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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2008 Paper numero 85 Sergio ALBERTINI - Caterina MUZZI LA DIFFUSIONE DELLE ICT NEI SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI: UNA RIFLESSIONE TEORICA ED UNA PROPOSTA METODOLOGICA

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2008

Paper numero 85

Sergio ALBERTINI - Caterina MUZZI

LA DIFFUSIONE DELLE ICT NEI SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI:

UNA RIFLESSIONE TEORICA ED UNA PROPOSTA METODOLOGICA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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LA DIFFUSIONE DELLE ICT NEI SISTEMI PRODUTTIVI

LOCALI: UNA RIFLESSIONE TEORICA ED UNA PROPOSTA METODOLOGICA

di Sergio ALBERTINI

Straordinario di Organizzazione Aziendale Università degli Studi di Brescia

e

Caterina MUZZI Assegnista di Ricerca Dipartimento di Economia Aziendale

Università degli Studi di Brescia

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Indice

Introduzione............................................................................................... 1

1. Quadro teorico....................................................................................... 3

1.2. Adozione e utilizzo dell’ICT ......................................................... 5

1.2.1 L’adozione ................................................................................ 6 1.2.2 L’utilizzo................................................................................... 8

1.3. ICT e territorio............................................................................. 10

1.3.1. L’apprendimento a livello distrettuale .................................. 10 1.3.2 Il ruolo dell’impresa leader ................................................... 11

1.4. Gli approcci sistemici .................................................................. 12

2. Quadro metodologico .......................................................................... 15

2.1 Le variabili................................................................................... 18

2.1.1 Adozione e utilizzo: operazionalizzazione.............................. 18 2.1.2 Le variabili descrittive............................................................ 19 2.1.3 Le variabili esplicative interne............................................... 21 2.1.4 Le variabili esplicative relazionali......................................... 22

2.2 Strumenti di rilevazione e di analisi ............................................ 24

Bibliografia.............................................................................................. 26

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La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica

Introduzione

Il presente working paper rappresenta la sintesi di una parte del lavoro di ricerca svolto dall’unità del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Brescia nell’ambito del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN 2005) cofinanziato dal Miur e dedicato a “Benchmarking territoriale: strumenti per l’analisi della performance e della competitività dei sistemi produttivi locali” e che ha vistola partecipazione delle Università di Milano (coordinatore nazionale), Firenze, Lecce e l’Aquila. Le linee guida della ricerca dell’unità bresciana – focalizzata su “Risorse umane e tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei modelli di governance delle PMI e dei sistemi territoriali locali” – sono state più ampie e articolate1 rispetto al contenuto questo contributo che propone una riflessione specifica sul problema cruciale della diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei sistemi produttivi locali.

Il lavoro è articolato in due parti. Nella prima si presenta il quadro teorico di riferimento, nella seconda si costruisce una proposta metodologica articolata finalizzata alla realizzazione di indagini dirette sul campo. Dal quadro teorico emerge come uno dei nodi oggi cruciali sia rappresentato dal passaggio – inevitabile e necessario – dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali da sistemi territoriali relazionali “contestuali” a reti inter-impresa supportate e potenziate dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, quindi, dalla diffusione di conoscenza codificata.

I distretti e i sistemi locali italiani sarebbero in ritardo all’interno di tale processo evolutivo - più che sul piano delle decisioni di investimento in ICT – sulle modalità di adozione, introduzione e utilizzo di tali tecnologie che sarebbero fortemente frenate e limitate dai modelli organizzativi prevalenti delle imprese e dei territori. Al riguardo sembrerebbe quindi opportuno adottare una “prospettiva organizzativa” (contrapposta a quella strettamente tecnologica) per mettere a fuoco i fattori e le condizioni organizzative su cui fare leva per massimizzare i vantaggi delle opportunità provenienti dalle nuove tecnologie (Albertini, Maraschini, Visintin, 2004). In questa direzione la prima parte del paper offre una rassegna della letteratura a tre livelli di analisi organizzativa: di impresa, di sistema-rete territoriale di imprese e degli attori istituzionali con particolare riguardo alle strutture formative.

1 Cfr. Castellani M., Muzzi C. “ICT, capitale umano e territorio: una proposta

metodologica”, in corso di pubblicazione in Pilotti (a cura di) Benchmarking territoriale e competitività dei sistemi produttivi locali, CEDAM, Padova.

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Dal quadro teorico disponibile emerge come la complementarità tra innovazione tecnologica e innovazione organizzativa non sia automatica ma richiede di essere “costruita” e realizzata in modo intenzionale spostando l’enfasi dall’offerta alla domanda di nuove tecnologie. L’esplicitazione di una domanda consapevole richiede la trasformazione della conoscenza contestuale del sistema locale (su cui è tradizionalmente fondato il vantaggio competitivo dei distretti industriali) in conoscenza formale e codificata per accedere a reti inter-organizzative aperte oltre i confini territoriali. In questo modo l’adozione e l’utilizzo delle ICT non debbono limitarsi a favorire la socializzazione della conoscenza già presente ma contribuire in modo strategico allo sviluppo di un nuovo modello di apprendimento “da interazione”, aperto e in rete (dalla adozione “adattiva” di ICT alla adozione “creativa”). In questa direzione risulta fondamentale il supporto degli attori istituzionali sul piano della formazione e della ricerca&sviluppo.

Il quadro metodologico illustrato nella seconda parte del paper è – coerentemente con i suggerimenti della letteratura considerata – finalizzato alla individuazione e definizione delle specifiche variabili e dei fattori critici per la valorizzazione delle nuove tecnologie in termini di produttività e competitività delle imprese e dei sistemi locali.

L’operazionalizzazione delle linee guida teoriche proposte – di particolare utilità anche per il rinnovamento della politica industriale dei policy maker – riguarda in particolare le imprese sub-fornitrici (o meglio fornitrici di rete) che operano in un contesto relazionale inter-organizzativo a monte e a valle della loro attività. Il quadro metodologico comprende tre gruppi di variabili (descrittive, esplicative interne, esplicative relazionali) che – considerate congiuntamente - permettono l’individuazione di diversi profili di impresa, accoppiabili con i diversi sistemi produttivi locali a cui le imprese appartengono. L’output dovrebbe consentire il benchmarking territoriale con le conseguenti indicazioni in termini di punti di debolezza esistenti e di aree/politiche di intervento auspicabili.

Dopo aver chiarito la differenza di fondo tra adozione (possesso) di una nuova tecnologia e utilizzo “proprio” ed efficace della stessa, il quadro metodologico individua le specifiche variabili che, solo in piccola parte sono di carattere strutturale (ad esempio la dimensione) ma che riguardano prevalentemente aspetti comportamentali e strategici (ad esempio, età dell’imprenditore, innovatività, fiducia).

La bontà del framework metodologico – a nostro parere rigoroso e coerente sul piano logico e analitico – richiederà una puntuale verifica sul campo tramite il suo utilizzo in una indagine empirica progettata ad hoc. Per questa ragione il paper in conclusione suggerisce strumenti e modalità di rilevazione dei dati (questionario ad hoc da somministrare ai vertici delle

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imprese coinvolte) nonché riferimenti alle possibili modalità di analisi ed elaborazione adatte alle finalità di ricerca.

1. Quadro teorico

La letteratura si è occupata negli anni, ed in maniera trasversale a diversi ambiti di analisi, del problema dell’impatto della diffusione delle ICT sui processi di business e sulla produttività delle imprese. Una particolare attenzione è stata prestata ai fenomeni di networking tra imprese supportati dalle nuove tecnologie, riconoscendo il potenziale, in termini di diffusione della conoscenza e dell’innovazione, di una struttura reticolare di organizzazione della produzione sia a livello territoriale sia di networking attraverso il Web. In particolare la dimensione territoriale acquista un ruolo sempre più centrale come driver dell’innovazione: il territorio è lo spazio relazionale, il “software culturale” (Bramanti, 2004) attraverso il quale conoscenza e innovazione si creano, si modificano e si diffondono. Il comportamento e la performance d’impresa si contestualizzano dunque nel territorio e la competitività stessa si sposta a livello di territorio come sistema sociale locale che compete per il raggiungimento del “vantaggio competitivo assoluto” (Camagni, 2002). Su questo vantaggio assoluto molti distretti italiani sono riusciti ad avere una visibilità internazionale che consente loro di offrire un alto livello di qualità di vita ai loro abitanti. Proprio oggi che la competitività passa anche dal Web, ci si interroga su quali siano gli impatti della diffusione (o della mancata diffusione) delle ICT sulla competitività a livello territoriale in generale e distrettuale in particolare.

