LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE 1. In generale, che...

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1 LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE Il presente elaborato ha come fine ultimo quello di presentare lo studio condotto da Claudio Baraldi rispetto alla cultura della prevaricazione. Di seguito è riportata un’analisi approfondita circa le contraddizioni e i problemi di comunicazione che interessano i rapporti sociali tra adulti e bambini nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza. 1. In generale, che cosa si dice del bullismo? Il termine inglese “bullying”, di cui l’italiano “bullismo”, è la traduzione letterale di quello che oggi comunemente viene usato nella letteratura e negli studi portati avanti sull’argomento 1 . Nello specifico, secondo Dan Olweus: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni» 2 . Infatti, perché si possano verificare episodi di bullismo, è necessario che all’interno della relazione vi sia un’asimmetria. Lo studente indifeso ed impotente si trova all’interno di una situazione in cui diventa vittima di violenza e di molestie da parte di colui o coloro che hanno deciso di tormentarlo. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a volte le prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica, verbale o psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo con uno squilibro tra vittima e carnefice. Il bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole (fisicamente e psicologicamente) e la perseguita con effetti che nel tempo possono essere devastanti 3 . I tre aspetti rilevanti per la definizione di bullismo sono: - L’intenzionalità, il prevaricatore o il bullo, pone in atto intenzionalmente dei comportamenti fisici, verbali o psicologici finalizzati ad offendere o a recare danno o disagio all’altro; 1 Cf. D. OLWEUS, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1993, p. 11. 2 Cf. Ibidem, pp. 11-12. 3 Cf. F. MARINI C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 46.

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LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE

Il presente elaborato ha come fine ultimo quello di presentare lo studio condotto da

Claudio Baraldi rispetto alla cultura della prevaricazione. Di seguito è riportata un’analisi

approfondita circa le contraddizioni e i problemi di comunicazione che interessano i rapporti

sociali tra adulti e bambini nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

1. In generale, che cosa si dice del bullismo?

Il termine inglese “bullying”, di cui l’italiano “bullismo”, è la traduzione letterale di

quello che oggi comunemente viene usato nella letteratura e negli studi portati avanti

sull’argomento1.

Nello specifico, secondo Dan Olweus: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo,

ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del

tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni»2. Infatti, perché

si possano verificare episodi di bullismo, è necessario che all’interno della relazione vi sia

un’asimmetria. Lo studente indifeso ed impotente si trova all’interno di una situazione in cui

diventa vittima di violenza e di molestie da parte di colui o coloro che hanno deciso di

tormentarlo. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a volte le

prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica, verbale o

psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo con uno squilibro tra vittima e carnefice. Il

bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole (fisicamente e psicologicamente) e la

perseguita con effetti che nel tempo possono essere devastanti3.

I tre aspetti rilevanti per la definizione di bullismo sono:

- L’intenzionalità, il prevaricatore o il bullo, pone in atto intenzionalmente dei

comportamenti fisici, verbali o psicologici finalizzati ad offendere o a recare

danno o disagio all’altro;

1 Cf. D. OLWEUS, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1993, p. 11. 2 Cf. Ibidem, pp. 11-12. 3 Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 46.

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- La persistenza, cioè la ripetizione della prevaricazione protratta nel tempo;

- L’asimmetria, cioè il disequilibrio di forza tra colui che prevarica e colui che

subisce, in quanto non è in grado di difendersi4;

il bullismo può manifestarsi in forme differenti:

- diretta, consiste in attacchi rivolti nei confronti della vittima. Questa può

manifestarsi mediante una forma fisica ovvero: aggressioni, pugni e/o calci,

smorfie facciali, gesti offensivi; oppure attraverso una forma verbale ovvero:

insulti, prese in giro, derisione.

- indiretta (o psicologica), consiste in una forma di isolamento sociale e in

un’intenzionale esclusione dal gruppo5;

Ciò che spinge i bulli a prevaricare è un grande bisogno di potere e di dominio a cui

segue una piacevole sensazione di controllo e sottomissione degli altri. Far del male ai più

deboli, può essere una conseguenza di una certa ostilità nei confronti dell’ambiente maturata

nel contesto familiare, spesso inadeguato, poiché al suo interno vengono utilizzati stili

educativi che oscillano tra l’eccessiva coercizione e il permissivismo6.

Non sono esenti da colpe anche la tv o i videogiochi che trasmettono ripetutamente

scene di violenza spingendo bambini e adolescenti alla continua competizione con gli altri7.

Inoltre, anche le caratteristiche esteriori, come l’essere obeso, l’uso degli occhiali, il colore

dei capelli o altre particolarità riferite all’aspetto estetico e che solitamente costituiscono

delle particolarità che fanno sentire una persona diversa da quelle che i media propongono

come modello ideale, vengono indicate da alcuni bambini come spunto di prevaricazione. A

questo si aggiunge anche il colore della pelle che determina dei pregiudizi a causa dei

4 Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, Milano,

Franco Angeli, 2006, p. 32. 5 Cf. Ibidem, p. 32. 6 Cf. Ibidem, p. 41. 7 Cf. Ibidem pp. 43-44.

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preconcetti inculcati dagli adulti, considerandoli “diversi” e perciò meritevoli di occupare

una posizione sociale di marginalità e di continui insulti8.

Secondo altre opinioni, il bullismo può essere anche una conseguenza della

competizione scolastica in vista del conseguimento di buoni voti. Il comportamento dei bulli

verso i propri coetanei può essere considerato come una reazione alle frustrazioni e ai

fallimenti scolastici9.

