La dinamica dei sistemi - 1 -...

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Capitolo 7 La dinamica dei sistemi - 1 7.1 Introduzione Nei capitoli precedenti abbiamo analizzato la dinamica del punto materiale. Abbiamo cio` e ana- lizzato sistemi le cui dimensioni siano talmente piccole da poter essere trascurate. Siamo giunti alla conclusione che il moto di un siffatto sistema ` e regolato al secondo principio della dinamica: ~ F = m~a = m d~v dt In questo capitolo analizzeremo una situazione diversa: tratteremo, cio` e, sistemi non puntiformi. Questo caso pu` o realizzarsi sia perch´ e si considera un sistema costituito da un numero finito di punti materiali distinti, e parleremo in questo caso di sistema di punti materiali, sia perch´ e si considera un sistema composto da un continuo di punti, e parleremo di sistema continuo. Il sistema continuo pu` o essere immaginato come costituito da un numero infinito di punti e pertanto possiamo iniziare la trattazione riferendoci ai soli sistemi di punti. L’espansione ai sistemi continui verr` a effettuata alla fine della trattazione. Nella scrittura della dinamica dei sistemi di punti utilizzeremo solo le nozioni gi` a acquisite per la dinamica del punto materiale, con l’aggiunta del principio di azione e reazione, che qui diviene di fondamentale importanza. Nel seguito ci riferiremo solo ai sistemi rigidi, ovvero a quei sistemi tali che le distanze reciproche tra i diversi costituenti non cambiano mai, quali che siano le azioni esercitate dal mondo esterno. 7.2 I gradi di libert` a Prendiamo ora in considerazione un sistema di pi` u punti; chiameremo interno tutto ci` o che ` e relativo solo agli altri punti del sistema mentre col termine esterno indicheremo tutto ci` o che ` e dovuto alla azione del mondo circostante il sistema in studio. Una volta che siano note le forze agenti su ognuno dei componenti del sistema si potrebbero applicare le leggi della dinamica del punto ad ognuno di questi componenti e si ricaverebbero le equazioni del moto di ognuno di essi. Tale procedimento non appare, per` o, n´ e conveniente n´ e utile. Infatti quando il sistema ` e costituito da moltissimi punti il metodo sopra citato porterebbe alla scrittura di un numero elevatissimo di equazioni da risolvere contemporaneamente e quindi, da un punto di vista matematico, avremo a che fare con un problema risolubile solo con l’ausilio di un elaboratore elettronico (e spesso non basterebbe nemmeno). Dal punto di vista fisico, poi, il problema sarebbe mal posto poich´ e non verrebbe ad essere sfruttata completamente la prescrizione circa la rigidit` a del sistema, ossia il suo apparire come un tutto unico, in cui il movimento di una sua parte porta al contemporaneo movimento di tutte le altre parti. Occorre quindi riproporre il problema sotto una diversa ottica. A tale scopo individuiamo dapprima quanti sono i possibili, in linea di principio, moti del sistema. A tale scopo immaginiamo che il sistema sia completamente libero nello spazio ed individuiamo quanti moti pu` o svolgere. Pu` o poi accadere che sul sistema agiscano dei meccanismi, detti vincoli, atti ad 139

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Capitolo 7

La dinamica dei sistemi - 1

7.1 Introduzione

Nei capitoli precedenti abbiamo analizzato la dinamica del punto materiale. Abbiamo cioe ana-lizzato sistemi le cui dimensioni siano talmente piccole da poter essere trascurate. Siamo giunti allaconclusione che il moto di un siffatto sistema e regolato al secondo principio della dinamica:

~F = m ~a = md~v

dt

In questo capitolo analizzeremo una situazione diversa: tratteremo, cioe, sistemi non puntiformi.Questo caso puo realizzarsi sia perche si considera un sistema costituito da un numero finito di

punti materiali distinti, e parleremo in questo caso di sistema di punti materiali, sia perche siconsidera un sistema composto da un continuo di punti, e parleremo di sistema continuo.

Il sistema continuo puo essere immaginato come costituito da un numero infinito di punti e pertantopossiamo iniziare la trattazione riferendoci ai soli sistemi di punti. L’espansione ai sistemi continuiverra effettuata alla fine della trattazione.

Nella scrittura della dinamica dei sistemi di punti utilizzeremo solo le nozioni gia acquisite perla dinamica del punto materiale, con l’aggiunta del principio di azione e reazione, che qui diviene difondamentale importanza.

Nel seguito ci riferiremo solo ai sistemi rigidi, ovvero a quei sistemi tali che le distanze reciprochetra i diversi costituenti non cambiano mai, quali che siano le azioni esercitate dal mondo esterno.

7.2 I gradi di liberta

Prendiamo ora in considerazione un sistema di piu punti; chiameremo interno tutto cio che erelativo solo agli altri punti del sistema mentre col termine esterno indicheremo tutto cio che edovuto alla azione del mondo circostante il sistema in studio.

Una volta che siano note le forze agenti su ognuno dei componenti del sistema si potrebberoapplicare le leggi della dinamica del punto ad ognuno di questi componenti e si ricaverebbero leequazioni del moto di ognuno di essi. Tale procedimento non appare, pero, ne conveniente ne utile.Infatti quando il sistema e costituito da moltissimi punti il metodo sopra citato porterebbe alla scritturadi un numero elevatissimo di equazioni da risolvere contemporaneamente e quindi, da un punto di vistamatematico, avremo a che fare con un problema risolubile solo con l’ausilio di un elaboratore elettronico(e spesso non basterebbe nemmeno). Dal punto di vista fisico, poi, il problema sarebbe mal postopoiche non verrebbe ad essere sfruttata completamente la prescrizione circa la rigidita del sistema,ossia il suo apparire come un tutto unico, in cui il movimento di una sua parte porta al contemporaneomovimento di tutte le altre parti. Occorre quindi riproporre il problema sotto una diversa ottica.

A tale scopo individuiamo dapprima quanti sono i possibili, in linea di principio, moti del sistema.A tale scopo immaginiamo che il sistema sia completamente libero nello spazio ed individuiamo quantimoti puo svolgere. Puo poi accadere che sul sistema agiscano dei meccanismi, detti vincoli, atti ad

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140 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

impedire alcuni tipi di moti e pertanto il numero totale dei moti possibili e determinato considerandosolo i moti non impediti. Il numero che cosı si ottiene prende il nome di numero di gradi di liberta

del sistema.

Ad esempio consideriamo un punto materiale. Esso puo compiere solo tre tipi distinti di moti ecioe un moto di spostamento lungo l’asse x, uno lungo l’asse y ed infine un terzo lungo l’asse z. Diremopertanto che un punto materiale ha tre gradi di liberta.

Consideriamo ora un sistema costituito da due punti materiali connessi a una sbarra rigida. Poicheognuno dei punti materiali ha tre moti possibili dovremmo pensare che il nostro sistema abbia sei motipossibili; in realta occorre tener conto che la distanza reciproca tra i due punti e bloccata e cio imponeun vincolo ai moti. Ne consegue che due punti materiali a distanza fissa hanno cinque gradi

di liberta.

In generale, se consideriamo un sistema costituito da un numero finito di punti, potremo stabilirei gradi di liberta semplicemente moltiplicando per 3 il numero di punti e sottraendo a tale risultato ilnumero di vincoli.

Questa analisi generale mostra che pur essendo possibile in via teorica risolvere il moto di unsistema di N punti materiali, con M vincoli, risolvendo ognuna delle N equazioni vettoriali che siottengono applicando le leggi della dinamica del punto materiale ad ognuno dei punti insieme alle Mequazioni che esprimono i vincoli, pur tuttavia tale tecnica risulta estremamente dispendiosa percherichiede la soluzione di un sistema di moltissime equazioni, problema che nella maggior parte dei casi eimpossibile da risolvere. Per i sistemi continui poi, tale tecnica richiede un numero infinito di equazionie pertanto e fuor di luogo che esso possa essere risolto.

Affrontiamo allora il problema da una altro punto di vista.

