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1 a cura di Ennio Vial La delocalizzazione all’estero: criticità fiscali Bassano del Grappa

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a cura di Ennio Vial

La delocalizzazione all’estero: criticità fiscali

Bassano del Grappa

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La residenza delle persone fisiche

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La residenza delle persone fisiche

La necessità di individuare la residenza di una persona fisica discende dal diverso criterio utilizzato per tassare i soggetti residenti rispetto ai non residenti. L’art. 3, co. 1 D.P.R. 917/1986 stabilisce infatti che «L’imposta si applica sul reddito complessivo del

soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti e per i non

residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato».

Primo problema: quali sono i redditi

prodotti nel territorio dello Stato?

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La residenza delle persone fisiche

Art. 23, co. 1, D.P.R. 917/1986 – redditi prodotti in Italia da non residenti

�i redditi fondiari; �i redditi di capitale con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali; �i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato; �i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato; �i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni; �i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con esclusione:

�delle plusvalenze di cui alla lettera c bis) del comma 1, dell'articolo 67, ossia le partecipazioni non qualificate derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute; �delle plusvalenze di cui alla lettera c ter) del medesimo articolo; �dei redditi di cui alle lettere c quater) e c quinquies) del medesimo articolo;

�i redditi di cui agli articoli 5, 115 e 116 ossia redditi di partecipazioni in società di persone o in società di capitali che hanno optato per la trasparenza imputabili a soci, associati o partecipanti non residenti.

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La residenza delle persone fisiche

L’art. 2 del tuir, dopo aver stabilito al comma 1 che soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.

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La residenza delle persone fisiche

In base all’art. 43 del codice civile il domicilio è definito come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza, invece, è intesa come il luogo in cui una persona ha la dimora abituale.

C.M. 2.12.1997, n. 304/E, dal dettato testuale della norma emerge chiaramente che i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti: sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.

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La residenza delle persone fisiche

La disciplina convenzionale

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La residenza delle persone fisiche

Il problema della residenza delle persone fisiche è affrontato anche dall’art. 4 del Modello di Convenzione elaborato dall’Ocse. Approfondiremo successivamente il Modello ed i suo ruolo; limitiamoci per il momento a segnalare che si tratta di un fac simile di trattato contro le doppie imposizioni al quale si ispirano molti paesi nella redazione delle convenzioni.

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La residenza delle persone fisiche

L’art. 4 stabilisce che se una persona fisica, in base alle rispettive normative interne, risulta risiedere in entrambi gli stati in base a criteri quali il domicilio e la residenza, si considera residente nel paese in cui dispone di un’abitazione permanente.

Se dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli stati, si considera residente nel paese in cui le relazioni personali ed economiche sono più strette.

Se non si riesce a determinare dove le relazioni sono più strette o se non dispone di un’abitazione permanente in nessuno degli stati, si considera il luogo dove soggiorna abitualmente.

Se soggiorna abitualmente in entrambi gli stati o nessuno, si considera la nazionalità del soggetto.

Se questi ha la nazionalità di entrambi i paesi o di nessuno, gli stati risolvono la questione di comune accordo.

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La residenza delle persone fisiche

Abitazione

permanente

Solo in Stato A Residente

in Stato A

In entrambi gli stati

In nessuno degli stati Centro degli

interessi vitali in Stato A

Non determinabile

Soggiorno

abituale in Stato A

In entrambi o in nessuno degli

Stati

nazionalità dello Stato A

di entrambi o di nessuno degli

Stati Comune

accordo

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La residenza delle persone fisiche

Il trasferimento della residenza in un Paese estero

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La residenza delle persone fisiche

La C.M. 2.12.1997 n. 304/E ha correttamente evidenziato che la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione nell'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato. Infatti, l'aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l'aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l'integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall' iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente.

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La residenza delle persone fisiche

La sentenza della Cassazione 14 aprile 2008, n. 9856, ha sostenuto recentemente che il deposito dei propri risparmi all’estero non appare sufficiente ad escludere la residenza nel nostro Paese qualora in Italia siano rimasti i legami familiari del contribuente. La decisione è in linea con gli orientamenti della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, manifestai nella sentenza del 12 luglio 2001, causa C.262-99 (Louloudakis vs. Stato Ellenico) ove è stato sostenuto che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”.

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La residenza delle persone fisiche

Come gestire un trasferimento di residenza?

Lo vedremo tra breve, affrontando il tema del trasferimento in un paradiso fiscale. Tuttavia se si va in un Paese a fiscalità ordinaria ci si può comportare con una certa naturalezza in quanto l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria.

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Il trasferimento della residenza in un Paese estero a fiscalità privilegiata

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La residenza delle persone fisiche

Se il trasferimento viene operato verso un paese a fiscalità privilegiata, l’onere di provare l’effettività del trasferimento incombe sul contribuente.

L’art. 2, co. 2 bis, D.P.R. 917/1986 stabilisce infatti che si considerano “altresì residenti, salvo prova

contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi

della popolazione residente e trasferiti in Stati o

territori diversi da quelli individuati con decreto del

Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare

nella Gazzetta Ufficiale.”

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La residenza delle persone fisiche

Comma così sostituito dall’art. 1, comma 83, lett. a), L. 24 dicembre 2007, n. 244, in vigore dal 1°°°° gennaio 2008.

Ai sensi del successivo comma 89, la disposizione si applica dal periodo di imposta successivo alla data di pubblicazione del decreto ivi previsto; fino al periodo di imposta precedente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti al 31 dicembre 2007.

Vedasi il D.M. 4 maggio 1999.

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La residenza delle persone fisiche

Come detto, la norma è stata modificata ad opera dell’art. 1, co. 83, lett. a), L. 244/2007 che è intervenuta sostituendo il riferimento alla black list con quello ad una nuova white list.

In sostanza, continueranno ad essere considerati residenti, salvo prova contraria, le persone fisiche cancellate dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con un apposito decreto.

La disposizione troverà applicazione dal periodo di imposta successivo alla data di pubblicazione del decreto ivi previsto; fino al periodo di imposta precedente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti al 31 dicembre 2007.

Attualmente si dovrà considerare pertanto la black list di cui al D.M. 4.5.1999.

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La residenza delle persone fisiche

La lista presenta notevoli differenze rispetto alle altre black list che sono relative al mondo delle imprese. Vi sono, ad esempio, Paesi che pur presentando una fiscalità ordinaria per le imprese, agevolano in modo particolare le persone fisiche.

Per esprimere un giudizio compiuto sull’impatto della nuova white list bisognerebbe conoscere i Paesi in essa inclusi.

Possiamo tuttavia rilevare come diventerà più difficile individuare un paradiso fiscale non considerato dal legislatore in quanto l’inclusione in una lista dei virtuosi determina necessariamente una valutazione preventiva dello Stato estero.

E’ appena il caso di segnalare che l’eventuale esclusione di qualche stato UE dalla futura lista potrebbe configurare una violazione del principio di libertà di circolazione delle persone in ambito comunitario.

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D.M. 4.5.1999

Alderney (Aurigny) Emirati Arabi Uniti (Al-Imarat al-'Arabiya

al Muttahida)

Liberia (Republic of Liberia) Sark (Sercq)

Andorra (Principat d'Andorra) Ecuador (Repuplica del Ecuador) Liechtenstein (Furstentum

Liechtenstein)

Seicelle (Republic of

Seychelles)

Anguilla Filippine (Pilipinas) Macao (Macau) Singapore (Republic of

Singapore)

Antigua e Barbuda (Antigua and

Barbuda)

Gibilterra (Dominion of Gibraltar) Malaysia (Persekutuan Tanah

Malaysia)

Saint Kitts e Nevis (Federation

of Saint Kitts and Nevis)

Antille Olandesi (Nederlandse Antillen) Gibuti (Djibouti) Maldive (Divehi) Saint Lucia

Aruba Grenada Malta (Republic of Malta)

espunto dal dm 27.7.2010

Saint Vincent e Grenadine

(Saint Vincent and the

Grenadines)

Bahama (Bahamas) Guernsey (Bailiwick of Guernsey) Maurizio (Republic of

Mauritius)

Svizzera (Confederazione

Svizzera)

Bahrein (Dawlat al-Bahrain) Hong Kong (Xianggang) Monserrat Taiwan (Chunghua MinKuo)

Barbados Isola di Man (Isle of Man) Nauru (Republic of Nauru) Tonga (Puleanga Tonga)

Belize Isole Cayman (The Cayman Islands) Niue Turks e Caicos (The Turks and

Caicos Islands)

Bermuda Isole Cook Oman (Saltanat 'Oman) Tuvalu (The Tuvalu Islands)

Brunei (Negara Brunei Darussalam) Isole Marshall (Republic of the Marshall

Islands)

Panama (Republica de

Panama`)

Uruguay (Republica Oriental

del Uruguay)

Cipro (Kypros) espunto dal dm 27.7.2010 Isole Vergini Britanniche (British Virgin

Islands)

Polinesia Francese (Polynesie

Francaise)

Vanuatu (Republic of Vanuatu)

Costa Rica (Republica de Costa Rica) Jersey Monaco (Principaute` de

Monaco)

Samoa (Indipendent State of

Samoa) .

Domenica Libano (Al-Jumhuriya al Lubnaniya) San Marino (Repubblica di San

Marino)

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Sul tema in esame è intervenuta la C.M. n.140/E/1999.

D.M. 4.5.1999 La circolare precisa che i criteri e gli aspetti qualificanti utilizzati al predetto fine riguardano anzitutto il ricorrere di una bassa o inesistente forma di tassazione personale, intesa in termini di effettività e perciò riferita non solo alle aliquote d'imposta nominali, ma anche alla formazione della base imponibile, agli eventuali regimi agevolativi, alle detrazioni d'imposta e alle deduzioni dal reddito complessivo.

Altro aspetto qualificante è costituito dal grado di trasparenza e di collaborazione informativa dei vari elementi che concorrono a delineare, con riguardo anche alla situazione bancaria, la effettività delle posizioni economico-fiscali.

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Sul tema è intervenuta la C.M. n.140/E/1999.

D.M. 4.5.1999 Rileva, altresì, il complesso dei poteri e delle modalità di accertamento esercitati dall'Amministrazione finanziaria locale, come pure il livello delle potestà di controllo previste al riguardo e realmente attuate, senza trascurare l’eventuale ricorso a forme individuali di definizione fiscale, improntate a criteri di discrezionalità.

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La residenza delle persone fisiche

C.M. n.140/E/1999

La circolare afferma, in particolare, che le nuove disposizioni, sia pure con effetti limitati ai soli "Stati o

territori aventi un regime fiscale privilegiato", consentono di ampliare la operatività della normativa preesistente, nel senso che la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare la effettività della nuova residenza.

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La residenza delle persone fisiche

Con l’introduzione del comma 2-bis citato il legislatore, utilizzando lo strumento delle presunzioni relative, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, al fine di evitare che risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti di ordine sostanziale.