All’interno del contesto scolastico il bullismo riguarda tutti e non solo coloro che ne

prendono parte in maniera più evidente. Ciascun allievo assume ruoli diversi che di seguito

vengono sintetizzati:

- bullo, chi prende attivamente l’iniziativa nel fare prepotenza sui compagni;

- aiutante, chi agisce in modo prepotente ma come seguace del bullo;

- sostenitore, chi rinforza il comportamento del bullo attraverso segnali di

approvazione, ridendo, incitandolo, o semplicemente stando a guardare;

- difensore, chi prende le difese della vittima consolandola o cercando di far

cessare le prepotenze;

- esterno, chi rimane estraneo alle prevaricazioni non prendendo alcuna posizione

né verso il bullo, né verso la vittima;

- vittima, colui che è oggetto di prepotenza10;

I numerosi studi e le numerose ricerche portate avanti sul campo rilevano che gli atti

di bullismo sono frequenti sia nelle scuole elementari che nelle scuole medie. Il numero degli

studenti coinvolti nel bullismo a scuola raggiunge cifre allarmanti, rispettivamente il 64 %

alle scuole elementari e il 50 % alle scuole medie. Per finire, l’essere ansiosi, deboli, insicuri

e carenti di autostima sono esempi che favoriscono il divenire vittima.

8 Cf. Ibidem p. 42. 9 Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, p. 57. 10 Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, p. 33.

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2. Uno sguardo al bullismo: la costruzione sociale e scientifica11

Negli ultimi decenni in Italia i comportamenti devianti e le azioni offensive da parte

degli studenti nei confronti dei loro coetanei sono cresciuti in maniera smisurata e questi

sono stati interpretati dagli esperti come atti di bullismo. I mass media enfatizzando le

informazioni ottenute in riferimento a questo tipo di comportamenti, le hanno tradotte come

indicatori di un’allarmante crisi generazionale.

Secondo queste prospettive, l’aumento delle violenze avvenute tra le mura

scolastiche è strettamente collegato al deterioramento dei principi morali e al declino della

competenza educativa degli adulti.

Apparentemente ci troviamo di fronte ad un fenomeno oggettivo rilevato da ricerche

scientifiche e testimoni attendibili: ma le cose stanno effettivamente così? Baraldi, in risposta

a questo interrogativo indica due motivi per cui si può mettere in discussione tale oggettività.

Da un lato l’oggettività dei fatti corrisponde alla costruzione propria di un

osservatore. L’epistemologia costruttivista spiega come ciascuna osservazione (scientifica e

non) viene ad essere attribuita alla prospettiva specifica di un osservatore e che le prospettive

di altri osservatori possono essere diverse ma non per questo meno legittime.

Emerge, quindi, un secondo motivo strettamente connesso al precedente, il quale

conduce alla creazione di un vero e proprio consenso generale. Quest’ultimo è il prodotto di

una semplificazione che si afferma quando all’interno della società risulta difficile accettare

contraddizioni. Il bullismo, così come la pedofilia, sono le tematiche principali che negli

ultimi anni hanno suscitato reazioni sociali improntate sul consenso ed sulla costruzione di

certezze.

Resa nota questa breve costruzione sociale e scientifica del bullismo, per giungere ad

una migliore conoscenza di esso è necessario dare uno sguardo alla cultura dell’infanzia e

dell’adolescenza così come viene intesa nella società contemporanea.

2.1. La concezione dell’infanzia e dell’adolescenza

11 La descrizione dei seguenti paragrafi è stata tratta dalle seguenti fonti: C. BARALDI, Come nasce la

prevaricazione. Una ricerca alla scuola dell’obbligo, Roma, Donzelli Editore, 2003; BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4, pp. 275-290.

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L’importanza sociale dei bambini è cresciuta dopo una serie di cambiamenti

significativi per la società e che hanno segnato la nascita dell’età moderna in Europa.

La struttura rigida e gerarchica dell’Europa medioevale fa largo a nuovi sottosistemi,

quali: famiglia e scuola. Entrambi sono chiamati a svolgere funzioni specifiche rispetto alla

crescita degli individui affinché questi ultimi siano in grado di acquisire particolari

competenze ed autonomie per l’assunzione di nuovi ruoli sociali.

I continui e repentini cambiamenti dell’evoluzione socio-culturale fanno in modo che

aumentino ansie e preoccupazioni nei confronti di bambini ed adolescenti. Infanzia e

adolescenza vengono definite come epoche di vulnerabilità accompagnate da alcune forme

di disagio. Spesso le preoccupazioni vigenti sono legate al rapporto che sussiste tra corpo e

mente, poiché la crescita corporea viene strettamente associata allo sviluppo di competenze

cognitive ed emozionali. Per fare un esempio, un adulto considerato autonomo e competente

è capace di gestire il proprio corpo, al contrario un bambino o un adolescente ancora non

hanno pienamente raggiunto questa maturità e dunque sono incapaci di gestire i propri

cambiamenti rischiando di essere vittima di atti ostili da parte di altri.

Il bullismo è una conseguenza significativa di questa cultura, poiché segnala che tra

i bambini e gli adolescenti l’uso della forza fisica e il trattamento del corpo possono

facilmente risultare inadeguati rispetto agli standard prefissati del benessere individuale e

delle regole sociali. Tutto questo è il risultato di una proiezione esterna della società la quale

tende ad auto-esonerarsi e ad attribuire a forme di devianza da essa avulse la responsabilità

dei problemi a bambini e adolescenti. Dal punto di vista della cultura dominante al bambino

non è consentito essere né vittima, né aggressore: la certificazione della sua innocenza tocca

entrambi i versanti. Questo rivela che bisogna avere un’attenzione particolare per tutti quei

fenomeni che conducono un bambino ad essere vittima o aggressore e dunque considerati

come pericoli da combattere.

Il bullismo non può essere considerato come un prodotto spontaneo o naturale

dell’infanzia, pertanto le violenze dirette al corpo siano esse sessuali o più generalmente

fisiche, sono modalità di offesa create socialmente e non di certo presenti in natura. Secondo

questa prospettiva la violenza è una modalità di reazione a fronte di rifiuti nei confronti di

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richieste che sono sempre basate su modelli culturali. Il rifiuto o la resistenza verso una

richiesta comunicativa genera violenza nella società.