Nello studio della dinamica del punto materiale abbiamo visto che il moto di un generico punto puoessere decomposto in moti piu semplici. Possiamo ad esempio esprimere la posizione di un genericopunto Pi come somma della posizione di un punto O rispetto al sistema di riferimento e della posizionedel punto Pi rispetto al punto O:

~ri = ~rO + ~ρi

Dal punto di vista cinematico possiamo leggere questa equazione dicendo che il moto del punto P i

rispetto al sistema di riferimento e pari alla somma del moto del punto O rispetto al riferimento e delmoto del punto Pi rispetto al punto O.

Se allora consideriamo questa proprieta per tutti i punti Pi del sistema vediamo che il moto delsistema puo esprimersi come somma del moto di un solo punto rispetto al riferimento e del moto deisingoli punti del sistema intorno a tale punto. In altre parole avremo che il moto del sistema puodecomporsi in due moti:

1. un moto nel quale il corpo si sposta sempre tenendosi parallelo a se stesso (moto del punto O);

2. un moto nel quale il corpo ruota su se stesso, tenendo fermo il punto O.

I moti del primo tipo vengono detti moti traslazionali. Essi possono essere al massimo 3, unolungo ognuno degli assi. I moti del secondo tipo saranno invece detti moti rotazionali ed anch’essipossono essere al massimo 3, uno intorno ad ognuno degli assi. In generale, pertanto, un sistema rigidoha 6 gradi di liberta. Un sistema piu complesso puo poi essere suddiviso in tanti sistemi rigidi; perogni sottosistema rigido si calcolano i gradi di liberta, si somma e poi si sottrae il numero di vincoli.

Possiamo notare, infine, che un osservatore lontano vede un sistema continuo come se fosse unpunto materiale e pertanto assegna ad esso solo i tre gradi di liberta traslazionali, ossia osserva solo itre moti traslazionali che per quanto vedremo nel seguito, corrisponderanno ai moti traslazionali delcentro di massa. I moti rotazionali potranno essere osservati solo da un osservatore vicino. In altreparole possiamo dire che l’osservatore vicino ha un maggior dettaglio descrittivo poiche egli e in gradodi descrivere i movimenti di ognuna delle parti costituenti il sistema.

Sorge allora il problema di correlare la descrizione dell’osservatore lontano con quella dell’osserva-tore vicino; potremmo dire che occorre costruire un vocabolario che permetta di tradurre la descrizione

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7.3. LA QUANTITA DI MOTO DI UN SISTEMA DI PUNTI MATERIALI. 141

dell’osservatore vicino nel linguaggio adoperato dall’osservatore lontano. E’ cio che faremo nel prossimoparagrafo.

7.3 La quantita di moto di un sistema di punti materiali.

Iniziamo col considerare un sistema di N punti materiali. Consideriamo un osservatore postoabbastanza vicino al sistema da poter distinguere le sue varie parti. In tal caso l’osservatore deveapplicare la dinamica del punto materiale ad ognuno dei punti costituenti il sistema e ricavare legrandezze relative all’intero sistema per semplice somma.

Se indichiamo con simboli in minuscolo e con l’apice i i termini relativi al punto i-esimo ed in ca-rattere maiuscolo, senza alcun apice, i termini relativi all’intero sistema, la quantita di moto dell’interosistema sara:

~P =N

i=1

~pi =N

i=1

mi ~vi =N

i=1

d~ri

dt

ovvero

~P =N

i=1

d (mi ~ri)

dt(7.1)

In base al secondo principio della dinamica possiamo poi scrivere che:

~F =N

i=1

~fi =N

i=1

d~pi

dt=

d(

∑Ni=1 ~pi

)

dt=

d~P

dt

Poniamoci ora in una ottica diversa. Consideriamo cioe un nuovo osservatore posto a distanza taledal sistema da non riuscirne ad identificare i vari componenti. Per questo nuovo osservatore il sistemanon sara altro che un punto materiale di massa M , sul quale agira un forza ~F e che sara dotato diuna quantita di moto ~P . Indichiamo con rCM la posizione di tale punto e con vCM la sua velocita;risultera:

~P = M ~vCM = Md~rCM

dt=

d (M ~rCM )

dt

Confrontando questo risultato con quello espresso nell’eq. 7.1 otteniamo:

d (M ~rCM )

dt=

N∑

i=1

d (mi ~ri)

dt

Ricordiamo ora che due funzioni che hanno la stessa derivata differiscono solo per una costante.Con una opportuna scelta del sistema di riferimento possiamo porre uguale a zero tale costante;abbiamo allora che:

M ~rCM =N

i=1

mi ~ri

per cui e:

~rCM =1

M

N∑

i=1

mi ~ri (7.2)

Con questa formula abbiamo ottenuto la definizione del centro di massa. In altre parole ab-biamo individuato la relazione che permette all’osservatore vicino di dedurre quali osservazioni faral’osservatore lontano: l’osservatore vicino riesce ad individuare le posizioni ~ri e, per mezzo dell’eq. 7.2,puo ricavare ~rCM , ovvero quella che, per l’osservatore lontano, rappresenta l’intero sistema.

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142 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

Analizziamo cio che abbiamo ottenuto: l’osservatore lontano vede il sistema come se esso occupassela posizione del centro di massa ed e in grado di determinare il moto di tale punto, nel quale egli vedeconcentrato l’intero sistema. L’osservatore vicino ha un maggior dettaglio di informazioni e pertantoegli e in grado di individuare e descrivere i movimenti di ognuno dei punti che costituiscono l’interosistema.

Consideriamo allora il principio di sovrapposizione degli effetti, in base al quale, se piu causeagiscono contemporaneamente, l’effetto complessivo puo ottenersi sommando i singoli effetti dovutiad ognuna delle cause agenti.

Alla luce di questo principio possiamo arbitrariamente suddividere il moto di un qualsiasi puntodel sistema in piu moti, analizzare ognuno dei singoli moti componenti separatamente e solo alla fineottenere la spiegazione del moto complessivo.

A tale scopo scegliamo arbitrariamente un punto di riferimento, ad esempio il centro di massa; ilmoto di un qualsiasi punto del sistema puo essere decomposto in un moto rispetto al centro di massacui si aggiunge il moto del centro di massa rispetto al sistema di assi esterno:

~Vi = ~VΩi + ~vi ∀ i = 1, ..., N

ove con ~Vi abbiamo indicato la velocita del punto i-esimo rispetto al riferimento, con ~vi la velocita delpunto i-esimo rispetto al centro di massa e con ~VΩi il termine di moto residuo.

Se la traiettoria del punto generico rispetto al centro di massa sia circolare, e possibile dimostrareche, per le proprieta del centro di massa e per la rigidita del sistema stesso, i singoli moti componentirispetto al centro di massa, ovvero tutte le velocita ~VΩi, sono uguali tra loro. In altre parole possiamoscrivere:

~Vi = ~VΩ + ~vi ∀ i = 1, ..., N

ove e da evidenziare che la velocita del centro di massa e la stessa per tutti i punti e che le singolevelocita ~vi sono legate tra di loro per il fatto che il sistema e rigido.

In parole, possiamo affermare che il moto complessivo del sistema puo essere scisso in due pezzi:un primo e costituito dal moto del centro di massa e l’altro dal moto dei singoli punti rispetto alcentro di massa stesso. Il primo moto tratta il sistema come se fosse un tutt’uno e viene detto moto

traslatorio, il secondo, invece, e costituito da rotazioni dei punti intorno al centro di massa e pertantoviene detto moto rotatorio.

Un analogo risultato puo ottenersi nel caso piu generale. In questo caso, pero occorre utilizzare nonpiu il centro di massa ma un altro punto, rispetto al quale il moto del sistema sia di puro rotolamento.

Il moto traslatorio del istema puo essere risolto applicando la dinamica del punto materiale alcentro di massa, nel quale si e supposta concentrata tutta la massa del sistema. per il moto rotatoriodobbiamo, invece, ancora definire le leggi utili alla descrizione ed e quello che faremo nel prossimocapitolo.

Nel seguito di questo capitolo, invece, applicheremo le leggi della dinamica del punto materiale perstudiare i moti traslatori del sistema.

