L’ · dell’uomo e l’epifania della luce. Tratti e macchie scure che si sono insinuate nel...

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17 DOMENICA, 21 APRILE 2019 CULTURA TORINO – NELLA CHIESA DEL SANTO SUDARIO LA MOSTRA DEL FOTOGRAFO MALATESTA In dialogo con la Sindone L’ armo- niosa sala litur- gica del- la chiesa dedicata al Santis- simo Sudario, nel centro sto- rico di Torino, all’angolo tra via Piave e via S. Domenico, riaperta da poco al pubblico dopo un accurato restauro, ospita la mostra temporanea «In dialogo con la Sindone» del fotografo e regista Da- nilo Mauro Malatesta, che resterà aperta fino al 26 apri- le. L’esposizione si inserisce nell’ambito del progetto «Sin- done di vetro itinerante» che, dopo il debutto romano, ini- zia il suo percorso da Torino, la Città che custodisce il Telo, indissolubilmente legata alla Sindone, per poi proseguire il suo cammino in altri comuni della nostra Penisola. Al fondo della navata della chiesa del SS. Sudario, in con- trofacciata, è stata allestita una sorta di camera oscura, «una cappella profana» - com’è sta- ta definita dalla curatrice della mostra Silvia Mattina -, che ci separa dal frastuono visivo e ci mette in contatto con la ripro- duzione del corpo dell’Uo- mo della Sindone. Quel Telo sindonico, icona del Sabato Santo, ci aiuta a comprendere e meditare sulla Passione di Gesù, che si è sacrificato per la nostra salvezza. Ed ecco che in questa «came- ra» avviene il dialogo: quello avviato dal Malatesta per mez- zo di otto lastre di vetro, im- presse con la tecnica dell’am- brotipia, delle dimensioni di 50x60 centimetri, allineate due a due e quattro per lato, quasi a raggiungere un’altez- za di tre metri, ricomposte per restituire i tratti dell’Uo- mo della Croce in scala reale. Davanti all’imponenza del- la Sindone di vetro non oc- corrono parole e il «silenzio emotivo» pervade la stanza e lo spettatore. Nel dialogo tra il Sacro Telo, la Sindone di vetro e l’uomo, il visitatore, si rinnova il sacrificio della cro- ce e con esso la riflessione sul simbolo e il segno cristiano. Il vetro, si sa, è un materiale molto fragile, ma in questo caso si trasforma gradualmen- te in un oggetto prezioso e po- tente intriso di emozioni nel messaggio della Passione e Resurrezione di Gesù. La mo- stra nella sua scarna semplici- tà assume nel periodo pasqua- le una valenza emotiva molto forte e costituisce un impor- tante stimolo alla riflessione. Qui l’immagine dell’Uomo è suddivisa, rotta, condivisa. Im- magine come copia del ‘vero’ (nel nostro caso si è resa ne- cessaria la presenza di un mo- dello, Lorenzo Pierno), come frammento, come messaggio della cultura e della storia; li- mite dell’osservabile, fascino dell’invisibile, narrazione e drammaticità della visione. Ombre, proiezioni, rappre- sentazioni, messaggi che si fissano, in virtù non solo della loro efficacia simbolica, nella memoria come se pensare fos- se vedere e vedere fosse anche pensare, in una circolarità dif- ficile da interrompere. L’immagine è una forma di mediazione tra ciò che non si vede – assente – e il presente; nessuna cultura può farne a meno ed è forse proprio per questo suo insieme di oggetto e di mezzo della conoscenza che risiede il suo carattere di necessità. È necessaria, nella mostra, l’esperienza dell’Im- magine di vetro per dare vita alla silenziosa conversazione con il visitatore; dialogo sot- tolineato dall’intensità della luce che svela l’intera sagoma del Cristo in negativo e con- trasta con la diffusa illumina- zione dell’intera «cappella», evidenziando così i due punti cruciali del lavoro di Danilo Malatesta: la raffigurazione dell’uomo e l’epifania della luce. Tratti e macchie scure che si sono insinuate nel can- dore dei fili di un tessuto di lino hanno scritto un evento: la sofferenza e la morte di un uomo per crocifissione. Que- sta è l’immagine impressa sul- la Sindone. La luce la colpisce e la rimanda ai nostri occhi. Scrive il prof. Nello Balossi- no, direttore del Museo della Sindone: «Luce e buio si con- trappongono; sembra quasi che si prendano gioco di noi, dei nostri occhi, del nostro cervello. Forse sono proprio il cuore e l’immaginazione a poterlo capire. O forse può farlo uno strumento che non abbia anima, ma la potenza di trasformarla e farcela osserva- re, trarne meditazione e inse- gnamento di vita. È lo scatto con la tecnica dell’ambrotipia realizzato da Secondo Pia nel lontano 1898». La tecnica dell’ambrotipia è un procedimento fotogra- fico per la realizzazione di immagini su lastre di vetro apportando variazioni al pro- cesso del collodio umido ed è stata utilizzata, ora come al- lora, sia da Malatesta che da Pia. L’avvocato Secondo Pia è conosciuto come il primo fotografo a cui venne conces- so di fotografare la Sindone in occasione della Ostensio- ne del 1898, celebratasi in concomitanza con la grande Esposizione d’Arte Sacra. Il patrimonio fotografico di Pia è conservato presso il Mu- seo della Sindone, ospitato nella cripta della chiesa del