Molti sono i casi di successo di sinergia tra reti di ICT e reti territoriali, ma molti di più sono i casi in cui l’integrazione non è avvenuta (tra gli altri Muzzi e Kautz, 2004; Bramanti e Ordanini, 2004; Trenti e Chiarvesio, 2006). Numerosi sono, in letteratura, gli studi sulle aggregazioni di imprese in cluster (Porter, 1998), distretti industriali (Becattini, 1990; Biggiero, 1999), learning regions (Cooke e Morgan, 1998), milieux innovateurs (Camagni, 1991; Maillat e Lecoq, 1992), distretti virtuali o digitali (Federcomin, 2003; Chiarvesio et al., 2004). La proliferazione di studi e, soprattutto, i diversi approcci metodologici utilizzati, rendono tuttavia difficoltosa una valutazione comparativa che permetta di evidenziare quali siano in concreto i fattori critici di successo che possano innescare dinami-che virtuose nell’interazione tra ICT e competitività dei network di imprese territorialmente contigue e quali siano, di converso, i fattori che impediscono tali circoli virtuosi.

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Le dinamiche sottostanti il processo di diffusione dell’innovazione e, dunque, la decisione di adozione di un’innovazione, che sia essa di prodotto o di processo, da parte della singola impresa, costituiscono il nodo cruciale dell’analisi dei potenziali impatti delle ICT sulla produttività e sulla innovatività delle imprese (Trento e Warglien, 2003; Capello e Spairani, 2003). Questi aspetti sono tanto più rilevanti nel panorama economico i-taliano, del quale le rilevazioni periodiche della Banca d’Italia, della Community Innovation Survey (CIS) e dell’European Innovation Scorebo-ard(2)(EIS) presentano uno scenario tutt’altro che rassicurante (Evangelista et al., 2001; Ciciotti e Rizzi, 2003; Antolini e Ciccarelli, 2007), in particolare relativamente all’innovatività delle piccole e micro-imprese che costituiscono più del 90% delle imprese italiane. L’ultima edizione disponibile dell’EIS (2006) vede l’Italia con un indice di innovazione decisamente inferiore alla media UE a 25 paesi (0,34 contro lo 0,50 della media UE-25), evidenziando un gap strutturale piuttosto preoccupante a livello paese.

Tuttavia, come più volte sottolineato in letteratura, i dati aggregati forniti dalle survey sono poco esplicativi sulle determinanti dei risultati, così come molti studi a livello di network di imprese, o di sistema locale di produzione (tra gli altri: Antonelli, 2006; Asheim e Isaksen, 2003; Maskell, 2003; Trento e Warglien, 2003; Lööf e Broström, 2008) tendono a sacrificare la dimensione organizzativa d’impresa a vantaggio dell’analisi delle dinamiche sistemiche e di rete. Tali sudi sono concordi nell’evidenziare un generale ritardo nelle diffusione delle ICT nei distretti industriali italiani, ma diver-genti sono le motivazioni avanzate per spiegare tale resistenza(3).Per superare questo problema interpretativo è necessario dunque integrare l’analisi con delle riflessioni che partono dall’esame del comportamento delle singole imprese distrettuali nel processo di diffusione dell’innovazione, per poi introdurre nell’analisi la componente territoriale e quella sistemica.

Numerosi sono gli studi volti ad investigare il problema dell’adozione e della diffusione delle ICT dal punto di vista delle singole organizzazioni (Dewar e Dutton, 1986; Orlikowski, 2000; Tabak e Barr, 1999, Lai e Guynes, 1997) cercando di mettere in luce gli ostacoli all’adozione (e quindi alla diffusione) delle ICT, ma il dato che emerge dalla maggior parte degli studi è come il problema non sia la scelta di adozione di per sé, quanto

2 La metodologia utilizzata consiste nella suddivisione del concetto di innovazione in

cinque categorie (per un totale di 25 indicatori ricavati su dati EUROSTAT e OECD): Innovation Drivers, Knowledge Creation, Innovation & Entrepreneurship, Application and Intellectual Property

3 Nel 1997 Micelli e De Pietro definivano i distretti “reti senza tecnologia”.

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l’inadeguatezza del sistema organizzativo sottostante, spesso non pronto ad accogliere l’innovazione, unitamente alla mancanza di un “agire di sistema” da parte dei driver istituzionali dell’innovazione (università, centri di ricerca, istituzioni) a livello territoriale (Etzkowitz e Leydesdorff, 2000). Questo dato sposta il focus dell’attenzione dalle determinati dell’adozione come punto di arrivo del processo decisionale innovativo (Antonelli, 2006) alle dinamiche di utilizzo dell’innovazione all’interno delle diverse organizzazioni ed alla percezione che le organizzazioni stesse hanno del loro coinvolgimento nel network innovativo territoriale. A tal proposito, Capello e Spairani (2003), in un’indagine condotta su circa 180 imprese localizzate in tutta Italia, hanno dimostrato, da un lato, come le determinanti dell’adozione delle ICT e quelle che ne spiegano l’utilizzo siano fondamentalmente diverse (sottolineando dunque la necessità di studiare i due processi separatamente), e, dall’altro, come i meccanismi di diffusione della conoscenza legati al territorio (Camagni e Capello, 2002) rivestano un ruolo fondamentale nell’utilizzo strategico delle ICT, riportando dunque nuovamente l’attenzione sulla dimensione territoriale della diffusione delle ICT.

Il fenomeno della diffusione dell’ICT nei distretti e dei suoi impatti sulla competitività del territorio deve dunque essere studiato partendo dall’analisi dei fattori critici di successo interni alle imprese, passando poi all’analisi del radicamento territoriale e contestuale delle imprese stesse, fino a giungere ad un livello ulteriore che comprenda una visione sistemica delle dinamiche innovative, coinvolgendo anche attori istituzionali e di formazione.

L’obiettivo di questa prima parte è di offrire una disamina delle principali teorie che si sono occupate della diffusione dell’innovazione a questi tre livelli di analisi, mentre una sistematizzazione metodologica verrà presentata nella seconda parte del lavoro.

1.2. Adozione e utilizzo dell’ICT Partendo dall’analisi del comportamento a livello di singola impresa, è

possibile individuare due gradi filoni di studi che analizzano la decisione di adozione da un lato e le dinamiche di utilizzo dell’ICT dall’altro. Indubbiamente il primo filone è il più ricco di contributi specifici ed è necessario focalizzarsi sui contributi più consolidati per poter dare una prima sistematizzazione alla teoria; mentre il secondo filone è stato piuttosto ignorato dalle discipline più technology-based, mentre è possibile attingere agli studi di matrice organizzativa e sociologica.

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1.2.1 L’adozione

Per quanto riguarda il primo filone, due sono le principali linee interpretative della decisione di adozione: da un lato gli studi di matrice information system management, dall’altro quelli di knowledge management. Nell’ambito degli studi di information systems management, uno dei modelli di adozione più diffusi anche nella letteratura sui sistemi informativi è quello proposto da Rogers (1995) e numerosi sono gli studi che si sono proposti di testare il modello in diversi contesti e per diverse tecnologie. Tuttavia, uno dei principali limiti del modello a stadi di Rogers (basato su una diffusione di tipo epidemiologico dell’innovazione) è il fatto che poggi su una logica preminentemente neoclassica, secondo la quale gli attributi dell’innovazione ed il beneficio per il potenziale adottatore sono elementi necessari e sufficienti per prevedere il comportamento (adozione o non adozione). Si rimane dunque in una prospettiva di determinismo tecnologico.

In una review della letteratura sull’adozione e l’implementazione dei sistemi informativi Kwon e Zmud (1987) hanno identificato cinque filoni di ricerca: (i) il filone fattoriale; (ii) il filone del mutual understanding; (iii) il filone processuale; (iv) il filone politico ed (v) il filone prescrittivo.

