La difesa della patria 2

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Difesa della patria: difesa militare, difesa civile

sent. n. 228 del 2004: “Le normative censurate, in quanto rivolte a disciplinare gli aspetti

organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, trovano fondamento, anzitutto,

nell'art. 52 della Costituzione (…). A venire in rilievo è, in particolare, la previsione

contenuta nel primo comma dell'art. 52 della Costituzione, che configura la difesa della

Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione più ampia dell'obbligo

di prestare servizio militare. Come già affermato da questa Corte, infatti, il servizio

militare ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere ex art. 52,

primo comma, della Costituzione, che può essere adempiuto anche attraverso adeguate

attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). In questo contesto

deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della

obbligatorietà del servizio militare (art. 7 del d.lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante

“Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in

professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331”),

configura il servizio civile come l'oggetto di una scelta volontaria, che costituisce

adempimento del dovere di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonché di quello di

concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, secondo comma, della

Costituzione). La volontarietà riguarda, infatti, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto

è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, contenuta in larga parte

nel d.lgs. n. 77 del 2002, che permette di configurare il servizio civile come autonomo

istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa. D'altra

parte il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà

espresso nell'art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l'area degli “obblighi

normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una

autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che

caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come

forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria. Il d.lgs.

n. 77 del 2002 significativamente considera il “servizio civile nazionale quale modalità

operativa concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non

militari” (art. 1, comma 1). In senso contrario non può rilevarsi che la alternatività tra i

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servizi sarebbe venuta meno perché entrambi sono ora frutto di una scelta autonoma, ben

potendo essere adempiuto il dovere costituzionale di difesa della Patria anche attraverso

comportamenti di tipo volontario. È proprio nel dovere di difesa della Patria, di cui il

servizio militare e il servizio civile costituiscono forme di adempimento volontario, che i

due servizi trovano la loro matrice unitaria, come dimostrano anche le numerose analogie

con la posizione dei militari in ferma volontaria. La suddetta ricostruzione si riflette sulla

individuazione del titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento statale che, con

specifico riferimento al d.lgs. n. 77 del 2002, può essere rinvenuto nell’art. 117, secondo

comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato

non solo la materia “forze armate” ma anche la “difesa”. Quest’ultima previsione deve

essere letta alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che già avevano

consentito di ritenere che la “difesa della Patria” non si risolvesse soltanto in attività

finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche

attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Accanto alla difesa

“militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un’altra

forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce nella prestazione dei già evocati

comportamenti di impegno sociale non armato. La riserva allo Stato della competenza a

disciplinare il servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di difesa della

Patria, non comporta però che ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono detto

servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi

e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che

investono i più diversi ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente,

la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette

alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla

legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità

direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per

l’accesso ad esso”.

Difesa della patria: difesa militare, difesa civile (2)

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Sent. n. 431 del 2005: “4. Nel merito, occorre premettere che – scrutinando questioni di

legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento ed aventi ad

oggetto disposizioni della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile

nazionale) e del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile

nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), qui invocate dal ricorrente

come norme interposte, integrative dei parametri costituzionali che si assumono violati –

questa Corte, con la sentenza n. 228 del 2004, ha affermato che la difesa della Patria

come sacro dovere del cittadino ha una estensione più ampia dell'obbligo di prestare

servizio militare, e che il titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento statale

nella disciplina del servizio civile nazionale – inteso «quale modalità operativa

concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non militari» (così

si esprime l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 77 del 2002) – può essere rinvenuto

nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione

esclusiva dello Stato non solo la materia “Forze armate”, ma anche la “difesa”. «Accanto

alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben […] collocarsi

– ha precisato la Corte – un'altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce

nella prestazione» di «comportamenti di impegno sociale non armato». La spettanza allo

Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale non comporta che tutti

gli aspetti dell'attività svolta dai giovani in servizio civile ricadano nell'area della potestà

legislativa statale. Secondo la Corte, rientra in tale competenza la disciplina dei profili

organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di

attività che toccano i più diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela

dell'ambiente, la protezione civile: «attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica,

restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se

del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole

specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole

previste per l'accesso ad esso». Inoltre, nell'esercizio delle funzioni amministrative

spettanti agli organi centrali deve essere garantita la partecipazione degli altri livelli di

governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso

adeguati meccanismi di cooperazione. A questo, del resto, provvede lo stesso decreto

legislativo n. 77 del 2002, che attribuisce alla cura delle Regioni e delle Province

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autonome, secondo le rispettive competenze, l'attuazione degli interventi di servizio

civile. Infine, la riconduzione degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile

nazionale alla competenza legislativa statale non preclude alle Regioni e alle Province

autonome «la possibilità di istituire e disciplinare, nell'autonomo esercizio delle proprie

competenze legislative, un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da

quello nazionale», nell'ottica del perseguimento dell'ampia finalità di realizzazione del

principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione".

Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale

Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 10, comma 2, della legge n. 64 del 2001 affida allo Stato,

non già l'istruzione e la formazione professionale, ma, in una logica di incentivazione dei

cittadini a prestare il servizio civile e di riconoscimento delle competenze acquisite, la

determinazione degli standard dei crediti formativi spettanti ai soggetti che, ai fini del

compimento di periodi obbligatori di pratica professionale o di specializzazione, aspirano

al conseguimento delle abilitazioni richieste per l'esercizio delle professioni (cfr. sentenza

n. 228 del 2004). In questa prospettiva, l'incentivazione del servizio civile nazionale

attraverso la previsione di crediti formativi per la formazione universitaria e professionale

rientra nell'organizzazione unitaria del servizio civile nazionale, come tale eccedente la

competenza provinciale e di esclusiva spettanza dello Stato. Va pertanto dichiarata

l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Provincia

autonoma di Bolzano n. 7 del 2004, nella parte in cui demanda ad un regolamento di

esecuzione la disciplina, tra i benefici previsti a favore dei volontari del servizio civile

nazionale, anche dei crediti formativi per la formazione universitaria e professionale”.

Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale (2)

Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 5 del decreto legislativo n. 77 del 2002 prevede che presso

l'Ufficio nazionale è tenuto l'albo nazionale cui possono iscriversi gli enti e le

organizzazioni in possesso dei requisiti previsti dall'art. 3 della legge n. 64 del 2001 ai

fini della presentazione di progetti per il servizio civile nazionale e che le Regioni e le

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Province autonome provvedono all'istituzione di albi su scala regionale o provinciale, nei

quali possono iscriversi gli enti e le organizzazioni in possesso dei medesimi requisiti

svolgenti attività esclusivamente in ambito regionale e provinciale. La norma della legge

provinciale, là dove, con riferimento agli enti che intendono presentare progetti per il

servizio civile nazionale operanti in ambito provinciale, prevede il potere della Provincia

di stabilire, con proprio regolamento, requisiti ai fini dell'iscrizione all'albo, ulteriori

rispetto a quelli fissati dalla legge statale, detta una misura direttamente incidente

sull'organizzazione del servizio civile nazionale e sull'accesso ad esso, e perciò viola la

competenza esclusiva statale in materia, in mancanza di alcun titolo legittimante da parte

dello statuto speciale”.

Il mancato rispetto dell’intesa Stato-Regioni da parte dell’Ufficio nazionale per il servizio

civile

Sent. n. 58 del 2007: “La Regione lamenta la lesione del principio di leale collaborazione

in considerazione del diretto contrasto della parte impugnata della circolare con l'intesa,

sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni in data 26 gennaio 2006, avente ad oggetto

l'attuazione del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile

nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64). Nella premessa dell'intesa,

costituente parte integrante della stessa, si afferma che «le Regioni, nell'odierna seduta di

questa conferenza, hanno espresso il loro avviso favorevole al conseguimento dell'intesa

con la richiesta di stralciare il seguente secondo comma dell'articolo 5 del protocollo: “I

soggetti coinvolti nell'attuazione del SNC (Ufficio, Regioni, Province Autonome), non

potendo rivestire contemporaneamente il ruolo di controllori e controllati, non potranno

gestire progetti di SNC”, richiesta che è stata accolta dal Governo». Successivamente,

l'Ufficio nazionale per il servizio civile, ignorando l'accordo raggiunto tra le Regioni e il

