATERIA ORGANICAIN SOSPENSIONE

MATERIA ORGANICAGROSSOLANA

MATERIA ORGANICAIN SOSPENSIONE

LUCE

MATERIA ORGANICAFINE

PASCOLATORI

PREDATORIPREDATORI

BATTERI

RACCOGLITORI

MATERIA ORGANICAFINE

PRODUTTORI

Rete alimentare di un torrente montano

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111110 ■ I fattori che regolano la biodiversità

Il rhithral dei torrenti (con le sue acque fresche ed il substrato ciottoloso e ghiaio-so, ricco di interstizi e idoneo ad albergare numerosi organismi) rappresenta ilcorso d’acqua ideale per la coesistenza di un elevato numero di specie, cioèquello che oggi viene definito “ambiente ad elevata biodiversità”.La biodiversità dei torrenti può venire spiegata in funzione di due distinti ambititemporali, uno storico ed uno ecologico. Da un punto di vista storico, la diver-sità è il prodotto finale della radiazione adattativa in un ambiente che cambialentamente in un lungo periodo di tempo, a partire da iniziali colonizzatori: lanascita di nuove specie in questi ambienti è conseguenza della distribuzionedella fauna, dell’isolamento dei bacini idrografici e della selezione naturale cheopera per lunghi periodi di tempo. Da un punto di vista ecologico, è importantela variabilità delle condizioni ambientali: questa può essere funzione di eventieccezionali (come nel caso di una piena o di un intervento antropico), o conti-nua nel tempo (come per le variazioni stagionali di temperatura e nutrienti) enello spazio (variazioni di velocità della corrente e granulometria del substratolungo un corso d’acqua).In alcuni corsi d’acqua la variabilità nel tempo delle condizioni ambientali è mol-to modesta; è questo il caso dei rivoli che escono dalle sorgenti. In altri, comenel tratto rhithrale, si assiste a variazioni cicliche, che possono essere previstecon semplici modelli matematici in funzione delle condizioni climatiche dell’a-rea. In altri ancora (torrenti intermittenti, o corsi d’acqua effimeri) prevalgonovariazioni brusche e che possiamo prevedere sono in parte, come piene im-provvise e siccità durante i periodi meno piovosi. Gli invertebrati delle acquecorrenti sviluppano strategie di vita molto differenziate che permettono alle di-verse specie di adattarsi alle diverse condizioni ambientali. In genere pertantoun ambiente moderatamente variabile nel tempo e nello spazio, come il rhithral,è più ricco di specie che non un ambiente costante come una sorgente; quan-do tuttavia la variabilità supera un certo valore soglia e il torrente diviene inter-mittente, assistiamo ad un brusco calo della diversità. Questa teoria è stata svi-luppata per la prima volta dall’americano Connell nel 1978 ed è nota con il no-me di “Intermediate Disturbance Hypotesis”.In un corso d’acqua non sono importanti solamente le variazioni longitudinalidelle caratteristiche ambientali, cioè i cambiamenti che si verificano dalla sor-gente alla foce, ma è egualmente importante la varietà delle condizioni am-bientali che si possono osservare in un unico sito. Se infatti ci avviciniamo allariva di un torrente in un punto qualsiasi e osserviamo criticamente l’ambienteche appare ai nostri occhi, ben difficilmente ci troviamo di fronte ad un ambien-te unico ed uniforme. Piuttosto, l’impressione sarà quella di un mosaico di mi-croambienti: pozze profonde (pools) si alternano a tratti a rapide e cascatelleZone a rapide e cascatelle (riffles e runs) si alternano a pozze (pools) in un torrente montano

