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0/38 LA FASE UMAMA ARCAICA ED ANTICA INDICE PASSAGGIO DAL TERZIARIO AL QUATERNARIO LA FAUNA E LA FLORA DEL PLEISTOCENE. IL PALEOLITICO E LA PRESENZA DELL’HOMO EVOLUZIONE BIOLOGICA E TRASMISSIONE CULTURALE SI CREANO NUOVE RELAZIONI FRA GLI OGGETTI. LA PESCA LA CACCIA L’UTILIZZAZIONE DEL FUOCO CULTURA DOMESTICA L’ATTIVITÀ CONOMICA DEL PALEOLITICO LIMITI DI TALE ECONOMIA

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LA FASE UMAMA ARCAICA ED ANTICA

INDICE

PASSAGGIO DAL TERZIARIO AL QUATERNARIO

LA FAUNA E LA FLORA DEL PLEISTOCENE.

IL PALEOLITICO E LA PRESENZA DELL’HOMO

EVOLUZIONE BIOLOGICA E TRASMISSIONE CULTURALE

SI CREANO NUOVE RELAZIONI FRA GLI OGGETTI.

LA PESCA

LA CACCIA

L’UTILIZZAZIONE DEL FUOCO

CULTURA DOMESTICA

L’ATTIVITÀ CONOMICA DEL PALEOLITICO

LIMITI DI TALE ECONOMIA

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PASSAGGIO DAL TERZIARIO AL QUATERNARIO.

Alla fine del Pliocene (ultimo periodo dell'era cenozoica o Terziaria) compaiono in

Africa i primi resti scheletrici riferibili al genere Homo e le prime industrie litiche. Il

passaggio dal Terziario al Quaternario, cioè dal Pliocene al Pleistocene è stato fissato,

dagli esperti secondo criteri diversi, che portano a risultati divergenti (vedi figura

accanto).

Quaternario è un termine che si usa per definire il periodo geologico più recente,

quello in cui viviamo. Inizia alla fine del Pliocene, l'ultima epoca geologica del Neogene,

2,580 milioni di anni fa (Ma).

ERA PERIODO EPOCA ETA'

QUATERNARIA

O

NEOZOICA

PLEISTOCENE

O

PALEOLITICO

INFERIORE GELASIANO

CALABRIANO

2.000.000 / 1.806.000

1.806.000 / 781.000

MEDIO IONIANO

781.000 / 126.000

SUPERIORE TARANTIANO

126.000 / 11.700

OLOCENE

MESOLITICO 11.700 / 7.500

NEOLITICO 7.500 / 4.500

CALCOLITICO

o

ETA' DEL RAME

4.500 / 3.000

ENEOLITICO

o

ETA' DEL BRONZO

3.000 / 1.200

ETA' DEL FERRO 1.200 a.C. fino al XVIII° sec. d. C.

Il Quaternario è diviso in due periodi: il Pleistocene che significa “il più recente” (che

ha occupato quasi tutta l’era), e l’Olocene, o “del tutto recente” (che occupa solo gli

ultimi 11.000 anni dell’era ed è ancora in corso).

Nel Pleistocene si collocano le tappe più importanti dell'evoluzione del genere umano in

specie diverse e comincia la manipolazione e la lavorazione della pietra. Il Pleistocene

(che in genere si fa coincidere con il Paleolitico) a sua volta è suddiviso in:

Pleistocene Inferiore (2.000.000 -781.000 anni è costituito dal Gelasiano e dal

Calabriano – vedi figura precedente), compaiono le specie umane più antiche

(Australopitechi).

Pleistocene Medio (781.000 - 126.000 anni denominato Ioniano), caratterizzato

dal genere Homo.

Pleistocene Superiore (126.000 - 10.000 anni, denominato Tarantiano), arriva

l'Homo Sapiens.

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LA FAUNA E LA FLORA DEL PLEISTOCENE.

Attraverso lo studio delle rocce sedimentarie e dei fossili è possibile ricostruire i

paleo ambienti di un determinato intervallo temporale, e quindi la distribuzione delle

terre emerse, dei mari epicontinentali, dei bacini oceanici, della flora e della fauna.

Le fasi glaciali ed interglaciali si riconoscono facilmente in uno strato geologico

sedimentario, esse sono contrassegnate dalla presenza dei fossili di forme di vita

marine tipicamente adattate a climi caldi o freddi.

L’alternanza di periodi glaciali e interglaciali ebbe dunque un notevole effetto sui

mutamenti della vegetazione e sulla successione delle faune. Fenomeni evolutivi si sono

manifestati, mediante l’apparizione, lo sviluppo fino alla sparizione di un gran numero

di specie.

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LA FAUNA.

I livelli corrispondenti ai periodi freddi sono riconoscibili dalla presenza di molluschi

bivalvi come Arctica islandica, Mya truncata e

gasteropodi come Buccinum undatum (vedi foto a

destra); mentre i periodi più caldi sono

caratterizzati dalla presenza di organismi di

mare più caldo, come per esempio i molluschi

gasteropodi

Strombus

bubonius (foto a sinistra) e

Conus guinaicus (foto a destra)

ed il bivalve Mytilus

senegalensis (attualmente forme

simili si ritrovano in vita lungo le

coste del Senegal).

Dal punto di vista della paleontologia dei mammiferi,

possiamo suddividere il Quaternario in più momenti

caratterizzati da associazioni faunistiche diverse.

FAUNE FREDDE.