7.4 La conservazione della quantita di moto.

Per la descrizione del moto traslatorio di un sistema e da dimostrare un principio molto importante,relativo alla quantita di moto, proprieta fondamentale che rende conto dell’utilita della quantita dimoto stessa.

Consideriamo un sistema costituito da N punti materiali. La forza totale agente sul sistema sarala somma di tutte le forze agenti sui singoli punti costituenti il sistema stesso:

~F =N

i=1

~Fi (7.3)

Se, ad esempio consideriamo un sistema costituito da 5 punti materiali, la Figura 7.1 mostra lascomposizione della ~F nelle diverse ~Fi.

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7.4. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITA DI MOTO. 143

1

54

3

2

F1

F2

F3

F4

F5

F

F4

F5

F1

F

F2

F3

Figura 7.1: La forza totale agente su un sistema di punti puo essere decomposta nelle singole forzeagenti sui singoli punti.

1F

F

int

est

1

1

5

Fint

5

4F

int

4

3

Fint

3

2

Fint

2

F1

F2

Fest

2

Fest

3

F3

Fest

4

F4

Fest

5

F5

Figura 7.2: Ognuna delle forze agenti sui singoli punti puo essere decomposta in un componente dovutoad agenti interni ed un componente dovuto ad agenti esterni.

A loro volta ognuna delle forze agenti su ognuno dei punti puo essere decomposta in una forza lacui origine deve essere cercata all’esterno del sistema e di una seconda forza la cui origine e inveceinterna al sistema stesso:

~Fi = ~F esti + ~F int

i

Anche qui, considerando un sistema costituito da 5 punti abbiamo, in Figura 7.2 la ripartizionedella forza totale agente sui singoli punti nelle due componenti di forza interna e forza esterna.

Risulta pertanto, unendo quest’ultima formula con l’eq. 7.3, che:

~F =N

i=1

~Fi =N

i=1

(

~F esti + ~F int

i

)

=N

i=1

~F esti +

N∑

i=1

~F inti = ~F est + ~F int

ove con ~F est =∑N

i=1~F esti abbiamo indicato la risultante delle forze esterne applicate al sistema,

brevemente detta forza esterna, mentre con ~F int =∑N

i=1~F int

i abbiamo indicato la risultante delleforze interne, brevemente detta forza interna.

Limitiamo ora la nostra attenzione alle sole forze interne e consideriamo un generico punto i-esimodel sistema. Su tale punto e applicata la forza ~F int

i che a sua volta puo essere decomposta in tanteforze, ognuna dovuta ad un diverso punto interno al sistema:

~F inti =

j=1,..,i−1,i+1,...,N

~F ji

dove la somma e ovviamente estesa a tutti i punti del sistema ad esclusione del punto i-esimo stesso.In Figura 7.3 e riportato a titolo di esempio la scomposizione della forza per il punto 1.

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144 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

1

Fint

1

5

Fint

5

4

Fint

4

3F

int

3

2

Fint

2

F4

1F2

1

F5

1

F3

1

F4

1

F2

1

F5

1

F3

1

Figura 7.3: Decomposizione della forza interna agente sul punto 1 nei suoi 4 componenti.

1

54

3

2

F4

1

F2

1

F5

1

F3

1

F1

4

Figura 7.4: La forza che il punto 4 fa agire sul punto 1 ha lo stesso modulo, lo stesso verso ma direzioneopposta a quella che il punto 1 fa agire sul punto 4.

Risulta allora che:

~F int =N

i=1

~F inti =

N∑

i=1

j=1,..,i−1,i+1,...,N

~F ji

(7.4)

Ricordiamo ora che per ogni forza ~F ji , cioe agente sul punto i-esimo e dovuta al punto j-esimo,

esistera anche una forza ~F ij , cioe agente sul punto j-esimo e dovuta al punto i-esimo. A causa del terzo

principio della dinamica, il principio dell’azione e reazione, queste due forze sono uguali in modulo,hanno la stessa retta di azione e verso opposto:

~F ji = −~F i

j

Un esempio di questa coppia di azione e reazione e mostrato in Figura 7.4 dove sono esplicitate le dueforze scambiate dai punti 1 e 4.

Nella 7.4 possiamo ora notare che sono sommate tra di loro tutte le forze che i diversi punti delsistema si scambiano tra di loro. Pertanto ad ogni forza ~F j

i viene ad essere sommata la ~F ij uguale e

contraria. Ognuna di queste somme e nulla e pertanto possiamo concludere che, a causa del principiodi azione e reazione, la somma di tutte le forze interne agenti agenti sul sistema e nulla:

~F int =N

i=1

~F inti = 0

In definitiva possiamo allora affermare che la risultante di tutte le forze agenti su un sistema e parialla risultante delle forze esterne. In base al secondo principio della dinamica allora avremo che:

d~P

dt= ~Fest (7.5)

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7.4. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITA DI MOTO. 145

Ipotizziamo ora di avere a che fare con un sistema isolato, ovvero un sistema su cui non agiscealcuna forza esterna. In tal caso risultera nulla la derivata prima della quantita di moto ed avremoquindi il

• Principio di conservazione della quantita di moto: in un sistema isolato la quantita di

moto totale si conserva.

Questo principio vale solo se il sistema e isolato ovvero se su esso non agiscono forze esterne mapuo essere applicato anche in altre condizioni. Ad esempio se sul sistema agiscono piu forze esterne,la cui risultante e pero nulla, ancora una volta varra il principio di conservazione della quantita dimoto. Ancora piu in particolare, se su un sistema agiscono una o piu forze la cui risultante e nullalunga una delle direzioni dello spazio allora avremo che sara costante la componente della quantita dimoto totale lungo quella stessa distanza.

A partire dalla 7.5 otteniamo:

d~P = ~F dt

e la grandezza individuata dal prodotto della forza per l’intervallo di tempo in cui essa agisce prende ilnome di impulso della forza. Da quanto appena scritto possiamo dire che la variazione di quantitadi moto subita da un corpo e pari all’impulso trasferito dalla forza. Possiamo allora notare che se unainterazione, cioe uno scambio di forze, dura un intervallo di tempo molto breve allora, salvo casi rarinei quali la forza assume valori elevatissimi, l’impulso trasferito e molto basso per cui sara trascurabilela variazione di quantita di moto del sistema. E’ questa un’altra situazione nella quale, allora, potremoconsiderare costante la quantita di moto posseduta da un sistema. Un esempio di questa situazione puoessere data dall’urto tra due corpi soggetti entrambi alla forza di gravita. I due corpi non costituisconoun sistema isolato ma poiche il fenomeno di urto dura pochi millesimi di secondo potremo consideraredel tutto trascurabile l’impulso trasferito dalla forza di gravita e pertanto la quantita di moto totaledel sistema costituito dai due corpi puo essere considerata costante (ma solo durante il breve intervallodi tempo dell’urto).

L’importanza del principio di conservazione della quantita di moto e notevole perche permettedi risolvere alcuni problemi anche se non sono note le caratteristiche delle forze in gioco. Il casodell’urto citato precedentemente e tipico: descrivere il moto utilizzando le forze in gioco durante l’urtoe estremamente complesso poiche tali forze sono di difficile descrizione. Per fortuna l’uso dei principidi conservazione permettere di trascendere dalla conoscenza della specificita di tali forze.

Abbiamo dimostrato come, dalla definizione di quantita di moto e dal principio di azione e reazionesia possibile dedurre il principio di conservazione della quantita di moto. Ci si puo chiedere ora se evero anche il contrario ovvero se, ipotizzando la validita del principio di conservazione della quantitadi moto, sia possibile ricavare il principio di azione e reazione.

Ipotizziamo pertanto che valga il principio di conservazione della quantita di moto. Ovvero abbia-mo un sistema isolato per il quale la risultante delle forze esterne e nulla; dalla definizione di quantitadi moto e dal principio di conservazione della quantita di moto abbiamo che:

~F =d~P

dt= ~0

ovvero la forza totale agente sul sistema e nulla. Essendo nulla per ipotesi la risultante delle forzeesterne possiamo allora concludere che anche la risultante delle forze interne e nulla.

Occorre ora notare che anche un sistema di forze come quello rappresentato in Figura 7.5 ha unarisultante nulla ma non corrisponde all’enunciato del principio di azione e reazione poiche le due forzenon hanno la stessa retta di azione.

