LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE 1. In generale, che...
Transcript of LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE 1. In generale, che...
1
LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE
Il presente elaborato ha come fine ultimo quello di presentare lo studio condotto da
Claudio Baraldi rispetto alla cultura della prevaricazione. Di seguito è riportata un’analisi
approfondita circa le contraddizioni e i problemi di comunicazione che interessano i rapporti
sociali tra adulti e bambini nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
1. In generale, che cosa si dice del bullismo?
Il termine inglese “bullying”, di cui l’italiano “bullismo”, è la traduzione letterale di
quello che oggi comunemente viene usato nella letteratura e negli studi portati avanti
sull’argomento1.
Nello specifico, secondo Dan Olweus: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo,
ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del
tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni»2. Infatti, perché
si possano verificare episodi di bullismo, è necessario che all’interno della relazione vi sia
un’asimmetria. Lo studente indifeso ed impotente si trova all’interno di una situazione in cui
diventa vittima di violenza e di molestie da parte di colui o coloro che hanno deciso di
tormentarlo. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a volte le
prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica, verbale o
psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo con uno squilibro tra vittima e carnefice. Il
bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole (fisicamente e psicologicamente) e la
perseguita con effetti che nel tempo possono essere devastanti3.
I tre aspetti rilevanti per la definizione di bullismo sono:
- L’intenzionalità, il prevaricatore o il bullo, pone in atto intenzionalmente dei
comportamenti fisici, verbali o psicologici finalizzati ad offendere o a recare
danno o disagio all’altro;
1 Cf. D. OLWEUS, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1993, p. 11. 2 Cf. Ibidem, pp. 11-12. 3 Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 46.
2
- La persistenza, cioè la ripetizione della prevaricazione protratta nel tempo;
- L’asimmetria, cioè il disequilibrio di forza tra colui che prevarica e colui che
subisce, in quanto non è in grado di difendersi4;
il bullismo può manifestarsi in forme differenti:
- diretta, consiste in attacchi rivolti nei confronti della vittima. Questa può
manifestarsi mediante una forma fisica ovvero: aggressioni, pugni e/o calci,
smorfie facciali, gesti offensivi; oppure attraverso una forma verbale ovvero:
insulti, prese in giro, derisione.
- indiretta (o psicologica), consiste in una forma di isolamento sociale e in
un’intenzionale esclusione dal gruppo5;
Ciò che spinge i bulli a prevaricare è un grande bisogno di potere e di dominio a cui
segue una piacevole sensazione di controllo e sottomissione degli altri. Far del male ai più
deboli, può essere una conseguenza di una certa ostilità nei confronti dell’ambiente maturata
nel contesto familiare, spesso inadeguato, poiché al suo interno vengono utilizzati stili
educativi che oscillano tra l’eccessiva coercizione e il permissivismo6.
Non sono esenti da colpe anche la tv o i videogiochi che trasmettono ripetutamente
scene di violenza spingendo bambini e adolescenti alla continua competizione con gli altri7.
Inoltre, anche le caratteristiche esteriori, come l’essere obeso, l’uso degli occhiali, il colore
dei capelli o altre particolarità riferite all’aspetto estetico e che solitamente costituiscono
delle particolarità che fanno sentire una persona diversa da quelle che i media propongono
come modello ideale, vengono indicate da alcuni bambini come spunto di prevaricazione. A
questo si aggiunge anche il colore della pelle che determina dei pregiudizi a causa dei
4 Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, Milano,
Franco Angeli, 2006, p. 32. 5 Cf. Ibidem, p. 32. 6 Cf. Ibidem, p. 41. 7 Cf. Ibidem pp. 43-44.
3
preconcetti inculcati dagli adulti, considerandoli “diversi” e perciò meritevoli di occupare
una posizione sociale di marginalità e di continui insulti8.
Secondo altre opinioni, il bullismo può essere anche una conseguenza della
competizione scolastica in vista del conseguimento di buoni voti. Il comportamento dei bulli
verso i propri coetanei può essere considerato come una reazione alle frustrazioni e ai
fallimenti scolastici9.
All’interno del contesto scolastico il bullismo riguarda tutti e non solo coloro che ne
prendono parte in maniera più evidente. Ciascun allievo assume ruoli diversi che di seguito
vengono sintetizzati:
- bullo, chi prende attivamente l’iniziativa nel fare prepotenza sui compagni;
- aiutante, chi agisce in modo prepotente ma come seguace del bullo;
- sostenitore, chi rinforza il comportamento del bullo attraverso segnali di
approvazione, ridendo, incitandolo, o semplicemente stando a guardare;
- difensore, chi prende le difese della vittima consolandola o cercando di far
cessare le prepotenze;
- esterno, chi rimane estraneo alle prevaricazioni non prendendo alcuna posizione
né verso il bullo, né verso la vittima;
- vittima, colui che è oggetto di prepotenza10;
I numerosi studi e le numerose ricerche portate avanti sul campo rilevano che gli atti
di bullismo sono frequenti sia nelle scuole elementari che nelle scuole medie. Il numero degli
studenti coinvolti nel bullismo a scuola raggiunge cifre allarmanti, rispettivamente il 64 %
alle scuole elementari e il 50 % alle scuole medie. Per finire, l’essere ansiosi, deboli, insicuri
e carenti di autostima sono esempi che favoriscono il divenire vittima.
8 Cf. Ibidem p. 42. 9 Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, p. 57. 10 Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, p. 33.