SS. Sudario, che è il luogo stabilmente destinato alla di- vulgazione, allo studio e alla conoscenza del Sacro Lino: è soprattutto qui, al di fuori delle Ostensioni o della cap- pella del Duomo in cui è con- servato ma non visibile, che è possibile accostarsi a esso in modo approfondito. Il Museo inaugurato nell’a- prile del 1998 dal cardinale Giovanni Saldarini, propone un’informazione completa sulle ricerche sindonologiche a partire dal Cinquecento ad oggi cogliendone gli aspetti artistici, scientifici e storici. Autentico gioiello del museo è la cinquecentesca teca in argento e pietre dure che ha conservato la Sindone a par- tire dalla fine del ‘500 fino al 11 aprile 1997, il giorno dell’incendio della cappella del Guarini nel Duomo di Torino. Nella sezione fotogra- fica è conservata l'intera serie delle fotografie ufficiali della Sindone, tra cui le prime foto- grafie scattate da Secondo Pia nel 1898, quelle di Giuseppe Enrie del 1931, la prima im- magine a colori di Giovanni Battista Judica Cordiglia del 1968, le fotografie scientifiche dello Sturp del 1978, quelle di Gian Durante del 1997, 2000 e 2002 e le fotografie digitali in alta definizione di Hal9000 del 2008. La mostra fotogra- fica di Malatesta ha quindi trovato nella chiesa del SS. Su- dario e nel suo Museo il luogo privilegiato dove riflettere su quell’Uomo della Sindone, che parla a tutti gli uomini coi suoi silenzi. Giannamaria VILLATA Otto lastre di vetro impresse con l’antica tecnica dell’ambrotipia usata dall’avvocato Secondo Pia che per primo fissò l’immagine del Telo RAVENNA – MUSEO NAZIONALE «Il mestiere delle arti» tra tecnica e bellezza L’idea che sta alla base della mostra «Il me- stiere delle arti. Seduzione e bellezza nella contemporaneità» è decisamente originale e parte infatti da una domanda sulla quale vale la pena di meditare: «Ha senso nella società contemporanea parlare di un mestiere nelle arti?». Secondo Ornella Casazza ed Emanuela Fiori, curatrici della mostra, è proprio in quel- le forme d’arte spesso definite minori, come per esempio l’oreficeria, che si tramanda ancora oggi il valore universale della sapienza tecnica, creatrice di esperienze estetiche, al servizio della bellezza. Avvalendosi di un nutrito gruppo di artisti, la mostra si struttura quindi intorno a un bino- mio che per nostra comodità vorremmo sepa- rabile con una nitida dicotomia, ma che inve- ce non è così semplice applicare. Le curatrici pongono in evidenza la stretta relazione che esiste, in questo ambito dell’estetica, tra tec- nica e bellezza: un legame non così scontato, che si dipana attraverso tutta una serie di valu- tazioni non solo sul senso della bellezza stessa, ma soprattutto sul modo per raggiungerla. Un argomento che ha impegnato molti pensatori da illo tempore e che nei nostri anni ha avuto un referente fondamentale in Gillo Dorfles. Non è raro trovare nell’opera di grandi artisti citiamo Picasso e Matisse – realizzazioni che si avvalsero di tecniche e materiali poco battuti dalle arti ‘maggiori’, al fine di indagare le potenzialità per esempio dell’a- razzo, del gioiello o della ceramica. Insomma è pre- sente un’impro- babile dicotomia tra arte di «serie A» e arte di «serie B»? Al cospetto di questa doman- da affiorano alla mente alcune considerazioni di Benedetto Croce su la poesia e la non poesia, ma anche le profe- tiche interpreta- zioni di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’arte. La questione è complessa: e se alcune espres- sioni della cre- atività riescono a sottrarsi all’at- tribuzione che vorrebbe virarle in direzione dell’artigianato, resta comunque aperta la pro- blematica sulla funzione utilita- ristica dell’opera. In pratica: un gioiello è meno artistico di una installazione? Non abbiamo né la presunzione e neppure il background per entrane a gamba tesa sul tema, anche se certamente la mostra di Ravenna è destinata a sollevare degli interessanti dibat- titti che, al di là delle implicazioni dirette per quanto concerne l’estetica tout court, non sono oggi prorogabili, ma indispensabili per libe- rarci dai ceppi delle convenzioni e alleggerire (e nello stesso tempo problematizzare), anche sul piano della didattica, il concetto di arte e soprattutto di artista. Impossibile soffermarsi sul panorama offerto dagli artisti raccolti nella mostra, ci limitiamo a ricordarli: Stefano Alinari, Ornella Apro- sio, Daniela Banci, Marzia Banci, Angela Caputi, Pietro Cascella, Sauro Cavallini, Ma- rio Ceroli, Giovanni Corvaja, Fernando Cucci, Angela De Nozza, Tristano di Robi- lant, Folon, Gigi Guadagnucci, Giacomo Manzù, Paolo Marcolongo, Igor Mitoraj, Luigi Ontani, Orlando Orlandini, Mimmo Paladi- no, Nini Santoro, Paola Staccioli, Paolo Stac- cioli, Ivan Theimer, Giuliano Vangi, Sophia Vari, Cordelia von den Steinen, Kan Yasuda. La mostra «Il mestiere delle arti. Seduzione e bellezza nella contemporaneità» è aperta, fino al 26 maggio, al Museo Nazionale di Ravenna. Orario: da martedì a domenica 8.30-19.30. Massimo CENTINI

