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H piano quinquennale sovietico nel dibattito corporativo italiano. 1928-1936 di Roberto Romani “Il piano? Ohibò! Il piano è, per definizione, quinquennale, staliniano, sovietico, bolsce- vico, russo; quindi, manco a parlarne. E pas- sa oltre, quella certa gente. Noi ci fermiamo; e seguitiamo a battere un chiodo, sul quale, ne siamo profondamente convinti, dovrà, un giorno, imperniarsi la soluzione di molti pro- blemi”1. Bottai non ha torto: ‘piano’, in Italia, al- meno fino a De Man, Roosevelt e Schacht, significò piano quinquennale sovietico, cioè una direzione dall’alto del sistema economi- co in tutte le sue funzioni secondo un pro- gramma di obiettivi produttivi da raggiunge- re in un tempo determinato. Da qui deriva- vano le diffidenze di coloro che, come diceva Bottai, “procedono per assonanze”, verso questa parola: che compariva sì nel testo del- la legge sulle corporazioni approvata dal Gran Consiglio, ma scompariva dal testo de- finitivo2, e che riceveva piena legittimità fa- scista solo dopo la teorizzazione mussolinia- na del 1936 di un ‘piano regolatore’ autarchi- co dell’economia italiana. All’economia cor- porativa sembrava addirsi di più il termine “disciplina della produzione”, grazie al qua- le, scriveva il sindacalista Luigi Fontanelli, “poteva sembrare più facile agli orecchianti restare nel generico”3.Che l’economia corpo- rativa fascista si delineasse, nei fatti e nelle teorie, diversissima da quella sovietica, non è dubbio; ma è altrettanto indiscutibile che del dibattito corporativo — tralasciando qui ogni parallelo non economico operato fra i due regimi (giocato sul governo forte, l’anti- liberalismo, la fede universalistica e palinge- netica, ad esempio) — l’esperienza concreta e la ‘figura’ teorica della pianificazione bol- scevica costituirono un importante termine di riferimento. E non sempre in negativo: dopo il 1932, quando gli entusiasmi per la ‘terza via’ già si smorzavano, l’abbozzata teorizzazione di una pianificazione corpora- tiva attinse largamente a quell’esempio. L’interesse per l’esperimento sovietico cul- minò nel 1935, con la pubblicazione, a cura di G. Dobbert, della silloge L ’economia so- vietica. Successivamente, i temi dell’autar- chia e le esigenze politiche della guerra re- strinsero di molto, nella pubblicistica fasci- sta, lo spazio consentito al respiro interna- zionale di un sempre più asfittico dibattito corporativo; i clamori attorno al piano russo e al New Deal si sopirono e lasciarono il cam- po alle suggestioni della programmazione hi- tleriana. 1 Francesco Maria Pacces, Giuseppe Bottai, Verso un piano economico-corporativo, in “Critica Fascista” (d’ora in poi “CF”), 15 marzo 1933, p. 104. 2 Camillo Pellizzi, Una rivoluzione mancata, Milano, Longanesi, 1949, p. 97, riporta quanto afferma Luigi Fonta- nelli, Logica della corporazione e relative polemiche, Roma, ESI, 19417. 3 L. Fontanelli, Logica della corporazione, cit., in C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, cit., p. 97. Italia contemporanea”, giugno 1984, n. 155

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H piano quinquennale sovietico nel dibattito corporativo italiano. 1928-1936

di Roberto Romani

“Il piano? Ohibò! Il piano è, per definizione, quinquennale, staliniano, sovietico, bolsce­vico, russo; quindi, manco a parlarne. E pas­sa oltre, quella certa gente. Noi ci fermiamo; e seguitiamo a battere un chiodo, sul quale, ne siamo profondamente convinti, dovrà, un giorno, imperniarsi la soluzione di molti pro­blemi”1.

Bottai non ha torto: ‘piano’, in Italia, al­meno fino a De Man, Roosevelt e Schacht, significò piano quinquennale sovietico, cioè una direzione dall’alto del sistema economi­co in tutte le sue funzioni secondo un pro­gramma di obiettivi produttivi da raggiunge­re in un tempo determinato. Da qui deriva­vano le diffidenze di coloro che, come diceva Bottai, “procedono per assonanze”, verso questa parola: che compariva sì nel testo del­la legge sulle corporazioni approvata dal Gran Consiglio, ma scompariva dal testo de­finitivo2, e che riceveva piena legittimità fa­scista solo dopo la teorizzazione mussolinia- na del 1936 di un ‘piano regolatore’ autarchi­co dell’economia italiana. All’economia cor­porativa sembrava addirsi di più il termine “disciplina della produzione” , grazie al qua­le, scriveva il sindacalista Luigi Fontanelli, “poteva sembrare più facile agli orecchianti

restare nel generico”3.Che l’economia corpo­rativa fascista si delineasse, nei fatti e nelle teorie, diversissima da quella sovietica, non è dubbio; ma è altrettanto indiscutibile che del dibattito corporativo — tralasciando qui ogni parallelo non economico operato fra i due regimi (giocato sul governo forte, l’anti­liberalismo, la fede universalistica e palinge- netica, ad esempio) — l’esperienza concreta e la ‘figura’ teorica della pianificazione bol­scevica costituirono un importante termine di riferimento. E non sempre in negativo: dopo il 1932, quando gli entusiasmi per la ‘terza via’ già si smorzavano, l’abbozzata teorizzazione di una pianificazione corpora­tiva attinse largamente a quell’esempio.

L’interesse per l’esperimento sovietico cul­minò nel 1935, con la pubblicazione, a cura di G. Dobbert, della silloge L ’economia so­vietica. Successivamente, i temi dell’autar­chia e le esigenze politiche della guerra re­strinsero di molto, nella pubblicistica fasci­sta, lo spazio consentito al respiro interna­zionale di un sempre più asfittico dibattito corporativo; i clamori attorno al piano russo e al New Deal si sopirono e lasciarono il cam­po alle suggestioni della programmazione hi­tleriana.

1 Francesco Maria Pacces, Giuseppe Bottai, Verso un piano economico-corporativo, in “Critica Fascista” (d’ora in poi “CF”), 15 marzo 1933, p. 104.2 Camillo Pellizzi, Una rivoluzione mancata, Milano, Longanesi, 1949, p. 97, riporta quanto afferma Luigi Fonta­nelli, Logica della corporazione e relative polemiche, Roma, ESI, 19417.3 L. Fontanelli, Logica della corporazione, cit., in C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, cit., p. 97.

Italia contemporanea”, giugno 1984, n. 155

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1. “Economia, rivista di economia corporati­va e di scienze sociali” diretta da Fresco, Li­vi, Casalini e Arias, dedica l’intero numero di settembre 1931 all’economia sovietica, co­ronando così un’opera quasi decennale di in­formazione e discussione, e nello stesso tem­po rivitalizzando un dibattito che, se pur av­viatosi da tempo, troppo spesso, come vedre­mo, restava sul binario di uno schematico confronto tra fascismo e corporativismo da una parte, e bolscevismo e pianificazione dall’altra, più sorretto da origini ideologiche e da motivi di fede politica che dalle ragioni di una analisi circostanziata. Il volume — ol­tre a una vasta bibliografia, a informazioni e a dati statistici — offre contributi di studiosi italiani e stranieri, fra i quali spiccano l’otti­ma corrispondenza da Mosca di Ettore Lo Gatto, imperniata sulla centralità del rappor­to fra agricoltura e industria nella realizza­zione del piano, ed il saggio di Gerhard Dob- bert sul sistema finanziario4.

Se Maurizio Vaudagna, nel suo saggio New Deal e corporativismo, nelle riviste politiche ed economiche italiane, denuncia la scarsissima quantità e la dubbia qualità delle informazioni e delle cifre che sorreg­gevano l’interpretazione corporativa dell’e- sperimento rooseveltiano5, va detto prelimi­narmente che la pianificazione sovietica, al

contrario, trovò fra i corporativisti numero­si osservatori ben informati e scrupolosi. Certo, va considerato che, rispetto al New Deal, la documentazione da esaminare era molto minore, e proveniente tutta dall’uni­ca fonte statale; resta comunque il fatto che i corporativisti non solo discussero e interpretarono una realtà economica che ben conoscevano, per quanto consentito dalle pubblicazioni ufficiali e dalla più ag­giornata letteratura straniera; ma che addi­rittura si dovette esclusivamente a loro la diffusione in Italia delle notizie e il nascere di un dibattito sull’economia sovietica de­gli anni trenta. Lo spoglio delle riviste di intonazione liberista (o meglio, liberista- corporativa come d’obbligo all’epoca, ma con la prevalenza del primo termine sul se­condo), quali il “Giornale degli economi­sti” o “La Riforma sociale” , rivela facil­mente un sostanziale disinteresse per la concreta attuazione del piano in Unione Sovietica: con ogni probabilità veniva con­siderato un atto di imposizione politica che nulla aveva a che vedere con la scienza economica6.