4
2. Uno sguardo al bullismo: la costruzione sociale e scientifica11
Negli ultimi decenni in Italia i comportamenti devianti e le azioni offensive da parte
degli studenti nei confronti dei loro coetanei sono cresciuti in maniera smisurata e questi
sono stati interpretati dagli esperti come atti di bullismo. I mass media enfatizzando le
informazioni ottenute in riferimento a questo tipo di comportamenti, le hanno tradotte come
indicatori di un’allarmante crisi generazionale.
Secondo queste prospettive, l’aumento delle violenze avvenute tra le mura
scolastiche è strettamente collegato al deterioramento dei principi morali e al declino della
competenza educativa degli adulti.
Apparentemente ci troviamo di fronte ad un fenomeno oggettivo rilevato da ricerche
scientifiche e testimoni attendibili: ma le cose stanno effettivamente così? Baraldi, in risposta
a questo interrogativo indica due motivi per cui si può mettere in discussione tale oggettività.
Da un lato l’oggettività dei fatti corrisponde alla costruzione propria di un
osservatore. L’epistemologia costruttivista spiega come ciascuna osservazione (scientifica e
non) viene ad essere attribuita alla prospettiva specifica di un osservatore e che le prospettive
di altri osservatori possono essere diverse ma non per questo meno legittime.
Emerge, quindi, un secondo motivo strettamente connesso al precedente, il quale
conduce alla creazione di un vero e proprio consenso generale. Quest’ultimo è il prodotto di
una semplificazione che si afferma quando all’interno della società risulta difficile accettare
contraddizioni. Il bullismo, così come la pedofilia, sono le tematiche principali che negli
ultimi anni hanno suscitato reazioni sociali improntate sul consenso ed sulla costruzione di
certezze.
Resa nota questa breve costruzione sociale e scientifica del bullismo, per giungere ad
una migliore conoscenza di esso è necessario dare uno sguardo alla cultura dell’infanzia e
dell’adolescenza così come viene intesa nella società contemporanea.
2.1. La concezione dell’infanzia e dell’adolescenza
11 La descrizione dei seguenti paragrafi è stata tratta dalle seguenti fonti: C. BARALDI, Come nasce la
prevaricazione. Una ricerca alla scuola dell’obbligo, Roma, Donzelli Editore, 2003; BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4, pp. 275-290.
5
L’importanza sociale dei bambini è cresciuta dopo una serie di cambiamenti
significativi per la società e che hanno segnato la nascita dell’età moderna in Europa.
La struttura rigida e gerarchica dell’Europa medioevale fa largo a nuovi sottosistemi,
quali: famiglia e scuola. Entrambi sono chiamati a svolgere funzioni specifiche rispetto alla
crescita degli individui affinché questi ultimi siano in grado di acquisire particolari
competenze ed autonomie per l’assunzione di nuovi ruoli sociali.
I continui e repentini cambiamenti dell’evoluzione socio-culturale fanno in modo che
aumentino ansie e preoccupazioni nei confronti di bambini ed adolescenti. Infanzia e
adolescenza vengono definite come epoche di vulnerabilità accompagnate da alcune forme
di disagio. Spesso le preoccupazioni vigenti sono legate al rapporto che sussiste tra corpo e
mente, poiché la crescita corporea viene strettamente associata allo sviluppo di competenze
cognitive ed emozionali. Per fare un esempio, un adulto considerato autonomo e competente
è capace di gestire il proprio corpo, al contrario un bambino o un adolescente ancora non
hanno pienamente raggiunto questa maturità e dunque sono incapaci di gestire i propri
cambiamenti rischiando di essere vittima di atti ostili da parte di altri.
Il bullismo è una conseguenza significativa di questa cultura, poiché segnala che tra
i bambini e gli adolescenti l’uso della forza fisica e il trattamento del corpo possono
facilmente risultare inadeguati rispetto agli standard prefissati del benessere individuale e
delle regole sociali. Tutto questo è il risultato di una proiezione esterna della società la quale
tende ad auto-esonerarsi e ad attribuire a forme di devianza da essa avulse la responsabilità
dei problemi a bambini e adolescenti. Dal punto di vista della cultura dominante al bambino
non è consentito essere né vittima, né aggressore: la certificazione della sua innocenza tocca
entrambi i versanti. Questo rivela che bisogna avere un’attenzione particolare per tutti quei
fenomeni che conducono un bambino ad essere vittima o aggressore e dunque considerati
come pericoli da combattere.
Il bullismo non può essere considerato come un prodotto spontaneo o naturale
dell’infanzia, pertanto le violenze dirette al corpo siano esse sessuali o più generalmente
fisiche, sono modalità di offesa create socialmente e non di certo presenti in natura. Secondo
questa prospettiva la violenza è una modalità di reazione a fronte di rifiuti nei confronti di
6
richieste che sono sempre basate su modelli culturali. Il rifiuto o la resistenza verso una
richiesta comunicativa genera violenza nella società.
Nello specifico, l’applicazione da parte dei bambini può essere osservata come il
risultato di una costruzione sociale del bambino: il bambino violento è reso adulto in quanto
su di esso viene proiettata una cultura dell’offesa che nasce nella società preesistente. I
bambini sono molto bravi a giocare utilizzando la forza; tuttavia, soltanto quando
apprendono le regole sociali dell’offesa, diventano capaci di utilizzare la violenza per scopi
di coercizioni o di oppressione.
Il bambino viene osservato come attore sociale, come partecipante attivo ai processi
di comunicazione e non come prodotto di una socializzazione orchestrata dall’esterno.
Poiché i bambini non sono isolati dagli adulti ma sono connessi ad essi attraverso forme di
comunicazione importanti, è diventata evidente la costruzione di significati specifici che si
produce ogni qual volta vi sia l’opportunità di una comunicazione tra loro. Per capire i
significati del bullismo è necessario comprendere anche le forme di comunicazione con gli
adulti.