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17DOMENICA, 21 APRILE 2019 CULTURA

TORINO – NELLA CHIESA DEL SANTO SUDARIO LA MOSTRA DEL FOTOGRAFO MALATESTA

In dialogocon la SindoneL’a r m o -

n i o s a sala litur-gica del-la chiesa dedicata al Santis-

simo Sudario, nel centro sto-rico di Torino, all’angolo tra via Piave e via S. Domenico, riaperta da poco al pubblico dopo un accurato restauro, ospita la mostra temporanea «In dialogo con la Sindone» del fotografo e regista Da-nilo Mauro Malatesta, che resterà aperta fino al 26 apri-le. L’esposizione si inserisce nell’ambito del progetto «Sin-done di vetro itinerante» che, dopo il debutto romano, ini-zia il suo percorso da Torino, la Città che custodisce il Telo, indissolubilmente legata alla Sindone, per poi proseguire il suo cammino in altri comuni della nostra Penisola. Al fondo della navata della chiesa del SS. Sudario, in con-trofacciata, è stata allestita una sorta di camera oscura, «una cappella profana» - com’è sta-ta definita dalla curatrice della mostra Silvia Mattina -, che ci separa dal frastuono visivo e ci mette in contatto con la ripro-duzione del corpo dell’Uo-mo della Sindone. Quel Telo sindonico, icona del Sabato Santo, ci aiuta a comprendere e meditare sulla Passione di Gesù, che si è sacrificato per la nostra salvezza. Ed ecco che in questa «came-ra» avviene il dialogo: quello avviato dal Malatesta per mez-zo di otto lastre di vetro, im-presse con la tecnica dell’am-brotipia, delle dimensioni di 50x60 centimetri, allineate due a due e quattro per lato, quasi a raggiungere un’altez-za di tre metri, ricomposte per restituire i tratti dell’Uo-mo della Croce in scala reale. Davanti all’imponenza del-la Sindone di vetro non oc-corrono parole e il «silenzio emotivo» pervade la stanza e lo spettatore. Nel dialogo tra il Sacro Telo, la Sindone di vetro e l’uomo, il visitatore, si rinnova il sacrificio della cro-ce e con esso la riflessione sul simbolo e il segno cristiano. Il vetro, si sa, è un materiale molto fragile, ma in questo caso si trasforma gradualmen-te in un oggetto prezioso e po-