Oltre a “Economia” , la confindustrial- corporativa “Rivista di Politica Econo­mica”7, “Commercio” diretta da Filip­po Carli8, “Politica” di Coppola e Roc-

4 Ettore Lo Gatto, Il piano quinquennale e le nuove direttive di Stalin, pp. 257-281; Gerhard Dobbert, Il sistema f i ­nanziario bolscevico, pp. 283-297.5 II saggio sta in Aa. Vv., Italia e America dalla grande guerra ad oggi, a cura di Giorgio Spini, Giangiacomo Migo- ne, Massimo Teodori, Venezia, Marsilio, 1976, pp. 101-140. L’annotazione che ci interessa è a p. 113.6 Mentre “Riforma sociale” di Einaudi non ospita alcun intervento, nel “Giornale degli economisti” , nella cattolica “Rivista internazionale di scienze sociali” e in “Rivista bancaria” troviamo poco di più. L’attenzione di molte fra le principali firme di quest’area era maggiormente attratta dalla querelle Von Mises-Lange sulla possibilità economica del collettivismo (se ne vedano gli esiti in Cesare Dami, Il pensiero degli economisti italiani contemporanei sul collet­tivismo, in “Società”, 1945, n. 1-2, pp. 216-273).7 D’ora in poi “RPE” . In essa si vedano: Jenny Griziotti Kretschmann, L'organizzazione del lavoro nel piano quin­quennale, 1931, pp. 662-665; l’ottimo Giuseppe Rosi, Aspetti dell’economia monetaria sovietica, 1932, pp. 44-57 e 290-298; Antonio Quintavalle, Capitalismo e socialismo nei discorsi di Stalin e Molotov, 1932, pp. 58-61; Andrea Zanchi, Note di economia sovietica, 1932, pp. 698-703.8 “Commercio” ospita numerosissimi articoli, generalmente brevi, su specifici aspetti dell’economia sovietica e, in particolare, su quelli attinenti le esportazioni italiane. Fra i collaboratori più assidui nella prima metà degli anni tren­ta, A. Quintavalle e A. Giannini. Ma vi troviamo trattate spesso anche questioni di vasto respiro, con gli articoli di Tomaso Napolitano (fra gli altri: Natura dei trusts sovietici, 1936, pp. 389-391; L ’U.R.S.S. e la crisi mondiale, 1935,

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co9 e le bottaiane “Critica fascista” e “Archi­vio di studi corporativi” ospitarono spesso contributi documentati e originali. In altre ri­viste del corporativismo, invece, non è certo difficile trovare personali e fantasiose riela­borazioni delle cifre della programmazione a sostegno di tesi sommarie e di previsioni av­ventate. Anche a proposito del piano quin­quennale, insomma, esistono numerosi esempi di quell’“involgarimento della di­scussione economica” avutosi con il fasci­smo così ben tratteggiato da Macchioro10. Senza andare agli estremi, come la rivista “Antieuropa” diretta da Asvero Gravelli, paladina di un anticomunismo ossessivo e volgare, “Lo Stato” , “Economia Fascista” , “Politica sociale” o la mussoliniana “Gerar­chia” pubblicarono molti articoli che svalu­tavano l’esperienza russa non a seguito dell’analisi, ma di una acritica assunzione della vulgata propagandistica corporativa, oltre che della più classica retorica sul comu­niSmo amorale e sanguinario. Ad ispirarli erano spesso le parole del Duce, da chiosare instancabilmente, secondo cui in Russia si sviluppava un “supercapitalismo di Stato”, invece di instaurarsi il socialismo, e un vec­chio lavoro di Alfredo Rocco, del 1914 ma

ripubblicato in “Politica sociale” nel 1930 con il titolo Dall’economia liberale e sociali­sta all’economia fascista della Carta del la­voro, modello per le interpretazioni del so­cialismo come variante del liberalismo (allo stesso modo individualistico, atomistico e in­ternazionalista), e del corporativismo come negatore e superatore di entrambi. Questa letteratura ebbe una progressiva escalation quantitativa e qualitativa (ne crebbe, cioè, ulteriormente la rozzezza e lo schematismo) nella seconda metà degli anni trenta: dopo la guerra di Spagna, non ci fu più spazio per un’analisi ponderata dell’esperienza econo­mica sovietica.

Le iniziative della bottaiana Scuola di scienze corporative di Pisa ebbero tutt’altro respiro. Si pensi alla pubblicazione di due ar­ticoli di Wassili Leontief nell’“Archivio di studi corporativi” , nei quali il futuro premio Nobel coglieva con chiarezza le dinamiche socioeconomiche sottostanti il finanziamen­to del piano, oltre a tentarne un primo bilancio11; o alla sorprendente pubblicazio­ne, presso Sansoni, della storia del bolscevi­smo scritta dal comunista tedesco A. Rosem- berg, come dei Rendiconti e dei Rapporti sul­lo stato dell’economia stilati da Stalin, Mo-

pp. 283-285), di Antonio Fiaccadori (Trasformazioni del comuniSmo russo, 1935, pp. 728-731) e di altri. Com’è no­to, dal 1924 esistevano fra l’Italia e l’Unione Sovietica trattati di commercio e navigazione, convenzioni doganali e accordi per la garanzia statale all’esportazione che agevolavano un interscambio quantitativamente rilevante. I buo­ni rapporti esistenti fra i due paesi vennero suggellati nel settembre 1933 con il Patto di amicizia, non aggressione e neutralità.9 I lavori di Pietro Sessa in “Politica” hanno un respiro teorico che manca totalmente alle ingiurie che il direttore Francesco Coppola riversa sullo stato sovietico (ad esempio in Fascismo e bolscevismo, Roma, Istituto nazionale di cultura fascista, 1938). Di Sessa sono particolarmente interessanti La terza fase del bolscevismo, 1930, pp. 43-88; Apparenza e realtà della Nep di Stalin, 1931, pp. 55-87 (dove si afferma che la reintroduzione da parte di Stalin di al­cuni principi meritocratici e gerarchici è una “crisi di sviluppo” e non un segnale di fallimento, pp. 78-79); ed altri ar­ticoli più marcatamente di analisi politica.10 Aurelio Macchioro, John Maynard Keynes e il keynesimo in Italia, in Idem, Studi di storia del pensiero economi­co, Milano, Feltrinelli, 1970, pp. 634-640.11 Wassili Leontief, L ’esecuzione del piano quinquennale, in “Archivio di studi corporativi” (d’ora in poi “ASC”),1934, pp. 177-222 (p. 190: “bisogna riconoscere che il piano rappresenta una prestazione meravigliosa del governo e del popolo dell’URSS”); Idem, Il bilancio unitario statale della U.R.S.S. pel 1935 (valuta e livello dei salari), ivi,1935, pp. 301-311. La rivista ospita anche alcuni interventi — di G. Dobbert e G. Perticone — sul sistema politico bolscevico.

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lotov, Kuibyscev e Grin’ko per il XVII Con­gresso12; o alla già citata raccolta curata da Dobbert o a quelle di sapore e sostanza inter­nazionalista sulla programmazione13. Non è difficile scoprire che alPorigine dell’interesse di Bottai per l’Unione Sovietica c’era la con­siderazione che, “in Russia come dappertut­to”, “si affacciano le stesse esigenze e dap­pertutto le diverse soluzioni tentate sono in­dotte a modificarsi in uno stesso senso dalla forza della realtà” : il “senso” è quello della programmazione dell’economia14.

All’“autoritarismo tutto sommato tradi­zionale” di un Rocco15, che di contro alla “collettività formale” della classe lavoratrice teorizzava le “collettività sostanziali, come la specie, la nazione, la famiglia”16, la scuo­la pisana (oltre a Bottai, Spirito, Volpicelli, Bruguier ne erano i maggiori esponenti) op­poneva un cosmopolitismo originato dalla coscienza della universale diffusione della “crisi dello Stato moderno”, sorta parallela- mente al processo di pubblicizzazione del si­stema produttivo: “ecco, dinanzi ai proble­mi dell’economia, i problemi della politica. Tutti gli stati moderni, dico tutti, sono messi alla prova”17. La crisi apertasi nel 1929 è la “crisi organica della struttura economica moderna” che rivela l’identità di fondo degli

sviluppi capitalistici nazionali, e reclama ovunque “trasformazioni organiche del regi­me produttivo” 18. In altre parole, a permet­tere ai pisani di guardare senza prevenzioni a esperienze quali il piano quinquennale o il New Deal, e, anzi, di rapportare ad esse l’esperienza corporativa, era la mancanza di quella retorica nazionalista e di quella misti­ca dei valori della stirpe che infarciva, inve­ce, moltissime altre prose corporative di eco­nomia e politica estera, impedendo anche a nazionalisti fautori di strutture industriali molto simili al sistema dei kombinat sovieti­ci, di trattarne evitando toni da crociata an­ticomunista.