La maggior parte degli studi sull’adozione utilizzano tuttavia o un approccio fattoriale o uno processuale (Prescott e Conger, 1995). L’approccio fattoriale è volto ad identificare le forze statiche che conducono all’adozione, mentre quello processuale si propone di analizzare le dinamiche dell’adozione e dell’implementazione esaminando i comportamenti degli stakeholder nel tempo (Cooper e Zmud, 1990). L’approccio fattoriale, o della varianza (Markus e Robey, 1988), ha come scopo l’identificazione delle variabili che sono potenzialmente rilevanti per l’adozione e per un’implementazione efficace di un sistema informativo (Cooper e Zmud, 1990), fornendo una spiegazione del fenomeno in termini di relazioni tra variabili dipendenti ed indipendenti (Langley, 1999). A questo scopo sono state esaminate numerose variabili in diversi contesti di ricerca (Kwon e Zmud, 1987) sebbene i risultati siano ancora piuttosto contrastanti tra loro.

L’approccio processuale, o stage approach, implica la realizzazione di studi approfonditi sulla sequenza di eventi che conducono alla decisione di adottare all’interno di una organizzazione, privilegiando l’evoluzione del contesto sociale in cui l’innovazione viene implementata rispetto alla dimensione tecnologica (Kwon e Zmud, 1987). Si tratta dunque di un approccio fondamentalmente longitudinale in cui la ricerca viene condotta per casi di studio a livello di singole organizzazioni.

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E’ diffusa in letteratura la convinzione che i diversi approcci, fattoriale e processuale, non debbano essere considerati mutuamente esclusivi, ma anzi debbano essere applicati congiuntamente, laddove possibile, al fine di incrementare il potere esplicativo dei modelli e ridurre le inconsistenze (Langley, 1999, Mingers, 2001).

Numerosi studi si sono interessati dell’adozione delle ICT nelle piccole imprese in relazione agli incentivi all’adozione (Thong, 1999) ed agli inibitori (Chau, 2001). Il denominatore comune di questi studi è il fatto che includono nell’analisi variabili sia di tipo organizzativo sia interorganizzativo. L’adozione di ICT che impattino sui processi di business implica infatti cooperazione e impegno da parte di tutti i membri del sistema coinvolti, i quali possono essere legati da relazioni di affari ed economiche piuttosto complesse. Tutto questo implica che l’analisi debba considerare fattori sociali, politici ed economici come motivanti all’adozione.

La complessità dipende anche dal fatto che nel processo decisionale organizzativo sono coinvolti numerosi individui portatori di interessi diversi, e quindi è necessario bilanciare ruoli individuali e dinamiche di gruppo. Inoltre l’adozione di solito richiede un adattamento della struttura organizzativa, che può risultare in un cambiamento nelle routine e nella cultura organizzative (Tabak e Barr, 1999; Trento e Warglien, 2003). Le ICT implicano spesso una riorganizzazione dei processi interni e della forza lavoro, tutti fattori che devono essere presi in considerazione quando si analizza una decisione di adozione, la quale va dunque al di là della semplice accettazione della tecnologia come suggerito dal Technology Acceptance Model (Davis et al., 1989).

Per quanto concerne gli studi di knowledge management in relazione alla diffusione delle innovazioni, in letteratura è possibile individuare diverse scuole di pensiero che partono da due postulati differenti sulla concezione della conoscenza nelle organizzazioni (Hargadon e Fanelli, 2002).

Da un lato ci sono gli approcci che si focalizzano sulle qualità empiriche della conoscenza la quale esiste dunque nelle azioni dell’organizzazione, come tecnologie, routine, processi prodotti e database (Nelson e Winter, 1982; Levitt e March, 1988; Huber, 1991). Le problematiche di interesse di questo approccio riguardano come le organizzazioni ed i loro membri acquisiscono, conservano, raccolgono, processano, distribuiscono, apprendono, codificano e, in generale, replicano la conoscenza esistente (Hargadon e Fanelli, 2002). In quest’ottica, dunque, la conoscenza fornisce alle organizzazioni il potenziale per le nuove azioni ed il processo di costruzione di nuove azioni spesso implica la ricerca di combinazioni ed utilizzi diversi di idee precedenti (Kogut e Zander, 1992).

Dall’altro lato ci sono gli approcci che si focalizzano sulle qualità emergenti e latenti della conoscenza. In quest’ottica la conoscenza

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rappresenta la possibilità per la generazione di nuovi artefatti organizzativi ed è composta dalle credenze e dai valori dei suoi membri. Essa è quindi radicata nel contesto, dinamica e continuamente soggetta a negoziazioni, trasformazioni, ridefinizioni e riconbinazioni (Kogut e Zander, 1992; Leonard-Barton, 1995; Nonaka e Takeuci, 1995). Ciò che interessa i teorici di questo approccio è il modo in cui le organizzazioni ed i suoi membri generano, creano, innovano e, in generale, producono nuove conoscenze che non esistevano prima.

Il focus è dunque sul processo che converte l’esperienza di un’organizzazione (quindi le sue azioni) in possibilità per future azioni. In tal modo la conoscenza organizzativa deriva dalle esperienze dei membri dell’organizzazione ed è conservata nella memoria degli individui e nelle routine, nei prodotti, nei processi ed in altre azioni replicabili (Huber, 1991). In quest’ottica dunque la conoscenza nasce dall’esperienza, e, come sottolineano Levinthal e March (1993), «lerning presumes interpretation of experience» (pag. 97).

Le due prospettive descritte si distanziano ulteriormente nella visione del ruolo dell’esperienza pregressa nel processo innovativo. Secondo Cohen e Levinthal (1990) l’apprendimento passato è una risorsa critica per l’innovazione futura: «the organization needs prior related knowledge to assimilate and use new knowledge» (pag. 128), mentre Leonard-Barton (1995) ed altri colleghi hanno mostrato come la conoscenza pregressa possa impedire l’innovazione futura: le core capability di un’organizzazione possono anche agire come core rigidity che impediscano all’organizzazione ulteriori cambiamenti.

Da questa breve disamina della letteratura emerge come la decisione di adozione, interpretata come “atto di apprendimento”, coinvolga l’organizzazione nel suo complesso, a partire dai singoli individui che la compongono sino alle routine ed alla memoria collettiva in esse conservata.

1.2.2 L’utilizzo

Come già sottolineato, tuttavia, adottare un’innovazione, in generale, d una ICT n particolare, non significa automaticamente utilizzare in modo proprio l’innovazione. Antonelli (2006) si riferisce all’innovazione come ad un atto di “adozione creativa”, dove per creativa si intendono le capacità organizzative di fare propria un’innovazione. Dal punto di vista strutturale, i vincoli che possono limitare un adeguato utilizzo di una innovazione sono quelli che vengono solitamente associati ai cambiamenti organizzativi: lo skill shortage, vincoli di natura economico-finanziaria, la mancanza di adeguate forme di comunicazione del cambiamento e ostacoli cognitivi da parte del management. Questi fattor fanno dunque venire meno quelle che

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Trento e Warglien (2003) definiscono “pre-condizioni” organizzative necessarie per sfruttare i vantaggi in termini di incremento della produttività derivanti dall’utilizzo dell’ICT.

Vale tuttavia la pena di fare un’ulteriore riflessione sulle interazioni tra utilizzo di un’innovazione ed il tessuto sociale organizzativo in cui essa si innesta.

Tra le teorie che si occupano dell’utilizzo dell’ICT nelle organizzazioni, l’ Adaptive Structuration Theory (Poole e DeSanctis, 1990) è probabilmente quella che meglio riassume l’interazione tra struttura sociale organizzativa e l’introduzione di una nuova tecnologia. Pur concentrandosi su di un’analisi di tipo sociologico, senza quindi studiare le problematiche di tipo economico e di gestione delle risorse aziendali, questa teoria offre significativi spunti per comprendere come l’utilizzo delle nuove tecnologie sia fortemente dipendente dalle dinamiche sociali interne ad un’organizzazione o ad una rete di imprese come sono i distretti industriali (Albertini e Pilotti, 1996).

