La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

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La doppia libertà di Isaiah Berlin, verso un' Ontologia del Particolare Indice 0. The Cold War Liberals, un' Introduzione, 1 1. Libertà degli antichi e libertà dei moderni. Berlin e Constant, 8 2. Isaiah Berlin tra filosofia analitica e filosofia politica 20 3. Libertà Negativa 30 4. Libertà Positiva: Monismo, determinismo e fanatismo 61 Bibliografia

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Un approccio genealogico ai "Due concetti di Libertà" di Isaiah Berlin

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La doppia libertà di Isaiah Berlin,

verso un' Ontologia del Particolare

Indice

0. The Cold War Liberals, un' Introduzione, 1

1. Libertà degli antichi e libertà dei moderni. Berlin e Constant, 8

2. Isaiah Berlin tra filosofia analitica e filosofia politica 20

3. Libertà Negativa 30

4. Libertà Positiva: Monismo, determinismo e fanatismo 61

Bibliografia

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0. The Cold War Liberals. Un' Introduzione.

È abbastanza facile rendersi conto di come Isaiah Berlin

non occupi, nella storia della filosofia occidentale del secolo

XX, un posto d'onore. Egli fu tutto sommato lontano dal

proscenio della filosofia politica novecentesca, tanto che se

qualcuno gli avesse chiesto in vita di specificare quale fosse la

sua "vocazione", se, in altre parole, fosse stato costretto a

cercare per sé stesso un termine che riassumesse il suo lavoro

di autore e di teorico, egli avrebbe affermato di essere, più che

un filosofo politico, uno "storico delle idee" o, più

semplicemente, un intellettuale. Queste due "definizioni",

proposte in alcune interviste da Berlin stesso, condensano il

senso del rapporto ravvicinato e continuo che egli volle

intrattenere con "Le Idee". Le edizioni Adelphi, non a caso,

hanno apposto ad una raccolta di saggi berliniani il

significativo titolo de Il Potere delle Idee1.

Ne I due concetti di Libertà , il saggio che tenteremo di

analizzare nella seguente trattazione, è suggerita l'immagine

delle idee che, allevate nella quiete degli studi dei cattedratici e

dei pensatori, precipitano nel mondo fenomenico e talvolta

acquistano in esso un'esistenza autonoma di forze motrici di

avvenimenti epocali, e molto spesso sanguinosi. Berlin era

convinto che né la polizia, né gli eserciti, né i corpi

diplomatici, né la politica potessero arginare gli effetti

impazziti di un'Idea. Questo compito, per lui, spettava agli

1 Cfr I.BERLIN, Il potere delle idee, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Ferrara degli Uberti, Adelphi,

Milano, 2003

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intellettuali, essendo questi ultimi i soli a dimostrarsi adatti ad

un simile lavoro.

Si può intuire come per Berlin le idee non sempre e non

necessariamente sono "buone", anzi è quasi come se egli

avvertisse il bisogno, da parte degli Intellettuali, di, per così

dire, addomesticarle in quanto selvagge potenze intellettuali,

attraverso la comprensione delle loro sfaccettature, dei loro

presupposti e delle loro implicazioni.

Judith Nisse Shklar, filosofa della politica e del diritto,

connazionale di Isaiah Berlin, parla a ragion veduta,

esaminando il ragionamento politico del suo compatriota, di

una "preoccupazione per il male politico"2, come se l'impegno

teorico fosse stato ordinato quasi esclusivamente ad evitare un

summum malum piuttosto che a delineare le caratteristiche di

un summum bonum.

Parallelamente alla Libertà Negativa si potrebbe

individuare allora un Liberalismo Negativo, incentrato,

piuttosto che sulla analisi normativa della società industriale e

post-industriale, sul "non-dover-essere" dell'Occidente.

La stessa Shklar sottolinea in ciò un atteggiamento

difensivo verso quello che fu il modello di società e di stato

che durante quasi tutto l'arco del 900 si oppose a quello delle

democrazie liberali del Patto Atlantico: il modello Sovietico,

col suo propulsore ideologico, il Materialismo Storico. Si

potrebbero invero addurre mille obiezioni contro una simile

2 Per ciò che attiene, in tutta questa introduzione, a quanto scritto da J.N. Shklar si veda JUDIT SHKLAR, ‘The Liberalism of Fear’, in: NANCY L. ROSENBLUM (ed.), Liberalism and the Moral Life, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1989

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affermazione, che istituisce un rapporto causa-effetto tra la

teoria e la realtà, il quale, lungi dall'essere sempre scontato e

chiaramente ricostruibile, è ancora meno palesemente

osservabile nella vicenda sovietica. In ogni caso vale la pena

ricordare come, nella riflessione berliniana sul rapporto tra le

Idee e la storia cruenta del XX secolo, è senz'altro ammessa,

come già detto, la possibilità che l'Idea, in questo caso quella

del socialismo scientifico marxiano, una volta "seminata" nella

materialità dei rapporti tra gli uomini, acquisti, per così dire,

una sua indipendente volontà e spinga questi ultimi a

servirsene come un "coltello insanguinato"3.

Lasciando ad altri, che meglio ne hanno scritto e meglio ne

scriveranno, l'onere filosofico e storiografico di appurare

quanto marxismo ci fu nell'assetto socio-istituzionale dell

URSS, nella triste parabola staliniana e financo nelle "Tesi di

Aprile", a noi rimane la possibilità di affermare, con buona

approssimazione, che Berlin fu un pensatore liberale

caratterizzato da una distinguibile cifra anti-comunista, pur

senza traccia di animosità ideologica. Anzi, la sua, prima che

essere una posizione politica, fu soprattutto un robusto

orientamento filosofico-epistemologico contraddistinto da una

decisa opposizione verso il bias teleologico e determinista di

buona parte della teoria prodotta nel novecento.

Anche in lidi lontani dal marxismo (potremmo citare a

titolo meramente esemplificativo la sociologia stuttural-

funzionalista di Talcott Parsons) notiamo infatti un penchant 3 Vedasi, sull'argomento, la prima parte de I due concetti di libertà, più estese indicazioni bibliografiche sono fornite nel corso di questa trattazione

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per "il fine intrinseco", "l'evoluzione finalizzata", il

"compimento", la "perfezione". Per quasi tutti i grandi

pensatori politici e sociali vissuti e operanti nei circa

centocinquanta anni che vanno dal 1848 al 2000 è come se

fosse esistita una potenza demiurgica immanente che, prima o

poi, avrebbe fatto scivolare tutti i tasselli al loro posto nel

mosaico del mondo.

A questo proposito Eric Voegelin nel 1959 parlava di gnosi,

volendo indicare un complessivo movimento di "ri-

divinizzazione" della società, e la ricerca di un "compimento

escatologico" in un ipotetico paradiso terrestre, che arrivò a

caratterizzare una grande varietà di opzioni intellettuali

moderne e, in ultima istanza, la modernità nella sua interezza.4

Per Berlin tale paradiso in terra è semplicemente

irrealizzabile, costituendo né più né meno che l'ipotesi fallace

di un particolare tipo di razionalità. Berlin si dice scettico nei

confronti di qualsiasi gioco razionalistico che creda nella

possibilità di una finale estinzione dei conflitti, soprattutto di

quelli tra idee. Con un efficace espressione egli dichiarò di

credere che "la storia non ha libretto", e possiamo ipotizzare

come egli credesse che le forze cieche che ne animano il corso

non potessero giungere ad un'ultima e definitiva pacificazione.

Egli è rimasto famoso soprattutto per la sua originale impronta

di Pluralismo; ebbene il pluralismo berliniano si nutre proprio

4 E. Voegelin, filosofo e politologo tedesco, nel 1959 diede alle stampe l'opera intitolata Scienza, Politica

e Gnosi, in cui, rovesciando i presupposti della riflessione sociologica weberiana , individuava nel fluire della storia del secolo passato quelli che egli definì dei "germi regressivi", dovuti in massima parte a tendenze totalitarie che egli defini "gnostiche", contrapponendole alla razionalità democratica "greca e cristiana". Si veda in proposito E. VOEGELIN, Science, Politics, Gnosis, Isi Books, Londra, 2005.

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di questa incrollabile certezza nella durata infinita

dell'opposizione tra diversi fini e i valori ultimi dell'esistenza

umana. È possibile, dice Berlin, comprendere le idee e le

motivazioni degli altri, e persino tracciare un confine tra quelle

tra loro che sono umane, e quelle che invece sono "disumane",

ma è letteralmente impossibile ridurre tutte le divergenze ad

una composizione e pervenire così ad una verità assoluta e

indubitabile. Ecco il motivo per cui il socialismo scientifico,

gnosticismo materialista, viene respinto con decisione: aver

compreso le leggi immanenti dello sviluppo storico, e aver

previsto su questa base la fine delle opposizioni è

semplicemente una fallacia logica. Se ciò, per vie dirette o

traverse che siano, conduce ad una forma estrema di

coercizione quale fu il progetto staliniano di "ingegneria

dell'anima", allora bisogna difendersi contro una simile

razionalità e fare in modo che collassi sulla base della sua

stessa inaccettabilità logica.

Ecco perché Berlin è un "liberale da guerra fredda", perché

la sua filosofia pluralista e liberale ci fornisce gli stumenti

concettuali per capire il perché del fallimento di un idea

progressiva e umanitaria in sommo grado come quella

marxista. Berlin ci ricorda che non tutto quello che messo nero

su bianco ci pare razionale è per ciò stesso reale o realizzabile.

Egli non è il solo "cold war liberal". Insieme a lui, ad

abitare questa concezione agonistica della razionalità c'è Karl

Popper, il quale affermò senza mezzi termini che noi umani

"non abbiamo bisogno del certo". Terzo in cotanto senno, lo

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diciamo per amore di completezza, il sociologo tedesco

Raymond Aron. I tre furono dunque avversari della nuova

metafisica materialista e positivista. In particolare furono tutti

e tre, e per ragioni più che altro biografiche, avversari del

Marxismo, ma non per l'intolleranza politica maccartista che

prese la mano a molti dei pensatori e dei politici occidentali,

ma per una conseguente scelta logica ed epistemologica. Essi

ci ricordano, tutt'oggi, che il marxismo si tramutò in

disumanità perché pretese di porre fine, per il tramite

palingenetico di un'ultima lotta, al conflitto; di tutte le cose

padre, di tutte re.

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1. Libertà degli antichi e libertà dei moderni:

Berlin e Constant

Il saggio di Isaiah Berlin intitolato "Two Concepts of

Liberty" fu dato alle stampe quasi dieci anni dopo che il suo

autore ebbe pronunciato la prolusione sulla quale si basa la

prima edizione. Nel 1957 infatti Berlin successe a G.D.H. Cole

sulla cattedra Chicherle di Teoria sociale e politica, e nel 1958,

seguendo un costume oxoniense, fu chiamato a tenere un

discorso inaugurale per celebrare il suo insediamento. Scelse

per l'occasione proprio il tema della libertà, quasi a voler

segnalare la precedenza logica (e ontologica) di questa rispetto

a tutti gli studi di teoria politica. Nacque così uno dei saggi più

(e a nostro avviso peggio) letti del pensiero liberale del

ventesimo secolo, raccolto insieme ad altri dello stesso autore

in "Four Essays on Liberty", uscito per i tipi della Oxford

University Press, nella collana Paperbacks, nel 1967.

I Four Essays dovevano intitolarsi, secondo l'originario

progetto editoriale, "Opere Complete". Seppure Berlin

considerasse questo un titolo improbabile, esso aveva il merito

di riconoscere profeticamente l'importanza capitale che la

raccolta, successivamente ampliata secondo le volontà dello

stesso Berlin, riveste ancora oggi nell'economia del pensiero

berliniano (e liberale).

Il fondamentale bersaglio polemico dei quattro (poi cinque)

saggi è da identificarsi nella teoria e nella pratica totalitarie, in

maniera specifica (ma non esclusiva) riguardo alla Unione

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Sovietica, dove Berlin era nato e da cui era stato costretto a

fuggire ancora ragazzino, insieme alla sua famiglia.

Egli sembra, infatti, chiedersi sopratutto in che modo e

come mai il marxismo, una teoria di certo profonda,

umanitaria e razionalistica, erede, ancorché spuria, della

fiducia illuministica nell'uomo come creatura razionale e fine

in sé, abbia fornito un puntello filosofico al crudele progetto di

"ingegneria dell'anima" rappresentato dalla esperienza

staliniana.

Sebbene tutti i saggi raccolti nei Four Essays siano

ciascuno significativo ed importante, è opinione di chi scrive

che un'analisi dei "Due Concetti di Libertà" possa fornire

moltissime indicazioni sul pensiero di Berlin e gettare feconda

luce interpretativa sul resto dei suoi scritti, ivi compresi gli

altri tra gli Essays. La raccolta sembra trovare nei "Due

Concetti" il suo fuoco naturale, la sua pietra angolare, anche

secondo il parere dello studioso inglese, il quale certamente

riteneva che senza una perspicua comprensione di cosa sia la

Libertà, in sé e in rapporto al suo contrario, la Coercizione,

non si può comprendere alcuna delle idee politiche che si sono

contese l'agone universale nel corso dei secoli diciannovesimo

e ventesimo.1

Potrebbe sembrarci di trovare, nei Due Concetti, una mera

banalizzazione di un momento del pensiero di Benjamin

Constant, o quantomeno una ripresa poco originale delle idee

di quest'ultimo, dobbiamo specificare sin dall'inizio che a

1 cfr I. Berlin, Due concetti di Libertà; in I. Berlin, Libertà; a cura di Henry Hardy, trad. it. Di G. Rigamonti e M. Santambrogio Feltrinelli, Milano 2010 (prima ed. 2005); pag 171.

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differenziare Berlin da Costant sono le premesse e i metodi di

indagine. Il secondo, infatti, è un oratore militante, impegnato

nella competizione politica, preoccupato degli esiti immediati

che il suo pensiero avrebbe potuto esercitare sulle sorti della

sua nazione. Il primo invece un accademico formatosi nel

milieu oxoniense, è influenzato dalla logica formale e dalla

filosofia del linguaggio, intraprende una disamina dei concetti

contenuti nella parola libertà guidato in egual misura da motivi

storicamente contingenti e da esigenze analitiche, preoccupato

cioè tanto di analizzare le ragioni filosofiche della tragedia

totalitaria del novecento quanto di fissare dei limiti connotativi

della parola "Libertà" (per quanto questi due obbiettivi

possano compenetrarsi nel corso di tutti i Due Concetti).

Teoria che immediatamente si traduce in azione politica,

dunque, da un lato, e analisi linguistica dei concetti politici,

dall'altro.

Eppure si può affermare con buona approssimazione che

l'obbiettivo di entrambi consiste in una operazione teorica di

salvaguardia delle cosiddette "libertà della persona" dalla

pressione esiziale che su di esse esercitano quei governi che

potremmo definire autoritari.

E' chiaro come i due si riferiscano a due "esperimenti"

totalitari storicamente lontani: Constant pensa a quella fase

della Rivoluzione Francese passata alla storia con l'evocativo

nome di "Terrore", Berlin invece ha in mente il secolo

ventesimo e i suoi totalitarismi. Ma l'idea che accomuna i due

autori e i loro due contesti è sostanziale, indipendente dunque

da qualsiasi congiuntura. È l'idea secondo la quale movimenti

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politici e governi che abbiano carattere autoritario si originino

da una qualche confusione o perversione del concetto di

Libertà politica.

Cosa pensa Constant allora riguardo al Terrore e alle

Ghigliottine? Egli è convinto che una cattiva filosofia,

anacronistica più che illiberale, caduta in mano ad insipienti

"sperimentatori" sociali, abbia divorato come un famelico

Minotauro l'intero spazio di libertà di cui godevano i francesi

dopo la loro "felice rivoluzione".

Chi sono gli sperimentatori? Senza dubbio i Giacobini.