Abbiamo pertanto dimostrato che, mentre e vero che dal principio di azione e reazione si deduceil principio di conservazione della quantita di moto, non e altrettanto vero il contrario.

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146 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

12

F2

F1

Figura 7.5: Due forze la cui risultante e nulla ma che non giacciono sulla stessa retta d’azione nonrispettano il principio di azione e reazione.

m

v2v1

m

1

2

Figura 7.6: Due corpi prima dell’urto.

7.5 Applicazione dei principi di conservazione.

Nello studio della dinamica siamo sinora giunti a formulare due diversi principi di conservazione:quello dell’energia meccanica totale e quello della quantita di moto.

Nella soluzione di problemi questi due principi di conservazione risultano di estrema importanza,come gia detto precedentemente, poiche permettono in maniera relativamente semplice di risolveresituazioni anche assai complesse.

Per esemplificare trattiamo il caso di due corpi di massa m1 ed m2 che viaggiano rispetto adun riferimento con velocita ~v1 e ~v2 rispettivamente come indicato in Figura 7.6 e che sono capacidi interagire tra di loro. Nota la condizione iniziale cioe le loro velocita prima che i corpi inizino adinteragire, si vuole conoscere la situazione finale ovvero dopo che i corpi hanno terminato di interagire.Poiche i due corpi viaggiano l’uno contro il centro dell’altro questo tipo di problema si chiama urto

centrale.

Volendo trattare con le leggi della dinamica del punto materiale questo moto dovremmo appli-care le equazioni della dinamica ad ognuno dei corpi, tenendo conto precisamente della dinamicadell’interazione e cio e molto complicato. Il problema puo pero semplificarsi notevolmente con alcuneconsiderazioni.

Poiche la forza di interazione e una forza interna al sistema costituito dai due corpi possiamoconsiderare il sistema come isolato ed applicare quindi il principio di conservazione della quantita dimoto (si noti che anche nell’ipotesi che esistano altre forze esterne l’effetto di queste sulla quantita dimoto e trascurabile data la breve durata temporale della interazione). Indicate con ~V1 e con ~V2 le duevelocita dei corpi dopo l’urto, avremo allora:

m1 ~v1 + m2 ~v2 = m1~V1 + m2

~V2

Questa equazione da sola non basta a risolvere il problema poiche vi sono due incognite.

Una seconda equazione deve nascere dal bilancio energetico. In generale sappiamo che l’energiafinale di un sistema e pari alla somma dell’energia iniziale e del lavoro svolto dalle forze non conserva-tive. Poiche sia prima che dopo l’urto i due corpi non interagiscono le loro energie meccaniche primae dopo l’urto sono solo di tipo cinetico.

Dal punto di vista energetico gli urti si dividono in urti elastici ed anelastici. Nel primo casol’energia si conserva mentre nel secondo caso l’energia finale e solo una frazione dell’energia iniziale.

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7.5. APPLICAZIONE DEI PRINCIPI DI CONSERVAZIONE. 147

m

V2

V1

m

1

2

Figura 7.7: Due corpi dopo l’urto.

Il coefficiente di proporzionalita viene detto coefficiente d’anelasticita:

Kfinale = Kiniziale urtoelastico

Kfinale = α Kiniziale urtoanelastico

Un caso diverso puo verificarsi quando durante l’urto viene ad essere liberata una energia, diintensita indipendente dall’energia cinetica iniziale. Ad esempio nel moto di un oggetto potrebbetrattarsi il caso in cui tale oggetto esploda in volo, liberando quindi una energia E. In tal caso ilbilancio energetico dovra scriveri come:

Kfinale = Kiniziale + E

Nel seguito per semplicita, tratteremo il solo caso di urto elastico. Possiamo quindi applicare ilprincipio di conservazione dell’energia meccanica ed otteniamo la seconda equazione necessaria. Indefinitiva per risolvere il problema occorrera risolvere il sistema di equazioni:

m1 ~v1 + m2 ~v2 = m1~V1 + m2

~V2

12

m1 v21 + 1

2m2 v2

2 = 12

m1 V 21 + 1

2m2 V 2

2

che si puo semplificare in:

m1 ~v1 + m2 ~v2 = m1~V1 + m2

~V2

m1 v21 + m2 v2

2 = m1 V 21 + m2 V 2

2

Questo sistema di due equazioni in due incognite non e lineare e pertanto non e semplicementerisolvibile. Occorre prima eseguire alcune operazioni algebriche per poterlo linearizzare, ovverosostituirlo con un sistema di equazioni equivalente ma lineare.

Portando tutti i termini relativi alla prima particella da un lato abbiamo:

m1 ~v1 − m1~V1 = m2

~V2 − m2 ~v2

m1 v21 − m1 V 2

1 = m2 V 22 − m2 v2

2

ovvero:

m1

(

~v1 − ~V1

)

= m2

(

~V2 − ~v2

)

m1

(

v21 − V 2

1

)

= m2

(

V 22 − v2

2

)

Ricordando che la seconda equazione presenta delle differenze di quadrati abbiamo:

m1

(

~v1 − ~V1

)

= m2

(

~V2 − ~v2

)

m1

(

~v1 + ~V1

)

·(

~v1 − ~V1

)

= m2

(

~V2 + ~v2

)

·(

~V2 − ~v2

)

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148 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

per cui al sistema originario sostituiamo un nuovo sistema nel quale la prima equazione resta immu-tata mentre la seconda viene ad essere sostituita con l’equazione che si ottiene dividendo, membro amembro, la seconda per la prima:

m1

(

~v1 − ~V1

)

= m2

(

~V2 − ~v2

)

~v1 + ~V1 = ~V2 + ~v2

che appunto costituisce il sistema lineare di due equazioni in due incognite cercato.

Per risolvere questo sistema ricaviamo la V1 dalla seconda e sostituiamo nella prima:

m1

(

~v1 − ~V2 − ~v2 + ~v1

)

= m2

(

~V2 − ~v2

)

~V1 = ~V2 + ~v2 − ~v1

per cui:

m1 ~v1 − m1~V2 − m1 ~v2 + m1 ~v1 = m2

~V2 − m2 ~v2

~V1 = ~V2 + ~v2 − ~v1

Isolando i termini relativi a V2 da un lato abbiamo:

(m2 + m1) ~V2 = 2 m1 ~v1 + (m2 − m1) ~v2

~V1 = ~V2 + ~v2 − ~v1

per cui, in definitiva e:

~V2 =2 m1

m2 + m1

~v1 +m2 − m1

m2 + m1

~v2

Il valore di ~V1 potrebbe ottenersi semplicemente dalla sostituzione. E’ pero piu interessante, esemplice notare che la scelta della dizione primo corpo e secondo corpo e puramente arbitraria percui la soluzione deve essere totalmente simmetrica nella scelta di quale sia la prima e quale sia laseconda particella. In altre parole se nella soluzione appena trovata invertiamo i significati dei simbolidobbiamo ottenere la soluzione per la velocita dell’altra particella. Possiamo quindi scrivere:

~V1 = m1−m2

m1+m2~v1 + 2 m2

m1+m2~v2

~V2 = 2 m1

m2+m1~v1 + m2−m1

m2+m1~v2

(7.6)

Analizziamo ora alcuni casi particolari.

7.5.1 Urto tra particelle identiche.

Consideriamo il caso particolare in cui le due particelle interagenti sono di massa uguale. In tal casola eq. 7.6 fornisce:

~V1 = ~v2

~V2 = ~v1

ovvero le due particelle si scambiano semplicemente i ruoli. Se inizialmente una delle particelle eraferma mentre l’altra era in moto dopo l’urto la prima particella sara in moto mentre la seconda saraferma.

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7.6. IL MOTO CIRCOLARE UNIFORME 149

m

1

1

v

V1V

1xv

1yv

V1xV

V1yV

Figura 7.8: Rimbalzo elastico di un corpo contro una parete fissa.

