LA DOMENICA - rtraba.files.wordpress.com · LA DOMENICA 26 DOMENICA 5 AGOSTO 2012 la RR e p u b b...

14
LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 AGOSTO 2012 NUMERO 388 CULT La copertina BETTINI E SHULEVITZ Coach e consulenti per allenare il sé è la new economy degli affetti La recensione LEONETTA BENTIVOGLIO Quelle lezioni ironiche e geniali di Henri Michaux contro il narcisismo All’interno La mostra LEA MATTARELLA Fabio Mauri ovvero l’arte di mettere in scena il Novecento La lettura GEOFF DYER Gli scatti rubati da Street View ecco la fotografia del nostro futuro ANNA BANDETTINI La centrale elettrica diventata la factory della creatività per le nuove tribù “La mia Venezia che festeggia i primi ottant’anni” Spettacoli NATALIA ASPESI Casa Churchill, la diplomazia nascosta nel menù La storia STEFANO MALATESTA D i mestiere faccio lo scrittore. Si tratta, penso, di un mestiere innocuo, anche se non ovunque è consi- derato rispettabile. Gli scrittori di romanzi mettono il turpiloquio in bocca ai loro personaggi e li descri- vono mentre sono impegnati a fornicare o vanno al gabinetto. Per di più, non si tratta di un mestiere “uti- le” in senso stretto, come potrebbe esserlo quello del muratore o del pasticciere. Lo scrittore fa passare il tempo, tra un’azione utile e l’al- tra; contribuisce a riempire i vuoti che si creano nell’ordito serio del- la vita. È un mero intrattenitore, una specie di clown. Imita, fa gesti grotteschi, è patetico o comico e talora entrambe le cose, lancia le parole in aria, a vorticare come palloncini colorati. L’uso che fa delle parole non deve essere preso troppo sul serio. Il presidente degli Stati Uniti usa parole; il medico, il meccanico, il generale dell’esercito o il filosofo usano parole e queste parole sem- brano riferirsi al mondo reale, un mondo nel quale le tasse si devo- no imporre e togliere, le automobili si devono guidare, le malattie si ANTHONY BURGESS devono guarire, i grandi pensieri vanno pensati e si devono com- battere grandi battaglie. Nessun inventore di trame e di personag- gi — per quanto bravo — deve essere ritenuto un pensatore serio. Neppure Shakespeare. In verità, è difficile capire che cosa pensa ve- ramente lo scrittore pieno di immaginazione, dato che egli si na- sconde dietro le sue trame e i suoi personaggi. E quando sono i per- sonaggi a iniziare a pensare, e a esprimere i loro pensieri, non ne- cessariamente si deve credere che quelli siano i pensieri dello scrit- tore. Macbeth pensa una cosa e Macduff una cosa diametralmente opposta alla prima; le idee del re non sono le idee di Amleto. Perfi- no il drammaturgo più serio resta pur sempre un clown, dato che suona un motivo triste su un trombone strapazzato. Poi, però, il suo stato d’animo cambia, ed egli diventa un buffone che fa acrobazie e cammina sulle mani. Non deve essere preso sul serio. Talvolta ac- cade, invece, che un semplice intrattenitore come me sia trascina- to, contro la propria volontà, nella sfera del pensiero “serio”. (segue nelle pagine successive) ANTHONY BURGESS “Perché ho scritto Arancia meccanica” Il bene, il male, il libero arbitrio, la morale di Stato Il testo ritrovato che difende il capolavoro di Kubrick Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “Alla riscoperta di Dickens” Il teatro DISEGNO DI GIPI

Transcript of LA DOMENICA - rtraba.files.wordpress.com · LA DOMENICA 26 DOMENICA 5 AGOSTO 2012 la RR e p u b b...

LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 5AGOSTO 2012

NUMERO 388

CULT

La copertina

BETTINI E SHULEVITZ

Coach e consulentiper allenare il séè la new economydegli affetti

La recensione

LEONETTA BENTIVOGLIO

Quelle lezioniironiche e genialidi Henri Michauxcontro il narcisismo

All’interno

La mostra

LEA MATTARELLA

Fabio Mauriovvero l’artedi mettere in scenail Novecento

La lettura

GEOFF DYER

Gli scatti rubatida Street Viewecco la fotografiadel nostro futuro

ANNA BANDETTINI

La centrale elettricadiventata la factorydella creativitàper le nuove tribù

“La mia Veneziache festeggiai primi ottant’anni”

Spettacoli

NATALIA ASPESI

Casa Churchill,la diplomazianascosta nel menù

La storia

STEFANO MALATESTA Di mestiere faccio lo scrittore. Si tratta, penso, di unmestiere innocuo, anche se non ovunque è consi-derato rispettabile. Gli scrittori di romanzi mettonoil turpiloquio in bocca ai loro personaggi e li descri-vono mentre sono impegnati a fornicare o vanno algabinetto. Per di più, non si tratta di un mestiere “uti-

le” in senso stretto, come potrebbe esserlo quello del muratore o delpasticciere. Lo scrittore fa passare il tempo, tra un’azione utile e l’al-tra; contribuisce a riempire i vuoti che si creano nell’ordito serio del-la vita. È un mero intrattenitore, una specie di clown. Imita, fa gestigrotteschi, è patetico o comico e talora entrambe le cose, lancia leparole in aria, a vorticare come palloncini colorati.

L’uso che fa delle parole non deve essere preso troppo sul serio.Il presidente degli Stati Uniti usa parole; il medico, il meccanico, ilgenerale dell’esercito o il filosofo usano parole e queste parole sem-brano riferirsi al mondo reale, un mondo nel quale le tasse si devo-no imporre e togliere, le automobili si devono guidare, le malattie si

ANTHONY BURGESS

devono guarire, i grandi pensieri vanno pensati e si devono com-battere grandi battaglie. Nessun inventore di trame e di personag-gi — per quanto bravo — deve essere ritenuto un pensatore serio.Neppure Shakespeare. In verità, è difficile capire che cosa pensa ve-ramente lo scrittore pieno di immaginazione, dato che egli si na-sconde dietro le sue trame e i suoi personaggi. E quando sono i per-sonaggi a iniziare a pensare, e a esprimere i loro pensieri, non ne-cessariamente si deve credere che quelli siano i pensieri dello scrit-tore. Macbeth pensa una cosa e Macduff una cosa diametralmenteopposta alla prima; le idee del re non sono le idee di Amleto. Perfi-no il drammaturgo più serio resta pur sempre un clown, dato chesuona un motivo triste su un trombone strapazzato. Poi, però, il suostato d’animo cambia, ed egli diventa un buffone che fa acrobaziee cammina sulle mani. Non deve essere preso sul serio. Talvolta ac-cade, invece, che un semplice intrattenitore come me sia trascina-to, contro la propria volontà, nella sfera del pensiero “serio”.

(segue nelle pagine successive)

ANTHONY BURGESS

“Perché ho scrittoArancia meccanica”

Il bene, il male, il libero arbitrio, la morale di StatoIl testo ritrovato che difende il capolavoro di Kubrick

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:“Alla riscopertadi Dickens”

Il teatro

DIS

EG

NO

DI G

IPI

LA DOMENICA■ 26DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

La copertinaInediti

(segue dalla copertina)

Si trovi costretto a rilasciare le proprie opinioni su que-stioni molto profonde. [...] Di questi tempi mi trovo ascrivere un libro molto diverso da qualsiasi altro io ab-bia mai scritto e l’occasione che mi ha spinto a scriver-lo non è l’interesse dell’opinione pubblica nei confron-ti di un mio romanzo, bensì l’interesse dell’opinione

pubblica nei confronti di un film basato su uno dei miei romanzi. Illibro e il film si intitolano entrambi Arancia meccanica. Ho pubbli-cato la prima stesura del libro nel 1962 e a partire da quell’anno ilmio libro ha avuto un numero sufficiente di lettori sulle due spon-de dell’Atlantico da continuare a essere stampato. Eppure, a diecianni di distanza da quando ne ho corretto le bozze, il suo titolo e ilsuo contenuto sono diventati noti a milioni di persone in seguitoalla trasposizione cinematografica molto aderente al testo che neha fatto Stanley Kubrick. Così mi sono ritrovato a essere convocatoassai di frequente per spiegare il reale significato del libro e del film.

Prima di tutto, il titolo. Sentii per la prima volta pronunciare l’e-spressione «sballato come un’arancia meccanica» in un pub lon-dinese, prima della Seconda guerra mondiale. Si trattava di un’e-spressione tipica del vecchio slang Cockney, in allusione a una stra-nezza o anormalità così estrema da sovvertire la natura, giacchéquale altra idea più bizzarra può esserci di quella di un’arancia conmeccanismo a orologeria? L’immagine mi piacque per il fatto dinon essere soltanto qualcosa di fantastico, ma anche perché im-plicava qualcosa di oscuramente significativo, di surreale, e a unostesso tempo di reale, in senso osceno. Il connubio forzoso di un or-ganismo — una cosa vivente, che cresce, è dolce e succosa — e diun meccanismo, un manufatto freddo e inerte, poteva essere sol-tanto un’idea da incubo? Ho scoperto quanta risonanza potesseavere una tale immagine per la realtà del Ventesimo secolo nel 1961,quando iniziai a scrivere un romanzo su come porre rimedio alladelinquenza giovanile. Avevo letto da qualche parte che utile e pro-ficua poteva essere l’idea di eliminare del tutto l’impulso a delin-quere tramite la terapia dell’avversione e ne ero rimasto turbato.Iniziai a elaborare le implicazioni di questa teoria in una breve ope-ra narrativa. Il titolo — Arancia meccanica — era lì, già pronto percongiungersi al libro. Era l’unico titolo possibile.

Il protagonista è un giovane delinquente di nome Alex. Gli dettiquel nome per la sua natura internazionale e anche per impliciti si-

gnificati ulteriori: Alex è un diminutivo buffo di Alessandro il Gran-de, che si fece largo nel mondo a colpi di spada e massacri e lo con-quistò; ma è anche il nome di colui che alla fine è vinto, impotentee senza parole. Egli fu “A lex”, la legge di se stesso, e diventò una crea-tura senza legge e senza lessico. All’inizio del libro e del film, Alex èun essere umano dotato — forse anche sovra-dotato — di tre ca-ratteristiche che noi consideriamo attributi fondamentali per unuomo. Si compiace di utilizzare un linguaggio eloquente e ne in-venta addirittura una nuova forma (ancora lontano dall’a-lessica-le — “a-lexical” — in questa fase); ama la bellezza che individua nel-la musica di Beethoven più che in qualsiasi altra cosa; è combatti-vo. Con i suoi amici — meno umani di lui, dato che non si interes-sano granché alla musica — a notte fonda terrorizza le strade di unagrande città. Alex e i suoi amici effettuano rapine, mutilano, stu-prano, vandalizzano, e alla fine arrivano a uccidere. Il giovane an-tieroe è arrestato e condannato, ma la condanna non è abbastanzaper lo Stato. Poiché è risaputo che il carcere non funge da deterren-te per la criminalità, il ministero degli Interni introduce una formadi terapia dell’avversione dal successo garantito, che in sole duesettimane dovrebbe far piazza pulita per sempre di qualsiasi ten-denza a delinquere.