Qual è la cattiva filosofia? Per scoprirlo dobbiamo a mio

avviso rammentare preliminarmente a noi stessi alcuni

lineamenti fondamentali del pensiero del ginevrino Jean-

Jacques Rousseau, in quanto il concetto di volontà generale,

concetto rousseuviano per eccellenza, può esserci utilissimo in

tutta questa trattazione, non solo in virtù del fatto che Constant

ne fa il suo nemico teorico, ma anche e soprattutto se lo

intendiamo come un archetipo delle teorie della "Libertà

Perversa" che sia Berlin che Constant intendono anatomizzare

e criticare.

Ho detto all'inizio che, per non aver percepito tali differenze

[tra la libertà degli antichi e quella dei moderni], uomini ben

intenzionati, peraltro, erano stati la causa di infiniti mali durante

la nostra lunga e tempestosa rivoluzione.

[…]

Ma quegli uomini avevano attinto molte delle loro teorie

dalle opere di due filosofi, che non si erano resi conto nemmeno

loro dei cambiamenti arrecati da duemila anni alla disposizione

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del genere umano. Forse una volta esaminerò il sistema del più

illustre di questi filosofi, J.-J. Rousseau, e mostrerò che,

trasferendo ai nostri tempi moderni un'estensione di potere

sociale, di sovranità collettiva che apparteneva ad altri secoli,

quel genio sublime, animato dall'amore più puro della libertà, ha

nondimeno fornito funesti pretesti a più di un genere di tirannia.2

Rousseau avanzò la sua proposta di una società ideale,

basata sul concetto di Volontà Generale, nella sua opera più

rilevante, il "Contratto Sociale".

Mentre nel "Discorso sull'origine e il fondamento

dell'ineguaglianza tra gli uomini" egli vedeva nella divisione

del lavoro e nella nascita dei rapporti di dipendenza sociale e

di proprietà la stortura delle società, l'origine di un "patto

iniquo" che soffocava la libertà delle masse3, nel "Contratto

Sociale" egli espose i fondamenti di un nuovo patto, più giusto

e capace di garantire il libero esercizio delle umane facoltà.

Nella stipula di un nuovo patto gli individui avrebbero rimesso

tutte le loro libertà di natura nelle mani di un Io comune, vero

e proprio organismo collettivo dotato di vita e volontà.

Volontà Generale, appunto. Unica depositaria del vero bene:

"…poiché gli uomini non possono creare nuove forze, ma solo

unire e dirigere quelle che ci sono, non hanno più altro modo per

conservarsi che quello di formare, aggregandosi, una somma di

forze che possa avere la meglio sulla resistenza, di metterle in

movimento mediante un solo impulso e di farle agire 2 B. Constant, La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, Piccola Biblioteca Einaudi, A cura

di G.Paoletti, Torino, 2005, pagg. 16-18 3 Cfr. J-J. Rousseau, Discorso sull'origine e i fondamenti dell'Ineguaglianza tra gli uomini, Editori Riuniti,

2003, Parte II, passim.

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concordemente.

Questa somma di forze può nascere solo dalla collaborazione

di molti uomini: ma, dal momento che la forza e la libertà di

ciascun uomo sono i primi strumenti della sua conservazione,

come potrà impegnarle senza arrecare danno a sé stesso e senza

trascurare le cure che si deve? Questa difficoltà, riferita al mio

tema, può essere enunciata nei seguenti termini:

"Trovare una forma di associazione che difenda e protegga,

media§nte tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun

associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non

obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima."

Questo è il problema fondamentale di cui il contratto sociale

offre la soluzione.

Queste clausole [quelle del contratto], bene intese, si riducono

tutte a una sola, cioè all'alienazione totale di ciascun associato

con tuti i suoi diritti a tutta la comunità.

[…] Compiendosi l'alienazione senza riserva, l'unione è tanto

perfetta quanto può essere, e nessun associato ha più nulla da

rivendicare: infatti, se restasse qualche diritto ai singoli, dato che

non vi sarebbe alcun superiore comune in grado di arbitrare tra

essi e la collettività, ciascuno, essendo su qualche punto giudice

di se stesso, pretenderebbe presto di esserlo su tutti: lo stato di

natura sussisterebbe ancore e l'associazione diventerebbe

necessariamente tirannica o inutile.

[…]Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il

suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale e

noi, costituiti in corpo, riceviamo ogni membro quale parte

indivisibile del tutto.4

Ne deriva una concezione della società e dello stato come

4 Cfr J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, a cura di R. Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005, pagg. 66-67

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organismo, e anzi possiamo affermare senza timore di

sbagliare che nella filosofia di Rousseau troviamo una delle

più chiare formulazioni della metafora organicistica della

società.

A tutta prima l'architettura sembrerebbe quella di

hobbesiana memoria, se non fosse che alla terzietà di un

sovrano assoluto Rousseau sostituisce un ente ideale, le cui

parti sono i singoli individui, ma che come ogni totalità è

molto più che la somma dei suoi costituenti. E chi pensa che

l'Io comune, in qualità di Sovrano, sia meno assoluto di un

monarca si sbaglia di gran lunga, dacché nemmeno l'autore

sembrava essere di questo avviso. Egli sosteneva infatti che,

una volta alienata la sovranità su sé stesso in favore dell' Io

comune, l' Individuo non dovesse avere più nulla a pretendere

da quest'ultimo, e dunque la Volontà Generale, autonoma e

sovrana, avrebbe imposto i suoi desiderata, qualora ciò si

fosse reso necessario, anche in spregio alle volontà dei singoli.

A interessare Constant però non è tanto il concetto

normativo di Volontà Generale, con le sue ripercussioni nella

storia delle idee politiche. Tantomeno egli pare soffermarsi sul

lessico "anatomico" che deriva da quella concezione

organicistica del vivere associato, che invece Berlin vorrà

stigmatizzare in molti luoghi del suo discorso politico5.

Constant, lo ricordiamo, è un membro della elite politica

francese del suo tempo, e tiene discorsi in parlamento

55 In particolare vedasi, riguardo a questo aspetto, il saggio su Le idee politiche del XX secolo, contenuto in Libertà, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2010 (prima ed 2005). Ivi Berlin articola la sua critica contro le idee politiche portatrici di quella che lui chiama una concezione "organicista" della società

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sperando che servano ad orientare l'azione della classe

dirigente tardo-rivoluzionaria, e dunque non ci deve stupire

come egli si concentri sulla critica esclusiva del concetto

operativo di Volontà Generale, cioè di quella particolare

maniera che ebbero Rousseau in teoria, e i Giacobini in

pratica, di concepire l'organizzazione del vivere associato in

ottemperanza all'ideale del Popolo Sovrano:

La Francia si è vista vessata da inutili esperimenti, i cui

autori, irritati dagli scarsi successi, hanno tentato di costringerla

a godere del bene che essa non voleva, e le hanno conteso quello

ch'essa voleva.6

Ci conviene a questo punto ancora una volta tornare alla

pagina rousseauviana. Il ginevrino istituisce una chiara

connessione tra la Persona Pubblica (il corpo sociale come Io

Comune) e la civitas degli antichi.

"Questa persona pubblica che si crea così dall'unione di tutte le

altre si chiamava una volta Citta, e ora si chiama Repubblica o

Corpo Politico"7.

E proprio tale modellamento della Repubblica futura sulla

polis degli antichi sembra fornire a Rousseau una delle

caratteristiche che più marcatamente connotano il concetto di

Volontà Generale: l'indivisibilità. Se il Sovrano è uno, ed è il

6 Cfr. B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Piccoli, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 3 7 Cfr. J.-J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, a cura di Roberto Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005, pag 68.

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Popolo, allora la divisione dei poteri è una impostura e

Montesquieu un ciarlatano giapponese.

"Infatti la volontà è generale o non lo è; è quella del corpo del

popolo o solamente di una parte. Nel primo caso questa volontà,

dichiarata, è un atto di sovranità e fa legge, mentre nel secondo è

soltanto una volontà particolare o un atto di magistratura, tutt'al

più un decreto.

Ma i nostri politici, non potendo dividere la sovranità quanto

al suo principio, la dividono quanto al suo oggetto; la dividono

in forza e in volontà in potere legilativo e in potere esecutivo, in

diritti concernenti le imposte, la giustizia e la guerra, in

amministrazione interna e in potere i trattare con lo straniero;

talvolta confondono tutte queste parti, talaltra le separano.

Fanno del sovrano un essere paragonabile a quelli prodotti dalla

fantasia, formato di pezzi messi insieme l'uno con l'altro; è come

se componessero l'uomo con più corpi, di cui l'uno avesse gli

occhi, l'altro le braccia e l'altro i piedi, e niente più. Si dice che i

ciarlatani del Giappone taglino a pezzi un fanciullo sotto gli

occhi degli spettatori e poi, gettando in aria tutte le sue membra

una dopo l'altra, lo facciano ricadere vivo e tutto ricomposto.8

Che farsene allora di governi, magistrati e corpi diplomatici?

Relegarli nelle prigioni della storia come complici

dell'oppressione, e insediare al loro posto un'unica Assemblea

dei Cittadini, come ad Atene; e proprio questa Assemblea ci

sembra il concetto empirico meglio capace di tradurre la

Volontà Generale in qualcosa di apprezzabile materialmente.

Un' Assemblea, dunque, dove ognuno sia chiamato, in qualità 8 J.-J. Rousseau, Il contratto Sociale, a cura di Roberto Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005 pag 77-78

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di parte del Sovrano, a deliberare sulle materie afferenti alla

sua vita. E una volta che tutte le parti si saranno pronunciate

potremo stabilire, con precisione matematica, qual è la volontà

del tutto, ed ergere solo quest'ultima a criterio legittimo

dell'azione politica. E chiunque vi resista resiste, secondo

Rousseau, al vero bene della società e attenta alla salute

dell'organismo civico. Si consuma in questo, secondo

Constant, secondo Berlin e secondo chi scrive, un cruento

sacrificio dell'Individuo sull'ara della Comunità. Adesso, e per

la prima volta nella storia della teoria politica, la

preoccupazione per la libertà dei singoli ha condotto alla sua

confisca, alla sua alienazione, al suo massacro. è quel processo

di cui Berlin rinverrà l'epitome in un passo dell' amato

Dostoevskij: si parte dalla libertà illimitata e si finisce

nell'illimitato dispotismo.9 è questo l'equivoco di una Libertà

Perversa, che si fraintende da se stessa. E di questo equivoco

tratta pure Berlin, come vedremo in seguito.

[…]l'abate Mably può essere considerato l'esponente del sistema

che, in conformità con le massime della libertà antica, vuole che

i cittadini siano completamente assoggettati affinchè la nazione

sia sovrana, e che l'individuo sia schiavo affinchè sia libero il

popolo10.

Per adesso invece guardiamo alla Francia del

Diciannovesimo incipiente, e preoccupiamoci di chiarire in

9 cfr I. BERLIN, Le idee politiche del XX Secolo, in I. BERLIN, Libertà, a cura di H. Hardy, trad. it. G.

Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 73 10

Cfr. B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Paoletti, Piccola

Biblioteca Einaudi, Torino 2001, pagg 18-19

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quale parte del discorso si innesti la critica di Constant.

Egli rese consapevoli i Francesi che non era più possibile che

tutti partecipassero direttamente all'amministrazione della cosa

pubblica. Le mutate condizioni economiche e sociali

rendevano impraticabile ai suoi contemporanei la libertà

propria degli antichi. Volere a tutti i costi resuscitarla aveva

portato la nazione a non godere di nessuna libertà. Bisognava

forgiare con le armi del pensiero una nuova idea di libertà, che

fosse adeguata ai tempi. Quale è questa libertà "dei moderni"?

In una battuta potremmo definirla come la libertà di dissociarsi

dalla Volontà Generale.

[…] noi non possiamo più godere della libertà degli antichi, che

era fatta della partecipazione attiva e costante al potere

collettivo. La libertà che ci è propria deve essere fatta del

godimento pacifico dell'indipendenza privata.11

Invece che al governo di tutti su tutti, Constant pensa ad un

sistema rappresentativo, il quale possa in ogni caso garantire la

difesa degli interessi dei singoli ma che lasci loro il tempo di

essere liberi dalla cosa pubblica. Inoltre, per scongiurare il

rischio che i rappresentati tradiscano i rappresentati come la

Volontà Generale in pratica ha fatto tradendo le volontà

particolari, egli sostiene che debba essere concesso agli

Individui uno spazio inviolabile nel quale la Persona Pubblica

non possa e non debba assolutamente intromettersi.

11

Cfr. B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Paoletti Piccola

Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 15.

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"L'edificio rinnovato dello spirito degli antichi è crollato, a dispetto di

molti sforzi e molti atti eroici che hanno diritto all'ammirazione . Il

fatto è che il potere sociale ledeva in ogni senso l'indipendenza

individuale senza eliminarne il bisogno. La nazione non riteneva

affatto che una parte ideale a una sovranità astratta valesse i sacrifici

che le venivano comandati. Si aveva un bel ripeterle con Rousseau: le

leggi della libertà sono cento volte più austere di quanto sia duro il

giogo dei tiranni. Di tali leggi austere non voleva saperne e, nella sua

stanchezza, arrivava a credere che il giogo dei tiranni sarebbe stato

preferibile. L'esperienza è venuta e l'ha disillusa. Ha visto che

l'arbitrio degli uomini era ancora peggiore delle leggi più cattive. Ma

anche le leggi devono avere i loro limiti.

Se sono riuscito, signori, a farvi condividere l'opinione che, ne

sono convinto, dev'esser prodotta da questi fatti, riconoscerete con me

la verità dei seguenti principi:

L'Indipendenza individuale è l primo bisogno dei Moderni. 12

Quello che Constant ha in mente è dunque un confine,

invalicabile per l' Autorità, che garantisca per il singolo una

area entro la quale egli stesso singolo, e nessun altro, sia il

Sovrano.

Senza soffermarci sull'articolazione del Discorso di

Constant diremo invece che, nella vulgata liberale, si fa presto

ad appiattire tutta la profondità dei Due Concetti sul dettato

constantiano. La Libertà degli Antichi, la libertà di è passata in

quella Positiva. La Libertà dei Moderni è tout-court quella

Negativa; libertà da. E dunque Berlin sarebbe un epigono

poco originale.

12 Cfr B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G.Paoletti, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 22.

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Al netto dei molti richiami berliniani al pensero di

Constant, e delle molte similitudini nel modo che i due hanno

di intendere la libertà, pensare a Berlin come ad un "doppione"

ci farebbe perdere di vista la complessità del suo pensiero,

delle sue ragioni, dei suoi strumenti e del suo posto nella storia

del liberalismo. Uno degli scopi di questa trattazione sarà

rendere giustizia, cercando di comprenderli passo dopo passo,

a tutti questi elementi. .Così facendo tenteremo, per quelli che

sono gli strumenti di chi scrive, una esposizione dei Two

Concepts of Liberty, un testo in ogni caso molto difficile,

ondivago e involuto.

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2. Isaiah Berlin tra Filosofia Analitica e Filosofia

Politica

Per rinvenire le radici più fonde del pensiero di Isaiah Berlin

bisogna ripercorrere i sentieri (solo apparentemente aridi) della

filosofia analitica, in maniera precipua di quella oxoniense.

Berlin non era inglese di nascita, e nemmeno un immigrato di

seconda generazione. Oggi diremmo che egli era lettone; e difatti la

Lettonia post-sovietica l'ha presto assunto come il massimo filosofo

nazionale e con tale titolo gli tributa ogni anno grandi onori

(purtroppo ciò sembra non essere mai accaduto fintanto che egli fu

in vita, sebbene egli sia sopravvissuto allo spartiacque del 1989). Il

nostro però probabilmente non si sentì mai lettone quanto russo,

ebreo ed inglese. Russo per cultura letteraria; Ebreo di stirpe e di

indole; Inglese in filosofia.

Ebreo russo Berlin fu per la sua intera esistenza. Convinto

sionista, fu tuttavia talmente inglese da non lasciare mai

l'insegnamento ad Oxford. Quantunque il nuovo stato di Israele

attendesse una delle sue migliori intelligenze, per affidarle un

importante incarico di dirigenza politica, i dirigenti sionisti in

Palestina mai riuscirono a distogliere quella mente dal suo luogo

naturale: l' All Souls College.