7.5.2 Urto contro una massa elevata.

Consideriamo il caso particolare in cui una delle particelle interagenti sia di massa estremamenteelevata rispetto all’altra, ad esempio la particella 2. In tal caso la eq. 7.6 fornisce:

~V1 = − ~v1 + 2 ~v2

~V2 = ~v2

(7.7)

ovvero la particella di elevata massa continua il suo moto indisturbata, mentre la prima particellaviene a rimbalzare con una velocita piu bassa, a causa del moto della particella massiva.

7.5.3 Urto contro una parete.

Supponiamo ora che uno dei corpi sia in realta una superfice piana, eventualmente in moto. In tal casoil problema dell’urto si affronta spezzando il moto in due componenti: un moto perpendicolare allaparete ed un moto parallelo alla parete. Per quanto riguarda il moto parallelo alla parete possiamonotare che, poiche la parete non e capace di esercitare azioni parallele a se stessa, lungo questa direzionenon esiste urto per cui la velocita della particella rimane inalterata. Per l’altra direzione invece, occorreapplicare la eq. 7.7.

Ne consegue che la particella, dopo aver urtato contro la parete, rimbalza via con una delle com-ponenti inalterata e l’altra cambiata, a seconda del tipo di moto della parete. Se tale parete e fissa, latraiettoria e semplicemente speculare, rispetto alla normale alla superfice della parete, come indicatoin Figura 7.8.

7.6 Il moto circolare uniforme

Consideriamo un punto materiale di massa m che percorre un’orbita circolare di raggio R con velocita~v, di modulo costante ma verso e direzione mutevole perche sempre tangente alla circonferenza.

Anche se questa traiettoria e curvilinea, il moto del sistema e ancora di tipo traslatorio poicheil sistema, essendo puntiforme, si sposta sempre parallelamente a se stesso. E’ da notare, pero chequesta descrizione ci sara utile, nel prossimo capitolo, nella trattazione dei moti rotatori.

Per descrivere questo moto possiamo considerare un sistema di assi cartesiani ortogonali (vediFigura 7.9) la cui origine coincida con il centro della circonferenza. In tal caso il moto del punto saradescritto dalle due equazioni:

x = x (t)

y = y (t)

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150 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

P

O

y

x

vR

Figura 7.9: Il moto circolare uniforme in coordinate rettangolari.

P

O

v

Rq

Figura 7.10: L’arco di circonferenza in coordinate polari

cui va unita la relazione che x ed y devono giacere sulla circonferenza di raggio R.Tale descrizione, pero non e la migliore possibile poiche essa non sfrutta la simmetria circolare

insita nel problema: il sistema dista sempre un ugual valore da un punto.Consideriamo allora un sistema di riferimento polare il cui polo coincida col centro della circon-

ferenza (vedi Figura 7.10). Il segmento che, istante per istante, unisce il punto P col polo O forma,rispetto alla retta di riferimento un angolo θ. Per descrivere il moto del punto P in questo riferimentobastera dare la legge oraria con la quale cambia tale valore dell’angolo:

θ = θ (t)

ovvero le equazioni da due si sono ridotte ad una sola.Nei capitoli e paragrafi precedenti abbiamo sempre descritto i moti dei sistemi per mezzo della

posizione, della velocita e dell’accelerazione espressi in corrispondenza di linee; ora invece stiamodiscutendo di una posizione espressa in angoli e quindi occorrera capire come le due descrizioni siconnettono.

Iniziamo col trattare le grandezze come scalari.Consideriamo (vedi Figura 7.11) un punto P che si trova su una circonferenza di centro nel polo

O e di raggio R. Rispetto alla posizione iniziale Q il punto P avra percorso un tratto s lungo l’arco dicirconferenza e spaziato un angolo θ. Dalla definizione di angolo risulta:

s = θ R (7.8)

Derivando rispetto al tempo entrambi i termini si ottiene:

ds

dt=

dtR

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7.6. IL MOTO CIRCOLARE UNIFORME 151

O

P

v

Rs

q

Figura 7.11: Variabili da usare in un moto circolare uniforme

O

A

A

A

B

B

B vv

R

R

Figura 7.12: I vettori velocita in due istanti diversi

Se ora definiamo una nuova grandezza detta velocita angolare ω tale che:

ω =dθ

dt

risulta che la velocita lineare v e data da:v = ω R (7.9)

Con una ulteriore derivazione e definendo l’accelerazione angolare α come:

α =dω

dt

si ottiene che l’accelerazione lineare a e data da:

a = α R (7.10)

Le tre equazioni 7.8, 7.9 e 7.10 permettono di passare dalle grandezze cinematiche angolari a quellelineari e viceversa ma solo relativamente ai moduli delle grandezze.

Ritorniamo ora al nostro moto circolare uniforme. Il sistema (vedi Figura 7.12), in un certo istantesi trova nel punto A, possedendo una velocita ~vA e con una posizione individuata al vettore ~RA. Inun istante successivo esso si trovera in una posizione B, con velocita ~vB e posizione ~RB . Poiche i duevettori velocita sono differenti possiamo immediatamente dedurre che il corpo e sottoposto ad unaaccelerazione. Determiniamo il valore di tale accelerazione con un semplice metodo geometrico.

Osservando la Figura 7.12 possiamo notare che da essa si possono estrarre i due triangoli riportatiin Figura 7.13.

Consideriamo, nella Figura 7.13, i due triangoli formati uno dai due raggi vettori e dal segmentoche li unisce e l’altro formato dalle due velocita e dal segmento che le unisce. Questi due triangoli sonosimili poiche entrambi isosceli (per il primo i due lati hanno lunghezza pari al raggio della circonferenza

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152 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

A

A

A

B

B

B

O

vvD

D

vR

R

R

Figura 7.13: Similitudine dei due triangoli.

mentre per l’altro triangolo due lati hanno lunghezza pari al modulo della velocita che e supposta essereuniforme) e con l’angolo al vertice uguale. Ne consegue che possiamo scrivere la relazione:

∆R : RA = ∆v : vA

per cui:

∆v = ∆RvA

RA

Dividendo entrambi i termini del ∆t e mandando al limite si ottiene:

dv

dt=

dR

dt

vA

RA

Ricordando ora che la derivata rispetto al tempo della velocita e l’accelerazione e che la derivatadella posizione rispetto al tempo e la velocita otteniamo:

a =v2

R

ove trattandosi di formula che vale per qualunque punto A si e eliminata la specificta del punto.Per quanto riguarda la direzione ed il verso di tale accelerazione e possibile mostrare, ma non lo

faremo qui, che tale vettore e radiale, diretto verso il centro. Prende pertanto il nome di accelerazione

centripeta.Possiamo concludere pertanto che durante un moto circolare uniforme un corpo e sottoposto ad

una accelerazione centripeta data dalla formula:

a =v2

R= ω2 R

ove si e anche tenuto conto della relazione tra velocita angolare e velocita lineare. Cio implica che ilcorpo deve essere soggetto ad una forza di intensita costante ma che e sempre diretta verso uno stessopunto, cioe ad una forza centrale.

Per quanto riguarda la descrizione del moto possiamo facilmente ricavare, vista la costanza dellavelocita angolare, che deve essere:

θ = θ0 + ω t

Poiche la traiettoria e chiusa accade che il corpo ripassa sempre per gli stessi punti ad istantisuccessivi. Poiche accade che la distanza temporale tra due successivi passaggi per uno stesso puntoe sempre la stessa possiamo dire che questo e un moto periodico. La distanza temporale tra duepassaggi successivi e detta periodo ed e data da:

T =2 π

ω

mentre viene detto frequenza il numero di giri percorsi diviso il tempo impiegato a percorrerli:

ν =1

T=

ω

2 π

Il periodo, essendo un tempo, viene misurato in secondi mentre la frequenza viene espressa in Hertz(Hz).

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7.7. IL MOTO CURVILINEO 153

Figura 7.14: La tangente ad una curva

Figura 7.15: Una tangente identifica solo alcune proprieta della curva

7.7 Il moto curvilineo

Dopo aver descritto il moto circolare uniforme passiamo a descrivere un moto ancor piu generale.Supponiamo cioe di avere un punto materiale che si sposta lungo una traiettoria genericamente cur-vilinea. In un istante t il corpo si trova in un punto P situato lungo la generica curva che costituiscela traiettoria.

