La Conoscenza Del Mondo Sociale

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SOCIOLOGIA GENERALE ADELE BIANCO LIBRO: “LA CONOSCENZA DEL MONDO SOCIALE GUIDA ALLO STUDIO DELLA SOCIOLOGIA” ED: FRANCO ANGELI 1. LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA 1.1 Definizioni preliminari La sociologia è una branca delle scienze umane e sociali affermatasi nel XIX secolo che ha per oggetto l’analisi dei modi e delle forme della convivenza umana, sia nella loro struttura (dando luogo a istituzioni sociali) che nella loro evoluzione nel corso del tempo (dando luogo a fenomeni sociali). La sociologia ha nelle scienze umane (filosofia, storia, scienze politiche e giuridiche) un riferimento certo sul piano della tradizione del pensiero e condivide con quelle sociali (economia, statistica, antropologia e poi la psicologia) l’oggetto d’analisi: la società moderna. 1.2 La sociologia: ambito di applicazione Cosa vuol dire che la sociologia indaga i modi e le forme della convivenza umana, sia nella loro struttura che nella loro evoluzione nel corso del tempo? Gli esseri umani nell’affrontare circostanze della vita quotidiana, definiscono delle strategie e individuano delle modalità di comportamento in grado di garantire successo e dimostrarsi maggiormente adeguate alle esigenze da soddisfare; quando queste si rivelano utili, si consolidano e vengono trasmesse a tutti i membri della comunità, fungendo da standard di comportamento. In questo senso, si generano le ISTITUZIONI SOCIALI, intese come prassi consolidate e condivise. Non bisogna tuttavia pensare che i comportamenti collettivi, una volta consolidatisi, diventino inossidabili. Anzi, l’attività umana sottopone quotidianamente a verifica il patrimonio acquisito, trovandosi continuamente di fronte a scenari mutevoli. L’avvento della società moderna ha rotto gli equilibri, avendo accelerato il ritmo del mutamento sociale. Un tratto caratteristico della società moderna è l’importanza e il valore attribuiti al singolo individuo; si dice, infatti, che

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SOCIOLOGIA GENERALE

ADELE BIANCOLIBRO: “LA CONOSCENZA DEL MONDO SOCIALE

GUIDA ALLO STUDIO DELLA SOCIOLOGIA”ED: FRANCO ANGELI

1. LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA

1.1 Definizioni preliminariLa sociologia è una branca delle scienze umane e sociali affermatasi nel XIX secolo che ha

per oggetto l’analisi dei modi e delle forme della convivenza umana, sia nella loro struttura (dando luogo a istituzioni sociali) che nella loro evoluzione nel corso del tempo (dando luogo a fenomeni sociali).

La sociologia ha nelle scienze umane (filosofia, storia, scienze politiche e giuridiche) un riferimento certo sul piano della tradizione del pensiero e condivide con quelle sociali (economia, statistica, antropologia e poi la psicologia) l’oggetto d’analisi: la società moderna.

1.2 La sociologia: ambito di applicazioneCosa vuol dire che la sociologia indaga i modi e le forme della convivenza umana, sia nella

loro struttura che nella loro evoluzione nel corso del tempo?Gli esseri umani nell’affrontare circostanze della vita quotidiana, definiscono delle strategie

e individuano delle modalità di comportamento in grado di garantire successo e dimostrarsi maggiormente adeguate alle esigenze da soddisfare; quando queste si rivelano utili, si consolidano e vengono trasmesse a tutti i membri della comunità, fungendo da standard di comportamento. In questo senso, si generano le ISTITUZIONI SOCIALI, intese come prassi consolidate e condivise.

Non bisogna tuttavia pensare che i comportamenti collettivi, una volta consolidatisi, diventino inossidabili. Anzi, l’attività umana sottopone quotidianamente a verifica il patrimonio acquisito, trovandosi continuamente di fronte a scenari mutevoli. L’avvento della società moderna ha rotto gli equilibri, avendo accelerato il ritmo del mutamento sociale.

Un tratto caratteristico della società moderna è l’importanza e il valore attribuiti al singolo individuo; si dice, infatti, che essa sia essenzialmente individualista. Al contrario, la società tradizionale tende a “schiacciare” l’individuo, limitandone la sfera di libertà nei comportamenti e nelle scelte di vita. L’individuo non ha valore per se stesso, ma solo in riferimento all’apporto che esso può dare alla comunità.

Il modello di società moderna è più differenziata funzionalmente al suo interno e sempre più articolata e complessa.

