La Crisi realtà della vita

download La Crisi realtà della vita

of 7

Transcript of La Crisi realtà della vita

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    1/7

    1

    LA CRISI, REALTÀ DELLA VITA

    Giovanni Cucci S.I.

    Cosa significa «crisi»?

    La crisi è qualcosa con cui ogni essere umano è chiamato a fare i conti nel corso della suaesistenza. Ma che cosa significa propriamente? Quando la si analizza, essa rivela uno spettro disignificati e di ambiti estremamente complesso. In questa sede, il termine «crisi» viene affrontatosecondo tre significati principali: 1) come età di mezzo, in cui vengono meno alcuni sostegni della

     vita finora vissuta e si fanno sempre più sentire i propri limiti; 2) come aridità nella vita spirituale;3) come confronto con la morte, una realtà anch'essa sempre più presente e invasiva con iltrascorrere del tempo.

    Il percorso di ogni uomo entra prima o poi «nel mezzo del cammin di nostra vita», inteso comesituazione di «mediocrità», in cui si perde l'entusiasmo iniziale e alcune realtà a noi care vanno in

    crisi; e così, dopo anni di formazione e di scelte definitive compiute, ci si trova con sorpresa stanchi esfiduciati.

     Anche le epoche storiche conoscono crisi e decadenze; ci sono Ordini religiosi che presentano vuoti generazionali, mancando quasi tutti coloro che avevano dai 25 ai 40 anni al tempo dellacontestazione giovanile (il famoso '68).

    Questo periodo di difficoltà, di smarrimento, sembra comunque costituire la modalità stessa delcammino della vita spirituale. Indipendentemente dalla scelta intrapresa, sembra un dato di fattoche, giunti a un certo punto, inaspettatamente ci si senta persi, non si capisca più nulla, si abbiacome la sensazione di trovarsi smarriti, senza più forze, energie, motivazioni. E in questo marasma,o forse proprio per questo, il Signore sembra assente, come se fosse partito per le vacanze, e legiornate, le attività, la preghiera, tutta la vita finora vissuta diventano inaspettatamente vuote, spente,

    senza senso; qualche volta si inserisce l'abbandono della vocazione, il divorzio spirituale, con o senzaquello civile. È il momento in cui si può perfino abbandonare la scelta fatta, un gesto che in talunicasi sembra essere un vero «fulmine a ciel sereno» per confratelli o familiari, che mai si sarebberoaspettati una tale svolta.

    Questa tappa di crisi coinvolge uomini e donne di tutte le appartenenze, religiosi, religiose, sposati/e,celibi, e ha ripercussioni nell'ambito professionale, apostolico, relazionale, incrinando scelte di vitaintraprese da anni e che si credevano ormai sicure e al riparo da pericoli. La crisi può essererappresentata come la venuta del Figlio dell'uomo, che giunge nel momento in cui meno lo siaspetta, forse proprio quando si grida ai quattro venti: «C'è pace e sicurezza!» (1 Ts 5,3).

     Alcune «battute d'arresto», in particolare nel contesto della vita sacerdotale e religiosa, coincidono

    con l'esplosione di un'affettività finora negata o repressa, che reclama giustamente la sua parte; è comese la persona si trovasse di fronte a un crocevia: o rinnovare radicalmente la maniera di vivere ilproprio ministero, lasciando emergere nuove energie e tensioni, con lo smarrimento che questo puòcomportare soprattutto a livello di immagine di sé e di ideale vocazionale, oppure abbandonare ilministero.

     Tali problematiche erano state riconosciute con chiarezza da Papa Paolo VI nell'enciclicaSacerdotalis caelibatus: «Le difficoltà e i problemi che rendono ad alcuni penosa, o addiritturaimpossibile, l'osservanza del celibato derivano non di rado da una formazione sacerdotale che,per i profondi mutamenti di questi ultimi tempi, non è più del tutto adeguata a formare unapersonalità degna di un uomo di Dio (1 Tm 6,11) Una vita così totalmente e deli-catamente impegnata nell'intimo e all'esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude, infatti,

    soggetti di insufficiente equilibrio psicofisico e morale, né si deve pretendere che la graziasupplisca in ciò la natura». 