2. Nell’ambito organizzativo della scuola pi­sana si colloca l’opera del tedesco Gerhard Dobbert, che dopo aver studiato l’economia sovietica dall’osservatorio berlinese del Stati- stiches Reichsamt, dal 1930 si interessa al progetto corporativo italiano, e, trasferitosi a Milano, diviene un tramite importantissi­mo per approfondire la conoscenza della pia­nificazione. Collabora all’ “Archivio di studi corporativi” , a “Economia” e a “La Vita ita­liana” , edita la traduzione della silloge da lui curata Die rote wirtschaft. Problème und tatsachen, Berlin, 193219 (Aa.Vv., L ’econo-

12 Arthur Rosemberg, Storia del bolscevismo da Marx ai nostri giorni, Firenze, Sansoni, 1933 (l’autore faceva parte del Comitato esecutivo della III Internazionale fino al 1927); Stalin, Molotov, Kuibyscev, Grin’nko, Bolscevismo e capitalismo, con una Avvertenza di Giuseppe Bottai, Firenze, Sansoni, 1934 (scriveva Bottai: “Il grado di maturità cui è giunto il corporativismo italiano non solo consente un’iniziativa di tal genere, ma è garanzia di una visione ve­ramente critica dell’esperienza altrui e perciò di un rafforzamento della propria”).13 Aa.Vv., L ’economia programmatica, Firenze, Sansoni, 1933, e Aa.Vv., Nuove esperienze economiche, Firenze, Sansoni, 1935.14 Giuseppe Bottai, Prefazione, in Aa.Vv., Nuove esperienze economiche, cit., pp. V-VI.15 L’espressione è di Sabino Cassese, Un programmatore degli anni trenta: Giuseppe Bottai, in Idem, La formazione dello stato amministrativo, Milano, Giuffrè, 1974, p. 187.16 Alfredo Rocco, Dall’economia liberale e socialista all’economia fascista della Carta del Lavoro, in “Politica So­ciale” (d’ora in poi “PS”), 1930, p. 356.17 Giuseppe Bottai, La politica economica corporativa e la crisi mondiale, in Idem, Esperienza corporativa (1929- 1935), Firenze, Vallecchi, 19352, p. 185.18 G. Bottai, La politica economica, cit. pp. 180 e 185.19 Dobbert morì improvvisamente nel marzo 1935. Le notizie su di lui \n\Gerhard Dobbert, in “ASC” , 1935, pp. 227-230 e in Alberto De’ Stefani, Prefazione in Aa.Vv., L ’economia sovietica, a cura di Gerhard Dobbert, Firenze, Sansoni, 1935, pp. V-XI.

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mia sovietica, Firenze, Sansoni, 1935), e con­tribuisce alle raccolte pisane L ’economia programmatica e Nuove esperienze economi­che20. Grazie alle cifre statistiche e alla vasta letteratura utilizzate da Dobbert21, si delinea­no chiaramente agli occhi del pubblico italia­no gli organi direzionali del piano — dal Go- splan agli uffici periferici, in una struttura molto accentrata — e il suo funzionamento — l’organizzazione per trust, la programma­zione per settori industriali e per distretti geografici, il sistema delle cifre di controllo annuali. I lavori di Dobbert pongono anche dei punti pressoché incontrovertibili nella va­lutazione dei risultati del primo piano quin­quennale: esso, nella sostanza, è riuscito, de­terminando un incremento della produzione industriale ‘addirittura fantastico’22, ma a costo di inconvenienti e disarmonie (come l’assoluto privilegiamento dell’industria pe­sante) che possono bloccarne gli sviluppi; e a pagarne le spese sono le classi lavoratrici e soprattutto i contadini, spogliati di ogni ave­re. Si determina una ambivalenza: in Russia si assiste a una “brutale dittatura” , a “uno dei più tragici traviamenti deH’umanità”, ma contemporaneamente a un esperimento eco­

nomico tanto più importante “quanto più si fa strada il processo di decomposizione del vecchio tipo di capitalismo privato”23.

A giudizio di Dobbert, la pianificazione russa non si è basata sui principi di una teo­ria economica, ma è nata e si è sviluppata da orientamenti politici: ne consegue che “ogni trattazione sulla economia programmata, e in particolare sul piano quinquennale, ha un carattere di preferenza politico-statale o poli­tico-sociale”24. Considerazioni di questo ge­nere, unite al fatto che a volte sembra colle­gare necessariamente l’economia program­mata con il socialismo25 e che la sua visione corporativa sconta non criticate origini ortodosse26, collocano idealmente Dobbert in quel gruppo di corporativisti ‘liberisti’ che trovava in Alberto De Stefani la propria gui­da politica.

3. Le suggestioni ‘sociali’ della pianificazio­ne non toccano gli economisti di quest’ulti­ma tendenza: il capitalismo — nei suoi prin­cipi e nelle sue tecniche — è destinato secon­do loro a ricomparire in Unione Sovietica, trattandosi infatti, più che di un ordine sto­rico, di un ineludibile ordine naturale27. A

20 Nel primo volume troviamo L ’economia programmatica nella U.R.S.S., pp. 123-167, e nel secondo L ’economia russa, pp. 113-151.21 A dimostrazione, si scorra l’ottima Bibliografia preparata per il numero speciale di “Economia” , cit., pp. 361-389.22 G. Dobbert, L ’economia russa, cit., p. 115.23 G. Dobbert, Introduzione, in Aa.Vv., L ’economia sovietica, cit., pp. 3 e 6.24 G. Dobbert, L ’economia programmatica nella U.R.S.S., cit., p. 125.25 “Dicendo che il fatto del socialismo economico si potrà considerare compiuto soltanto quando gli elementi, anco­ra oggi esistenti, dell’iniziativa economica privata saranno sostituiti da quelli economici collettivi, non vogliamo dire altro se non che allora sarà compiuta anche l’organizzazione dell’economia programmatica”, scrive ad esempio a p. 14 di L ’economia programmatica, in Aa.Vv., L ’economia sovietica, cit. Accenti alla Von Mises sulla impossibilità tecnica della pianificazione, alle pp. 36-37 dello stesso saggio e altrove.26 Ne espone i principi in La riforma corporativa del 1933-1934 e il suo significato, in Aa.Vv., L ’economia fascista. Problemi e fa tti, Firenze, Sansoni, 1935, pp. 1-23. Dobbert afferma varie volte che “il sistema corporativo fascista è la perfetta antitesi dell’economia programmatica socialista della Russia sovietica” (Prefazione all’edizione tedesca del testo sopra citato, p. Vili).27 Ma c’è chi, fra i liberisti di stretta osservanza, comincia a pensare il contrario: ad esempio Giorgio Mortara, Pro­blemi economici dell’ora presente, in “Giornale degli economisti” , 1932, discutendo a p. 915 dell’esperienza russa, afferma che da essa possono trarsi preziosi insegnamenti: “i tempi sono maturi per una radicale trasformazione dei- regime capitalista” . Di Mortara si veda anche Impressioni sull’economia sovietica, in “Rivista bancaria” , 1930, pp.

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giudizio di Filippo Carli28, per esempio, se Stalin deve reintrodurre le differenziazioni salariali, la Russia è ben lontana dal comuni­Smo; e se la crisi mondiale pare toccarla solo marginalmente, lo si deve alla dittatura poli­tica, che mantiene coattivamente un rappor­to di equilibrio fra i prezzi dei vari beni, piut­tosto che ad una nuova ripartizione del reddito29. Un sistema di capitalismo di Stato tenta di attrezzare industrialmente il paese, pagando il prezzo altissimo dell’annullamen­to di ogni valore spirituale; il piano sovieti­co, scrive Carli nel 1938, “nei limiti in cui è stato costruttivo, lo è stato perché ha adotta­to principi propri del sistema capitalistico e neppure bene”30.

Nel 1932 A. Quintavalle — che firma spes­so ottime corrispondenze31 — rileva il falli­mento degli obiettivi del piano nel settore agricolo, e, sostenendo che i progressi indu­striali sono dovuti alla straordinaria ricchez­za di materie prime, si chiede se la Russia “non avrebbe raggiunto ben altri risultati se avesse adottato altri metodi, che non i detta­mi dei principi socialisti, per mettere in valo­re quelle risorse”32.