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113112 (riffles e runs); ciottoli e massi si in-tercalano a tratti a ghiaia grossola-na e depositi di ghiaia fine o sabbia;le rive sono talora dolci e spoglie,talora vegetate, talora ripide e fra-nose, talora ricche di muschi. An-che il regime idrologico varia, contratti assorbenti (downwelling), incui l’acqua si disperde tra le ghiaiedi fondo, e tratti di emersione(upwelling), in cui l’acqua dal sotto-suolo riemerge in superficie. Que-sto mosaico ambientale è ben notoagli ecologi, poiché nel suo ambitoogni specie animale ricava una pro-pria nicchia ecologica; ne consegueche mosaici ambientali complessiospitano una fauna ricca e diversifi-cata, mentre ambienti omogenei oresi omogenei dall’intervento del-l’uomo ospitano una fauna semplifi-cata o talora banale.Tutti questi microambienti (che gliecologi anglosassoni indicano con iltermine di patch) non sono tuttaviastatici nel tempo; si tratta di ambientidinamici, che cambiano in funzionedel regime idraulico di un corso d’ac-qua. Cambiamenti di questo tipo por-tano a fluttuazioni cicliche della bio-diversità e contribuiscono ad arric-chirla; questa teoria, enunciata dal-l’inglese Townsend, va sotto il nomedi patch dynamics.Per comprendere più a fondo il pro-blema della complessità ambientaledovremmo però osservare un tor-rente non con i nostri occhi, ma congli occhi di un pesce o di un inverte-brato. Se immaginassimo per unmomento di cambiare prospettiva e

Vivere nelle acque correnti significa ave-re importanti vantaggi ma anche alcunisvantaggi rispetto ad organismi acquaticiche vivono in ambienti con acque fermequali laghi, stagni, pozze. Possiamo rias-sumere i vantaggi ricordando il beneficiodi un costante flusso di materia organicae il rinnovarsi continuo dell’acqua che as-sicura buona ossigenazione e la risolu-zione in breve tempo di improvvisi cam-biamenti chimici o fisici. Gli svantaggi so-no essenzialmente dovuti al pericolo diperdere contatto con il proprio habitat,perché portati via dalla corrente.Muoversi contro corrente è prerogativa dianimali con ottime capacità natatorie equindi riguarda quasi esclusivamente ipesci, in particolare i salmonidi come letrote, di cui sono note le migrazioni ripro-duttive verso monte. Gli invertebrati inve-ce hanno solamente la possibilità di la-sciarsi trasportare verso valle dalla cor-rente stessa. Questo fenomeno è moltodiffuso e in un qualsiasi momento è pos-sibile trovare una parte della comunitàbentonica “dispersa” o “fluttuante” nelcorpo d’acqua. L’insieme degli organismitrasportati passivamente dalla correnteprende il nome di “drift”. Il fenomeno èampiamente studiato per il fondamentaleruolo che svolge nel complesso funzio-namento dell’ecosistema fiume.Sono state distinte quattro tipologie di

drift: catastrofico, comportamentale, di-stribuzionale e costante.Per “drift catastrofico” si intende quelloassociato ad improvvisi e consistenticambiamenti di portata, velocità, tempe-ratura o condizioni chimiche. In queste si-tuazioni di stress gli organismi bentonicivengono rimossi o disturbati ed entranoin massa nel flusso di corrente.Il “drift comportamentale” è causato dal-l’attività specifica di ciascun individuo epuò essere attivo (organismi che si la-sciano andare per sfuggire ad un preda-tore) o passivo (organismi trascinati in so-spensione mentre si nutrono in una zonacon pochi appigli). La frequenza di questieventi è relativamente bassa e legata aicomportamenti “a rischio” di ciascunaspecie.Per “drift distribuzionale” si intende la mi-grazione verso valle di stadi giovanili epuò interessare molti individui in momentidiversi e ogni taxon mostra una periodi-cità tipica sia stagionale che giornaliera.Infine il “drift costante” è quello dovuto ad“incidenti” che fanno perdere il contattocon il substrato, non dovuti a specificicomportamenti. Riguarda pochi individuie non ha periodicità prevedibile.Una volta entrato nel drift l’organismopercorre un tratto verso valle finché nonriprende contatto con il substrato. Ciò av-viene in condizioni favorevoli quali il ral-