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    2/7

    2

    Queste parole venivano scritte nei mesi che precedevano immediatamente l'epoca dellacontestazione a livello ecclesiale, politico, culturale, spirituale. Eppure sarebbe banalerestringere questa diagnosi alla pura fascia temporale dell'epoca in cui tali parole vennero scritte.Non è infatti soltanto a motivo del '68 che si è costretti a interrogarsi su questa crisi di ruolo edi identità: le testimonianze a questo proposito sembrano invece estremamente variegate e

    comprendono le più austere forme di vita religiosa.Ben prima della contestazione ecclesiale e societaria che ha caratterizzato il post-concilio,

    ecco quanto scriveva nel 1957 ai suoi confratelli il successore di Charles de Foucauld, René Voillaume. In una lettera ai «Piccoli Fratelli», egli introduce il termine di «seconda chiamata» percaratterizzare questa fase della vita: «Con il tempo e con la grazia di Dio, a poco a poco,insensibilmente, tutto cambia. L'entusiasmo umano lascia il posto a una specie di insensibilitàper le realtà soprannaturali, il Signore ci sembra via via più lontano e in certi giorni una certastanchezza ci prende e siamo più facilmente tentati ad accettare di pregare meno o di farlo inmodo meccanico. La castità ci presenta delle difficoltà che non avevamo considerate: alcunetentazioni sono nuove; sentiamo in noi come una pesantezza e cerchiamo più facilmentedelle soddisfazioni sensibili L'apertura ci sembra meno necessaria, la carità piùdifficile In una parola, entriamo progressivamente in una fase nuova della nostra vita, scoprendo, anostre spese, che le esigenze della vita religiosa sono impossibili».Una crisi riconosciuta dunque da più parti, e a cui ciascuno cerca di reagire come può,

    tentando di mettere in salvo ciò che ha di più caro: qualcuno ci riesce, qualcun altro no. Chequesta età problematica attraversi anche la relazione con Dio era ben riconosciuto dai grandimistici. Scriveva per esempio Taulero, un domenicano vissuto nel XIV secolo: «Qualunquecosa faccia l'uomo, la prenda come vuole, non arriverà mai alla vera pace, né diventerà maiun uomo essenziale, celeste, prima di essere giunto ai suoi quarant'anni. Prima di queltermine molte cose tormentano l'uomo, la natura lo spinge ora di qua ora di là, ed è in moltimodi che la natura spesso regna là dove si crede che vi sia solamente Dio; e così l'uomo non

    potrà giungere alla vera e perfetta pace né diventare completamente celeste prima del tempo. Poil'uomo dovrà aspettare ancora dieci anni prima che gli sia dato in verità lo Spirito Santo, ilConsolatore, lo Spirito che insegna tutte le cose».

    Nella vita dell'uomo di ogni tempo si giunge dunque a una soglia critica cui nessuno puòsottrarsi, mettendo radicalmente in discussione e forse anche distruggendo tutto ciò che finorasi era realizzato nei diversi ambiti della propria esistenza.

     Aspetti psicologici

    Dal punto di vista psicologico, la crisi dell'età di mezzo rivendica un ritorno verso di sé,una presa di coscienza delle proprie fragilità di fondo, talvolta negate, o rimosse, o trasferite

    su altre cose, come il successo, l'attività, la professione, le scelte apostoliche, intellettuali, affettive.Questo momento di arresto è di per sé positivo, è un invito a fare verità e a recuperareelementi finora disattesi della storia e del proprio essere; non per nulla la personalità di tipograndioso, indicata in psicologia con il termine «narcisista», ha più possibilità di trarrebeneficio da un lavoro di accompagnamento e conoscenza di sé dopo i 40 anni di età, quandol'imponenza solenne dei propri idoli, come nella visione di Daniele (cfr Dn 2,31-45),comincia a sgretolarsi e a segnare il passo: «Nella crisi della mezza età non si tratta solamentedi un nuovo adattamento della persona alle mutate condizioni fisiche e psichiche; non si trattaneppure di trovare una soluzione al venir meno delle forze corporali e di mettere ordine anuovi desideri e nostalgie che spesso irrompono in questa svolta della vita. Si tratta piuttosto

    di una più profonda crisi esistenziale, in cui viene posta la domanda sul senso globale delproprio essere: "Perché lavoro tanto? Perché rischio l'esaurimento senza trovare tempo per me?"[...]. La mezza età è per sua natura una crisi di senso e quindi anche una crisi religiosa. E nello