Nello specifico, l’applicazione da parte dei bambini può essere osservata come il

risultato di una costruzione sociale del bambino: il bambino violento è reso adulto in quanto

su di esso viene proiettata una cultura dell’offesa che nasce nella società preesistente. I

bambini sono molto bravi a giocare utilizzando la forza; tuttavia, soltanto quando

apprendono le regole sociali dell’offesa, diventano capaci di utilizzare la violenza per scopi

di coercizioni o di oppressione.

Il bambino viene osservato come attore sociale, come partecipante attivo ai processi

di comunicazione e non come prodotto di una socializzazione orchestrata dall’esterno.

Poiché i bambini non sono isolati dagli adulti ma sono connessi ad essi attraverso forme di

comunicazione importanti, è diventata evidente la costruzione di significati specifici che si

produce ogni qual volta vi sia l’opportunità di una comunicazione tra loro. Per capire i

significati del bullismo è necessario comprendere anche le forme di comunicazione con gli

adulti.

Secondo Baraldi il bullismo è un prodotto della socializzazione alle norme

dell’offesa e della violenza, i cui significati vengono costruiti dai bambini attraverso la

comunicazione con gli adulti ed elaborati autonomamente all’interno di una cultura che si

produce nella comunicazione tra coetanei.

2.2. Dal bullismo alla prevaricazione

Dal punto di vista scientifico utilizzare il termine bullismo è riduttivo, specie se si

vogliono interpretare fenomeni di offesa e violenza che avvengono tra i bambini e gli

adolescenti. Olweus con il termine bullismo, indica l’azione offensiva di uno o più prepotenti

che infieriscono su individui deboli o comunque dotati di minori risorse in termini di forza

fisica e tenuta mentale.

L’interesse scientifico e gli studi di Baraldi non vertono sull’azione offensiva in sé,

ma sulle forme culturali che la legittimano e la rendono riproducibile. Allo scopo di spiegare

queste forme, distinguendole dal mero prodursi dell’azione offensiva in quanto tale,

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utilizziamo il concetto di prevaricazione che dà origine e rende riproducibile l’azione

offensiva stessa.

L’azione offensiva non è il prodotto di una normazione gerarchica, anzi, al contrario,

l’azione offensiva determinata dalla prevaricazione è il risultato di un insuccesso di una

struttura gerarchica, la quale non viene accettata e per questo motivo deve essere imposta.

Il problema scientifico non è capire perché avviene una specifica azione offensiva

ma come si riproduce. L’attenzione è rivolta ad identificare quei fattori che contribuiscono

a tale riproduzione. Più che analizzare l’entità del fenomeno, oppure le sue cause, è

opportuno analizzare le componenti culturali che ne preservano l’esistenza, rendendo

probabile la riproduzione dell’azione offensiva.

In sintesi la prevaricazione è una forma culturale che orienta la comunicazione (o

meglio è una forma di comunicazione) verso la negazione della persona attraverso azioni

offensive, in mancanza di una legittimazione normativa gerarchica e in correlazione con

certe forme di comunicazione tra coetanei e tra bambini/adolescenti e adulti, il cui significato

e la cui rilevanza sono definiti dall’osservazione dei partecipanti, che si caratterizza

primariamente per le modalità di riproduzione dell’azione offensiva.

2.3. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi

Secondo gli studi e le ricerche condotte sul campo da Baraldi, il termine bullismo

non indica una realtà oggettiva, psicologica o comportamentale, ma una costruzione di

significati culturali. Il bullismo è un fenomeno culturale in quanto posiziona gli individui

nella società, come autori di azioni offensive e sistematiche considerate come prodotto

culturale. Per esempio: un italiano non si offende se un suo interlocutore agita le braccia

mentre parla oppure punta un dito contro di lui per indicarlo; invece per un vietnamita o un

giapponese questo sarebbe motivo di offesa. I confini culturali dell’offesa non sono sempre

chiari. Lo stesso tipo di scherno o di prepotenza può creare forti difficoltà, se non proprio

danni irreversibili, in un soggetto e nessuna difficoltà significativa in un altro.

Secondo Baraldi, l’offesa è visibile solo attraverso la delusione di aspettative.

Un’azione offensiva delude le aspettative dell’interlocutore perché infrange una struttura

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sociale stabilita, ossia una base conosciuta e condivisa di fiducia nella relazione sociale. La

debolezza di colui che riceve l’offesa traspare nel momento in cui egli ha una reazione

cognitiva. In altre parole: l’offeso è debole se e quando si adatta senza opporvisi. Questo

adattamento può condurre verso la stabilizzazione di nuove aspettative tali da normalizzare

l’azione offensiva così da poter essere ripetuta con sistematicità nella relazione tra offensore

e offeso (e ciò che precedentemente è stato definito bullismo).

Quando si parla di azione offensiva, si deve tener conto non solo dei motivi singolari

e soggettivi dell’individuo incompetente ma è importante guardare all’interazione e non alla

singola azione. L’azione offensiva è sempre rivolta ad un interlocutore, e finisce con il

diventare sistematica nel momento in cui si afferma come struttura normativa di tale

interazione a seguito di un adattamento dell’offeso alla delusione subita.

Una lettura così allargata ed ampia viene impedita da una visione morale che addita

tutte le responsabilità all’offensore e considera l’offeso come una vittima. Se si considera la

vittima come partecipante attivo all’interazione con l’offensore allora si possono

comprendere anche le origini di tali episodi. Seguendo quest’ottica il bullismo viene

considerato come fenomeno sociale che si realizza necessariamente nel quadro di

un’interazione tra offensore ed offeso. Inoltre esso è anche considerato come fenomeno

culturale poiché l’interazione che lo riproduce proviene da alcuni orientamenti culturali;

quindi ciò che sta dietro alle azioni offensive non è rintracciabile solo nelle menti degli

offensori, ma nella cultura che li circonda. Questo ci permette di comprendere che offensore

ed offeso sono inseriti in un contesto scolastico, hanno delle famiglie alle spalle e si muovono

in gruppi più vasti di coetanei o quasi coetanei.