In contrasto con questo dato biografico (o forse aneddotico),

invece, il Berlin di "My Intellectual Path" scrisse di sé stesso, senza

riserve, che fu la lettura di Vico e di Herder a risvegliarlo al

pensiero1, volendo forse intendere che il clima intellettuale di

Oxford era quantomeno torpido, se non dormiente.

1 Cfr. I. Berlin, Il Mio Itinerario Intellettuale, in I. Berlin, Il Potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano, 2003, pagg. 31-37

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Mario Ricciardi, apprezzato studioso italiano di cose berliniane,

in un saggio pubblicato in "Biblioteca Liberale", rivista digitale

edita dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi,

sembra suggerire invece che un confronto critico con la filosofia di

Oxford attraversi trasversalmente tutta l' opera di Berlin2. Stanti

così le cose si potrebbe riservare al dibattito tra Berlin e suoi

colleghi e contemporanei un posto più significativo nella

determinazione dei fattori genetici dei nuclei concettuali rinvenibili

nei "Two Concepts of Liberty".

Dice innanzitutto Ricciardi:

"In My Intellectual Path Berlin ricostruisce il proprio percorso

intellettuale secondo uno schema già proposto in precedenti scritti

autobiografici. La lettura di Vico ed Herder sarebbe ciò che lo ha

liberato dal ristretto orizzonte problematico della filosofia di Oxford,

le cui priorità erano sostanzialmente stabilite dal positivismo logico

cui Berlin e i suoi colleghi si opponevano, per aprirgli un più vasto

panorama intellettuale. Da questa sorta di rigenerazione, che Berlin a

volte ha descritto quasi come una rivelazione, nascerebbe l'interesse

per la storia delle idee e per la politica. Secondo questa lettura

"discontinuista", sarebbero Vico, Herder e i Romantici a fornire a

Berlin gli spunti per mettere in discussione il monismo e per elaborare

progressivamente la sua distintiva versione del liberalismo ispirata dal

pluralismo dei valori"3

Berlin, finanche nei suoi carteggi con alcune personalità della

filosofia e della cultura in generale, non perse mai occasione per

mettere in evidenza il fatto che egli considerasse addirittura "futili"

i temi previsti dalla agenda intellettuale oxoniense. Egli scrive di

volersi dedicare a letture più "continentali", di voler affrontare 2 M. Ricciardi, L'altra libertà. Isaiah Berlin e il determinismo, in Biblioteca Liberale anno XLVI n. 200 Online Gennaio-Aprile 2011. 3 M. Ricciardi, ibidem, pag. 8

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Hegel, Marx, Engels. Sappiamo che egli fece anche di più,

arrivando a nutrire una accesa stima per autori che gli stessi filosofi

continentali consideravano ormai una curiosità antiquaria; si pensi

al già citato Vico, principale fonte della vèrve polemica di Berlin

contro i logicismi aridi della filosofia dell' Europa insulare.

Ricciardi però si sofferma su come, quantunque Berlin manifestasse

in maniera palese il desiderio di allontanare il suo sentiero

intellettuale da quello dei suoi sodali di Oxford, l'interesse per il

pluralismo, per l'azione umana, per la storia della filosofia, fu

suscitato in lui da un confronto non solo "distruttivo" con quelle

che, per usare una locuzione che riecheggi il dettato berliniano e ne

conservi il tono polemico, potremmo definire le mode filosofiche

del prestigioso ateneo inglese.

Ricciardi si ferma a considerare l'incidenza che può aver avuto

sullo sviluppo del pensiero di Berlin l'insegnamento di John Cook

Wilson, eminente personalità oxfordiana di inizio ventesimo secolo.

Il futuro inquilino della Cattedra Chicherle conobbe con ogni

probabilità le idee di John Cook Wilson attraverso la mediazione

degli allievi di questi che ebbe tra i suoi docenti. Ricciardi indica in

particolare i nomi di Prichard, Ross e Joseph. Così Ricciardi:

"Nelle lezioni di logica e negli altri suoi scritti filosofici pubblicati

solo dopo la morte avvenuta nel 1915, Cook Wilson sviluppava, non

senza incertezze e tentennamenti, una critica delle principali dottrine

di Thomas H.Green e Francis H. Bradley. Grande attenzione era

prestata agli usi del linguaggio ordinario

(l’espressione stessa linguistic analysis viene impiegata da Cook

Wilson) per smascherare le fallacie derivanti dalla tendenza dei

filosofi a introdurre termini tecnici senza un’adeguata attenzione alle

conseguenze che esse comportano sul piano concettuale.

Mentre gli interessi di Cook Wilson erano quasi esclusivamente logici

ed epistemologici, quelli di Prichard, Ross e Joseph si estendevano

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fino alla filosofia morale, cui applicavano il metodo di analisi del

linguaggio ordinario elaborato dal maestro cercando di esplicitare le

assunzioni che sottendono il nostro modo di pensare le azioni che

ciascuno compie nella vita di ogni giorno come, ad esempio, quando

«promette»".4

L' importanza che questo passaggio di Ricciardi riveste nella

ricostruzione dell' influenza di Oxford nella formazione del

pensiero del Berlin maturo è capitale. Se ne evince infatti che

Prichard, Ross e Joseph, sulla scorta del lascito di John Cook

Wilson, cominciarono ad applicare l'analisi linguistica al dominio

dell' azione umana, conservando, oltre al metodo, anche

l'intenzione del maestro; vale a dire quella di "smascherare le

fallacie derivanti dalla tendenza dei filosofi a introdurre termini

tecnici senza un'adeguata attenzione alle conseguenze".

Non è forse questa stessa l'intenzione che guida Berlin

nell'analizzare il doppio concetto di libertà? Non crede forse il

professore lettone che una ingannevole nozione filosofica di libertà

(una fallacia, appunto) sia alla base dell'instaurazione dei regimi

totalitari del Novecento, e che tocchi all'analisi linguistico-

filosofica dei concetti ristabilire il vero senso di questi ultimi, o

quantomeno la storia del loro fraintendimento? Secondo chi scrive

la risposta a tali domande deve essere decisamente affermativa. A

suffragio di tale ipotesi è possibile utilizzare la stessa pagina

berliniana. All'inizio della prolusione sui "Due Concetti di Libertà"

infatti Berlin scrive:

"Più di cento anni fa il poeta tedesco Heine ammonì i francesi a non

sottovalutare il potere delle idee: i concetti filosofici allevati nella

quiete dello studio di un professore possono distruggere una civiltà.

4 M. Ricciardi, ibidem, pagg. 8-9

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Secondo Heine la Critica della Ragione Pura di Kant era la spada con

cui era stato decapitato il deismo tedesco, e le opere di Rousseau

erano l'arma insanguinata che, in mano a Robespierre, aveva distrutto

il vecchio regime; e si poteva profetizzare che la fede romantica di

Fichte e di Schelling un giorno sarebbe stata rivolta, con effetti

terribili, contro la cultura liberale dell'occidente dai loro fanatici

seguaci tedeschi. I fatti non hanno completamente smentito questa

predizione; ma se i professori hanno davvero in mano questo fatale

potere, non potrebbe darsi che solo altri professori, o per lo meno altri

pensatori (e non i governi o le commissioni parlamentari), siano in

grado di disarmarli?" 5

In questo passo assume particolare rilevanza, ai fini del nostro

discorso, l'impiego, da parte dell'autore, del verbo "disarmare".

Una simile scelta linguistica sembra in effetti suggerire un'azione

quasi assimilabile al disinnescare un ordigno concettuale,

operazione che non è difficile figurarsi nei termini della rettifica di

un errore logico (meglio ancora linguistico), tanto più se deve

essere un compito dei pensatori. Nel testo dei "Due Concetti" la

presa in esame di ogni possibile aspetto del problema della libertà,

da operare in ordine al "disarmo" di cui sopra, si configura proprio

come un tentativo di analizzare e chiarire la potenza denotativa, o

meglio significante, del lemma, al fine di comprendere il diverso

atteggiamento verso la vita sotteso ad ogni possibile attribuzione di

significato di cui la parola "libertà" può essere oggetto.

In altre parole quello che Berlin sembra voler fare è un'analisi

dei significati della libertà che lo porti a intravedere l'orizzonte

culturale, psicologico, relazionale, entro il quale ciascuno di questi

significati si inscrive.

5 I. Berlin, Due concetti di Libertà, in I. Berlin, Libertà, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano 2005, pag. 170

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Questo intento segna una profonda distanza tra Berlin e i suoi

colleghi oxoniensi. E il primo passo di questa distanza consiste

nella concezione del tutto diversa, rispetto a quella dei suoi

colleghi, che Berlin ha della nozione di "significato".

L'ultimo scritto di Berlin, "Il mio itinerario intellettuale", già

citato più sopra in queste pagine, contiene alcune illuminanti

suggestioni in proposito. È uno scritto d'occasione, composto su

richiesta di un accademico cinese incaricato della curatela di una

raccolta di pensatori anglofoni. Berlin ottantasettenne non volle

rinunciare a comparire con un suo elaborato in tale volume, molto

probabilmente perché proprio in quegli anni (1996) in Cina era in

atto il riconoscimento in via costituzionale di alcune importanti

"libertà negative" e dei diritti soggettivi di matrice liberale.

Il contenuto di questo testo non tradisce il titolo. Berlin infatti

racconta della sua carriera di filosofo, o meglio ancora delle letture

e dei problemi affrontando i quali il suo pensiero si era educato.

Quello del significato è da subito identificato da Berlin come un

cardine della sua formazione filosofica. Tanto è vero che già nelle

prime pagine egli ne fa menzione, e tutta la primissima parte del

saggio è consacrata al resoconto delle querelles sorte a proposito di

questo ed altri argomenti simili tra Berlin e i suoi colleghi, entro le

mura dell' Università di Oxford.

Facciamo parlare direttamente l'autore:

"La prima questione che occupò la nostra attenzione tra la metà e la

fine degli anni Trenta era la natura del significato: il suo rapporto con

la verità e la falsità, la conoscenza e l'opinione, e in particolare il

criterio di significanza in termini della verificabilità delle proposizioni

in cui il significato era espresso. A spingerci verso questo tema erano i

membri della Scuola di Vienna, essi stessi discepoli di Russell e

grandemente influenzati da pensatori come Carnap, Wittgenstein e

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Schlick. L'idea di moda era che il significato di una proposizione

consiste nel modo della sua verificabilità; e se non c'è alcun modo

possibile di verificare ciò che viene detto, allora si tratta di un

enunciato insuscettibile di verità o falsità, che non ha carattere

fattuale, ed è pertanto privo di significato, oppure è un esempio di un

diverso uso del linguaggio, come accade nei comandi o nelle

espressioni del desiderio, o nella letteratura d'immaginazione, o in

altre forme d'espressione che non pretendono di essere empiricamente

vere.

Fui influenzato da questa scuola nel senso di essere assorbito dai

problemi e delle teorie da essa generati, ma non diventai mai un autentico

discepolo. Ho sempre creduto che enunciati che possono essere veri o falsi o

plausibili o dubbi o interessanti, se da un lato si riferiscono senza dubbio al

mondo quale è empiricamente concepito (e, da allora fino a oggi, non ho mai

concepito il mondo in alcun altro modo), dall'altro non per questo sono

necessariamente suscettibili di essere verificati mediante un qualche criterio

semplice e risolutivo, come affermavano la Scuola di Vienna e i positivisti

logici suoi seguaci."6

Alfiere presso la comunità accademica inglese di un simile

approccio fu, tra gli altri, Alfred Jules Ayer. Amico e compagno di

studi di Berlin, ancorchè suo avversario filosofico, Ayer dedicò al

principio di verificazione come sopra enunciato una delle sue opere

più importanti: Language, Truth and Logic. Berlin dissentiva da

Ayer su tutta la linea. Soprattutto dopo il 1950, egli articolò la sua

critica al principio di verificazione adducendo un elegante

argomento logico-linguistico concernente la natura delle

proposizioni ipotetiche. Anche di ciò possiamo trovare una traccia

in My Intellectual Path:

"….Lo stesso è vero per le proposizioni ipotetiche, e a maggior

ragione per le proposizioni ipotetiche del terzo tipo, riguardo alle quali

6 I. Berlin, Il mio itinerario intellettuale, in I. Berlin, il potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Ferrara

degli Uberti, Adelphi, Milano 2003, pag. 24

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è palesemente paradossale sostenere che se ne può dimostrare la verità

o falsità mediante l'osservazione empirica, e che nondimeno hanno

senza dubbio un significato".7

A questo proposito Ricciardi nota giustamente che:

Il legame con l’azione […] è […] chiaro: dal significato degli

enunciati ipotetici dipende buona parte del discorso sull’azione e il

tipo di ricostruzioni controfattuali che si trovano normalmente nei libri

di storia.8

Possiamo dunque ipotizzare che Berlin, già interessato dagli anni

trenta agli ambiti della storia, della politica, e della morale,

piuttosto che alla logica formale, si sia allontanato dall'ambiente

oxoniense primariamente in virtù di questa concezione imperante

sulla natura del significato, la quale egli si avvide poteva

compromettere buona parte del discorso sull'azione umana. Dunque

seppure Berlin, nei suoi "Due Concetti", si cimenti con la disamina

dei due significati più pregnanti della parola Libertà, e lo faccia in

maniera auto-evidente attraverso una analisi linguistica, egli ha in

mente una nozione affatto diversa, e molto più profonda, di

significato.

Quale sia questa nuova dimensione del significato l'abbiamo

accennato prima dicendo che Berlin tenta di comprendere i diversi

atteggiamenti verso la vita che costituiscono il presupposto di ogni

possibile concetto di Libertà. Una tale espressione risulterebbe di

molto rischiarata allorché venisse compresa nell'orizzonte delle

successive influenze culturali cui fu sottoposto il giovane Berlin.

Non dovremo stupirci neanche in questo caso qualora arrivassimo a

stabilire che per buona parte fu lo stesso milieu oxoniense a fornire

7 I.Berlin, ibidem, pag. 25

8 M. Ricciardi, L'altra libertà. Isaiah Berlin e il determinismo, in Biblioteca Liberale anno XLVI n. 200 Online Gennaio-Aprile 2011, pag. 14

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al Nostro gli spunti necessari ad elaborare una simile concezione

del significato. E così infatti è, considerando che l' influenza di

Oxford passò attraverso una delle personalità meno integrate nella

vita culturale dell'accademia inglese, quale fu Robin G.

Collingwood, traduttore in Inglese di Benedetto Croce.

Vale la pena, perciò, di notare una singolare coincidenza. Berlin

seguì i corsi di filosofia della storia di Collingwood nel 1931,

contemporaneamente al sorgere del suo interesse per la storia e la

filosofia della politica.

Bernard Williams, redattore di una introduzione all'edizione

inglese di Concepts and Categories fa notare come la concezione

collingwoodiana della metafisica come scienza non già dell'essere

in quanto tale, quanto delle "presupposizioni assolute" sottese ad

ogni concezione del mondo (potremmo dire anche: ad ogni

giudizio?), si riversi tout-court nella nozione di significato

rinvenibile nell'opera di Berlin, oltre a conservare l'eco chiaramente

udibile della Filosofia dello Spirito crociana.

In questo capitolo non menzioneremo né Vico né Herder, in

quanto il fatto che la lettura delle opere di questi due pensatori

"minori" abbia informato di sè il pensiero Berliniano si impone alla

nostra attenzione con evidente chiarezza. Ci limitiamo a

sottolineare come fu Oxford a dissodare le zolle prima che il germe

"continenale" venisse seminato, e, a margine di questa

considerazione, ci preme di sottolineare come, oltre a Vico, un altro

napoletano fece la sua parte (sebbene in maniera obliqua) nella

maturazione della filosofia di Berlin: Benedetto Croce.

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30

3. Libertà Negativa

Dopo aver tentato di rendere preliminarmente conto del

rapporto dei Due Concetti di Libertà con il liberalismo

constantiano e con i pensatori oxoniani coevi, è giunto il

momento di confrontarci direttamente con il testo, alla ricerca

delle trame concettuali che esso sottende. Avremo nel

frattempo ulteriori occasioni per mettere in evidenza

convergenze e differenze tra Berlin e il pensiero liberale

"classico".