Occorre precisare che, a mente del predetto comma 2-bis, l'onere della controprova riguarda tutti i soggetti che sono emigrati in uno degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato anche quando l’emigrazione sia avvenuta transitando anagraficamente per uno Stato terzo, non ricompreso in tale decreto.

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Prova contraria

Il legislatore, nel confermare espressamente l’ammissibilità della prova contraria al fine di contrastare la presunzione legale di residenza fiscale, ha evitato qualsiasi condizionamento o limite per quanto riguarda sia la predeterminazione che il valore delle varie forme in cui tale prova può estrinsecarsi.

Ciò significa che viene riconosciuta la più ampia possibilità di esplicazione al concreto esercizio dei diritti di difesa del contribuente anche nella fase extraprocessuale, ferma restando l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale.

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Prova contraria

In tale contesto è appena il caso di segnalare che, qualora il Paese fiscalmente privilegiato sia anche legato al nostro da convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, ai fini della conferma o meno della residenza fiscale nazionale occorre ovviamente considerare, oltre ai presupposti interni, anche quelli di cui alla apposita clausola convenzionale (“residente di uno Stato contraente”) allo scopo di evitare la possibile insorgenza di una doppia residenza fiscale.

Normativa interna convenzione

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Prova contraria

Per ciò che riguarda il concreto e specifico contenuto dell’onere probatorio richiesto, va anzitutto precisato che potrà essere fatto ricorso, in negativo, alle medesime circostanze ed elementi probanti suggeriti agli uffici nella circolare n. 304/E, al fine di superare la mera formalità della cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente con la dimostrazione della insussistenza nel nostro Paese della dimora abituale (residenza) ovvero del complesso dei rapporti afferenti gli affari e gli interessi, allargati, oltre che agli aspetti economici, a quelli familiari, sociali e morali (domicilio).

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La residenza delle persone fisiche

Si elenca quindi una serie di possibili elementi di prova che giustifichino l’effettivo trasferimento di residenza nel paradiso fiscale: - la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell'eventuale nucleo familiare; - l'iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero; - lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l'esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità; - la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;

VADEMECUM

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La residenza delle persone fisiche

- fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero; - la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero e da e per l'Italia; - l'eventuale iscrizione nelle liste elettorali del paese d'immigrazione; - l'assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.; - la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo».

VADEMECUM

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Domicilio fiscale

I cittadini cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in un Paese ricompreso nella lista di cui al decreto del 4 maggio 1999, in quanto considerati fiscalmente residenti in Italia, continuano ad avere il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza (anagrafica), al pari dei connazionali “che risiedono

all'estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica

amministrazione”.

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Giurisprudenza … evoluzione e lo stato dell’arte

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32 MASTER in Fiscalità Internazionale

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Ordinanza n. 23250 del 17 novembre 2010, Corte di

Cassazione

Rigetta il ricorso principale!!!

Norme e Tributi Diritto

L'affidamento dei figli non fissa la residenza di Antonio Criscione 18 novembre 2010

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Sent. n. 12259 del 19 maggio 2010

della Corte di Cassazione

Capirossi, multa di 2 milioni per evasione fiscale

Confermata, dalla Cassazione, la supermulta fiscale nei confronti del campione di motociclismo Loris Capirossi multato con più di 2 milioni di euro di sanzione Redazione - Mer, 19/05/2010 - 15:33

Roma - Confermata, dalla Cassazione, la supermulta fiscale nei confronti del campione di motociclismo Loris Capirossi multato con più di 2 milioni di euro di sanzione. […]

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Accertamento con adesione: Valentino Rossi

12 febbraio 2008 Valentino Rossi darà 35 milioni al Fisco Il campione trova l'accordo e versa l'importo record per le imposte

non pagate dal 2001 al 2006.

MILANO - Alla fine si chiude una querelle durata mesi. È pace fatta tra il Fisco e Valentino Rossi. Il campione di motociclismo pagherà circa 35 milioni di euro circa per gli anni 2001-2006, di cui 19 milioni per gli anni 2001-2004 ai quali si aggiungeranno le somme relative al biennio 2005-2006.

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Sentenza n. 16 del 27 marzo 2000, CTR Emilia Romagna

L'appello deve essere conseguentemente respinto con integrale conferma della decisione di primo grado.

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Commissione tributaria provinciale di Latina, Sez. III, Sent. 26

ottobre 2012 (25 maggio 2012), n.

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� Normativa interna

� Disciplina convenzionale

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� L'art. 73, co.3 del Tuir stabilisce che una società di capitali o un ente sono

considerati residenti nel nostro Paese quando per la maggior parte del periodo di

imposta hanno in Italia:

� la sede legale;

� la sede dell'amministrazione;

� l'oggetto principale della propria attività.

� La società è considerata residente quando anche una sola delle condizioni appena

illustrate può dirsi verificata. L'art. 5, co. 2, lett. d) D.P.R. 917/1986, inoltre, prevede

una norma del tutto analoga anche per le società di persone e le associazioni

professionali.

� Ciò significa che la residenza non è legata esclusivamente al dato formale della

sede legale ma anche a quello sostanziale della sede dell'amministrazione.

Pertanto, se la società italiana ha trasferito la propria sede all'estero, ma gli

amministratori sono tutti italiani, la stessa continuerà ad essere considerata

residente (e tassabile) nel nostro Paese in quanto l'Amministrazione finanziaria

avrà buon gioco a dimostrare che le decisioni sono prese in Italia.

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� Esempio 1

� Alfa SA è una società lussemburghese con un consiglio di

amministrazione di 3 soggetti italiani che si recano in Lussemburgo

una volta all’anno in occasione dell’approvazione il bilancio annuale.

� La società è probabilmente residente in Italia in quanto è difficile

ipotizzare che il consiglio di amministrazione prenda le decisioni

solamente in sede di approvazione del bilancio.

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� Esempio 2

� Beta SA è una società lussemburghese con un consiglio di

amministrazione di 3 soggetti lussemburghesi che si recano spesso in

Italia per acquisire indicazioni circa la gestione della società e, in

occasione dei loro viaggi, tengono anche le riunioni del consiglio.

� La società è residente in Italia in quanto amministrata nel nostro Paese,

a nulla rilevando la residenza dei componenti il Consiglio.

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�Il problema dell’oggetto dell’attività

�Cosa vuol dire oggetto dell’attività?

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44

�Non è possibile identificare l'oggetto

dell'attività con il luogo di ubicazione dei beni

gestiti dalla società stessa. E' immediato

quindi rilevare come l'oggetto di una attività

di holding sia la gestione delle partecipazioni

che, generalmente, viene svolta nello Stato

estero e non può essere identificata con il

bene ossia con la partecipazione che viene

gestita.

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� Seguendo questa impostazione, tuttavia, l'oggetto dell'attività

sembrerebbe di primo acchito confondersi con la sede

dell'amministrazione. In realtà è bene ricordare che il criterio

della sede dell'Amministrazione previsto dall'art. 4 del

Modello OCSE non ha riguardo alla gestione corrente

quotidiana, quanto piuttosto alle decisioni di indirizzo

generale che spettano al top management.

�Pertanto, se vogliamo escludere che l'oggetto dell'attività si

identifichi con i beni iscritti in bilancio, si potrebbe allora

seguire una linea interpretativa secondo cui l'oggetto

dell'attività potrebbe essere identificata con

l'amministrazione quotidiana nella quale il top management

non entra.

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� La questione si potrebbe complicare ipotizzando il caso della società

immobiliare estera con un unico immobile in Italia. Si potrebbe sostenere,

anche in questo caso, che l'oggetto non può coincidere con i beni iscritti in

bilancio ossia gli immobili quanto piuttosto, con la attività di gestione degli

stessi.

� A differenza del caso precedente, tuttavia, questa attività esiste e potrebbe

concretizzarsi ad esempio nella gestione del contratto di affitto dell'immobile

o nella gestione di piccole manutenzioni dello stesso. Se questa attività

dovesse essere svolta in Italia si concretizzerebbe, secondo l'impostazione

proposta, l'ipotesi dell'oggetto sociale nel nostro Paese. Si dovrebbe poi

approfondire se questa piccola amministrazione si concretizzi in Italia per il

solo fatto che la holding delega la gestione ad una agenzia immobiliare

italiana[1].

[1] Peraltro, se la società estera svolgesse l’attività direttamente in Italia con

un ufficio si potrebbe concretizzare la sussistenza della stabile organizzazione.

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� Sul tema della residenza collegata ala presenza di immobili, l'Agenzia ha

espresso la sua opinione con la C.M. 6.8.2007, n. 48 diramata in materia

di trust.

� Poiché la residenza del trust è disciplinata analogamente a quella di una

società di capitali dall’art. 73, co. 3 del tuir, le osservazioni fatte

dall’Agenzia offrono interessanti spunti di riflessione anche per il nostro

caso. In quell’occasione è stato sostenuto che “se l’oggetto del trust (beni

vincolati nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato

interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece

i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al

criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto

dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.

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� Da quanto illustrato emerge con tutta evidenza che una società holding

collocata all'estero potrebbe essere considerata residente in Italia in base

al criterio dell'oggetto dell'attività mentre l'altro Stato potrebbe invocare la

residenza in base al più generale criterio della sede dell'amministrazione.

� Si ipotizzi, per fare un esempio, il caso della società estera Alfa che detiene

esclusivamente un immobile in Italia. Le decisioni del top management

vengono assunte nello Stato estero mentre la gestione dell'immobile

avviene in Italia. In una simile fattispecie si configurerebbe un caso di

doppia residenza che non potrebbe essere risolta dall'art. 4 del Modello di

Convenzione. Il paragrafo 3 sembra imporre la necessità di porre una

soluzione al conflitto, legandola tuttavia ad un criterio che però è

interpretato in modo diverso dai due Paesi.

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�In queste ipotesi la società si troverebbe nella

paradossale situazione di dover essere tassata sui

redditi ovunque prodotti in entrambi gli Stati.

�Una strada percorribile in questa situazione potrebbe

essere l'attivazione della procedura di accordo

amichevole tra i due Stati prevista dall'art. 25 del

Modello Ocse.

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� Convenzioni contro le Doppie Imposizioni

� Può accadere che due stati considerino residente nel proprio

territorio la stessa società in forza della propria normativa interna.

� In base al nuovo art. 73, co. 5-bis, si presume che la sede dell’amministrazione della Soparfi Lussemburghese sia in Italia in

quanto anello intermedio di una catena di controllo di società italiane. Ovviamente, anche il Lussemburgo considererà la Soparfi residente nel proprio territorio in quanto ivi costituita.

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� Il problema della residenza è affrontata anche dall'art. 4 del Modello di

Convenzione dell'OCSE del 2008 il quale stabilisce che, se entrambi gli stati

considerano residente una società in base alla proprie disposizioni interne,

deve prevalere il criterio della sede dell'amministrazione.

� Ciò significa che se la Soparfi è effettivamente amministrata in

Lussemburgo la stessa non potrà essere ritenuta residente in Italia.