lentamento della corrente in un’ansa, ilpassaggio su un raschio ricco di appigliecc. La distanza percorsa varia da pochimetri a qualche decina o più in dipenden-za delle condizioni ambientali e delle abi-lità di ciascuna specie. Si pensi ad esem-pio ad una larva di chironomide, priva diappendici articolate e alla ninfa di un efe-merottero, capace di nuotare nella dire-zione voluta e con sei zampe provviste diunghie terminali. L’evento di trasporto neldrift potrà ripetersi più volte nel corso del-la vita di una larva acquatica e quindi ladistanza compresa tra il punto di deposi-zione dell’uovo e quello in cui si completala metamorfosi, con la fuoriuscita dellostadio adulto, può essere considerevole.Per compensare questa discesa a valle,gli adulti risalgono in volo il corso d’acquae depongono le uova a monte per iniziareun nuovo ciclo biologico (ciclo di coloniz-zazione).Gli organismi acquatici hanno tendenzaal drift diversa, più o meno accentuata indipendenza delle abitudini di vita e dellaforma del corpo. Sono considerati più pro-pensi al drift gli efemerotteri, seguiti daditteri simuliidi e chironomidi, quindi ple-cotteri, e infine stadi giovanili di tricotteri.In fondo alla scala troviamo i crostacei an-fipodi, i tricladi e gli irudinei, in cui la scar-sa tendenza al drift è accompagnata allamancanza di una fase alata in grado dicompensare il trasporto verso valle.Il drift, con poche eccezioni, è più intensonelle ore di buio, con picchi dopo il tra-monto e prima dell’alba. Ciò è stato mes-so in relazione alla necessità di evitare lapredazione da parte di cacciatori a vistacome i pesci. In zone in cui questi sonoassenti, come in quelle più alte dei torren-ti, è stata osservata una minore propen-sione al drift notturno da parte di quasi tut-ti gli organismi. Questa ipotesi è stata con-fermata da molte ricerche sperimentali mavi sono anche organismi che non sonoprede appetibili e che tuttavia tendono aentrare nel drift in ore notturne.

I misteri del drift Bruno Maiolini

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115114 colare chironomidi. Sono presenti,spesso in minor misura, efemerotterieptageniidi, ditteri psicodidi, crostaceianfipodi; tra la meiofauna dominano gliacari acquatici ed i copepodi arpatticoi-di, che conducono vita prevalentemen-te muscicola o interstiziale. Sono in ge-nere più ricche, sia qualitativamente siaquantitativamente, le sorgenti in cui lacorrente è meno impetuosa, quelle chesi aprono sui versanti a minor penden-za, in sottobosco o ricche di muschi cheoffrono ospitalità ad un elevato numerodi invertebrati. Nel caso in cui la sorgen-te scenda lungo una parete rocciosa,può formare solo una sottile laminad’acqua che scorre verticalmente; siparla in questi casi di ambiente igrope-trico, che possiede una fauna moltoparticolare, ricca di crostacei arpatticoi-di, tricotteri e soprattutto larve di ditteri (chironomidi, taumaleidi, psicodidi, tipuli-di, straziomiidi), talora esclusivi di questi ambienti.Sorgenti elocrene. In questa tipologia di sorgenti l’acqua che fuoriesce diffusa-mente dal terreno, in funzione della modesta pendenza, non forma un rivolounico in cui scorrere bensì si disperde in pozze e pozzette che vengono lenta-mente drenate da numerosi rivoli, a corrente debole, per poi confluire in uno opiù collettori. Sono sorgenti tipiche delle aree a pascolo, ma si ritrovano taloraanche in sottobosco. La fauna è diversa da quella delle sorgenti reocrene e ri-sulta arricchita di elementi tipici di acque a lento decorso (raccoglitori, pascola-tori, raschiatori), quali larve di efemerotteri, tricotteri limnefilidi, coleotteri ditisci-di e, tra la meiofauna, copepodi ciclopoidi; quando il tenore in calcio lo consen-te, vi abbondano molluschi gasteropodi e bivalvi.Gli ambienti di sorgente sono notoriamente considerati “stabili”; le variazionicircadiane (cioè nell’ambito delle 24 ore) e stagionali di temperatura e del chi-mismo delle acque sono notoriamente piuttosto contenute. La temperatura inparticolare varia in funzione della quota delle sorgenti, con cui è negativamen-te correlata; recenti ricerche svolte nel Trentino hanno dimostrato come le flut-tuazioni giornaliere di questo parametro siano impercettibili, inferiori all’errorestrumentale. Anche l’ossigeno disciolto delle sorgenti di montagna è elevato, adifferenza di quanto avviene nelle sorgenti a quote più basse. Ciò è da porrepresumibilmente in relazione con il fatto che le acque di montagna, prima di