Riteniamo sia opportuno trattare i due concetti di libertà

separatamente, rimanendo ciò nonostante consapevoli di come

l'uno sia indivisibile dall' altro, come le due facce di una

moneta, e rammentando che se ciascuno di essi in certa misura

contiene l'altro, ad un tempo lo contraddice. Questo aspetto,

che a tutta prima sembrerebbe a chiunque un paradosso, è

invece tanto più vero in una prospettiva filosofica come quella

berliniana, basata come sembra essere su una concezione del

pluralismo come contraddizione non solo possibile, ma

talvolta necessaria, tra i fini e valori ultimi all'interno di una

medesima cultura (o addirittura nell'interpretazione del

medesimo concetto).

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In questa direzione ci conduce anche lo stesso incipit del

saggio:

"Se gli uomini non si fossero mai trovati in disaccordo sui fini

della vita, se i nostri antenati fossero rimasti, indisturbati, nel

giardino dell'Eden, gli studi ai quali è dedicata la cattedra

Chicherle di Teoria Sociale e Politica difficilmente avrebbero

potuto essere concepiti"1.

La filosofia politica si nutre dunque del conflitto, e inoltre ad

essa è affidata la responsabilità di capire il conflitto, siccome

giammai sarà in suo potere di risolverlo. Se il filosofo abdica a

questo difficile compito allora le idee politiche che nascono quasi

spontaneamente dall'interazione umana, dalla cosiddetta "società

civile", rischiano, una volta che su di essa nuovamente si

riflettono, di diventare un "coltello insanguinato".

Ecco Berlin:

"Trascurare il campo del pensiero politico [….] significa

semplicemente mettersi alla mercè di credenze primitive e

acritiche"2.

1 I.Berlin "Due concetti di libertà", in I.BERLIN, Libertà, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli Universale Economica, 2005, pag. 169 2 Op. Cit, pag.170

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32

Inutile specificare come questi due aggettivi non abbiano

affatto una connotazione neutra, ma palesemente assumano un

contenuto peggiorativo.

Come fare allora a capire il conflitto? Riferendoci a quanto

già accennato nel capitolo precedente, diremo che per Berlin

capire i conflitti vuol dire "capire le idee o l'atteggiamento

verso la vita ad esse sotteso". Comprendere la genesi dei

conflitti fra diversi valori e fini ultimi nel campo della vita

associata, ovvero in ultima istanza fra i gruppi di uomini che

sono portatori dell'uno o dell'altro fine o valore, vuol dire

dunque fare luce sulle Weltanschauungen in cui consiste

l'orizzonte culturale dal quale nascono e crescono le idee

politiche, al fine di rendere chiari i meccanismi intellettuali (e

psicologici) che operano in qualunque attribuzione di

significato di cui sono fatte oggetto le parole della Politica.3

In altri termini, a quale visione del mondo (e dell'uomo)

fanno capo i diversi significati attribuibili alla parola Libertà?

3 Nell'opera berliniana sono in maniera precipua analizzati i conflitti tra la Weltanschauung romantica e quella illuminista. Berlin dedica all'argomento più di un saggio critico, e si può ipotizzare che egli ritenga lo scontro tra le due grandi correnti del pensiero moderno come un momento genetico della modernità in quanto tale. In particolare Berlin sembra essere attratto piuttosto dal romanticismo (ad es. Herder), il quale costituirebbe il puntello della teoria pluralista del valore che caratterizza la sua speculazione etico-politica. Al contrario l'Illuminismo, nell'opinione di Berlin, ripropone la visione monista della vita e del pensiero, la quale Berlin avversa. Per approfondire l'argomento si vedano: I.BERLIN, The age of enlightment, The 18th century philosophers, Plume, Londra, 1984; I. BERLIN, Le radici del romanticismo, a cura di H. Hardy, trad it. Di G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano, 2001; I. BERLIN, Il mago del nord: J.G. Hamann e le origini dell'irrazionalismo moderno, trad. it. di N. Giardini, Adelphi, Milano, 1997.

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33

In via preliminare converrebbe allora stabilire cosa

significhi "Libertà".

Berlin ci avverte pressoché immediatamente della

complessità del problema:

"Quasi tutti i moralisti storicamente noti hanno cantato le lodi

della libertà; ma il significato di questo termine, come quelli di

"felicità" e "bontà", "natura" e "realtà", è talmente elastico che

non c'è praticamente interpretazione che non ammetta"4.

Subito dopo Berlin qualifica la parola libertà come

"proteiforme", evocando l'immagine di una catena lunghissima

di singoli componenti giustapposti l'uno all'altro (come i

peptidi in una proteina) che però si vedono solamente al

microscopio, la loro totalità sfuggendo alla vista dell'occhio

nudo. È come dire che quanti sono gli uomini tanti sono i

concetti di libertà, ma se volessimo pervenire ad una

definizione univoca della parola Libertà, allora l'oggetto della

nostra indagine d'improvviso sfuggirebbe al nostro sguardo per

ritirarsi nella sua ineffabilità, lasciandoci però quantomeno

liberi di interpretare la libertà come vogliamo, o come ci

4 Op. Cit. pag 171

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interessa. E infatti non c'è Una Libertà, dato che, secondo

Berlin, non c'è, e mai ci potrà essere, l'accordo unanime sui

valori supremi della vita associata. Proprio per questo, e

nell'impossibilità di rendere conto di tutti i significati di libertà

("possiamo forse andare a verificare le multiformi concezioni

della libertà?", sembra dire Berlin al suo collega Ayer) Berlin

restringe il campo della sua analisi a due di questi: uno

negativo ("Fin dove sono libero?"), e uno positivo, che

potremmo racchiudere nella domanda che recita: "Da chi sono

governato? E in nome di quale principio io debbo obbedire?".

Seguendo la divisione in paragrafi degli stessi "Due

Concetti" tratteremo prima, in questo capitolo, il senso

negativo. Nel capitolo successivo cercheremo di enucleare tutti

gli aspetti del senso positivo di Libertà, connesso tra l'altro con

molti dei temi ulteriori della riflessione berliniana.

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3.1. La Libertà Negativa

"….questa dottrina è relativamente moderna. Nel mondo antico

non troviamo, praticamente, nessuna discussione della libertà

individuale come ideale politico consapevole (distinto dalla sua

esistenza effettiva). Già Condorcet aveva osservato che l'idea dei

diritti individuali era assente dalle concezioni giuridiche dei

romani e dei greci, e questo vale anche per la civiltà ebraica,

quella cinese e tutte le altre culture nate (sempre nell'antichità)

successivamente".5

Questo passaggio ci aiuta a capire la nozione di Libertà

Negativa, in quanto ci fornisce un utile parametro di

riferimento: la libertà individuale (in quanto ideale politico

consapevole), e un altrettanto utile tertium comparationis: i

diritti individuali. La Libertà Negativa è dell'Individuo ed è

collegata ai diritti, al Diritto, e lo è nella misura in cui ha a che

fare con l'interazione tra i soggetti.

5 Op. Cit. pag. 179

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"…sarebbe una stranezza dire che nella misura in cui non so fare

[…] io sono coartato o schiavizzato. La coercizione implica una

deliberata interferenza di altri esseri umani all'interno dell'area

in cui altrimenti potrei agire. Perciò si può parlare di libertà

politica soltanto se qualcuno ci impedisce il raggiungimento di

un obiettivo; la semplice incapacità di raggiungere un obiettivo

non può essere definita mancanza di libertà politica".6

La Libertà negativa è quindi connessa alla dimensione

esteriore dell'azione umana, all' έθοϛ, nella accezione

etimologica di "luogo dell'abitare", non già alla ψύχή, cioè

all'interiorità e al rapporto intra-soggettivo. Se io non riesco

ad essere libero non ha senso dire che qualcuno mi costringe,

se io ho la possibilità di esserlo, e qualcuno me lo impedisce,

allora si verifica la coercizione.

"Il criterio della mia oppressione è la parte che a mio parere altri

esseri umani svolgono nel frustrare i miei desideri, direttamente

o indirettamente, con o senza intenzione; e per essere libero in

questo senso intendo il non subire interferenze altrui. Più ampia

è l'area della non-interferenza, maggiore è la mia libertà"7.

6 Op. Cit.pag 171

7 Ibidem

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37

In questo senso la coercizione, che è il contrario della

Libertà Negativa, si configura come la intromissione di

qualcuno che non siamo noi stessi (lo Stato, ma anche gli altri

socii) nella nostra sfera di non-interferenza.

Questa area di non-interferenza è come proiettata

dall'individuo all'infuori di se, a difesa delle sue "libertà

naturali".

Tutti i filosofi che prepararono la strada alla Rivoluzione

Francese, intesa come concrezione in un evento puntuale della

fine di una episteme, per dirla con Foucault8, e l'inizio di una

nuova, concepirono quest'area come non-illimitata, circoscritta

altresì dalle leggi, che nello stesso istante la tutelano (mediante

quei diritti soggettivi che sono assoluti e perfetti) e le

impediscono di fagocitare le aree dell'altrui libertà (mediante

l'istituzione di doveri sociali). Tuttavia né le leggi né gli altri

individui possono mai oltrepassare il perimetro di questo

spazio di libertà individuale, in quanto questo equivarrebbe a

violarlo e configurerebbe immediatamente una carenza di

libertà.

8 Cfr. M Foucault, Discorso e Verità nella Grecia Antica, a cura di A. Galeotti, Donzelli, Roma, 1996

Page 39: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

38

È evidente che ci stiamo sicuramente muovendo nella

visione del mondo liberale classica.

"Locke e Mill in Inghilterra o Costant e Tocqueville in Francia

[postulavano] che dovesse esistere una certa area minima di

libertà personale da non violare per nessuna ragione, poiché se

quest'area fosse invasa l'individuo si troverebbe chiuso in uno

spazio troppo angusto anche per quello sviluppo minimale delle

sue facoltà naturali senza il quale non è possibile perseguire, o

anche soltanto concepire, tutti quei fini che gli uomini

considerano buoni, giusti o sacri. È necessario, di conseguenza,

tracciare un confine tra l'area della vita privata e quella

dell'autorità pubblica. Dove vada tracciato è materia di

discussione"9

Nella stessa maniera in cui la nozione dei diritti individuali ci

aiuta ad orientarci nella scoperta del contenuto sociale e

giuridico della Libertà Negativa, è questa idea di Confine10,

9 Op. Cit. pag. 176

10 Relativamente al confine, può esserci utile la fortunata distinzione che Kant volle istituire tra Grenzen e Schranken. Per Kant i Grenzen presuppongono sempre uno spazio, che si trova fuori di un certo determinato luogo e lo racchiude. Al contrario gli Schranken sono semplici negazioni che affettano una grandezza. Nei Grenzen, quindi, si afferma positivamente una doppia appartenenza, nel senso che esso appartiene "a ciò che sta dentro di esso, come allo spazio che sta fuori di un dato insieme". Questo separare dei Grenzen è allora anche un possibile comunicare con ciò che sta oltre. Gli Schranken, altresì, sono confini invalicabili che precludono totalmente l'accesso all' al-di-fuori. Ai fini del nostro discorso potremmo considerare il confine tra la vita dell'individuo e quella dello stato sia come un Grenze che come uno Schrank , a seconda se lo si guardi dalla prospettiva dell' Individuo o da quella dello Stato. Per l'individuo si da un Grenze, vale a dire un limite valicabile, ogni qual volta egli voglia spingersi oltre l'orizzonte del suo particulare e concorrere alla

Page 40: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

39

incontrata nel passo poco sopra riportato, che ci insegna

qualcosa sui risvolti più specificamente filosofici della Libertà

Negativa. Inoltre essa ci regala preziose informazioni sul

"paradigma societario" che meglio si accorderebbe con la

possibilità di un perfetto esercizio di essa.

Ognuno dei "diritti di libertà" conosciuti dalle scienze

giuridiche informate dal paradigma liberale classico può infatti

essere interpretato come un confine. Esso, come tutte le

frontiere, può essere vissuto al di là o al di qua. Entro il

confine troviamo (e questo è già chiarissimo) l'Uomo con la

sua libertà, fuori dal confine ci sono tutti gli altri uomini e le

Istituzioni. Come ogni confine, anche quello della libertà è

convenzionale e mobile; nel senso che può essere spostato in

avanti o all'indietro, corrispondendo tali movimenti

rispettivamente ad un incremento o ad una diminuzione della

Libertà.

Tralasciando per ora la questione della mobilità limitiamoci

ad affermare che da tutto il tono del saggio, e dalle risposte

determinazione dell'indirizzo politico della comunità. Per lo Stato, secondo la teoria politica liberale, si da invece, nei confronti del privato degli individui, un insormontabile Schrank, che funziona come necessaria negazione della sfera pubblica. Il confine tra lo Stato e l'individuo è, per quest'ultimo, un' orizzonte di possibilità, per il primo una barriera da non trapassare, pena la ricaduta nell'autoritarismo e nella coercizione. Per approfondire si veda I. KANT, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza, trad. it di P. Carabellese, Introduzione di R. Assunto, Laterza, Bari, 1970, segnatamente il paragrafo 57, e P. FAGGIOTTO, Commento al Paragrafo 57 dei Prolegomeni, in Verifiche, XV, 1986, n. 3.

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40

alle critiche ad esso rivolte, si evince che per Berlin,

esattamente come per i liberali classici, l'esistenza di questo

confine sia un fatto di per sé buono e desiderabile. Vedremo

poi più approfonditamente il perché di questa bontà e

desiderabilità, necessariamente richiamando tra l'altro alcuni

problemi a cavallo tra psicologia e filosofia morale di cui

Berlin si è occupato nei saggi raccolti insieme ai Due Concetti

nei Cinque Saggi sulla Libertà. Per ora, su questo argomento,

possiamo ragionevolmente affermare che da parte di Berlin si

configuri un'adesione, ancorché magari parziale, alla tesi

milliana per cui assicurare all' uomo uno spazio di integrale

privatezza, subito a ridosso però della sfera pubblica, sia il

modo migliore di garantire lo sviluppo della propria

personalità in pienezza ed armonia da parte di ciascuno.

La libertà dell'individuo deve avere questo limite:

l'individuo non deve creare fastidi agli altri. Ma se evita di

molestare gli altri nelle loro attività, e si limita ad agire

secondo le proprie inclinazioni e il proprio giudizio

nell'ambito che lo riguarda, le stesse ragioni che provano

che l'opinione deve essere libera provano anche che gli si

Page 42: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

41

deve consentire, senza molestarlo di mettere in pratica le

proprie opinioni a proprie spese. 11

Se quindi è buono che venga tracciato un confine "di

libertà" tra un uomo e tutti gli altri, se è giusto questo

movimento di "atomizzazione", allora dovremo essere disposti

ad ammettere che, anche laddove la definizione di un confine

possa tradursi in uno strappo tra l'Individuo e il resto, ciò sia

in ogni caso buono. Proprio per questo possiamo dire che

Berlin, come Constant, come J.S. Mill, e come tanti altri, è un

oppositore di qualsivoglia concezione organicista della società.

Egli ritiene che una società giustamente organizzata debba

essere "Individualista", permettendo all'uomo, se lo desidera,

di vivere in maniera del tutto autonoma dal resto, senza essere

bper forza considerato come una parte di un tutto più grande

ed ontologicamente più vero. Si intravede con grande

chiarezza una posizione affatto dissimile da quella

rousseauiana della Volontà Generale, e fortemente differente

rispetto a quella hegeliana dello Stato, la quale poi sappiamo

che si riverbererà, in tutto o in parte è un problema ancora

11

J.S.Mill, Saggio sulla libertà, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, Il Saggiatore, Milano, 2009

Page 43: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

42

dibattuto, nella concezione marxista della società senza classi.

Riguardo a quest'ultima, come riguardo a tutto il complesso

concettuale del materialismo storico, Berlin ritiene che si tratti

di una posizione fortemente determinista e se ne discosta

soprattutto in virtù di questa considerazione. Avremo modo di

parlarne appena il nostro discorso giungerà fino alla trattazione

della Libertà Positiva.