Secondo Baraldi il bullismo è un prodotto della socializzazione alle norme
dell’offesa e della violenza, i cui significati vengono costruiti dai bambini attraverso la
comunicazione con gli adulti ed elaborati autonomamente all’interno di una cultura che si
produce nella comunicazione tra coetanei.
2.2. Dal bullismo alla prevaricazione
Dal punto di vista scientifico utilizzare il termine bullismo è riduttivo, specie se si
vogliono interpretare fenomeni di offesa e violenza che avvengono tra i bambini e gli
adolescenti. Olweus con il termine bullismo, indica l’azione offensiva di uno o più prepotenti
che infieriscono su individui deboli o comunque dotati di minori risorse in termini di forza
fisica e tenuta mentale.
L’interesse scientifico e gli studi di Baraldi non vertono sull’azione offensiva in sé,
ma sulle forme culturali che la legittimano e la rendono riproducibile. Allo scopo di spiegare
queste forme, distinguendole dal mero prodursi dell’azione offensiva in quanto tale,
7
utilizziamo il concetto di prevaricazione che dà origine e rende riproducibile l’azione
offensiva stessa.
L’azione offensiva non è il prodotto di una normazione gerarchica, anzi, al contrario,
l’azione offensiva determinata dalla prevaricazione è il risultato di un insuccesso di una
struttura gerarchica, la quale non viene accettata e per questo motivo deve essere imposta.
Il problema scientifico non è capire perché avviene una specifica azione offensiva
ma come si riproduce. L’attenzione è rivolta ad identificare quei fattori che contribuiscono
a tale riproduzione. Più che analizzare l’entità del fenomeno, oppure le sue cause, è
opportuno analizzare le componenti culturali che ne preservano l’esistenza, rendendo
probabile la riproduzione dell’azione offensiva.
In sintesi la prevaricazione è una forma culturale che orienta la comunicazione (o
meglio è una forma di comunicazione) verso la negazione della persona attraverso azioni
offensive, in mancanza di una legittimazione normativa gerarchica e in correlazione con
certe forme di comunicazione tra coetanei e tra bambini/adolescenti e adulti, il cui significato
e la cui rilevanza sono definiti dall’osservazione dei partecipanti, che si caratterizza
primariamente per le modalità di riproduzione dell’azione offensiva.
2.3. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi
Secondo gli studi e le ricerche condotte sul campo da Baraldi, il termine bullismo
non indica una realtà oggettiva, psicologica o comportamentale, ma una costruzione di
significati culturali. Il bullismo è un fenomeno culturale in quanto posiziona gli individui
nella società, come autori di azioni offensive e sistematiche considerate come prodotto
culturale. Per esempio: un italiano non si offende se un suo interlocutore agita le braccia
mentre parla oppure punta un dito contro di lui per indicarlo; invece per un vietnamita o un
giapponese questo sarebbe motivo di offesa. I confini culturali dell’offesa non sono sempre
chiari. Lo stesso tipo di scherno o di prepotenza può creare forti difficoltà, se non proprio
danni irreversibili, in un soggetto e nessuna difficoltà significativa in un altro.
Secondo Baraldi, l’offesa è visibile solo attraverso la delusione di aspettative.
Un’azione offensiva delude le aspettative dell’interlocutore perché infrange una struttura
8
sociale stabilita, ossia una base conosciuta e condivisa di fiducia nella relazione sociale. La
debolezza di colui che riceve l’offesa traspare nel momento in cui egli ha una reazione
cognitiva. In altre parole: l’offeso è debole se e quando si adatta senza opporvisi. Questo
adattamento può condurre verso la stabilizzazione di nuove aspettative tali da normalizzare
l’azione offensiva così da poter essere ripetuta con sistematicità nella relazione tra offensore
e offeso (e ciò che precedentemente è stato definito bullismo).
Quando si parla di azione offensiva, si deve tener conto non solo dei motivi singolari
e soggettivi dell’individuo incompetente ma è importante guardare all’interazione e non alla
singola azione. L’azione offensiva è sempre rivolta ad un interlocutore, e finisce con il
diventare sistematica nel momento in cui si afferma come struttura normativa di tale
interazione a seguito di un adattamento dell’offeso alla delusione subita.
Una lettura così allargata ed ampia viene impedita da una visione morale che addita
tutte le responsabilità all’offensore e considera l’offeso come una vittima. Se si considera la
vittima come partecipante attivo all’interazione con l’offensore allora si possono
comprendere anche le origini di tali episodi. Seguendo quest’ottica il bullismo viene
considerato come fenomeno sociale che si realizza necessariamente nel quadro di
un’interazione tra offensore ed offeso. Inoltre esso è anche considerato come fenomeno
culturale poiché l’interazione che lo riproduce proviene da alcuni orientamenti culturali;
quindi ciò che sta dietro alle azioni offensive non è rintracciabile solo nelle menti degli
offensori, ma nella cultura che li circonda. Questo ci permette di comprendere che offensore
ed offeso sono inseriti in un contesto scolastico, hanno delle famiglie alle spalle e si muovono
in gruppi più vasti di coetanei o quasi coetanei.
La cultura dei pari è la base fondamentale su cui vengono ad edificarsi le azioni
offensive tra offensore ed offeso. La debolezza dell’offeso è complementare rispetto alla
forza dell’offensore. L’offensore può dominare nella scuola, perché chi si oppone si colloca
sul suo versante, e non su quello del debole, e nel momento in cui si produce una sfida tra
forze contrapposte, non si tratta più di bullismo, ma di rissa o scontro, venendo meno la
complementarità forza/debolezza e affermandosi la simmetria. Questa struttura simmetrica
di forze costituisce la cultura della prevaricazione. Essa si realizza intorno ad una simmetria
tra offesa e contro offesa la quale rende possibili i ruoli sociali (con la differenza tra soggetti
9
forti e soggetti deboli) e la creazione di aspettative nella relazione complementare tra
offensore ed offeso.