di osservare il fondo di un fiume comefossimo efemerotteri, tutto ci apparireb-be in modo diverso. Ecco che diverreb-bero enormi le fessure e gli spazi tra iciottoli o i granelli di ghiaia, che eranoimpercettibili all’occhio umano; eccoche piccole variazioni di corrente, checi sembravano insignificanti, diverreb-bero piene tumultuose; ed infine i pic-coli pulvini di muschi ci apparirebberoora come complesse ed inestricabili fo-reste.Naturalmente, se pensassimo di osser-vare il tutto al microscopio, immedesi-mandoci in un acaro o in un copepode,la complessità dell’ambiente sarebbeancora maggiore, i piccoli interstizi tra igranelli di ghiaia o sabbia diverrebberogrotte e labirinti e lo spazio in cui poterabitare o nascondersi aumenterebbe a

dismisura. Da questa semplice ed immaginaria descrizione possiamo facilmen-te comprendere che la complessità dell’ambiente aumenta progressivamentecol diminuire dell’unità di misura: un tratto di torrente lungo 10 metri per noiumani, appare immensamente più lungo ad un efemerottero, che lo misura inmillimetri e pertanto rileva tutte le piccole asperità del fondale che può abitare.Questo fenomeno è ben noto in ecologia (ed è riconducibile alla natura “fratta-le” dei corsi d’acqua) e spiega molti aspetti di questi ambienti che finora pote-vamo solo intuire. Spiega ad esempio perché sono molto più importanti gli or-ganismi della meiofauna rispetto ai macroinvertebrati: principalmente perchéper essi lo spazio abitabile è incredibilmente superiore. Ma spiega soprattuttoperché un torrente è molto più ricco di vita di un canale costruito dall’uomo: neltorrente abbiamo un mosaico di microambienti che l’uomo, nel suo tentativo disostituirsi alla natura, non è in grado di ricreare.

■ Ecologia delle sorgenti

Le sorgenti di montagna (ascrivibili al crenal) appartengono a due tipologie.Sorgenti reocrene. Nelle sorgenti reocrene l’acqua fuoriesce con discreta velo-cità di corrente dalla roccia, dal detrito grossolano o anche dal terreno di sotto-bosco. La fauna che predilige le sorgenti di questo tipo è dominata dai fram-mentatori, quali larve di plecotteri e tricotteri, accanto a numerosi ditteri, in parti-

Sorgente reocrena in sottobosco: in questatipologia predominano i frammentatori

Sorgente reocrena che forma veli igropretici supareti verticali

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117116 pendenza elevata determina una corrente veloce, associata ad elevata turbo-lenza, buona ossigenazione e assenza di plancton e di macrofite radicate.La vegetazione riparia è costituita da bassi cespugli ed erbe oppure, alle quotepiù elevate, è assente. Questo comporta la mancanza del massiccio apporto dimateriale vegetale di origine arborea, che nei tratti a valle costituisce la più im-portante fonte energetica del metabolismo fluviale. L’assenza di vegetazionearborea significa anche una maggior esposizione alla luce e la riduzione di mi-crohabitat rappresentati da rami, radici esposte, ammassi di foglie.A queste caratteristiche comuni si aggiungono importanti differenze tra le tre ti-pologie considerate. Il kryal, dominato da apporti di origine glaciale, manifestale condizioni più difficili per la vita acquatica. L’acqua che alimenta questi trattiproviene da due distinte fonti: dalla base del ghiacciaio, per fusione dovuta al-l’attrito generato dal movimento della massa glaciale con la roccia sottostantee dallo scioglimento superficiale, dovuto all’azione del sole sulla superficie. Laprima fonte è relativamente costante nel corso dell’anno e indipendente dallatemperatura esterna, la seconda è stagionale e con forti variazioni giornalierein dipendenza delle condizioni metereologiche. In estate le due componenti sisommano e si hanno aumenti di portata che possono variare di un ordine digrandezza di 5-10 volte nell’arco delle 24 ore. Tipicamente si assiste ad unacurva di crescita della portata a partire dal mattino, con un massimo nel tardopomeriggio e un minimo all’alba. Le acque provenienti da sotto la massa gla-ciale comprendono acque di falda e sono in genere quasi “pure” con un conte-nuto salino superiore a quello delle acque di scioglimento superficiale. La con-seguenza di questo è un forte effetto di diluizione e le fluttuazioni di portataestive risultano associate a fluttuazioni delle caratteristiche chimiche, con un si-mile ordine di grandezza.A queste condizioni di stress idraulico si aggiungono le temperature molto bas-se (inferiori a 4°C) e l’elevato trasporto solido. Quest’ultimo consiste di particel-le di sabbia e argilla provenienti dall’esarazione della massa glaciale e tenute insospensione dalla turbolenza. L’effetto è di ridurre la trasparenza e di esercita-re un’azione abrasiva, esasperando ulteriormente le difficoltà di sviluppo dellacomponente vegetale. La comunità zoobentonica è spesso molto semplificatae comprende poche specie molto specializzate.In tutte le tipologie vi è un chiaro gradiente longitudinale di colonizzazione daparte degli invertebrati bentonici e la composizione qualitativa e quantitativadelle comunità si modifica da monte verso valle, adattandosi continuamente alvariare delle condizioni ambientali. Questo continuo e costante variare è benstudiato e noto (si veda la discussione del River Continuum Concept) mentremolto meno noti sono i cambiamenti che avvengono nel tratto iniziale, quello incui si passa dal “punto zero”, ovvero dall’acqua quasi pura, pressoché priva divita, al punto in cui si rinviene una prima comunità ben strutturata. Sulle Alpi