Alex, nella sua ingenuità, accoglie favorevolmente l’occasione diessere “curato”. Gli praticano l’iniezione di una sostanza che gli in-duce una nausea violenta, e la nausea è di proposito associata allavisione forzata di film indicibilmente violenti. Ben presto non rie-sce più ad assistere a un episodio di violenza senza provare un vio-lento attacco di nausea. È costretto a camminare sul filo di una“bontà” imposta. La società si rallegra del risultato e già guarda conottimismo a un millennio privo di criminalità. Ma gli uomini, dopotutto, non sono macchine ed è sempre difficile distinguere un istin-to umano dall’altro. Il trattamento al quale è stato sottoposto Alex

consiste nella visione di film particolarmente violenti e nel prova-re simultaneamente una forte nausea indotta. Questi film, per dipiù, avevano come “elementi di intensificazione emotiva” colon-ne sonore di musica sinfonica. Dopo il trattamento, il criminaleriformato scopre di non riuscire ad ascoltare Beethoven senza sen-tirsi inconsolabilmente male. Lo Stato si è spinto troppo in là: è en-trato in un ambito che va ben oltre il suo patto con la cittadinanza.Ha precluso alla sua vittima un universo intero di bene non-mora-le, la visione di quell’ordine paradisiaco che la musica meraviglio-sa può indurre.

Impazzito dopo aver ascoltato una registrazione della Nonasinfonia, Alex tenta il suicidio; negli elementi liberal della societàcompaiono turbamento e compassione; Alex è sottoposto a una te-rapia ipnopedica, che lo riporta alla sua condizione anteriore di“essere libero”; e ci accomiatiamo da lui mentre egli sogna nuovemodalità, ancora più elaborate, di accanimento sul prossimo. Equesto dovrebbe essere recepito come un lieto fine.

Quello che cercavo di esprimere è che è meglio essere malvagiper propria scelta che essere buoni grazie a un lavaggio scientificodel cervello. Quando Alex ha il potere di scegliere, sceglie soltantola violenza. Ma, come dimostra il suo amore per la musica, ci sonoanche altri ambiti nei quali può scegliere. [...] La libertà di scelta èdavvero così importante? E, a questo proposito, l’uomo è davverocapace di scegliere? [...] L’approccio comportamentista all’essereumano — di cui il professor B. F. Skinner è un grande esponente —lo vede muoversi verso tipologie quanto mai differenziate di azio-ne tramite stimoli avversivi e non-avversivi. La paura della sferzainduceva lo schiavo a lavorare; la paura del licenziamento ancor og-gi spinge lo schiavo retribuito a lavorare. È questo tipo di stimoli ne-gativi all’azione che il professor Skinner condanna più di ogni altracosa; ciò che egli vorrebbe che si diffondesse di più è al contrario lostimolo positivo. A un animale del circo non si insegna a fare acro-bazie con la crudeltà, ma con la gentilezza. Considerati gli oppor-tuni stimoli positivi — ai quali noi reagiamo non razionalmente matramite i nostri istinti condizionati — diventeremo tutti cittadinimigliori, sottomessi a uno Stato che ha a cuore il bene della collet-tività. Non dobbiamo — questo attesta la teoria — aver paura delcondizionamento. Ma il condizionamento deve essere del tipo giu-sto. Seguendo l’argomentazione di Skinner, dunque, è un condi-zionamento del tipo sbagliato a trasformare il protagonista di Aran-cia meccanica in un rivoltante modello di non-accanimento. Il fat-to che io stesso, addirittura, consideri sbagliato qualsiasi tipo dicondizionamento è riconducibile, così presumo, alla forza della

Burgess:“Io, Kubricke il Male”

A quarant’anni dall’uscita nelle saledi “Arancia meccanica”, un testo ritrovatoin esclusiva per “Repubblica”. L’autoreracconta perché scrisse il libro: “Non era un innoalla violenza, ma alla libertà. Èmeglio essere malvagiper scelta che buoni per un lavaggio del cervello”

Il condizionamento è la stradache l’uomo può imboccare

se desidera un mondosenza guerre né crisi

ANTHONY BURGESS

■ 27DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

© RIPRODUZIONE RISERVATA

tradizione religiosa nella quale sono stato cresciuto. Ne sono statocondizionato, per così dire, ma la mia parte razionale approva i ver-detti di colpevolezza che sento a livello viscerale. [...]

«Voi definite nera la scacchiera, io bianca» dice il Vescovo Blou-gram nella poesia di Robert Browning. In altre parole, una visioneottimistica della vita umana è valida tanto quanto quella pessimi-sta. Ma a quale vita alludiamo? A quella dell’intera razza umana o aquella di quell’irrilevante frammento di essa che ciascuno di noi de-finisce “io”? Io penso di essere ottimista sull’uomo: penso che la suarazza sopravvivrà, penso che risolverà — seppur lentamente o do-lorosamente — i suoi maggiori problemi soltanto perché è consa-pevole di essi. Per quanto mi riguarda, tutto ciò che posso afferma-re è che sto invecchiando, che la mia vista si è indebolita, che i mieidenti richiedono costanti attenzioni, che non posso più mangiareo bere quanto ero solito fare, e che sempre più spesso mi annoio.Non riesco a tenere a mente i nomi delle persone, la mia mente la-vora lenta, ho attacchi di invidia per i giovani e provo rancore per ilmio imminente decadimento fisico. Se avessi una fede ardente nel-la sopravvivenza dell’individuo, questa cupa visione della sene-scenza ne uscirebbe di molto alleviata. Ma ho perduto questa fedeed è improbabile che io la possa recuperare. Talvolta provo un ar-dente desiderio di morire subito, ma l’impulso a rimanere vivo hasempre la meglio. Esistono sì forme di consolazione — l’amore, laletteratura, la musica, la vita frenetica e vivace della città del sud nel-la quale trascorro buona parte del mio tempo — ma sono pur sem-pre assai saltuarie. Esiste una consolazione più grande e più dura-tura: il fatto che sono libero di scrivere ciò che voglio, che non sonotenuto a seguire alcun orario, che non devo chiamare “signore”nessuno e a nessuno sottomettermi con trepidazione. Da questa li-bertà, però, hanno origine i miei stessi rimorsi: mi sento in colpa senon lavoro, sono il tiranno di me stesso. Delle cose che possiedoadesso avevo maggior bisogno quando ero giovane. Ricordo beneil detto di Goethe: «Sta’ attento a desiderare qualcosa in gioventù,perché l’otterrai alla mezza età». [...]

Uno degli slogan del superstato di George Orwell in 1984 è «la li-bertà è schiavitù». Si può interpretare ciò col fatto che il peso di ef-fettuare le proprie scelte risulta insopportabile a molte persone. Es-sere vincolati alla necessità di prendere una decisione per se stessiequivale a essere schiavi della propria volontà. Ricordo quando, aventidue anni, entrai nell’esercito britannico: in un primo tempotollerai male la disciplina, la privazione della più piccola tra le li-bertà (come il diritto di mangiare quando e quello che si vuole, il di-ritto di andare al gabinetto quando lo impone l’intestino e non lo

squillo della tromba). Ben presto, tuttavia, il mio adeguarmi a esse-re un pezzo dell’ingranaggio, di un meccanismo a orologeria, ini-ziò a piacermi, a rassicurarmi. [...]

Perfino chi si ribella contro il conformismo trova un conformi-smo tutto suo: come l’uniforme fatta di capelli lunghi, barbe, pan-taloni di cotone, perline o amuleti, per esempio, e l’immutabile vo-glia di marijuana e di canzoni di protesta suonate con la chitarra.Un uomo deve conformarsi a un modello di lavoro per sostentarsie sfamare la propria famiglia; un uomo può trovare gradevole o na-turale oppure opportuno conformarsi nei propri gusti sociali. Maquando i modelli di conformismo sono imposti dallo Stato, allorasi ha il diritto a essere spaventati. [...] È significativo che i libri di in-cubi della nostra epoca non parlino di nuovi Dracula e novelliFrankestein, bensì di quelle che possono essere a buon motivo de-finite distopie — utopie ribaltate, nelle quali per esempio un im-maginario governo megalitico porti la vita umana a un livello ec-celso di privazione. [...] Già nel lontano 1932 Aldous Huxley nel suoIl mondo nuovodimostrava che la docilità asservita che gli Stati po-tenti richiedono dai loro sudditi era ottenibile più facilmente tra-mite tecniche non disapprovate. Il condizionamento prenatale einfantile rende gli schiavi felici della loro condizione di schiavi e lastabilità è fatta rispettare non a colpi di frusta, ma tramite un pia-cere scientificamente imposto. Questa, naturalmente è una stradache l’uomo può imboccare qualora desideri veramente un mondonel quale non ci siano guerre, né crisi tra la popolazione, né tor-menti alla Dostoevskij. Nondimeno, come dichiara Huxley, la feli-cità non è quello che vogliamo veramente. Un uomo è — quasi perdefinizione — una creatura irrequieta, creativa, distruttiva, porta-ta a gioire come a soffrire. [...]

Diceva G. K. Chesterton che l’uomo è una donna: non sa quelloche vuole. In un certo senso, preferiremmo una società repressiva,

piena di agenti segreti e di filo spinato a quella scientificamentecondizionata nella quale essere felici significa fare la cosa giusta.Ma noi non siamo la nuova razza e testardamente ci ostiniamo anon volere essere nient’altro che ciò che siamo, più o meno — crea-ture consapevoli dei propri difetti e creature determinate a fare amodo nostro qualcosa in merito a quei nostri difetti.[...] Curiosa-mente — ma anche no, forse — i personaggi della storia che ono-riamo maggiormente sono quegli uomini e quelle donne che com-batterono contro la repressione e affrontarono addirittura il mar-tirio per difendere il bene e il giusto. Prometeo, Socrate, Gesù Cri-sto, Sir Thomas More, Giordano Bruno, Galileo. È come se ci osti-nassimo ad aver bisogno dell’intolleranza perché non possiamo fa-re a meno di eroi.