Gli autori partono dal presupposto che le organizzazioni sono gruppi sociali che si organizzano intorno a regole sociali sia esplicite sia implicite. L’impatto dell’ICT deve essere quindi studiato in relazione alle strutture ed al ruolo che le nuove tecnologie rivestono nelle interazioni di gruppo. Qui il termine “struttura” viene utilizzato in una accezione particolare: si fa infatti riferimento ai concetti introdotti da Giddens (1984) di sistema e strutture. Un sistema è un’entità sociale, come un gruppo o un’organizzazione, che, attraverso una serie di procedure, dà vita a dinamiche di interazione strutturate ed osservabili. Le strutture sono le norme e le risorse che gli attori utilizzano per generare e sostenere tale sistema. Un sistema sociale è dunque frutto della strutturazione delle relazioni tra i membri che lo compongono. In questo quadro, le ICT hanno le potenzialità per introdurre nuove norme di interazione e risorse (in termini di conoscenze e informazioni) che possono essere utilizzate dal sistema sociale nel processo di strutturazione. Poole e DeSanctis (1990) hanno individuato due aspetti delle strutture tecnologiche: lo spirito, ossia gli obiettivi e le finalità che una tecnologia può sostenere (es. l’e-mail può favorire lo scambio di informazioni in azienda) e gli aspetti strutturali delle dinamiche sociali (es. ogni mattina è previsto un briefing per ogni ufficio). Più in generale, dunque, una caratteristica strutturale è una specifica norma o risorsa del gruppo sociale, mentre lo spirito è il principio di coerenza che raccoglie un insieme di regole e risorse. Il processo di strutturazione avviene attraverso l’interazione tra l’utilizzo da parte membri del gruppo delle norme e delle risorse e la modifica delle norme e delle risorse stesse che deriva dall’utilizzo. Semplificando dunque si potrebbe dire che l’adozione dell’e-mail in un’organizzazione di per sé non garantisce un aumento della

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comunicazione se i membri dell’organizzazione non la utilizzano per comunicare o non la ritengono un mezzo di comunicazione adatto alle pratiche sociali in essere in azienda (se, ad esempio, si preferisce lo scambio di informazioni di persona piuttosto che per iscritto). Si parla dunque di “appropriazione” di una tecnologia da parte di un gruppo sociale quando lo spirito della tecnologia viene modificato, tramite l’utilizzo, dalle strutture sociali esistenti e queste ultime, a loro volta, vengono modificate dall’introduzione dell’innovazione.

1.3. ICT e territorio L’analisi della diffusione di un’innovazione a livello distrettuale trova le

sue basi nelle teorie che spiegano le dinamiche di apprendimento a livello territoriale. Alla base di questa tipologia di studi è implicita l’assunzione che adottare un’innovazione significhi implicitamente anche utilizzarla, proprio per il focus principalmente inter-aziendale che tali studi hanno.

Diversi sono i modelli proposti in letteratura, ma, come accennato in precedenza, spesso risulta comunque di difficile interpretazione la resistenza di alcuni distretti italiani verso l’adozione delle ICT ed una prima spiegazione può essere dovuta proprio al presupposto a cui si accennava: la mancanza di un legame di indagine tra diversi livelli analitici (organizzativo, interorganizzativo e sistemico).

1.3.1. L’apprendimento a livello distrettuale

Abbiamo già evidenziato nei paragrafi precedenti come innovare sia frutto di un processo di apprendimento che coinvolge l’organizzazione nel suo complesso. All’interno dei distretti industriali si aggiunge una componente fondamentale per comprendere le dinamiche di diffusione delle innovazioni al loro interno: la dimensione territoriale che porta con sé delle dinamiche relazionali tra imprese molto particolari, come vedremo nel prosieguo del lavoro.

La tassonomia proposta da Lipparini e Lorenzoni (1996), evidenzia tre modalità principali di apprendimento all’interno dei distretti industriali.

Per i teorici della specializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984) le imprese imparano concentrandosi su alcune operazioni a livello prevalentemente produttivo sperimentando e dedicandosi a compiti particolari (learning by specialising). In quest’ottica prevale la consapevolezza di una forte interdipendenza tra le imprese distrettuali in ottica di mercato perché ognuna di esse è portatrice di competenze distintive all’interno del sistema. Allo stesso tempo, la contenuta divisione interna del lavoro favorisce le dinamiche esperienziali e i processi di learning by doing fra le persone direttamente coinvolte nei processi produttivi poiché fa sì che

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l’ambito di esperienza degli individui sia mediamente ampio, che la formazione degli addetti avvenga direttamente on the job e che la risoluzione collettiva dei problemi sia frequente (Grandinetti, 2002).

Il cosiddetto “approccio marshalliano” (Becattini 1990) vede la crescita e la diffusione delle conoscenze e dell’innovazione come effetto della localizzazione geografica delle imprese. L’appartenenza ad un sistema rappresenta la condizione essenziale per imparare a fare o per migliorare le conoscenza già possedute da un’impresa. In questa logica di apprendimento da localizzazione (learning by localizing) la conoscenza tra gli attori, l’osservazione diretta dei miglioramenti realizzati a prodotti e/o processi già esistenti nel sistema distrettuale consente di interiorizzare capacità e competenze in una logica incrementale. Si è dunque di fronte a fenomeni di apprendimento sociale (o vicario) (Wood e Bandura, 1989) in base ai quali i soggetti prendono decisioni in maniera non indipendente gli uni dagli altri, ma basandosi, oltre che sulle esperienze personali, anche sulle esperienze osservate o raccontate da altri.

Infine l’apprendimento da interazione (learning by interacting) si ritrova in imprese ad alta intensità relazionale che, operando in sistemi produttivi localizzati quali i distretti, pongono in essere azioni per organizzare attivamente i propri meccanismi di crescita (Pennings e Harianto, 1992; Lipparini e Lorenzoni, 1996). L’apprendimento cooperativo presuppone la volontà e la capacità da parte dell’impresa distrettuale di creare o entrare a far parte di network interorganizzativi basati sulla divisione del lavoro innovativo fra i nodi della rete, nei quali ogni componente è chiamata ad accrescere le competenze dell’intero network (Lipparini, 1995). Sotto il profilo cognitivo, l’apprendimento cooperativo richiede la capacità dei partner di scambiare conoscenza esplicita e tacita impegnandosi reciprocamente in forme diverse di conversione della conoscenza.

1.3.2 Il ruolo dell’impresa leader

Corò e Grandinetti (1999) hanno evidenziato una tendenza verso l’apertura dei distretti italiani ai contatti con l’“esterno”, non più solo per l’acquisto di materie prime e vendita di prodotti finali, ma anche in relazioni che riguardano le risorse e lo scambio di conoscenza. Il fenomeno si è manifestato con tre tendenze: un piccolo numero di imprese inizia a proiettare le proprie relazioni all’esterno assumendo all’interno del distretto la funzione di imprese guida del sistema locale di produzione; un numero consistente di imprese stabilisce relazioni esterne al distretto; acquisizioni o fusioni delle imprese distrettuali con imprese esterne, in particolare, multinazionali. Quando si parla di impresa leader bisogna subito chiarire che si tratta di una impresa i cui processi decisionali sono capaci di

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influenzare il sistema di relazioni distrettuali, in genere si tratta di decisioni strategiche che escono fuori dallo schema usuale del distretto comportando una innovazione nei comportamenti strategici.

La nascita di leaders presenta vari percorsi evolutivi. L’impresa guida può, infatti, determinare la formazione di gruppi attraverso l’acquisizione di altre imprese: le tipologie verificate nella realtà sono varie e vanno dalla multinazionale al piccolo gruppo in cui un’impresa detiene partecipazioni di controllo, o anche semplici gruppi informali in cui gli azionisti indipendentemente acquistano o costituiscono un’altra impresa.

Il secondo pattern evolutivo riguarda l’introduzione di un’innovazione complessa da parte dei leaders: si tratta di innovazione che riguarda tutto il sistema produttivo e non più un singolo macchinario o una singola fase della produzione; è un’innovazione che richiede una forte componente di conoscenza formale per essere trasferita all’interno del distretto, ma questo può comportare un ostacolo poiché non tutti possiedono il linguaggio tecnico appropriato per questo tipo di scambio, in cui meccanismi usuali, quali l’imitazione, non sembrano essere adeguati.