Stabilito che c'è un confine, stabilito che l'abbiamo tracciato

per proteggerci da un'eventuale ingerenza, cosa in realtà

stiamo proteggendo? La nostra stessa vita, e questo è certo. Ma

deve esserci comunque un qualche cosa d'altro da

salvaguardare se la nostra libertà non è la sola vita, ma anche

la possibilità di scegliere cosa fare di essa.

"Il senso in cui io uso il termine libertà [comporta] l'assenza di ostacoli

alla scelte e alle attività possibili - l'assenza di ostacoli lungo le strade

che una persona può decidere di percorrere."12

Vediamo come il confine sia posto a protezione dell'

individuo e delle scelte possibili che egli vorrà operare per

12

I. BERLIN, Introduzione, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli Universale Economica 2010, p. 32

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43

dispiegare pienamente le disposizioni del suo animo. Questo

assetto vede situato l'individuo entro il cerchio delle sue

attività possibili, protetto dal confine che lo divide dagli altri

individui, dividendo contemporaneamente loro da lui e loro gli

uni dagli altri, secondo la medesima modalità per ognuno.

Cosicché risalta in maniera plastica come chiunque riesca a

dilatare lo spazio della propria azione possibile erode la libertà

degli altri, spostando indietro il loro confine ed in avanti il suo.

La libertà del pesce grande è la morte del pesce piccolo.

Eppure Berlin dovette impegnarsi a rispondere a quei critici

che avevano creduto di individuare nella Libertà Negativa una

apologia del lasseiz-faire.

"Non avrei mai creduto che oggi ci fosse ancora bisogno di tornare sulla

sanguinosa storia dell'individualismo economico e della competizione

capitalistica non regolata; viste tuttavia le opinioni bizzarre che mi hanno

imputato alcuni critici, forse sarebbe stato saggio da parte mia

sottolineare certe parti della mia argomentazione. Avrei dovuto mettere

ancora più in chiaro che i mali del lasseiz-faire non ristretto e dei sistemi

sociali e giuridici che lo hanno permesso e incoraggiato hanno generato

brutali violazioni della libertà "negativa" - dei diritti umani fondamentali

(ancora un concetto "negativo", una barriera contro l'oppressione),

Page 45: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

44

compresi quelli di libertà di espressione e associazione, senza i quali […]

non [esiste] democrazia"13

Da questo passaggio troviamo confortate due delle nostre

ipotesi interpretative. La prima è quella poc'anzi sostenuta,

della sostanziale differenza, se non opposizione, tra la Libertà

Negativa e una giustificazione filosofica del liberismo

economico. La seconda è quella enunciata un po' più sopra,

quando parlavamo dei diritti fondamentali come una delle

principali declinazioni di un concetto negativo di libertà.

È il solo diritto positivo che costituisce per noi il veicolo

della Libertà Negativa, per così dire, la sua incarnazione.

Infatti la Libertà Negativa è uno di quei concetti che ha

bisogno, per stare in piedi, di un robusto puntello nell' empiria.

Infatti, le scelte possibili di cui prima parlavamo, perderebbero

valore se venissero considerate solo dal punto di vista della

vita "spirituale" degli individui. Le possibilità di azione non

sono certo i desideri tout-court. Se così fosse, dissero i critici

di Berlin, allora basterebbe fare come il saggio stoico. Egli

sopprime i suoi desideri e si applica a non averne di altri, in

13

Op. Cit, pag. 39

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45

maniera tale che la sua possibilità di agire non venga mai

intralciata dagli altri uomini o dalle istituzioni. Egli si inganna,

in questo modo, di essere il più libero tra gli uomini, mentre

invece ha solo introiettato i suoi legacci, e li ha per così dire

sussunti nella sua medesima soggettività. Berlin lo afferma a

chiare lettere nella introduzione premessa ai Quattro Saggi

sulla Libertà, nella quale, appunto, risponde ad un ampio

ventaglio di critiche rivoltegli da un certo numero di studiosi

di Storia, Filosofia Politica ed Epistemologia. Egli infatti

scrive:

"Nella versione originale di Due concetti di libertà parlo della libertà

come assenza di ostacoli al soddisfacimento dei desideri di una persona.

Questo è probabilmente il senso in cui il termine è più comunemente

usato, ma non rappresenta il mio punto di vista; infatti se essere liberi -in

senso negativo- consiste semplicemente nel non essere ostacolati da altre

persone nel fare tutto ciò che si vuole, allora uno dei modi per ottenere

questa libertà è quello di estinguere i propri desideri. […] Se il grado di

libertà fosse una funzione del soddisfacimento dei desideri, potrei

aumentare la libertà altrettanto efficacemente eliminando i desideri che

soddisfacendoli; potrei rendere gli uomini (me compreso) liberi

condizionandoli in modo che perdano quei desideri originari che ho

deciso di non soddisfare. Invece di resistere alle pressioni che mi

Page 47: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

46

schiacciano o di rimuoverle, posso "interiorizzarle". È questo il risultato

che raggiunge Epitteto quando afferma di essere, da schiavo, più libero

del suo padrone.

[…] Il senso di libertà degli stoici, per quanto sublime, va distinto

dalla libertà che può essere mutilata o distrutta da un oppressore, o da

una pratica oppressiva istituzionalizzata.

[…] La libertà spirituale, intesa come vittoria morale, deve essere

distinta da un senso della libertà più fondamentale, e da un senso più

comune della vittoria: altrimenti c'è il pericolo di una confusione nella

teoria e nella pratica, di una giustificazione dell'oppressione in nome

della stessa libertà.

[…] Il senso in cui io uso il termine libertà non comporta soltanto

l'assenza di ostacoli alle scelte e alle attività possibili - l'assenza di

ostacoli lungo le strade che una persona può decidere di percorrere. Una

libertà di questo tipo non dipende in ultima analisi dal fatto che io

desideri o non percorrere una strada, o fino a dove desidero farlo, ma da

quante porte mi sono aperte […].14

Non solo la libertà dello stoico non è la Libertà Negativa, ma

addirittura il concetto stoico di libertà, "per quanto sublime"

potrebbe ingenerare molta confusione e addirittura portarci a

desiderare l'oppressione in nome della libertà. Come questo

14

Op. Cit, pagg 31 e segg.

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47

possa accadere ci riserviamo di analizzarlo nel prossimo

capitolo. Adesso desideriamo ribadire che la nozione di

Libertà Negativa è calata interamente nelle relazioni sociali, e

dunque deve avere un contenuto socialmente individuabile:

"Benjamin Constant, che non aveva dimenticato la dittatura

giacobina, sosteneva che come minimo si dovevano salvaguardare da

ogni invasione arbitraria la libertà di religione, d'opinione, d'espressione

e di proprietà"15.

Di certo appare rilevante il fatto che l'unica enumerazione

"per oggetti" dei contenuti possibili della Libertà Negativa sia

preceduta dal nome di Benjamin Constant. Del resto è chiaro

che "se questa dottrina è relativamente moderna" la libertà

negativa, nel significato che sembra emergere meglio dalle

pagine dei Two Concepts è, in certa misura, proprio quella di

Constant.

Come si è avuto modo di dire all'inizio di questo paragrafo,

la Libertà Negativa è precisamente quella libertà che

concepisce sé stessa come un ideale politico, che vuole

realizzarsi nelle società e negli ordinamenti, attraverso la 15

I. BERLIN, Due concetti di libertà, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli Universale Economica, 2010, pag. 176

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48

creazione di uno spazio di diritto in cui il singolo sia "sovrano

assoluto" relativamente a ciò che lo riguarda. Perciò non ci

può essere altro titolare della Libertà Negativa che non sia l'

Individuo.

L' individuo è come posto all'intersezione tra l' uomo, il

quale, secondo quella visione del mondo che si esprime nel

concetto di Libertà Negativa, è provvisto per nascita di diritti

inviolabili che semplicemente da quest'ultima gli derivano, e il

cittadino, che è la traduzione del medesimo concetto

dall'ambito naturale a quello del Diritto. La Libertà Negativa è

la stessa libertà che, sia pure in tempi e luoghi diversi, è stata

proclamata a gran voce dai vari cataloghi dei diritti e delle

libertà fondamentali succedutesi dalla Magna Charta fino alla

Dichiarazione Universale del 1948. Vale a dire, dunque,

proprio la libertà dell' uomo e del cittadino. È questo concetto

di Libertà che permise ai popoli di emanciparsi dall' Antico

Regime. È proprio in virtù della Libertà Negativa in questo

modo intesa che gli uomini riuscirono a trasformarsi da

soggetti-all'-arbitrio dei Re a soggetti-del-diritto.

Page 50: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

49

Su questo punto non possiamo esimerci dal riportare le parole

di J.S. Mill, il quale viene salutato da Berlin come il più

appassionato difensore di questa particolare forma di libertà:

"Per impedire che i membri più deboli della comunità venissero depredati

e tormentati da innumerevoli avvoltoi, era indispensabile la presenza di

un rapace più forte degli altri, con l'incarico di tenerli a bada. Ma, poiché

il re degli avvoltoi sarebbe stato voglioso quanto le minori arpie di

depredare il gregge, si rendeva necessario un perpetuo atteggiamento di

difesa contro il suo becco e i suoi artigli. Quindi, lo scopo dei cittadini

era di porre dei limiti al potere sulla comunità concesso al governante: e

questa delimitazione era ciò che essi intendevano per libertà. Si cercava

di conseguirla in due modi: in primo luogo, ottenendo il riconoscimento

di certe immunità chiamate libertà o diritti politici, la cui violazione da

parte del governante sarebbe stata considerata infrazione ai doveri del

suo ufficio, e avrebbe giustificato l'opposizione specifica o la ribellione

generale. Una seconda modalità, generalmente successiva, era la

creazione di vincoli costituzionali per cui il consenso della comunità, o di

un qualche organismo che avrebbe dovuto rappresentarne gli interessi,

veniva reso condizione necessaria per alcuni degli atti fondamentali

dell'esercizio del potere"16.

16

J.S. Mill, Saggio sulla Libertà, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, il

Saggiatore Tascabili, 2009, pag. 20

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50

Se, come abbiamo già affermato, fu il desiderio di Libertà

Negativa a sospingere la cultura politica dell'Occidente fuori

dalle maglie dell' Ancient Règime, una volta che ciò accadde,

molti purtroppo ritennero che oramai, compiuta questa

impresa, si poteva riporre questa idea nel "Museo dei

Concetti". Si cominciò a pensare, infatti, che spazzato via il

potere dinastico e creati sistemi più o meno radicalmente

democratici, non ci sarebbe stato più bisogno di avere una

sfera di non-interferenza per proteggersi dall'arbitrio del

Sovrano, in quanto il Sovrano (da noi designato) sarebbe stata

una mera espressione di noi stessi, e per questo irresistibile per

necessità logica. Chi mai, infatti, vorrebbe resistere a sé

stesso?

Anche questo è descritto con chiarezza da J.S. Mill:

"Con lo sviluppo della lotta per fare emanare il potere dalla scelta

periodica dei governanti, alcuni cominciarono a pensare che si era

attribuita troppa importanza alla limitazione del potere in quanto tale,

limitazione che a loro giudizio andava invece considerata un'arma contro

quei governanti i cui interessi si contrapponessero abitualmente a quelli

popolari. Ciò che ora si voleva era l'identificazione dei governanti con il

popolo, la coincidenza del loro interesse e volontà con quelli della

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51

nazione. Quest'ultima non aveva bisogno di essere protetta dalla propria

volontà: non vi era da temere che diventasse il tiranno di sé stessa. Se i

governanti fossero stati effettivamente responsabili verso di essa, e da

essa immediatamente amovibili, la nazione avrebbe dovuto permettersi di

affidare loro un potere il cui uso sarebbe dipeso dalla sua volontà: il

potere di governo non sarebbe stato altro che quello della Nazione,

concentrato in forma tale da permetterne un efficace esercizio. Questa

linea di pensiero […] sembra ancora predominare nel Continente. Coloro

che ammettono limiti alle possibilità di azione di un governo, salvo che si

tratti di governi che a loro avviso non dovrebbero esistere, sono delle

brillanti, isolate eccezioni tra i pensatori politici del Continente."17

Questo vuol dire che con lo sviluppo delle repubbliche e delle

democrazie, veniva affermandosi proprio quella concezione

rousseauiana della Volontà Generale, che tanto J.S. Mill,

quanto Constant (cui potremmo riferire le ultime righe del

brano citato), tanto Berlin (seppure con molte e articolate

nuances) considerano invece oppressiva.

Continuando a leggere in J.S. Mill troviamo espressa questa

condanna della Volontà Generale:

17

Op. Cit. pag 21

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52

"[…] la volontà del popolo significa, in termini pratici, la volontà della

parte di popolo più numerosa e attiva - la maggioranza, o coloro che

riescono a farsi accettare come tale; di conseguenza il popolo può

desiderare opprimere una propria parte, e le precauzioni contro ciò sono

altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro abuso del potere".18

Cos'altro se non questo concetto di "precauzione pro

libertate" voleva ribadire Constant quando parlava di libertà

dei moderni?

La libertà che si addice ai moderni è precisamente quella

libertà che si radica non solo in una visione del mondo latu

sensu liberale e giusnaturalistica, ma anche in una visione

dell'uomo, pensato non come mero "Citoyen", frazione della

pubblica volontà, ma anche come portatore di una volontà tutta

personale; non già esclusivamente situato nella politica e nel

diritto, ma anche nel privato, sua dimensione originaria. Un

uomo così concepito è sicuramente il titolare dei diritti civili e

politici, attore nella comunità, ma lo è solo in quanto può

anche curare i propri affetti, o talenti, e in generale le

disposizioni del suo animo. E cioè solo se non viene reciso il

cordone che lo lega al suo particulare. Si può anzi

18

Op. cit. pag 22

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53

ragionevolmente affermare che senza che venga rispettata la

componente privata dell' uomo, si svuota di significato la sua

stessa libertà politica, la quale si origina altresì proprio nel

tentativo di tradurre nelle regole della vita associata lo status

naturale e morale della persona libera.

Saremo allora di fronte ad un fallimento della libertà,

oppure, per dirla con Berlin, ad una carenza di libertà politica,

quando pretenderemo che l'uomo sia libero solo in quanto può

determinare in prima persona l'indirizzo della comunità

politica, e cioè come elemento costitutivo della Volontà

Generale (invero però solo quando si trova in accordo con

essa), dimenticando di riconoscergli la possibilità di vivere la

sua dimensione privata in piena autonomia e di fornirgli

l'opportunità di astrarsi dalla Politica, finanche di essere

completamente disinteressato ad essa, e tutto votato, invece, a

quelli, tra i suoi affari, che non chiamano in causa la vita dello

Stato. Quest'ultima possibilità presuppone appunto, da parte

dello Stato, la predisposizione, a beneficio dell' individuo, di

una area di non-interferenza.

La genesi di questo concetto è Diogene di Sinope come ce

lo racconta Plutarco nel De Exilio: quando lo Stato, incarnato

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54

in Alessandro il Grande, gli si para davanti e gli chiede cosa

può fare in suo favore, egli risponde: "scostati dal mio raggio

di sole". Alessandro, dal canto suo, va via senza reagire,

incarnando a sua volta la liberalità dello Stato.

Del tutto differente da questa è l'opinione di Rousseau.

Possiamo rendercene conto leggendo questo passo:

"Appena il servizio pubblico cessa di essere la principale occupazione dei

Cittadini e appena preferiscono prestarlo con il loro denaro anziché con

la loro persona, lo Stato è già vicino alla sua rovina. Bisogna andare a

combattere? Pagano delle truppe e rimangono a casa. Bisogna partecipare

al Consiglio? Eleggono dei Deputati e rimangono a casa. A forza di

pigrizia e di denaro arrivano ad avere alla fine dei soldati per rendere

schiava la patria e dei rappresentanti per venderla.