La struttura simmetrica di forze contrapposte si accompagna ad un processo di
progressivo distacco affettivo dei bambini dalla famiglia e dalla scuola. Questo distacco
prevede per la crescita del bambino una crescente rilevanza degli aspetti cognitivi a scapito
di quelli affettivi. Diventare grandi significa diventare più bisognosi di apprendimento
cognitivo e meno di attaccamento affettivo: la scuola si orienta in questa direzione.
Tuttavia c’è da dire che i preadolescenti si trovano dinnanzi ad un raffreddamento
della relazione che vede protagonisti insegnanti e genitori. Nel caso degli insegnanti essi
affermano che non sono degli interlocutori significativi per i loro problemi rilevanti. Nel
caso dei genitori essi dichiarano di avere il timore di perdere la loro fiducia nel caso in cui
gli comunicassero le loro azioni devianti e dunque per preservare l’affetto e la fiducia, si
smette di comunicare. L’assenza di interlocutori adulti conduce i preadolescenti all’interno
di un limbo comunicativo in cui la comunicazione con i coetanei, affettivamente fragile, può
essere facilmente orientata dalla simmetria dei rapporti di forza e dalla complementarità di
forza e debolezza: quindi le azioni offensive si diffondono in modo equivalente.
Infine, è anche attraverso la potenza dei mass media che all’interno delle nostre
società si verificano e si riproducono modelli di simmetria tra forza e debolezza. La cultura
della prevaricazione rimbalza nella quotidianità, si riproduce nei comportamenti dei genitori,
degli insegnanti e in altre numerose situazioni quotidiane. Insomma la cultura della
prevaricazione si costruisce in un’interazione e sulla base di orientamenti culturali
differenziati che coinvolgono i rapporti tra pari, la scuola, la famiglia e la cultura diffusa dai
media e dilagante nella vita quotidiana.
2.4. La forma della prevaricazione
10
I bulli descritti come aggressivi e impulsivi e le vittime descritte come ansiose e
sensibili non hanno alcuna rilevanza nell’analisi condotta Baraldi. Egli studiando la
prevaricazione come forma culturale costruita nella comunicazione, ritiene che gli aspetti
psicologici sopra menzionati non caratterizzano a pieno la prevaricazione. Questa nuova
impostazione di pensiero merita delle precisazioni.
In primis, l’interesse per gli studi sulla prevaricazione si focalizza sulla distinzione
tra ruolo e persona. Questa differenziazione permette di distinguere in che modo le persone
contribuiscano alla comunicazione con i partecipanti. È ovvio che nella comunicazione
ciascun individuo può essere considerato e presentarsi come unico, specifico ed autonomo
(come persona), oppure secondo modelli standardizzati, generalizzati e prefissati (come
ruolo). Per esempio è altamente probabile che il bambino venga trattato come persona nelle
comunicazioni informali con gli amici mentre è certo che sia trattato e si presenti come un
individuo che ricopre un ruolo a scuola, in cui gli viene chiesto di mostrare presentazioni
particolari valutate secondo parametri prefissati.
Se la prevaricazione nell’ottica di Baraldi è negazione della persona, l’interesse che
si prefigge la ricerca è quello di capire in che modo e in che misura tale negazione è associata
a forme di comunicazione interpersonale oppure di ruolo. Si tratta di capire quali partecipanti
assumono di volta in volta ruoli o si presentano come persone. Bambini e adolescenti,
genitori e insegnanti, sono i protagonisti di una comunicazione che assume la forma della
prevaricazione. Di conseguenza, la ricerca sulla prevaricazione deve concentrarsi sulla
comunicazione che coinvolge questi diversi partecipanti e sulle loro osservazioni reciproche.
Le aspettative assumono un peso rilevante poiché danno forma culturale ai risultati
della comunicazione. In quest’ottica, è bene chiedersi quale sia il rapporto tra le aspettative
di preadolescenti e bambini, da una parte, e quali le aspettative che i loro interlocutori
significativi nutrano dall’altra. Il confronto tra aspettative permette di osservare la coerenza
e le eventuali discrepanze che possono generare delle asimmetrie nella comunicazione dando
luogo a conflitti e delusioni. All’interno della comunicazione la discrepanza o la
contraddizione può essere controllata attraverso il potere, l’esercizio dell’autorità o anche
attraverso tecniche persuasive.
11
È vivamente consigliato, specie nella comunicazione tra adulti e
bambini/preadolescenti, il coordinamento tra le aspettative così da evitare conflitti o
necessità di repressione. Le forme asimmetriche sono considerate in modo negativo anche
nei rapporti tra coetanei, perché possono portare a conflitti, oppure all’esercizio del potere o
della persuasione molto temuti come aspetti di leaderschip informale o di plagio di gruppo.
A partire dalle forme e dai contributi (ruoli e persone) e delle forme delle aspettative,
diventa importante ricostruire i valori fondamentali che orientano un sistema di
comunicazioni, e nel nostro specifico caso i valori che caratterizzano la cultura della
prevaricazione. Inoltre è di particolare importanza analizzare le modalità di azione insieme
all’uso comunicativo del corpo. Nel caso della cultura della prevaricazione quest’ultimo
aspetto è di particolare interesse. Baraldi afferma di andare oltre la banale osservazione che
il bullismo si manifesta solo come azione fisica; il problema centrale non è l’azione in sé ma
il valore simbolico che essa assume. Rilevante è il modo in cui viene trattato il corpo nella
comunicazione, un modo che rende non soltanto plausibile ma persino probabile la violenza
come mezzo simbolico di negazione della persona.