Il liberalismo dell’ex sindacalista rivolu­zionario Agostino Lanzillo, permeato di mo­tivi soreliani e bergsoniani, trova accenti liri­ci: “se i millenni trascorsi hanno dimostrato che l’istituto della proprietà e la libertà della privata iniziativa, sono il segreto perenne e sempre fresco della rinnovazione sociale dei popoli e del progresso economico, è possibile che la Russia moderna capovolga i pilastri fondamentali della tradizione umana?”33. Saranno le “leggi di natura” a ricondurla al capitalismo: quella del minimo mezzo, quel­la del tornaconto, quella delle proporzioni definite e quella della concorrenza. L’espe­rienza sovietica, erigendo con il piano quin­quennale “un vero e perfetto capitalismo con unico capitalista: lo Stato”34 — “il capitale reale si va formando, una grande industria sorgerà, e darà la base ad un vastissimo mer­cato”35 — adempirà a una “necessità storica” , costituendo “un laboratorio speri­mentale della impossibilità di sopprimere il capitalismo”36. Lanzillo capisce l’enorme importanza storica dell’industrializzazione di un territorio così vasto e ricco di risorse (“è il fatto storicamente più importante

885-894. Espressero un giudizio sulla pianificazione sovietica anche altri liberisti illustri: Gustavo Del Vecchio, So­pra alcune forme ed alcuni fenomeni dell’economia russa (note di viaggio luglio-agosto 1937), in “Rivista italiana di scienze economiche” , 1937, pp. 777-792; Giovanni Demaria, La politica economica dei grandi sistemi coercitivi, Pa­dova, Cedam, 19692, pp. 118 sgg.28 Porre Carli fra i corporativism liberisti potrà a qualcuno sembrare improprio (ad Ombretta Mancini, Francesco D. Perdio, Eugenio Zagari, Teoria economica e pensiero corporativo, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1982, per esempio); pur senza voler alzare rigidi steccati, siamo confortati nel nostro giudizio dall’analisi di Giuseppe Bru- guier, Il corporativismo e gli economisti italiani, in “ASC”, 1936,1, pp. 50-56. Su Carli si veda Silvio Lanaro, Carli Filippo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XX, Roma, 1977, pp. 152-161.29 Filippo Carli, Il sistema economico russo e la crisi mondiale, in “Commercio” , 1931, pp. 409-414.30 Filippo Carli, Le basi storiche e dottrinali dell’economia corporativa, Padova, Cedam, 1938, pp. 53-54.31 Si vedano le annate di “Commercio” e di “Economia” a partire dai primi anni venti.32 Antonio Quintavalle, Capitalismo e socialismo nei discorsi di Stalin e Molotov, in “RPE”, 1932, p. 60; lo stesso concetto in Successi e insuccessi dopo 14 anni di regime bolscevico, in “Commercio”, 1932, pp. 126-129.33 Agostino Lanzillo, Il piano quinquennale sovietico, in “RPE”, 1933, p. 31.34 A. Lanzillo, Il piano, cit., p. 25.35 Agostino Lanzillo, Lo stato nel processo economico, Padova, Cedam, 1936, p. 158.34 Agostino Lanzillo, Studi di economia applicata, Padova, Cedam, 1933, p. X. Fra coloro che la pensano allo stes­so modo, segnaliamo: in “PS” , Ernesto Brunetta, U.R.S.S. di Stalin, 1935, pp. 353-354; Anseimo Anseimi, L ’evolu­zione del salario nell’economia sovietica, 1935, pp. 9-10; Idem, Un sistema sovietico di razionalizzazione del lavoro, 1935, pp. 362-363. In “Civiltà fascista” , Vincenzo Buonassisi, Economia capitalistica ed economia collettivistica, 1939, pp. 234-239.

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dell’epoca contemporanea. Si avvicina, per proporzioni e significato, alla formazione del Nord America ed al suo ingresso sul mercato mondiale nella seconda metà del secolo XIX”), e ne postula l’armonizzazio­ne con una economia mondiale di libero scambio ossequiosa della legge dei costi comparati37. La fede liberista, però, lo con­duce a vedere lo sforzo sovietico stesso at­tuato in vista “di un mercato internaziona­le, per vendere all’estero”38, mentre già all’epoca erano evidenti le caratteristiche autarchiche e belliche dell’attrezzamento in­dustriale sovietico.

La matrice sindacalista di Lanzillo, come di Panunzio o Rossoni, reagiva negativa- mente non solo di fronte all’oggettiva antite­si al proprio ideale di un’economia “varia e pluralista” rappresentata dal piano russo, “solo ed unico piano ed ente panteistico di produzione”, nella prosa di Panunzio39, ma anche e soprattutto di fronte al ruolo decora­tivo o puramente poliziesco affidato ai sin­dacati nel sistema di potere bolscevico40. E non manca chi ne induce la superiorità della “politica sociale” fascista su quella, “soprav- vanzante i suoi tempi”41, dell’Unione Sovie­tica, pur non potendo misconoscerne com­pletamente i pregi42.

4. Per Carlo Costamagna, direttore con Rosboch di “Lo Stato” , un eventuale suc­cesso del piano quinquennale condurrebbe al soffocamento dell’indipendenza econo­mica europea “in una morsa di concorren­za industriale senza salvezza”43. A questa “impresa essenzialmente nazionalista ed an- tieuropea” oppone — su suggestione del francese Delaisi — un “piano quinquennale europeo” che “metta in valore” la zona dei Balcani e degli stati orientali, assicurando nuovi sbocchi alle merci dell’occidente in­dustriale e una abbondante fornitura di prodotti agricoli44. Il pericolo è “tremenda­mente concreto”45; e di questa preoccupa­zione del suo direttore “Lo Stato” mostra ampiamente i segni in quasi tutti gli articoli dedicati al piano sovietico. In essi, spesso, ricognizioni economiche anche non peregri­ne terminano con considerazioni rozze sullo stato della vita familiare, o religiosa, o ses­suale, o teorizzazioni del primato razziale latino. I grandi progressi compiuti nell’at­trezzamento industriale (“l’attivo di questa impresa può definirsi fin d’ora formidabi­le” , scrive Michele Schiavone nel giugno 1931)46, ottenuti con altissimi costi sociali, si tradurranno, per Giuseppe Conforto, in “colossali armamenti destinati evidente-

37 A. Lanzillo, Studi di economia, cit., pp. 109-113. Il brano citato è a p. 109.38 A. Lanzillo, Studi di economia, cit., p. 113.39 Sergio Panunzio, L ’economia mista. Dal sindacalismo giuridico al sindacalismo economico, Milano, Hoepli, 1936, p. 24.40 Si vedano Agostino Lanzillo, Antisindacalismo deisovieti, in “La stirpe”, 1933; Sergio Panunzio, La tecnica e i sindacati, in Idem L ’economia mista, cit., pp. 221-228; Edmondo Rossoni, Il lavoro nel fascismo e nel bolscevismo, in “Civiltà fascista” , 1937, pp. 201-216; Renato Trevisani, Il Consiglio Superiore dell’Economia nazionale in Russia, in “PS” , 1930, pp. 541-545; e altri fra i quali, come vedremo, anche Bottai.41 La definizione è di Alexander Nove, Storia economica dell’Unione Sovietica, Torino, UTET, s.d., p. 129.42 Si vedano; Pietro Sessa, Il problema sociale, in Aa.Vv., L ’economia sovietica, cit., pp. 279-300; Tomaso Napoli­tano, La politica sociale dei sovieti, in “CF”, 15 dicembre 1933, pp. 468-469; Roberto Roberti, Qualche osservazione sulla politica sociale della Unione delle Repubbliche Soviettiche, in “PS”, 1934, pp. 507-511; Giuseppe Conforto, Le assicurazioni sociali nell’Unione Sovietica, in “Lo Stato”, 1940, pp. 11-18.43 Carlo Costamagna, Per un piano quinquennale europeo. (La marca orientale), in “Lo Stato”, 1932, p. 453.44 C. Costamagna, Per un piano, cit., pp. 453-455.43 C. Costamagna, L ’universalismo economico e la crisi, “Lo Stato”, 1933, p. 90.46 Michele Schiavone, Il “Platiletka” nella vita russa, “Lo Stato”, 1931, pp. 424-425.

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mente all’aggressione”47. Per i redattori di “Lo Stato”, i piani quinquennali non sono altro che gli strumenti economici di una politica espan­sionistica; studiarli a fondo, di conseguenza, è un necessario preliminare alla difesa.