venire a giorno, attraversano in genere sedimenti grossolani molto permeabili,mentre quelle pedemontane o planiziarie attraversano strati di terreno ove iprocessi della decomposizione impoveriscono di ossigeno le acque. A questoproposito è stato notato che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lesorgenti elocrene, in cui l’acqua esce diffusamente dal suolo, sono più ossige-nate di quelle reocrene. Il chimismo delle acque è invece piuttosto variabile dasorgente a sorgente, in relazione alla tipologia delle rocce che le acque attra-versano.

■ Ecologia dei torrenti d’alta quota

In tempi recenti sono state proposte diverse classificazioni per i torrenti d’altaquota e tra queste ha trovato largo consenso quella proposta da J. V. Ward nel1994. Questo autore distingue, al di sopra della linea degli alberi ed in base al-l’origine, il kryal (tratto dominato da acque di scioglimento glaciale) dal crenal edal rhithral. Il diverso contributo relativo di acque provenienti da scioglimento dighiacciai, di nevai, da sorgenti e da precipitazioni, genera sensibili differenzenel regime idrologico, nella qualità chimico-fisica delle acque e quindi nellastruttura delle comunità vegetali ed animali.Queste tre tipologie sono accomunate da alcune caratteristiche generali, esclu-sive dei torrenti montani al di sopra della vegetazione arborea. La temperaturadell’acqua è generalmente inferiore ai 10 °C anche nel breve periodo estivo. La

Un tipico torrente d’alta quota che nasce da un piccolo nevaio (Alpi Carniche)

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tratti posti a quote più elevate. Si trattasempre di una produttività prevalente-mente secondaria poiché, come di-scusso nella parte botanica di questovolume, la produzione primaria dovutaalle patine algali è ben poca cosa inquesti tratti, in genere ombreggiati, ele macrofite acquatiche sono del tuttoassenti.Mentre per il rhithral d’alta quota, trat-tandosi di un ambiente “difficile” (tem-peratura molto bassa, povertà di risor-se), abbiamo visto che i fattori abioticigiocano un ruolo prevalente nellostrutturare le comunità animali, nei tor-renti di fondovalle divengono ancheimportanti le interazioni biotiche (in pri-mo luogo competizione e predazione).Mentre tuttavia il ruolo dei fattori abioti-ci è ben documentato e studiato, quel-lo dei fattori biotici, in relazione alla complessità del problema, è supportato daun limitatissimo numero di studi. Da questi emerge, in particolare, che la com-petizione ha importanza nello strutturare la comunità bentonica solo occasio-nalmente: ciò avviene, in particolare, quando le favorevoli condizioni trofiche euna predazione moderata permettono alle popolazioni di raggiungere densitàelevate.Riveste invece una maggiore importanza la predazione; in particolare, l’usualepresenza di pesci in questi corsi d’acqua rende ulteriormente complesse le in-terazioni, modulando la struttura e densità dei popolamenti a invertebrati. È no-to che la predazione è più intensa in certe circostanze, ad esempio è maggiorenelle pozze (pools) che non nei tratti a corrente veloce (riffles e runs), probabil-mente in relazione alle minori possibilità di nascondiglio offerte agli invertebra-ti da questi ambienti. Ed è maggiore quando la corrente è più debole e la tem-peratura più elevata, come nella tarda estate. Un drift elevato - e pertanto ele-vati tassi di immigrazione ed emigrazione - ed una corrente veloce tendono in-vece a minimizzare l’effetto della predazione. Anche l’arrivo di materiale dall’e-sterno riduce la predazione dei salmonidi sui macroinvertebrati acquatici; si èvisto infatti che nel sottobosco gli insetti terricoli che cadono numerosi nell’ac-qua costituiscono buona parte dell’alimentazione delle trote, che sono attratteproprio dal movimento dei piccoli organismi che cadono nel torrente (fenomenodel resto ben noto ai pescatori).

