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La fase di analisi è composta dalle seguenti sottofasi:

♦ definizione/verifica dell’entità

♦ analisi degli attori‐chiave

♦ analisi dei problemi

♦ analisi degli obiettivi

♦ identificazione ambiti d’intervento (clustering)

La fase di progettazione è composta da queste altre sottofasi:

♦ scelta degli ambiti d’intervento (scoping)

♦ definizione della logica di intervento

♦ analisi del rischio

♦ definizione degli indicatori

♦ programmazione temporale delle attività

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Analisi dei problemi

Il primo vero passo della progettazione consiste in una identificazione dei problemi che esistono in una determinata situazione.

E’ importante chiarire i due termini‐chiave che si usano in questa fase di analisi (problema e obiettivo):

- un problema è una situazione attuale negativa

-un obiettivo è una situazione positiva futura.

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Può accadere, specialmente quando la progettazione è effettuata “a tavolino” da

un esperto o da un progettista, che i problemi siano formulati:

‐ in forma positiva (es., “il problema è trovare forme efficaci di …”, o “il

problema è il coordinamento”)

‐ di “mancanza” di una certa soluzione (es. “mancanza di strutture di

supporto per..”); è questo l’errore più tipico che una progettazione effettuata

da un esperto può comportare.

L’esperto è portato, in modo naturale, a “vedere” subito la soluzione o l’azione di cui è convinto portatore invece dei fenomeni negativi che accadono in una determinata situazione o territorio; “mancanza di ...”, carenza di …” o assenza di …” sono dunque “soluzioni assenti” e possono a volte costituire un freno a una analisi più pertinente dei problemi e influire sulla qualità della progettazione ad esempio

‐ in maniera generica o astratta

‐ in termini di giudizi personali (es. “Inefficienza della Pubblica Amministrazione”).

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E’ quindi importante che i problemi siano formulati a partire dalla realtà, non

sulla base di idee, teorie o prefigurando soluzioni, seppure auspicabili. Quanto più l’identificazione dei problemi è basata sugli aspetti concreti e tangibili della realtà, tanto più il lavoro di progettazione sarà di qualità.

Le caratteristiche che devono avere i problemi identificati in questa fase sono le seguenti:

‐ reali, basati cioè su fatti concreti e non su idee o opinioni,

‐ oggettivi, basati su fatti certi e, se possibile, dimostrabili,

‐ espressi in termini negativi, che rappresentino quindi delle condizione

negative attuali e non delle soluzioni,

‐ chiari, comprensibili quindi da tutti,

‐ specifici, riferiti cioè a aspetti o elementi precisi (persone, luoghi, tempi,

quantità, ecc.).

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Il metodo GOPP privilegia l’identificazione dei problemi a quella dei bisogni,

tipica della cultura formativa e progettuale tradizionale, giacché il problema

fotografa una situazione negativa attuale e oggettiva mentre il bisogno, esprime un desiderio soggettivo e sottintende già una soluzione.

Una corretta individuazione dei problemi e una loro giusta gerarchizzazione costituisce un elemento fondamentale dell’attività di progettazione.

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La concertazione è la sede nella quale si concorre all’individuazione di obiettivi strategici delle politiche di intervento e per l'impostazione di indirizzi attuativi suscettibili di divenire oggetto di intesa tra le parti e, in quanto tali, di costituire oggetto di impegno o vincolo di comportamento che i diversi soggetti coinvolti adottano ed accettano di rispettare negli atti e nelle iniziative che li impegnano all'interno delle rispettive sfere di competenza.

Funzione specifica è soprattutto quella di consentire che la necessaria dialettica fra le parti si sviluppi avendo come riferimento un quadro generale unitario, tale da garantire la verifica della coerenza e della compatibilità fra le diverse politiche e iniziative settoriali e le relative scelte di impiego delle risorse.

A tale scopo viene istituito un Tavolo di concertazione, le cui sedute originano atti impegnativi, a cui viene data la necessaria rilevanza esterna.