Costamagna conduce una violenta polemi­ca contro “Critica fascista” , i corporativisti pisani e i mistici alla Spampanato, che chia­ma “romantici del nuovo e dell’esotico” , perché “vogliono considerare nell’esperienza russa il tentativo di una soluzione sociale, in uno sfondo cosmopolitico e universale”48. Nel fascismo, dice, “la posizione universale e astratta” del problema economico propria del liberismo trova linfa nell’attualismo gentiliano49; ma se la teoria degli sbocchi di Say è “una verità di ordine morale” che non vale più, se la crisi economica, lungi dall’es­sere mondiale, fa sì che “i mezzi della civiltà europea passino al servizio di genii etnici profondamente diversi dal nostro” , allora l’economia corporativa non potrà che essere nazionale, “concretamente etico-storico-po­litica” . Occorre, per Costamagna, abbando­nare “la funesta illusione delle soluzioni uni­versali”: “la produzione come tale è priva di interesse se il prodotto non può far parte utilmente di un sistema di fini, proprio ad una ‘economia determinata’, vale a dire a una data comunità politico-economica”50.

5. L’indeterminatezza delle caratteristiche del nuovo ordine corporativo conduceva fa­

cilmente i sostenitori a definirlo piuttosto in negativo rispetto a liberismo e socialismo, che nelle caratteristiche sue proprie, e lo svolgersi ardito delle argomentazioni fra un ‘ismo’ e l’altro era insieme causa ed effetto di schematismi ed astrattezze. L’abbiamo vi­sto in Rocco; lo ritroveremo nel panlogismo di Ugo Spirito; ed è evidentemente constata- bile in tutte le forme di confronto fra fasci­smo e bolscevismo (o, come si diceva, fra Roma e Mosca) praticate nel sottobosco cor­porativo dal 1930 in poi.

Il fascismo fin dalle sue origini aveva guar­dato con attenzione alla teoria e alla pratica bolscevica dell’organizzazione politica51. Il dibattito che si aprì su “Critica fascista” nel settembre 1931, invece, trattò, giusto quanto si diceva sopra, del significato storico e del valore spiriturale dei due, oramai consolida­ti, regimi ‘rivoluzionari’ europei. Il confron­to si concluse con una netta affermazione dell’antitesi esistente fra i due regimi; ma ciò non evitò che nel 1934 il Pnf ritenesse neces­saria la pubblicazione di un volume che, riaf­fermando la radicale opposizione, politica e culturale, del fascismo al bolscevismo (come di nazione e corporazione contra internazio­nalismo e classe) contrastasse il diffondersi della “moscofilia” emersa in alcuni interven­ti (di Panunzio, Fiorini e Spampanato)52. Le posizioni eterodosse si nutrivano, ha scritto G.C. Marino, del “riconoscimento di una sorta di solidarietà pratica, al di là di inalte-

47 Giuseppe Conforto, Finanze e bilancio nello Stato sovietico, in “Lo Stato”, 1939, p. 513.48 C. Costamagna, Per un piano, cit., p. 453.49 C. Costamagna, L ’universalismo economico, cit., p. 83.50 C. Costamagna, L ’universalismo economico, cit., pp. 85-86. Anche Pietro Sessa dimostra di temere, nei lavori ci­tati, un’invasione di merci sovietiche, così come Giuseppe Scialoja, Economia russa e piano quinquennale, in “PS”, 1930, pp. 909-915, e Vincenzo Buonassisi, Internazionalismo rosso o imperialismo russo?, in “CF”, 1° marzo 1937, pp. 137-138.51 È quanto riporta C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, cit., p. 36. Un esempio molto noto è lo scritto di Giuseppe Bottai, *Nuovo Corso" di Leone Trotsky, in Idem, Pagine di critica fascista (1915-1926), a cura di Francesco Maria Pacces, Firenze, Le Monnier, 1941, pp. 320-326.52 Ci riferiamo al confuso lavoro di Pietro Sessa, Fascismo e bolscevismo, Milano, Mondadori, 1934, edito “sotto gli auspici del P .N .F.” nella collana “Panorami di vita fascista” . La ‘moscofilia’ era rappresentata da Bruno Spam­panato, di cui ricordiamo Equazioni rivoluzionarie: da! bolscevismo al fascismo, 15 aprile 1930, pp. 152-154; Roma

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rati motivi di contrapposizione ideale, tra due metodi di affermazione integrale del po­litico nel sociale, tra due vocazioni demiurgi­che del ‘principe’, tra due pedagogie del po­tere tendenti a ‘rifare l’uomo’ attraverso l’ideologia, tra due ‘società totali’: due vie di sperimentazione anti-crisi”53. La caratteriz­zazione astrattamente politico-filosofica del dibattito eludeva una considerazione non frettolosa della pianificazione e, più in gene­rale, del tema economico: ne erano prota­gonisti alcuni giovani “inquieti e insoddisfat­ti” , come scrissero all’epoca, suggestionati al più dalla forza della élite dirigente bolscevica o dalla civiltà futuristico-meccanica dei kom­binat.

Spentosi a fine anno il dibattito su “Criti­ca fascista”, il confronto fra Roma e Mosca, ora regolarmente viste come antitetiche, di­viene una forma diffusa di conformismo po­litico e di esaltazione del regime. I più solleci­ti segnalano addirittura un progressivo fasci­stizzarsi della Russia54. “L’economia corpo­rativa non consiste in una serie di piani, as­surdamente livellatori di ogni attività e di ogni iniziativa individuale, predisposti da

una enorme, mastodontica burocrazia”, af­ferma uno zelante articolista, ma nella pro­grammazione autarchica prefigurata da Mussolini nel discorso all’Assemblea nazio­nale delle corporazioni il 23 marzo 1936: “controllo” e “disciplina”, allora, e non “statizzazione, o peggio, funzionarizzazio- ne” dell’economia55. In trattazioni come questa di Anseimi — e come nel diffuso Gae­tano Ciocca, Giudizio sul bolscevismo (Mila­no, Bompiani, 1933) — la tematica della pia­nificazione, pur talvolta chiamata in causa come il comune denominatore delle politiche economiche dei due paesi56, riceve una consi­derazione sempre e solo superficiale, imba­stita di luoghi comuni, nella quale la specifi­cità del concetto — così come ha origine nell’esperienza sovietica — si annacqua in non meglio definite “economie regolate” nel­le quali può starci tutto, da suggestioni new- dealistiche al semplice controllo del valore della moneta57. Solo da parte di Bottai e di alcuni suoi compagni di strada l’esperienza di piano sovietica verrà inserita in un quadro di riferimento politico e culturale in grado di vagliarne la portata innovatrice per l’elabo-

e Mosca o la vecchia Europa?, 15 novembre 1931, pp. 434-436; Universalità di Ottobre. Dove arriva lo Stato, 1° gen­naio 1932, pp. 16-19 (è la più articolata dimostrazione dell’ammirazione dell’autore per “questo Stato compatto, unitario, duraturo”); e La rivoluzione del popolo, 1° novembre 1932, pp. 403-404. Da Renato Fiorini, A proposito dell’antitesi Roma o Mosca, 15 ottobre 1931, pp. 383-385, e, nel senso di una uguaglianza di strutture economiche al­la quale corrisponderebbe però una profonda diversità nel campo dei valori morali e sociali, da Sergio Panunzio, La fine di un regno, 15 settembre 1931, pp. 342-344.53 Giuseppe Carlo Marino, L ’autarchia della cultura. Intellettuali e fascismo negli anni trenta, Roma, Editori Riuni­ti, 1983, p. 82. Sul dibattito si veda anche Francesco Malgeri, Giuseppe Bottai e “Critica fascista", S. Giovanni Vai- damo, Landi, 1980, p. LXXXVIII.54 Sono molto numerosi; il capofila è Renato Bertoni, Russia: trionfo del fascismo, Milano, La Prora, 19372 (1934).55 Anseimo Anseimi, Realizzazioni fasciste e programmi bolscevichi, in “PS”, 1937, pp. 228-230. Mentre si moltipli­cano i lavori che coniugano una di rado ben precisata programmazione con le necessità autarchiche, come ad esem­pio quello di Gaetano Napolitano, Economia autarchica e piani economici corporativi, in “Economia” , 1938, pp. 93-132, è la politica economica nazista ad offrire nuovi spunti ai corporativisti: si pensi ad Alberto De Stefani e alle sue teorie sul potenziale di lavoro (Alberto De Stefani, Per il migliore impiego della potenza di lavoro del popolo ita­liano, Bologna, Zanichelli, 1939).36 “Piano mussoliniano” e piano sovietico sono comparati da G. Ciocca, Giudizio sul bolscevismo, cit., pp. 73-74 (oltre che, polemicamente, da Agostino Lanzillo, Per una teoria dell'intervento dello Stato, in “CF” , 1° settembre 1932, pp. 332-335).57 L’esempio più smaccato è Olivia Rossetti Agresti, In tema di economia programmata, in “RPE”, 1932, pp. 1230-1236.