Una caratteristica principale che distingue la comunità tradizionale rispetto alla società moderna è riferita, soprattutto, alla sfera dei servizi e delle politiche sociali. Nei contesti tradizionali, i “servizi” erano garantiti dalla famiglia e dalle cerchie parenterali estese. Molte altre necessità, considerate in epoca moderna indispensabili, non si costituivano come problema e dunque non si rappresentavano come esigenza: è il caso dell’istruzione dei bambini.

Mentre in ambito comunitario tutto il patrimonio di conoscenza necessario per vivere veniva trasmesso alle giovani generazioni nel corso del tempo da parte dei membri della comunità, nella società moderna la trasmissione del sapere viene affidata ad alcuni membri della società in possesso di una preparazione specifica attestata e accertata.

È chiaro che tanto l’uomo tradizionale quanto quello moderno contribuiscono alla riproduzione sociale del proprio gruppo, anche se con modi, forme e modalità diverse.

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L’assetto sociale moderno è scaturito a seguito di un lungo percorso di cambiamento. Il mutamento sociale è dunque l’oggetto di interesse principale della sociologia.

Poiché la sociologia è una scienza moderna che si occupa della realtà sociale, essa deve verificare empiricamente le proprie affermazioni e acquisizioni teoriche.

1.3 Questioni teoriche sul metodo della ricerca socialeNella fase iniziale della sociologia, si confrontano due paradigmi, quello positivista e quello

comprendente, altrimenti detto umanista o interpretativo. Il termine paradigma indica un insieme di valori, orientamenti teorici, modalità di ricerca condivisi da tutta la comunità scientifica, un modus operandi comune a tutti i ricercatori (Thomas Kuhn). In questo modo, il paradigma diviene dominante e, fintanto che si dimostra in grado di fornire dei punti di riferimento ai ricercatori, ci si trova in periodi di cosiddetta “scienza normale”, nel momento in cui si dimostra la sua insufficienza, si apre un periodo di turbolenza che porta alla sostituzione del paradigma.

Secondo il paradigma positivista, la sociologia mutua l’impostazione della ricerca empirica delle scienze esatte e si avvale dei loro metodi. Pertanto, l’analisi dei fenomeni sociali viene condotta attraverso osservazioni empiriche; essi vengono trattati come oggetti esterni allo scienziato il quale li descrive, li enumera, li misura e li analizza, giungendo all’enunciazione di leggi scientifiche (o esplicative), atte cioè spiegano l’evoluzione e il divenire della condizione umana e sociale).

Esponente principale di questa impostazione è stato Emile Durkheim, riconosciuto come uno dei padri fondatori della sociologia.

Per quanto riguarda le questioni relative al metodo della ricerca sociale, Durkheim definisce il modo in cui lo scienziato sociale deve trattare i fenomeni sociali. In base all'approccio cosalistico, i fenomeni sociali vanno considerati come “cose”; essi prescindono dalla volontà degli uomini, condizionandoli. Durkheim è l'iniziatore del filone di ricerca sociale empirica che si avvale dei metodi QUANTITATIVI; il primo esempio è il suo studio sul suicidio.

Il paradigma positivista si è evoluto nel corso del tempo: si è passati dal realismo ingenuo ottocentesco al neopositivismo, databile tra gli anni Trenta e Sessanta del XX secolo. Il neopositivismo riconosce che la conoscenza è imperfetta e probabilistica. In tale contesto, il procedimento scientifico non tende più alla verifica delle leggi scientifiche, ma va alla ricerca della falsificazione dei dati osservati (come sosteneva Karl Popper).

In Germania nel corso dell'Ottocento i filosofi e gli intellettuali partecipavano alla disputa sul metodo (dibattito di carattere epistemologico sulla scienza e sulla modalità di conduzione della ricerca), in contrapposizione alla concezione positivista dominante in Europa. Paradigma comprendente = metodologia qualitativa Weber.

La disputa sul metodo si articola su due versanti. Il primo è interno al dibattito tedesco, vedendo contrapposte la scuola analitica (considerava possibile una conoscenza generalizzata dei fenomeni sociali) e la scuola storicista (considerava impossibile l'assunto principale della scuola analitica, in quanto ogni evento è connotato da caratteristiche peculiari che lo rendono unico e irripetibile).

Il secondo riguarda la contrapposizione tra scienze naturali e scienze esatte. Wilhelm Dilthey riteneva necessaria una distinzione tra le scienze della natura (i cui fenomeni vanno spiegati) e le scienze dello spirito (le cui manifestazioni vanno interpretate). Wilhelm Windelban denominò “scienze nomotecniche” (le scienze esatte) che enunciano leggi a seguito dei fenomeni osservati, e scienze ideografiche (le scienze umani e sociali) che analizzano la peculiarità degli eventi.