Fu l’occupazione nazista della Francia a indurre Jean-Paul Sar-tre a formulare una nuova filosofia umana, che — benché non lo sia— sembra una teologia. Parlando dell’«era degli assassini» antici-pata da Rimbaud, Sartre (in Che cosa è la letteratura) dice: «A di-spetto di noi stessi, siamo pervenuti a questa conclusione, che sem-brerà sconvolgente per le anime nobili: il Male non può essere re-dento». [...] Siamo tutti portati a utilizzare la parola “male” senza es-sere disposti a definirlo. Non è proprio un sinonimo di “cattivo”,poiché non possiamo dire di un’arancia che è male, se non come fi-gura poetica, e nello stesso modo non possiamo definire unaperformance di violino un male. Di sicuro, inoltre, male non è si-nonimo di “sbagliato”. “Giusto” e “sbagliato”, lo sappiamo, sonoparole con riferimenti quanto mai variabili. [...] Non possiamoprendere sul serio le definizioni di giusto e sbagliato, poiché cam-biano e si trasformano molto. Ci servono quindi termini assoluti,come “bene” e “male”. Il nostro atteggiamento nei confronti del be-ne curiosamente è vago e non impegnativo o poco sentito; siamopiù abituati a sentirci dire di non commettere il male che incorag-giati a fare il bene. [...]

Tutti noi abbiamo nel nostro immaginario o tra i nostri ricordiqualche immagine del male dal quale è esente qualsiasi giustifica-zione seppure piccola — quattro giovanotti sghignazzanti che si ac-caniscono a torturare un animale, una gang di stupratori, i vandalia sangue freddo. E da ciò pare conseguire che condizionare con laforza una mente — a prescindere da quanto sia buona l’intenzionesociale — debba essere male.

Traduzione Anna BissantiHa collaborato Gabriele Pantucci© Estate of Anthony Burgess, 2012

IL SAGGIOAnthony Burgess nell’estate del ’73 in un appartamento

a Trastevere a Roma incominciò a scrivere il saggioThe Clockwork Condition che pubblichiamo in parte

in queste pagine. Il dattiloscritto è stato ritrovato quest’annoda Andrew Biswell, direttore dell’International Anthony

Burgess Foundation di Manchester. La versione integraledel saggio è online da oggi su Repubblica.it

Ma noi testardamenteci ostiniamoa non volere essere

nient’altro che ciò che siamo:creature consapevoli dei propri difetti

LA MOSTRAI disegni di queste pagine sono di Gipi. Illustratore e regista,

Gianni Pacinotti (Gipi è il nome d’arte), collabora da annicon Repubblica. Dal 23 agosto a Villa Soragna a Collecchio

(Parma) il Collecchio film festival gli dedica una mostra,L’ultimo terrestre e altre apocalissi di provincia. Saranno esposte

molte tavole originali tratte dalle sue graphic novel e non soloInaugurazione con l’autore alle 19 (www.collecchiovideofilm.it)

DIS

EG

NO

DI G

IPI

LA DOMENICA■ 28DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

N

Si muovono con le stagioni, a piedi, a cavallo o su vecchie moto. Cantano nel buioper tenere buone le montagne. Tra loro si chiamano cavalieri del vento, per Pechinosono solo nomadi. Siamo andati a vedere come sopravvivono

Il reportageOn the road

MONIKA BULAJ

solo “Cina occidentale”. Eppure vi sono nati gran-di maestri e anche Tenzin Gyatso, l’attuale DalaiLama. Per secoli è stata zona di scontro tra i “cava-lieri del vento” e l’“Impero Celeste”, terra segnatada odio e amore, baricentro spirituale e teologicoda far invidia a Lhasa. I nomadi tibetani sono forsel’ultimo avamposto della cultura tibetana. È conloro che cammino sotto le stelle sul limitare del-l’Himalaya e della mia stessa mappa. A piedi, a ca-vallo o su vecchie moto, guidano spavaldi coi neo-nati nascosti nelle palandrane dalle maniche lun-ghissime che amplificano i gesti in modo teatrale,come personaggi dell’Opera di Pechino. Le donneportano collane pesantissime e una spada alla cin-tura come se andassero in battaglia; i vestiti sonopieni di gioie. Sono timide come gazzelle, ma libe-re. Possono lasciare il marito dopo tre giorni di pro-va, perché quello non è peccato ma maya, errore.In compenso lavorano per dieci. Risalgono spa-ventose scarpate con i tacchi alti, scivolano su cen-ge ghiaiose a picco sugli strapiombi, inseguono icuccioli di yak persi tra i torrenti, e svelano ogni tan-to nello spacco della gonna una provocante colo-ratissima calzamaglia. Pozzanghere ghiacciate, laluna non trova specchi in cui guardarsi, i cavalli sal-gono a fatica, sudano, sento scricchiolare i loro zoc-coli. I nomadi dell’Amdo si muovono con le stagio-ni, giocando con i divieti della burocrazia pechine-se che li vorrebbe meno inquieti e con la tiranniadel clima che cambia. I segni del male che colpisceil pianeta arrivano anche qui, con lingue di sabbiasahariana che serpeggiano tra i picchi vestiti di ne-ve. Sono armati di cellulari e fuoristrada, in moltihanno scambiato i cavalli con le moto. Altri, mi diràun monaco, «hanno agghindato e coperto di tetti letende e si sono ritrovati in una casa». «Diventanosempre più pastori, sempre meno nomadi», miaveva avvertito Andrea Dell’Angelo, capo di Asia,una Ong fondata a Roma dal gran maestro di Dzog-chen, Namkhai Norbu, invitato in Italia dal grande

orientalista Giuseppe Tucci. «Gli stessi cinesi co-minciano a rendersi conto che il loro processo disedenterizzazione può essere senza ritorno».

I cinesi della dinastia Tang esaltavano il coraggiodei tibetani che uccidevano i propri cavalieri rei diuna resa disonorevole. Oggi Pechino compra ciòche non può distruggere. La macchina del folclorea pagamento, del turismo d’alta quota, è in marciada tempo. A Kum-Bum vedo orde di turisti hanmentre i monaci battono come indemoniati i gongfuori orario; nuvole d’incenso galleggiano in tem-pli dove nessuno prega; i tibetani affittati per pochi

Inseguendogli ultimi tibetani

LA MOSTRACentosettanta foto in bianco e nero

e a colori, voci di bazar e strade di Kabul, pianti di donne e canti di bambini: fino al 23 settembre

Trieste ospita “Nur/Luce. Appuntiafgani” con foto, testi e suoni

di Monika Bulaj, un’installazioneminimale, come un tempio non finitoin una città sotto assedio, allestita

nello spazio dell’ex Pescheria L’esposizione continua su finestremurate, case disabitate, giardini con “Passaggi afgani a Trieste”,

urban art negli spazi aperti della città

otte d’altopiano, l’aria dei quattromila toglie il re-spiro. I fari delle moto richiamano dal buio una ne-bulosa di occhi stralunati, orecchini, sete dorate. Inun odore di letame e lana bagnata, c’è una massascura che sbuffa, ansima, geme. È una tribù di no-madi che transuma verso i pascoli con cinquemilayak neri. Sono eleganti, sembra un corteo nuzialedi re, una sfilata di moda, un’anabasi trionfale.Cantano nel buio per tenere buone le montagne eil loro canto è ruvido, nasale. Si rompe di colpo trafischi di fionde, ninnananne e richiami. La regionedi Amdo non sta sulla carta del Tibet. Per Pechino è

© RIPRODUZIONE RISERVATA

■ 29DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

LE IMMAGININella foto grande al centro, il monacoJamayang, 29 anni; sotto, la preghiera del mattino in un villaggio di AmdoA sinistra, momenti di vita nomade:la transumanza sui pascoli invernali,una famiglia nomade e un’anziana

yuan per un lampo di flash. Tutt’intorno il Nuovonon aspetta, stende strade e ponti su cime che sfio-rano il cielo, taglia a fette montagne, scava, sradica,cancella le impronte del leggendario Gesar di Ling,estirpa persino i dolci tuberi rossi del Tibet, una del-le poche prelibatezze di questa terra avara. A Xi-ning, capitale del Tibet storico orientale, sembra diessere a Pechino. Paesaggio di gru e impalcature.Ragnatele di autostrade e sopraelevate, condomi-ni-fantasma con finestre spente e scheletri, accan-to, in costruzione.

Quassù il sole è già alto quando passiamo il vali-co agghindato di bandiere e velato di neve. Sui pa-scoli protetti dai venti i nomadi piantano chiodi perfissare la tenda di lana di yak, pesante e impregna-ta di fuliggine. “Dra”, la tenda nera. «Sei generazio-ni l’hanno avuta in custodia» mi dice Sonam, un ra-gazzo nomade che parla inglese. «Mio nonno nonaveva paura di morire ma che la tenda venisse ab-bandonata. Perché la tenda nera è il Tibet». Le don-ne ne dividono lo spazio: destra e sinistra, puro eimpuro, maschile e femminile. Ogni tenda diven-ta tempio. Senza volerlo faccio una mossa proibi-ta, passo tra la stufa e l’altare. Vedo gli occhi spa-ventati delle donne. Serve un rito. La stufa è la di-mora dei geni, il fumo è la fonte della divinazione.Sale dritto? Gira a destra? Serpeggia per terra? Tut-to diventa un segno. Per tenerlo buono, il fuoco èbenedetto due volte al giorno con una preghiera.

Tenda nera, yak bianco. «Quando ne nasce unolo liberano perché è sacro», mi dice Sonam il cui no-me vuole dire felice. Mi porta sui monti dove si pra-ticano i «funerali del cielo» e dove i morti si lascia-no agli uccelli. Sonam mi tornerà in mente una vol-ta scesa a Tongde, nella provincia del Qinghai. No-to uno scambio di sguardi: quello da gazzella di unragazzo nomade agghindato di rosari e quello diuna cinese di madreperla, atea fino al midollo. Duebellezze angeliche, un odio viscerale.

PECHINOIl Tibet chiuso agli stranieri e scos-so dalle auto-immolazioni anticine-si diventa un luna park politico perturisti in cerca di folclore e souvenir.Il governo di Pechino, impegnato anascondere i quarantaquattro roghiche da due anni fanno strage tra lapopolazione in lotta per l’autono-mia e per il ritorno del Dalai Lamadall’esilio, ha dato il via alla costru-zione di un maxi parco divertimentialle porte di Lhasa, con shoppingcenter e hotel a cinque stelle. Gio-stre, attrazioni e ricostruzioni degliantichi villaggi himalayani raccon-teranno la storia della principessaWencheng, erede della dinastiaTang, andata in sposa a un re tibeta-no. Il matrimonio, celebrato attornoall’anno mille dopo Cristo, secondola propaganda cinese è la prova del-l’appartenenza del Tibet storico allaCina. La nuova “Disneyland” ideo-logica più alta del mondo, poco sot-to quota quattromila, punta a rad-doppiare le presenze turistiche nel-la città del Potala, abbandonata dalDalai Lama nel 1959. Peccato che dagiugno per uno straniero, o per un ci-nese senza un visto politico speciale,raggiungere Lhasa sia impossibile.