La cultura dei pari è la base fondamentale su cui vengono ad edificarsi le azioni

offensive tra offensore ed offeso. La debolezza dell’offeso è complementare rispetto alla

forza dell’offensore. L’offensore può dominare nella scuola, perché chi si oppone si colloca

sul suo versante, e non su quello del debole, e nel momento in cui si produce una sfida tra

forze contrapposte, non si tratta più di bullismo, ma di rissa o scontro, venendo meno la

complementarità forza/debolezza e affermandosi la simmetria. Questa struttura simmetrica

di forze costituisce la cultura della prevaricazione. Essa si realizza intorno ad una simmetria

tra offesa e contro offesa la quale rende possibili i ruoli sociali (con la differenza tra soggetti

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forti e soggetti deboli) e la creazione di aspettative nella relazione complementare tra

offensore ed offeso.

La struttura simmetrica di forze contrapposte si accompagna ad un processo di

progressivo distacco affettivo dei bambini dalla famiglia e dalla scuola. Questo distacco

prevede per la crescita del bambino una crescente rilevanza degli aspetti cognitivi a scapito

di quelli affettivi. Diventare grandi significa diventare più bisognosi di apprendimento

cognitivo e meno di attaccamento affettivo: la scuola si orienta in questa direzione.

Tuttavia c’è da dire che i preadolescenti si trovano dinnanzi ad un raffreddamento

della relazione che vede protagonisti insegnanti e genitori. Nel caso degli insegnanti essi

affermano che non sono degli interlocutori significativi per i loro problemi rilevanti. Nel

caso dei genitori essi dichiarano di avere il timore di perdere la loro fiducia nel caso in cui

gli comunicassero le loro azioni devianti e dunque per preservare l’affetto e la fiducia, si

smette di comunicare. L’assenza di interlocutori adulti conduce i preadolescenti all’interno

di un limbo comunicativo in cui la comunicazione con i coetanei, affettivamente fragile, può

essere facilmente orientata dalla simmetria dei rapporti di forza e dalla complementarità di

forza e debolezza: quindi le azioni offensive si diffondono in modo equivalente.

Infine, è anche attraverso la potenza dei mass media che all’interno delle nostre

società si verificano e si riproducono modelli di simmetria tra forza e debolezza. La cultura

della prevaricazione rimbalza nella quotidianità, si riproduce nei comportamenti dei genitori,

degli insegnanti e in altre numerose situazioni quotidiane. Insomma la cultura della

prevaricazione si costruisce in un’interazione e sulla base di orientamenti culturali

differenziati che coinvolgono i rapporti tra pari, la scuola, la famiglia e la cultura diffusa dai

media e dilagante nella vita quotidiana.

2.4. La forma della prevaricazione

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I bulli descritti come aggressivi e impulsivi e le vittime descritte come ansiose e

sensibili non hanno alcuna rilevanza nell’analisi condotta Baraldi. Egli studiando la

prevaricazione come forma culturale costruita nella comunicazione, ritiene che gli aspetti

psicologici sopra menzionati non caratterizzano a pieno la prevaricazione. Questa nuova

impostazione di pensiero merita delle precisazioni.

In primis, l’interesse per gli studi sulla prevaricazione si focalizza sulla distinzione

tra ruolo e persona. Questa differenziazione permette di distinguere in che modo le persone

contribuiscano alla comunicazione con i partecipanti. È ovvio che nella comunicazione

ciascun individuo può essere considerato e presentarsi come unico, specifico ed autonomo

(come persona), oppure secondo modelli standardizzati, generalizzati e prefissati (come

ruolo). Per esempio è altamente probabile che il bambino venga trattato come persona nelle

comunicazioni informali con gli amici mentre è certo che sia trattato e si presenti come un

individuo che ricopre un ruolo a scuola, in cui gli viene chiesto di mostrare presentazioni

particolari valutate secondo parametri prefissati.

Se la prevaricazione nell’ottica di Baraldi è negazione della persona, l’interesse che

si prefigge la ricerca è quello di capire in che modo e in che misura tale negazione è associata

a forme di comunicazione interpersonale oppure di ruolo. Si tratta di capire quali partecipanti

assumono di volta in volta ruoli o si presentano come persone. Bambini e adolescenti,

genitori e insegnanti, sono i protagonisti di una comunicazione che assume la forma della

prevaricazione. Di conseguenza, la ricerca sulla prevaricazione deve concentrarsi sulla

comunicazione che coinvolge questi diversi partecipanti e sulle loro osservazioni reciproche.

Le aspettative assumono un peso rilevante poiché danno forma culturale ai risultati

della comunicazione. In quest’ottica, è bene chiedersi quale sia il rapporto tra le aspettative

di preadolescenti e bambini, da una parte, e quali le aspettative che i loro interlocutori

significativi nutrano dall’altra. Il confronto tra aspettative permette di osservare la coerenza

e le eventuali discrepanze che possono generare delle asimmetrie nella comunicazione dando

luogo a conflitti e delusioni. All’interno della comunicazione la discrepanza o la

contraddizione può essere controllata attraverso il potere, l’esercizio dell’autorità o anche

attraverso tecniche persuasive.

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È vivamente consigliato, specie nella comunicazione tra adulti e

bambini/preadolescenti, il coordinamento tra le aspettative così da evitare conflitti o

necessità di repressione. Le forme asimmetriche sono considerate in modo negativo anche

nei rapporti tra coetanei, perché possono portare a conflitti, oppure all’esercizio del potere o

della persuasione molto temuti come aspetti di leaderschip informale o di plagio di gruppo.