Sono la preoccupazione per il commercio e per le arti, l'avido

interesse per il guadagno, la mollezza e l'amore della vita agiata, che

portano a sostituire con il denaro i servizi personali.19"

Usando una metafora potremmo scorgere l'uomo

esclusivamente pubblico nell Socrate del Critone, allorquando

egli non vuole fuggire dalla prigione per non recare offesa alle

19

J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, BUR Classici del Pensiero, 2005, pag.150

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55

leggi della polis che fino a quel momento l'avevano accudito,

soddisfatto e tenuto come un figlio.

Nella prima immagine, che è quella della Libertà Negativa,

vediamo all'opera non solo una semplice idea politica, ma

anche una posizione ontologica che considera, contro

Rousseau, contro Hegel, contro Marx, contro i Totalitarismi, la

singolarità, la privatezza e la particolarità come i momenti

fondativi della vita associata, in posizione sovraordinata nei

confronti dei Sovrani, della Volontà Generale, dello Stato e

della Classe, rispetto ai quali assurgono ad un grado di

esistenza più pieno e cogente. La Libertà Negativa, in questo

senso, è filosoficamente un ontologia del particolare, la quale

comporta, nel dominio della politica, l'affermazione della

necessità di un'area che sia, diciamolo senza mezzi termini, di

non-governo.

Resta da comprendere perché questa visione del mondo latu

sensu liberal-giusnaturalista assuma come valore in sè la

Libertà Negativa, intesa come uno spazio di libertà individuale

garantito dalle Leggi ma da esse non governato.

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56

Abbiamo già accennato come Berlin metta in evidenza una

delle possibili risposte "assiologiche" (nella misura in cui

chiamano in causa una attribuzione di valore nell'ambito della

cosiddetta "morale pubblica") che si possono dare a

quest'ultima questione: la risposta di John Stuart Mill.

Per la verità Berlin dedica un intero saggio, anch'esso raccolto

nei Four Essays alla trattazione delle peculiari ragioni per cui

Mill fu un appassionato sostenitore della libertà intesa come

sopra si è più volte spiegato. In effetti, che J.S. Mill lo sia stato

è cosa di cui non dubitare. Egli, nel suo Saggio sulla Libertà,

argomentò che è necessario che all' individuo venga lasciata

dalla società un'area di non-interferenza in cui né la legge né

l'opinione possano intromettersi. Infatti, poco sopra, abbiamo

visto come egli credesse che questa idea avesse sconfitto le

monarchie assolute, e che andasse trasportata, senza punto

modificarla, nelle forme di Stato e di governo democratiche.

Egli enuncia, sempre nel medesimo saggio, anche un criterio

generalissimo che deve guidare l'effettiva applicazione di tale

principio. Per questo originalissimo interprete della tradizione

utilitarista definire un criterio di questo tipo volle dire

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57

soprattutto identificare il "giusto limite" tra il privato e

l'autorità. Leggiamo nel IV capitolo del "Saggio sulla Libertà":

"Qual è allora il giusto limite alla sovranità dell'individuo su sé stesso?

Dove comincia l'autorità della società? Quanto della vita umana spetta

all'individualità e quanto alla società?

Ciascuna riceverà la parte che le spetta se le viene attribuito ciò che la

riguarda più direttamente. All'individualità dovrebbe appartenere la sfera

che interessa principalmente l'individuo, alla società, quella che interessa

principalmente la società.

Anche se la società non si fonda su un contratto, e sarebbe inutile

inventarne uno per dedurne degli obblighi sociali, chiunque riceva la sua

protezione deve ripagare il beneficio, e il fatto di vivere in società rende

indispensabile che ciascuno sia obbligato ad osservare una certa linea di

condotta nei confronti degli altri. Questa condotta consiste, in primo

luogo nel non danneggiare gli interessi reciproci, o meglio certi interessi

che, per esplicita disposizione di legge o per tacito accordo, dovrebbero

essere considerati diritti; e, secondo, nel sostenere la propria parte (da

determinarsi in base a principi equi) di fatiche e sacrifici necessari per

difendere la società o i suoi membri da danni e molestie. La società ha il

diritto di far valere a tutti i costi queste condizioni nei confronti di coloro

che tentano di non adempiervi. Né questo è tutto ciò che lo società può

fare. Gli atti di un individuo possono arrecare danno ad altri o non tenere

in giusta considerazione il loro benessere, senza giungere al punto di

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58

violare alcuno dei loro diritti costituiti. In questo caso il colpevole può

essere giustamente condannato dall'opinione, ma non dalla legge. Non

appena qualsiasi aspetto della condotta di un individuo diventa

pregiudizievole degli interessi altrui, ricade sotto la giurisdizione della

società, e ci si può chiedere se questa interferenza giovi o meno al

benessere generale. Ma tale questione non si pone in alcun modo quando

la condotta di un individuo coinvolge soltanto i suoi interessi, o

coinvolge quelli di altre persone consenziente (tutti essendo maggiorenni

e dotati di normali facoltà mentali). In tutti questi casi, vi dovrebbe essere

piena libertà, legale e sociale, di comprendere l'atto e subirne le

conseguenze."20

Vale a dire allora, che secondo J.S. Mill, quando l'individuo

non pretenda di spostare in avanti il suo confine di libertà

sancito per legge, erodendo lo spazio della libertà altrui, in

maniera particolare nel momento in cui questi ultimi non siano

in accordo con lui, egli deve potere dispiegare la sua azione

nella maniera più libera possibile, senza incorrere nelle ire dell'

opinione o dell' autorità. E fino a questo punto tra Berlin e J.S.

Mill non troviamo un sostanziale disaccordo.

20

J.S. MILL, Saggio Sulla Libertà, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, il

Saggiatore tascabili, 2009, pag. 93

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59

Ma a noi prima interessava farci un'idea del perché della

libertà intesa come non-interferenza. C'è da dire che su questo

punto tra i due filosofi si possono evidenziare alcune

divergenze, e non mancheremo di farlo nel prosieguo di questa

trattazione. Cominceremo con la esposizione della

giustificazione milliana alla non-interferenza, così come colta

da Berlin nei Due concetti e più compiutamente nel saggio

esclusivamente dedicato alla filosofia di J.S. Mill.

Scrive Berlin nei Due Concetti:

"Perché per Mill la protezione della libertà individuale ero così sacra?

Nel suo famoso saggio egli afferma che se non si permette all'individuo

di vivere come preferisce "la parte [della sua condotta] che riguarda solo

sé stesso", la civiltà non potrà progredire, la verità non verrà alla luce per

mancanza di un libero mercato delle idee e non vi sarà spazio per la

spontaneità, l'originalità, il genio, l'energia mentale, il coraggio morale.

La società sarà schiacciata dal peso della "mediocrità collettiva"21.

Ecco una mirabile sinossi del terzo capitolo del saggio

milliano Sulla Libertà. Il problema è che Berlin non sembra

essere interamente d'accordo. È nostra opinione che egli

ritenga l'idea della spontaneità, della originalità e del genio

21

I. BERLIN, Due concetti di libertà, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli universale economica, 2010, pag. 177

Page 61: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

60

incapace di attingere la vera essenza della Libertà Negativa. E

infatti si dedica ad una confutazione, in alcuni luoghi anche

discutibile, chiamando in causa elementi extra-filosofici.

Secondo quanto Berlin scrive nel saggio su John Stuart Mill e

gli scopi dell'esistenza, la teoria milliana della libertà sarebbe

stata determinata da fattori biografici. Dacché James Mill

educò il figlio in maniera tale da sviluppare solo le sue

disposizioni intellettuali e soffocare invece la sua spontaneità

ed individualità, egli, una volta cresciuto, sarebbe diventato il

primo paladino proprio di tali valori. Al di là della validità

ermeneutica di un tale approccio "biografista", capiamo che

Berlin trova motivazioni un po' diverse per la necessità del

confine. Ci saranno chiare, si spera, durante la nostra analisi

del concetto di Libertà Positiva.

Page 62: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

61

4. Libertà Positiva

Abbiamo detto, alla fine del capitolo precedente, della differenza

che corre tra Berlin e J.S. Mill in relazione alla giustificazione

filosofica della Libertà Negativa. Sembra che Berlin infatti non

consideri sufficientemente pregnante una posizione, come quella di

Mill, che forse gli sembra troppo "esteriore" ed "estetizzante". Mill,

ricordiamolo, credeva che assicurare uno spazio di non-governo

agli individui servisse sopra ogni cosa ad assicurare la varietà delle

intelligenze e il dispiegamento totale della variopinta complessità

umana e del genio; ma tutto questo era subordinato alla ricerca di

una "verità sociale" della quale informare la vita associata, il

costume, la cultura. Il positivista inglese, però, era giunto ad una

simile posizione occupandosi semplicemente del problema della

libertà come essa si può realizzare nell'interazione tra i governanti e

i governati, oppure nella dialettica tra gli stili di vita individuali e

l'Opinione dominante. Egli scrive, nell'incipit del saggio "Sulla

Libertà":

"Il soggetto di questo saggio non è la cosiddetta libertà della volontà, così

sfortunatamente contrapposta alla dottrina filosofica della necessità, ma la

Page 63: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

62

libertà civile, o sociale, concernente la natura ed i limiti del potere che può

essere legittimamente esercitato dalla società sull'individuo"1

Per cui sappiamo che J.S. Mill considerò la "libertà della volontà"

come qualcosa d'altro rispetto alla libertà sociale. Berlin, invece,

ritiene che entrambe rientrino a pieno titolo nel discorso sulla

libertà politica, e siano, in certa misura, legate l'una all'altra a

doppio filo. Dalla lettura dei paragrafi finali nell'ultimo scritto

berliniano, intitolato, come già abbiamo avuto modo di ricordare, Il

mio itinerario intellettuale, otteniamo di sapere che lo studioso

lettone considerava che i saggi da lui dedicati al problema della

Libertà fossero essenzialmente due: il primo, che noi abbiamo già

ampiamente imparato a conoscere, intitolato Due Concetti di

Libertà, nel quale venivano esaminate le due nozioni di Libertà che

sono l'oggetto anche di questa trattazione; il secondo,

"L'inevitabilità storica", incentrato sul rapporto tra libertà e

determinismo. È nostra opinione che i due saggi siano tra loro

complementari, come lo stesso loro autore lascia intendere,

trattando l'uno e l'altro in stretta continuità nell'operetta cui affidò la

ricostruzione retrospettiva delle sue posizioni filosofiche.

Riteniamo inoltre che l'inclusione, da parte di Berlin, del concetto

di libertà della volontà, o (al negativo) dell'opzione anti-

1 J.S.MILL, Saggio sulla Libertà, il Saggiatore Tascabili, 2009, pag 19

Page 64: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

63

determinista, nell'alveo della discussione sulla libertà politica sia

uno degli elementi che maggiormente caratterizza la filosofia

berliniana della libertà, e, insieme al pregiudizio verso la "ricerca

della verità", la rende originale rispetto a tutta la corrente liberale

classica, cui pure si ispira. Cercheremo tra l'altro di dimostrare

come proprio la polemica anti-determinista e "anti-veritativa"

forniscano un potente arsenale ermeneutico per smascherare quelle

perversioni della libertà e mutilazioni di essa che potrebbero

annidarsi dietro la nozione di Libertà Positiva (come in effetti è

avvenuto nella storia). Questa Libertà non sembra essere, altresì,

solo quella "cattiva". Infatti, esiste nella valutazione berliniana, un

momento in cui Libertà Negativa e Libertà Positiva vengono a

trovarsi tra di loro come le due facce di una medaglia, come

accennavamo nel precedente capitolo. Tuttavia questo ci appare

quasi come un "attimo fuggente", prima di essere oppresso dal peso

di quelle anomalie della Libertà Positiva che furono la scintilla dei

Totalitarismi.

Sulla scorta di queste nostre deduzioni (senza pretesa alcuna di

esattezza) divideremo il capitolo in due paragrafi principali. Il

primo sarà dedicato all'analisi di quelle fortunate circostanze che

potrebbero permettere che tra i due concetti di libertà si instauri, per

così dire, un circolo virtuoso. Il secondo servirà per rendere conto,

Page 65: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

64

quanto meglio ci è possibile, (nuovamente) di quelle visioni del

mondo che hanno sovvertito il concetto di Libertà (Positiva) fino a

fargli significare il suo esatto contrario: dispotismo e coercizione.

4.1 Il circolo virtuoso

Sembra che Berlin ritenga che l'idea di Libertà Positiva sia

contenuta in nuce nella stessa affermazione, da parte dell' uomo,

della essenza razionale delle sue scelte e dei suoi comportamenti:

"Il senso "positivo" della parola "libertà" deriva dal desiderio dell'individuo di

essere padrone di sé stesso. Voglio che la mia vita e le mie decisioni dipendano

da me stesso e non da forze esterne, di nessun tipo. Voglio essere lo strumento

dei miei atti di volontà e non di quelli altrui. Voglio essere un soggetto, non un

oggetto; voglio essere mosso da ragioni, da propositi consapevoli che siano i

miei e non da cause che agiscono su di me, per così dire, dall'esterno. Voglio

essere qualcuno, non nessuno, voglio essere un agente, uno che decide, non

uno per cui decidono altri; voglio dirigermi da me, e non essere uno su cui la

natura esterna e gli altri uomini operano come se fossi una cosa, un animale o

uno schiavo incapace di assumermi un ruolo umano, di concepire degli

obiettivi e delle politiche solo miei e di portarli a termine. È questo, almeno in

parte, ciò che intendo quando dico di essere razionale e che è la mia ragione a

Page 66: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

65

fare di me un essere umano, ben distinto dal resto del mondo. Soprattutto, io

voglio essere consapevole di me stesso come essere che pensa, vuole, agisce ed

è responsabile delle sue scelte e capace di spiegarle facendo riferimento alle

proprie idee e finalità. Mi sento libero nella misura in cui credo vere tutte

queste cose, e schiavo nella misura in cui sono costretto a prendere atto che

vere non sono."2

Nel momento in cui un uomo riconosce il suo volersi razionalmente

egli ha diritto all'autodeterminazione. Tanto più logicamente allora

potremmo, data questa condizione, riconoscergli uno spazio di

autodeterminazione indipendentemente da qualsiasi altra

circostanza esterna (politica o di altra natura), e dunque attivare

quel confine di cui si è discusso al terzo capitolo. In altre parole è

l'essere razionale della scelta e della volizione a costituire la

giustificazione dell'esistenza di un'area di non-governo. Finché io

perseguo un fine razionale o abbraccio un valore razionale devo

essere senz'altro lasciato libero di fare. Cosicchè, in Berlin, la

Libertà Positiva, presa, per così dire, al suo "grado zero", e cioè

intesa come libertà e razionalità della scelta autonoma, costituisce la

stessa ragione necessaria e sufficiente per la Libertà Negativa. Dice

Berlin:

2 I. BERLIN, Due concetti di libertà, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli Universale Economica, 2010, pag. 181

Page 67: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

66

"La libertà che consiste nell'essere padroni di sé stessi e quella che consiste nel

non essere impediti da nessun altro nelle proprie scelte possono sembrare, a

prima vista, due concetti logicamente abbastanza vicini - nient'altro che due

modi, uno positivo e l'altro negativo, di dire sostanzialmente la stessa cosa."3

Da qui potremmo quasi coniare un motto che compendi tutta questa

situazione: "Fin dove voglio auto-determinarmi, vado lasciato

padrone di me stesso", contemperando il tutto con la posizione

milliana per cui fin dove l'individuo decide solo di sé stesso deve

essere lasciato libero.

In questo modo è possibile collegare la Libertà Negativa e quella

Positiva in un circolo virtuoso.

A riprova di queste nostre deduzioni produrremo un passo, tatto da

Due Concetti, nel quale ci sembra Berlin abbia condensato la sua

posizione in merito all'argomento. Diciamo ci sembra perché, nei

Due Concetti come negli altri saggi, Berlin riporta le opinioni di

una congerie di pensatori, giustapponendo epoche e tendenze, e da

questo intricato insieme egli riesce, nel suo lunghissimo periodare,

a far risaltare per speculum et in aenigmata il suo pensiero.