Pechino, a pochi mesi dal decen-nale passaggio dei poteri, teme che isacrifici di monaci e ribelli tibetanipossano dilagare e che le immaginidelle torce umane costringano l’Oc-cidente a scuotersi dal suo torpore.L’obiettivo del Partito comunista èperò arricchire i coloni han trasferitinel Tibet storico e accreditare l’ideasecondo cui l’area è Cina. Pechinoincasserebbe così il merito di aversviluppato l’economia di una popo-lazione altrimenti «abbandonata auna deriva medievale».

Il parco giochi costerà oltre 3,5 mi-liardi di euro e sarà inaugurato entroil 2015. Accanto ai divertimenti ispi-rati a leggende tibetane e tradizionibuddiste, si potranno visitare padi-glioni su storia, usi e costumi dei po-poli dell’Himalaya, mostre, accam-pamenti di pastori nomadi e villaggicontadini ricostruiti. Ma Xinming,vicesindaco filocinese di Lhasa, haassicurato che «il museo vivente delpopolo tibetano» diminuirà la pres-sione dei turisti nei monasteri piùimportanti, nelle strade del Barkhor,nel Potala e nella città vecchia. Percontenere le spinte autonomiste, laCina punta molto sul turismo. Oltrealla linea ferroviaria, in pochi anni haaperto sei aeroporti, un’autostradache raggiunge il confine col Nepal,hotel di lusso e centri commerciali.

Quest’anno, nonostante la chiu-sura estiva, le autorità contano di su-perare i dieci milioni di visitatori.Una massa enorme per una piccolacittà di montagna come Lhasa, ridot-ta alla messinscena militarizzata diuna civiltà distrutta. Di qui, il proget-to di un “Tibet in miniatura” ideolo-gicamente corretto e sotto il control-lo dell’esercito di Pechino. Le comiti-ve saranno allontanate dai luoghi piùsensibili, escluse dalle visite ai mo-nasteri e indottrinate da guide istrui-te dal partito. Allora il Tibet, formal-mente aperto, sarà davvero ciò che laCina vuole: un luna park politicodentro uno shopping center, avvoltonel mito, ma ormai irriconoscibile esvuotato della sua identità.

La Disneylanddi regime

sull’HimalayaGIAMPAOLO VISETTI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FOTO

MO

NIK

A B

ULA

J

LA DOMENICA■ 30DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

La volta che ricostruìsul mogano la battaglia

dello Jutland intingendol’indice nel vino,

la “pièce de résistance”servita ai russi

che non gradirono

Un libro raccontacome il primo ministro ingleseconvinceva capi di Statoe ospiti celebriMischiando roast beef,“Claret” e Portoalla politica

La storiaRiti

Nellalunga e turbolenta carriera politica di Winston Churchill gli insuccessi so-no stati più numerosi dei successi. La sua vicenda è affascinante esattamen-te per questo alternarsi di fortune e sfortune. Negli anni Trenta sembrava unpolitico in declino, finito in un buco nero da cui era impossibile tirarsi fuori.Ma dopo pochi anni venne chiamato a guidare il suo Paese nell’ora più diffi-cile della sua storia. Quando Neville Chamberlain, col suo aspetto lugubre e

anche un po’ jettatorio, cercò ancora una volta di difendere in Parlamento la politica del-l’appeasement dopo che i tedeschi avevano infranto il Patto di Monaco, venne fischiato e zit-tito. E molti deputati, rivolgendosi a Winston, che stava seduto in silenzio gli urlarono: «Win-nie, parla tu per l’Inghilterra».

In una recente biografia del premier, John Keegan, il più reputato storico militare inglesedel secolo scorso dopo Basil Liddell Hart, che da ragazzo era stato immune dal mito chur-chilliano, ha confessato che sentendo per la prima volta i suoi discorsi registrati («Noi com-batteremo nelle strade, combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo sulle colline, noinon ci arrenderemo mai») era rimasto come avvolto da un inaspettato orgoglio di essere na-to in Inghilterra. Ancora oggi nei sondaggi sui giornali Winston, con tutta la sua arroganza ei suoi errori, rimane in testa alle classifiche dei massimi eroi britannici, insieme con HoratioNelson. La sua vicenda ricorda ciò che disse Gide quando gli chiesero chi fosse il più grandepoeta dell’Ottocento: «Hugo, helas!», «Hugo, ahimè!». Hugo era stato spesso retorico e trom-bone, ma rimaneva sempre il migliore. Così è successo con Winston.

Gli storici non solo inglesi si sono spesso domandati come riuscisse a uscire indenne datanti disastri, come quello dello sbarco di Gallipoli. E come riuscisse con la sola forza dellasua personalità a incantare astuti e cinici professionisti della politica e a costringerli a seguirlo

anche fino all’inferno. Una delle chiavi del suo fascino è stata la stratosferica sicurezza in sestesso. Credeva di avere una sorta di tocco magico, qualcosa di simile al “Nelson touch” perfar andare l’impresa a buon fine. Era un uomo interamente dedicato alla politica e alla sto-ria perché aveva molto tempo a disposizione. In un periodo in cui la maggioranza dei matu-ri uomini politici inglesi andava alla ricerca del sesso con segretarie, infermerie, attrici, o put-tane, Churchill si distingueva per non essere interessato all’argomento. Il suo sexual driveera quasi inesistente, e non guardava mai le donne a eccezione di sua moglie Clementine.

Adesso è uscito un libro divertente e anche molto informato che s’intitola Dinner withChurchilldi Cita Stelzer. Winston, nato in un’epoca vittoriana, era diventato edoardiano pergusti e scelte. E uno dei riti più amati dell’epoca edoardiana erano i pranzi in pompa magnache si svolgevano in splendide magioni su immensi tavoli di mogano ricoperti di preziose to-vaglie ricamate e illuminate da candelabri d’argento, con camerieri in alta uniforme che ver-savano il “Claret” e gli invitati in abito da sera con le code che sedevano su poltrone con brac-cioli per conversare con agio e a lungo senza stancarsi. Churchill si era reso conto da giova-ne che non era il parlamento, pur amatissimo, ma la cena il luogo dove rifulgevano tutte lesue qualità: intelligenza, abilità aneddotica, humour, fantasia e non ultima la capacità di be-re qualsiasi cosa rimanendo lucido.

Durante la Reggenza l’etichetta prevedeva che a tavola non si parlasse di politica. Chur-chill rovesciò l’etichetta e durante i pranzi si parlava solo di politica. John Maynard Keynes,un uomo non facilmente impressionabile dall’intelligenza e dall’eloquenza altrui, nel 1940dopo aver incontrato Churchill a una cena scrisse alla madre: «Sono rimasto a conversarecon lui due o tre ore. L’ho trovato in perfette condizioni, con un atteggiamento di un essereumano normale. Non gonfiato da arie dittatoriali o guerresche. Non c’è nessuna traccia del-

CENA A CASACHURCHILL

“Winnie” e l’arte della guerra a tavolaSTEFANO MALATESTA

FOTO

BE

TTM

AN

N/C

OR

BIS

■ 31DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

© RIPRODUZIONE RISERVATA

gendo l’indice nel vino rosso (Alexander Korda si ricordò di questo episodio quando girò inLe quattro piume la scena del generale che raccontava la carica della Light Brigade a Bala-clava nella stessa maniera). La cucina servita in quasi tutte queste occasioni aveva un im-pianto francese con poche contaminazioni inglesi come il roast beef. Si beveva Bordeaux emolto champagne targato Pol Roger, il cru preferito di Winston. Churchill aveva una note-vole dipendenza dallo champagne e dai sigari e la mattina da vero edoardiano non prende-va il tè ma mangiava una pernice arrosto innaffiata da una bottiglia di Pol Roger. I pranzi va-riavano a seconda della qualità degli ospiti e della loro nazionalità. Una volta Churchill riu-scì a dare una cena per i russi bolscevichi, dopo che questi avevano rinviato l’incontro perdue o tre volte. Quando venne servita la pièce de résistance, costituita da un pasticcio di car-ne, preparato giorni prima e che aveva un aspetto nauseabondo, Churchill si rivolse al cuo-co dicendo: «Forse questi brani della carne di Tutankamen avreste fatto meglio a lasciarli nel-la tomba».

Ripeteva spesso che durante la guerra se avesse avuto la possibilità di cenare ogni setti-mana con Stalin i problemi della difficile alleanza si sarebbero risolti. Ma fu proprio con Sta-lin che il suo magnetismo non funzionò. A Yalta l’abilità dialettica e l’aneddotica del primoministro inglese non valse a smuovere i duri propositi della coppia Stalin-Molotov. La ri-chiesta di lasciare che la Polonia conquistata dall’Armata Rossa non rientrasse nell’orbita so-vietica fu respinta. Churchill aveva fatto il possibile. Ma Stalin vedeva in lui il rappresentan-te di un Paese che non era più una grande potenza come l’America e che avrebbe perso en-tro poco tempo tutte le sue colonie. Un Paese che andava ridimensionato nelle sue preteseritornando a essere una modesta ed eccentrica isola abitata da off shore islanders.

l’insolenza che aveva dimostrato David Lloyd George subito dopo essere diventato primoministro». I pranzi di Churchill si svolgevano ai Chequer, le residenze di campagna del pri-mo ministro, e più tardi a Chartwell, la casa di campagna privata acquistata con i proventidella vendita delle sue storie d’Inghilterra. Uno degli ospiti ai Chequer ci ha lasciato una de-scrizione della classica serata in casa Churchill: «Dalle otto e mezzo alle nove abbiamo be-vuto alcuni drink con la signora Churchill. Poi siamo andati a cena rimanendo al tavolo oltrele dieci. Infine le signore si sono trasferite in altra stanza, mentre iniziava la parte più diver-tente della serata, con Churchill in gran forma che ci ha intrattenuto nella sua inimitabile ma-niera. Alle undici è iniziata in biblioteca la proiezione di un film e all’incirca verso mezzanottee mezzo abbiamo bevuto il bicchiere della staffa con le signore e finalmente all’una ci siamotrasferiti in una grande stanza mentre Churchill diceva “Adesso mettiamoci a lavoro” e ab-biamo parlato fino alle tre o alle quattro del mattino. Gli altri ospiti erano ministri, un im-portante visitatore straniero e svariati capi di Stato maggiore».