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IL PIANO DI ZONA (art.19 L.328 /00)

•favorire la creazione di una rete di servizi e interventi flessibili, stimolando le risorse della comunità locale

•qualificare la spesa attivando anche risorse locali

•ripartire la spesa tra i soggetti firmatari

•prevedere formazione, aggiornamento e progetti di sviluppo dei servizi.

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IL PIANO DI ZONA (art.19 L.328 00)

•Obiettivi, priorità, strumenti e mezzi organizzazione dei servizi, risorse e requisiti di qualità

•rilevazione dei dati nell’ambito del sistema informativo

•modalità per garantire integrazione fra servizi e prestazioni

•coordinamento con organi statali periferici (amministrazione penitenziaria e della giustizia)

•collaborazione fra servizi territoriali, soggetti che operano nell’ambito della solidarietà sociale e comunità locale;

•forme di concertazione con l’asl e con gli enti non profit erogatori di servizi ed interventi sociali.

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IL PIANO DI ZONA (art. 19 L.328\00)

i Comuni provvedono a definire il piano di zona che Viene adottato attraverso Accordo di programma (l. 142\90 art.27) al quale partecipano soggetti pubblici e privati, in particolare quelli che concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato.

•E' approvato dai comuni associati che fanno parte di un determinato “ambito territoriale per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete”

•l’ambito è determinato dalla Regione e dovrebbe essere coincidente con il distretto sanitario

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•“Si tratta di distinguere fra la funzione di advocacy e protezione sociale che il non profit svolge in autonomia e la funzione gestionale che svolge per conto degli enti pubblici che finanziano quei servizi.

•Il diritto – dovere a essere rappresentati nel processo dei Piani di zona discende dalla advocacy, che racchiude in sè la capacità di evidenziare i bisogni, di delineare nuove opzioni di intervento, di mettere in rete proprie risorse professionali e strutturali in aggiunta a quanto disponibile con investimento pubblico.”

•Battistella, De Ambrogio, Ranci Ortigosa 2004, Il Piano di zona, Carocci Faber

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Definizione del termine Advocacy

•“Attività di supporto all’esplicazione dei bisogni e di tutela dei diritti, svolta da organizzazioni di volontariato formali e informali, in favore di gruppi sociali soggetti a processi di marginalità sociale o di utenti dei servizi sociali e sanitari”

•Battistella, De Ambrogio, Ranci Ortigosa 2004, Il Piano di zona, Carocci Faber

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I modelli in gioco nell'etica pubblica

Individualismo

Utilitarismo

Comunitarismo

Personalismo

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Per un'etica del lavoro sociale

Con il termine etica si intendono i principi che orientano il comportamento. Ogni riflessione sull'etica mira a definire ciò che è bene, ciò che è auspicabile fare o intraprendere,

come persona appartenente a una comunità o a una società. A differenza della morale, l'etica non è prescrittiva né

imperativa. Essa ci porta a domandarci come dobbiamo comportarci per soddisfare la nostra condizione di individui

inseriti in una società.

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Per un'etica del lavoro sociale

Se l'etica non è prescrittiva, è perlomeno fonte di tormenti, rimorsi, interrogazioni. Essa obbliga il soggetto a prendere

coscienza di quello che fa, a porsi domande sulla sensatezza delle proprie parole e dei propri atti, ad ascoltare il proprio

“tribunale della coscienza”.

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Per un'etica del lavoro sociale

Spesso è difficile decidere ciò che è giusto in una situazione storica data, sempre singolare, sempre contingente, anche

quando si è saputo e potuto riflettere su ciò è bene specie se questo bene non può essere raggiunto (costruito) nella realtà

in cui si opera. L'etica, tuttavia ci aiuta costringendoci a domandarci se i compromessi inevitabili con le strutture

sociali favoriscano funzionamenti più liberi più egualitari o se, al contrario, non vadano a rinforzare le gerarchie, i

sistemi di dominio, di sfruttamento e alienazione.

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Per un'etica del lavoro sociale

Non si danno soluzioni semplici, individuali, meramente tecniche e/o strumentali a problemi complessi.