"[…] se l'essenza degli uomini è quella di essere entità autonome, creatori di

valori e di fini in sé la cui autorità ultima consiste precisamente nel fatto di

3 Op. Cit, pag 182

Page 68: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

67

essere voluti liberamente, allora non c'è nulla di peggio che trattarli come se

non avessero autonomia e fossero invece oggetti naturali su cui agiscono

influenze causali, creature alla mercè di stimoli esterni, le cui scelte possono

essere manipolate da chi li governa, vuoi con la minaccia della forza, vuoi con

l'offerta di ricompense. Trattare in questo modo gli uomini vuol dire trattarli

come se non potessero determinare se stessi."4

In Berlin il "volere se stesso" dell' uomo razionale è esattamente

l'elemento che, trasportato nell'ambito della vita in società, si

traduce nella necessità di uno spazio di Libertà Negativa. Se esiste

un giusnaturalismo specificamente Berliniano, esso consiste in

questa continuità tra il λờγον ἒχειν e l'habeas corpus.

Potremmo essere portati spontaneamente a concludere che dove

viene meno quel minimo di ragione che è necessaria alla

convivenza civile, quando l'individuo non è assolutamente più

capace di situare se stesso in un orizzonte politico, allora si può e si

deve fare ricorso alla coercizione. Se qualcuno, in preda ad un

raptus omicida, uccide alcuni dei suoi simili, allora è giusto ridurre

ai minimi termini quell'area di libertà di cui costui godeva prima di

compiere il suo gesto irrazionale. Berlin ammette che la non-

interferenza possa subire alcune limitazioni in favore di altri fini

ultimi che sono importanti esattamente quanto la libertà. Nel caso

4 Op. Cit, pag 187

Page 69: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

68

poco prima ipotizzato potrebbe trattarsi della sicurezza, e lo stesso

potrebbe valere per la giustizia e l'eguaglianza. Tuttavia il filosofo

di Oxford ci ammonisce contro l'abitudine a considerare questi, che

sono sacrifici di spazi di libertà, come accrescimenti di un ipotetico

"ammontare complessivo di libertà" che ricorderebbe molto, con le

dovute sfumature, le teorie degli utilitaristi:

"La libertà non è l'unico fine dell'uomo. Posso dire, come il critico russo

Belinskij, che se altri devono esserne privati - se i miei fratelli devono rimanere

nello povertà, nello squallore e in catene - allora non la voglio per me, la rifiuto

senza esitare e preferisco infinitamente condividere il destino dei miei fratelli.

Ma non si ottiene niente confondendo i termini della questione. Per evitare una

disuguaglianza sfacciata o una miseria diffusa sono pronto a sacrificare parte

della mia libertà o addirittura tutta, e posso anche farlo volentieri e

liberamente: ma è la libertà a cui sto rinunciando in nome della giustizia o

dell'uguaglianza o per amore dei miei simili. […] un sacrificio non è un

aumento di ciò che viene sacrificato, cioè della libertà, per grande che sia la sua

necessità morale […]. Ogni cosa e quello che è: la libertà è libertà e non

uguaglianza, imparzialità, giustizia, cultura, felicità umana o una coscienza

tranquilla.5

5 Op. Cit. pag 175

Page 70: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

69

Tra la libertà e gli altri valori di cui si informano le società

occidentali, come vediamo, esiste un trade-off. O si sceglie l'una, o

uno degli altri. Di conseguenza …

[…] è solo una confusione di valori dire che, anche se forse la mia libertà

"liberale" e individuale è stata spazzata via, qualche altra libertà - "sociale" o

"economica" - è invece aumentata. Tuttavia resta sempre vero che a volte la

libertà di alcuni deve essere limitata per assicurare quella degli altri."6

Per Berlin un pensiero siffatto, che vorrebbe diminuita una

libertà "individuale" in favore di un' accresciuta "libertà collettiva",

è "confusionario" perché contraddice uno dei capisaldi della sua

filosofia. L'autore lettone è infatti famoso per la sua teoria

"pluralista". Ebbene, uno degli architravi del pensiero "pluralista"

berlininano, è che i fini e i valori ultimi, considerati "buoni" dagli

uomini, possono essere l'un l'altro antitetici.7 In tutta la filosofia

occidentale, da Platone in poi, ritroviamo invece l'idea che ogni

6 Op. Cit pag 176 7 Come fa notare G. Cacciatore nel saggio L'etica della libertà tra relativismo e pluralismo, raccolto nel volume Logica, Ontologia ed Etica, studi in onore di Raffaele Ciafardone, (Franco Angeli, Milano, 2011) purtroppo molti dei saggi sul pluralismo editi negli ultimi anni non citano Berlin. Nondimeno ricorderemo, tra questi, quello di Seyla Benhabib, che ha innescato una serie di fruttuose indagini e discussioni intitolato La rivendicazione dell'identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale (Il Mulino, Bologna, 2005), e quello di Charles Taylor, Radici dell'Io. La costruzione dell'identità moderna, (Feltrinelli, Milano, 1993). Relativamente al pluralismo specificamente berliniano invece si vedano: C. Taylor, Cosa c'è che non va nella libertà negativa, ora in I. Carter e M. Ricciardi (a cura di), L'idea di libertà, Feltrinelli, Milano, 1996, pp. 75-99; M. Barberis, presentazione di G. Crowder, Isaiah Berlin, Il Mulino, Bologna, 2007, pag. 7; P. Badillo O' Farrell (a cura di) Pluralismo, Tolerancia, Multiculturalismo. Reflexiones para un mundo plural, U.I.A.-Akal, Madrid 2003, in special modo il contributo dello stesso Badillo O' Farrell (?Pluralismus versus Multiculturalismus?, ivi pp. 33-36)

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70

cosa che sia "vera" e "buona" sia, almeno in parte, identica alle altre

cose "vere" e "buone".

Per fare un esempio che rimanga nel nostro campo di indagine

diremo che molti pensatori politici ritengono che ci sia una ampia

intersezione tra la libertà e la giustizia, quando non credono che la

"vera" libertà e la "vera" giustizia siano del tutto identiche.

Potremmo citare su questo punto proprio Rousseau, già indicato, in

questa trattazione, come un evidente esempio di teorico politico che

segue un orientamento "monista":

"Se si cerca in che cosa consiste precisamente il più grande di tutti i beni,

quello che deve essere l'obiettivo di ogni sistema di legislazione, si troverà che

si riduce a questi due oggetti principali: la libertà e l'uguaglianza. La libertà,

poiché ogni dipendenza particolare è altrettanta forza tolta al corpo dello Stato;

l'uguaglianza, poiché senza di essa la libertà non può sussistere."8

4.2 Liberta, Verità e Monismo

Per J.S. Mill la Libertà Negativa, che egli identifica con la

"libertà sociale" tout-court significa essenzialmente libertà di

8 J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Bur Classici del Pensiero, 2005, pag.104

9 I. BERLIN, Due concetti di Libertà in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli Universale Economica, pag 217

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71

esprimersi, in maniera tale che la società possa arricchirsi dal

confronto tra diverse opinioni, nel costume come nella politica.

Egli riteneva precipuamente che l'Individuo dovesse prima di

tutto essere lasciato libero nel manifestare la propria opinione e

seguire lo stile di vita che ha scelto. Concedere il diritto di

esprimersi anche alle opinioni erronee serve a fare emergere

dialogicamente la verità ed il bene.

"Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero più

diritto di far tacere quell'unico individuo di quanto ne avrebbe lui di far tacere,

avendone il potere, l'umanità. Se l'opinione fosse un bene privato, privo di

valore eccetto che per il suo proprietario, se essere ostacolati nel suo

godimento fosse semplicemente un danno privato, il numero delle persone che

lo subiscono farebbe una certa differenza. Ma impedire l'espressione di

un'opinione è un crimine particolare, perché significa derubare la razza umana ,

i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall'opinione dissentono ancor più di

chi la condivide: se l'opinione è giusta, sono privati dell'opportunità di passare

dall'errore alla verità; se è sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto

grande, la percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dal contrasto

con l'errore"10.

Berlin non avrebbe mai potuto condividere in pieno un simile

ragionamento. Non che lo avversi in toto. Anzi, lo ritiene valido

10

J.S. MILL, Saggio sulla libertà, prefazione di G. Giorello e M. Mondadori, trad. it di S. Magistretti, Il Saggiatore,

Milano, 2009, pag. 35

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72

finché esso è volto ad assicurare uno spazio di libertà agli individui.

Ma ciò su cui Berlin non potrebbe consentire è il fatto che, in ultima

analisi, la giustificazione milliana alla libertà politica sia basata in

sostanza sulla necessità per l'individuo di essere messo in

condizione di ricercare liberamente la verità.

Abbiamo appena scoperto altresì che uno dei capisaldi nel

pensiero berliniano è una sorta di scetticismo verso la verità,

soprattutto quando essa viene considerata come assoluta e

indubitabile. Egli riteneva anzi che l'illusione di una "ricerca della

verità" avesse pregiudicato gran parte della filosofia occidentale da

Platone fino alle correnti positiviste e materialiste del XIX e XX

secolo, sottraendole una parte del suo inestimabile valore. Tra i tanti

scritti a cui Berlin affidò queste sue meditazioni di storia della

filosofia, è ancora una volta Il mio itinerario intellettuale ad offrirci

una sintesi esaustiva e sufficientemente precisa.

"Abbagliati dagli spettacolari successi delle scienze naturali nel loro secolo e in

quelli che l'avevano preceduto, uomini come Helvètius, d'Holbach, d'Alembert

e Condillac, e propagandisti di genio come Voltaire e Rousseau, si convinsero

che una volta scoperto il metodo giusto sarebbe stato possibile portare alla luce

la verità essenziale nel campo della vita sociale, politica, morale e personale -

quel tipo di verità che aveva ottenuto così grandi trionfi nelle indagini rivolte al

mondo esterno Gli Enciclopedisti credevano nel metodo scientifico in quanto

Page 74: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

73

unica chiave per accedere a questa conoscenza; Rousseau e altri credevano in

verità eterne scoperte mediante gli strumenti dell'introspezione Ma quali che

fossero le loro divergenze, essi appartenevano a una generazione convinta di

essere sulla via che conduceva alla soluzione di tutti i problemi che avevano

afflitto l'umanità fin dai suoi inizi.

Al di sotto di quest'idea stava una tesi più ampia: ossia che tutte le vere

domande debbono ammettere una e una sola risposta vera, tutte le altre essendo

false, altrimenti le domande non possono essere autentiche domande. […] e

una volta riunite insieme tutte le risposte giuste alle più profonde domande

morali, sociali e politiche, che occupano (o dovrebbero occupare) l'umanità, il

risultato costituirà la soluzione finale di tutti i problemi dell'esistenza.

[…] Questo credo non era certamente limitato ai philosophes dell'illuminismo,

benchè i metodi raccomandati da altri pensatori differiscano. Platone credeva

che la via alla verità fosse la matematica; Aristotele che forse era la biologia;

gli ebrei e i cristiani cercarono le risposte nei libri sacri […]. Ma ciò su cui tutti

convenivano, come d'altronde i loro successori dopo la Rivoluzione Francese

[...] era che le leggi dello sviluppo storico potevano essere scoperte (e anzi

erano ormai state scoperte), e che le risposte alle domande riguardanti la

morale, la vita sociale, l'organizzazione politica, i rapporti personali - erano

tutte suscettibili di essere ridotte a sistema alla luce delle verità scoperte

mediante i giusti metodi, quali che questi potessero essere.

Questa è una philosophia perennis […]. È la credenza centrale su cui il

pensiero umano ha poggiato per due millenni. […] Non so perché io abbia

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74

sempre guardato con scetticismo a questa credenza pressochè universale, ma è

così. 11

Sappiamo già che Berlin diede a questo atteggiamento

fondamentale della filosofia occidentale, così come da lui colto

nelle pagine richiamate immediatamente sopra, il nome di monismo.

Il monismo, nella filosofia di Berlin è, assieme al determinismo,

come si è detto, il principale agente filosofico-culturale da cui

scaturisce la frattura tra i due concetti di libertà e dunque il

tradimento della libertà da parte di coloro che vollero, e vogliono,

affermarne esclusivamente il senso positivo. È dall'azione di queste

due Weltanschauungen, appunto quella monista e quella

determinista che si originano quelle fallaci "attribuzioni di

significato" che riducono la libertà al suo contrario. È nell'orizzonte

culturale di queste due "forze" filosofiche che tra Libertà Positiva e

Negativa viene a determinarsi un "circolo vizioso".

4.3 Il circolo vizioso

Com'è possibile, conviene chiedersi, che due accezioni dello stesso

lemma diventino due concetti distinti, e arrivino persino a

contraddirsi l'uno con l'altro? Quando diciamo "non è possibile", 11

I. Berlin, Il mio itinerario intellettuale, in I. Berlin, Il potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it di G. Ferrara degli

Uberti, Adelphi, Milano , 2003, pagg. 28-30

Page 76: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

75

invero non vogliamo stabilire se ci sia una condizione di possibilità,

né quale essa sia. La possibilità per Berlin esiste nella natura delle

cose: fini e valori ultimi degli esseri umani possono tramutarsi in

visioni del mondo tra di loro antitetiche. Vogliamo solo scoprire la

maniera in cui una di queste tante opposizioni viene a determinarsi.

Berlin lo fa con la libertà perché gli pare che tutto attorno a lui (la

politica di potenza dei due Blocchi, la corsa agli armamenti atomici,

spionaggi e controspionaggi, propagande e agitazioni) si alimenti

dalla opposizione tra due modi di pensarsi liberi. Se per Marx la

storia è storia di lotte di classe, che si risolvono nella finale

liberazione dell'uomo, per Berlin la storia politica dalla caduta

dell'antico regime fino a quella del muro è invece la storia della

lotta tra i due concetti di libertà.

"[…] i nostri atteggiamenti e le nostre attività rimarranno oscuri a noi stessi

se non capiremo le questioni dominanti del nostro mondo, la più importante

delle quali è la guerra aperta che si sta combattendo tra due sistemi di idee che

danno risposte diverse e contrastanti a quello che da molto tempo è il problema

centrale della politica: l'ubbidienza e la coercizione.12"

Qual è, in senso certamente logico e non cronologico, il primo

atto di questo conflitto? Per Berlin esso consiste nella divisione che

12

I. BERLIN, Due concetti di Libertà, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli universale economica, 2010, pag, 171

Page 77: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

76

si verifica nell' Io psicologico quando si crede che esiste un io

inferiore, bestiale e cupido, e un io superiore, scopritore delle vere

risposte. È doveroso dire che, per il nostro autore, questa spaccatura

si determina in maniera consequenziale ad un'interpretazione della

verità come "sovranità di sé stessi" ed autodeterminazione

razionale.

"Possiamo chiarire questo punto considerando la forza d'urto autonoma che ha

acquisito la metafora dell'essere padroni di se stessi, che inizialmente era, forse,

abbastanza inoffensiva. "Io sono padrone di me stesso", "Io non sono schiavo

di nessuno"; ma non potrei essere (come dicono, tendenzialmente, i platonici e

gli hegeliani) schiavo della natura? O delle mie passioni "sfrenate"? Queste non

sono forse tante specie diverse -alcune politiche o giuridiche, altre morali o

spirituali - di uno stesso genere "schiavo"? E gli uomini non hanno forse

provato l'esperienza di liberarsi dalla schiavitù spirituale o dalla schiavitù della

natura? E non hanno forse colto, nel corso di questa esperienza, l'esistenza, da

un lato, di un io che domina e, dall'altro, di qualcosa dentro di loro che è

portato a sottomettersi? Questo io che domina viene di volta in volta

identificato con la ragione, con la propria 'natura più alta', con quell'io che

calcola e cerca ciò che a lungo andare lo soddisferà, con il proprio io 'vero',

'ideale' o 'autonomo', con la 'parte migliore' di se stessi; e a tutto ciò si

contrappone poi l'impulso irrazionale, il desiderio incontrollato, la natura 'più

bassa', la ricerca dei piaceri immediati, l'io 'empirico' 'eteronomo', in balia di

qualunque ventata di desiderio e di passione, che ha bisogno di essere

Page 78: La doppia Libertà di Isaiah Berlin, Verso un'Ontologia del Particolare

77

disciplinato rigorosamente, se mai vuole ergersi in tutta la statura della sua

reale natura."13

Questa dottrina in apparenza sembra abbastanza lontana

dall'ambito della filosofia politica. Appare piuttosto una teoria etica,

o finanche religiosa. Invero si può ben essere d'accordo con Berlin

nell'affermare che essa si è riverberata sulle idee politiche più di

quanto si possa immaginare. In primo luogo, infatti, essa dà origine

a quella "opzione stoica" già menzionata e che Berlin battezza,

senza tanti orpelli, la "ritirata nella cittadella interiore", ad

evidenziare la fuga dalla polis empirica.