119questo tratto va generalmente dall’origine (ghiacciai, nevai) alla linea degli al-beri (1800-2000 m s.l.m.). In particolare, due ricercatori inglesi hanno elabora-to nel 1994 un modello valido per i torrenti glaciali che prevede una successio-ne di comunità zoobentoniche dalla bocca glaciale verso valle, in relazione alvariare di alcuni parametri di base quali la temperatura dell’acqua e la stabilitàdell’alveo. Il modello è basato su dati ricavati dalla letteratura europea ed ame-ricana ed è stato testato in diverse recenti ricerche in Europa.In realtà, indipendentemente dall’origine, la comunità dei macroinvertebrati neitratti più a monte dei torrenti d’alta quota è dominata, sia in numero di speciesia in numero di individui, dai ditteri chironomidi. Nei torrenti glaciali questa fa-miglia arriva a costituire anche il 100% della comunità in prossimità della boccadel ghiacciaio. L’abbondanza relativa di chironomidi diminuisce all’aumentaredella distanza dalla sorgente indipendentemente dall’origine, mentre diventavia via sempre più importante la presenza di altri insetti quali plecotteri, efeme-rotteri e tricotteri. La quota e la distanza dal ghiacciaio a cui i chironomidi scen-dono sotto la soglia del 50% della comunità varia in funzione di diversi fattoriquali l’attività del ghiacciaio, la morfologia dell’alveo, l’andamento giornaliero estagionale della temperatura dell’acqua e della portata.Invertebrati diversi dagli insetti quali nematodi, oligocheti, tricladi e crostaceipossono essere presenti con una certa abbondanza anche nei tratti più amonte, generalmente associati a pozze laterali (oligocheti) o in zone dove vi èaffioramento in subalveo di acque di falda (crostacei). Alla variabilità nello spa-zio si aggiunge una notevole variabilità nel tempo. La generale scarsità di ri-sorse alimentari che caratterizza questi ecosistemi fa sì che piccole variazionidella produzione primaria possano largamente influenzare le comunità anima-li. La produzione primaria nei tratti criali è dovuta soprattutto allo sviluppo di al-ghe incrostanti (principalmente cianobatteri e diatomee) e alla crisofita Hydru-rus foetidus. In sintesi, le acque correnti poste sopra la linea degli alberi pre-sentano una generale diminuzione della biodiversità con l’aumentare dell’altitu-dine e una grande variabilità nel tempo e nello spazio.

■ Ecologia dei torrenti di fondovalle

A differenza dei torrenti d’alta quota, i corsi d’acqua che attraversano tratti bo-schivi sono molto più ricchi di sostanza organica proveniente dalle foglie deglialberi, dai tronchi in decomposizione o, per dilavamento, direttamente dal ter-reno. La comunità macrobentonica è qui più abbondante ed arricchita di tuttiquei consumatori di detrito la cui presenza nei tratti d’alta quota era limitataproprio dalla scarsità di cibo; si dice che questi torrenti sono più produttivi,cioè a parità di estensione producono nel corso dell’anno una maggior quan-tità di sostanza organica (dovuta a riproduzione ed accrescimento) rispetto ai

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Un tratto di torrente di fondovalle (PrealpiCarniche)