Governo, ha inserito nel testo della circolare infine adottato il punto del paragrafo 2

innanzi citato che si pone in contrasto con l'intesa raggiunta. Tale comportamento

concretizza senza dubbio una violazione del principio di leale collaborazione. Questo,

infatti, opera in tutti i casi in cui sussista una connessione tra funzioni attribuite a diversi

livelli di governo costituzionalmente rilevanti e non sia possibile una netta separazione

nell'esercizio delle competenze. Il legislatore, nel disciplinare il servizio civile nazionale,

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ha allocato le funzioni amministrative tanto a livello centrale, presso l'Ufficio nazionale

per il servizio civile, quanto a livello regionale (artt. 2, 4, 5 e 6 del decreto legislativo n.

77 del 2002). Le Regioni, dunque, sono direttamente coinvolte nella gestione del servizio

civile nazionale, di qui «l'esigenza di addivenire a forme di esercizio delle funzioni stesse

attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni

costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 308 del 2003). (…)Nel caso in esame, pertanto,

nel dare attuazione al decreto legislativo n. 77 del 2002, era necessario, al fine di

garantire la partecipazione di tutti i livelli di governo coinvolti nella gestione del servizio

civile, adottare «strumenti di leale collaborazione o, comunque, (..) adeguati meccanismi

di cooperazione» (sentenza n 431 del 2005). In effetti tali strumenti si erano concretizzati

nell'intesa stipulata in sede di conferenza Stato-Regioni del 26 gennaio 2006. Intesa che,

così come indicato nel ricorso dalla Regione Valle d'Aosta, prevedeva lo stralcio della

parte contenente il divieto, per le Regioni e le Province autonome, di essere accreditate,

essere sede di attuazione di progetto, essere soggetto di accordi di partenariato, nonché

della parte che impediva alle stesse l'iscrizione agli albi regionali e provinciali o all'albo

nazionale. La reintroduzione di tale divieto, senza l'attivazione di ulteriori meccanismi di

cooperazione necessari per superare l'intesa già raggiunta, determina una lesione del

principio di leale collaborazione. Questa Corte ha più volte precisato che «le intese in

sede di Conferenza Stato-Regioni rappresentano la via maestra per conciliare esigenze

unitarie e governo autonomo del territorio. Ne deriva che il principio di leale

collaborazione che si realizza mediante tali accordi, anche in una accezione minimale,

impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener

fede ad un impegno assunto» (sentenza n. 31 del 2006). Alla luce di tale giurisprudenza,

deve concludersi che la parte impugnata della circolare, essendo in palese contrasto con il

contenuto dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, è lesiva del principio

costituzionale di leale collaborazione e, per ciò solo, anche delle attribuzioni,

costituzionalmente tutelate, rientranti nell'ambito delle competenze della Regione Valle

d'Aosta”.

Le misure di sicurezza aeroportuale sono di competenza esclusiva statale

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Sent. n. 51 del 2008: “9. – La questione di legittimità costituzionale dell'art. 11-duodecies

sollevata dalla Regione Piemonte perchè i decreti che dovranno essere emanati per

stabilire le nuove misure in tema di sicurezza aeroportuale illegittimamente prescindono

da ogni intesa o collaborazione da parte delle regioni, non è fondata. La norma impugnata

rimette a decreti del Ministero dei trasporti, previa istruttoria effettuata dall'Enac, la

definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al

controllo bagagli e passeggeri, la ripartizione di tali attività fra gestori aeroportuali e

vettori e la determinazione degli importi dovuti all'erario dai concessionari dei servizi di

controllo esistenti in ambito aeroportuale e di quelli posti a carico dell'utenza. Questa

norma attiene alla materia della sicurezza dei passeggeri e degli operatori in ambito

aeroportuale, che ricade nella «sicurezza dello Stato e ordine pubblico» e nella

«protezione dei confini nazionali» e rientra, quindi, nella competenza esclusiva dello

Stato in base all'art. 117, secondo comma, lettere d), h) e q), Cost. Spetta, quindi, allo

Stato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione ricorrente, di adottare una

disciplina applicativa”.