In geometria sappiamo che se vogliamo approssimare una curva qualsiasi possiamo in prima appros-simazione utilizzare la retta tangente, come in Figura 7.14. Cio, in linguaggio matematico, significaconsiderare un funzione che assume lo stesso valore della funzione e della derivata prima. Ovviamentel’approssimazione e solo locale perche appena ci spostiamo lungo la curva occorre cambiare la rettatangente.

Possiamo vedere in Figura 7.15 che l’uso della tangente, pero, fa perdere informazioni riguardo lacurvatura della funzione; infatti la stessa tangente rappresenta tre diverse curve.

Volendo eliminare questa limitazione si puo sostituire, sempre localmente, alla funzione una nuovafunzione che tenga conto anche della curvatura, ovvero della derivata seconda. In termini geometricisignifica che utilizziamo un cerchio, detto cerchio osculatore, mostrato in Figura 7.16.

Possiamo pertanto concludere che un moto su traiettoria curvilinea generica puo essere rappresen-tato come moto su traiettoria circolare, con cerchio che cambia man mano che il corpo si sposta sullacurva.

Dato un corpo che si sposta su di una traiettoria curvilinea qualsiasi possiamo allora considerareil cerchio osculatore alla curva in P , di raggio ~R, perpendicolare alla traiettoria. La velocita linearedel corpo sara il vettore ~v, tangente alla traiettoria.

Figura 7.16: Il cerchio osculatore

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154 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

Da quando detto nel §7.6 per i moduli delle velocita deve essere:

v = ω R

Notiamo ora che la velocita angolare deve essere una grandezza vettoriale poiche essa deve esprime-re tre indicazioni e cioe la rapidita di variazione della posizione angolare, il piano in cui giace l’orbitaed il verso di rotazione. Per individuare univocamente un piano occorre e basta considerare la retta adesso perpendicolare e pertanto possiamo dire che il vettore velocita angolare deve giacere sulla rettaperpendicolare al piano. Il verso potra essere scelto secondo una convenzione ancora da definire.

Definiamo pertanto il vettore velocita angolare come quel vettore ~ω tale che sia:

~v = ~ω ∧ ~R (7.11)

Poiche ~v e perpendicolare al raggio vettore ~R ed alla velocita angolare ~ω questa formula rispettatutte le regole sinora individuate.

Se ora deriviamo la eq. 7.11 rispetto al tempo abbiamo:

d~v

dt=

d(

~ω ∧ ~R)

dt=

d~ω

dt∧ ~R + ~ω ∧

d~R

dt

Se ora definiamo l’accelerazione angolare ~α come:

~α =d~ω

dt

e ricordiamo che la derivata rispetto al tempo della posizione del vettore e la velocita lineare, risulta:

~a =d~v

dt= ~α ∧ ~R + ~ω ∧ ~v

che, sostituendo la eq. 7.11, diviene:

~a = ~α ∧ ~R + ~ω ∧(

~ω ∧ ~R)

Applichando ora il doppio prodotto vettoriale otteniamo:

~a = ~α ∧ ~R + ~ω(

~ω · ~R)

− ~R (~ω · ~ω)

Essendo ~ω ed ~R perpendicolari tra di loro abbiamo in definitiva:

~a = ~α ∧ ~R − ω2 ~R (7.12)

Questa formula ci dice che in un moto genericamente curvilineo l’accelerazione lineare e formatada due termini:

1. l’accelerazione tangenziale: ~at = ~α ∧ ~R che e perpendicolare sia al raggio vettore che al-l’accelerazione angolare e pertanto e tangente alla traiettoria. Essa e di valore nullo solo sel’accelerazione angolare e nulla.

2. l’accelerazione radiale: ~aR = −ω2 ~R che ha direzione radiale ma verso opposto. Precedente-mente questa accelerazione e stata indicata col termine di accelerazione centripeta. Essa e sullase e solo se la velocita angolare e nulla ovvero se il moto avviene su traiettoria rettilinea.

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7.8. LE FORZE FITTIZIE. 155

7.8 Le forze fittizie.

Abbiamo dimostrato precedentemente come un corpo che si muove di moto circolare uniforme siasottoposto all’azione di un’accelerazione radiale, diretta verso il centro. Da cio possiamo dedurre,tramite il secondo principio della dinamica, che affinche un corpo si muova di moto circolare uniformee necessario che esso sia soggetto ad una forza di modulo costante e diretta sempre verso uno stessopunto, ovvero ad una forza centrale. Tale forza viene detta forza centripeta.

E’ esperienta comune, pero, che se ci si trova all’interno di un’autoveicolo mentre questo compieuna curva si viene spinti verso l’esterno da una forza che viene detta forza centrifuga.

Siamo giunti ad un’incongruenza: teoricamente abbiamo evidenziato la presenza di una forza cen-tripeta ma sperimentalmente osserviamo una forza centrifuga, uguale in modulo ma di verso opposto.E’ da notare che tali due forze agiscono sullo stesso corpo e pertanto non e possibile trattarle comeazione e reazione, cosa che puo verificarsi solo in presenza di due corpi.

Per risolvere l’incongruenza dobbiamo analizzare con piu cura il problema. Quando l’autoveicolocompie la curva, gli oggetti in essa contenuti tendono a spostarsi verso l’esterno, ovvero tendono adassumere un’accelerazione verso l’esterno. Poiche sappiamo che un’accelerazione e dovuta ad una forzapensiamo quindi che vi sia una forza centrifuga. Il secondo principio della dinamica, pero, ci dice chel’associazione tra accelerazione e forza esiste solo in un sistema di riferimento inerziale mentre l’autoche compie una curva non e un sistema inerziale e pertanto non possiamo, qui, applicare il secondoprincipio della dinamica.

In realta cio che accade e che in un riferimento inerziale, quindi esterno al corpo che gira, osserviamola forza centripeta, cioe la forza che impone al corpo di girare, mentre i corpi non vincolati tendonoa proseguire in linea retta con un moto rettilineo uniforme. Invece in un sistema non inerziale, qualeappunto il corpo stesso, vediamo che i corpi non vincolati tendono ad allontanarsi da noi e pertantoattribuiamo a loro un’accelerazione e quindi una forza agente su di essi. In altre parole la forzacentrifuga altro non e che un effetto del sistema di riferimento.

Forze di questo tipo vengono dette forze fittizie.Per analizzare questo tipo di forze consideriamo il secondo principio della dinamica:

~F = m ~a

Questa formula ci dice che, in un riferimento inerziale, forza ed accelerazione sono proporzionali.Da questa formula vediamo che il corpo si muove con una accelerazione ~a rispetto al riferimento. Seora cambiamo riferimento e ne prendiamo uno solidale col corpo stesso abbiamo che rispetto a taleriferimento il corpo e fermo e pertanto la sua accelerazione e nulla. Non e possibile pero applicare ilsecondo principio della dinamica poiche il riferimento non e inerziale, muovendosi con accelerazione ~a.

Attibuiamo ora al prodotto m ~a il significato di una forza e quindi scriviamo:

~F − m ~a = ~0

Questa formula considera sul lato sinistro due forze, la prima e la forza ~F , agente sul corpo edovuta ad altri corpi esterni, la seconda, −m ~a, invece non e una forza vera e propria ma solo l’effettodell’accelerazione del sistema di riferimento e quindi costituisce una forza fittizia. In altre parole siamogiunti ad una formulazione del secondo principio della dinamica applicabile anche in riferimenti noninerziali:

~Freali +∑

~Ffittizie = m ~a

Il termine fittizio non deve trarre in inganno. Gli effetti di tali forze esistono e sono di facileosservazione. Il problema e che tali forze non nascono dall’azione di un qualche corpo esterno mapiuttosto dalla cinematica stessa. E’ cioe il moto del sistema stesso che produce queste azioni.