A partire dalle forme e dai contributi (ruoli e persone) e delle forme delle aspettative,

diventa importante ricostruire i valori fondamentali che orientano un sistema di

comunicazioni, e nel nostro specifico caso i valori che caratterizzano la cultura della

prevaricazione. Inoltre è di particolare importanza analizzare le modalità di azione insieme

all’uso comunicativo del corpo. Nel caso della cultura della prevaricazione quest’ultimo

aspetto è di particolare interesse. Baraldi afferma di andare oltre la banale osservazione che

il bullismo si manifesta solo come azione fisica; il problema centrale non è l’azione in sé ma

il valore simbolico che essa assume. Rilevante è il modo in cui viene trattato il corpo nella

comunicazione, un modo che rende non soltanto plausibile ma persino probabile la violenza

come mezzo simbolico di negazione della persona.

In sintesi, sei sono le componenti culturali fondamentali di una forma della

comunicazione utili per lo studio dell’analisi sulla prevaricazione:

- Valori orientativi,

- Forme dei contributi,

- Forme delle aspettative,

- Modalità di azioni/esperienze,

- Considerazione dei danni derivanti dall’azione e dall’esperienza e uso simbolico

del corpo,

Attraverso la ricerca queste possono emergere come fattori centrali della cultura della

prevaricazione.

Fino a qui abbiamo parlato di prevaricazione descrivendone le componenti. Tuttavia

ciò non è sufficiente per capire la cultura della prevaricazione. Quando si osserva un’azione

offensiva, si osserva indirettamente, che esiste un’azione opposta, non offensiva e che viene

utilizzata come riferimento per definirne le caratteristiche. Osservare la prevaricazione,

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significa distinguerla da altre forme culturali perciò l’altro lato della distinzione rispetto alla

prevaricazione è il rispetto per la persona.

La prevaricazione è strettamente legata ai diritti personali, poiché nega

l’affermazione della persona che essi promuovono, dunque non esiste alcuna prevaricazione

se non in contraddizione con il rispetto. Per cui prevaricazione e rispetto sono i due lati della

stessa distinzione, così come lo sono aggressore e vittima. Tuttavia, il rispetto per la persona

sta a significare che essa viene accettata così com’è, in qualsiasi circostanza ed in modo

indipendente dai ruoli assunti.

La distinzione tra prevaricazione e rispetto rimanda al problema della diversità, nel

senso che una prevaricazione prende avvio da un’osservazione di diversità, per indicarne la

rilevanza. La negazione richiede sempre una diversità da negare, il problema è capire in che

modo l’osservazione di una diversità si traduce in prevaricazione, cioè in che modo la

diversità assume un valore negativo.

3. La metodologia della ricerca

La ricerca condotta da Baraldi insieme ai suoi collaboratori si è posta l’obiettivo

generale di analizzare la forma culturale della prevaricazione nonché fornire un quadro

conoscitivo di sfondo per l’elaborazione di metodologie d’intervento al fine di produrre

un’opportunità di prevenzione della prevaricazione e di promozione del rispetto.

In base a questi obiettivi si è ritenuto opportuno non tanto verificare la credibilità

della definizione più o meno articolata di prevaricazione e di rispetto, quanto saper

interpretare ed utilizzare le osservazioni dei soggetti interpellati per ricostruire i percorsi di

prevaricazione e di rispetto e il significato sociale che viene loro attribuito. Pertanto

l’attenzione non si è focalizzata solo su bambini e preadolescenti ma su una pluralità di loro

contesti di riferimento (scuola, famiglia, gruppo di coetanei).

Le ricerche che si sono occupate di bullismo hanno avuto la tendenza a ricercare le

ragioni dell’azione offensiva in determinati tratti personali o in specifici messaggi sociali.

La presente ricerca invece, è orientata all’importanza della costruzione della prevaricazione

e del rispetto nella comunicazione e delle modalità di partecipazione individuale ad essa.

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Per raggiungere questi obiettivi è stato costruito un campione sperimentale di quarte

e quinte classi delle scuole elementari e seconde e terze classi delle scuole medie inferiori.

Nelle classi quarte e quinte delle scuole elementari è stata utilizzata una metodologia

di ricerca che ha visto la partecipazione attiva dei bambini e quindi costruire nella ricerca i

significati della prevaricazione e del rispetto. Nelle classi seconde e terze delle scuole medie

inferiori, si osservano al meglio i fenomeni d’impatto di questo ordine di scuola per quel che

riguarda una fase di passaggio importante e delicata, che è quella dell’infanzia e

dell’adolescenza, che oggi viene spesso considerata particolarmente a rischio per quel che

riguarda proprio il fenomeno della prevaricazione.

La ricerca ha visto coinvolte 15 scuole, di cui 9 elementari e 6 medie inferiori, per

un totale di 31 classi. La ricerca ha visto il coinvolgimento di bambini e preadolescenti,

insegnanti, il personale non docente e i genitori, allo scopo di fornire un quadro ampio e

differenziato di prospettive sul tema delle prevaricazioni e del rispetto della persona.

3.1. Come la scuola osserva le prevaricazioni

La scuola rappresenta la componente principale di un sistema educativo che ha

funzione di formare la personalità degli individui. La forma di comunicazione che la

caratterizza è differente da quella predominante in famiglia o nel gruppo dei pari.

Riprendendo le sei componenti culturali fondamentali di una forma di comunicazione

ossia: i valori orientativi, la forma dei contributi, la forma delle aspettative, il significato

dell’azione e dell’esperienza, il trattamento dei potenziali danni conseguenti l’azione

comunicativa e il trattamento comunicativo del corpo, si può osservare che l’educazione

scolastica produce un orientamento primario verso ruoli sociali standardizzati ed impersonali

che si manifestano nelle prestazioni alle quali viene applicata la valutazione; inoltre,

l’educazione scolastica si basa su aspettative primariamente cognitive ossia di

apprendimento e secondariamente normative ossia di adattamento alle regole; crea

condizioni comunicative tali per cui l’esperienza dello studente è sempre guidata dall’agire

dell’insegnante.