Durante l’ultima glaciazione (Würm), nella

Pianura Padana, dove prevaleva l’ambiente a

steppa-taiga, vivevano il mammut (Mammuthus

primigenius), il rinoceronte lanoso (Coelodonta

antiquitatis) (foto sotto),

il bisonte delle steppe (Bison priscus), il megacero o cervo gigante (Megaloceros

giganteus), il cavallo (Equus ferus), l’alce (Alces alces) e il castoro (Castor fiber); tra i

carnivori c’erano il lupo (Canis lupus) e l’orso (Ursus arctos). Successivamente,

instauratosi il clima temperato attuale, scomparvero molte specie che avevano

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caratterizzato l’ultimo periodo freddo e ad esse se ne sostituirono altre quali il cervo

nobile (Cervus elaphus), il capriolo (Capreolus capreolus), il cinghiale (Sus scrofa) che

ancora oggi vivono in Italia.

FAUNE CALDE.

Nelle zone non soggette al fenomeno glaciale, nei periodi interglaciali si verificarono

aumenti della piovosità, che modificarono,

una parte della regione desertica africana,

la quale venne ricoperta da distese erbose

e piante di tipo subtropicale; indizi di un

clima più umido durante le glaciazioni

quaternarie sono stati riscontrati anche

nel Messico, nel deserto sudafricano,

nell'Asia centrale. Queste variazioni

climatiche causarono notevoli spostamenti

delle flore e delle faune. Durante i periodi

interglaciali le zone botaniche equatoriali

si spinsero verso i poli ed elementi della

vegetazione subtropicale giunsero sino alle Alpi, mentre una fauna calda (elefanti,

ippopotami,

tigri, iene)

arrivò sino

nella regione

del Norfolk

(contea

dell’Inghilterra orientale).

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LA FLORA.

La vegetazione alpina, essenzialmente priva d’alberi, era rappresentata dalla tundra o

dalla steppa. Nel bacino del Mediterraneo, dove si aveva una maggiore piovosità, la

foresta di piante resistenti al freddo (principalmente il larice e il pino silvestre)

raggiungeva il piede delle Alpi, fino alle immediate vicinanze dei ghiacciai.

L’Italia centromeridionale possedeva un clima più mite ed era coperta da boschi di

latifoglie, soprattutto querceti. Nella Pianura Padana predominava un paesaggio a

steppa-taiga con formazioni erbacee e graminacee: Artemisia sp., Compositae e

Chenopodiaceae. Erano presenti, sebbene limitatamente, alberi come: pini, betulla

nana e ontano verde.

Durante i periodi interglaciali del Pleistocene, prevalsero le formazioni forestali;

tuttavia le successive ondate glaciali portarono ad un notevole impoverimento della

flora europea con la scomparsa di molte specie arboree appartenenti ai generi

Zelkova, Carya, Pterocaria, Tsuga, e alle specie di tipo antico dei generi Castanea,

Pinus e Abies.

FINE

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IL PALEOLITICO E LA PRESENZA DELL’HOMO

Spesso si fa confusione fra: Pleistocene e Paleolitico. Entrambi appartengono all’era

Quaternaria, ciò che li contraddistingue è l’oggetto della materia di cui si interessano.

Il Paleolitico, che coincide con la

Preistoria, s’interessa della

comparsa del genere Homo della

sua cronologia e delle sue

attività; il Pleistocene invece

s’interessa dei fenomeni geologici

(cioè dei processi che plasmano e

cambiano la Terra).

ll Paleolitico (dal greco παλαιός

palaios, "antico", e λίθος lithos,

"pietra", ossia età "della pietra

antica") è compreso in un

lunghissimo arco di tempo, che va dall’inizio dell’era quaternaria (2.580.000 anni fa),

fino alla fine dell’ultima glaciazione di Würm, verificatasi 10.000 anni fa circa. Fu il

primo periodo in cui si sviluppò la tecnologia umana con l'introduzione dei primi

strumenti in pietra da parte di diverse specie di Homo. L’evoluzione biologica legata al

bipedismo, all’uso delle mani e allo sviluppo quantitativo e qualitativo dell’apparato

cerebrale caratterizzò il processo di ominazione. È grazie al processo evolutivo della

tecnologia che si è potuto ricostruire e comprendere la vita economica dell’umanità

preistorica.

Durante il Paleolitico l’uomo passò da un’economia individuale ad un’economia tribale

che riusciva ad assicurare a gruppi itineranti sufficienti risorse alimentari. Il

Paleolitico terminò con l'introduzione dell'agricoltura, cioè con il passaggio al

Mesolitico.

Le zone che potevano favorire l’esistenza umana, durante i periodi di glaciazione,

erano quelle dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia che si affacciavano al Mediterraneo. La

comparsa delle prime specie di Homo, avviene proprio durante questa lunga serie di

glaciazioni durate centinaia di miglia di anni. Questi “uomini”, discendenti

dell’australopiteco africano dovettero confrontarsi continuamente con frequenti e

radicali cambiamenti di clima che sistematicamente trasformavano ambienti favorevoli

alla vita umana in ambienti fortemente ostili. Per soddisfare i più elementari bisogni

vitali dovettero sviluppare nuove e continue strategie di adattamento. Non essendo

ancora in grado di spiegarsi tanti fenomeni naturali, credevano che questi fossero

causati da forze occulte, quindi cercavano in tutti i modi di propiziarsi queste forze

con danze, rituali e sacrifici. Grazie alle sue capacità di adattamento questi “uomini”,

al contrario di altre specie, riuscirono a trovare le risposte ai problemi che gli si

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presentavano. Gradualmente migliorarono la loro tecnologia, il modo di produrre i beni

necessari e svilupparono la socialità. I primi “uomini” del Paleolitico non utilizzarono

più come strumenti i bastoni, le pietre e le ossa così come gli capitavano sotto mano,

ma cominciarono a lavorarli passando così dalla scoperta (osservazione della natura ed

individuazione di caratteristiche e proprietà possedute dai fenomeni naturali)

all’invenzione (cioè alla traduzione di un’idea, derivata o dedotta da una scoperta, in un

qualcosa di creato dall’uomo in base ad un progetto ben preciso).