Ad esempio possiamo vedere che quando un corpo, sotto l’azione gravita terrestre cade verso ilbasso esso subisce anche un lieve spostamento dalla verticale. Tale spostamento e dovuto all’effettocombinato della rotazione terrestre e del moto di caduta e viene attribuito ad una forza fittizia dettaforza di Coriolis. Un esempio si ha quando si scarica l’acqua da un lavandino: si osserva la formazione

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156 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

di un gorgo che, nell’emisfero boreale, e sempre a rotazione oraria mentre assume la rotazione antiorarianell’emisfero australe. Alla stessa azione e legata la formazione delle trombe d’aria e dei cicloni otornadi, che si generano con l’azione combinata della rotazione terrestre e della risalita o discesa lungol’atmosfera di grandi masse d’aria.

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7.9. ESERCIZI 157

7.9 ESERCIZI

Esercizio 7.1 : Determinare la posizione del centro di massa di un sistema costituito da tre puntile cui coordinate e masse sono m1 = 4.0 kg, m2 = 1.0 kg, m3 = 3.0 kg, ~r1 = (4, 5, 1), ~r1 = (1, 2, 2) ed~r3 = (2, 2, 1).

Esercizio 7.2 : Determinare la quantita di moto posseduta da un corpo di massa m = 4.4 kg e lacui velocita e, in modulo, pari a v = 7.2 m/s .

Esercizio 7.3 : Determinare la quantita di moto posseduta da un sistema costituito da tre corpi dimassa rispettivamente m1 = 4.4 kg, m2 = 1.6 kg e m3 = 7.1 kg, e le cui velocita sono pari a ~v1 = (7.2, 1.6), ~v2 = (3.5 , 2.8) e ~v3 = (2.7 , 3.6).

Esercizio 7.4 : Un sistema isolato e costituito da due corpi di massa rispettivamente m = 4.0 kge M = 5.0 kg che viaggiano insieme alla velocita di modulo pari a v = 4 m/s. Successivamente, percause interne al sistema, il primo corpo si ferma. Determinare la velocita con la quale si muovera ilsecondo corpo.

Esercizio 7.5 : Un corpo di massa m1 = 3.2 kg si muove con velocita pari a v1 = 2.7 m/s versoun altro corpo, di massa m2 = 5.6 kg, inizialmente fermo.Si determini la velocita dei due corpi dopoun urto perfettamente elastico.

Esercizio 7.6 : Un proiettile di massa M = 12 kg viaggia alla velocita V = 270 m/s. Improv-visamente esso si spezza in due frammenti di massa pari a m1 = 7 kg ed m2 = 5 kg. Determinarei moduli delle velocita dei due frammenti dopo l’esplosione sapendo che il primo dei due proiettiliviaggia con un angolo di 30 rispetto alla direzione del moto del proiettile originario mentre per ilsecondo l’angolo formato dalla nuova traiettorie e di −25.

Esercizio 7.7 : Determinare la velocita angolare di un corpo che si muove di moto circolareuniforme lungo una circonferenza di raggio R = 2 m, con velocita tangenziale pari a v = 3 m/s.

Esercizio 7.8 : Un corpo di massa M = 12.5 kg viaggia con velocita v = 12 m/s verso una paretemassiccia, con un angolo di inclinazione pari a 14. Si determini la velocita del corpo dopo l’urto,supposto perfettamente elastico.

Esercizio 7.9 : Determinare la forza da applicare ad un corpo di massa M = 14 kg affinche essopercorra un’orbita circolare di raggio pari ad R = 2.4 m, con velocita angolare costantemente pari aω = 1.78 rad/s.

Esercizio 7.10 : Due corpi, di massa rispettivamente m1 = 3.3 kg e m2 = 2.7 kg, sono sospesi alleestremita di una corda che passa attraverso una carrucola priva di massa. Determinare l’accelerazionedi movimento supponendo che l’attrito sia trascurabile.

Esercizio 7.11 : Un corpo di massa m = 1.7 kg e sospeso ad una fune che, dopo esser passataattraverso una carrucola priva di massa e di attrito, e collegata ad un corpo di massa M = 3.3 kg

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158 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

Figura 7.17: Il giro della ”morte”

poggiato su un piano orizzontale privo di attrito. Determinare le accelerazioni con le quali si muovonoi due corpi.

Esercizio 7.12 : Un profilo privo di attrito e costituito da un primo tratto orizzontale e da unsecondo tratto in salita, con una inclinazione θ = 30 rispetto all’orizzontale. Alla base del tratto insalita vi e un corpo di massa M = 7.0 kg, inizialmente fermo che viene colpito da un corpo di massam = 3.0 kg che viaggia sul tratto orizzontale con velocita v = 1.5 m/s. Determinare la lunghezzatotale del tratto percorso in salita dal corpo M se l’urto e perfettamente elastico.

Esercizio 7.13 : Un corpo striscia, senza attrito, su una guida del tipo indicato nella Figura 7.17.Determinare quale deve essere l’altezza H da cui esso deve cadere affinche sia in grado di compierel’intero giro della guida senza staccarsi dalla stessa nel caso in cui sia R = 0.6 m.

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7.10. SOLUZIONI 159

7.10 SOLUZIONI

Svolgimento dell’esercizio 7.1 :

Dalla definizione del centro di massa abbiamo:

~rCM =

mi ~ri∑

mi

per cui abbiamo:

xCM = 4∗4+1∗1+3∗24+1+3

= 2.9

yCM = 4∗5+1∗2+3∗24+1+3

= 3.5

zCM = 4∗1+1∗2+3∗14+1+3

= 1.1

Svolgimento dell’esercizio 7.2 :

Dalla definizione di quantita di moto abbiamo:

q = m v = 4.4 × 7.2 = 32mkg/s

Svolgimento dell’esercizio 7.3 :

Dalla definizione di quantita di moto abbiamo che per ogni singolo corpo costituente il sistema e

−→q 1 = m1−→v 1 = (4.4 × 7.2,4.4 × 1.6) = (31.68,7.04)

−→q 2 = m2−→v 2 = (1.6 × 3.5,1.6 × 2.8) = (5.6,4.48)

−→q 3 = m3−→v 3 = (7.1 × 2.7,7.1 × 3.6) = (19.17,25.56)

per cui la quantita di moto totale del sistema e data da

−→Q = −→q 1 + −→q 2 + −→q 3 = (31.68 + 5.6 + 19.17,7.04 + 4.48 + 25.56) = (56,37)

Si noti che l’approssimazione del numero corretto di cifre significative e stata fatta solo alla fine deiconti.

Svolgimento dell’esercizio 7.4 :

Per la conservazione della quantita di moto abbiamo:

m vf = (m + M) vi

per cui abbiamo:

vf =m + M

mvi =

4 + 5

4∗ 4 = 9m/s

Svolgimento dell’esercizio 7.5 :

Per risolvere questo problema occorre applicare sia la conservazione della quantita di moto che laconservazione dell’energia, essendo l’urto perfettamente elastico.

Poiche il problema e monodimensionale possiamo utilizzare direttamente i moduli delle grandezze.Abbiamo pertanto, relativamente alla conservazione della quantita di moto,

m1 v1 = m1 V1 + m2 V2

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160 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

e, relativamente alla conservazione dell’energia:

1

2m1 v2

1 =1

2m1 V 2

1 +1

2m2 V 2

2

La soluzione si ottiene risolvendo questo sistema di equazioni nelle due incognite V1 e V2. Per farecio occorre, pero, prima linearizzare il sistema. Isoliamo pertanto da un lato i termini relativi ad uncorpo e dall’altro i termini relativi all’altro corpo:

m1 v1 − m1 V1 = m2 V2

1

2m1 v2

1 − 1

2m1 V 2

1 = 1

2m2 V 2

2

Semplificando si ottiene

m1 (v1 − V1) = m2 V2

m1

(

v21 − V 2

1

)

= m2 V 22

ovvero anche

m1

(

v21 − V 2

1

)

= m2 V 22

m1 (v1 − V1) = m2 V2

Dividiamo membro a membro la prima equazione per la seconda ottenendo

m1

(

v21 − V 2

1

)

m1 (v1 − V1)=

m2 V 22

m2 V2

che, con ovvie semplificazioni, diviene

v1 + V1 = V2

Riscriviamo ora il sistema sostiuendo alla prima equazione quella appena ottenuta:

v1 + V1 = V2

m1 (v1 − V1) = m2 V2

e sostituiamo il valore di V2 ottenendo

m1 (v1 − V1) = m2 (v1 + V1)

ovvero anche

m1 v1 − m2 v1 = m1 V1 + m2 V1

per cui

V1 =m1 − m2

m1 + m2

v1

e

V2 =m1 − m2

m1 + m2

v1 + v1 =2 m1

m1 + m2

v1

Sostituendo i numeri abbiamo allora

V1 =m1 − m2

m1 + m2

v1 =3.2 − 5.6

3.2 + 5.6× 2.7 = −0.74m/s

e

V2 =2 m1

m1 + m2

v1 =2 × 3.2

3.2 + 5.6× 2.7 = 2.0m/s

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7.10. SOLUZIONI 161

V

V1

V2

q =25°2

q1=30°

Figura 7.18: Le velocita del proiettile e dei due frammenti

Si noti la negativita della velocita V1 del primo corpo dopo l’urto; significa che tale corpo a seguitodell’urto torna indietro.