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Quali significati il personale docente e non docente di scuole elementari e medie

inferiori attribuisce alla prevaricazione?

Nelle scuole elementari, il personale non docente intende la prevaricazione come un

rapporto di potere in cui si stabilisce un’evidente asimmetria tra le parti.

Secondo questa visione il soggetto prevaricatore avrebbe un carattere forte o si crede

tale pur essendo interiormente insicuro; è dotato di un forte senso di competizione, vuole

emergere ed imporre la propria volontà. Tutto questo è facilmente riconducibile alla

provenienza da una situazione familiare in cui il soggetto prevaricatore potrebbe essere stato

prevaricato (negato come persona) dai suoi genitori, o potrebbe aver osservato ed in seguito

prodotto forme di prevaricazione tra i genitori, oppure non aver ricevuto attenzione ed

affetto. Dunque ne consegue che la prevaricazione è la conseguenza di un problema di

socializzazione.

Nella prospettiva delle insegnanti incontrate nelle scuole elementari, la

prevaricazione non ha a che fare con la distinzione superiorità/inferiorità; essa implica un

riferimento alla diversità tra gli individui e alla dimensione dei diritti personali. Quindi per

le insegnanti prevaricare una persona significa non ascoltare e non tenere conto dell’altro,

annullarlo nella comunicazione. Nello specifico, non rispettare le idee, i comportamenti, le

esigenze, non riconoscere la diversità e dunque la persona come essere individuale e

specifico. La prevaricazione viene associata alla mancata attenzione per i diritti, la libertà e

lo spazio di espressione dell’altro e dunque alla limitazione della sua autonomia di decisione

e azione. Per questo fenomeno la prevaricazione può manifestarsi sia sotto forma di violenza

psicologica che fisica.

In generale il soggetto che tende più spesso a prevaricare viene descritto come

insicuro e dotato di scarsa autostima, un soggetto che deve mostrare sicurezza imponendo

agli altri le proprie idee e decisioni. Anche in questo caso la figura del prevaricatore è

caricata di disagio personale e relazionale, derivante da problematiche familiari,

riconoscibili come negazioni e silenzi della persona nella comunicazione con i genitori, ma

anche all’eccesso di protezione che comporta una partecipazione dipendente e non autonoma

del bambino. Inoltre, dalle interviste è emerso che coloro che subiscono violenze, angherie

e prevaricazioni sono soggetti con carattere e personalità deboli e con limitati strumenti

15

culturali. Questo li rende impossibilitati a reagire in maniera autonoma sul piano

comunicativo oppure a rispondere con un’azione non comunicativa (violenza) ad un’altra

azione non comunicativa (altra violenza).

Nelle scuole medie inferiori si registrano molte somiglianze con le rappresentazioni

diffuse nelle scuole elementari. In particolare i punti di convergenza, contribuiscono a

configurare la prevaricazione come un fenomeno caratterizzato da: un rapporto asimmetrico

derivante da una comunicazione problematica (negazione della persona e/o iperprotezione),

il che non socializza all’autonomia personale e non educa al rispetto delle norme sociali.

Differenti risultano le costruzioni sociali della prevaricazione da parte dei docenti

delle scuole medie inferiori. Secondo questi, la prevaricazione è interpretata secondo quattro

accezioni strettamente legate tra di loro. In primo luogo la si intende come una limitazione

dell’autonomia personale, in quanto tale reca un disagio a colui o colei che la subisce:

prevaricare significa limitare la libertà di espressione della persona, sfruttarla

consapevolmente per fini strettamente personali mettendola in una condizione di non agio.

In secondo luogo, la prevaricazione comporta il mancato rispetto della diversità, delle

specificità individuali, e, dunque, della persona. In terzo luogo significa non riconoscere

all’altro uguali diritti e libertà. Infine, secondo lo schema interpretativo tra il personale non

docente, la prevaricazione indica un rapporto asimmetrico di potere e subordinazione,

superiorità e inferiorità.

In sintesi, secondo questa prospettiva, durante l’infanzia e nella scuola elementare la

prevaricazione è contenuta perché i bambini sono maggiormente protetti e perché

l’educazione ammette un orientamento alla persona. Con la preadolescenza e l’ingresso nella

scuola media inferiore, le prepotenze aumentano perché aumenta la trasgressione

intenzionale e consapevole dei ragazzi ed aumentano anche il lasciar fare o un approccio

meramente normativo da parte degli adulti.

3.2. Le forme della comunicazione: dall’infanzia all’adolescenza

Il risultato rilevante emerso dalla ricerca è che la comunicazione tra preadolescenti e

adulti è raramente basata su un coordinamento di ruoli o impersonale: molti preadolescenti

16

nutrono infatti scarsa fiducia nella comunicazione con i genitori, e ancor più, con gli

insegnanti, preferendo di gran lunga quella con gli amici. Gli adulti sono considerati solo

come ultima carta da giocare per affrontare in modo efficace le azioni offensive ed evitare

un coinvolgimento problematico nella cultura della prevaricazione.

Tra i preadolescenti, l’unico motivo diffusamente osservato per ricorrere ai genitori

è il potere che possono esercitare sui bulli in qualità di adulti più interessati. L’asimmetria

nella comunicazione tra genitori e figli è evidente. Ciò si spiega certamente con le forme

dominanti di comunicazione familiare: un figlio si aspetta che un genitore si aspetti da lui

azioni diverse da quelle che lui si aspetta dal genitore stesso. Tuttavia, colpisce il fatto che

l’asimmetria produca danni rilevanti alla comunicazione affettiva: molti preadolescenti, ed

anche non pochi bambini, comprendono a torto o ragione, che i genitori si aspettano da loro

primariamente adesione alle regole.