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    3/7

    3

    stesso tempo racchiude in sé la possibilità di trovare un nuovo significato per la propria vita».E come se ci si dovesse per la prima volta confrontare seriamente con la morte, si ha lasensazione di essere giunti a un punto di non ritorno a livello fisico, biologico, psichico: leforze vengono meno, l'aspetto fisico cambia inesorabilmente, si incrementano le cure, una  non è più possibile avere figli, si impongono rinunce, e ci si chiede seriamente che

    cosa rimanga alla fine di tutto ciò. Taulero, con la caratteristica profondità propria del mistico, rileva tre tentativi «facili» per farfronte alla crisi.1) Si cerca di cambiare il mondo introducendo riforme radicali di vario genere, anche

    maggiormente austere e aderenti alla lettera dello stato di vita scelto, ma esse costituiscono inrealtà una maniera per evitare il confronto e per non dover lavorare su se stessi.

    2) Si fanno continui cambiamenti esteriori, fino ad abbandonare una scelta di vitaintrapresa da molti anni, il matrimonio o la consacrazione; si cerca, di fronte al vuotoesistenziale e alla crisi di identità, di «rifarsi una vita».In realtà, questi tentativi non toccano il motivo di tale irrequietezza e lasciano irrisolte leproblematiche di fondo. Le ricerche svolte in merito ai matrimoni di ex-sacerdoti ereligiosi/e indicano che la fragilità e il disagio interiore si perpetuano anche nella nuovasituazione: la percentuale delle separazioni in questi casi è quasi doppia rispetto alla media. Sele difficoltà emerse sono di tipo strutturale, non sarà sufficiente cambiare contesto o persona,perché il matrimonio non può essere concepito, o sognato, come una specie di «farmaco»capace di colmare vuoti affettivi o risolvere crisi di identità o/e di ministero.

    Questa situazione di disagio non risolta è ben illustrata da un detto dei padri deldeserto, là dove un monaco, non sopportando più di vivere nella propria cella, decide diandarsene e, mentre raduna le sue cose, vede un'ombra accanto a sé che sta facendo lo stesso.Incuriosito, chiede chi sia: «Io sono la tua ombra e, se tu te ne vai, mi preparo a partireanch'io». Non si può fuggire dalla propria ombra, come osserva sempre Taulero: «Quando

    sono inquieti dentro, si mettono subito in viaggio per un altro paese, per un'altra città; se nonpossono muoversi, cominciano almeno una nuova forma di vita, certo di nuovo soloesteriormente. Ora vuol diventare un povero mendicante, ora vivere in un eremo, poiancora in un monastero Questa situazione di disagio ha spinto alcuni verso Aquisgrana,altri a Roma, fra i poveri o in qualche romitorio. E quanto più corrono fuori, tanto menotrovano. E parecchi cadono nuovamente nelle immagini della loro mente e giocano conesse, perché non vogliono sopportare questo genere di angustia e così finisconototalmente a terra».

    3) Non meno stressante è l'atteggiamento di fondo di chi continua a svolgere il ruoloimpegnativo a «denti stretti». In questo caso si preferisce rimanere nella legalità, irrigidendo lepratiche religiose, che vengono osservate per lo più esternamente, illudendosi che così la crisi

    non potrà sfiorare e sconvolgere la persona; alla fine, però, di nuovo ci si trova vuotiinteriormente. Per andare avanti, diventa sempre più urgente buttarsi a capofitto per risolvere tutti iproblemi possibili, svolgendo sempre più attività con le motivazioni prevalenti di evitarerimproveri o fallimenti e di essere ben accolti, conseguendo il maggior numero di successi. Nasceda qui una visione di competizione, di corsa a chi è più bravo, provando invidia per chi riesce adaffrontare più felicemente le cose. Emergono così dinamiche tendenti al successo, alla rivalità, alconfronto. Alla fine l'acidità e l'insoddisfazione rischiano di diventare l'umore di fondo della vitaintera.