I primi “uomini” del Paleolitico non vivevano più dei soli frutti che la natura gli

metteva a disposizione, adesso erano in grado di reperire selvaggina e pesce, che fino

ad allora gli erano inaccessibili. Tutto ciò fu possibile grazie alla sua evoluzione

biologica e alla “trasmissione culturale”.

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EVOLUZIONE BIOLOGICA E TRASMISSIONE CULTURALE.

In questa fase umana arcaica-antica si fece sempre più netto il contrasto fra

l’evoluzione biologica, che come si sa richiede tempi lunghissimi, e la trasmissione delle

conoscenza che invece, potendo essere elargita contemporaneamente a più individui, si

diffonde molto più rapidamente. La trasmissione culturale non trasmette geni, ma

conoscenze acquisite in risposta agli stimoli dell’ambiente.

La trasmissione culturale si concretizzò attraverso tre momenti:

ESPERIENZA OCCASIONALE, utilizzando occasionalmente un ciottolo, un bastone

come arma di offesa, l’ominide si accorse che poteva avere maggiori probabilità

di colpire mortalmente una preda, che non affidandosi unicamente alla propria

forza. Ma non era sufficiente la sola intuizione o la cosciente percezione di ciò

che accadeva. Occorreva un altro passo.

ELABORAZIONE

CONCETTUALE, quell’uomo

per compiere un passo

significativo sulla via del

progresso doveva trarre

insegnamento da

quell’esperienza. Doveva

cioè trasformare l’uso

occasionale in un’abituale

tecnica di caccia.

Mancava un ultimo passo.

TRASMISSIONE

CULTURALE, se altri

“uomini” per imitazione

apprendevano la stessa tecnica ecco che si raggiungeva la trasmissione

culturale.

Chiaramente tutti questi progressi richiesero un lungo periodo di tempo ed una lunga

serie di tentativi. L’elaborazione concettuale fu il vero motore durante questa

fase: l’individuo che lavorava il materiale grezzo ed informe per fabbricare

intenzionalmente uno strumento aveva in mente un modello da realizzare ed aveva

uno scopo ben preciso. L’immagine dello strumento da costruire era infatti il risultato

del succedersi di accostamenti logici, possibili solo dopo aver acquisito l’attitudine

all’astrazione.

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SI CREANO NUOVE RELAZIONI FRA GLI OGGETTI.

Il processo una volta innescato

diventò inarrestabile e creò

quello che viene definito “lo

sviluppo del processo

retroattivo”. Chiariamo con un

esempio: probabilmente alcuni

“uomini” si resero conto che un

ciottolo o un bastone potevano

diventare più taglienti se

colpiti ripetutamente con un

percussore (nel caso del

ciottolo) o praticando una

punta (nel caso del bastone).

Altri invece si accorsero che

alcune pietre, come la selce o

l’ossidiana avevano la proprietà

di scheggiarsi più facilmente;

oppure che la punta di un bastone diventava più dura se

trattata con il fuoco. Altri ancora si resero conto che

unire questi ultimi due strumenti in un’unica arma

garantiva una migliore impugnatura e di conseguenza

una maggiore precisione e forza. L’uso dell’impugnatura

permetteva di sfruttare il principio fisico della leva,

perché allungava il braccio dell’uomo garantendogli la

possibilità di sferzare colpi molto più potenti ed anche

più precisi. Una volta creata la lancia, o la mazza, o

l’ascia l’uomo poté modificare l’ambiente in maniera più incisiva. In tutte queste

elaborazioni creative, “ l’uomo “ era stato in grado di stabilire tra gli oggetti

delle relazioni che prima non esistevano in natura e aveva capito che tra le varie

parti che costituivano un unico oggetto (lancia, mazza, arco…) s’instauravano delle

retroazioni che agivano e si influenzavano fra loro.

Il passaggio delle informazioni fu enormemente facilitato dall’uso del linguaggio

che pur non essendo, in questa fase, sviluppato nelle sue forme più articolate,

contribuì alla trasmissione culturale.

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Aumentò anche la gamma degli arnesi utili: asce, aghi, picconi, raschiatoi, scalpelli,

arpioni, trapani, archi ed altri attrezzi per meglio lavorare l’osso e la pietra stessa.

Molto ricca fu anche l’industria in osso-corno, spesso riccamente decorata. Il

materiale utilizzato era ancora la selce anche se iniziava a diffondersi l’ossidiana, un

vetro vulcanico di durezza superiore alla selce e di colore nero lucente, con esso è

possibile realizzare manufatti piccoli e particolarmente taglienti. TORNA

LA PESCA.

Straordinaria importanza nella storia economica e culturale ebbe la pesca.