Ancora Corò e Grandinetti (1999) hanno osservato lo sviluppo all’interno dei distretti di attori forti, capaci di adottare un punto di vista strategico a lungo termine, di rispondere adeguatamente alle variazioni del contesto economico e addirittura di poterle anticipare. La prima conseguenza è che si modifica il modello evolutivo del distretto tradizionale. E’stato, infatti, sottolineato come nei distretti operassero meccanismi di selezione quasi-darwiniani basati sul comportamento imitativo diffuso fra le imprese. Con il mutare delle condizioni esterne, gli autori mettono in evidenza l’esistenza di un meccanismo più propriamente lamarckiano in cui divengono più importanti i processi di apprendimento, di cumulazione della conoscenza e trasferimento da una generazione all’altra, piuttosto che meccanismi imitativi fra le imprese. In questo quadro, quindi, il processo selettivo viene ad essere basato sull’acquisizione di risorse evolutive e quando queste sono gestite da pochi leader si hanno vantaggi riguardanti la mobilità delle risorse umane e la limitazione agli spin-offs.

1.4. Gli approcci sistemici Il terzo livello di analisi delle dinamiche di diffusione dell’innovazione è

quello sistemico, dove per sistemico si intende un approccio che abbracci tutti gli stakeholder del processo innovativo e la loro contestualizzazione territoriale.

Gli economisti evolutivi hanno dato un grande contributo alla teorizzazione della diffusione dell’innovazione in un’ottica sistemica. Il concetto stesso di “sistema d’innovazione” (Lundvall, 1992) suggerisce una

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visione olistica delle relazioni che sussistono tra i diversi attori coinvolti nel processo innovativo e di evoluzione industriale ed infatti gli sviluppi più recenti della teoria evolutiva si sono concentrati sull’analisi della relazione tra innovazione, dinamica industriale ed evoluzione strutturale, quest’ultima intesa come processo di trasformazione industriale, cioè di cambiamento nei prodotti e nelle tecniche produttive, di crescita e mutamento nei confini dell’impresa e/o del suo assetto istituzionale (Malerba, 2000).

La coevoluzione si riferisce al mutamento congiunto ed interdipendente tra tecnologia, competenze, strategie ed organizzazione di impresa, struttura di mercato, domanda ed istituzioni che ha luogo durante l’evoluzione di un’industria (Malerba, 2000). Si tratta di una prospettiva di analisi molto ampia che include elementi a livello organizzativo (l’evoluzione delle competenze e delle capacità), a livello inter-organizzativo (le scelte di make or buy e di networking interaziendale), a livello settoriale (l’analisi della concorrenza e dei potenziali nuovi entranti), e infine a livello di intero sistema economico con l’analisi del ruolo di altri attori quali le istituzioni governative e finanziarie e le università..

In questo approccio non viene analizzato tuttavia il ruolo delle istituzioni e delle università con specifico riferimento alla diffusione dell’innovazione, ma solo in relazione all’evoluzione industriale in generale. A colmare questo gap sono intervenuti Etzkowitz e Leydersdorff (2000) che hanno proposto il Triple Helix Model (THM) in sistemi d’innovazione knowledge-based. Secondo gli autori, nei sistemi nazionali o locali d’innovazione l’analisi della coevoluzione tra il mercato e le tecnologie e tra tecnologie ed istituzioni (Nelson, 1994) non è sufficiente a spiegare le dinamiche evolutive settoriali. Secondo Leydersdorff (2001), che definisce il proprio modello come “neo-evolutivo”, le tre interfacce (mercato, tecnologie, istituzioni) devono essere incluse contemporaneamente nello stesso modello perché gli effetti di ogni coppia di elementi retroagisce sulle altre coppie in maniera ricorsiva:

«Knowledge-based innovation is therefore a cultural achievement: the innovators themselves are reflexive with respect to previous solutions. Both the innovator(s) and the innovated system(s) are expected to be changed by innovation» (Leydersdorff, 2001, pag. 11).

Le configurazioni istituzionali nei sistemi knowledge-based sono considerate come il risultato di sub-dinamiche interagenti di sistemi in competizione tra loro: i) la dinamica economica della generazione di ricchezza; ii) la dinamica basata sulla conoscenza della ricostruzione ed innovazione nel tempo; e iii) il bisogno di controllo politico e manageriale. Nella storia, queste tre funzioni non hanno mostrato una corrispondenza biunivoca con l’industria, l’università e il governo, rispettivamente (Leydersdorff, 2002, pag. 1), invece la “contaminazione” di funzioni diverse

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attribuite o svolte dallo stesso attore, o viceversa, ha determinato quella coevoluzione e quel mutuo aggiustamento che sono alla base del THM. Il modello neo-evolutivo prevede due livelli (funzioni e istituzioni) che si influenzano a vicenda dando vita a dinamiche estremamente complesse. Ogni specifica configurazione delle relazioni università-industria-governo sono dunque dei casi specifici delle dinamiche della Tripla Elica in un sistema di innovazione knowledge-based.

Se i sistemi a doppia elica possono, in alcune circostanze, stabilizzarsi nella coevoluzione, le triple eliche tendono a manifestare dei comportamenti caotici che li mantengono in perenne transizione (Leydersdorff, 2002). Una tripla elica può contenere una doppia elica in temporanea stabilità, ma la coevoluzione con la terza elica provocherà un immediato allontanamento dalla situazione di stabilità. Le tre doppie eliche (industria-governo, industria-università, università-governo) su cui poggia il THM vanno continuamente in una situazione di lock-in in coevoluzioni locali, le quali «are expected to clot into provisional solutions shaping the ruggedness of the corrisponding landscapes» (Leydersdorff, 2001, pag. 8). Le configurazioni (clots) di dimensioni diverse conducono i loro rispettivi cicli di vita (lungo “traiettorie” storiche), ad esempio a livello di settore, mentre il contesto può essere considerato come un sistema di ordine superiore che costituisca un “regime” (Dosi, 1982). Delle biforcazioni modificano endogeneamente i due livelli di funzioni e istituzioni attraverso una serie di eventi e il “regime” è un effetto non lineare delle traiettorie, che a loro volta, sono le conseguenze attese di lock-in precedenti (Leydersdorff e Van den Besselaar, 1998). Gli attori della Tripla Elica e le loro funzioni mutano quindi per effetto delle mutazioni degli altri agenti del sistema, e i cambiamenti in un’elica non possono essere compresi senza tener conto delle interazioni precedenti con le altre eliche e della loro “storia”.

Il contributo del THM è dunque quello di fornire una chiave di lettura dinamica al concetto di sistema di innovazione proposto dagli economisti evolutivi “classici” ponendo l’accento sul ruolo delle istituzioni governative ed universitarie ed sulla storia delle loro relazioni con l’industria nel tempo nei diversi settori con particolare attenzione a quelli innovativi.

Dalla disamina della letteratura emerge come il fenomeno della diffusione delle ICT nei distretti industriali sia un fenomeno molto complesso ed articolato. Come già sottolineato, gli studi sull’argomento sono molto numerosi e prolifici di spunti per l’analisi. Si è cercato tuttavia di concentrare l’attenzione su quelle teorie che offrissero una maggiore strutturazione dei costrutti in modo che il passaggio all’elaborazione di una metodologia rigorosa fosse più agevole e coerente.