    La caratteristica di questa visione è di aver smarrito il senso della gratuità della chiamata: ilSignore ha cessato di essere il padrone della vigna, è diventato un collaboratore, è al massimo

    il «vicepresidente». Per questo è bene che la crisi esploda e mandi in frantumi il proprioorgoglio possessivo.Il cardinale Danneels, per molti anni arcivescovo di Bruxelles, durante uno scambio con

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    4/7

    4

    alcuni responsabili delle comunità dell'Arca, diceva: «Quando torno a casa dopo una lunga giornatadi lavoro, vado in cappella e prego. Dico al Signore: "Ecco, per oggi è finita. Adesso,siamo seri, questa diocesi è tua o mia?". Il Signore dice: "Tu cosa ne pensi?". E io rispondo:"Penso che sia tua". "È vero —  dice il Signore  — , è mia". E allora dico: "Allora; Signore, tocca a teprendere la responsabilità della diocesi e dirigerla. Adesso io vado a dormire"». Poi aggiungeva:

    «Questo principio è valido tanto per i genitori quanto per il responsabile di una diocesi o diuna comunità. Dobbiamo sempre ricordarci delle parole di Gesù a Pietro: "Pasci il miogregge"». Sì, la comunità è essenzialmente il gregge di Gesù. Noi non siamo che i suoistrumenti.

    In una visione volontaristica, invece, la vita è soprattutto opera dei nostri sforzi; lefragilità non possono trovare spazio; ma in questo modo non si notano più nemmeno lericchezze e i differenti doni che costituiscono l'unicità preziosa di ciascuno.

     Anche le relazioni presentano una forte connotazione utilitaristica: si scelgono collaboratoribravi, capaci, ma insieme docili, che approvino sempre ciò che si fa. Si possono trovarefacilmente esempi di questo modo di procedere: quante persone sono capaci di dare ilmeglio di sé al di fuori del proprio ambiente, quando hanno un incarico di responsabilità e sisentono importanti in mezzo agli altri. Quando però ritornano nelle proprie case, in famiglia, nellapropria comunità religiosa, rivelano il lato peggiore di sé (pigrizia, lamentele, svogliatezza),perché non hanno nessun ruolo importante da difendere. Svolgono indubbiamente un lavoroduro e faticoso, ma soprattutto per gratificare i propri bisogni, anche se dichiarano di voler uni-camente servire il Signore. Questa spaccatura interiore ed esteriore trova una dolorosa confermaquando giunge il momento fatidico in cui sarebbe più opportuno farsi da parte e lasciare l'incaricoad altri, oppure più semplicemente riconoscere di che cosa l'altro ha davvero bisogno. E,soprattutto, si è incapaci di ascolto. Quando esplode la crisi, tutte queste scappatoie sisgretolano e richiedono una svolta, un salto di qualità circa le proprie motivazioni, oppurel'abbandono, il «tirare i remi in barca», di cui si parlava sopra, perché la situazione è

    diventata insostenibile; in ogni caso non si può più continuare come prima.