Churchill invitava anche al Savoy, negli anni in cui uno scrittore dandy come Cyril Con-nolly, richiesto di dire le tre cose per cui vale la pena di vivere, aveva sentenziato: «Scrivere unlibro, una cena al Savoy e un viaggio nel Mediterraneo». In questi pranzi si conoscevano tut-ti o quasi tutti e quando si prendeva una decisione, mangiando le gallette spalmate di Stiltone bevendo Porto, questa aveva valore di legge. E anche se veniva inviata all’approvazione delpopolo sovrano, che di sovrano non aveva nulla, era un atto formalmente necessario ma inconcreto inutile, perché era già deciso tutto.

Certe performance di Churchill sono rimaste memorabili come scene di teatro. Lo scrit-tore James Lees-Milne, che aveva una volta cenato a Chartwell, ha raccontato che finita la ce-na per due ore Churchill ricostruì la battaglia dello Jutland sul mogano della tavola intin-

MENÙSopra, alcuni menù

delle cene organizzateda Wiston Churchill

tratti dal libroDinner with Churchill

di Cita Stelzer (Short Books,304 pagine, 25 euro):

c’è l’elenco delle portatee la lista degli ospiti presenti

Nella foto a sinistra,Churchill a cena con Stalin

e Roosevelt nel 1945

LA DOMENICA■ 32DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

Mussolini e il caso LamarrAndreotti e De Gasperi. La Lorene Cassavetes. Pasolini, Pontecorvoe il ’68. Capolavori, scontri e politicaA ottant’anni esattidalla nascita al Lidodella Mostra del cinemai ricordi di una grande inviata

LA GUERRAAlla prima edizionedopo la guerra, nel 1946,non viene dato un numeroe l’edizione del ’47 che erala XII diventa invece l’VIII

LA CONTESTAZIONENegli anni Settantasaltano due edizioniper i tumulti e vengonoorganizzate contromostrenel centro di Venezia

INAUGURAZIONEIl conte GiovanniVolpi di Misurata,fondatoredella Mostra,e il ministrodella culturapopolare DinoAlfieri inauguranola quinta edizionedel festivalil 10 agosto 1937

GOEBBELSIl ministro tedescodella propagandaJoseph Goebbels,ospite a Venezianel 1941, stringela mano a Elli ParvoAccanto all’attricec’è il ministrodella culturapopolareAlessandro Pavolini

La mia

CompleanniSpettacoli

LE TAPPE

GLI ESORDILa prima edizionedella Mostra del Cinemasi svolge dal 6 al 21 agostodel 1932: nella foto qui sotto,la prima locandina

Venezia

FOTO

LA

BIE

NN

ALE

DI V

EN

EZ

IA -

AS

AC

FO

TO

FO

TE

TE

CA

GIL

AR

DI

FO

TO

FA

RA

BO

LA

■ 33DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

GLI ANNI D’OROGuido Piovene,Pier Paolo Pasolini,Alberto Moraviae Leonida Repacia Venezia nel 1961:gli anni Sessantasono il periodod’oro del festivalche si arricchiscedi maestrie di capolavori

«Sull’isola piatta e lunga, disertata dalle dive edai produttori, dalle starlet e dalla café so-ciety, fotoreporter e cronisti mondani si aggi-rano con l’aria di cacciatori di farfalle manda-ti a caccia di folaghe in palude». La palude? Èl’hotel Excelsior. Le folaghe? Professori uni-

versitari, storici, scrittori... Niente paura, non siamo nel 2012, anchese il Lido è sempre quello, e l’Excelsior pure, e la minaccia che la pros-sima Mostra internazionale d’arte cinematografica, (così si chiamail nostro più venerato cinefestival, il 69esimo), abbondi di menti su-perraffinate, e non di showgirl della cronaca pornorosa, pare scon-giurata, soprattutto dal fatto che le star della cultura che allora, era il1964, avevano sostituito sulle poltrone del grand hotel le Lollobrigi-de, le Loren e le Bardot, sono da tempo passate a miglior vita, ed era-no Alain Robbe-Grillet, Roger Peyrefitte, George Sadoul: mentre og-gi quel tipo di celebrità del pensiero risulta quasi introvabile, sosti-tuito da qualche sapiente inventato dalla televisione.

L’articolo lo firmava il bravo Mino Monicelli sull’Europeo, ed erala Mostra numero 25: direttore il durissimo e meraviglioso LuigiChiarini, nel concorso penitenziale solo dodici film da otto paesi,giuria presieduta da Mario Soldati, dolenti interrogazioni parla-mentari per l’eccesso di austerità, Leone d’oro a Deserto Rossodi An-tonioni e premio speciale della giuria a un Amletorusso subito scom-parso e a Il vangelo secondo Matteo di Pasolini: festosa mondanitàattorno al più illustre degli ospiti, il Patriarca di Venezia Cardinal Ur-bani, con file di elegantoni per il santo baciamano. Con questa edi-zione di massima superbia culturale, Chiarini portò se stesso, e laMostra, sull’orlo dell’abisso, che si materializzò quattro mostre do-po. Di anno in anno l’integerrimo e anche dispettoso direttore ave-va reso sempre più sublime la sua sempre più scarna selezione, sa-turandola di Capolavori e di Maestri: Carné e Godard, Milos Formane Satyajit Ray, Kurosawa e Buñuel, Visconti e Arthur Penn; poi Var-da e Bresson, Kluge e Truffaut, Pontecorvo, Bellocchio, i fratelli Ta-viani, Carmelo Bene, Liliana Cavani, John Cassavetes: il meglio del-la storia del cinema, anche italiano. Ma si sa che il benemerito ’68 fe-ce un po’ perdere la testa ai più intelligenti, sottraendoli alla realtà.E infatti proprio quegli autori italiani che Chiarini aveva privilegia-to e le sue giurie premiato, (per esempio Pasolini, Pontecorvo, e poialtri grandi autori, Ferreri, Bellocchio, Faenza, Samperi, anche ilvecchio Zavattini, molto pugnace) con un’iniziativa molto dada, glisi rivoltarono contro. Se stava per scoppiare la rivoluzione, e nonavendo nulla da rimetterci, tanto valeva contestare anche in laguna,assieme agli studenti che assediavano il Palazzo del Cinema difesodalla polizia in assetto di guerra. Commercianti e albergatori furi-bondi, botte da orbi a studenti e registi, e la fantastica Lietta Torna-buoni che se da una parte intervistava Chiarini, dall’altra trascinavaverso la salvezza il regista Maselli manganellato; e riportava sull’Eu-ropeo, con elegante ironia, quei discorsi d’epoca, incoerenti ma adeffetto, svaniti poi in un baleno, tipo: «L’importanza culturale del ci-nema non può essere affidata solo al capitale privato…». Che intan-to, facendo i conti suoi, e fregandosene dei sogni di autogestione de-gli artisti coi soldi dello Stato, si stava vaporizzando per conto suo.

Seguì un decennio piuttosto luttuoso, mostre “non competitive”,cioè senza premi, quindi soporifere malgrado i tanti bei film, in no-me dell’uguaglianza politica di capolavori e porcherie, due edizionisaltate per tumultuosi arzigogoli autorali (’73, ’78), due contromo-stre nel centro di Venezia (’72, ’73, dette “Giornate del cinema italia-no”) con celebrità del nostro schermo a progettare la rivoluzionemaoista globale seduti al caffè Florian davanti a uno spritz. Questoper dire che Mostra del cinema di Venezia e politica si sono sempreintrecciate, spesso per ragioni non filmiche, generando per la gioiadei cronisti, scontri, trappole, dimissioni, insulti, querele. Che per-devano splendore solo se sbarcavano non tanto divi internazionaliquanto signorine di massima fama come Patrizia D’Addario, che

bloccavano il traffico navale in laguna. Persino nei suoi primi anni,quelli fascisti, a cominciare dall’inaugurazione ottant’anni fa esatti, il 6agosto 1932, iniziativa politico-turistica voluta dal potente conte Gio-vanni Volpi di Misurata per rilanciare il Lido e attirare quelle signore in-gioiellate ancora (per poco) in pantaloni Chanel e gerarchi nelle belledivise bianche stile conte Ciano; con animo fascista, alcune autorevolipersonalità littorie subito lamentarono «il cosmopolitismo sfacciato» e«il decadentismo borghese ed estetizzante» dei film.

Nella seconda edizione, 1934, i premi cominciarono a chiamarsiCoppa Mussolini, e Mussolini stesso, furibondo, volle giudicare, a pa-lazzo Venezia, quella attrice, diventata poi Hedy Lamarr, che tutta nu-da faceva cose nel film cecoslovacco Estasi. Lui l’assolse per la sua bel-lezza, chiedendo però al suo innamorato, il principe Starhemberg, co-mandante di efficienti formazioni paramilitari austriache, di andarse-ne, e lui naturalmente disubbidì: comunque, in ossequio al giudiziomussoliniano, il bel mondo di allora smise di scandalizzarsi parteci-pando alle feste organizzate da Edda Ciano in onore del film. Solo il Pa-triarca continuò a tuonare, inascoltato. Diventata annuale, la Mostra siriempì di Pavolini, di Goebbels, comparve persino re Vittorio Emanue-le III, si moltiplicarono le divise di gala nazifasciste e i film di propagan-da, italiani e tedeschi. Il 1942, terzo anno di guerra, fu anche l’ultimo, ildecimo, della Mostra, coppa Mussolini a Bengasi di Genina e a Il gran-de re di Harlan, che l’anno prima aveva portato al Lido l’ignobile Suss l’e-breo (non premiato però). Fu certo un gesto politico, a guerra persa mafinalmente finita, che alla ripresa della Mostra nel 1946 (che si chiamòManifestazione e in passato anche Esposizione), non fu dato un nu-mero, come se non contasse, eppure si videro Paisà di Rossellini, Enri-co Vdi Olivier e Les enfants du paradisdi Carné; l’anno dopo, il 1947, can-cellando le tre edizioni del tempo di guerra come una vergogna, la mo-stra, che sarebbe stata la XII, divenne l’VIII, riallacciandosi alla VII, quel-la del 1939, coppa Mussolini ad Abuna Messiasdi Alessandrini, e non alfilm straniero, malgrado ci fossero opere di Carné, Pabst, Duvivier. Daallora, la Mostra ha sempre fatto gola ai vari governi e a ogni tipo di ri-volta culturale o di semplice rivalità partitica o personale. Persino nel-la scelta dei film: e infatti nel 1951, (governo De Gasperi, con Dc e Pri,sottosegretario alla presidenza Andreotti) il direttore della mostra An-tonio Petrucci per evitare i soliti tumulti attorno a film ideologici (di si-nistra) o non in linea con i governi di altri paesi riuscì a far aggiungere alregolamento un comma per escludere non solo film bruttissimi ma an-che quelli con «evidenti finalità di propaganda ideologica e politica».L’augusta rivista Bianco e nerodiretta allora da Luigi Chiarini (futuro di-rettore della Mostra) protestò e i suoi critici non furono invitati. Però c’e-rano l’ambasciatrice americana Clara Boothe Luce e Winston Chur-chill. Come si sa, di quel tipo di censura non si riuscì poi a farne niente.Ma intanto, al Festival di Cannes, che più giovane di quello di Venezia,stava diventando il più grande, un direttore capace come Gilles Jacob,chiunque vincesse le elezioni politiche, durò ventiquattro anni, diven-tando poi, nel 2001, presidente, carica che mantiene tuttora.