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Tabella 1.1 – Approcci teorici esaminati

Problema teorico Principali approcci Principali autori

Adozione delle ICT Approccio IS management Approccio KM

Markus e Robey, 1988 Kwon e Zmud, 1987 Chau, 2001 Tabak e Barr, 1999 Hargadon e Fanelli, 2002 Kogut e Zander, 1992 Nonaka e Takeuchi, 1995 Levinthal e March (1993)

Utilizzo delle ICT Approccio organizzativo Adaptive structuration Theory

Trento e Warglien, 2003 Poole e DeSanctis (1990)

ICT e territorio Apprendimento nei distretti industriali Impresa leader

Lipparini e Lorenzoni, 1996 Wood e Bandura, 1989 Grandinetti, 2002 Corò e Grandinetti, 1999

ICT e sistema di innovazione Coevoluzione Triple Helix Model

Malerba (2000) Etzkowitz e Leyersdorff, 2000 Leyersdorff, 2001, 2002

2. Quadro metodologico

Lo scopo di questa parte è quello di suggerire una metodologia di analisi per individuare i fattori critici di successo che favoriscono un’implementazione di successo delle ICT, ed evidenziare, di converso, le eventuali lacune da colmare o gli interventi necessari per migliorare la competitività territoriale attraverso questo driver. Sarà possibile così, implementando la metodologia qui proposta e attraverso un processo di

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benchmarking tra realtà distrettuali di successo ed altre che faticano a trovare la propria identità competitiva, individuare delle linee guida per i policy maker per mettere in atto misure volte a favorire l’acquisizione o il rafforzamento del vantaggio competitivo territoriale su scala nazionale ed internazionale. La metodologia presentata in questa sezione si propone di illustrare un percorso operativo ed applicativo quale possibile operazionalizzazione del quadro teorico esposto in precedenza. L’assunto di base è che questa metodologia si muove su una logica di “validità di costrutto”, ossia una logica centrata sul grado di coerenza con cui i costrutti teorici sono operazionalizzati, piuttosto che su una logica di “validità statistica” (Boca et al., 2007). Ci si concentrerà quindi esclusivamente sull’aderenza dell’osservazione dei fenomeni osservati rispetto ai costrutti teorici analizzati ed evidenziati nell’ambito del quadro teorico (Kazdin, 1992).

Come evidenziato nella parte teorica, il quadro di riferimento è rappresentato da un elemento-chiave nella determinazione del vantaggio competitivo di un distretto industriale: la capacità delle imprese distrettuali di adottare, ma soprattutto utilizzare, le ICT in modo efficace a supporto del proprio business. Oggetto dell’analisi saranno in particolare le imprese sub-fornitrici: la necessità di concentrarsi su questa tipologia di imprese nasce dalla considerazione del loro ruolo strategico nelle dinamiche di business e relazionali all’interno del distretto: per quanto concerne l’adozione e l’utilizzo delle ICT, infatti, dalla letteratura si evince come siano proprio le imprese “lontane” dal mercato finale a rappresentare l’anello debole del processo di diffusione dell’innovazione. La forte specializzazione, infatti, porta queste imprese a focalizzarsi sulle attività core, non attribuendo, ad esempio, alle dinamiche di comunicazione formalizzate interne ed esterne al distretto la giusta rilevanza (Tabak e Barr, 1999).

Il modello si propone dunque di individuare i profili di imprese con caratteristiche diverse tra loro rispetto all’adozione ed al grado di utilizzo delle ICT. Dopo aver definito ed operazionalizzato queste due variabili-chiave, le restanti variabili inserite in questa parte del modello si possono distinguere in tre grandi gruppi: (i) le variabili descrittive, che identificano degli attributi idiosincratici delle imprese ritenuti rilevanti ai fini della propensione ad adottare ed usare le ICT; (ii) le variabili esplicative interne che rilevano le motivazioni intrinseche all’impresa in relazione all’adozione ed all’uso delle ICT; (iii) le variabili esplicative relazionali, che individuano, invece, nella relazione con i diversi soggetti interni al distretto o SPL le motivazioni alla base della decisione di adottare o no e dell’utilizzo che eventualmente si faccia delle ICT.

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Tabella 2.1 – Quadri teorico e metodologico

Problema teorico Principali approcci Tipologie di variabili di riferimento nel modello

Adozione delle ICT Approccio IS management Approccio KM

Variabile binaria (si/no) Variabili descrittive e variabili esplicative interne

Utilizzo delle ICT Approccio organizzativo Adaptive structuration Theory

Grado di utilizzo Variabili descrittive e variabili esplicative interne

ICT e territorio Apprendimento nei distretti industriali Impresa leader

Variabili relazionali

ICT e sistema di innovazione Coevoluzione Triple Helix Model

Variabili relazionali

Gli output di questo modello saranno, dunque, dei profili di imprese che

si differenziano tra loro sia in base alla categoria di utilizzatore/non utilizzatore sia alle variabili descrittive, esplicative interne e relazionali. Incrociando poi questi profili con le caratteristiche di distretti a cui le diverse imprese appartengono, sarà possibile avere indicazioni in termini di benchmarking territoriale e saranno messe in evidenza le leve di intervento su cui agire per i policy maker locali e nazionali per sostenere lo sviluppo del territorio attraverso l’uso delle ICT.

Data la natura di tipo esplorativo dello studio proposto, non vengono formulate esplicite ipotesi di ricerca sulla natura dell’influenza delle variabili descrittive ed esplicative sulla decisione di adozione o sulle motivazioni dell’utilizzo.

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2.1 Le variabili

2.1.1 Adozione e utilizzo: operazionalizzazione

Ai fini di questa analisi, il concetto di adozione indica il possesso, da parte di un’impresa, di una specifica ICT in un dato momento. Il concetto di utilizzo, invece, implica che, di tale tecnologia, l’impresa faccia un uso “proprio”, in linea cioè con le potenzialità offerte dalla tecnologia stessa. Il possedere un sito Web, ad esempio, qualifica un’impresa come adottatrice, mentre il suo frequente aggiornamento, o un uso interattivo del sito con i clienti, la definisce come utilizzatrice. La necessità di distinguere tra adottatori ed utilizzatori nasce da numerose evidenze empiriche (si veda ad es: Capello e Spairani, 2003; Cicciotti et al., 2002) che mostrano come troppo spesso le imprese distrettuali si lascino coinvolgere in progetti di innovazione per motivazioni varie senza poi essere però in grado di sfruttare nella pratica le potenzialità delle ICT e, quindi, di usarle per applicarle ai processi i business.

Inoltre Capello e Spairani (2003) hanno osservato come le motivazioni che inducono all’adozione sono diverse da quelle che favoriscono l’utilizzo: nella loro ricerca condotta su un campione di circa 180 imprese con diverse localizzazioni geografiche in Italia è emerso come i fattori interni alle imprese (es. dimensione, competenze degli addetti e investimenti in R&S) siano i driver delle decisioni di adozione, mentre l’utilizzo viene spiegato in maniera più efficace dalle conoscenze fornite dal territorio locale in cui è immersa l’impresa attraverso le relazioni di business con clienti, fornitori, concorrenti e con il mercato del lavoro in generale.

Nel modello di analisi qui proposto, l’adozione viene misurata, oltre che con le classiche rilevazioni della spesa in ICT sul fatturato, anche attraverso specifici item nel quali si chiede alle imprese se possiedono o no una determinata tecnologia (es: se possiedono un dominio e-mail aziendale e, se sì, quante caselle e-mail sono attive; o se sono iscritte a portali territoriali, settoriali e così via).

Il grado di utilizzo, invece, viene misurato attraverso due blocchi di item: un primo blocco riguarda l’utilizzo delle principali ICT (Internet/e-mail, sito Web, e-commerce e Intranet), mentre il secondo blocco misura (seguendo in parte il lavoro di Capello e Spairani, 2003) il grado di utilizzo strategico delle ICT a supporto dei seguenti processi aziendali:

• R&S • Acquisti, produzione e logistica • Vendite e marketing (in Italia e all’estero) • Project management e pianificazione strategica • Comunicazione interna

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• Comunicazione istituzionale • Customer Satisfaction

2.1.2 Le variabili descrittive

La dimensione d’impresa è stata considerata come una delle caratteristiche più importanti nell’analisi dell’adozione dell’innovazione (Lind et al., 1989) ed è risultata essere rilevante sia per le grandi sia per le piccole imprese (Raymond, 1985). Gli studi più datati dimostrano come gli adottatori tendano ad essere in media più grandi dei non adottatori (Montazemi, 1988). Secondo l’autore ciò può dipendere dal fatto che le imprese di maggiori dimensioni possono destinare maggiori risorse sia finanziarie sia in termini di risorse umane, all’adozione ed all’uso delle nuove tecnologie. Inoltre, all’aumentare della dimensione aziendale, le necessità di coordinamento interno potrebbero aumentare, facendo diventare più impellenti le necessità di adozione di un sistema informativo (Yap, 1990). Al contrario, se si assume la dimensione d’impresa come una proxy del grado di formalizzazione delle procedure (Biggiero, 2004), una grande dimensione può costituire un ostacolo all’adozione dell’innovazione. Alcuni studi hanno infatti rilevato come gli adottatori tendano ad essere di dimensioni più ridotte: le imprese più piccole sono in grado di adottare le innovazioni grazie alla loro flessibilità che permette adattamenti relativamente veloci ai mutamenti nelle caratteristiche di contesto (Grover e Goslar, 1993). Uno studio più recente (Goode e Stevens, 2000) sull’innovazione del World Wide Web ha mostrato invece come non sussista relazione tra la dimensione d’impresa e l’adozione di internet.