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razione di una politica economica postlibera­le, delineando — piuttosto imprecisamente, per la verità — una versione corporativa del­la pianificazione.

6. “Lo Stato crea la corporazione, vi chia­ma i direttamente interessati, vi chiama co­loro che lavorano e producono in una de­terminata branca della produzione, li fa di­scutere, li organizza, li disciplina e orienta” , scrive Bottai nel 1929; regolamen­tare i rapporti economici? È possibile, ma in misura “modesta” . E continua: “noi non vogliamo certo fabbricare i prezzi attraver­so la corporazione; non vogliamo stabilire quanto una industria debba guadagnare su un determinato prodotto; questo sarebbe veramente socialismo di Stato, sarebbe un uccidere e un soffocare quella iniziativa che rimane il cardine principale e centrale del nostro sistema”58. “Coordinamento”, “di- sciplinamento” e “collegamento” sono per Bottai le funzioni dell’ordinamento corpo­rativo almeno fino alla fine del 1931, quan­do nell’editoriale di “Critica fascista” , Im­pegni per l’Anno Decimo troviamo, singo­larmente per i nostri scopi, accomunata la consapevolezza del significato epocale della crisi apertasi nel 1929 in tutto il mondo alla denuncia di ogni speculazione politica che avvalori un’immagine del fascismo come forma di “socialismo di Stato o addirittura di bolscevismo russo”59. Da questo momen­to in poi, la prospettiva interventista di Bottai si precisa e si radicalizza. Dalle pa­

gine di “Critica fascista” inizia a diffonder­si la nozione di “un mondo economico guasto alle radici”60 che nel bolscevismo e nel fascismo trova “le due sole parole nuo­ve espresse dalla guerra nella crisi universa­le di tutti i valori politici e morali”61. Que­ste due forme politiche, scrive F.M. Pac- ces, hanno in comune la volontà di orga­nizzare l’attività economica “in tutte le sue quattro parti fondamentali [...] secondo schemi razionali elaborati in precedenza, nell’ambito nazionale”62. Nell’ottobre 1932 si mette in guardia dall’identificare “l’eco­nomia organizzata” con “un pesante conge­gno economico-burocratico” annullatore dell’iniziativa e della proprietà privata63, nel febbraio successivo si propone la crea­zione di un organo tecnico centrale “il qua­le abbia il compito di studiare i dati prove­nienti dalla periferia e di fornire quel pro­gramma di azione concreta al quale debba­no ispirarsi tutte le forze produttrici del paese”64, e finalmente, sul fascicolo del 15 marzo, Pacces e Bottai scrivono Verso un piano economico-corporativo. Ma prima di illustrarne il contenuto, una breve (appa­rente) divagazione.

Nel procedere concettuale di Bottai è facile rintracciare due esigenze, discendenti en­trambe dall’assunto che “politica ed econo­mia sono un unico tessuto”65. La prima: ri­costruire lo Stato “su basi granitiche” , affer­mare “la preminenza della volontà etico-po­litica dello Stato” che “assume nella sfera della propria essenza [...] tutta la vita socia-

58 Giuseppe Bottai, “Socialismo di Stato": no, in Idem, Il Consiglio Nazionale delle Corporazioni, Milano, Monda- dori, 1933, p. 36; la citazione precedente in L ’organizzazione delle forze produttive, in Idem, Il Consiglio, cit., p. 29.59 Giuseppe Bottai, Impegni per l ’Anno Decimo, in “CF”, 1° novembre 1931, pp. 401-403.60 Francesco Maria Pacces, Risposta a Lanzillo. Costruire non chiacchierare, in “CF”, 1° ottobre 1932, p. 377.61 Avvertenza dell’editore, in A. Rosemberg, Storia del bolscevismo, rit., p. Ili; anche F.M. Pacces, Risposta a Lan­zillo, cit., p. 378.62 F.M. Pacces, Risposta a Lanzillo, cit., p. 378.63 F.M. Pacces, Risposta a Lanzillo, cit., p. 378.64 Critica Fascista, Stalinismo corporativo, in “CF” , 1° febbraio 1933, p. 42.63 Giuseppe Bottai, Politica ed economia nella concezione corporativa, in Idem, Esperienza corporativa, cit., p. 107.

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le” ordinandola e regolandola secondo i suoi supremi fini66. La seconda: realizzare quanto sopra non con “l’inerte gravare di una auto­rità”67, ma penetrando all’interno di queste forze sociali grazie all’“elemento mediatore che ha colmato l’abisso del dualismo: la cor­porazione”68. Al progressivo “statualizzarsi della società” deve corrispondere una “socia­lizzazione dello Stato” (Volpicelli)69. Per Ca­millo Pellizzi, “punto essenziale e caratteri­stico di tutta la dottrina corporativa è che, nel suo sistema, ogni pensiero e volontà deve venire, come si dice, dal basso, sebbene que­sto moto dal basso debba svolgersi e subli­marsi attraverso gerarchie; anche le gerar­chie, però, in definitiva debbono essere spontanee, non imposte dall’alto”70. Bottai terrà sempre fede a questo principio — evi­dentemente antitetico alla pratica economica sovietica — e non poteva essere altrimenti, proprio perché, come ripeterà varie volte an­che dopo la guerra71, era la ragion d’essere stessa dell’ordinamento corporativo.

Se le corporazioni fossero chiamate ad agi­re, scrive in Verso un piano economico-cor- porativo, “la possibilità di dare un ordine, una direzione, una condotta all’attività eco­nomica nazionale, apparirebbe non frutto di artificiosi programmi, ma d’uno svolgimen­to spontaneo o d’un coordinamento, che è nella natura reale delle cose anche economi­che”72. “L’intervento corporativo dello Sta­to nella organizzazione economica naziona­

le” : ecco il piano di Bottai. L’organo tecnico di direzione va creato nell’ambito del Consi­glio nazionale delle corporazioni; e “l’ordi­ne” , il “programma” della produzione risul­terebbe direttamente dagli “opportuni colle­gamenti e rapporti” fra le corporazioni73. Di fronte alla politica economica burocratica­mente interventista del governo, Bottai chie­de spazio per i “fermenti individuali e asso­ciativi”, tentando di rivitalizzare gli entusia­smi attorno all’ordinamento corporativo ac­centuandone il carattere programmatico; e null’altro, nulla che ricordasse obiettivi pro­duttivi aziendali e nazionali imposti dall’alto e da raggiungere in un tempo determinato: ché questo, allora, era per tutti il ‘piano’, e a questa immagine si attenevano rigidamente, come vedremo, soprattutto coloro che in un modo o nell’altro erano contrari a un inter­vento statale di reform. Va sottolineato, pe­rò, che le suggestioni del piano venivano considerate, dopo il grande crollo del 1929, in grado di rinnovare interessi e speranze: già allora, attorno a questa parola aleggiava l’aura di un mito sentito come ‘moderno’, formato dall’irresistibile miscela di razionali­tà ordinatrice, tecnica aggiornatissima e sug­gestioni di maggior giustizia sociale.

Il generico richiamo fatto da Pacces al pia­no quinquennale nell’articolo sul piano cor­porativo intendeva evocare proprio questa immagine; ma esso si rivelò, come vedremo, un’arma a doppio taglio: c’era una lama an-

66 G. Bottai, Politica ed economia, cit., p. 108.67 G. Bottai, Politica ed economia, cit., p. 108.68 Critica Fascista, Statalismo corporativo, cit., p. 41.69 Arnaldo Volpicelli, Ipresupposti scientifici dell’ordinamento corporativo, in Aa.Vv., A tti del secondo convegno di studi sindacali e corporativi. Ferrara 5-8 maggio 1932, I, Relazioni, Roma, 1932, p. 150.70 C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, cit., p. 181.71 Si vedano Giuseppe Bottai, Vent’anni e un giorno (24 luglio 1943), Milano, Garzanti, 19772 (1949), pp. 45-54 e 55- 62; e Giuseppe Bottai, Verso il corporativismo democratico o verso una democrazia corporativa?, in “Il diritto del lavoro”, 1952, pp. 131-138. Sulla figura di Bottai si veda Anna Panicali, Introduzione, in Bottai: il fascismo come ri­voluzione del capitale, a cura di Anna Panicali, Bologna, Cappelli, 1978, pp. 7-49.72 Francesco Maria Pacces, Giuseppe Bottai, Verso un piano economico-corporativo, in “CF”, 15 marzo 1933, p. 105. L’articolo si compone di due parti distinte, e firmate singolarmente (nella seconda, Bottai si dichiara d’accordo con la proposta che Pacces fa nella prima).73 F.M. Pacces, G. Bottai, Verso un piano, cit., p. 105.