Per quanto riguarda il rapporto che sussiste tra scuola e prevaricazione, c’è da dire

che la comunicazione con gli insegnanti viene osservata come deficitaria in una notevole

quantità di casi, in modo particolare nella comunicazione nelle scuole medie. Da una parte

non si creano aspettative e ciò significa che manca persino l’osservazione di una possibilità

di comunicazione; dall’altra parte si creano aspettative di comunicazioni punitive o di

incomprensioni.

Anche la comunicazione con i compagni di classe si deteriora molto frequentemente

nel passaggio dalle scuole elementari alle scuole medie. Il passaggio dalle scuole elementari

alle scuole medie inferiori segna dunque un cambiamento netto nell’osservazione della

comunicazione nel contesto scolastico facendo emergere problemi di spersonalizzazione e

disillusione.

Stando alla comunicazione tra coetanei, la disillusione nei confronti dell’aiuto degli

adulti e del mondo della scuola, in senso generale, si trasforma in speranza e fiducia

nell’aiuto dei coetanei e dei più vicini. In questo caso i preadolescenti acquistano crescente

fiducia nell’aiuto dei coetanei più vicini e che diventano il riferimento fondamentale.

Il significato dell’amicizia si precisa e diventa più selettivo nel passaggio

dall’infanzia all’adolescenza, mentre il mondo dei coetanei si differenzia sempre di più.

Durante la preadolescenza, la differenziazione tra amici e compagni di classe viene associata

17

a quella tra fiducia e sospetto o indifferenza. In molti casi, la comunicazione interpersonale

tra amici è rafforzata dal fatto che si produce un’asimmetria nella reciprocità. Questo

significa che per almeno una parte di minori, l’aspettativa di aiuto da parte dei coetanei si

combina all’aspettativa che i coetanei si aspettino amicizia e frequentazione. Tale condizione

evidenzia un forte significato interpersonale attribuito alla comunicazione tra coetanei: la

richiesta di aiuto è ricambiata con amicizia e frequentazione. La ricerca ha dunque messo in

evidenza l’importanza dei coetanei come persone di riferimento per bambini, in modo più

allargato, e, soprattutto per i preadolescenti, in modo più selettivo.

In sintesi, sono due i risultati generali principali della parte di ricerca svolta con

bambini e preadolescenti. Anzitutto, le azioni offensive sono scarsamente diffuse e non tali

da far presagire un futuro catastrofico, né per le generazioni coinvolte, né per il sistema

educativo o la società. L’allarme per il bullismo, insomma, non è eccessivo e, come hanno

osservato molti bambini e preadolescenti, c’è molto di peggio nella società.

In secondo luogo, la nostra attenzione è attratta da questa cultura perché costituisce

il fenomeno più importante da realizzare per prevenire le azioni offensive e promuovere il

rispetto per le persone. Non ci sono emergenze: il problema è la difficoltà di prevenire la

cultura della prevaricazione in quanto le aspettative che orientano la comunicazione sono

inefficaci nel contrastarla.

4. Rilievi conclusivi e possibili strategie d’intervento

Secondo Baraldi, per affrontare la cultura della prevaricazione, è opportuno:

1) Abbandonare l’osservazione delle azioni offensive come soli comportamenti

individuali;

2) Prendere atto che questa cultura non è semplicemente il prodotto di una

distinzione complementare e di potere tra forze e debolezza, bensì di una

distinzione simmetrica tra forze contrapposte;

3) Prendere atto che questa cultura non riguarda soltanto i bambini e gli adolescenti,

ma coinvolge tutti gli adulti significativi che interagiscono con loro.

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4) Abbandonare un’azione di repressione delle azioni offensive basata sul potere e

sul ruolo istituzionale;

5) Avviare una gestione dialogica quotidiana dei conflitti, che consenta di affrontare

le radici simmetriche della prevaricazione, sulla base della partecipazione attiva

di adulti e bambini/adolescenti, cioè una prova pragmatica della comunicazione.

La nascita e la diffusione della cultura della prevaricazione, come è stato più volte

sottolineato all’interno della ricerca, è chiaramente correlata al cambiamento delle forme di

comunicazione. È molto probabile che genitori ed insegnanti ritengano che la ripetizione

sistematica di un’azione offensiva individuale sia la conseguenza di una socializzazione

difficile, primariamente in famiglia, secondo percorsi definiti silenziosi o neganti.

L’analisi scientifica che non è investigazione poliziesca, non dovrebbe interessarsi

solo della registrazione numerica delle azioni offensive, ma dovrebbe porre la sua attenzione

a tutte quelle condizioni culturali che rendono possibile la riproduzione di un’azione

offensiva, e dunque alla cultura della prevaricazione alimentata dalle continue e frequenti

difficoltà di comunicazione tra adulti e minori. Pertanto sia dal punto di vista della

socializzazione e dell’educazione dimensioni che portano a dare significato alle azioni

offensive e sia dal punto di vista delle capacità di intervento per affrontarle, gli adulti si

pongono come interlocutori significativi nella comunicazione.

Baraldi, a tal proposito, in un suo articolo12 afferma che se la cultura della

prevaricazione è arginata da adulti che utilizzano uno stile autoritario, questo non è per niente

funzionale al buon clima della gestione della classe. Vediamone un esempio. Un’insegnante

rimprovera un bambino con un tono molto fermo e lo invita categoricamente ad adeguarsi a

ciò che gli è stato suggerito. Il bambino accetta ma nonostante ciò, l’insegnante insiste,

poiché pensa che l’alunno non abbia effettivamente capito la sua richiesta e ritiene necessaria

un ulteriore spiegazione. Questa genera un tentativo di reazione da parte del bambino che

però viene subito represso dall’insegnante con un tono nuovamente fermo tale da segnalargli

12 Cf. C. BARALDI, Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4,

pp. 275-290.