In sintesi, sei sono le componenti culturali fondamentali di una forma della
comunicazione utili per lo studio dell’analisi sulla prevaricazione:
- Valori orientativi,
- Forme dei contributi,
- Forme delle aspettative,
- Modalità di azioni/esperienze,
- Considerazione dei danni derivanti dall’azione e dall’esperienza e uso simbolico
del corpo,
Attraverso la ricerca queste possono emergere come fattori centrali della cultura della
prevaricazione.
Fino a qui abbiamo parlato di prevaricazione descrivendone le componenti. Tuttavia
ciò non è sufficiente per capire la cultura della prevaricazione. Quando si osserva un’azione
offensiva, si osserva indirettamente, che esiste un’azione opposta, non offensiva e che viene
utilizzata come riferimento per definirne le caratteristiche. Osservare la prevaricazione,
12
significa distinguerla da altre forme culturali perciò l’altro lato della distinzione rispetto alla
prevaricazione è il rispetto per la persona.
La prevaricazione è strettamente legata ai diritti personali, poiché nega
l’affermazione della persona che essi promuovono, dunque non esiste alcuna prevaricazione
se non in contraddizione con il rispetto. Per cui prevaricazione e rispetto sono i due lati della
stessa distinzione, così come lo sono aggressore e vittima. Tuttavia, il rispetto per la persona
sta a significare che essa viene accettata così com’è, in qualsiasi circostanza ed in modo
indipendente dai ruoli assunti.
La distinzione tra prevaricazione e rispetto rimanda al problema della diversità, nel
senso che una prevaricazione prende avvio da un’osservazione di diversità, per indicarne la
rilevanza. La negazione richiede sempre una diversità da negare, il problema è capire in che
modo l’osservazione di una diversità si traduce in prevaricazione, cioè in che modo la
diversità assume un valore negativo.
3. La metodologia della ricerca
La ricerca condotta da Baraldi insieme ai suoi collaboratori si è posta l’obiettivo
generale di analizzare la forma culturale della prevaricazione nonché fornire un quadro
conoscitivo di sfondo per l’elaborazione di metodologie d’intervento al fine di produrre
un’opportunità di prevenzione della prevaricazione e di promozione del rispetto.
In base a questi obiettivi si è ritenuto opportuno non tanto verificare la credibilità
della definizione più o meno articolata di prevaricazione e di rispetto, quanto saper
interpretare ed utilizzare le osservazioni dei soggetti interpellati per ricostruire i percorsi di
prevaricazione e di rispetto e il significato sociale che viene loro attribuito. Pertanto
l’attenzione non si è focalizzata solo su bambini e preadolescenti ma su una pluralità di loro
contesti di riferimento (scuola, famiglia, gruppo di coetanei).
Le ricerche che si sono occupate di bullismo hanno avuto la tendenza a ricercare le
ragioni dell’azione offensiva in determinati tratti personali o in specifici messaggi sociali.
La presente ricerca invece, è orientata all’importanza della costruzione della prevaricazione
e del rispetto nella comunicazione e delle modalità di partecipazione individuale ad essa.
13
Per raggiungere questi obiettivi è stato costruito un campione sperimentale di quarte
e quinte classi delle scuole elementari e seconde e terze classi delle scuole medie inferiori.
Nelle classi quarte e quinte delle scuole elementari è stata utilizzata una metodologia
di ricerca che ha visto la partecipazione attiva dei bambini e quindi costruire nella ricerca i
significati della prevaricazione e del rispetto. Nelle classi seconde e terze delle scuole medie
inferiori, si osservano al meglio i fenomeni d’impatto di questo ordine di scuola per quel che
riguarda una fase di passaggio importante e delicata, che è quella dell’infanzia e
dell’adolescenza, che oggi viene spesso considerata particolarmente a rischio per quel che
riguarda proprio il fenomeno della prevaricazione.
La ricerca ha visto coinvolte 15 scuole, di cui 9 elementari e 6 medie inferiori, per
un totale di 31 classi. La ricerca ha visto il coinvolgimento di bambini e preadolescenti,
insegnanti, il personale non docente e i genitori, allo scopo di fornire un quadro ampio e
differenziato di prospettive sul tema delle prevaricazioni e del rispetto della persona.
3.1. Come la scuola osserva le prevaricazioni
La scuola rappresenta la componente principale di un sistema educativo che ha
funzione di formare la personalità degli individui. La forma di comunicazione che la
caratterizza è differente da quella predominante in famiglia o nel gruppo dei pari.
Riprendendo le sei componenti culturali fondamentali di una forma di comunicazione
ossia: i valori orientativi, la forma dei contributi, la forma delle aspettative, il significato
dell’azione e dell’esperienza, il trattamento dei potenziali danni conseguenti l’azione
comunicativa e il trattamento comunicativo del corpo, si può osservare che l’educazione
scolastica produce un orientamento primario verso ruoli sociali standardizzati ed impersonali
che si manifestano nelle prestazioni alle quali viene applicata la valutazione; inoltre,
l’educazione scolastica si basa su aspettative primariamente cognitive ossia di
apprendimento e secondariamente normative ossia di adattamento alle regole; crea
condizioni comunicative tali per cui l’esperienza dello studente è sempre guidata dall’agire
dell’insegnante.
14
Quali significati il personale docente e non docente di scuole elementari e medie
inferiori attribuisce alla prevaricazione?
Nelle scuole elementari, il personale non docente intende la prevaricazione come un
rapporto di potere in cui si stabilisce un’evidente asimmetria tra le parti.