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che dalla sua parte, se, com’è ovvio, all’esta­blishment fascista poteva garbare pochissi­mo un progetto con simili ascendenze. An­che per Pacces, la questione è di “far interve­nire gli organi sindacali corporativi in fun­zione produttiva, e non più soltanto distribu­tiva”74; ma, cosa precisamente ciò significhi, non si dice. Pacces si limitava ad aggiungere che, per farlo, occorre che l’azione dello Sta­to corporativo sia “definita e limitata; o, co­me anche si dice, programmata; e i program­mi approvati, dopo aver sentito le rappresen­tanze nazionali” . La programmazione è l’in­terazione organica fra Stato e privati75. Che cosa, concretamente, giustifichi un parallelo col piano quinquennale, proprio non si sa.

Tutto ciò non evita a Pacces e Bottai, co­munque, di essere gratificati di “sindacali­smo russo” e di “socialismo di Stato” da par­te di un certo G.P. Callegari, in un articolo su “Vita nova”, la rivista di Arpinati e Saitta76. Bottai gli replica nel numero del 15 giugno di “Critica fascista”; e annotando: “è un vecchio trucco quello di sbandierare il drappo rosso del socialismo ad ogni piè so­spinto”, dice di ritenere che “il piano quin­quennale russo è fallito, se è fallito, proprio perché non era un piano, chiaro nelle sue premesse, sicuro nel suo svolgimento, defini­to nei suoi fini [...] mancava, insomma, quel senso della proporzione, della graduazione, della distribuzione e dell’ordine, che è il fon­damento di ogni disegno d’organizzazio­ne”77. Il vero piano, invece, è “organizza­

zione” che trova il suo criterio distintivo nel­lo “sviluppo armonico di tutti i rami della produzione e nell’uguale soddisfazione dei bisogni”78. C’è senz’altro più Roosevelt, il quale proprio in quei mesi poneva le basi del New Deal, che non Stalin, nella incerta pro­posta bottaiana79; e rilevare che “lo Stato meno sindacale del mondo è la Russia dei So- vieti” non può che condurre conseguente­mente il corporativista a “riferirsi a qualche cosa di diametralmente opposto al piano rus­so” quando parla “d’un piano economico corporativo”80.

Pacces replica a Callegari negli stessi ter­mini, chiarendo quanto era sottinteso nell’intervento di Bottai — l’essere cioè il piano sovietico un programma di prima in­dustrializzazione, e perciò non comparabile, nei suoi principi informatori e nelle sue fun­zioni, al progettato piano corporativo. Escludendone ogni vocazione produttivisti­ca, individua piuttosto in quest’ultimo lo strumento per “il raggiungimento e il mante­nimento di un equilibrio economico naziona­le” . “Il Piano nascerà perché tutta la costru­zione corporativa è fatta per giungere al pia­no”, afferma dopo aver assicurato sulla sal­vaguardia (anzi sul potenziamento) dell’ini­ziativa privata81.

In conclusione, l’attivazione del compro­messo termine ‘piano’ in un ampio contesto culturale, tentata dai due autori, cadde nel vuoto: nessuno ne riprese le suggestioni82, mentre sollecitò altre critiche, come quella di

74 F.M. Pacces, G. Bottai, Verso un piano, cit., p. 103.75 F.M. Pacces, G. Bottai, Verso un piano, cit., p. 103-104.76 Gianpaolo Callegari, Un piano economico?, in “Vita nova”, 1933, pp. 280-281.77 Giuseppe Bottai, Il ricatto liberale contro il corporativismo, in “CF”, 15 giugno 1933, pp. 224-225.78 Bottai cita qui parole di Giuseppe Bruguier, Intervento statale ed economia programmatica, in “ASC”, 1933, p. 124.79 L’interesse di Bottai per il New Deal è noto; si ricordi Giuseppe Bottai, Corporate State and N .R .A ., in “Foreign Affairs”, 1935, p. 612-624.80 G. Bottai, Il ricatto liberale, cit., p. 225. Fra i molti luoghi dove Bottai difende le prerogative del sindacato, il più interessante mi pare Ugo Spirito, Giuseppe Bottai, Verso la fine del sindacalismo?, in “CF”, 15 ottobre 1933, pp. 383-386, per il confronto con “la corporazione che mangia i sindacati” del filosofo pisano.81 Francesco Maria Pacces, Verso un piano economico-corporativo, in “CF”, 1° luglio 1933, pp. 259-260.82 Forse Giuseppe Bruguier, Azienda, Sindacato e Corporazione, in “CF”, 1° giugno 1934, p. 213.

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Lanzillo83. Si rivelò troppo forte l’ostacolo così descritto da Pacces: “da che l’esperi­mento russo è iniziato, quando si parla di piani di sviluppo economico, il pensiero cor­re naturalmente al Piano Quinquennale, nu­mero uno e numero due, e, per naturale ge­neralizzazione, si pensa che la forma e le ca­ratteristiche di questi siano proprie di un qualsiasi Piano economico”84.

Successivamente, Il cammino delle corpo­razioni, del 1935, ci mostrerà un Bottai fau­tore di un’economia coerentemente regolata (che — questa franchezza va notata — “fino­ra solo l’economia bolscevica à attuato su scala nazionale” , anche se al prezzo del sacri­ficio di ogni libertà)85 per mezzo di un piano economico nazionale, “somma” e “integra­zione” dei vari piani aziendali, “corretti, via via che si sale, in funzione d’interessi sempre più generali” , come indicava Pacces in Intro­duzione agli studi di aziendaria (Torino, Isti­tuto Aziendale Italiano Editore, 1935)86. Ma ormai tutta la costruzione pare un po’ la Cit­tà del sole, non solo perché lontana da ogni pratica applicazione, ma anche perché si ha l’impressione che sia stata proprio la coscien­za della sconfitta nella battaglia per le fun­zioni delle corporazioni ad allentare le briglie alle belle speranze, e a far immaginare il tipo di economia ideale descritta nel libro. Per quanto riguarda Pacces, la sua parabola nel fascismo terminò con Nostro tempo della

rivoluzione industriale (1939), sintesi inegua­gliata nella letteratura economica italiana de­gli anni trenta delle caratteristiche del capita­lismo post 1929; Pacces vi coglierà finalmen­te la chiave esplicativa di ogni pianificazione, bolscevica come fascista: “L’intervento dello Stato nell’economia, e nella produzione in­dustriale, non è caratterizzato soltanto dalla maggiore o minore estensione dell’intervento stesso e dai suoi modi, ma altresì, e diremmo essenzialmente, dal principio politico che lo determina”87.

7, Ugo Spirito, discutendo di Economia programmatica (1932), ha improvvisamente un fremito protagonistico: “il laissez-faire costringeva il professore a guardare dall’alto della cattedra: il programma lo trascina giù a tracciare le linee direttive dell’azione”88. Bot­tai, nell’elaborazione del suo piano corpora­tivo, polemizza con questa annotazione di Spirito (“noi vediamo un piano economico sorgere dall’economia vissuta, non dall’eco­nomia aprioristicamente programmata; dal­l’economia dei produttori [...] non dall’eco­nomia dei professori, cui altri compiti si ad­dicono”)89, con l’intento di colpire tutt’inte- ra una visione del ‘programma’ nella quale le corporazioni non avevano alcuna funzione e che, proprio per questo, poteva segnare un punto a favore dell’equivalenza di pianifica­zione e socialismo.

83 Che accusa senza originalità di socialismo la scuola pisana in Lo Stato nel processo economico, Padova, Cedam, 1936, pp. 175-177.84 F.M. Pacces, Verso un piano, cit., p. 259. Esprimono lo stesso concetto Gherardo Casini, Tramonto bolscevico e alba corporativa, in “CF”, 1° ottobre 1933, p. 379; G. Bruguier, Il corporativismo, cit., I, p. 76; A. Lanzillo, Lo Stato nel processo economico, cit., p. 175; ed anche Luigi Einaudi, Piani, in “La riforma sociale”, 1933, p. 291.85 Giuseppe Bottai, It cammino delle corporazioni, Firenze, Cya, 1935, p. 51.86 G. Bottai, Il cammino delle corporazioni, cit., pp. 51 e 79-80.87 Francesco Maria Pacces, Nostro tempo della rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1939, p. 9. Su Pacces si ve­da Gianni Costa, Sergio Faccipieri, Enzo Rullani, Crisi e corporativismo nel pensiero aziendalistico italiano, in Aa.Vv., Industria e banca nella grande crisi 1929-1934, a cura di Gianni Toniolo, Milano, Etas Kompass, 1978, pp. 382-408.88 Ugo Spirito, Economia programmatica, in Idem, Il corporativismo, Firenze, Sansoni, 1970, p. 419.89 F.M. Pacces, Giuseppe Bottai, Verso un piano, cit., p. 105.