Quest’attività, nei primissimi tempi della fase umana arcaica-antica, offrì

probabilmente un nutrimento poco abbondante agli “uomini” che vivevano sulle coste.

Costoro dovettero integrare, il loro bisogno alimentare, con la caccia e con la ricerca

di vegetali commestibili. Questo succedeva perché questi “uomini” non erano ancora in

grado di praticare una pesca efficace; la mancanza di esperienza li portava a

praticare “la pesca a mano” che consisteva nel sospingere i pesci verso acque basse o

in luoghi ristretti per catturarli con le mani. Questo tipo di pesca richiedeva una tale

prontezza di riflessi e velocità di movimenti che mancava agli “uomini” dell’epoca.

Ma l’aver intuito che gli animali marini abbondavano lungo le spiagge dei mari per tutto

l’anno e che i pesci catturati non creavano alcun vuoto sensibile nel vivaio naturale in

continuo rinnovamento, invogliò gli “uomini” a ricercare mezzi e strategie sempre più

idonei e catturanti per accaparrarsi questa ricca risorsa, capace di risolvere il

problema quotidiano dell’approvvigionamento alimentare.

Gli “uomini” che vivevano sulle coste, dopo un certo periodo di adattamento e

dopo vari tentativi, poterono nutrirsi principalmente di animali marini,

considerando la caccia e la ricerca di vegetali commestibili una fonte

complementare (e non principale) di alimentazione.

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STRUMENTI PER LA PESCA.

Fu così che diversi strumenti fecero la loro prima comparsa, strumenti che sono in uso

ancora oggi, come: la rete, l’amo e la fiocina. Vero è che da allora questi tre

strumenti hanno subito notevoli perfezionamenti, tuttavia tra il modo in cui venivano

usati decine di migliaia di anni fa ed il modo in cui vengono

usati oggi corre una differenza molto minore di quella

esistente tra l’arco e la freccia da una parte ed il fucile

da caccia dall’altra.

La pesca con l'amo si effettuava

inizialmente con un semplice

bastoncino dritto, posto

trasversalmente alla lenza; più

tardi l’amo fu ricavato da una

scheggia di osso o di selce e reso

ricurvo per non fare scappare il

pesce che abboccava (idea semplice, ma geniale). È suggestivo

immaginare il primo uomo che, dopo aver fabbricato una lenza, vi attacca saldamente

una scheggia di selce ricurva, vi infila un'esca, quindi esegue il primo lancio della

storia, si mette in attesa e cattura il primo pesce. Il risultato deve essere stato

strabiliante!

La pesca con la fiocina veniva praticata con una specie di lungo

giavellotto alla cui estremità era

attaccata una parte ossea o di pietra

che presentava degli uncini atti a

trattenere la preda. Era un tipo di

pesca mutuata dalla caccia.

La pesca con la rete

fu applicata maggiormente con l’introduzione delle

imbarcazioni e utilizzata soprattutto laddove si sapeva

che sarebbe transitato il pesce. Questo tipo di pesca

iniziò in forma singola e successivamente fu praticata in

forma collettiva.

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LE PRIME IMBARCAZIONI.

Quasi contemporaneamente, oltre al perfezionamento

degli strumenti, che avrebbero aumentato il rendimento della pesca, fece la sua

apparizione l’imbarcazione, e con

essa l’apertura al traffico e lo

sfruttamento di superfici d’acqua

più estese. La prima barca

probabilmente sarà stata un

tronco d’albero galleggiante.

Questo modo di navigare dovette durare parecchio, prima che si iniziò a costruire

zattere di legno, e ad impiegare rami e

tronchi d’albero incavati o alla creazione

di imbarcazioni di pelle con intelaiatura di

legno.

LA PESCA PORTÒ ALLA SEDENTARIETÀ.

Tutte queste innovazioni ebbero due

importanti conseguenze: 1) una maggiore disponibilità di pesce; 2) la sedentarietà.

In una superficie più ridotta, la natura forniva mezzi di alimentazione in maggiore

copia. La pesca restrinse quindi la superficie attraverso cui gli “uomini” dovevano

muoversi per la ricerca dei propri mezzi di sostentamento e propiziò quella che

possiamo chiamare la civiltà domestica. Se fino ad allora gli “uomini” erano stati

costretti ad andare raminghi per il mondo a caccia di cibo, per il fatto che nessun

posto offriva loro sufficiente nutrimento

da potervisi insediare, con la pesca si

resero indipendenti dalle stagioni, e

iniziarono a condurre una vita

sedentaria. Non per niente i primi

insediamenti, di una certa stabilità, sono

stati ritrovati lungo le coste. Il passaggio

da un’utilizzazione passiva ad

un’utilizzazione attiva dell’ambiente portò,

per la prima volta, l’uomo ad abbandonare il nomadismo e a diventare sedentario.

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LA CACCIA

I popoli che vivevano lontani dalle coste potevano contare sull’alimentazione offerta

dalla pesca solo per completare

ed integrare il loro fabbisogno,

dato che laghi e fiumi

difficilmente potevano fornire

in quantità sufficiente

l’alimentazione principale.

Costoro si nutrivano

principalmente di carne, di

frutti, di bacche, di erbe. Per

seguire le prede e i frutti,

questi gruppi umani erano

costretti a percorrere lunghe distanze. L' ambiente, in quel periodo, era fortemente

ostile all’uomo; da esso dipendeva la sua stessa sopravvivenza. Era sufficiente un

brusco cambiamento climatico per compromettere la loro stessa vita e/o l'abbondanza

del cibo. L’adattamento all’ambiente circostante costrinse questi “uomini” a

sviluppare strumenti tecniche di caccia molto sofisticati.