    Una crisi che trasfigura: alcune figure significative

    Sembra che l'età dei 40 anni costituisca simbolicamente uno spartiacque fondamentale edoloroso, che non risparmia nessuno, anche nel rapporto con Dio: eremiti, mistici, uomini digrande spiritualità, fondatori di comunità, tutti sono chiamati a fare i conti con l'esperienza deldeserto, inteso come aridità totale, germe di morte che invade il proprio essere. Come osserva inproposito Carlo Carretto: «Preghiera, rapporti umani, attività, apostolato: tutto è inquinato. Èl'ora della resa dei conti; e questi sono molto magri Normalmente ciò capita suiquarant'anni: grande data liturgica della vita, data biblica, data del demonio meridiano, data

    della seconda giovinezza, data seria dell'uomo È la data in cui Dio ha deciso di mettere conle spalle al muro l'uomo che gli è sfuggito fino ad ora dietro la cortina fumogena del "mezzo sì emezzo no" [...]. L'uomo scopre ciò che è: una povera cosa, un essere fragile, debole, un insiemed'orgoglio e di meschinità, un incostante, un pigro, un illogico»9. E la Bibbia che cosa dice dellacrisi? Molti personaggi sono accuratamente descritti proprio nei loro momenti di massimadifficoltà, sofferenza, quando appaiono gravati da problemi più grandi di loro. Queste prove non

     vengono lette come occasionali incidenti di percorso, ma come un momento di purificazionenecessaria e un invito a rinunciare ai criteri finora usati per fare un'esperienza intima di Dio,lasciandosi educare da Lui e adempiere in questo modo anche alla missione ricevuta. LaScrittura ricorda che occorre sempre un lungo e tortuoso cammino. Qualcuno ha osservato

    che la vita spirituale ha una configurazione simile a quella del fiume Giordano, che impiega quasi300 km per percorrerne 100, un percorso costellato da ampie digressioni a destra e a sinistra:talvolta esso scompare dalla vista, poi riappare da sottoterra per giungere finalmente alla meta.

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    5/7

    5

    Questa immagine può trovare conferma nella vita spirituale di molti personaggi: possiamo aquesto proposito ricordare l'esempio di Giuseppe, Mosè, Paolo e Ignazio di Loyola.

    I sogni di Giuseppe

     Tutta la vita di Giuseppe può essere riassunta come una lenta comprensione epurificazione dei suoi sogni (cfr Gen   37,5-11): egli deve passare da una fase di ingenuaillusione di credersi il centro del mondo, dove tutto è bello, attraente e a portata di mano, alcrogiuolo della prova che saggerà la verità dei suoi sogni, ma anche li maturerà e ne renderàpossibile la realizzazione.

    La prova coglie Giuseppe impreparato: è come se il velo della sua fiducia spontanea eingenua cadesse di colpo dai suoi occhi e gli rivelasse un mondo inedito, a cominciare dallasua famiglia, un mondo fatto di cattiverie, meschinità, gelosie, invidie, violenze (cfr Gen 37,12-36). Giuseppe scopre a sue spese che la fedeltà e la lealtà sembrano non avere alcuna importanza,come nell'episodio di Potifar (cfr Gen 39), e che l'aiuto offerto a un compagno di sventura

     viene subito dimenticato. E così egli si trova ingiustamente incarcerato e dimenticato da tutti(cfr Gen 40).

    Giuseppe compie un faticoso cammino di maturazione, un percorso lungo e doloroso di 15anni per capire la verità dei suoi sogni, e dunque anche la verità di se stesso, se è vero che ilsogno esprime in modo cifrato la profondità e il mistero della persona.

     Mosè guida del popolo

    Mosè inizia la sua grande crisi proprio a 40 anni (cfr At 7,23): vede attorno a sé ingiustiziae malvagità, e si illude di intervenire facilmente in questa situazione; vorrebbe assumere laguida del suo popolo e liberarlo dal paese d'Egitto. Con le sue credenziali di uomo nobile,

    istruito e capace, spera di essere immediatamente acclamato dai suoi come capo indiscusso eliberatore di Israele. E invece, suo malgrado, fallisce miseramente su tutti i fronti e develasciare ogni cosa, fuggire, vivere nell'ombra, dimenticato da tutti per altri 40 anni. Il primoMosè presenta le caratteristiche dell'idealizzazione e dell'entusiasmo tipichedell'adolescente (anche a 40 anni si può essere adolescenti!). I suoi desideri sono belli, ec-celsi; egli è generoso e disposto a buttarsi con facilità nell'impresa, ma vorrebbe realizzaretutto questo senza sforzo, senza cioè fare i conti con i limiti, suoi e del suo popolo, con ledifficoltà, con la mediocrità e con i fallimenti.