tente intriso di emozioni nel messaggio della Passione e Resurrezione di Gesù. La mo-stra nella sua scarna semplici-tà assume nel periodo pasqua-le una valenza emotiva molto forte e costituisce un impor-tante stimolo alla riflessione. Qui l’immagine dell’Uomo è suddivisa, rotta, condivisa. Im-magine come copia del ‘vero’ (nel nostro caso si è resa ne-cessaria la presenza di un mo-dello, Lorenzo Pierno), come frammento, come messaggio della cultura e della storia; li-mite dell’osservabile, fascino dell’invisibile, narrazione e drammaticità della visione. Ombre, proiezioni, rappre-sentazioni, messaggi che si fissano, in virtù non solo della loro efficacia simbolica, nella memoria come se pensare fos-se vedere e vedere fosse anche pensare, in una circolarità dif-ficile da interrompere.L’immagine è una forma di mediazione tra ciò che non si vede – assente – e il presente; nessuna cultura può farne a meno ed è forse proprio per questo suo insieme di oggetto e di mezzo della conoscenza

che risiede il suo carattere di necessità. È necessaria, nella mostra, l’esperienza dell’Im-magine di vetro per dare vita alla silenziosa conversazione con il visitatore; dialogo sot-tolineato dall’intensità della luce che svela l’intera sagoma del Cristo in negativo e con-trasta con la diffusa illumina-zione dell’intera «cappella», evidenziando così i due punti cruciali del lavoro di Danilo Malatesta: la raffigurazione dell’uomo e l’epifania della luce. Tratti e macchie scure che si sono insinuate nel can-dore dei fili di un tessuto di lino hanno scritto un evento: la sofferenza e la morte di un uomo per crocifissione. Que-

sta è l’immagine impressa sul-la Sindone. La luce la colpisce e la rimanda ai nostri occhi. Scrive il prof. Nello Balossi-no, direttore del Museo della Sindone: «Luce e buio si con-trappongono; sembra quasi che si prendano gioco di noi, dei nostri occhi, del nostro cervello. Forse sono proprio il cuore e l’immaginazione a poterlo capire. O forse può farlo uno strumento che non abbia anima, ma la potenza di trasformarla e farcela osserva-re, trarne meditazione e inse-gnamento di vita. È lo scatto con la tecnica dell’ambrotipia realizzato da Secondo Pia nel lontano 1898». La tecnica dell’ambrotipia è un procedimento fotogra-fico per la realizzazione di immagini su lastre di vetro apportando variazioni al pro-cesso del collodio umido ed è stata utilizzata, ora come al-lora, sia da Malatesta che da Pia. L’avvocato Secondo Pia è conosciuto come il primo fotografo a cui venne conces-so di fotografare la Sindone in occasione della Ostensio-ne del 1898, celebratasi in

concomitanza con la grande Esposizione d’Arte Sacra. Il patrimonio fotografico di Pia è conservato presso il Mu-seo della Sindone, ospitato nella cripta della chiesa del SS. Sudario, che è il luogo stabilmente destinato alla di-vulgazione, allo studio e alla conoscenza del Sacro Lino: è soprattutto qui, al di fuori delle Ostensioni o della cap-pella del Duomo in cui è con-servato ma non visibile, che è possibile accostarsi a esso in modo approfondito. Il Museo inaugurato nell’a-prile del 1998 dal cardinale Giovanni Saldarini, propone un’informazione completa sulle ricerche sindonologiche

a partire dal Cinquecento ad oggi cogliendone gli aspetti artistici, scientifici e storici. Autentico gioiello del museo è la cinquecentesca teca in argento e pietre dure che ha conservato la Sindone a par-tire dalla fine del ‘500 fino al 11 aprile 1997, il giorno dell’incendio della cappella del Guarini nel Duomo di Torino. Nella sezione fotogra-fica è conservata l'intera serie delle fotografie ufficiali della Sindone, tra cui le prime foto-grafie scattate da Secondo Pia nel 1898, quelle di Giuseppe Enrie del 1931, la prima im-magine a colori di Giovanni Battista Judica Cordiglia del 1968, le fotografie scientifiche dello Sturp del 1978, quelle di Gian Durante del 1997, 2000 e 2002 e le fotografie digitali in alta definizione di Hal9000 del 2008. La mostra fotogra-fica di Malatesta ha quindi trovato nella chiesa del SS. Su-dario e nel suo Museo il luogo privilegiato dove riflettere su quell’Uomo della Sindone, che parla a tutti gli uomini coi suoi silenzi.