LA DIVISIONE DEL LAVORO.

La caccia, più della pesca, portò alla prima divisione del lavoro. La costituzione fisica

permetteva infatti agli “uomini” di correre più velocemente delle donne, e a quel tempo

la velocità nella corsa era spesso decisiva per l’esito della caccia. Determinante

tuttavia fu il fatto che le donne, perennemente incinte, che allattavano potevano

allontanarsi poco

dall’accampamento,

tanto più che esse

nutrivano al seno i

figli il più a lungo

possibile a causa

della generale

scarsezza dei mezzi

di alimentazione.

Quanto maggiore

divenne l’importanza

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della caccia nella vita degli uomini, tanto più netta si fece la divisione del lavoro.

Specializzandosi sempre più in questo

lavoro che, quotidianamente occupava quasi

l’intera giornata, questi “uomini” si

trovarono nell’impossibilità di dedicarsi a

quegli altri lavori che fino ad allora avevano

eseguito in comune con le donne. Questo

portò dunque alla specializzazione dei

lavori in base al sesso.

I maschi si occuparono principalmente dei

lavori più duri: caccia (spesso contesa con

orde nemiche, che perciò dovevano

affrontare con le armi); lotte (con gruppi

rivali); costruzione di capanne o rifugi e di

strumenti vari.

Le donne invece s’interessarono dei lavori

più leggeri e meno pericolosi: raccolta

delle erbe, delle radici, di frutti; trasformazione e conservazione domestica del cibo;

lavori domestici e allevamento della prole.

FAVORÌ LA DIFFUSIONE DEL LINGUAGGIO.

La caccia, più della pesca, veniva esercitata in gruppo ed ebbe un effetto fortemente

socializzante, costrinse gli “uomini” a comunicare fra loro, durante le battute di

caccia, e di conseguenza favorì le prime forme di linguaggio.

LA CACCIA E IL NOMADISMO.

Le migliori condizioni di alimentazione richiedevano che lo spazio vitale degli “uomini”

si estendesse. Il territorio entro cui essi cercarono i loro mezzi di sussistenza si

ampliò straordinariamente, fino ad abbracciare centinaia di chilometri che essi

percorrevano durante l’anno per provvedersi di carne in maggiore quantità. Per seguire

le prede e i frutti questi gruppi umani furono costretti, sia per l'alternarsi delle

stagioni e sia per le variazioni climatiche causate dalle glaciazioni, ad un continuo

nomadismo o ad una sedentarizzazione periodica. Al contrario della pesca, la caccia

allargò il territorio.

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STRUMENTI PER LA CACCIA SEMPRE PIÙ SOFISTICATI.

Non bisogna credere che

questi “uomini” pensassero

solo all’approvvigionamento di

carne, perché per ottenere

buoni risultati era necessario

disporre anche di validi

strumenti di caccia. La caccia

quindi promosse l’abilità ed

accelerò il progresso tecnico,

non c’è da meravigliarsi se in

quest’epoca gli strumenti

furono perfezionati più

rapidamente di prima.

Bisognava ridurre al minimo la

situazione di svantaggio (minor forza e minor velocità) rispetto ai predatori ed

approntare strumenti di caccia sempre più produttivi.

L’uomo quindi ideò uno strumento capace di scagliare, ad una distanza e ad una

velocità maggiori delle altre armi, un dardo acuminato capace colpire un bersaglio

anche in movimento infliggendo ferite spesso letali: l’arco. A differenza dell’amigdala,

strumento molto più antico, l’arco è formato da due materiali diversi: da un bastone e

da un tendine. Il tendine, non si trovava dappertutto, come le pietre e i bastoni, esso

era il prodotto di lavorazione di un altro oggetto e cioè di un animale. La caccia quindi

richiedeva particolari strumenti, ma nello stesso tempo forniva la materia prima

necessaria alla loro produzione (principio retroattivo).

Non era solo l’arco ad essere una giustapposizione di oggetti, ma anche la freccia.

Questa venne sempre più perfezionata fino ad arrivare a costruire speciali punte per

la caccia di animali da pelo, in modo da non danneggiare la pelle. Questo sofisticato

strumento di caccia comparve verso la fine del Pleistocene intorno a 11.000 anni fa.

MAGGIORE TECNICA MINORE TERRITORIALITÀ.

L’acquisita abilità tecnica e la divisione del lavoro aumentò il rendimento della caccia e

di conseguenza diminuì il bisogno di battere una zona di caccia grande come quella che

veniva battuta prima, il che rese a sua volta la vita dell’uomo un po’ più facile. La

riduzione del territorio di caccia venne agevolata anche dal fatto che la crescente

abilità ed il generale elevamento tecnico di produzione dette la possibilità di cacciare

un numero sempre maggiore di specie animali. Non solo si potevano uccidere in un

tempo più breve gli animali già cacciati prima, ma si potevano raggiungere anche

specie che fino allora non era stato possibile cacciare affatto o solo raramente.

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SPECIALIZZAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DELLA CACCIA.

Probabilmente verso la fine di questo periodo, i cacciatori si specializzarono

ciascuno nella caccia di

un particolare tipo di

animale: alcuni nella caccia

di animali da pelo, altri

nella caccia di selvaggina

media e piccola grandezza,

altri ancora nella caccia

grossa. Ciò comportava

particolari tecniche di

caccia, e uso di strumenti

diversificati.