� Le Convenzioni stipulate dall’Italia si ispirano generalmente al modello Ocse

per cui la portata della nuova disciplina sull’esterovestizione introdotta dal

D.L. 223/2006 appare notevolmente ridimensionata in quanto troverà

applicazione nei casi in cui la società intermedia risiede in un Paese non

convenzionato.

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� La Presunzione di Residenza (esterovestizione)

� L’art. 35, co. 13, D.L. 4.7.2006 n. 223 ha integrato l’art. 73 introducendo

una disciplina antielusiva volta a contrastare l’utilizzo di holding estere da

parte di soggetti italiani per controllare società italiane.

� Il nuovo co. 5 bis introduce una presunzione in base alla quale è considerata «esistente nel

territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono

partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile» nei seguenti soggetti:

S.p.a., S.a.p.a., S.r.l., società cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e

privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività

commerciali, se, alternativamente:

� sono controllate, anche indirettamente, ai sensi dell'art. 2359, comma 1, del codice civile, da

soggetti residenti nel territorio dello Stato;

� sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di

gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

� Il fatto che la sede dell’amministrazione si trovi in Italia comporta l’assoggettamento a

tassazione nel nostro Stato.

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� La presunzione è relativa in quanto è ammessa la prova contraria.

� L’art. 35, co. 13, D.L. 223/2006 ha altresì introdotto nell’art. 73 D.P.R.

917/1986 il co. 5-ter in base al quale la sussistenza del rapporto di controllo

visto in precedenza viene valutato «alla data di chiusura dell'esercizio o

periodo di gestione del soggetto estero controllato».

� Ciò significa, ipotizzando sempre la coincidenza dell’esercizio con l’anno

solare, che la presunzione di residenza italiana della società estera viene

meno se le partecipazioni vengono alienate prima di fine anno.

� Il comma 5 ter prevede inoltre che per valutare il controllo in capo a

persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui

all'art. 5, co. 5 D.P.R. 917/1986 ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado

e gli affini entro il secondo grado.

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� Prova Contraria

� La presunzione di cui all’art. 73, co. 5 bis è relativa e non assoluta per cui il

contribuente potrà dimostrare che la società è effettivamente

amministrata all’estero. Tale circostanza, peraltro, è importante anche ai

fini dell’applicazione della disposizione convenzionale.

� A tal fine si può suggerire l'adozione dei seguenti comportamenti:

� nominare prevalentemente amministratori locali di fiducia;

� evitare un flusso di fax o e–mail dall'Italia che possano far supporre che le

decisioni sono prese nel nostro Paese;

� cercare di rendere quanto più possibile presumibile che gli eventuali

amministratori italiani abbiano comunque preso le loro decisioni

all'estero.

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Profili di contrasto alla presunzione di esterovestizione

Rapporto col diritto

comunitario La presunzione ostacola la

libertà di stabilimento

Rapporto con le

convenzioni contro le

doppie imposizioni

Le convenzioni prevalgono sulla

normativa interna

Aspetti procedurali La norma non aiuta ad

individuare l’Ufficio competente.

Prassi Agenzia delle

Entrate E’ comunque necessario un

preventivo contraddittorio

(R.M.312/2007)

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�Da ultimo, si segnala che la presunzione di residenza

introdotta dal D.L. 223/2006:

�non opera nel caso in cui l’Italia abbia stipulato una

convenzione conforme al Modello Ocse;

�presenta forse profili di incompatibilità con il principio

della libertà di stabilimento sancito dal Trattato di

Roma del 1958 istitutivo della Comunità europea in

quanto penalizza gli investimenti in altri Paesi

comunitari.

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Di recente sono state rese pubbliche le risposte fornite

dall'Agenzia delle entrate nell'ambito del procedimento promosso

dall'Associazione italiana dottori commercialisti (AIDC) per la

lamentata illegittimità comunitaria della normativa in materia di

esterovestizione, recata all'art. 73, comma 5-bis, del Tuir.

La denuncia dell'AIDC si è conclusa con un nulla di fatto per la

Commissione UE che - con lettera del 7 gennaio 2011 - ha ritenuto

tale normativa conforme al principio di proporzionalità, visto che -

stando alle rassicurazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria

italiana - tale presunzione di residenza sarebbe «essenzialmente

fondata su una valutazione caso per caso da parte degli enti

verificatori del complesso degli elementi fattuali di ogni singola

fattispecie senza limitare la possibilità del contribuente di fornire

elementi in senso contrario».

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A seguito dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate in data 12

aprile e 20 dicembre 2010 in risposta alle suddette richieste, la

Commissione Europea ha ritenuto pienamente conforme al diritto

comunitario la normativa italiana sulla esterovestizione.

Più nel dettaglio, la Direzione centrale normativa dell'Agenzia delle

entrate - dopo avere precisato che le disposizioni di cui ai commi 5-bis e

5-ter dell'art. 73 del T.U.I.R. operano su di un piano esclusivamente

«procedurale», senza per questo introdurre una nuova nozione di

residenza fiscale - ha tenuto a precisare che la disciplina de qua

faciliterebbe sì il compito del verificatore nell'accertamento degli

elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva della

società, ma non lo esonererebbe comunque dal provare in concreto

l'effettività dell'esterovestizione.

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Nell'economia di questo scenario, quindi, le norme in materia

costituirebbero «solo il punto di partenza per una verifica più ampia, da

effettuarsi in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria

sull'intensità del legame tra la società e lo Stato estero e la medesima

società e l'Italia».

E’ stato precisato che il contribuente può provare con ogni mezzo

ritenuto idoneo l'effettività dell'insediamento all'estero.

Di fatto, è stata lasciata al contribuente la possibilità di dotarsi, caso per

caso, degli elementi probatori idonei a dimostrare che la società estera,

indipendentemente dal rapporto di controllo ovvero dalla residenza dei

consiglieri, è effettivamente amministrata al di fuori del territorio

italiano.

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Così, secondo le linee guida comunicate alla Commissione UE, tale prova

potrà attenere, ad esempio, al regolare e periodico svolgimento delle

riunioni del consiglio di amministrazione, unitamente all'evidenza che le

riunioni sono tenute presso la sede legale localizzata all'estero con la

partecipazione dei consiglieri (ad esempio, mediante l'esibizione dei

biglietti aerei e delle ricevute degli alberghi attestanti gli spostamenti dei

consiglieri residenti in Italia).

Non può sottacersi come uno dei limiti di questi chiarimenti è quello di

non considerare le nuove tecnologie di comunicazione, che pure

consentirebbero ai componenti del consiglio di amministrazione di

partecipare alle riunioni del soggetto estero da ogni parte del mondo.

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Per altro verso, la prova del contribuente potrà riguardare l'effettivo

svolgimento in loco della gestione operativa della società estera. Sotto

tale profilo, secondo le indicazioni fornite dall'Agenzia delle entrate,

rileverebbe, in particolare, l'autonomia accordata ai country managers

con riferimento all'organizzazione del personale, alle decisioni di spesa e

alla stipula dei contratti .

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� Le conseguenze

� Il fatto che la società estera sia considerata residente in Italia comporta

conseguenze di varia natura. Innanzitutto potranno esservi sanzioni per

l’omessa tenuta delle scritture contabili nel nostro Paese e l’omessa

presentazione delle dichiarazioni, ma non solo. Si possono pensare ad

ulteriori conseguenze fiscali relative alla tassazione dei dividendi e delle

plusvalenze.

� Si ipotizzi, ad esempio, il caso di una holding lussemburghese che ha alienato

alcune partecipazioni in società italiane. Se la società estera è considerata

residente in Italia, la plusvalenza sarà assoggettata a tassazione in Italia e, se

relativa ad una società non operativa, sarà tassata integralmente in base

all’art. 86 D.P.R. 917/1986. Lo stesso dicasi per il caso in cui le plusvalenze

siano generate dall’alienazione di quote di società estere.

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� Alcune ipotesi sono state menzionate anche nel punto 8.2 della C.M.

28/2006. In quell’occasione è stato precisato che il soggetto estero si

considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e sarà

quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che

l'ordinamento prevede per le società e gli enti residenti.

� Oltre alla fattispecie delle plusvalenze, che risulta particolarmente

tipica per le holding, si menziona anche il caso del pagamento di

interessi e royalties che vengono ora riqualificati come un

pagamento corrisposto ad un soggetto residente e quindi tassati con

l’aliquota IRES ordinaria. Un discorso analogo vale anche per i

dividendi che, tuttavia, se non provengono da un paradiso fiscale,

saranno assoggettati a tassazione limitatamente al 5% del loro

ammontare.

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� Quale magra consolazione, viene correttamente chiarito che i predetti

soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e

royalty in uscita dall'Italia e potranno pertanto scomputare in sede di

dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di

imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se - ad inizio -

operate a titolo di imposta.

� La circolare non fornisce ulteriori indicazioni. Possiamo comunque

osservare che l’attrazione della residenza in Italia determina anche

l’assoggettamento ai parametri o agli studi di settore, oltre alla

applicazione della disciplina per le società di comodo.

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� In questo caso, peraltro, il contribuente non potrebbe

nemmeno presentare in tempo utile l’istanza di interpello per

la disapplicazione della disciplina ai sensi dell’art. 30, co. 4 bis,

L. 724/1994.

�Ulteriori conseguenze potrebbero esserci sotto il profilo

dell’Irap. In questo caso, tuttavia, si ricorda che l’imposta non

è dovuta sulle stabili organizzazioni estere. Pertanto,

nell’ipotesi in cui la società esterovestita abbia uno

stabilimento nel Paese in cui è stata costituita, questo sarà

considerato una stabile organizzazione estera e, come tale,

esclusa da Irap.

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� Sulla base delle considerazioni svolte in precedenza è possibile

offrire alcune scarne linee guida per gli operatori che devono

difendersi dalla norma. In particolare si può suggerire

l'adozione dei seguenti comportamenti:

�nominare prevalentemente amministratori locali di fiducia;

� tenere le riunioni dei consigli di amministrazione nello Stato

estero e far risultare dai verbali le decisioni chiave sul piano

gestorio e commerciale;

�prevedere a monte specifiche deleghe di poteri agli

amministratori per l’assunzione delle suddette decisioni;

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� evitare categoricamente un flusso di fax o e–mail dall'Italia che possano

far supporre che le decisioni sono prese nel nostro Paese;

� cercare di rendere quanto più possibile presumibile che gli eventuali

amministratori italiani abbiano comunque preso le loro decisioni

all'estero;

� evitare, se possibile, l’attribuzione di poteri di rango elevato agli

amministratori italiani;

� tenere le assemblee dei soci nello Stato estero;

� evitare di svolgere direttamente una attività immobiliare solamente in

Italia;

� se la società estera non dispone di dipendenti e locali, prevedere un

contratto di outsourcing per le attività di carattere amministrativo e per

l’utilizzazione di locali in occasione delle riunioni degli organi sociali.