Secondo questa visione il soggetto prevaricatore avrebbe un carattere forte o si crede
tale pur essendo interiormente insicuro; è dotato di un forte senso di competizione, vuole
emergere ed imporre la propria volontà. Tutto questo è facilmente riconducibile alla
provenienza da una situazione familiare in cui il soggetto prevaricatore potrebbe essere stato
prevaricato (negato come persona) dai suoi genitori, o potrebbe aver osservato ed in seguito
prodotto forme di prevaricazione tra i genitori, oppure non aver ricevuto attenzione ed
affetto. Dunque ne consegue che la prevaricazione è la conseguenza di un problema di
socializzazione.
Nella prospettiva delle insegnanti incontrate nelle scuole elementari, la
prevaricazione non ha a che fare con la distinzione superiorità/inferiorità; essa implica un
riferimento alla diversità tra gli individui e alla dimensione dei diritti personali. Quindi per
le insegnanti prevaricare una persona significa non ascoltare e non tenere conto dell’altro,
annullarlo nella comunicazione. Nello specifico, non rispettare le idee, i comportamenti, le
esigenze, non riconoscere la diversità e dunque la persona come essere individuale e
specifico. La prevaricazione viene associata alla mancata attenzione per i diritti, la libertà e
lo spazio di espressione dell’altro e dunque alla limitazione della sua autonomia di decisione
e azione. Per questo fenomeno la prevaricazione può manifestarsi sia sotto forma di violenza
psicologica che fisica.
In generale il soggetto che tende più spesso a prevaricare viene descritto come
insicuro e dotato di scarsa autostima, un soggetto che deve mostrare sicurezza imponendo
agli altri le proprie idee e decisioni. Anche in questo caso la figura del prevaricatore è
caricata di disagio personale e relazionale, derivante da problematiche familiari,
riconoscibili come negazioni e silenzi della persona nella comunicazione con i genitori, ma
anche all’eccesso di protezione che comporta una partecipazione dipendente e non autonoma
del bambino. Inoltre, dalle interviste è emerso che coloro che subiscono violenze, angherie
e prevaricazioni sono soggetti con carattere e personalità deboli e con limitati strumenti
15
culturali. Questo li rende impossibilitati a reagire in maniera autonoma sul piano
comunicativo oppure a rispondere con un’azione non comunicativa (violenza) ad un’altra
azione non comunicativa (altra violenza).
Nelle scuole medie inferiori si registrano molte somiglianze con le rappresentazioni
diffuse nelle scuole elementari. In particolare i punti di convergenza, contribuiscono a
configurare la prevaricazione come un fenomeno caratterizzato da: un rapporto asimmetrico
derivante da una comunicazione problematica (negazione della persona e/o iperprotezione),
il che non socializza all’autonomia personale e non educa al rispetto delle norme sociali.
Differenti risultano le costruzioni sociali della prevaricazione da parte dei docenti
delle scuole medie inferiori. Secondo questi, la prevaricazione è interpretata secondo quattro
accezioni strettamente legate tra di loro. In primo luogo la si intende come una limitazione
dell’autonomia personale, in quanto tale reca un disagio a colui o colei che la subisce:
prevaricare significa limitare la libertà di espressione della persona, sfruttarla
consapevolmente per fini strettamente personali mettendola in una condizione di non agio.
In secondo luogo, la prevaricazione comporta il mancato rispetto della diversità, delle
specificità individuali, e, dunque, della persona. In terzo luogo significa non riconoscere
all’altro uguali diritti e libertà. Infine, secondo lo schema interpretativo tra il personale non
docente, la prevaricazione indica un rapporto asimmetrico di potere e subordinazione,
superiorità e inferiorità.
In sintesi, secondo questa prospettiva, durante l’infanzia e nella scuola elementare la
prevaricazione è contenuta perché i bambini sono maggiormente protetti e perché
l’educazione ammette un orientamento alla persona. Con la preadolescenza e l’ingresso nella
scuola media inferiore, le prepotenze aumentano perché aumenta la trasgressione
intenzionale e consapevole dei ragazzi ed aumentano anche il lasciar fare o un approccio
meramente normativo da parte degli adulti.
3.2. Le forme della comunicazione: dall’infanzia all’adolescenza
Il risultato rilevante emerso dalla ricerca è che la comunicazione tra preadolescenti e
adulti è raramente basata su un coordinamento di ruoli o impersonale: molti preadolescenti
16
nutrono infatti scarsa fiducia nella comunicazione con i genitori, e ancor più, con gli
insegnanti, preferendo di gran lunga quella con gli amici. Gli adulti sono considerati solo
come ultima carta da giocare per affrontare in modo efficace le azioni offensive ed evitare
un coinvolgimento problematico nella cultura della prevaricazione.
Tra i preadolescenti, l’unico motivo diffusamente osservato per ricorrere ai genitori
è il potere che possono esercitare sui bulli in qualità di adulti più interessati. L’asimmetria
nella comunicazione tra genitori e figli è evidente. Ciò si spiega certamente con le forme
dominanti di comunicazione familiare: un figlio si aspetta che un genitore si aspetti da lui
azioni diverse da quelle che lui si aspetta dal genitore stesso. Tuttavia, colpisce il fatto che
l’asimmetria produca danni rilevanti alla comunicazione affettiva: molti preadolescenti, ed
anche non pochi bambini, comprendono a torto o ragione, che i genitori si aspettano da loro
primariamente adesione alle regole.
Per quanto riguarda il rapporto che sussiste tra scuola e prevaricazione, c’è da dire
che la comunicazione con gli insegnanti viene osservata come deficitaria in una notevole
quantità di casi, in modo particolare nella comunicazione nelle scuole medie. Da una parte
non si creano aspettative e ciò significa che manca persino l’osservazione di una possibilità
di comunicazione; dall’altra parte si creano aspettative di comunicazioni punitive o di
incomprensioni.