Questa specializzazione

contribuì ancor di più ad

innalzare il tasso tecnico

di questi “uomini”.

Dalla tendenza ad ampliare la cerchia degli

animali a cui dare la caccia, si passò ad una

riduzione cosciente e consapevole delle

prede, concentrando maggiori sforzi nei

confronti di quegli animali che presentavano

due caratteristiche particolari: facili da

cacciare e più ricchi di carne. Insomma una

razionalizzazione della caccia.

TORNA

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L’UTILIZZAZIONE DEL FUOCO.

Il controllo del fuoco distaccò definitivamente “ l’uomo “ dagli altri animali, dandogli

consapevolezza del suo potere

e mettendolo altresì in grado

di rivoluzionare le sue

tecniche produttive. Era

necessario andare oltre la

semplice scoperta che il fuoco

esisteva. Vi devono essere

stati momenti in cui degli

uomini (o forse dei bambini),

osservando qualche resto

morente di fuoco che consumava qualche ramoscello, osarono

giocare con esso alimentandolo con altri ramoscelli (una

primitiva intuizione di addomesticamento del fuoco).

Potrebbe anche essere stata l’osservazione dello scintillio

provocato dallo sfregamento di selce contro selce (una primitiva intuizione di come

ottenere il fuoco). Il fuoco produsse negli “uomini”

risultati “rivoluzionari” sia a livello materiale che

psicologico. Inizialmente gli “uomini” vedevano

quest’evento straordinario solo in occasione dei

temporali, delle colate laviche e degli incendi e

sicuramente consideravano gli effetti distruttivi

come qualcosa di spaventoso, da cui stare ala larga.

Quando l’uomo riuscì ad acquistare la padronanza

e la capacità di riprodurre quel “valido

aiutante”, in grado di facilitargli la vita, egli

poté capire, o almeno intuire che, su questa

terra non tutto era prodotto solo dalla natura,

ma che anch’egli era in grado di intervenire

sull’ambiente e sugli elementi ad esso connessi, e quindi di vivere in simpatia con

la natura.

Non sappiamo quando tutto ciò accadde, né in quali circostanze, né quante volte le

osservazioni vennero ripetute, né quale fu la velocità della loro propagazione; sappiamo

con certezza che alla fine, però, l’utilizzazione del fuoco si diffuse a tutta l'umanità.

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Non venne mai trovato in alcun luogo della terra un gruppo di uomini che in tempi

storici mancasse dell'uso del fuoco.

Quando però ciò avvenne, fece compiere all’uomo un passo importantissimo sotto il

profilo tecnologico. L'uso del fuoco rappresentò anche la prima distinzione

assoluta e chiara fra

l'uomo e tutte le altre

specie di creature viventi.

Vi sono animali che

comunicano efficacemente

anche se non attraverso il

linguaggio; esistono animali

che impiegano strumenti in modo primitivo; ma nessun animale diverso dall'uomo ha

mai compiuto anche il più timido passo verso il dominio del fuoco..

Vedi FILMATO

Vediamo allora quali vantaggi apportò il fuoco.

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RISCALDAMENTO ED ESTENSIONE DEL TERRITORIO

Quando a qualcuno venne in mente che un fuoco "addomesticato", tenuto nel ricovero

di una capanna, avrebbe generato calore nel corso della notte, divennero sopportabili

anche le notti più fredde. La gelida desolazione degli inverni poteva così essere

affrontata con un potente alleato come il fuoco. Il fuoco permise d’ingrandire

l’estensione del territorio in cui l'uomo poteva vivere: “ l'uomo “ non era più

confinato in quegli ambienti cui era adatto il suo corpo nudo e indifeso e non era

costretto ad aspettare il lento ritmo del cambiamento evolutivo per adattarsi ad altri

ambienti più duri. Ora era in grado di controllare l’ambiente e di adattarlo alle sue

necessità.

LUCE E CAMBIAMENTI COMPORTAMENTALI.

Il fuoco oltre al calore dà la luce e non c’è dubbio che questa sconvolse un po’ le

abitudini degli

“uomini”.

Disporre di luce

anche durante le

ore buie del

giorno significò:

aumentare le ore

di lavoro, più

possibilità di

stare assieme e

di migliorare la

socializzazione

all’interno del gruppo, più tempo per trasmettere le conoscenze acquisite. La luce

quindi provocò anche cambiamenti comportamentali.

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DIFESA.

Il fuoco si dimostrò efficace non solo per proteggere l’ingresso delle capanne e/o

caverne, che divennero più sicure, ma

anche per combattere ed allontanare i

grandi predatori. L'insediamento nelle

capanne e/o caverne rese assai più

facile conservare acceso il fuoco

proteggendolo dalla pioggia o dalle

incursioni dei nemici.

Dopo che gli esseri umani ebbero definitivamente acquisito il controllo sul fuoco, lo

monopolizzarono e lo utilizzarono per estendere il loro dominio su tutti gli altri

animali.

MIGLIORAMENTI TECNICI.

Il fuoco consentì anche di migliorare il rendimento di

una delle prime armi da caccia usate dagli “uomini”: la

lancia, che venne resa più dura mediante il fuoco.

ALIMENTAZIONE

Non è inverosimile pensare allo stupore del primo

uomo che recuperando dal fuoco un buon boccone di

carne cruda, che gli era caduto, nel mangiarlo rimane

estasiato non solo dell'odore

sprigionatosi dalla cottura, ma anche del

miglior sapore.