Nel frattempo sul precario seggiolino della direzione della Mostra esu quello più imponente ma pur sempre provvisorio del presidente del-la Biennale, fu un vortice di nominati, in verità quasi sempre rispetta-bili e capaci, e nel caso della sezione cinema furono registi e critici, pro-fessori e organizzatori, spesso allontanati a metà mandato perché nelfrattempo cambiavano o i governi o anche solo i ministri dei Beni cul-turali. L’ultima sfida cultural-politica si è svolta alla fine dell’anno scor-so, dopo una 68esima Mostra apparentemente tutta dedita a una bellaselezione di film, in realtà percorsa da una fitta guerriglia tra protago-nisti istituzionali pronti a tagliar la gola all’avversario, e le solite pres-sioni patriottiche e di poltrona per favorire qualcosa di tricolore. Ru-moreggiare di ministri e poltronisti, poi un inaspettato cambio di go-verno e di ministro del ramo, ma solo parzialmente di poltrone: rinno-vo del mandato al presidente della Biennale, Paolo Baratta, che si davaormai per sostituito, e ritorno alla direzione della Mostra del cinema diAlberto Barbera, (già in carica dal 1998 al 2002), in sostituzione di Mar-co Müller di cui si dava per certa la riconferma.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Italia vista da una lagunaNATALIA ASPESI

STARSophia Loren

alla Mostradel Cinemadi Venezia

nel 1958In alto: a sinistra,

il cast di Roccoe i suoi fratelli

di Visconti;a destra, Brigitte

Bardot e BurtLancasterin lagunanel 1962

PREMIATISotto, Michelangelo Antonioni

e Monica Vitti premiati con il Leone d’oroper Deserto Rosso nel 1964

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

Un esercito di volontari per il bene pubblico

DECORO URBANO

Applicazione gratuitadedicata a ciclisti e nonPermette di denunciarein tempo reale la presenzadi strade dissestatee incroci pericolosiper sollecitare l’interventodell’amministrazione

PROTEZIONE CIVICA

Sviluppata da Wikitaliadopo il terremoto in Emilia Romagna,l’applicazione consentea chiunque di fotografare e segnalare qualcosa e condividerla su una mappa online

EVASORI.INFO

Questa applicazionepermette di inviareuna segnalazioneper denunciarei commerciantiche non fanno lo scontrino,creando una mappadegli evasori

TARIFFA TAXI

Oltre a fornire i numeritelefonici delle compagnie,l’applicazione consentedi sapere in anticipoil prezzo della corsae il tempo di percorrenzaper evitare brutte sorpreseall’arrivo a destinazione

Una buca stradale pericolosa, il commerciante che non rilascia lo scontrino,le assenze del parlamentare, gli sprechi nella ricostruzione del terremoto:ormai i cittadini possono segnalare tutto in tempo realeBasta uno smartphone. E la politica dovrà adattarsi

NextEducazione civica

800mila segnalazioni, un’evasionepresunta di 110 milioni di euro. Intesta bar, ristoranti e meccanici.

Dal sito ora si passa alle app chesono molto più immediate: se unonon riceve lo scontrino, non devepiù tornare a casa per fare la denun-cia. Gli basta lanciare l’applicazioneanti-evasori e il gioco è fatto. C’è an-che un tasto che chiama automati-camente il 117 della Guardia di fi-nanza per chi volesse andare fino infondo. Insomma, una vera arma le-tale e stavolta si sa chi c’è dietro: un

gruppo di giovani sviluppatori spar-si per l’Italia, uniti dalla convinzio-ne di dover fare qualcosa contro l’e-vasione. I loro nomi: Marco Vetto-rello, che ha sviluppato la versioneper Android disponibile da oggi;Henrik Sozzi e Fabio di Peri che se-guono la versione Windows Phone;più un quarto che ha sviluppato laapp per iOS (l’iPhone) e che preferi-sce per ora restare anonimo per ti-more di ritorsioni.

La app antievasori non è un feno-meno isolato, anzi. Dopo il boom

dei giochi e delle news, è il momen-to delle civic apps, le applicazionisocialmente utili. Spesso funziona-no con il crowdsourcing, cioè racco-gliendo informazioni in collabora-zione con gli utenti; altre volte si ba-sano sull’open data, ovvero sullacondivisione di dati pubblici. Sem-pre hanno l’obiettivo di migliorare ilrapporto tra cittadini e politica. Equindi l’efficacia dell’azione ammi-nistrativa. Partendo dal basso.

Il fenomeno è ormai un trendmondiale. In principio è stato

FixMyStreet, la app sviluppata dagliinglesi di MySociety per segnalare lebuche stradali. Poi c’è stato il lanciodi CodeforAmerica, un’organizza-zione di civic hacker che adesso haun portfolio di una dozzina di appsviluppate per altrettante città ame-ricane (si va da quella che traccia intempo reale tutti gli scuola bus allagestione delle emergenze). Ora latendenza dilaga. Per restare soloagli ultimi giorni, ecco il bollettinodelle applicazioni civiche più re-centi secondo TechPresident, il più

taper partire il grande blitz di Ferra-gosto. Un esercito di finanzieri vo-lontari sta per battere la penisola acaccia di evasori. Non fanno loscontrino fiscale? Zac!, ecco che ilvacanziere si trasforma in finanzie-re e con un clic del telefonino man-da una segnalazione — anonima —in Rete. Questa compare perfetta-mente localizzata sulla cartina del-l’Italia senza l’indicazione esattadell’esercizio commerciale ma solodella tipologia. Chi fa più denunce,viene premiato salendo di grado:appuntato, maresciallo, fino a te-nente. Come accade con i badge diFoursquare, un social network cheandava per la maggiore un paio dianni fa premiando chi segnalavapiù posti dove era stato. Ma questonon è un gioco: qui parliamo di eva-sione fiscale e questo è il nuovo li-vello del progetto Evasori.info. Il si-to è online dal 2008 e ha avuto unagenesi piuttosto misteriosa: pareche dietro ci sia un informatico ita-liano che lavora all’estero, in unpaese dove le tasse le pagano tutti oquasi. Quel che è certo è che il sito haavuto un notevole successo: circa

S

Appsocialmente utili

RICCARDO LUNA

■ 35DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

IL RIFIUTOLOGO

Applicazione gratuitadedicata alla raccoltadifferenziata: il gps rilevale stazioni ecologichepiù vicine. Di ognunafornisce gli orarie le tipologie di materialida riciclare

EUREKA

Attraverso l’integrazionedi parametri economici,dati antismog e dispositiviArduino che tutti possonoinstallare, l’applicazioneè in grado di individuarele città che offronole condizioni di vita migliori

FIXMYSTREET

Consente ai cittadinidel Regno Unitodi segnalare problemi localiinviando fotografie e reportL’amministrazionein breve tempo si fa caricodel problema garantendonela risoluzione

CIVIC COMMONS

È un sito in gradodi monitorare il funzionamento di 619 appin 243 città degli Stati UnitiPromossoda CodeforAmerica, punta alla condivisione delle soluzioni tecnologiche

Abbreviazione di “applicazioni”,ovvero strumenti per farequalcosa. Il fenomenoè esploso con la nascitadei cellulari di ultimagenerazione (smartphone)

APPS

Sono cittadini con la capacitàdi sviluppare software o almeno di capirli,convinti che il proprio governodebba essere “hackerato” per funzionare meglio

CIVIC HACKER

Applicazioni disponibiliper smartphone e per alcunisiti web per migliorare l’azione amministrativa tramite la partecipazione e la condivisione

CIVIC APP CROWDSOURCING QR CODE

GLO

SSA

RIO

ni con una app sono stati più tem-pestivi del governo nel mappare idanni delle recenti alluvioni; 4) inCongo, il paese del mondo con la piùalta percentuale di stupri, grazie auna semplice piattaforma telefoni-ca, Freedom Fone, le donne posso-no accedere anonimamente ainformazioni preregistrate con lapossibilità di essere richiamate.

E poi c’è l’Italia, dove le applica-zioni civiche stanno letteralmenteesplodendo. Il momento clou è sta-ta la recente premiazione del con-

corso Apps4Italy: bandito nell’otto-bre 2011, in sette mesi ha raccoltoquasi centotrenta proposte da tuttaEuropa. A maggio ne sono state pre-miate quindici. Alcune sono già fun-zionanti, altre sono ancora in via disviluppo ma il futuro è segnato. Nelfrattempo a giugno il sindaco di Fi-renze Matteo Renzi ha tenuto a bat-tesimo OpenBilanci, la prima appche consente ai cittadini di visualiz-zare i dettagli degli ultimi dodici bi-lanci consentendo confronti e stati-stiche: «E da settembre pubbliche-

remo in tempo reale ogni fattura», èstata la promessa del primo cittadi-no il giorno della presentazione.

A luglio è stata la volta del mini-stro della Coesione Fabrizio Barca,che ha varato OpenCoesione, un si-to che pubblica quasi mezzo milio-ni di progetti finanziati con soldipubblici. Si tratta in gran parte difondi europei, la cui scarsa e spessobanale utilizzazione costituisceuno dei punti deboli del nostro pae-se. Ora è possibile sapere chi fa cosacon quali soldi, settore per settore,

regione per regione. Una piccola ri-voluzione culturale.