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�Trasferimento della

residenza dall’Italia all’estero

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� Il trasferimento della residenza all’estero di una impresa non era una

operazione fiscalmente neutrale in quanto determina il realizzo dei

plusvalori latenti e delle riserve in sospensione di imposta.

� La norma trova applicazione per le imprese individuali, le società di persone

e soggetti ad esse equiparati, le società per azioni e in accomandita per

azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e società

di mutua assicurazione, gli enti pubblici e privati diversi dalle società che

hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali

ed, infine, gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel

territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale

l’esercizio di attività commerciali.

Art. 166 tuir

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� Va innanzitutto segnalato che, stante il tenore letterale del primo comma dell’art. 166, la rilevanza fiscale in Italia dell’operazione emerge nel momento in cui sopraggiunge la perdita della residenza fiscale nel nostro Paese.

� Infatti ben potrebbe la società trasferire la sede legale all’estero conservando in Italia la sede dell’amministrazione.

� In sostanza, il trasferimento della residenza determinerà l’assoggettamento a tassazione di tutti i plusvalori aziendali. L’unica eccezione è rappresentata da quelli confluiti in una stabile organizzazione italiana e ciò si giustifica col fatto che la stessa sarà comunque tenuta a pagare l’IRES alla stregua di una società di capitali per cui i beni non fuoriescono dal regime di impresa nazionale.

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�E’ quindi chiara anche la successiva disposizione del primo

comma dell’art. 166 secondo cui il realizzo interviene anche

se successivamente i componenti confluiti nella stabile

organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano

distolti.

�Vi sono beni, tuttavia, che per loro natura, non sono

suscettibili di produrre plusvalori latenti come ad esempio la

cassa.

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� Avviamento e beni materiali non iscritti

� Non è chiaro se in una simile ipotesi il trasferimento di residenza determini

il realizzo dei plusvalori anche su tali elementi. Nonostante il parere

contrario di diversa dottrina, ci permettiamo di sostenere la tesi

dell’irrilevanza fiscale di tali componenti. Tale posizione viene sostenuta

anche in considerazione delle difficoltà per la società italiana che approda

nello Stato estero di poter iscrivere in bilancio queste nuove voci

precedentemente assenti e di poterne ammortizzare il costo.

� A favore della non tassabilità si evidenzia, inoltre, la mancanza di una

espressa previsione della norma interna, nonché l’impossibilità di evitarne

eventualmente la tassazione attraverso l’iscrizione nel bilancio della stabile

organizzazione che rimane in Italia.

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� Il trasferimento delle partecipazioni all’estero

� Spesso il trasferimento della sede all’estero non riguarda società con

aziende produttive, quanto piuttosto holding di partecipazione.

� In questo caso, se non possono godere del regime della participation

exemption previsto dall’art. 87 D.P.R. 917/86, le stesse saranno

ordinariamente tassate ai sensi dell’art. 86.

� E’ il caso, ad esempio, delle immobiliari di mera gestione che il legislatore

considera in ogni caso prive del requisito della commercialità.

� Ad ogni modo, quand’anche si qualificassero per l’esenzione, la stessa è

limitata al 95% dell’ammontare della plusvalenza latente.

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� La tassazione dei fondi in sospensione di imposta

� Il comma 2 stabilisce che il trasferimento della residenza all’estero determina

la tassazione dei fondi in sospensione di imposta prevista dal secondo comma

dell’art. 166 D.P.R. n. 917/86.

� La norma, infatti, dispone che i fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli

tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del

trasferimento della residenza o della sede, sono assoggettati a tassazione

nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della

predetta stabile organizzazione.

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� Le perdite pregresse

� Il Comma 2 bis, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 novembre 2007, n.

199 stabilisce che le perdite generatesi fino al periodo d'imposta anteriore a quello

da cui ha effetto il trasferimento all'estero della residenza fiscale, non compensate

con i redditi prodotti fino a tale periodo, sono computabili in diminuzione del

reddito della predetta stabile organizzazione ai sensi dell'articolo 84 e alle

condizioni e nei limiti indicati nell'articolo 181.

� L’art. 181, in sostanza, estende alle fusioni e scissioni intracomunitarie i limiti al

riporto delle perdite previsti dall’art. 172 per le medesime operazioni nazionali.

� Il comma 2 bis, in linea generale, ammette la riportabilità delle perdite secondo le

regole generali, in capo alla eventuale stabile organizzazione che rimane in Italia a

seguito del trasferimento di sede all’estero.

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� Le conseguenze per il socio

� Il tema delle conseguenze in capo al socio di un trasferimento di sede

all’estero è stato in passato motivo di dibattito. Il nuovo comma 2 ter,

aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199, ha

accolto le tesi della migliore dottrina.

� Con la R.M. 17.1.2006 n. 9, l’Agenzia delle Entrate, infatti, osserva come

alcuni ordinamenti non consentano che una società costituita secondo il

diritto nazionale possa trasferire all’estero la propria sede sociale, se non a

prezzo della dissoluzione e liquidazione dell’ente. Al riguardo, però, la

risoluzione evidenzia come tale circostanza non si verifichi nel contesto della

normativa italiana.

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78

� Le conseguenze per il socio

� Viene infatti osservato che “per l’ordinamento nazionale, pur in

mancanza di una norma espressa, deve ritenersi ammesso il

trasferimento senza estinzione, in quanto l’art. 2437 cod. civ., nel

considerare il trasferimento all’estero della sede sociale causa di

recesso per i soci, implicitamente presuppone che esso non abbia

natura dissolutoria”.

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� La compatibilità col diritto comunitario

� La norma di cui all’art. 166 D.P.R. 917/1986 deve essere analizzata anche

sotto il profilo della compatibilità col diritto comunitario in quanto

potrebbe astrattamente violare il principio della libertà di stabilimento

sancito dal trattato istitutivo della Comunità Europea.

� Al riguardo va segnalata la sentenza 11 marzo 2004 (procedimento C-9/02

relativo al caso de Lasteyrie du Saillant), secondo la quale le legislazioni

dei Paesi membri che prevedono l’assoggettamento a tassazione delle

plusvalenze su beni non detenuti in regime d’impresa all’atto del

trasferimento della residenza all’estero violano il principio di libertà di

stabilimento posto dall’art. 43 del Trattato CE.

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La compatibilità col diritto comunitario

La sentenza della Corte di Giustizia Ue 29.11.2011, C-371/10 ha,

tuttavia, statuito che l’art. 49 Tfue:

●● è compatibile con una normativa che in caso di trasferimento

di residenza all’estero di un’impresa con consente la deduzione

dai plusvalori imponibili delle minusvalenze realizzate

successivamente al trasferimento di sede;

●● contrasta con una normativa «che impone ad una società che

trasferisce in un altro Stato membro la propria sede

amministrativa effettiva la riscossione immediata, al momento

stesso di tale trasferimento, dell’imposta sulle plusvalenze latenti

relative agli elementi patrimoniali di tale società».

80

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In sostanza, la società che trasferisce la propria residenza

all’estero dovrebbe determinare le plusvalenze imponibili in

tale circostanza, ma la tassazione delle stesse risulta rinviata al

momento in cui i beni risultano effettivamente alienati.

La sentenza ha un effetto dirompente sulla disciplina interna

dei vari Paesi in quanto determina l’inoperatività dell’art. 166,

D.P.R. 917/1986.

81

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N.B.

Sono stati inseriti 2 nuovi commi nell’art. 166 del Tuir!!!

“2-quater. I soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui

redditi, in Stati appartenenti all'Unione europea ovvero in Stati aderenti

all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto

emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, con i quali l’Italia abbia stipulato un

accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari

comparabile a quella assicurata dalla direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del

16 marzo 2010, in alternativa a quanto stabilito al comma 1, possono

richiedere la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto in conformità ai

principi sanciti dalla sentenza 29 novembre 2011, causa C-371-10, National

Grid Indus BV.

2-quinquies. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di natura

non regolamentare sono adottate le disposizioni di attuazione del comma 2-

quater, al fine di individuare, tra l’altro, le fattispecie che determinano la

decadenza della sospensione, i criteri di determinazione dell'imposta dovuta e

le modalità di versamento.” 82

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N.B.

I commi sono stati aggiunti dall’art. 91, comma 1, D.L. 24

gennaio 2012, n. 1, da convertire entro il 24 marzo 2012.

Ai sensi del successivo comma 2 dell’art. 91, D.L. n. 1/2012, le

disposizioni si applicano ai trasferimenti effettuati

successivamente al 24 gennaio 2012.

83

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La nuova norma prevede quindi un’ipotesi di sospensione dall’imposizione

qualora il trasferimento avvenga in uno stato:

1.dell’Unione Europea;

2.appartenente allo Spazio Economico Europeo;

3.incluso nel decreto da emanarsi ai sensi dell’art.168-bis del Tuir (la nuova

white list che deve ancora essere emanata).

Salvo modifiche, le nuove disposizioni prevedono l’adozione da parte del

Ministero dell’Economia e delle Finanze di un decreto che definisca le

fattispecie che determinano la decadenza dalla sospensione, le modalità di

calcolo e di versamento dell’imposta (co. 2-quinquies).

L’Accordo sullo Spazio Economico Europeo è entrato in vigore il primo gennaio

1994. Esso riguarda i 27 paesi dell'UE e i paesi dell'EFTA (Associazione Europea

di Libero Scambio): Islanda, Lichtenstein e Norvegia. La Svizzera, anch'essa

membro dell'EFTA, non fa parte di questo accordo.

84

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La disposizione non è ancora materialmente operativa,

in quanto è prevista l’emanazione del citato decreto.

Si deve tuttavia rilevare come le sentenze della Corte di

Giustizia Europea siano immediatamente esecutive e

non sia necessaria una legge per recepirle.

85

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti

esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in

Italia.

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I soggetti esercenti imprese commerciali che trasferiscono la residenza, ai sensi dell'art. 166, comma

1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica

22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero in Stati aderenti

all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi

dell'art. 168-bis, comma 1, del TUIR con i quali l'Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca

assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla direttiva

2010/24/UE del Consiglio del 16 marzo 2010, possono optare, nei termini e alle condizioni di cui al

presente decreto, per la sospensione della riscossione delle imposte sui redditi dovute sulla

plusvalenza, unitariamente determinata, in base al valore normale dei componenti dell'azienda o del

complesso aziendale, che non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello

Stato. Nei suddetti componenti si comprendono il valore dell'avviamento e quello delle funzioni e

dei rischi propri dell'impresa, determinati sulla base dell'ammontare che imprese indipendenti

avrebbero riconosciuto per il loro trasferimento. Le disposizioni del presente decreto si applicano,

altresì, se una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato è trasferita in un altro degli

Stati indicati nel primo periodo.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in

altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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2. La sospensione di cui al comma 1 non può riguardare:

a)i maggiori e i minori valori dei beni di cui all’art. 85 del Tuir;

b)i fondi in sospensione di imposta di cui al comma 2 dell’art.