Deve aver condiviso subito con tutti gli

altri membri del clan questa gloriosa

scoperta e da quel punto non è difficile

pensare cosa possa essere successo. Il

cibo riscaldato dal fuoco diveniva più

facile da masticare e sviluppava nuovi

aromi che l'uomo trovò piacevoli. Con

l’aiuto del fuoco gli “uomini” furono in grado di sfruttare più adeguatamente le prede

catturate, che vennero cucinate e rese più gustose. In tal modo la lista delle vivande a

disposizione dell’uomo divenne più ricca, più varia e di migliore qualità e la figura del

cuoco fece la sua comparsa nella storia. A poco a poco, l'uso del cibo cotto divenne

universale.

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Ciò non fu una questione di moda o di inutile

artificialità. Vi sono cibi che possono essere

mangiati se cotti ma che sono troppo duri o

scadenti per poter essere utilizzati crudi. La

cottura ammorbidisce il cibo, che diventa

utilizzabile anche per i vecchi senza denti e ne

facilita la digestione (il riso bollito è diverso dai

grani duri).

CALO DELLE MALATTIE.

La cottura distrugge i batteri e altri parassiti

del cibo. L'uso del cibo cotto fece diminuire le

malattie e le infezioni intestinali nell'uomo

primitivo; e ciò significò un aumento della forza e un allungamento della vita.

AUMENTO DEMOGRAFICO.

Nel complesso, il controllo del fuoco accrebbe le possibilità di sopravvivenza

dell'uomo, favorì l'espansione territoriale e, a lungo termine, anche l'incremento

demografico.

Quest'ultimo fenomeno riveste un'importanza cruciale per comprendere il corso

successivo dell'evoluzione sociale. L'incremento della popolazione facilitò, tra le altre

cose, l'organizzazione sia di modi più efficaci di difendersi dai predatori e dai rivali

appartenenti al regno animale, sia di gruppi per la caccia più consistenti. Tuttavia, nel

momento stesso in cui estendevano il loro dominio attraverso il controllo del fuoco, gli

uomini divennero sempre più dipendenti da questo elemento; se non altro perché

l'aumento della popolazione rendeva necessario per la sopravvivenza lo sfruttamento

permanente del monopolio del fuoco.

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CULTURA DOMESTICA.

Il problema della casa si pose all'uomo primitivo probabilmente quando dovette

rinunciare ai ripari naturali che originariamente gli servivano come abitazione, cioè

cespugli, alberi cavi, buche nel suolo e principalmente le caverne, o più semplicemente

dei massi sporgenti che opponevano un ostacolo, anche parziale, al vento e alla pioggia.

Dovendosi continuamente spostare per inseguire la selvaggina, per cercare regioni più

ospitali, o, più tardi, pascoli più ricchi per il suo bestiame, l'uomo preistorico si trovò

nella necessità di procurarsi un riparo che non dipendesse totalmente dalle

imprevedibili condizioni climatiche e ambientali dei vari luoghi e offrisse protezione

dal vento e dalla pioggia a quel bene prezioso che era il fuoco. Questo riparo doveva

potersi costruire semplicemente, con gli strumenti rudimentali e i materiali di cui

disponeva, e poiché la maggior parte dei popoli primitivi era nomade, il riparo esigeva

di essere fatto in modo da potersi smontare e trasportare facilmente. E' proprio da

questa esigenza legata alla vita nomade che sembra essere nata la capanna

preistorica.

L’insediamento in una sede stabile rappresentò un enorme progresso nello sviluppo

degli uomini, fu la base per il sorgere della cultura domestica. Gli uomini abitavano in

comunità di 15 -25 uomini e dovevano lavorare continuamente in una zona molto ampia,

data la scarsa capacità di sfruttare intensivamente, ai fini della loro alimentazione, il

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territorio circostante. Ad eccezione di comunità di pescatori, gli altri si spostavano

continuamente verso altre regioni alla ricerca di cibo.

Il legno, che si era dimostrato così utile per la costruzione di imbarcazioni, venne

utilizzato anche per la costruzione delle case. Tra gli oggetti che facevano parte della

casa in questo periodo troviamo poche stoviglie, che invece sono più abbondanti verso

la fine della fase umana antica. Tuttavia alcune importanti proprietà e caratteristiche

dell’argilla erano già note e messe al servizio della vita domestica, come prova il fatto

che alcuni cesti venivano rinforzati ed induriti con l’argilla. Per il resto, erano

principalmente le materie organiche che avevano importanza decisiva per

l’approntamento degli oggetti necessari alla vita domestica. Così si utilizzavano cesti

fatti di fibre vegetali, recipienti di legno, indumenti di pelle e di pelliccia, come anche

prodotti ottenuti intrecciando filacce e fibre simili. In generale però, dopo la fatica

spesa per procacciarsi il cibo, rimaneva poco tempo disponibile per la produzione di

oggetti domestici.

TORNA

L’ATTIVITÀ CONOMICA DEL PALEOLITICO.

Quando si parla di attività economica si deve intendere l’insieme coordinato di tutte

le operazioni che si mettono in atto per procurarsi o produrre quei beni e quei

servizi di cui si ha bisogno. Nel caso specifico la necessità di svolgere le attività

della caccia, della pesca e del mantenimento del fuoco nascevano dall’esigenza di

soddisfare ancora i bisogni primari e di rendere la vita più facile ed “agiata”.