Giannamaria VILLATA

Otto lastre di vetro impresse con l’antica tecnica dell’ambrotipia usata dall’avvocato Secondo Pia che per primo fissò l’immagine del Telo

RAVENNA – MUSEO NAZIONALE

«Il mestiere delle arti»tra tecnica e bellezzaL’idea che sta alla base della mostra «Il me-stiere delle arti. Seduzione e bellezza nella contemporaneità» è decisamente originale e parte infatti da una domanda sulla quale vale la pena di meditare: «Ha senso nella società contemporanea parlare di un mestiere nelle arti?». Secondo Ornella Casazza ed Emanuela Fiori, curatrici della mostra, è proprio in quel-le forme d’arte spesso definite minori, come per esempio l’oreficeria, che si tramanda ancora oggi il valore universale della sapienza tecnica, creatrice di esperienze estetiche, al servizio della bellezza.Avvalendosi di un nutrito gruppo di artisti, la mostra si struttura quindi intorno a un bino-mio che per nostra comodità vorremmo sepa-rabile con una nitida dicotomia, ma che inve-ce non è così semplice applicare. Le curatrici pongono in evidenza la stretta relazione che esiste, in questo ambito dell’estetica, tra tec-nica e bellezza: un legame non così scontato, che si dipana attraverso tutta una serie di valu-tazioni non solo sul senso della bellezza stessa, ma soprattutto sul modo per raggiungerla. Un argomento che ha impegnato molti pensatori da illo tempore e che nei nostri anni ha avuto un referente fondamentale in Gillo Dorfles.Non è raro trovare nell’opera di grandi artisti – citiamo Picasso e Matisse – realizzazioni che si avvalsero di tecniche e materiali poco battuti dalle arti ‘maggiori’, al fine di indagare le potenzialità per esempio dell’a-razzo, del gioiello o della ceramica. Insomma è pre-sente un’impro-babile dicotomia tra arte di «serie A» e arte di «serie B»? Al cospetto di questa doman-da affiorano alla mente alcune considerazioni di Benedetto Croce su la poesia e la non poesia, ma anche le profe-tiche interpreta-zioni di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’arte.La questione è complessa: e se alcune espres-sioni della cre-atività riescono a sottrarsi all’at-tribuzione che vorrebbe virarle in direzione dell’artigianato, resta comunque aperta la pro-blematica sulla funzione utilita-ristica dell’opera. In pratica: un gioiello è meno artistico di una installazione?Non abbiamo né la presunzione e neppure il background per entrane a gamba tesa sul tema, anche se certamente la mostra di Ravenna è destinata a sollevare degli interessanti dibat-titti che, al di là delle implicazioni dirette per quanto concerne l’estetica tout court, non sono oggi prorogabili, ma indispensabili per libe-rarci dai ceppi delle convenzioni e alleggerire (e nello stesso tempo problematizzare), anche sul piano della didattica, il concetto di arte e soprattutto di artista.Impossibile soffermarsi sul panorama offerto dagli artisti raccolti nella mostra, ci limitiamo a ricordarli: Stefano Alinari, Ornella Apro-sio, Daniela Banci, Marzia Banci, Angela Caputi, Pietro Cascella, Sauro Cavallini, Ma-rio Ceroli, Giovanni Corvaja, Fernando Cucci, Angela De Nozza, Tristano di Robi-lant, Folon, Gigi Guadagnucci, Giacomo Manzù, Paolo Marcolongo, Igor Mitoraj, Luigi Ontani, Orlando Orlandini, Mimmo Paladi-no, Nini Santoro, Paola Staccioli, Paolo Stac-cioli, Ivan Theimer, Giuliano Vangi, Sophia Vari, Cordelia von den Steinen, Kan Yasuda.La mostra «Il mestiere delle arti. Seduzione e bellezza nella contemporaneità» è aperta, fino al 26 maggio, al Museo Nazionale di Ravenna. Orario: da martedì a domenica 8.30-19.30.

Massimo CENTINI