Svolgimento dell’esercizio 7.6 :

Dal testo possiamo determinare che in questo processo si ha la conservazione della quantita di moto.Inoltre occorre tener presente che il problema va trattato in due dimensioni.

Usiamo quindi lo schema mostrato in Figura 7.18 ed osserviamo che per la conservazione dellaquantita di moto conviene utilizzare le componenti dei vettori velocita lungo la direzione iniziale delmoto e quella ad essa perpendicolare. Si ha quindi

M Vx = m1 v1x + m2 v2x

M Vy = m1 v1y + m2 v2y

Tenendo conto del fatto che Vy e nulla si ricava allora:

M Vx = m1 v1x + m2 v2x

0 = m1 v1y + m2 v2y

Dalla seconda si ottiene allora

m1 v1 sin θ1 + m2 v2 sin θ2 = 0

Sostituendo i valori degli angoli abbiamo:

7 × 0.5 v1 = 5 × 0.423 v2

ovvero

v1 =5 × 0.423

7 × 0.5v2 = 0.604 v2

Per la prima equazione abbiamo invece:

M V = m1 v1 cos θ1 + m2 v2 cos θ2

ovvero

12 × 270 = 7 × 0.866 v1 + 5 × 0.906 v2

od anche

3240 = 6.062 × 0.604 v2 + 4.53 v2

ed, in definitiva

3240 = 3.661 v2 + 4.53 v2 = 8.181 v2

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162 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

Di conseguenza abbiamo che:

v2 = 32408.181

= 396m/s

v1 = 0.604 v2 = 239m/s

Svolgimento dell’esercizio 7.7 :

Dalla relazione che lega velocita lineare e velocita angolare abbiamo:

ω =v

R=

3

2= 1.5rad/s

Svolgimento dell’esercizio 7.8 :

Poiche la parete ha una massa molto piu grande di quella del corpo possiamo supporre che essa restiferma dopo l’urto. In questo caso si ha che la componente della quantita di moto del corpo parallelaalla parete non cambia mentre quella perpendicolare alla parete cambia segno.

Utilizzando un sistema di riferimento Oxy in cui l’asse x sia parallelo alla parete e l’asse y ne siaperpendicolare abbiamo che prima dell’urto:

pix = M vx = v sin θ

piy = M vy = v cos θ

mentre dopo l’urto sara

pfx = M vf

x = pix = v sin θ

pfy = M vf

y = − piy = − v cos θ

In altre parole, dopo l’urto, la particella prosegue con una traiettoria che e semplicemente l’imma-gine speculare di quella iniziale.

Svolgimento dell’esercizio 7.9 :

Affinche un corpo possa compiere un moto circolare uniforme e necessario che su di esso agisca sempreun’accelerazione di intensita pari a

a = ω2 r

per cui l’intensita della fornza deve essere

F = m a = m ω2 r = 14 × (1.78)2× 2.4 = 107N

La direzione di questo vettore deve essere tale da passare sempre per il centro della circonferenzacon un verso diretto verso questo centro.

Svolgimento dell’esercizio 7.10 :

Possiamo schematizzare il problema come mostrato in Figura 7.19. Dobbiamo ora considerare unsistema di riferimento ed applicare le leggi della dinamica al sistema. Per semplificare la trattazioneconviene separare il problema in tre pezzi:

1. Movimento del corpo di massa m1.

2. Movimento del corpo di massa m2.

3. Movimento della carrucola.

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7.10. SOLUZIONI 163

m2

m1

Figura 7.19: Due corpi sospesi tramite una fune che passa intorno ad una carrucola priva di massa.

m

M

Figura 7.20: Un corpo poggiato su un piano viene trascinato da un secondo corpo.

Come sistema di riferimento consideriamo un asse verticale diretto verso il basso e le accelerazioniindicate nella Figura 7.19.

Poiche la carrucola e priva di massa il secondo principio della dinamica ci dice che non e neces-saria alcuna azione esterna per cambiarne lo stato di moto e pertanto sono solo due le equazioni daconsiderare, e cioe:

m1 a = m1 g − T

−m2 a = m2 g − T

ove si e tenuto conto del fatto che se il primo corpo scende ne consegue che il secondo corpo sale.

Per risolvere il sistema basta sottrarre le due equazioni membro a membro per cui abbiamo:

m1 a + m2 a = m1 g − m2 g

e pertanto:

a =m1 − m2

m1 + m2

g =3.3 − 2.7

3.3 + 2.7× 10 = 1.0m/s2

Svolgimento dell’esercizio 7.11 :

Per risolvere questo problema dobbiamo far riferimento alla Figura 7.20. Questo problema ancorauna volta si risolve tenendo conto che, in base al secondo principio della dinamica, nessuna azione enecessaria per far cambiare lo stato di moto ad un corpo privo di massa. Gli unici corpi che richiedonol’azione sono allora i due corpi di massa m ed M .

Anche in questo caso applichiamo il secondo principio della dinamica

m1 a = m1 g − T

m2 a = T

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164 CAPITOLO 7. LA DINAMICA DEI SISTEMI - 1

e quindi

a =m1

m1 + m2

g =1.7

3.3 + 1.7× 10 = 3.4m/s2

Svolgimento dell’esercizio 7.12 :

Consideriamo dapprima i problema dell’urto tra i due corpi. Poiche esso e elastico vale la conservazionedella energia, oltre a quella della quantita di moto. Abbiamo quindi:

m v = m v1 + M v2

12

m v2 = 12

m v21 + 1

2M v2

2

ovvero, portando tutti i termini relativi ad uno stesso corpo dallo stesso lato delle equazioni:

m (v − v1) = M v2

m(

v2 − v21

)

= M v22

e, dividendo membro a membrov2 = v + v1

per cuim (v − v1) = M (v + v1)

da cui si ricavano le due velocita

v1 =m − M

m + Mv

e

v2 =2 m

m + Mv

Durante il moto di risalita si ha conservazione dell’energia e quindi, detta L la lunghezza percorsasi ha:

1

2M v2

2 = M g L sin θ

e di conseguenza

L =1

2 sin θv2 =

1

2 sin θ

2 m

m + Mv =

m

(m + M) sin θv

che numericamente fornisce

L =3

(3 + 7) sin 30× 1.5 = 0.9m

Svolgimento dell’esercizio 7.13 :

Nel percorrere il giro completo il corpo e soggetto alla forza peso ed alla forza centrifuga. Tale forzadipende dalla velocita ed a sua volta la velocita del corpo diminuisce mentre il corpo compie la curvaperche l’energia cinetica diminuisce mentre aumenta l’energia potenziale. Ne consegue che il valoreminimo della forza centrifuga lo si ha in corrispondenza del punto piu alto della curva. Consideriamoquindi l’equilibrio in questo punto:

m g = mv2

R

per cui deve risultarev =

g R

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7.10. SOLUZIONI 165

D’altra parte durante la discesa vale la conservazione dell’energia e quindi:

m g H = 2 m g R +1

2m v2

che, sostituendo il valotre trovato precedentemente per la velocita, fornisce

m g H = 2 m g R +1

2m g R =

5

2m g R

Di conseguenza l’altezza minima da cui deve cadere il corpo e

Hmin =5

2R = 1.5m