L’età dell’impresa. Nella letteratura sulla diffusione dell’innovazione è stata rilevata una relazione diretta tra l’età dell’organizzazione e l’adozione delle nuove tecnologie. Molti studi hanno dimostrato come le imprese adottatrici fossero sul mercato da più tempo rispetto alle non adottatrici (Franz e Robey, 1986). La motivazione principale adotta in letteratura per spiegare tale relazione risiede nel fatto che un’impresa esistente da più tempo ha una maggiore esperienza nell’incorporare nelle routine organizzative le innovazioni (Evans, 1987). Tuttavia uno studio recente (Goode e Stevens, 2000) ha rilevato l’esistenza di una relazione negativa tra l’età d’impresa e l’attitudine ad adottare Internet. Questo risultato può però essere spiegato dal fatto che l’adozione di Internet si inserisce su delle piattaforme tecnologiche più avanzate rispetto ai legacy systems tradizionali e quindi un’impresa più antica potrebbe avere difficoltà ad effettuare la migrazione verso sistemi più evoluti.

L’esperienza precedente. Cohen e Levinthal (1990) sostengono che l’abilità nel valutare e utilizzare nuove conoscenze che provengono

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dall’esterno dell’organizzazione è in larga misura dipendente dal livello di conoscenze similari già possedute dall’organizzazione stessa. L’insieme di queste conoscenze, secondo gli autori, conferisce all’organizzazione gradi diversi di absorptive capacity, cioè «an ability to recognize the value of new information, assimilate it, and apply it to commercial ends» (p. 128).

L’innovatività dell’impresa. In letteratura emerge frequentemente il concetto della path dependency del processo di diffusione di un’innovazione, quindi anche una singola decisione di adozione può essere influenzata dal comportamento precedente dell’organizzazione nei confronti dell’innovazione in generale. Secondo Kogut e Zander (1992) l’innovazione nasce dalla capacità di combinare le conoscenze esistenti nell’organizzazione per crearne di nuove ed è quindi un processo di apprendimento incrementale. Gli autori introducono il concetto di “combinative capabilities” per illustrare questo meccanismo.

Le combinative capabilities di un’organizzazione relativamente alla sua innovatività, come definite da Kogut e Zander (1992), sono le capacità di generare nuove applicazioni dalla conoscenza esistente. Gli autori sostengono che tali capacità risiedono negli individui e costituiscono la componente tacita della conoscenza. Inoltre secondo gli autori «growth of knowledge is experiential, that is, it is the product of localised search as guided by a stable set of heuristics» (p. 392) ed è quindi un fenomeno fortemente path dependent. L’adozione di un’innovazione, in quanto fenomeno di apprendimento, è dunque influenzata dall’esperienza delle risorse umane presenti in azienda, dall’innovatività dell’azienda in generale, ovvero della sua capacità, e “abitudine” nel cogliere le “opportunità tecnologiche” (Scherer, 1965) dall’attitudine dell’impresa nei confronti dell’innovazione in esame. Investigare la “storia” dell’impresa nei confronti dell’innovazione, ovvero la sua attitudine innovativa, può dunque essere rilevante nell’analisi di una decisione di adozione.

L’età dell’imprenditore può influenzare le decisioni di adozione. Ricerche precedenti hanno evidenziato una relazione tra l’età e i cambiamenti nelle strategie (Wiersema e Bantel, 1992), le decisioni di compensazione (Hitt e Barr, 1989) e l’accettazione da parte degli utilizzatori di sistemi esperti (Liker e Sindi, 1997). Gli imprenditori più giovani hanno ricevuto una formazione più di recente e sono più aperti a nuove idee (Tabak e Barr, 1999). Secondo Hambrick e Mason (1984) l’età può influenzare le decisioni strategiche dei soggetti nella misura in cui gli imprenditori più giovani saranno più propensi al rischio e più aperti nell’accettare innovazioni radicali.

La generazione imprenditoriale. La proprietà delle imprese distrettuali si caratterizza spesso per il passaggio generazionale di padre in figlio della titolarità dell’azienda. I giovani iniziano in età giovanissima a lavorare

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nell’azienda del padre e ne rilevano poi gli incarichi quando il genitore si ritira dall’attività. Questo garantisce all’impresa una certa continuità gestionale, pur con la possibilità che nuove idee vengano immesse nella gestione dalla nuova generazione imprenditoriale (Minoja, 2002). In alcuni distretti in fase di declino, il cui mercato sia quindi caratterizzato da un eccesso di offerta rispetto alla domanda, è stato tuttavia rilevato come le nuove generazioni preferiscano non rimanere a continuare l’attività del padre, interrompendo così la continuità familiare nella gestione (Brunello e Bornello, 2003).

Un’impresa che da generazioni appartiene alla stessa famiglia si suppone che abbia un radicamento solido nel tessuto sociale ed economico del distretto, e che abbia sviluppato esperienze e competenze rilevanti nel settore di appartenenza. Proprio grazie a queste competenze, le imprese familiari pluri-generazionali costituiscono un benchmark interessante per valutare le decisioni di adozione di altre imprese che hanno meno storia e radicamento nel territorio.

March e Simon (1958) sostengono che ogni decisore apporta la sua prospettiva personale al processo decisionale, e che le decisioni complesse hanno delle componenti che dipendono fortemente dagli schemi cognitivi dei decisori. A livello distrettuale l’influenza delle caratteristiche dell’imprenditore acquista una rilevanza ancora maggiore data la piccola dimensione media delle imprese e la forte impronta imprenditoriale del processo decisionale organizzativo (Minoja, 2002). In questo studio, seguendo l’impostazione di Tabak e Barr (1999), sono prese in considerazione sia variabili demografiche relative all’imprenditore sia variabili di tipo cognitivo. In particolare, tra queste ultime si considera l’innovatività imprenditoriale misurata sia in termini di apertura al cambiamento, ossia di capacità di accogliere idee nuove, sia di proattività nel senso di capacità di accogliere l’innovazione tecnologica come punto di partenza per ulteriori innovazioni a livello organizzativo.

2.1.3 Le variabili esplicative interne

Questo gruppo di variabili individua le “spinte motivazionali” interne ad un’impresa che l’hanno spinta ad adottare ed utilizzare le ICT o che potrebbero costituire i driver per una futura decisione di adozione.

La letteratura ha individuato nella possibilità di migliorare la performance aziendale uno dei motivi principali sottostante l’adozione e l’utilizzo delle ICT. Da un lato, infatti, esse riducono i costi di transazione e le perdite in termini di coordinamento delle diverse attività, e dall’altro conducono al miglioramento delle routine intra ed inter-organizzative (Timmers, 1999). Legata a questo c’è anche volontà di migliorare le

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relazioni con clienti e fornitori e la propria posizione sul mercato: i vantaggi competitivi che si possono raggiungere attraverso l’adozione delle ICT sono, ad esempio, una maggiore competitività in termini di riduzione dei lead time e miglior servizio al cliente, nuove opportunità di business e di partnership.

La decisione di adottare ed usare le ICT può essere motivata dal voler sfruttare i possibili ritorni in termini di immagine che l’essere all’avanguardia nell’uso delle nuove tecnologie può implicare, come rilevato dalla teoria dei “fads and fashion” (Abrahamson, 1996).

Secondo Tornatzky e Fleischer (1990) l’adozione dell’innovazione è fortemente legata alla presenza in azienda di risorse umane di alta qualità e alla possibilità di acquisirne facilmente di nuove nel contesto territoriale di riferimento.

L’adeguatezza del tipo di produzione svolta dall’impresa ad essere promossa e commercializzata attraverso le ICT è una delle obiezioni più comuni mosse dalle imprese distrettuali alla diffusione del commercio elettronico e delle altre ICT (Micelli e Di Maria, 2000; Chiarvesio, 2002). In effetti si tratta, nella maggior parte dei casi, di una produzione manifatturiera e artigianale, in cui lo sviluppo del prodotto viene effettuato a stretto contatto con il cliente e l’acquisto delle materie prime deve mantenere un certo standard di qualità, sebbene le esperienze di alcuni distretti italiani abbiano mostrato un dato in controtendenza (Grandinetti, 2002; Corò et al., 1998).