Infatti, quando mi sono affrancato dalla schiavitù della natura,

ho posto sotto rigido controllo i miei insaziabili appetiti e ho trovato

la mia serenità in me stesso, allora può darsi questa situazione:

"Il tiranno minaccia di distruggere la mia proprietà, di imprigionarmi, di

esiliare o mandare a morte coloro che amo; ma io non mi sento più attaccato

alla proprietà, non mi curo più di essere in prigione o no, e se ho ucciso dentro

di me gli affetti naturali egli non può piegarmi al suo volere, perché tutto ciò

che rimane di me non è più soggetto a paure o a desideri empirici."14

13

Op. Cit, pag 182 14

Op. Cit. pag 185

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78

Mentre io mi credo libero da ogni cosa, e unico padrone di me

stesso, il tiranno che è lì fuori fa di me ciò che vuole. Questa,

secondo Berlin, non è affatto libertà.

Ma qual è il vero significato di questo "vedersi doppi" di cui

poco sopra abbiamo scritto? A ben guardare ci pare che il nostro "io

basso" è tale perché non è riuscito ancora ad impadronirsi delle

verità ultime, invece quello "alto" lo è proprio in quanto partecipa

del vero e del bene. Ritroviamo qui in azione il "monismo".

Siccome le risposte vere alle vere domande esistono, e sono tutte

collegate tra loro, chi le scopre vive razionalmente, chi non ha

questa capacità o questa fortuna, ricade nella animalità. In questo

quadro, al monismo si combina immediatamente una certa dose di

determinismo, concorrendo con esso a formare un concetto

fortunatissimo nella filosofia occidentale da Socrate in poi:

l'intellettualismo etico, la concezione per la quale l'uomo pecca per

ignoranza15. Chiunque sia pervenuto alla realizzazione della sua

razionalità sarà logicamente necessitato a comportarsi secondo

ragione. Che fare degli altri? È purtroppo assai probabile che

15 Intendiamo con intellettualismo etico la teoria, in primo luogo socratica e platonica, ma trasversale a tutta la storia della morale, che vede nella conoscenza del bene la ragione necessaria e sufficiente dell'agire buono. Possiamo ben ipotizzare che Berlin, nella critica da lui mossa a tali argomenti, raccolga l'eredità di chi, come lui e forse più radicalmente di lui si oppose ad essi. Si pensi almeno, anche nell'ambito dei richiami berliniani al pensiero romantico, all'opera di Nietzsche.Innumerevoli sono, nell'opera di questi,i luoghi in cui è possibile rinvenire una sferzante critica verso ciò che da noi è stato indicato come intellettualismo etico; a riguardo si veda almeno l'aforisma 305 de La gaia scienza (Adelphi, Milano, 20008) pag. 221, e l' aforisma 190 di Al di là del bene e del male (Guaraldi, Rimini, 1996, pagg. 136-137) , nonché le numerose invettive rivolte contro il socratismo contenute ne La nascita della tragedia (Adelphi, Milano, 2005).

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79

l'irrazionalità altrui diventi per noi un problema di natura politica, e

siccome, secondo l' "ideologia" monista, ogni vero problema

ammette una soluzione, quale questa potrà essere?

Andiamo in ogni caso con ordine, anche perché non

riusciremmo a capire la pericolosità di una Weltanschauung

monista in politica se non capissimo come può succedere che il

"vero io" venga proiettato all'infuori del "saggio" fino ad

abbracciare insieme a lui tutta la sua "parte". Per chiarire quanto

andiamo dicendo ci rifaremo direttamente a Berlin:

"… si può concepire l'io reale come qualcosa di più grande dell'individuo (nel

senso corrente in cui si intende il termine), come il tutto sociale di cui il singolo

è un elemento o un aspetto - una tribù, una razza, una chiesa, uno stato, la

grande società dei vivi, dei morti e dei non ancora nati. Questa entità viene poi

identificata con il "vero io" che, imponendo la sua volontà unica e collettiva,

"organica" ai propri "membri" recalcitranti, consegue la sua, e quindi la loro,

più "alta" libertà".16

Quando il "vero io" smette di essere considerato sub specie

interioritatis e sconfina nella politica allora esso si muta nel

concetto di una "parte" (un partito, un movimento, una associazione

in genere o addirittura una nazione) che ritenga di avere scoperto le

16

ibidem

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80

verità razionali della storia, della società, dell'interazione tra gli

uomini, e voglia realizzarle nel mondo per renderlo conforme a

ragione.

Confrontiamo quanto scrive Friederich Engels nella Prefazione

all'Edizione del 1888 del Manifesto del Partito Comunista:

"Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare

che l'idea fondamentale, che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L'idea è

che in ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio

economici, e l'organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma

la base su cui viene edificata, e da cui soltanto può essere spiegata, la storia

politica e intellettuale di quell'epoca; che di conseguenza l'intera storia

dell'umanità (dalla dissoluzione della società tribale primitiva, caratterizzata

dal possesso comune delle terre) è stata una storia di lotte di classe, di conflitti

tra classi sfruttatrici e sfruttate, dominanti e oppresse; che la storia di tali lotte

di classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno d'oggi, si è raggiunto uno

stadio dove la classe sfruttata e oppressa - il proletariato - non può conseguire

la propria emancipazione dal dominio della classe sfruttatrice e dominante - la

borghesia - senza, allo stesso tempo, e una volta per tutte, emancipare la società

nel suo insieme da qualsiasi sfruttamento, oppressione, distinzioni di classe e

lotte di classe.17

17

F.ENGELS, Introduzione all'edizione del 1888, in K. MARX & F. ENGELS, Manifesto del partito comunista, a cura di

S.M. Soares, Metalibri; Amsterdam, Lausanne, Milan, Melbourne, New York, Sao Paulo, 2008.

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Sebbene Marx ed Engels non ne siano gli unici responsabili, in

queste poche righe vediamo esemplificata tutta la visione del

mondo che porta al sanguinoso fraintendimento della libertà che

condusse il mondo sull'orlo del terzo conflitto mondiale. Abbiamo

una parte (e prendiamo ad esempio quella "orientale" perché le

espressioni della sua Weltanschauung sono esse medesime delle

pietre miliari della teoria politica di ogni tempo, e perché Berlin,

per questioni biografiche, era un pensatore dichiaratamente anti-

sovietico) che crede di avere realizzato le verità razionali che

presiedono ai corsi e ricorsi della storia e della politica;

contemporaneamente ha scoperto che solo un ultimo atto separa gli

uomini dalla realizzazione della ragione nel mondo, e dalla

conseguente soppressione di tutto ciò che è irrazionale (e nel caso

di specie vengono ritenuti irrazionali in maniera peculiare

l'oppressione e lo sfruttamento). Abbiamo citato Engels (per la

verità una massima molto rappresentativa del pensiero materialista

storico), ma non ci meraviglieremmo di scoprire qualche

pamphlettista politico che abbia dichiarato, all'indomani della

caduta del Muro, che ormai qualsiasi residuo di irrazionalità politica

era stato cancellato dalla faccia del globo terrestre grazie al

liberalismo vincente.

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Invero, anche se Berlin non lo dice mai troppo esplicitamente,

gli sembra che non solo il marxismo o il positivismo di Comte siano

viziati da questo pregiudizio "monista", ma sia tutta la teoria

politica dagli enciclopedisti a Lenin, passando per i liberali e i

conservatori del secolo XIX ad esserlo, con l'illustre eccezione di

Constant.

"Conservatori, radicali, liberali e socialisti non davano la stessa

interpretazione del mutamento storico. Non erano d'accordo su quali fossero i

bisogni, gli interessi, gli ideali più profondi degli esseri umani, su chi ne fosse

il detentore e con quanta profondità e ampiezza e per quanto tempo, sul metodo

per scoprirli e sulla loro validità in questa o quella situazione. Divergevano

riguardo ai fatti, divergevano riguardo ai fini e ai mezzi, ed erano i primi a

pensare di non essere in accordo su niente. Ma ciò che in realtà avevano in

comune - e che era troppo ovvio perché ne fossero pienamente coscienti - era la

convinzione che la loro epoca fosse dominata da problemi sociali e politici che

avrebbero potuto essere risolti solo con l'applicazione consapevole di verità su

cui tutti gli uomini dotati di intelligenza adeguata avrebbero dovuto

convenire."18

Ancora su questo punto, con particolare attenzione al rapporto

tra marxismo e liberalismo:

18

I.BERLIN, Le idee politiche del XX secolo, in I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli Universale Econimica, 2010, pag. 68

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83

"A prima vista, nessun movimento sembra differenziarsi più nettamente del

marxismo dal riformismo liberale; eppure le tesi centrali - la perfettibilità

umana, la possibilità di creare una società armoniosa con mezzi naturali, la

fede nella incompatibilità, e addirittura nella inseparabilità di libertà ed

eguaglianza - sono comuni a entrambi. La trasformazione storica può avvenire

con continuità o per salti rivoluzionari improvvisi, ma deve procedere secondo

un disegno intelligibile e logicamente coerente, che è sempre sciocco e

utopistico abbandonare. Nessuno metteva in dubbio che fra liberalismo e

socialismo ci fosse un duro conflitto sia sui fini sia sui metodi, eppure ai

margini essi sfumavano l'uno nell'altro. Il marxismo, per quanto insista con

forza sul condizionamento di classe dell'azione e del pensiero, è tuttavia una

dottrina che almeno teoricamente vorrebbe fare appello alla ragione, se non

altro all'interno della classe che la storia ha destinato a trionfare, il proletariato.

Nella concezione comunista soltanto il proletariato è in grado di guardare al

futuro senza vacillare, perché non ha bisogno di falsificare i fatti per paura di

ciò che l'avvenire potrebbe portare con se. E questo vale come corollario anche

per quegli intellettuali che si sono liberati dai pregiudizi e dalle

razionalizzazioni - dalle 'distorsioni ideologiche'- della loro classe economica,

e nella lotta sociale si sono schierati con la parte vincente. A loro, dal momento

che sono completamente razionali, si possono concedere i privilegi della

democrazia e del libero uso delle facoltà intellettuali. Essi sono per i marxisti

ciò che i philosophes illuministi erano per gli enciclopedisti: il loro compito è

liberare gli uomini dalla "falsa coscienza" e contribuire a predisporre i mezzi

che trasformeranno tutti coloro che ne sono storicamente capaci in esseri

liberati e razionali"19.

19

Op. Cit, pag 71

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Per chi ne è "storicamente capace" la dissoluzione del processo

storico nella ragione avverrà con mezzi razionali, approntati

appunto dai filosofi e dagli intellettuali. Ma più sopra ci

chiedevamo: cosa ne sarà di coloro che capaci non sono, che

vorranno, per cattiva volontà o idiozia, rifugiarsi ancora nell'

Irrazionale politico e rinunceranno dunque a rendersi perfettamente

liberi e a partecipare della Verità Ultima? Immediatamente oltre,

nelle stesse pagine appena citate, Berlin adduce un esempio tratto

dalla storia del novecento.

4.4 Salus revolutionis suprema lex

"Ma nel 1903 si verificò un evento che segnò il culmine di un processo che ha

cambiato la storia del nostro mondo. Al secondo congresso del Partito

Socialdemocratico Russo, che ebbe luogo quell'anno e iniziò a Bruxelles per

poi finire a Londra, durante la discussione di quella che inizialmente sembrava

una questione puramente tecnica - fino a che punto la centralizzazione e la

disciplina gerarchica dovessero determinare la condotta del partito - un

delegato che si chiamava Mandel'berg ma aveva adottato il nom de guerre di

Posadovskij sostenne che il rilievo dato dai socialisti più "duri", cioè Lenin e i

suoi amici, alla necessità che il nucleo rivoluzionario del Partito esercitasse una

autorità assoluta poteva rivelarsi incompatibile con quelle libertà fondamentali

alla cui realizzazione il socialismo, non meno del liberalismo, era ufficialmente

votato. Posadovsij sosteneva che (in questo caso) le libertà civili minime e

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fondamentali ("l'inviolabilità della persona") dovevano essere violate, e

addirittura calpestate, se così decidevano i capi del partito. Gli rispose

Plechanov, uno dei fondatori del marxismo russo e il suo rappresentante più

venerato - uno studioso colto e raffinato, di grande sensibilità morale e di

ampie vedute che per vent'anni aveva vissuto in Occidente, molto stimato dai

leader del socialismo occidentale e che per i rivoluzionari russi era il simbolo

stesso del pensiero civilizzato e "scientifico"; con tono solenne, unito ad uno

splendido disprezzo della grammatica, l'uomo pronunciò le parole Salus

Revolutiae Suprema Lex (sic!). Certamente, se la rivoluzione lo richiedeva,

qualunque cosa - la democrazia, la libertà e i diritti individuali - avrebbe

dovuto esserle sacrificata."20

Tutto ciò vale a dire che chi non sia in grado di comprendere il

"razionale politico" va messo in condizioni di non nuocere agli altri

che hanno scoperto il proprio "Io vero". Va dunque trattato, senza

mezzi termini, alla stregua di un pazzo omicida. Data la sua

condizione di minorità intellettuale, egli deve essere guidato verso

la realizzazione della sua ragione, deve essere obbligato ad

accettare quello che, se fosse ragionevole, vorrebbe anch'egli con

ogni fibra del suo corpo. La situazione di costui, per i monisti, è

come quella dello scolaro: come questi rigetta le verità della

matematica, e non vuole studiarle finché non si accorge che in esse

vi è realizzata la sua stessa ragione, così egli si opporrà ai

cambiamenti finchè non sarà messo in condizioni, con le buone o

20

Op. Cit. pagg. 71 e segg.

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con le cattive, di capire qual è il suo bene e il bene di tutti. Tutto

questo poggia sulla massima comtiana, che recita grosso modo così:

"se non ammettiamo il libero pensiero nella scienza della natura,

perché dovremmo ammetterlo nelle cose della politica?"21

Ecco dove ha portato l'equivoco, partito con i pensatori

illuministi, di "newtonizzare" le scienze umane e quelle sociali: ad

un epocale e tragico fraintendimento della libertà.

Eppure noi abbiamo cominciato questo capitolo dicendo che per

Berlin, dovunque ci fosse un deficit di ragione nella capacità di

determinare se stessi, la coercizione sarebbe potuta essere ammessa.

Ciò nondimeno non è difficile intuire come una ragione "monista"

non corrisponde all'idea berliniana. Egli, sebbene il suo pluralismo

vada distinto abbastanza nettamente dal relativismo, ammette, come

già detto, che nella sfera delle cose umane non esistano verità

irrefutabili in nome delle quali poter costringere in catene i nostri

simili. Per Berlin esiste quasi una "collezione" di idee comprensibili

e condivisibili razionalmente oltre le quali la cifra specificamente

umana si perde. Credere ad una ragione che è tale solo perché si

ritiene in possesso di verità irrevocabili in dubbio, le quali Berlin

ritiene non esistere, e pertanto obbligare con la forza altri esseri

21

Cfr. A. Comte, Plan de travaux scientifiques necessaires pour reorganizer la societè (1822), in Appendice generale du système de politique positive, Paris, 1854, pag. 53 nel volume IV del Système de politique positive. Berlin cita il passo in Le idee politiche del ventesimo secolo, in Libertà, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 83

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umani a vivere secondo tali verità-fantasma, è pervertire non solo la

libertà, ma anche la ragione e la umanità. Berlin chiama questo

atteggiamento "Fanatismo", e noi crediamo lo faccia a ragione

veduta.

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