Weber, partendo dal presupposto che è impossibile avere una conoscenza oggettiva ed esauriente della realtà, affermò che l’unico tipo di conoscenza è possibile solo in base ad una scala di valori determinati storicamente, socialmente e individualmente. Con Weber tramonta

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definitivamente l'idea che la conoscenza sia un dato da conseguire e che, una volta raggiunta, essa sia assoluta.

Infine, il ricercatore sociale deve astenersi dal giudicare i fenomeni con un metro etico. Weber conia il concetto di avalutatività che significa astenersi dal valutare un qualsiasi fenomeno per le sue implicazioni di carattere morale, ovvero giudicarlo come opportuno o come negativo; il fenomeno va analizzato come manifestazione del divenire umano.

Il metodo di ricerca di Weber si qualifica per due elementi essenziali: comprensione o empatia e il tipo ideale. Comprendere significa che il ricercatore deve mettersi sulla stessa lunghezza d’onda del soggetto agente.

Il tipo ideale non è la rappresentazione della realtà, ma una sua estrapolazione, un’ipostatizzazione (ovvero, rappresentare concretamente un concetto astratto) dei fenomeni storico-sociali che ne accentua determinate caratteristiche.

2. IL PROCESSO DI MODERNIZZAZIONE

L’avvento della società moderna e industriale rappresenta l’esito di un processo storico, compiutosi in Europa in un arco di tempo che va dalla fine del Medioevo alla metà del Settecento: si tratta di un processo di graduale cambiamento delle società occidentali, caratterizzato da un insieme di trasformazioni, e che prende il nome di modernizzazione.

Esso ha agito su quattro piani: economico (le trasformazioni hanno dato luogo all’industrializzazione, ovvero un’innovazione della produzione dei beni e manufatti, dei consumi, della distribuzione sociale dei redditi), sociale (emersione di nuove classi sociali, sviluppo di una mobilità sociale e fisica, differenziazione interna alla società), politico (caratterizzato dall’affermazione, a volte anche con la violenza, delle istituzioni tipiche delle democrazia parlamentare borghese), culturale (con l’affermazione di nuove regole di vita orientate ai valori di uguaglianza giuridica tra i membri della collettività).

La modernizzazione è il frutto sinergico dei cambiamenti avvenuti in ciascun settore.

2.1 La modernizzazione economicaLa modernizzazione economica rappresenta un processo che ha portato alla nascita e

all’affermazione della grande industria.A causa dell’introduzione delle MACCHINE nel processo lavorativo, questo viene

scomposto in singole fasi. Ciò comporta un risparmio di tempo per l’operaio che aumenta la propria destrezza, e l’accelerazione del ritmo produttivo.

L’introduzione delle macchine permette di utilizzare manodopera non qualificata abbassando ulteriormente i costi di produzione, così da rendere le merci ancora più competitive sul mercato.

Vari fattori hanno sostenuto il processo di industrializzazione: la rivoluzione agricola ha consentito, da un lato, la liberazione della manodopera agricola che si è urbanizzata e ha trovato impiego nelle fabbriche, dall’altro, ha permesso alla popolazione in crescita di ricevere i rifornimenti alimentari a prezzi contenuti.

La rivoluzione agraria in Inghilterra consistette in raccolti favorevoli e abbondanti, in coincidenza con l’allargamento del mercato agricolo dovuto all’aumento demografico, che fecero registrare un calo dei prezzi dei generi di prima necessità garantendo la sopravvivenza a tutti – evento mai verificatosi prima di allora in periodi di incremento della popolazione. Tale cambiamento comportò l’affermazione di una mentalità di tipo imprenditoriale e di conseguenza il progressivo scioglimento dei vincoli feudali.

Il processo di privatizzazione degli appezzamenti di terra fino ad allora destinati all’uso comune spinse i contadini ad abbandonare la terra. Il fatto che in campagna c’era sempre meno

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bisogno di manodopera, rappresentò una delle condizioni che diedero luogo alla costituzione del primo proletariato: i contadini senza terra si riversarono nelle città.

Altri elementi che hanno agevolato l’affermazione del capitalismo industriale sono stati il miglioramento dei trasporti, la ricerca sulle fonti energetiche, l’invenzione della macchina a vapore che permise la costruzione delle fabbriche nelle città (invece che vicino ai corsi d’acqua) e l’aumento demografico dovuto alla riduzione della mortalità.