Il problema dell’elevato costo delle innovazioni tecnologiche è da sempre un nodo cruciale nella diffusione delle innovazioni, ma non è tanto rilevante in costo dell’innovazione in sé, quanto il suo costo rapportato alle risorse finanziarie dell’impresa (OECD, 2003). Quindi, sebbene il costo dell’adozione sia di solito disponibile esogenamente, è comunque opportuno considerare anche la percezione del costo da parte delle imprese.

Il tema della sicurezza della tecnologia internet-based, sia in termini di rischi di attacchi da hacker e virus, sia in termini di sicurezza dei pagamenti (Afuah et al., 2002) per le transazioni online rappresentano un altro punto molto delicato ed un ostacolo diffuso all’adozione di queste tecnologie e Taranto (2002) evidenzia come le piccole e medie imprese siano in media ancora più sensibili delle grandi imprese alla sicurezza della tecnologia.

2.1.4 Le variabili esplicative relazionali

Questo gruppo di variabili valuta l’importanza percepita dalle imprese del coinvolgimento di una serie di attori in iniziative legate all’ICT.

Il modello della Tripla Elica (Leydesdorff, 2001) sostiene che l’apprendimento a livello distrettuale e l’evoluzione del sistema-distretto

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sono fenomeni di co-evoluzione che coinvolgono le imprese, le istituzioni ed il sistema scolastico. Le prime variabili esplicative di tipo relazionale vanno dunque a misurare l’importanza relativa per l’impresa della presenza delle istituzioni su scala nazionale e locale e del sistema scolastico e di ricerca sul territorio e del loro coinvolgimento in iniziative volte alla diffusione delle ICT.

Il distretto industriale è un iper-nerwork (Biggiero, 1999) che include attori diversi tra loro che interagiscono su livelli diversi. Il fatto di far parte di questo network stratificato di relazioni influenza il comportamento dell’impresa distrettuale (Minoja, 2002) ed i meccanismi di apprendimento organizzativo e collettivo (Lipparini e Lorenzoni, 1996), ed influisce dunque anche sulla decisione di adozione e sul successivo utilizzo.

La decisione di un’impresa ad adottare ed utilizzare un’innovazione può essere influenzata dallo status di adottatori o no dei soggetti con cui è in relazione d’affari lungo la catena del valore. In generale un uso pervasivo delle ICT richiede un’integrazione più stretta tra l’organizzazione ed i suoi clienti e fornitori (Zhu e Kraemer, 2002), quindi il fatto che l’utilizzo venga suggerito o stimolato da uno di questi soggetti potrebbe avere un effetto rilevante sulla decisione di adozione (Merthens, 2001).

Anche il fatto che i diretti concorrenti abbiano adottato un’innovazione può essere una variabile motivante per l’adozione e l’utilizzo. Gli studi sui distretti industriali (Becattini, 1989; Lipparini e Lorenzoni, 1996) hanno infatti sottolineato come l’apprendimento sociale, o vicario, sia uno dei meccanismi principali attraverso cui le imprese distrettuali scambiano conoscenze e know how.

La fiducia è uno dei meccanismi principali che regola le transazioni all’interno dei distretti (Kumar et al., 1998), ma è anche un tema molto diffuso nell’analisi della diffusione delle innovazioni interattive (Hart e Saunders, 1997) in quanto il grado di fiducia nei soggetti coinvolti nei progetti e nelle iniziative di implementazione delle ICT, sia come membri sia come promotori, aumenta la probabilità di atteggiamenti cooperativi e di condivisione delle informazioni.

L’ultima variabile relazionale inclusa nelle variabili esplicative è l’influenza delle decisioni delle imprese eventualmente appartenenti allo stesso gruppo industriale dell’impresa focale sulla sua decisione di adozione e utilizzo. La letteratura sui gruppi industriali e sulle diverse forme di collaborazione di tipo equity (Porter, 1998) ha evidenziato come l’appartenenza allo stesso gruppo di imprese faciliti la diffusione delle conoscenze e dell’innovazione tra imprese.

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2.2 Strumenti di rilevazione e di analisi

Le variabili sinora descritte possono essere rilevate attraverso un questionario strutturato da sottoporre ad una figura con incarichi direttivi all’interno delle imprese sub-fornitrici distrettuali (data la centralità della figura imprenditoriale, sarebbe opportuno che fosse proprio l’imprenditore a compilare il questionario).

Come già accennato in precedenza, i dati sono raccolti in modo da poter essere analizzati con tecniche di tipo esplorativo come l’Analisi delle Corrispondenze Multiple (ACM), specifica per le variabili descrittive inserite in questo modello, che permette di evidenziare delle similarità4 tra le imprese del campione che rimarrebbero altrimenti latenti (Bolasco, 1999; Di Franco, 2003). A completamento dell’ACM, si può condurre una cluster analysis attraverso un metodo di classificazione automatico che produce dei raggruppamenti di imprese del campione in specifiche classi multidimensionali che vanno intese come classi di equivalenza in base a determinati criteri. Non vanno compresi tra questi quei metodi che permettono di assegnare degli elementi a delle classi già definite, come le tecniche di analisi discriminante e di segmentazione, dal momento che in questa fase si opera la messa a punto di un modello tassonomico e non l’utilizzo di una tassonomia pre-esistente (Bolasco, 1999).

Per l’analisi delle variabili esplicative si può fare ricorso all’Analisi delle Componenti Principali (ACP) che permette di ridurre gruppi numerosi di variabili, misurate con le stesse scale, in fattori che esprimono la correlazione delle variabili originali e riducono quindi i dati permettendo un’interpretazione più agevole (Tabachnick e Fidell, 2007).

A completamento dell’analisi delle variabili esplicative è possibile ripetere su di esse la ACP suddividendo il campione in base alle classi emerse dalla cluster analysis. In tal modo emergono delle similarità ancora più forti tra gli appartenenti alle classi, non più solo in base alle variabili descrittive, ma anche in base ai fattori che emergono dalla ACP.

4 Due o più imprese sono tanto più simili tra loro quanto più assumono le stesse

modalità per tutte le variabili.

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La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica

Figura 1. 1 – Metodologia di analisi dei dati per l’utilizzo delle ICT

Variabili descrittive Variabili esplicative interne

Variabili esplicative relazionali

ACM ACP 1Cluster Analysis

ACP 2

Motivazioni utilizzo per

classi

Motivazioni utilizzo

Descrizione classi di imprese

Classi

Variabili descrittive Variabili esplicative interne

Variabili esplicative relazionali

ACM ACP 1Cluster Analysis

ACP 2

Motivazioni utilizzo per

classi

Motivazioni utilizzo

Descrizione classi di imprese

Classi

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2005 AL 2008∗:

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42- Anna Maria TARANTOLA RONCHI, Domenico CERVADORO, L’industria vitivinicola di Franciacorta: un caso di successo, marzo 2005.

43- Paolo BOGARELLI, Strumenti economico aziendali per il governo delle aziende familiari, marzo 2005.

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della valutazione delle imprese aeroportuali, novembre 2005. 49- Simona FRANZONI, Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa,

dicembre 2005. 50- Francesco BOLDIZZONI, Arnaldo CANZIANI, Mathematics and Economics: Use,

Misuse, or Abuse?, dicembre 2005. 51- Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, Web Orientation and Value Chain Evolution

in the Tourism Industry, dicembre 2005. 52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo

2006. 53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension &

Brand Loyalty, aprile 2006. 54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti

locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

dicembre 2006 59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nel-

l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

∗ Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

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67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

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71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

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75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia, maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008.

83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

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Page 38: LA DIFFUSIONE DELLE ICT NEI SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI: …conoscenza e innovazione si creano, si modificano e si diffondono. Il comportamento e la performance d’impresa si contestualizzano

Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2008

Paper numero 85

Sergio ALBERTINI - Caterina MUZZI

LA DIFFUSIONE DELLE ICT NEI SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI:

UNA RIFLESSIONE TEORICA ED UNA PROPOSTA METODOLOGICA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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