Ultima arriva Protezione Civica lacui storia merita di essere racconta-ta. È una app che consente di foto-grafare e segnalare danni, richiestee offerte di aiuto e buone pratichedella ricostruzione dell’Emilia dalterremoto. La mappa presente inRete offre oggi la rappresentazionepiù completa della situazione at-tuale. Ma questa applicazione inorigine era Decoro Urbano, unostrumento per segnalare buchestradali, affissioni abusive e altriesempi di scarso decoro urbano ap-punto. Sebbene sia gratuita, Deco-ro Urbano fatica a imporsi con leamministrazioni comunali che te-mono di essere travolte da segnala-zioni di buche che non riuscirebbe-ro a riparare, con tutte le conse-guenze di richieste di risarcimentodanni che ne possono seguire. E co-sì, in attesa che la cultura civica delpaese faccia un passo avanti, gli svi-luppatori di Decoro Urbano l’han-no modificato (“hackerato”) permetterlo a disposizione di una rico-struzione trasparente, partecipata eintelligente post terremoto.

autorevole blog sul rapporto fra in-ternet e politica: 1) lo staff di Obamamartedì ha rilasciato una app peraiutare gli attivisti a sostenerlo nellacampagna elettorale (e anche MittRomney lo stesso giorno ne ha rila-sciata una); 2) in Ucraina il movi-mento di cittadini chiamato Che-sno ha creato uno strumento permonitorare l’attività dei membri delparlamento (cosa hanno votato,quanto sono stati presenti, se han-no pubblicato la dichiarazione deiredditi e così via); 3) in Cina i cittadi-

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘ Non siamo solo “consumatori del governo”,siamo più di questo, siamo cittadiniE non potremo aggiustare il governose prima non “aggiustiamo” la cittadinanza

Jennifer Pahlkafondatrice e direttore di CodeforAmerica

È un modello di condivisioneutile alla risoluzionedi un problema attraversola collaborazione tra gruppidi persone che si scambianoinformazioni

Immagine bidimensionale,è sufficiente fotografarlacon lo smartphonee un’applicazione permettedi visualizzare e interagirecon il contenuto multimediale

LA DOMENICA■ 36DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

I saporiDrink

Ci sono i salutisti che scelgono centrifughe e frullati e c’è chi, anche quandola temperatura è bollente, non rinuncia all’alcol. Dal pranzo alla cena,vino e birra si sfidano e sono protagonisti dei menù estivi

A&CO.Via Piero Capponi 5MilanoTel. 02-92869500

ENOTECABERE BENEViale Ippodromo 2TriesteTel. 040-390966

ENOTECAMARCHEViale Indipendenza 20AscoliTel. 0736-341608

ENOTECAPICONEVia Marconi 36PalermoTel. 091-331300

ENOTECACAGLIARITANASalita Santa Chiara 21CagliariTel. 070-655611

PietraincatenataLuigi MaffiniDal Cilento, il Fianoche assomma gli aromiagrumati della campagnasalernitana al saporeintenso dei vini campani

Abbinamento: frittura di paranzaPrezzo: da 20 euro

T BiancoTraminUvaggio frescodi chardonnay, pinot bianco,sauvignon e rieslingper il vino trentino cheprofuma di mela e fiori bianchi

Abbinamento: crudité in pinzimonioPrezzo: da 7 euro

Casal di SerraUmani RonchiHa colore giallo dorato,il Verdicchio marchigiano vellutato, che in boccaricorda la polposafragranza della frutta estiva

Abbinamento: linguine ai frutti di marePrezzo: da 9 euro

Brut Barone PizziniBollicine d’autore in Franciacorta, a partire da uve chardonnaycon un tocco di pinot noir,per un aperitivo cremoso

Abbinamento: olive, snackPrezzo: da 14 euro

Un calice o una pinta?Il dilemma dell’estate

L’estate nel bicchiere. Ovvero, come ab-binare cibi e stuzzichini senza farsitravolgere da sudori bollenti. La que-stione è ardua: regalarsi il piacere di uncalice di vino, di un boccale di birra,nei giorni in cui la colonnina del ter-

mometro sembra una freccia impazzita, oppure ri-fuggire l’alcol seguendo i precetti ortodossi della die-ta anti-caldo? Con il cibo è più facile. La scelta di piat-ti estivi è così dilatata da permettere la creazione dimenù infiniti, tutti goderecci, tutti in linea con tem-perature ed esigenze fisiologiche, dalla frutta anti-crampi alle insalate di cereali e legumi, fino ai pescicampioni di Omega 3. Nella sezione bevande, la di-stinzione è netta, implacabile. Da una parte, i bevero-ni salutisti, chimici come molti sport drink o naturalicome centrifugati e frullati, dall’altra gli alcolici. Chesono nemici del caldo, in quanto all’iniziale vasoco-strizione — senso di frescura — segue la vasodilata-zione, anticamera del sudore. Una dichiarazione dicolpevolezza così acclarata che perfino il pianetacocktail ha aperto le porte ai cosiddetti virgin drinks,ingegnose imitazioni analcoliche — pur con tutti i lo-ro limiti — delle ricette che hanno fatto la storia dellamixologia mondiale, dal Margarita alla Piña colada.

Vino e birra non accettano surrogati. Al massimo, laperdita di qualche grado in termini di alcolicità e ditemperatura di servizio. Negli anni, più produttori im-portanti si sono cimentati nella creazione di rossi esti-vi, come il Fichimori di Antinori, mentre altri, da Ca-

stello di Ama a Zonin, hanno allargato la loro offerta airosé. Ma il bere d’estate ha soprattutto il colore del so-le, più o meno caldo, dorato, intenso. Vini bianchi ebirre bionde si sfidano all’ora dell’aperitivo e a tavola,per vincere la sete accaldata del dopo-ufficio e quellaallegra del dopo-spiaggia, nelle chiacchiere a fine ce-na o guardando una gara dei giochi di Londra.

Bianchi&bionde non trascurano certo le regole delbere estivo. I vini da mare preferiscono l’acciaio al le-gno, per lasciare intatti i profumi e le fragranze — flo-reali, erbacee — che danno refrigerio al palato. Equando l’abbraccio del caldo diventa una morsa, nes-suno si indigna davanti a un paio di cubetti di ghiac-cio tuffati nel bicchiere. Le birre non ammettono di-luizioni, in quanto poco alcoliche già in partenza, amaggior ragione quelle destinate al consumo estivo(4, 5 gradi, meno della metà del vino). In più, il molti-plicarsi dei birrifici artigianali ha incrementato in ma-niera così evidente varietà e qualità dell’offerta, daaver promosso la birra a prima scelta alcolica degli un-der 40. Nulla è più dato per scontato in fatto di abbi-namenti: birre con grigliate di pesce e bianchi da piz-za si incrociano felicemente nei menù dell’estate.

Se siete indecisi, regalatevi una degustazione nellanotte di San Lorenzo, venerdì prossimo, appunta-mento annuale con la manifestazione Calici di Stelle,con centinaia di cantine coinvolte in tutta Italia. Op-pure regalatevi un weekend di passione in Puglia, inoccasione della Notte della Taranta, in programma il25 agosto a Melpignano. Vino o birra che sia, vi aspet-ta una notte magica (e moderatamente alcolica).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

dove bere

Bianco & Il

LICIA GRANELLO

WATERMELON PEPPERIngredienti 5 cl di vino bianco giovane3 foglie di basilico con lime a pezzi3 pezzetti di anguria

Nel bicchiere da cocktail, schiacciarelime, basilico e anguria a pezziAggiungere ghiaccio a scaglie e vinoServire nel bicchiere da short drink,aggiungendo pepe rosa in cima

LA RICETTA

Abbinamento: pesce alla bracePrezzo: da 10 euro

Iselis BiancoArgiolasDue storici vitigni sardi,nasco e vermentino,per il vino ad altagradazione che odoradi muschio e fiori gialli

■ 37DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

LOSFUSOVia Pastrengo 3 bisTorinoTel. 011-505502

BIRRERIACERQUAVia Broccaindosso 5 CBolognaTel. 347-7922014

BIRRERIAIL BOVARO Via Pisana 3 rFirenzeTel. 055-2207057

MA CHE SIETE VENUTI A FA’Via Benedetta 25RomaTel. 06-97275218

BIRRIFICIOESPERIAVia Anania 3CatanzaroTel. 0961-31360

Blonde Birrificiodel DucatoProfumi d’erbae balsamici nella biondadi ispirazione belgaaddolcitadurante la bollitura

Abbinamento: risotto ai fiori di zuccaPrezzo: da 8 euro (75 cl)

Abbinamento: tagliata di manzoPrezzo: da 7,30 euro (75 cl)

Abbinamento: formaggi cremosiPrezzo: da 9 euro (75 cl)

NoraBaladinAttinge agli egizi,antichi signori della birra,la ricetta ideatada Teo Musso con mirra,zenzero e kamut

Abbinamento: cous cousPrezzo: da 9,50 euro (75 cl)

TipopilsBirrificio ItalianoÈ made in Italy ma selezionatoin terra tedesca, il luppolodal gusto amarognoloe dissetante, piacevolea tavola e fuori pasto

Abbinamento: cappesante spadellatePrezzo: da 3,50 euro (33 cl)

Biondadove bere

la

Non posso decidere se per trovare riparo da questi infernali caldiestivi sia meglio il vino bianco o la birra. Certo è che in entrambii casi la gradazione alcolica dovrà essere più bassa possibile, in

modo da non essere controproducente e magari consentire un consu-mo un po’ più sostenuto del normale. Per la birra è facile orientarsi trale profumate e fresche blanche (birre del Belgio speziate con aranciaamara — in Italia si usano spesso agrumi locali — e coriandolo) o le te-desche weiss, oppure alcune delle lager più buone. Ma forse scegliereiuna fresca saison, che la tradizione belga vuole prodotta in inverno perpoi rinfrescare mesi più tardi le estati dei contadini, e che è realizzataanche da tanti dei birrifici artigianali che ultimamente proliferano lun-go la Penisola.

Tuttavia per inclinazione culturale personale e per via delle tradizio-ni produttive della mia terra, io in una calda sera d’estate, se mi trovas-si sotto un “topia”, il pergolato tenuto a viti detto in piemontese, nonpotrei che scegliere di bere un paio di bicchieri di dolce e aromatico Mo-scato d’Asti. Con una gradazione alcolica tra i 4 e i 5 gradi pareggia il con-to della sfida con le birre più leggere ed è un vero sollievo per via dei suoiprofumi intensi di fiori gialli, di agrumi e frutti bianchi. In bocca è pie-no e persistente e non stufa mai. Punterei su queste particolari bollici-ne dolci delle mie terre, magari accompagnandole con un dessert a ba-se di frutta fresca: mi sembrano il perfetto compromesso tra vino bian-co e birra, se proprio vogliamo fare una disfida tra due soggetti così di-versi. Il Moscato in fondo è un vitigno umile, diffusissimo, tanto da es-sere anche banalizzato da certe grandi produzioni, ma alcuni viticolto-ri lo sanno lavorare in maniera splendida, tirando fuori tutto ilpotenziale da queste uve dalla lunga e nobile storia.