Anche la comunicazione con i compagni di classe si deteriora molto frequentemente
nel passaggio dalle scuole elementari alle scuole medie. Il passaggio dalle scuole elementari
alle scuole medie inferiori segna dunque un cambiamento netto nell’osservazione della
comunicazione nel contesto scolastico facendo emergere problemi di spersonalizzazione e
disillusione.
Stando alla comunicazione tra coetanei, la disillusione nei confronti dell’aiuto degli
adulti e del mondo della scuola, in senso generale, si trasforma in speranza e fiducia
nell’aiuto dei coetanei e dei più vicini. In questo caso i preadolescenti acquistano crescente
fiducia nell’aiuto dei coetanei più vicini e che diventano il riferimento fondamentale.
Il significato dell’amicizia si precisa e diventa più selettivo nel passaggio
dall’infanzia all’adolescenza, mentre il mondo dei coetanei si differenzia sempre di più.
Durante la preadolescenza, la differenziazione tra amici e compagni di classe viene associata
17
a quella tra fiducia e sospetto o indifferenza. In molti casi, la comunicazione interpersonale
tra amici è rafforzata dal fatto che si produce un’asimmetria nella reciprocità. Questo
significa che per almeno una parte di minori, l’aspettativa di aiuto da parte dei coetanei si
combina all’aspettativa che i coetanei si aspettino amicizia e frequentazione. Tale condizione
evidenzia un forte significato interpersonale attribuito alla comunicazione tra coetanei: la
richiesta di aiuto è ricambiata con amicizia e frequentazione. La ricerca ha dunque messo in
evidenza l’importanza dei coetanei come persone di riferimento per bambini, in modo più
allargato, e, soprattutto per i preadolescenti, in modo più selettivo.
In sintesi, sono due i risultati generali principali della parte di ricerca svolta con
bambini e preadolescenti. Anzitutto, le azioni offensive sono scarsamente diffuse e non tali
da far presagire un futuro catastrofico, né per le generazioni coinvolte, né per il sistema
educativo o la società. L’allarme per il bullismo, insomma, non è eccessivo e, come hanno
osservato molti bambini e preadolescenti, c’è molto di peggio nella società.
In secondo luogo, la nostra attenzione è attratta da questa cultura perché costituisce
il fenomeno più importante da realizzare per prevenire le azioni offensive e promuovere il
rispetto per le persone. Non ci sono emergenze: il problema è la difficoltà di prevenire la
cultura della prevaricazione in quanto le aspettative che orientano la comunicazione sono
inefficaci nel contrastarla.
4. Rilievi conclusivi e possibili strategie d’intervento
Secondo Baraldi, per affrontare la cultura della prevaricazione, è opportuno:
1) Abbandonare l’osservazione delle azioni offensive come soli comportamenti
individuali;
2) Prendere atto che questa cultura non è semplicemente il prodotto di una
distinzione complementare e di potere tra forze e debolezza, bensì di una
distinzione simmetrica tra forze contrapposte;
3) Prendere atto che questa cultura non riguarda soltanto i bambini e gli adolescenti,
ma coinvolge tutti gli adulti significativi che interagiscono con loro.
18
4) Abbandonare un’azione di repressione delle azioni offensive basata sul potere e
sul ruolo istituzionale;
5) Avviare una gestione dialogica quotidiana dei conflitti, che consenta di affrontare
le radici simmetriche della prevaricazione, sulla base della partecipazione attiva
di adulti e bambini/adolescenti, cioè una prova pragmatica della comunicazione.
La nascita e la diffusione della cultura della prevaricazione, come è stato più volte
sottolineato all’interno della ricerca, è chiaramente correlata al cambiamento delle forme di
comunicazione. È molto probabile che genitori ed insegnanti ritengano che la ripetizione
sistematica di un’azione offensiva individuale sia la conseguenza di una socializzazione
difficile, primariamente in famiglia, secondo percorsi definiti silenziosi o neganti.
L’analisi scientifica che non è investigazione poliziesca, non dovrebbe interessarsi
solo della registrazione numerica delle azioni offensive, ma dovrebbe porre la sua attenzione
a tutte quelle condizioni culturali che rendono possibile la riproduzione di un’azione
offensiva, e dunque alla cultura della prevaricazione alimentata dalle continue e frequenti
difficoltà di comunicazione tra adulti e minori. Pertanto sia dal punto di vista della
socializzazione e dell’educazione dimensioni che portano a dare significato alle azioni
offensive e sia dal punto di vista delle capacità di intervento per affrontarle, gli adulti si
pongono come interlocutori significativi nella comunicazione.
Baraldi, a tal proposito, in un suo articolo12 afferma che se la cultura della
prevaricazione è arginata da adulti che utilizzano uno stile autoritario, questo non è per niente
funzionale al buon clima della gestione della classe. Vediamone un esempio. Un’insegnante
rimprovera un bambino con un tono molto fermo e lo invita categoricamente ad adeguarsi a
ciò che gli è stato suggerito. Il bambino accetta ma nonostante ciò, l’insegnante insiste,
poiché pensa che l’alunno non abbia effettivamente capito la sua richiesta e ritiene necessaria
un ulteriore spiegazione. Questa genera un tentativo di reazione da parte del bambino che
però viene subito represso dall’insegnante con un tono nuovamente fermo tale da segnalargli
12 Cf. C. BARALDI, Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4,
pp. 275-290.
19
nuovamente la richiesta di adattamento. L’alunno rinuncia definitivamente e l’insegnante
può trarre la sua conclusione normativa sulla vicenda.