166 del Tuir, non ricostituiti nel patrimonio contabile della

stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato;

c)gli altri componenti positivi e negativi che concorrono a

formare il reddito dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in

Italia, ivi compresi quelli relativi a esercizi precedenti, e non

attinenti ai cespiti trasferiti, la cui deduzione o tassazione sia

stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in

altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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3. Le imposte sui redditi, relative alla plusvalenza di cui al comma 1 realizzata nel

periodo in cui avviene il trasferimento e della quale è sospesa la tassazione, sono

determinate in via definitiva, senza tener conto delle minusvalenze e/o delle plusvalenze

realizzate successivamente al trasferimento stesso.

4. Le perdite di esercizi precedenti non ancora utilizzate compensano prioritariamente il

reddito dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, comprensivo dei componenti

di cui al comma 2; l’eccedenza, unitamente all'eventuale perdita di tale periodo,

compensa la plusvalenza di cui al comma 1. Per le eventuali perdite ancora residue, resta

ferma l'applicazione dell'art. 166 comma 2-bis, del TUIR.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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5. L’opzione di cui al comma 1 può essere esercitata anche distintamente per ciascuno

dei cespiti o componenti non confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio

dello Stato; a tal fine la plusvalenza di cui al comma 1 è riferita a ciascun cespite o

componente trasferito in base al rapporto tra il suo maggior valore e il totale dei

maggiori valori trasferiti.

6. Le imposte sui redditi oggetto di sospensione sono versate nell'esercizio in cui si

considerano realizzati, ai sensi delle disposizioni del Tuir, gli elementi dell'azienda o del

complesso aziendale trasferiti. Per le partecipazioni diverse da quelle dell’art. 85 del Tuir,

la riscossione avviene, oltre che in sede di cessione, anche nell'esercizio di distribuzione

degli utili o delle riserve di capitale. Sull'importo sospeso sono dovute garanzie

proporzionali all'importo dell'imposta sospeso.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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7. In alternativa al pagamento immediato e alla modalità di

riscossione delle imposte sui redditi prevista dal comma 6, le

imposte stesse, anche relative a ciascun cespite, possono essere

versate in quote costanti con riferimento all'esercizio in cui ha

efficacia il trasferimento e nei nove successivi, maggiorate degli

interessi nella misura prevista dall’art. 20 del decreto legislativo

9 luglio 1997, n. 241. Sono, inoltre, dovute garanzie proporzionali

all'importo dell'imposta sospeso. L'esercizio dell'opzione

comporta il venir meno degli obblighi di monitoraggio annuale.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia

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8. Costituisce ipotesi di decadenza della sospensione e, pertanto, comporta il

versamento dell'imposta residua con riferimento all'esercizio in cui ha efficacia

l'operazione di trasferimento di sede in uno Stato diverso dagli Stati appartenenti

all'Unione europea o aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella

lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'art. 168-bis comma 1, del Tuir, di

liquidazione o estinzione del soggetto estero nonché di conferimento ovvero di

fusione o scissione che comportano il trasferimento dell'azienda ad altro soggetto

residente in uno Stato diverso da quelli sopra richiamati.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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9. Con uno o più provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono individuate

le modalità di esercizio dell'opzione e del versamento rateale, di prestazione delle

garanzie ai fini del riconoscimento della sospensione e del rilascio delle stesse, nonché

le modalità di monitoraggio annuale delle plusvalenze in sospensione, mediante la

dichiarazione dei redditi e/o un'apposita comunicazione.

La richiesta della prestazione di garanzie dovrà comunque tenere conto dell'ammontare

delle imposte la cui riscossione è sospesa, prevedendo delle soglie di esenzione per

importi di modesta entità, e di altri criteri tesi a valutare in modo oggettivo la rischiosità

della posizione del contribuente.

I medesimi provvedimenti possono, altresì, individuare cause di decadenza della

sospensione connesse al venir meno delle garanzie o alla mancata presentazione delle

dichiarazioni o comunicazioni relative al monitoraggio annuale delle plusvalenze.

Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Repubblica italiana.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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Il D.M. 2 agosto 2013 ha finalmente dato attuazione ai commi 2-quater e 2-

quinquies dell’art. 166 del Tuir inseriti ad opera dell' art. 91 co.1 del D.L. n.

1/2012 intervenuto a recepimento delle indicazioni contenute nella sentenza

della Corte di Giustizia Europea Causa C-371/10 del 29.11.2011.

I Supremi giudici hanno avuto modo di precisare che l’art. 49 del T.F.U.E.

contrasta con una normativa che impone ad una società che trasferisce in un

altro Stato membro la propria sede amministrativa effettiva la riscossione

immediata, al momento stesso di tale trasferimento, dell’imposta sulle

plusvalenze latenti relative agli elementi patrimoniali di tale società così come

previsto nella versione originaria della norma.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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In sostanza, il contribuente può ora beneficiare di tre regimi

distinti:

1.il classico regime del pagamento immediato delle imposte sul

plusvalore;

2.il regime del pagamento al momento del realizzo differito dei

beni;

3.il realizzo immediato, come nel primo caso, ma con pagamento

dell'imposta dilazionata in 10 anni. Quest'ultima opportunità,

assente nella norma, è stata offerta dal decreto. Il decreto ha scelto di escludere il differimento dei beni merce,

probabilmente per motivi di semplicità, ed ha imposto una liquidazione

dei componenti positivi e negativi riportati in avanti, alla stregua di

quello che accade al soggetto che entra nel regime dei minimi.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti

esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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Ha inoltre correttamente stabilito che non si può tener conto di eventuali

plusvalenze o minusvalenze realizzate successivamente al trasferimento.

Questo principio, peraltro desumibile anche dalla stessa sentenza della

Corte, è assolutamente condivisibile e ribadisce quanto correttamente

sostenuto dall'Agenzia nella Risoluzione 19 luglio 2002, n.242/E dove,

affrontando il caso del trasferimento della partecipazione dalla sfera

istituzionale a quella commerciale di un ente ecclesiastico ha statuito che

"occorre comunque salvaguardare il principio generale del sistema in

base al quale i componenti di reddito debbono rilevare nel medesimo

regime nel quale sono maturati e non in un regime diverso, al fine di

evitare arbitraggi rivolti a scegliere il sistema di tassazione più

conveniente".

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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Scendendo in un caso concreto, la questione potrebbe riguardare la mera

immobiliare di gestione che trasferisce la residenza all’estero.

Immaginiamoci la piccola srl con due o tre immobili locati.

Il trasferimento all'estero non comporta la sussistenza di una stabile

organizzazione per cui la norma in oggetto può essere applicata

ipotizzando che la stessa non risulti esterovestita.

Si dovrà calcolare il plusvalore come differenza tra il valore di mercato

dell’immobile al momento del trasferimento ed il costo fiscalmente

riconosciuto dello stesso. Ebbene, anche se l'imposta è a esigibilità

differita, la plusvalenza è determinata in modo definitivo al momento del

trasferimento. Ipotizziamo un costo di 100, un valore di mercato di 150 e

una vendita a distanza di anni per un importo di 180.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti

esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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In questo caso ci saranno due plusvalenze; la prima di 50 determinata con

le regole del reddito di impresa al momento del trasferimento, ed una

seconda di 30 determinata con le regole dei soggetti non residenti che non

hanno una stabile organizzazione in Italia.

Supponiamo, invece, il caso forse oggigiorno più credibile, di vendita

successiva a 130. In questo caso abbiamo una plusvalenza di 50 ed una

minusvalenza di 20 che non sono compensabili.

Purtroppo, il decreto nulla dice in merito all’annoso problema della

difficoltà di trasferire la sede della società in alcuni paesi ancorchè

comunitari.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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L'art. 25, comma 3 legge 31 maggio 1995, n. 218 stabilisce infatti che il

trasferimento della sede legale indicata nello statuto e' efficace solo se

posto in essere conformemente agli ordinamenti dello Stato di

provenienza e dello Stato di destinazione.

L'efficacia del trasferimento della sede statutaria è quindi subordinata al

duplice rispetto sia delle norme del paese di provenienza sia di quelle del

paese di destinazione.

Ne consegue che la continuità giuridica della società è condizionata alla

ammissibilità del trasferimento nei due ordinamenti.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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In sostanza, una società estera che abbia trasferito in Italia

la propria sede legale, diviene società di diritto italiano

senza necessità di costituirsi ex novo a condizione che il

trasferimento della predetta sede sia ammesso dalla legge

dello Stato in cui si è costituita.

Lo stesso vale nel caso del trasferimento all’estero.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

100

Alcuni ordinamenti, infatti, anche di paesi vicino al nostro, non

consentono che una società costituita secondo il diritto nazionale

possa trasferire all’estero la propria sede sociale se non a prezzo

della dissoluzione e liquidazione dell’ente.

Ebbene, la neutralità fiscale indicata nell'art. 166 del tuir vale anche

in ipotesi di dissoluzione della società? E in tal caso, quid iuris circa

i profili impositivi in capo al socio?

Talora questo tipo di operazioni sono implementate per “rottamare”

la società controllante estera o la controllata italiana.

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Il D.M. del 2 agosto 2013 Regime fiscale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in altro Stato dell'UE o SEE ("Exit Tax") in Italia.

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L'operazione può essere alternativamente perseguita attraverso una

più onerosa fusione transnazionale.

Auspichiamo che l'Agenzia delle Entrate confermi la sospensione

della tassazione anche in caso di fusione transnazionale che fa venir

meno la società in Italia senza che rimanga la stabile

organizzazione.

Da ultimo segnaliamo che il decreto ha voluto ricomprendere tra i

beni da assoggettare a tassazione anche l'avviamento compiendo, di

fatto, una scelta che alimenterà il contenzioso tra fisco e

contribuente.

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Casi concreti di trasferimento di residenza di società

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Casi concreti

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IMMOBILIARE

Plusvalenze immobiliari

Criticità esterovestizione !!!

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Casi concreti

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HOLDING

A B C D Se le partecipate soddisfano i requisiti dell’art. 87 tuir beneficio della pex

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Casi concreti

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OPERATIVA

Azienda

Se le partecipate soddisfano i requisiti dell’art. 87 tuir beneficio della pex

Dove

vado?

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Esterovestizione: i rilievi

in sede di accertamento

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- I recenti accertamenti -

Fase 1

Fase 2

Fase 7

Fase 3

Fase 4

Fase 5

Fase 6

Accesso presso sede italiana

Emersione della esistenza di una controllata estera (bilancio, eccetera)

Dalla documentazione emerge un potere gestorio da parte dell’Italia

Esame corrispondenza (fax, email, …)

Si contesta l’estrovestizione

Si citano passaggi della corrispondenza

Accertamento extracontabile a casusa della mancata presentazione della

dichiarazione dei redditi

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- I recenti accertamenti -

Fase 1 Accesso presso sede italiana

Valutare la ritualità dell’accertamento: il frutto dell’albero velenoso è sempre velenoso

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- I recenti accertamenti -

Fase 2 Emersione della esistenza di una controllata estera (bilancio,

eccetera)

Opportunità alternative in sede preventiva:

-La holding lussemburghese;

- la detenzione tramite fiduciaria.