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Per colui che propugnava l’inveramento del bolscevismo nel fascismo90, infatti, il programma era “visione integrale e sistema­tica di tutte le forze economiche, assegnazio­ni del compito di ognuna nell’organismo, de­terminazione del fine economico da raggiun­gere: programma significa, in una parola, bi­lancio preventivo” , formulato e posto in opera da un ente centrale di direzione forma­to da “esperti”, “tecnici abilissimi”, “teorici e pratici” , “studiosi” , “realizzatori” , “tecni­ci politici” , e, appunto, “professori”91. Le somiglianze formali con il piano quinquen­nale non mancano di certo, pur nella generi­cità e nell’astrattezza della prosa di Spirito: colpisce la non menzione dell’apparato cor­porativo (se non per screditarlo), così come dei benefici dell’iniziativa privata, mentre quel bilancio preventivo dell’ “unica azienda nazionale” ammicca alle tabelle russe degli obiettivi produttivi settoriali, e, ancora, l’en­te centrale tecnico-politico è formato da tutti tranne che dai produttori, proprio come in Unione Sovietica. Ma — ed ecco il punto dif- ferenziante — di programmi nazionali di produzione non si parla mai. “Il suo pensie­ro era troppo conseguentemente fordista perché vi si potessero svellere le premesse aziendalistiche”, scrive Lanaro92; e allora il “bilancio preventivo” nazionale non sarà che la somma delle singole autonome contabilità aziendali, e il “programma” interdipendenza

e subordinazione delle aziende a una direzio­ne e amministrazione unica nella quale “si ri­solvono” i singoli bilanci. La vita economica della nazione è concepita come “quella di un gigantesco trust” : l’unità economica, per Spirito, è l’azienda e non la corporazione.

L’assunto rigidamente fordista si attenua, fin dal titolo, nel successivo L ’economia pro­grammatica corporativa, mostrando di aver recepito le osservazioni, o meglio le intima­zioni politiche, di Bottai: l’ente centrale sarà ora “espressione gerarchica della Nazione” , l’iniziativa individuale “arricchisce” , e il programma “risulterà dagli infiniti contribu­ti che alla gerarchia centrale saranno perve­nuti attraverso i gradi gerarchici di tutte le unità produttive”93. Però si noti: “unità pro­duttive” , ancora, e non corporazioni.

Spirito fordista, si è detto con Lanaro. Certo; come è certo che, per tutti negli anni trenta, “Stalin e Ford si equivalgono e si danno la mano” : “in Russia non si va che verso la religione, la idolatria della grande fabbrica”94, “la tecnocrazia, questa nuova dea tiranna, si incontra, completa e perfezio­na la burocrazia”95. Nel descrivere l’econo­mia sovietica nell’Enciclopedia Italiana, Spi­rito la paragona ad un “immenso trust” , proprio come aveva fatto sei anni prima pre­figurando la sua economia programmata. E più oltre, ancora più chiaramente per i nostri fini, afferma che i precedenti delle teorie

90 Ugo Spirito, Individuo e Stato nell’economia corporativa, in Idem, Il corporativismo, cit., pp. 359-360; Aa. Vv., A tti del secondo convegno, cit., Ili, Discussioni, pp. 150-151; Ugo Spirito, Risposta alle obiezioni, in “Nuovi studi di diritto, economia e politica”, 1932, pp. 94-99.91 U. Spirito, Economia programmatica, cit., p. 415.92 Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo “di sinistra”. La dottrina corporativa dì Ugo Spirito, in Aa.Vv., Il regime fa ­scista, a cura di Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 387.93 Ugo Spirito, L ’economia programmatica corporativa, in Aa.Vv., L ’economia programmatica, cit., p. 175.94 S. Panunzio, La fine di un regno, cit., p. 342.95 S. Panunzio, La tecnica, in Idem, L ’economia mista, cit., p. 221. L’“americanismo” dei sovietici è un luogo co­mune della letteratura che stiamo esaminando: fra gli autori già citati, vi insiste Gaetano Ciocca in Giudizio sul bol­scevismo, cit., e in Economia di massa, Milano, Bompiani, 1936; qui aggiungiamo Tagi, Il piano quinquennale e l ’attrezzamento industriale della Russia, in “Gerarchia”, 1932, pp. 133-145; Ugo D’Andrea, Le alternative di Stalin, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli, 1932, pp. 152-155; Antonio Palumbo, lipiano quinquennale della Rus­sia sovietica, in “Gerarchia” , 1933, pp. 714-720 (che definisce l’Unione Sovietica “regno degli ingegneri” , p. 716).

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programmatiche “vanno ritrovati per una parte nei postulati del socialismo e per l’altra nelle indagini circa l’organizzazione scientifi­ca del lavoro [...]. In Russia, dove il sociali­smo tende ad attuarsi attraverso l’industriali­smo, la fusione delle due esigenze è natural­mente più evidente ed organica”96. Il mondo economico sovietico affascina Spirito pro­prio nei termini fordisti dell’esaltazione della razionalità della grande fabbrica, dei “colos­si”, come scrive in Ruralizzazione o indu­strializzazione?, prodotti dall’ “unificazione, organizzazione: tale la parola d’ordine del­l’attuale momento storico”97. La tensione unitaria che Spirito teorizzava non poteva non essere mediata dal lavoro, dalla produ­zione ora organizzata e riassunta nello Stato: ogni cittadino si risolve in quest’ultimo, ne partecipa in quanto produttore98. Intuiva giustamente Nello Quilici dopo il convegno ferrarese, che per Spirito il bolscevismo ave­

va veramente identificato individuo e Sta­to99; si trattava ora di fare altrettanto per il tramite della figura della corporazione pro­prietaria, e il filosofo pisano ribadirà nel 1934 che il più urgente compito del corpora­tivismo è “gerarchizzare il lavoro [...] far le­va, in sostanza, sulla tecnica e concepire la rivoluzione come rivoluzione della tecni­ca”100. Bottai aveva scritto che in Russia si assisteva a “uno sforzo produttivistico che non è del socialismo”, a suo giudizio irrime­diabilmente redistributivo ed antimonopoli­stico101. Lo scarto fra l’ammirata realtà in­dustriale sovietica e ques’idea del socialismo, “regime dell’economia più antiprogrammati­ca che si possa concepire”102, affascina Spiri­to e ne fa davvero, in un senso diversissimo però da quello della opinione comune fasci­sta, il più bolscevico dei corporativisti103.

Roberto Romani

96 Ugo Spirito, voce Economia programmatica, in Enciclopedia italiana, Appendice I, Roma, 1938, pp. 536-538.97 Ugo Spirito, Ruralizzazione o industrializzazione?, in “ASC”, 1930, p. 149.98 Si veda A. Panicali, Introduzione, cit., p. 184.99 Nello Quilici, Il Convegno di Ferrara, in “CF”, 15 maggio 1932, pp. 181-183.100 Ugo Spirito, Capitalismo, socialismo, corporativismo, in Aa.Vv., Nuove esperienze economiche, cit., p. 240.101 G. Bottai, La politica economica, cit., p. 184.102 U. Spirito, L ’economia programmatica corporativa, cit., p. 174.103 Mi pare superficiale l’annotazione di Gianpasquale Santomassimo, Ugo Spirito e il corporativismo, in “Studi storici” , 1973, n. 1, p. 107, che fa del filosofo pisano un sostenitore deH’Unione Sovietica in quanto favorevole all’ “annullamento della personalità, al livellamento dei gusti, allo Stato-formicaio ecc.” . Altri erano i motivi di at­trazione, come spero di avere dimostrato; fra l’altro, varie volte Spirito si dichiarò contrario ad ogni forma di eguali­tarismo (riferendosi alla Russia, in Economia programmatica corporativa, cit., p. 174-175 e in Capitalismo, sociali­smo, corporativismo, cit., p. 235-236). Si veda anche Regime gerarchico (1934), in Idem, Il corporativismo, cit., pp. 381-390.