ECONOMIA PRODUTTIVA.

Gli “uomini” trasformarono gli oggetti trovati in strumenti di lavoro e di difesa

adattandoli ad un uso particolare. Ciò implicò una premeditazione, un collegamento

cerebrale cosciente fra causa ed effetto, nonché una determinata abilità tecnica.

I nuovi strumenti consentirono l’ottenimento di nuove risorse alimentari (pesce e

carne) e consentirono il passaggio da un’economia di raccolta ad una di produzione.

Gli uomini che vivevano in queste comunità avevano intuito che “economicamente” era

più vantaggioso riutilizzare gli strumenti adoperati per la caccia specialmente se

questi si erano dimostrati particolarmente adatti ed efficaci. In questo modo non

avevano bisogno, ogni giorno, di adoperarsi per cercare nuovi strumenti di lavoro e/o

di caccia in quanto potevano muoversi alla ricerca del proprio nutrimento riutilizzando

strumenti già usati in precedenza a cui era stata assegnata un’utilità duratura.

L’utilizzazione di strumenti conservati garantiva a questi uomini, la possibilità di avere

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più tempo per la caccia, per la pesca e per la raccolta. La riutilizzazione degli

strumenti di lavoro consentì che con uno sforzo relativamente minore ed in un tempo

più breve, i cacciatori arrivassero a catturare una quantità sempre maggiore di carne,

aumentando così la produttività del lavoro (inteso come il rapporto tra l’intensità

e la durata dello sforzo da una parte ed il risultato dall’altra). Un’inconscia

applicazione del principio edonistico (o principio del tornaconto) secondo cui l’uomo,

nell’appagare i propri bisogni, cioè nello svolgere la sua attività economica, segue

l’istinto di ottenere il massimo effetto con il minor sacrificio o sforzo possibile.

ECONOMIA COMUNITARIA.

Durante il paleolitico l’uomo passò da un’economia individuale ad un’economia tribale

che riusciva ad assicurare a gruppi itineranti sufficienti risorse alimentari. Egli cioè

abbandonò l’abitudine di vivere in piccoli gruppi, raccogliendo vegetali, nutrendosi di

animali morti (l’uomo spazzino) e cacciando animali di piccola taglia, ed iniziò invece a

riunirsi in gruppi più numerosi (da 15 a 25), che praticavano la caccia organizzata.

La caccia perciò ebbe un effetto fortemente socializzante e favorì probabilmente le

prime forme di linguaggio. In queste comunità tutti gli strumenti che si

possedevano appartenevano al gruppo, all’infuori di quelli che servivano come armi di

difesa contro le bestie feroci. Non esisteva il concetto di proprietà privata ma solo

quello di proprietà di gruppo. Ma non erano solo gli strumenti che appartenevano

alla comunità, ma anche i prodotti del lavoro venivano divisi in parti uguali tra

tutti.

ECONOMIA BASATA SUL LAVORO COMUNE.

Il lavoro collettivo apportò ulteriori vantaggi:

“ l’uomo “ capì che la capacità di rendimento di un gruppo era superiore alla

somma della capacità di rendimento dei singoli individui che lo componevano (la

pressione di un singolo uomo su un elefante è minima; ma la pressione di venti

uomini sullo stesso elefante diventa considerevole e vincente)

“ l’uomo “ intuì che il semplice contatto sociale, durante le attività lavorative,

generava nella maggior parte dei casi un’emulazione ed una peculiare

eccitazione che portavano ad aumentare il rendimento individuale dei singoli.

“ l’uomo “ si rese conto che la cooperazione e la collaborazione all’interno del

gruppo agevolava notevolmente lo sviluppo culturale e civile della comunità

stessa.

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LIMITI DI TALE ECONOMIA.

Tuttavia in questa fase non si superò ancora la condizione nella quale la comunità

produceva giusto quanto bastava per ogni singolo. In fondo si era ancora

completamente dipendenti dal clima e nelle buone stagioni non si faceva ancora

provvista di cibo per le stagioni cattive.

PRIMO LIMITE: L’UOMO ERA ANCORA UN PREDATORE.

Il limite più evidente di questo tipo di economia è rappresentato dal fatto che essa

dipendeva ancora dalle risorse offerte spontaneamente dalla natura. Per quanto

riguarda l’approvvigionamento alimentare, l’uomo pur essendo un produttore di

strumenti, continuava ad essere ancora un predatore. Questa situazione non conobbe

significativi mutamenti durante il mesolitico, un periodo intermedio di durata

relativamente breve (poche migliaia di anni in confronto ai milioni del paleolitico), che

delimitò una fase di transizione ancora contrassegnata dallo stadio della caccia, della

pesca e della raccolta. Gli “uomini” disponeva comunque di strumenti di lavoro e di

caccia che gli permettevano di procurarsi risorse alimentari più abbondanti ed in

minor tempo.

SECONDO LIMITE: ECONOMIA DI CONSUMO.

Non esistevano tecniche di conservazione dei viveri, per cui tutto quello che si

pescava, cacciava o raccoglieva veniva distrutto per eliminare immediatamente lo

stato di bisogno. Fortunatamente si poteva disporre di una maggiore quantità di

prodotti alimentari e di una maggiore varietà. Gli “uomini” per soddisfare i loro bisogni

primari consumavano totalmente i beni che si procacciavano con la caccia, la pesca e la

raccolta. In compenso c’era un riutilizzo degli strumenti di lavoro che erano risultati

efficaci.

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