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- I recenti accertamenti -

Fase 3 Esame corrispondenza (fax, email, …)

- Esame preventivo delle modalità di comunicazione all’interno del gruppo;

- Definizione di ruoli e compensi.

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- I recenti accertamenti -

Fase 4 Dalla documentazione emerge un potere gestorio da parte dell’Italia

- Valutare se si tratta del top management;

- Valutare se non sia piuttosto l’assolvimento di una prestazione contrattualizzata.

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- I recenti accertamenti -

Fase 5 Si citano passaggi della corrispondenza

- Contestualizzare gli estratti;

- Valutare se espressivi del top management;

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- I recenti accertamenti -

Fase 6 Si contesta l’estrovestizione

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- I recenti accertamenti -

Fase 7 Accertamento extracontabile a causa della mancata

presentazione della dichiarazione dei redditi

Valutare la procedura amichevole tra i paesi in quanto la residenza fiscale italiana esclude quella

estera.

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a cura di Ennio Vial

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Forme di investimento imprenditoriale all’estero

L’attività d’impresa viene rivolta sempre più spesso al di fuori dei confini nazionali.

L’attività di delocalizzazione e/o penetrazione nei mercati esteri può avvenire con diversi strumenti giuridici cui corrisponde un diverso grado di impegno economico ed amministrativo da parte del soggetto nazionale.

Senza pretesa di completezza, si vuole fornire un quadro di tali modalità evidenziandone i relativi vantaggi e svantaggi allo scopo di meglio indiziare le scelte imprenditoriali.

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Forme di investimento imprenditoriale all’estero

Le forme giuridiche a disposizioni dell’imprenditore che vuole espandersi all’estero possono essere riassunte come i seguito:

1. ufficio di rappresentanza, 2. stabile organizzazione; 3. società di diritto estero.

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1) L’ufficio di rappresentanza

Tale forma è la più semplice e generalmente la più economica.

L’ufficio svolge esclusivamente compiti preparatori dell’attività economica vera e propria, di carattere promozionale oppure informativo.

Una struttura del genere non possiede una propria identità giuridica distinta dalla casa madre e nemmeno una propria soggettività tributaria. La stessa rappresenta quindi un mero centro di costo.

Attraverso l’ufficio di rappresentanza non può essere esercitata alcuna attività commerciale oppure industriale, pena il rischio dell’acquisto di un’autonoma soggettività tributaria al pari degli altri soggetti di seguito analizzati.

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2) La stabile organizzazione

Uno strumento maggiormente sofisticato per operare in un paese straniero è l’apertura di una stabile organizzazione.

La stabile organizzazione viene definita come “una sede fissa di affari in

cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.

Il Commentario al Modello di Convenzione fornisce alcuni importanti chiarimenti: •il termine “sede (…) di affari” va inteso in senso ampio. Esso comprende immobili, attrezzature e installazioni utilizzati – anche non in forma esclusiva - per lo svolgimento dell’attività dell’impresa. Non è necessario che gli immobili siano di proprietà del soggetto estero, per configurare una stabile organizzazione, essendo sufficiente – a tal fine - che lo stesso ne abbia la mera disponibilità. •la sede di affari deve essere “fissa”, cioè deve possedere una connessione di carattere permanente con il territorio dove risiede. Secondo il Commentario la permanenza nel territorio straniero può essere anche per breve periodo, ma deve concretizzare un certo grado di permanenza in ragione della specifica attività esercitata.

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2) La stabile organizzazione

La stabile organizzazione A titolo esemplificativo, vengono citate quali possibili stabili

organizzazioni: • una sede di direzione; • una succursale; • un ufficio; • un’officina; • un laboratorio; • una miniera o un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o

altro luogo di estrazione di risorse naturali.

Da un punto di vista tributario, la stabile organizzazione costituisce un autonomo soggetto d’imposta nel paese dove risiede ed è fiscalmente trasparente nei confronti della casa madre.

In altre parole, la tassazione avrà luogo prima nel paese di residenza della stabile organizzazione e successivamente – per lo stesso reddito – anche in capo alla casa madre, generando potenziali fenomeni di doppia imposizione.

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3) La società di diritto locale

La terza possibilità risiede nel costituire una società di diritto locale dotata di personalità giuridica controllata – per semplicità si consideri un controllo diretto totalitario – dalla casa madre.

Tale società diventerà, anche ai fini tributari, un centro distinto ed autonomo di effetti giuridici rispetto alla casa madre.

La tassazione, in questo caso, avverrà esclusivamente in capo alla società estera, fatta salva la distribuzione del risultato economico anche alla controllante nazionale.

Prescindendo da considerazioni tributarie, vale la pena di sottolineare che la società di diritto locale, essendo soggetto diverso dalla società controllante, sarà l’unica chiamata a rispondere di eventuali responsabilità derivanti dalla propria condotta.

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Scelta della struttura ottimale

I fattori da considerare nella scelta di come operare all’estero sono molteplici.

Da un punto di vista strettamente tributario, uno dei principali fattori da considerare è l’aspettativa di reddito.

La mancata soggettività giuridica – ancorché non tributaria - della stabile organizzazione comporta che gli utili e le perdite conseguite dalla stessa vengano direttamente imputate alla casa madre amplificandone i risultati.

Tale scelta può risultare appropriata, di conseguenza, se si prevede che l’attività all’estero possa generare delle perdite le quali, in questa situazione, verrebbero compensate con gli utili della casa madre.

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Scelta della struttura ottimale

Scelta della struttura ottimale Diversamente, nel caso di aspettative di reddito positive,

l’utilizzo di società di diritto locale può risultare conveniente in quanto i risultati positivi verrebbero tassati:

• nello Stato estero con l’aliquota locale, spesso minore rispetto a quella italiana;

• in Italia solo in caso di distribuzione del dividendo (generalmente limitatamente al 5%).

Un esempio potrà chiarire quanto sopra.

Viene considerata la tassazione della stabile organizzazione secondo il metodo del credito d’imposta, stante la sua maggiore diffusione.

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STAB.ORGANIZZ.

(credito

d'imposta)

SOC.

CONTROLLAT

A 100%

Romania

Reddito entità estera 1.000 1.000

Imposta (16%) 160 160

Italia

Reddito entità estera (*) 1.000 42

Ires (27,5%) 275 11,55

Credito d'imposta 160 0

Imposta netta 115 11,55

Imposta complessiva 275 171,55

(*) il dividendo viene considerato limitatamente al 5%

(840*5%)

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N.B. L’esempio sopra riportato dimostra come, in presenza di utili attribuibili alla stabile organizzazione, l’utilizzo di una società di diritto estero risulti più conveniente.

In caso si preveda di subire una perdita, il risultato sarà il seguente:

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STAB.ORGANIZZ.

(credito

d'imposta)

SOC.

CONTROLLATA

100%

Stato X

Reddito entità estera -100 -100

Imposta (20%) 0 0

Stato Y

Reddito entità estera -100 0

Reddito prodotto in Y 500 500

Tot. reddito imponibile 400 500

Imposta (35%) 140 175

Credito d'imposta 0 0

Imposta netta 140 175

Imposta complessiva 140 175

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La stabile organizzazione, qualora si risolva in un mero centro di costo per la casa madre, appare la soluzione più vantaggiosa.

In questo modo le perdite fanno capo direttamente a quest’ultima.

Tale vantaggio risulta ancora più evidente dal fatto che la riforma tributaria entrata in vigore dal 2004 ha eliminato la rilevanza fiscale delle svalutazioni di partecipazioni che la controllante avrebbe potuto operare relativamente alla controllata.

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L’apertura di uno stabilimento all’estero

L’apertura dello stabilimento si può realizzare aprendo: 1.Una società di diritto locale; 2.Una stabile organizzazione.

NO Ufficio di rappresentanza!!

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Il rimpatrio delle risorse prodotte all’estero in ipotesi di società di diritto locale

Il rimpatrio è possibile mediante: 1.La distribuzione di dividendi; 2.Il finanziamento fruttifero del soggetto estero che corrisponde interessi alla casa madre; 3.Il pagamento di royalties al soggetto italiano per l’uso del marchio.

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1. Dividendi

La distribuzione di dividendi tra società di capitali all’interno dell’Unione Europea: 1.Non prevede ritenute in uscita; 2.I dividendi percepiti sono tassati sul 5%.

Diversamente, in ipotesi di società Extra – UE è necessario analizzare la Convenzione con il paese di riferimento per verificare le ritenute in uscita.

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2. Interessi

Il rimpatrio delle risorse può avvenire anche tramite il finanziamento del soggetto estero.

In tale ipotesi, se la società risiede nell’UE: 1.Non ci sono ritenute in uscita; 2.Gli interessi attivi percepiti concorrono a formare il reddito d’impresa.

Diversamente, in ipotesi di società Extra – UE è necessario analizzare la Convenzione con il paese di riferimento per verificare le ritenute in uscita.

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3. Royalties Una ulteriore soluzione è la concessione in uso del marcio alla società estera; tale soluzione determina il pagamento da parte del soggetto estero di royalties alla controllante.

In tale ipotesi, se la società risiede nell’UE: 1.Non ci sono ritenute in uscita; 2.Le royalties percepite concorrono a formare il reddito d’impresa.

Diversamente, in ipotesi di società Extra – UE è necessario analizzare la Convenzione con il paese di riferimento per verificare le ritenute in uscita.

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Criticità della società estera

1.Esterovestizione;

2.Asservimento della società estera alla casa madre italiana;

3.Se la società estera effettua servizi infragruppo e la tassazione è

inferiore alla metà, la controllante potrebbe essere tassata per

trasparenza (“CFC white list”);

4.Transfer pricing se esiste un rapporto di controllo.

Vantaggi

Possibilità di beneficiare della minor tassazione prevista nel

paese estero.

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Aspetti critici e vantaggi della stabile

organizzazione

Criticità

1.Complessità gestionale e contabile (è necessario

integrare la contabilità della stabile nella contabilità

della casa madre).

2.Impossibilità di ottenere benefici fiscali;

3.Rispetto del Transfer pricing.

Vantaggi

1.Compensazione immediata delle perdite.

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1) La “CFC white list”

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I commi 8-bis e 8-ter dell’art. 167 del Tuir

Il comma 8-bis dell’art. 167 prevede che la disciplina del comma 1

trovi applicazione anche quando ricorrano congiuntamente 2

condizioni:

• i soggetti esteri sono assoggettati ad tassazione effettiva

inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti

ove residenti in Italia;

• i proventi derivano, per più del 50%, dall’attività di gestione

finanziaria, dalla concessione in uso di marchi e brevetti e

dall’effettuazione di servizi infragruppo.

Il comma 8-bis, definito “CFC white list”, opera quando

sussistono contemporaneamente le 2 condizioni testé citate

(non opera in ipotesi di collegamento).

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I commi 8-bis e 8-ter dell’art. 167 del Tuir

Come detto, la norma in commento si applica quando la partecipata estera paga imposte nello Stato o territorio di insediamento per un importo pari a meno della metà (< 50%) del carico impositivo cui sarebbe stata sottoposta qualora fiscalmente residente in Italia.