    Mosè ha avuto una preparazione raffinata, ma non ha imparato a leggere nei cuori e adominare se stesso. Ci vorranno 40 anni di scuola, fatta di silenzio, di prove, di umiliazioni, disofferenze, per giungere alla maturità spirituale, proprio quando ha dimenticato tutto il suomondo giovanile. Anche per lui i sogni si avverano, ma nella maniera più impensata,attraverso la fragilità, l'impotenza della parola, la pazienza e la rinuncia a se stesso.

    L'ardore di Paolo

    Paolo, negli Atti degli Apostoli, rappresenta la figura del chiamato che con entusiasmo sibutta nella nuova missione. Comincia a predicare con ardore che Gesù è il Signore, ma benpresto si presenta anche per lui il momento della crisi: la comunità lo rispedisce cortesemente acasa sua, a Tarso (cfr At 9,31), dove resterà per dieci anni. In questa quotidianità ordinariaPaolo farà il suo «noviziato», una cosa del tutto inattesa per lui, profondamente istruito nelle

    Scritture, formato alla scuola di Gamaliele (cfr At 22,3). Egli forse sarebbe rimasto per sempre a Tarso, se Barnaba a un certo punto non fosse andato a riprenderlo.

     Anche per Paolo la crisi è lunga e articolata: un periodo di 14 anni, come ricorda egli

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    6/7

    6

    stesso (cfr Gal 2,1); e alla fine potrà rileggere il suo incontro misterioso con il Signore dal fondodella prigione, come Giuseppe. Le sue «lettere della prigionia» rivelano infatti un Paolo moltodiverso dallo zelo infiammato e granitico delle origini del suo ministero: è diventato piùfragile, ma anche più paziente, più tenero e disposto a riconciliarsi con discepoli con cui avevaprecedentemente rotto i rapporti, come ad esempio Marco (cfr At 15,37-40 e 2 Tm 4,11). Le

    prove, le sofferenze lo hanno indebolito, ma anche addolcito.

    Ignazio e il suo cammino di purificazione

    Ignazio di Loyola impiega quindici anni, dal 1521 al1536-37, per capire esattamente ciò che ilSignore vuole da lui, e alla fine si arrende agli «imprevisti di Dio», riconoscendo a malincuore cheGerusalemme, pur desiderata ardentemente, non è la meta della chiamata del Signore.

    Dopo aver cambiato vita, pensa che sia abbastanza facile e semplice diventare santo, e subito siimpegna con tutte le forze per diventarlo; non ha paura di sofferenze, digiuni, mortificazioni.Eppure presto dovrà accorgersi che i nemici da affrontare sono di altro genere: essi lo spiazzano e

    lo logorano fin quasi a spezzarlo.Soltanto dopo tali prove egli saprà che il servizio di Dio era cosa molto diversa da come loimmaginava. Riflettendo sulla sua nuova vita da convertito, Ignazio sembra notare con uncerto stupore che, finché viveva da peccatore, la sua vita era tranquilla e stabilmente serena (cfr

     Autobiografia, n. 20); da quando invece ha deciso di riformare il proprio modo di vivere e servire ilSignore, sono cominciati guai e problemi di ogni genere. Egli sperimenta un periodo di grandecrisi, che lo porta sull'orlo della disperazione e del suicidio.

     Alla fine riconosce che è Dio a liberarlo da queste prove, per Sua pura grazia, senza alcunmerito suo, né delle persone a cui aveva chiesto aiuto: «Piacque al Signore che egli si svegliassecome da un sogno. A partire da quel giorno egli rimase libero da quegli scrupoli, convinto cheera stato nostro Signore a liberarlo per sua misericordia».

    Le prove vissute da Giuseppe, Mosè, Paolo, Ignazio e da altri personaggi sembrano confermare dinuovo che questo periodo della vita costituisce, dal punto di vista spirituale, una scuola di conoscenzadel Signore, un momento di purificazione prezioso, a cui ci si deve preparare consapevolmente: ilcammino di liberazione, come per l'ingresso nella Terra promessa, passa per il deserto.