19

nuovamente la richiesta di adattamento. L’alunno rinuncia definitivamente e l’insegnante

può trarre la sua conclusione normativa sulla vicenda.

Dall’esempio è emerso come l’insegnante abbia assunto un ruolo esclusivamente

istituzionale. Tuttavia questo ruolo evoca delle aspettative normative che sono compatibili

con quelle che fondano la prevaricazione (l’alunno è stato accusato di aver agito in modo

offensivo e sanzionato per questo attraverso un’asimmetrizzazione dei rapporti di forza). Per

affrontare la cultura della prevaricazione si è ritenuto utile educare alla rinuncia della forza.

È bene che in classe l’insegnante selezioni letture adeguate tali da stimolare ed accrescere il

confronto, avviare simulazioni e giochi di ruolo per far vivere un modo alternativo di gestire

le controversie ed in aggiunta fissare modelli concordati per regolare i conflitti. L’obiettivo

generale di queste iniziative è poter giungere alla stabilizzazione di “relazioni positive” per

contrastare l’incompetenza relazionale tra bambini ed adolescenti. Questo incrementa

l’ascolto nei confronti degli interlocutori promuovendo un modo corretto e rispettoso di porsi

nell’interazione, apprezzando i diversi punti di vista. Se la simmetria di forze è la base di

partenza di un conflitto che può degenerare in violenza o dominio, è utile in queste

circostanze attivare una gestione efficace del conflitto.

La gestione del conflitto ha come obiettivo quello di sostituire la simmetria normativa

di forze nella quotidianità scolastica, offrendo un modo alternativo di affrontare le offese.

Come fare in modo che questo accada? Baraldi sostiene che una metodologia usuale per

coinvolgere attivamente i bambini e gli adolescenti è quella della mediazione o educazione

tra pari (peer education). Questa viene ad essere intesa come una tecnica che consiste

nell’assegnare ruoli attivi ad alcuni studenti i quali si mostrano disponibili ad essere

mediatori e/o coordinatori di gruppi di coetanei, in modo da assicurare un’autonomia nella

gestione dei problemi e un maggiore agio nel risolverli tra pari. La presenza dell’adulto è

molto importante; l’adulto è colui che stimola la riflessione mediante domande che non

sollecitano risposte corrette, ma un confronto di prospettive diverse. L’adulto non esprime

giudizi; egli apprezza anche le prospettive che non condivide attirando l’attenzione dei

bambini sulle possibili soluzioni, ignorando a sua volta tutti quei contributi che tendono a

creare una distinzione tra forza e debolezza. L’insegnante non propone nessuna soluzione, è

20

l’interazione tra i bambini che produce il risultato finale sostenuto dall’apprezzamento

dell’adulto.

I punti di forza di questa metodologia considerano l’operatore come colui che adotta

una posizione promozionale attiva, stimolando i bambini a partecipare, riflettere ed

elaborare. In questo modo si evita qualsiasi richiesta di adattamento o proposta di

normazione, preservando la cultura del dialogo ed abbandonando quella della

prevaricazione.

L’insegnante pur non rinunciando al suo ruolo istituzionale, non si presenta come più

competente dei bambini, ma come un partecipante che ha obiettivi diversi dai loro e che

cerca di raggiungere insieme a loro. L’intervento raggiunge il successo se e quando si

produce una negoziazione efficace che vede il coinvolgimento di adulti e bambini in un

processo comunicativo che soddisfi l’uno e gli altri.

Questo crea le condizioni di un metodo dialogico di gestione dei conflitti che può

disinnescare la cultura della prevaricazione.

La gestione dialogica dei conflitti richiede sperimentazioni. Ogni occasione in cui

emergono prospettive diverse può essere sfruttata per avviare riflessioni e mediazioni. Si

tratta di sfruttare ogni opportunità per promuovere la partecipazione attiva dei bambini e

degli adolescenti, puntando sulla riflessione e sulla mediazione. In questo modo la scuola

può trasformare consapevolmente il suo intervento da repressione o esclusione dei conflitti,

in produzione di conflitti come occasioni per affrontarli in modo dialogico. Secondo quello

che è apparentemente un paradosso, più conflitti attiva, più la scuola diventa efficace nel

vincere la cultura della prevaricazione.

C’è da dire che una routine scolastica di gestione dialogica dei conflitti non può

contrastare da sola una cultura assai vasta che continua a riprodurre la prevaricazione. La

riflessione sul cosiddetto bullismo, se dirottata verso la riflessione sulla cultura della

prevaricazione, può avviare un cambiamento rilevante nell’interazione tra nuove generazioni

e istituzioni, dove gli adulti si propongono come promotori della partecipazione, facilitatori

della riflessione e mediatori, avendo una concezione dei bambini e degli adolescenti come

partecipanti attivi, autonomi e competenti.

21

Bibliografia

BARALDI C. – V. IERVESE, Come nasce la prevaricazione. Una ricerca nella scuola

dell’obbligo, Roma, Donzelli Editore, 2003.

BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia»

(2007) 4, pp. 275-290.

22

CIVITA A., Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile,

Milano, Franco Angeli, 2008.

OLWEUS D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti,

1996.

Indice

1. In generale, che cosa si dice sul bullismo 1

2. Uno sguardo al bullismo: la costruzione sociale e scientifica 3

23

2.1. La concezione dell’infanzia e dell’adolescenza 5

2.2. Dal bullismo alla prevaricazione 6

2.3. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi 7

2.4. La forma della prevaricazione 10

3. La metodologia della ricerca 12

3.1. Come la scuola osserva le prevaricazioni 13

3.2. Le forme della comunicazione: dall’infanzia all’adolescenza 16

4. Rilievi conclusivi e possibili strategie d’intervento 17

Bibliografia 22

Indice 23