Di conseguenza, il nuovo comma 8-bis consente di applicare la “Cfc rule” alle società non residenti in un paradiso fiscale ma soggette ad un carico impositivo nettamente inferiore a quello italiano.

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La tassazione effettiva

Definiamo ora cosa si intende per “tassazione effettiva”.

La circolare 51/2010 precisa che il contribuente deve far riferimento al carico effettivo di imposizione (effective tax rate) e non all’aliquota nominale di imposizione societaria gravante sulla società estera; il carico effettivo di imposizione è determinato rapportando l’imposta effettivamente pagata nel paese estero all’utile ante imposte.

Successivamente si deve confrontare la “tassazione effettiva estera” con quella “virtuale” interna considerando esclusivamente le imposte sul reddito, ed escludendo in ogni caso l’IRAP.

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La tassazione effettiva

N.B. Vanno prese in considerazione solo le imposte correnti e non anche le eventuali imposte anticipate e differite; si stabilisce l’irrilevanza dei crediti d’imposta per le imposte pagate all’estero e le eventuali agevolazioni di carattere temporaneo o non strutturale, riconosciute alla generalità dei contribuenti.

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Il caso della Holding

Gli operatori avevano atteso con vivo interesse le posizioni dell’Agenzia in merito alle holding estere.

La soluzione proposta dalla C.M.51/2010: l’Agenzia richiede, in ogni caso, la presentazione dell’interpello.

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L’interpello della “CFC white list”

In linea con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza 12.9.2006, causa C-196/2004 (Cadbury-Schweppes), il legislatore ha previsto la possibilità per il contribuente di ottenere la disapplicazione della normativa CFC attraverso la dimostrazione, tramite interpello, che la controllata “white list” “non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale” (c. 8-ter).

L’inasprimento della normativa ha sicuramente un notevole impatto in termini di pianificazione fiscale, soprattutto alla luce del fatto che l’estensione della disciplina alle controllate “white list”, potenzialmente potrebbe riguardare molte delle strutture societarie esistenti.

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Ai fini della valutazione, l’Agenzia delle Entrate dovrà utilizzare gli indici individuati nella Risoluzione 8.6.2010 del Consiglio dell’Unione Europea.

Viene chiarito che il riconoscimento del carattere non artificioso della costruzione estera rappresenta, laddove verificato, un dato acquisito, ovviamente a condizione che nei successivi esercizi permangano inalterate le condizioni fattuali rappresentate nell’istanza. (conferma quindi la tesi di Assonime)

L’interpello della “CFC white list”

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Indici individuati dall’Unione Europea

1. l’insufficienza di motivi economici o commerciali validi per

l’attribuzione degli utili, che pertanto non rispecchia la realtà

economica;

2. la costituzione non risponde essenzialmente a una società reale

intesa a svolgere attività economiche effettive;

3. non esiste alcuna correlazione proporzionale tra le attività

apparentemente svolte dalla CFC e la misura in cui tale società

esiste fiscalmente in termini di locali, personale e attrezzature;

4. la società non residente è sovra capitalizzata: dispone di un

capitale nettamente superiore a quello di cui ha bisogno per

svolgere un’attività;

5. il contribuente ha concluso transazioni prive di realtà

economica, aventi poca o nessuna finalità commerciale.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

Tax Rate: Norme non Contenute nel Tuir Il punto 2.1 della C.M. 23/E/2011 ha chiarito che ai fini della valutazione del tax rate corrispondente italiano non si deve considerare la disciplina delle società di comodo. Coerentemente con questa impostazione, il punto 2.9 chiarisce che ai fini del calcolo del tax rate (virtuale) domestico, non si deve tener conto nemmeno delle disposizioni speciali richiamate dall’art. 96, co. 6, come ad esempio l’art. 3, co. 115, L. n. 549/1995 che prevede limitazioni per la deducibilità degli oneri finanziari connessi ad un prestito obbligazionario. In sostanza, queste norme rilevano solo nella fase successiva in cui si applica l’eventuale tassazione per trasparenza ma non anche in quella prodromica di determinazione del tax rate.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

Differenze Temporanee e Valori Riconosciuti Il punto 2.4. della C.M. 23/E/2011 esclude la rilevanza delle differenze temporanee pregresse, ossia variazioni in diminuzione che derivano da variazioni temporanee originatesi in esercizi anteriori a quello della prima applicazione della disciplina cfc.

Il punto 2.7, inoltre, affronta il tema della rilevanza fiscale dei fondi risultanti dal bilancio. L’Agenzia chiarisce che, ai fini del calcolo del tax rate (virtuale) domestico è data rilevanza alla disposizione di cui all’arti 2, co. 2, del D.M. 21.11.2001, n. 429 secondo cui i valori risultanti dal bilancio relativo all'esercizio o periodo di gestione anteriore a quello da cui si applicano le disposizioni del presente regolamento sono riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi a condizione che siano conformi a quelli derivanti dall'applicazione dei criteri contabili adottati nei precedenti esercizi o ne venga attestata la congruità da uno o più revisori.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 E’ inoltre previsto il riconoscimento degli ammortamenti e dei fondi per rischi ed oneri risultanti, anche se diversi da quelli ammessi dal D.P.R. 917/1986 o se eccedenti i limiti in esso previsti.

La C.M. 23/E/2011 chiarisce che nonostante la valenza di questa disposizione sia circoscritta alla tassazione per trasparenza della partecipata estera, la sua applicazione è stata estesa al tax rate test in quanto – in ogni caso - disciplina quali sono i valori fiscali da cui partire ai fini della determinazione del reddito conseguito dalla CFC.

Il verificarsi dell’evento connesso all’iscrizione di un fondo rischi (già iscritto) non determinerà una variazione in diminuzione in dichiarazione dei redditi. Da quanto appena chiarito consegue che i fondi e gli accantonamenti che non figurano nel predetto bilancio di partenza sono soggetti alle ordinarie disposizioni del TUIR e ai limiti di deducibilità ivi previsti.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

Monitoraggio continuo Il punto 7.1, inoltre, lascia intendere che i valori di bilancio dovrebbero essere monitorati per tutte le società controllate estere in occasione della prima applicazione della disciplina; ciò appare improponibile per tutte quelle realtà operative per le quali è evidente la non applicabilità del comma 8 bis) sia per il livello di tassazione che per il tipo di attività svolta.

Ad esempio, la società produttiva estera non viene generalmente monitorata in quanto non risulta mai soddisfatta la seconda condizione relativa allo svolgimento di una attività passiva. Potrebbe, tuttavia, accadere che col tempo l’attività muti divenendo passiva (ad esempio i servizi infragruppo). In questo caso bisognerebbe ricostruire i valori al 31 dicembre 2009 ossia al momento di inizio della disciplina sulle CFC.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

Semplificazione

Per ovviare a questi problemi, la C.M. ammette che il contribuente, in alternativa, possa effettuare i calcoli connessi al tax rate test, nonché alla tassazione per trasparenza del reddito della CFC, assumendo, quali valori di partenza fiscali, quelli risultanti dal bilancio o rendiconto relativo all’esercizio precedente. In tal caso, tuttavia, non si potrà tener conto di eventuali perdite (virtuali) relative ad esercizi precedenti, né ai fini del tax rate test né, a fortiori, ai fini dell’eventuale determinazione del reddito tassato per trasparenza.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 Perdite Fiscali Estere

Il punto 2.6 ribadisce che le perdite estere anteriori al 2010 non rilevano a prescindere dalla loro origine e natura, in quanto una diversa soluzione potrebbe essere pregiudizievole nei confronti del contribuente.

In realtà, se è pur vero che il socio residente dovrebbe rideterminare, secondo le disposizioni fiscali domestiche, i redditi (e quindi le perdite) conseguiti dalla controllata estera nei periodi d’imposta pregressi all’applicazione nei suoi confronti del citato comma 8-bis, è anche vero che, ragionevolmente, emergerebbe un tax rate nullo in entrambi i paesi per cui la tassazione per trasparenza non dovrebbe operare. Diversamente, dovendo escludere le perdite pregresse, il contribuente sarà costretto a rideterminare il carico fiscale teorico estero.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

Tassazione per trasparenza in mancanza di interpello

Il punto 7.3 chiarisce che la tassazione per trasparenza non può essere basata su valutazioni di convenienza del contribuente ma su circostanze di fatto attinenti all’artificiosità o meno della struttura estera. L’Agenzia sostiene che questo regime di tassazione, una volta adottato dal contribuente, non può essere autonomamente modificato dallo stesso sulla base esclusiva dell’andamento dei calcoli richiesti ai fini del tax rate test e del passive income test.

In sostanza, una volta intervenuta una tassazione per trasparenza a causa del verificarsi di entrambe le condizioni indicate nel comma 8 bis o per scelta del contribuente che ritiene artificiosa la struttura estera, la tassazione per trasparenza opera comunque negli esercizi successivi ed è possibile “uscirne” solo attraverso la presentazione di un interpello.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 Gli utili eccedenti il reddito tassato per trasparenza

Il punto 7.5 della circolare chiarisce che in caso di distribuzione di dividendi, per gli utili precedentemente tassati per trasparenza non interviene nessuna ulteriore tassazione in capo al socio italiano.

Ciò a prescindere dalla circostanza che, a seguito delle variazioni in aumento ed in diminuzione operate al fine di determinare il reddito imponibile, quest’ultimo sia superiore o inferiore all’utile dell’esercizio distribuito. Diversamente, per gli utili derivanti da esercizi precedenti all’applicazione della disciplina, gli stessi concorreranno alla formazione del reddito della controllante residente per il 5 per cento del loro ammontare se e nella misura in cui provengono da uno Stato o territorio diverso da quelli compresi nella black list del D.M. 21.11.2001.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 Controllata white list con stabile organizzazione black list Il punto 3 della circolare affronta il caso della società partecipata white list con una stabile organizzazione black list. La stabile organizzazione rientra nella c.f.c. black list mentre la società potrebbe rientrare nella c.f.c. white

list. Si può quindi configurare una sovrapposizione della disciplina.

L’Agenzia distingue a seconda che il reddito della stabile sia regolarmente tassato in capo alla casa madre o no.

White list

Black list

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 Nel primo caso, il socio residente ha facoltà di presentare una sola istanza di interpello relativamente alla sua controllata non black list, ai sensi del successivo comma 8-ter dell’art. 167. In tale sede, occorre anche dimostrare che il reddito della stabile organizzazione black list è tassato integralmente e in via ordinaria in capo alla stessa casa madre, secondo quanto previsto dall’art. 5, co. 3, del D.M. 21.11.2001, n. 429. Diversamente, se il reddito della stabile non risulta tassato in capo alla casa madre, bisognerà distinguere la stabile organizzazione dalla casa madre. In questo caso la circolare chiarisce che il tax rate test ed il passive income

test devono riguardare esclusivamente i componenti della casa madre. Anche in tale ipotesi è possibile presentare una unica istanza di interpello ma con due cause esimenti distinte.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

L’interpello Disapplicativo Il punto 8 della circolare fornisce interessanti indicazioni in merito alla presentazione dell’interpello disapplicativo. L’aspetto di maggior interesse è costituito dalla proroga al 30 giugno.