     La crisi come possibilità di cambiamento

    «Crisi» è una parola che viene dal greco (krinein) e significa letteralmente «separazione,giudizio, valutazione» su ciò che si è e sul fondamento della vita. Questo giudizio viene arendere palese ciò che era nascosto, toglie eventuali coperture, «maschere», e mostra ciò che

    era sottostante. In questo senso si può dire che dopotutto si invecchia nel modo in cui si è vissuti; per questo a partire dai 40 anni si accentuano alcuni elementi della personalità cheprima erano più nascosti, tenuti a bada da altre cose". La crisi mostra la verità di se stessi:«Molti studiosi dell'invecchiamento concordano che la parte principale della nostrapersonalità tende a restare piuttosto costante nella vita, concludendo che, da vecchi, siamo lestesse persone di sempre, solo che lo siamo un po' di più [...]: la persona gretta diventerà ancorapiù gretta, il timoroso diventerà ancora più timoroso, e l'apatico potrebbe scivolare in una sortadi paralisi.

    Ma, sebbene il nostro presente venga modellato dal nostro passato, cambiamenti dipersonalità sono possibili persino a settanta, ottanta e novant'anni Lo svilupponormale non ha fine, e nel cor so della vita nuovi compiti importanti, o crisi, nasceranno.

    Nella vecchiaia possiamo cambiare, perché ogni stadio della vita, anche l'ultimo, permettenuove possibilità di cambiamento».

    Se è vero che si invecchia come si è vissuti, il trascorrere del tempo avrebbe il compito di

  • 8/16/2019 La Crisi realtà della vita

    7/7

    7

    saggiare e demolire le varie «coperte di Linus» con cui ci siamo dati un'illusione di grandezza.È un insegnamento sconcertante, ma che spesso si rivela come il cuore del problema e delle

    diversità degli esiti possibili, come nota C. Monnier: «Non sprecate le crisi! Ben gestite, essesono dei doni del cielo. La crisi è disordine, movimento, fluidità, rottura, e proprio perquesto può sciogliere ciò che era legato, liberare ciò che era imprigionato. Quando insorge una

    crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiuderele falle che si sono aperte, per riparare ciò che non può essere riparato, per riformare lasuperficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che

     vorrebbero salvare. E una volta che la crisi è passata, ecco che le persone, che nel momentodell'anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettanopiù alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogniprivilegio. Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzionealla crisi, non sprecatela. Essa è il vostro tesoro, è la vostra possibilità, è l'avvenire del mondo»".

    Un avvertimento simile giunge da Christiane Singer, la quale, in un libro provocatorio eautobiografico, parla «del buon uso della crisi», in termini di un segnale da leggere per poterpassare a una nuova fase della vita: «Nel corso della vita ho raggiunto la certezza che lecatastrofi servono a evitarci il peggio. E il peggio, come potrei spiegare che cos'è il peggio? Ilpeggio è proprio aver trascorso la vita senza naufragi, essere rimasti alla superficie delle cosedei "si dice", delle apparenze, non essere mai stato scaraventato in un'altra dimensione. Le crisi,nella società in cui viviamo, sono davvero ciò che ancora si è trovato di meglio, in mancanza diun maestro, quando non ce n'è a portata di mano, per entrare nell'altra dimensione».

    Sia Monnier sia la Singer suggeriscono che sono proprio le resistenze al cambiamento  —  richiesto a vari livelli dalla nostra vita —   a costituire il cuore del problema, la causa principaledella sofferenza e della sensazione di totale inutilità. La crisi può quindi diventare unaricchezza inattesa nel momento in cui ci si «arrende» ad accoglierla, accettando di lasciarel'aspetto efficiente, ma forse anche più superficiale della vita, per entrare in «un'altra

    dimensione», per riprendere le parole di Ch. Singer, in cui emerge ciò che davvero conta.