A tavola

CARLO PETRINI

DOCTOR PEPPERIngredienti Amaretto 30%Rum 30%Birra bionda 40%

Versare in un calice da cocktailamaretto, rum e birraMescolare senza far alzare la temperaturae senza perdere la schiumaServire in un bicchiere da short drink

LA RICETTA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

DuchessaVia del BorgoUn cereale antico, il farro,coltivato nel Parcodei Monti della Duchessa, a sud di Rieti. Schiumadensa, profumo fruttato

ILLU

STR

AZ

ION

I DI C

AR

LO S

TAN

GA

Meglio di una lagerc’è solo il Moscato

L’UnaOpperbaccoUn ventaglio di arominella chiara abruzzesedove spiccano segale,zucchero candito, bucciadi arancia e coriandolo

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

È stata regina delle stelle e cigno nero,ha iniziato come apprendista killere ora lavora con il metafisico Malick,ha vinto un Oscar ma è laureataa Harvard. “Ho due nature,

sono una specie di Spider Woman”confessa l’attriceche non riesce a farela diva neanche oggiche si sposa

“Nella vita di ogni giorno escosenza trucco e indosso pantaloni:è questa la parte di me più vera”

PARIGI

Bocca di Angelina Jolie,mento di Katie Price, zi-gomi di Kate Moss, fron-te di Kylie Minogue, oc-

chi e capelli di Cheryl Cole: il volto fem-minile ideale è stato composto in labo-ratorio dal tabloid Daily Mail, rita-gliando e incollando insieme “the be-st” delle donne più desiderate delpianeta. Sorpresa: questo franken-stein della seduzione è una faccia rea-le, familiare. L’astratto puzzle d’empi-reo è qui, davanti a noi, pulsante, mi-nuscolo, stupendo. Non è un collage, èNatalie Portman, sgusciata dalla ca-mera-bomboniera e venuta a sedersinella saletta della suite. Ride di cuoredel faccia a faccia. Riderà ancora, alledomande e alle proprie risposte, am-morbidendo così la tensione nel sa-loncino che s’allarga a fisarmonica aogni suo sorriso ma si contrae subitonell’imbarazzo abbagliato di chi laguarda. Torna alla mente il dialogo conJude Law sugli eufemismi in Closer(2005) di Mike Nichols, sua prima no-mination all’Oscar. «Che eufemismomi si potrebbe applicare?», chiedevaNatalie. E lui: «Disarmante». «Ma nonè un eufemismo». «Oh sì che lo è».

Risplendente — e disarmante — neilevigatissimi poster Dior che per unanno hanno tappezzato la Francia, l’e-geria del profumo parigino è tornataper il nuovo spot, girato nei giardini delPalais-Royal: fasciata in un bustier ne-ro bagnato di sensualità da un’invidia-ta fontana, Natalie ha sfarfallato sullepunte, echeggiando Il cigno nero di

Darren Aronofsky, suo primo Oscar. AParigi l’attrice ha fatto capolino, in unagiornata più luminosa del solito, insie-me al figlio Aleph (un anno il 15 giugnoscorso) e al compagno Benjamin Mil-lepied, dopo una breve vacanza nel ba-cino d’Arcachon, di cui il coreografofrancese, conosciuto proprio sul setdel Cigno nero, è originario: tappa ri-tuale, quasi alla vigilia d’una data do-rata, quella del matrimonio, oggi, 5agosto. Sarà una cerimonia privata, ri-stretta a famiglia e amici (una sessan-tina di persone), con menù rigorosa-mente vegetariano in omaggio a Nata-lie, su quella fetta di costa californianache lei adora per le falaises a picco sulPacifico, Big Sur.

L’abito la riproporrà in uno di queilook fragranti di cinema e pubblicità,da cui lei rifuggirebbe spesso: «Comese mi passassero dentro un lavaggiomeccanico di carrozzeria. Nella vita diogni giorno mi piace l’informalità. La-scio i capelli asciugarsi da sé, esco sen-za un filo di trucco, indosso pantaloni.È l’altra mia metà: Spider-Woman?».Al di là degli obblighi di testimonial, èlegata a un profumo particolare? «Ilgelsomino. Mi rimanda all’odolescen-za — è il suo involontario neologismo,che le strappa una bella risata — quan-do in Tunisia i ragazzini venivano avendercene i mazzetti durante le ri-prese di Star Wars, dov’ero la reginaPadme Amidala». Ha anche lei la suamadeleine, un retrogusto degli annid’infanzia? «Sì, i ghiaccioli all’albicoc-ca, con cui mi dissetavo in spiaggia inIsraele: un sapore mischiato da alloraagli effluvi del mare».

Anche lei è un frutto salmastro, stel-la di Hollywood nata a Gerusalemme,il nove giugno di trentun anni fa, figliaunica di un israeliano, endocrinologo,e di una americana, pittrice: «Ho sem-pre rivendicato la doppia nazionalità.I miei genitori si sono trasferiti in Usaquando avevo tre anni. Il mio vero no-me è Natalie Hershlag. Otto anni fa, al-la fine dei miei studi in Usa, ho fre-quentato per un semestre l’universitàebraica di Gerusalemme seguendo icorsi di arabo, yiddish, storia d’Israele,storia dell’Islam e antropologia dellaviolenza». Come coltiva le sue origini?«Ogni volta che torno a Gerusalemme,mi guardo tutto il cinema israelianoche c’è. Seguo con attenzione anchequello palestinese. Ho interpretatoFree Zone di Amos Gitai, regista israe-liano tra i più aperti al mondo arabo.

C’è un film che vorrei realizzare io stes-sa, da un romanzo chiave per capireIsraele oggi, Una storia d’amore e di te-nebra di Amos Oz».

Nel lato Spider-Woman rientra an-che il suo ping pong Usa-Israele? «Vivoforse una scissione maggiore: tra gliStudios e gli studi. Non ho mai abban-donato la scuola, neanche quando ilcinema mi si stringeva con prepoten-za addosso. Fin da bambina adoravostudiare. Parlavo già inglese e ebraico:a nove anni a scuola ho imparato ilfrancese e il giapponese. A sedici ave-vo interpretato già sei film, ma fino aidiciassette ho frequentato la SyossetHigh School, conclusa con un proget-to d’équipe: un metodo semplice perdimostrare la produzione enzimicad’idrogeno a partire dallo zucchero,che ci è valso l’accesso alle finali del-l’Intel Science Talent Search, il con-corso promosso dal produttore di se-miconduttori elettronici per selezio-nare futuri talenti della ricerca scienti-

fica». L’eletto trampolino che negli an-ni ha lanciato magnifici sette premiNobel di chimica e fisica: «Io non hovinto il Nobel ma un Oscar», ride laPortman.

Non è finita qui, con il cv accademi-co: «A diciotto anni, mentre GeorgeLucas iniziava la pre-trilogia di StarWars, sono entrata all’università diHarvard». Indirizzo di studi, neuro-scienze ed evoluzione della menteumana: «Psicologia», semplifica lei: «Èstata la prima volta che mi sono trova-ta lontana dai genitori, che mi hannosempre seguita dappertutto, sui set,alle cerimonie dei Golden Globe e de-gli Oscar. Esperienza anche liberato-ria, ma mi sono sentita di colpo un en-fant gâtée perché non sapevo sbrigar-mela da sola, contrariamente alle miecompagne di camera». In quel periodoha fatto la pendolare tra aule e set? «Gi-ravo d’estate, unicamente durante levacanze, per accordi precisi con la pro-duzione di Star Wars». Come dire, ilblockbuster ai piedi di una teenager, ilfaraonico baraccone della science fic-tion subordinato al tempo libero diuna diligente scolaretta? «Mi sono di-visa allora tra due sistemi di vita e bendistinte visioni del mondo. A Harvardè del tutto normale che guardino dal-l’alto in basso una ragazza che fa l’at-trice. Stavo bene attenta a non vantar-mene, anzi, come per un senso di col-pa, studiavo con più applicazione del-le altre. Il professore che mi ha seguitonella tesi — sui rivelatori di bugie — hascoperto solo alla fine che ero un’attri-ce già piuttosto nota...».

Lei ha poi avuto la sua Harvard hol-lywoodiana e i “professori” più ambi-ti: Woody Allen (Tutti dicono I loveyou), Tim Burton (Mars Attacks!), Mi-chael Mann (Heat), Wes Anderson(Hotel Chevalier), i fratelli Wachowski(V per vendetta), Wong Kar-wai (MyBlueberry Nights), Kenneth Branagh(Thor), fino alla “laurea” del Cigno ne-ro e, quest’anno, la tesina in bianco enero di My Valentine, lo splendido clipdi Paul McCartney con lei e JohnnyDepp in dolce dissolvenza incrociatanel muto linguaggio dei segni, dopol’altro clip su McCartney, Dance Toni-ght, diretto cinque anni fa da MichelGondry: «Sono ora alle prese con Thor2 e il nuovo film di Terrence Malick, inuscita nel 2013, Knight of Cups, con Ca-te Blanchett e Christian Bale, purtrop-po dal super-ego un po’ ingombrante:pare a volte che si prenda davvero per

Batman».Un futuro sempre più stellare, dun-

que. Ma sono le sue “elementari” inpellicola che infiammano ancora lememorie cinefile: il suo esordio, a do-dici anni, come apprendista killer inLéon (1994) — abile trasposizione sexydi Luc Besson del Monello di Chaplincon lei incantevole orfanella ai co-mandi di Jean Reno — che l’ha pro-mossa al mini-regno delle più irresisti-bili Lolite cinematografiche, accantoalla Sue Lyon di Kubrick e alla CarrollBaker di Baby Doll. Come hanno se-guito — e controllato — i suoi genitoriil suo sboccio in celluloide? «Mi hannosempre sostenuto nella partecipazio-ne ai casting, da quando — già a undi-ci anni — ho cominciato a manifestar-ne il desiderio. Mia madre mi ha fattoda agente, facendomi ottenere ruoli amia misura. Mi ha sempre protetta,negoziando per esempio con Besson,in ogni sequenza, il numero di sigaret-te fumate o la percentuale di eros sot-teso. Ha poi filtrato accuratamente leproposte a pioggia all’indomani delboom di Léon».

Com’è scoccata la scintilla cinema?«A dieci anni mi avevano notata in unapizzeria: mi volevano in una campa-gna pubblicitaria. Ho subito messo lemani avanti: anziché modella, vorreiessere attrice. Da quel momento mihanno convocato in innumerevoli ca-sting. Dove ho capito subito di esserediversa dalle altre bambine: ero piùambiziosa. Sapevo quel che volevo emi davo da fare seriamente per otte-nerlo. Ero una bambina determinata.Adesso che non sono più bambina,continuo a essere determinata».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroPrime della classe

FOTO

CO

RB

IS

Con Lucasper “Star Wars”giravamosolo durantele vacanze:mi ero iscrittaa psicologiae dovevo studiare

Natalie Portman

MARIO SERENELLINI

‘‘

‘‘