Il punto 8.1, infatti, ribadisce che se la partecipazione è detenuta direttamente da una società residente (per esempio Alfa) e indirettamente da una ulteriore società italiana (per esempio Beta), l’interpello dovrebbe essere presentato dalla società residente di ultimo livello, ossia da Beta la quale provvederà poi a compilare il quadro FC imputando il reddito ad Alfa che lo dichiarerà nel quadro RM.

La C.M. 23/E/2011 ammette che la presentazione possa avvenire anche tramite la controllante di primo livello ossia da Alfa. Essendo, infatti, la società più vicina alla CFC sarà anche quella che avrà maggiore accesso alle informazioni.

BETA

ALFA 154

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Chiarimenti della C.M. 23/2011 Società trasparenti La partnership, ai fini della valutazione del tax rate (virtuale) domestico, va trattata al pari di una società di persone esercente attività d’impresa. Il tax rate estero va determinato facendo riferimento all’imposta assolta dal partner sui redditi ad esso imputati dalla partnership, nonché alle eventuali imposte sul reddito assolte dalla partnership nel proprio Stato di localizzazione.

Quindi, sotto un profilo pratico, bisognerà in prima battuta considerare le imposte sui redditi eventualmente scontate dalla partnership e, in un secondo momento, quelle pagate in relazione a tale partecipazione da parte del partner tassato per trasparenza. Se, per caso, il partner è stabilito in un Paese estero diverso da quello della partnership andranno considerate le imposte dovute dal partner nello Stato di stabilimento della partnership in relazione al reddito ad esso imputato per trasparenza, nonché quelle eventualmente dovute nel suo Stato di residenza, tenuto conto di eventuali crediti d’imposta riconosciuti.

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Chiarimenti della C.M. 23/2011

SOCIETA’ TRASPARENTI La C.M. 23/E/2011 chiarisce che questa modalità di calcolo opera solo per quei soggetti per i quali la trasparenza costituisce il regime naturale di tassazione. Diversamente, per quelle entità che, pur nascendo come “opache”, possano per effetto di opzioni consentite dallo Stato o territorio di localizzazione, imputare per trasparenza i redditi dalle stesse conseguiti ai soggetti partecipanti, dovranno essere considerate, ai fini del tax rate test, come soggetti opachi.

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Le trading estere

Si premette come la costituzione di una società “trading” in un Paese dell’Unione Europea consente di delocalizzare una funzione aziendale in uno Stato con un regime fiscale più agevolato rispetto a quello italiano.

Ipotizzando che la struttura estera gestisca le vendite o gli acquisti del gruppo, la base imponibile della società produttiva italiana viene legalmente erosa di una fetta di margine che viene attribuita, per l’appunto, alla società commerciale estera.

Come noto, nel contesto internazionale, l’Irlanda è da tempo considerata la patria delle trading dei gruppi a vocazione internazionale.

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Le trading estere

Analizziamo se la nuova “CFC white list” si applica alle società trading.

Come detto, affinché operi la nuova tassazione per trasparenza devono sussistere congiuntamente 2 condizioni: 1.tassazione inferiore alla metà di quella italiana; 2.i proventi della partecipata sono prevalentemente “passive income”.

Generalmente, la società trading irlandese rientra nella prima delle due condizioni; infatti, l’aliquota del 12,5 % è inferiore alla metà di quella italiana (27,5%/2 = 13,75%).

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Le trading estere

Inoltre, l’attività svolta dalla trading, essendo un’attività di acquisto e vendita di merci, non dovrebbe generare “passive income” che derivano, invece, dalla gestione di partecipazioni, marchi e dall’effettuazione di servizi infragruppo.

Di conseguenza, non sussistendo le due condizioni citate, la trading irlandese non dovrebbe ricadere nella nuova “CFC white list”.

Sul tema, purtroppo, l’Agenzia delle entrate in sede di Telefisco 2011, ha espresso una opinione contraria.

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Le trading estere

Il quesito proposto all’Agenzia delle entrate ha ad oggetto una società

“trading” che effettua operazioni di compravendita di merci e prodotti finiti

(in nome e per conto proprio) con controparti appartenenti al medesimo

gruppo.

E’ stato chiesto se l’attività svolta possa essere definita come un “servizio

intercompany” e se la società ricada quindi nella CFC white list.

Si ribadisce come:

1.le trading irlandesi scontino una tassazione del 12,5% (inferiore alla metà

di quella italiana);

2.l’attività di trading non dovrebbe rientrare nei c.d. “passive income”

previsti dalla norma, poiché consiste in un acquisto/cessione di beni e non

in una prestazione di servizi.

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Le trading estere

In sede di Telefisco, l’Agenzia delle entrate ha tuttavia sostenuto che

“l’attività indicata nel quesito, rappresentata nelle sue

caratteristiche essenziali non esclude, in sostanza, la configurabilità

di una prestazione di servizi; eventuali elementi idonei ad escludere

in concreto la sussistenza di una situazione elusiva, potranno essere

valutate in relazione al singolo caso”.

L’Agenzia ritiene dunque che l’attività di trading possa configurare

una prestazione di servizi intercompany ed è quindi necessaria la

presentazione di un’istanza di interpello se si vuole evitare la

tassazione per trasparenza in capo ai soci italiani.

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Le trading estere

Tale interpretazione non convince; si confonde infatti una

prestazione di servizi (una prestazioni di servizi è un’attività

economica che non risulta possedibile a differenza della fornitura di

una merce fisica; è una prestazione lavorativa o professionale che

compie un soggetto a favore di chi la richiede) con una “funzione”

svolta da una delle società del gruppo, ossia l’acquisto e la successiva

vendita delle merci.

Ad avviso di chi scrive la disciplina in esame non dovrebbe

applicarsi soprattutto se i clienti sono dei soggetti terzi al gruppo

(trading di vendita come accade nel gruppo in esame).

Si evidenzia, in ogni caso, che il contribuente può presentare istanza

di interpello dimostrando che la struttura estera non è una costruzione

di puro artificio.

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2) Transfer Pricing

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Quadro Normativo

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Fonti Nazionali:

• Art.110 c.7 del T.U.I.R.;

• Art.9 c.3 e 4 del T.U.I.R.;

• C.M. 32/1980, 42/1981, 53/1999;

• D.L. 269/2003 “Ruling Internazionale”;

• C.M. 58/E/2010;

• C.M. 28/E/2011.

Fonti Internazionali:

• Rapporto OCSE del 1979 e del 1995;

• Art. 9 Modello Ocse;

• Transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax

administration (comitato fiscale OCSE del 1999 e del 2010).

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Quadro Normativo

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In materia di transfer pricing la regola base è disciplinata

dall’art. 110 c.7 del T.U.I.R.; la norma prevede che le

transazioni commerciali (beni ceduti/acquistati e servizi

prestati o ricevuti) con società non residenti in Italia, ma

facenti parte dello stesso gruppo, siano valutate al valore

normale.

Si può notare come la normativa nazionale sia alquanto

scarna e si risolva in un solo comma dell’art.110 del T.U.I.R.

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L’art. 110 co.7 del Tuir

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L’art. 110 c.7 prevede che “I componenti del reddito

derivanti da operazioni con società non residenti nel

territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente

controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate

dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in

base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e

dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma

2, se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si

applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma

soltanto ………

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L’art. 110 co.7 del Tuir

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………… in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità

competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali

“procedure amichevoli” previste dalle convenzioni

internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. La

presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i

servizi prestati da società non residenti nel territorio dello

Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di

vendita e collocamento di materie prime o merci o di

fabbricazione o lavorazione di prodotti.”

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L’art. 110 co.7 del Tuir

168

La disposizione in esame si applica quindi alle transazioni

commerciali tra un’impresa residente e le società non residenti

che controllano l’impresa italiana, ne sono controllate o sono

controllate dalla stessa società che controlla l’impresa italiana.

Si fa riferimento quindi alla nozione di controllo.

Sebbene non sia esplicitamente richiamato l’art.2359 del codice

civile si deve supporre che la nozione richiamata sia quella

civilistica; si evidenzia inoltre come la C.M. n.32 del 22 settembre

1980 ampli la fattispecie includendo posizioni di controllo basate

sull’influenza che un’impresa esercita sulle decisioni dell’altra.

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Il transfer pricing

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Il prezzo pattuito nelle transazioni commerciali tra imprese

italiane e società estere, operanti nell’ambito del medesimo

gruppo economico, deve corrispondere al valore normale

dei beni o servizi trasferiti.

In caso contrario, infatti, fermi restando i rapporti negoziali

tra le parti, opera una presunzione di sostituzione del

corrispettivo pattuito con il predetto valore normale.

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L’art. 110 co.7 del tuir

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La disciplina interna prevede quindi:

• la ripresa automatica della materia imponibile se l’applicazione

del “valore normale” determina un aumento della base

imponibile;

• la ripresa in diminuzione, diversamente, si applica soltanto in

esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli

Stati esteri a seguito delle speciali “procedure amichevoli”

previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie

imposizioni sui redditi.

Si sottolinea come la disciplina non trovi applicazione

esclusivamente in relazione alla cessione e all’acquisto di beni ma

anche in relazione alle prestazioni di servizi attive e passive.

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Il valore normale

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Il principio che deve ispirare l’imprenditore italiano è quello del

valore normale: le transazioni devono essere remunerate come

se intercorressero tra soggetti estranei.

L’art. 9 del D.P.R. 6917/1986 stabilisce che “Per valore normale si intende il

prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni e servizi della stessa

specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di

commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati

acquisiti o prestati e in mancanza nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la

determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai

listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza,

alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali,

tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei

prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.

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Le criticità

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I problemi che emergono sono i seguenti:

• sviscerare tutte le transazioni palesi od occulte tra

soggetti appartenenti allo stesso gruppo al fine di

stimare il valore normale da prendere in esame;

• individuare dei criteri pratici per determinare il

valore normale;

• predisporre la documentazione idonea che dimostri

la congruità dei prezzi di trasferimento in caso di

accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.

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N.B.

L’imprenditore italiano che delocalizza la propria attività all’estero

tende ad adottare i seguenti comportamenti:

•vende la merce italiana a prezzi inferiori a quelli di mercato in

modo da trasferire la materia imponibile nello stato estero dove la

pressione fiscale è minore;

•eroga finanziamenti infruttiferi alla struttura estera per sostenere

l’attività di start-up;

•trasferisce tecnologia e know-how senza il riconoscimento di un

corrispettivo.

L’erogazione di un finanziamento ed il trasferimento di tecnologia

sono prestazioni di servizi che devono essere ricompensate con un

corrispettivo che rispetti il valore normale, pena la ripresa a

tassazione dei ricavi non dichiarati.