Dall’esempio è emerso come l’insegnante abbia assunto un ruolo esclusivamente
istituzionale. Tuttavia questo ruolo evoca delle aspettative normative che sono compatibili
con quelle che fondano la prevaricazione (l’alunno è stato accusato di aver agito in modo
offensivo e sanzionato per questo attraverso un’asimmetrizzazione dei rapporti di forza). Per
affrontare la cultura della prevaricazione si è ritenuto utile educare alla rinuncia della forza.
È bene che in classe l’insegnante selezioni letture adeguate tali da stimolare ed accrescere il
confronto, avviare simulazioni e giochi di ruolo per far vivere un modo alternativo di gestire
le controversie ed in aggiunta fissare modelli concordati per regolare i conflitti. L’obiettivo
generale di queste iniziative è poter giungere alla stabilizzazione di “relazioni positive” per
contrastare l’incompetenza relazionale tra bambini ed adolescenti. Questo incrementa
l’ascolto nei confronti degli interlocutori promuovendo un modo corretto e rispettoso di porsi
nell’interazione, apprezzando i diversi punti di vista. Se la simmetria di forze è la base di
partenza di un conflitto che può degenerare in violenza o dominio, è utile in queste
circostanze attivare una gestione efficace del conflitto.
La gestione del conflitto ha come obiettivo quello di sostituire la simmetria normativa
di forze nella quotidianità scolastica, offrendo un modo alternativo di affrontare le offese.
Come fare in modo che questo accada? Baraldi sostiene che una metodologia usuale per
coinvolgere attivamente i bambini e gli adolescenti è quella della mediazione o educazione
tra pari (peer education). Questa viene ad essere intesa come una tecnica che consiste
nell’assegnare ruoli attivi ad alcuni studenti i quali si mostrano disponibili ad essere
mediatori e/o coordinatori di gruppi di coetanei, in modo da assicurare un’autonomia nella
gestione dei problemi e un maggiore agio nel risolverli tra pari. La presenza dell’adulto è
molto importante; l’adulto è colui che stimola la riflessione mediante domande che non
sollecitano risposte corrette, ma un confronto di prospettive diverse. L’adulto non esprime
giudizi; egli apprezza anche le prospettive che non condivide attirando l’attenzione dei
bambini sulle possibili soluzioni, ignorando a sua volta tutti quei contributi che tendono a
creare una distinzione tra forza e debolezza. L’insegnante non propone nessuna soluzione, è
20
l’interazione tra i bambini che produce il risultato finale sostenuto dall’apprezzamento
dell’adulto.
I punti di forza di questa metodologia considerano l’operatore come colui che adotta
una posizione promozionale attiva, stimolando i bambini a partecipare, riflettere ed
elaborare. In questo modo si evita qualsiasi richiesta di adattamento o proposta di
normazione, preservando la cultura del dialogo ed abbandonando quella della
prevaricazione.
L’insegnante pur non rinunciando al suo ruolo istituzionale, non si presenta come più
competente dei bambini, ma come un partecipante che ha obiettivi diversi dai loro e che
cerca di raggiungere insieme a loro. L’intervento raggiunge il successo se e quando si
produce una negoziazione efficace che vede il coinvolgimento di adulti e bambini in un
processo comunicativo che soddisfi l’uno e gli altri.
Questo crea le condizioni di un metodo dialogico di gestione dei conflitti che può
disinnescare la cultura della prevaricazione.
La gestione dialogica dei conflitti richiede sperimentazioni. Ogni occasione in cui
emergono prospettive diverse può essere sfruttata per avviare riflessioni e mediazioni. Si
tratta di sfruttare ogni opportunità per promuovere la partecipazione attiva dei bambini e
degli adolescenti, puntando sulla riflessione e sulla mediazione. In questo modo la scuola
può trasformare consapevolmente il suo intervento da repressione o esclusione dei conflitti,
in produzione di conflitti come occasioni per affrontarli in modo dialogico. Secondo quello
che è apparentemente un paradosso, più conflitti attiva, più la scuola diventa efficace nel
vincere la cultura della prevaricazione.
C’è da dire che una routine scolastica di gestione dialogica dei conflitti non può
contrastare da sola una cultura assai vasta che continua a riprodurre la prevaricazione. La
riflessione sul cosiddetto bullismo, se dirottata verso la riflessione sulla cultura della
prevaricazione, può avviare un cambiamento rilevante nell’interazione tra nuove generazioni
e istituzioni, dove gli adulti si propongono come promotori della partecipazione, facilitatori
della riflessione e mediatori, avendo una concezione dei bambini e degli adolescenti come
partecipanti attivi, autonomi e competenti.
21
Bibliografia
BARALDI C. – V. IERVESE, Come nasce la prevaricazione. Una ricerca nella scuola
dell’obbligo, Roma, Donzelli Editore, 2003.
BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia»
(2007) 4, pp. 275-290.
22
CIVITA A., Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile,
Milano, Franco Angeli, 2008.
OLWEUS D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti,
1996.
Indice
1. In generale, che cosa si dice sul bullismo 1
2. Uno sguardo al bullismo: la costruzione sociale e scientifica 3
23
2.1. La concezione dell’infanzia e dell’adolescenza 5
2.2. Dal bullismo alla prevaricazione 6
2.3. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi 7
2.4. La forma della prevaricazione 10
3. La metodologia della ricerca 12
3.1. Come la scuola osserva le prevaricazioni 13
3.2. Le forme della comunicazione: dall’infanzia all’adolescenza 16
4. Rilievi conclusivi e possibili strategie d’intervento 17
Bibliografia 22
Indice 23