Esaminiamo ora il passaggio dalle modalità produttive artigiane al modo di produzione industriale e capitalista. In epoca preindustriale, i beni e manufatti, destinati al consumo quotidiano, erano prodotti principalmente dalle Arti & Corporazioni che servivano un pubblico ricco e raffinato; la restante popolazione (i contadini) produceva in proprio i beni per soddisfare le proprie esigenze.

A partire dal XVI secolo le condizioni socio-economiche dell’Europa iniziano a cambiare: presso alcuni settori del ceto cittadino, arricchitosi con i commerci, aumenta la ricchezza e crescono la disponibilità di spesa; di conseguenza, si determina un aumento della domanda dei beni manufatti. A tale richiesta le Arti & Corporazioni non riescono a far fronte.

In questo periodo viene a delinearsi la figura del mercante-imprenditore, il quale inizialmente incaricava le famiglie contadine della produzione dei manufatti; in seguito, iniziò a fornire anche la materia prima e, infine, giunse ad affittare anche il macchinario necessario per la lavorazione.

Si costituì un sistema di LAVORAZIONE A DOMICILIO, il putting-out system o cottage system, ossia un modello di produzione di beni decentrato e localizzato presso la casa del produttore. La figura del mercante imprenditore sarà poi sostituita dal borghese imprenditore, il quale concentrerà le maestranze in un unico luogo di produzione, chiamato fabbrica.

Con l’applicazione delle macchine al processo produttivo, l’operaio ne diviene un ingranaggio e non è più artefice.

Il borghese imprenditore opera uno stretto controllo sui lavoratori che vengono considerati forza lavoro a basso costo con un salario di equilibrio determinato dalle forze del mercato.

Solo nella società moderna, l’operaio sarà tutelato da un corpus specifico di norme volte a regolare il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro.

Da un rapido confronto tra le modalità produttive preindustriali e quelle capitaliste emerge la radicale e profonda differenza tra i due sistemi. La società e l’economia pre-industriali erano caratterizzate dall’autoconsumo e da una scarsa propensione all’innovazione tecnica applicata al lavoro dei campi: un’economia di sussistenza, divisione del lavoro scarsa, quindi assenti le forme di investimento finalizzate al miglioramento quali-quantitativo della produzione e, di conseguenza, produttività è bassa.

Nella società capitalistica moderna il ruolo del settore primario (agricoltura, pesca e allevamento) decresce e si afferma la produzione industriale, caratterizzata dalla creazione di merci in un vasto numero di esemplari uguali tra loro, dall’applicazione della scienza e della tecnica al processo produttivo e dalla continua innovazione tecnologica, per la quale si fanno opportuni investimenti.

La differenza sostanziale è che il sistema economico medievale sia di tipo estensivo-dispersivo, mentre quello moderno intensivo-razionale.

2.2 La Modernizzazione politicaLa modernizzazione politica è stato il processo tramite il quale gradualmente si è formato lo

Stato Nazionale: esso diventa l’unica autorità preposta alla difesa armata del territorio, autorizzata al mantenimento dell’ordine pubblico e a far rispettare la legge (gli alleati del feudatario vengono sostituiti con l’esercito).

Lo stato moderno diviene l’unico ente deputato ad amministrare la giustizia e a battere moneta.

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Lo Stato moderno assume una connotazione democratica. Dalla rappresentanza politica dei ceti si passa alla rappresentanza in Parlamento, organizzata per delega, fornita dal popolo ai propri rappresentanti, periodica tramite libere elezioni. Parallelamente, si afferma il principio del consenso.

Nella lenta formazione dello Stato moderno è importante l’affermarsi della tendenza a una progressiva concentrazione del potere nelle mani dell’autorità centrale sul finire del Medioevo. Il meccanismo della concentrazione del potere si articola in due fasi: la monopolizzazione consiste nella concentrazione del potere nelle mani del signore territoriale più forte; la gestione di tale potere, che dalle mani del singolo passa a un gruppo di individui, all’interno del quale sono ripartite le diverse funzioni e i cui membri sono perciò tutti reciprocamente dipendenti tra loro (si realizza, così, il passaggio dalla fase privata a quella pubblica del monopolio.

Nasce l’esigenza di un apparato amministrativo che gestisca il potere in base alla crescente complessità della società.

La fondazione di un apparato amministrativo sempre più complesso e articolato, richiede costanti introiti per il suo mantenimento. La fonte di finanziamento principale è il pagamento di tributi da parte della cittadinanza.

Parallelamente si afferma l’idea che chi versa i tributi abbia il diritto di sapere come i soldi saranno spesi.

Nasce la borghesia che si rafforzerà a tal punto da reclamare il riconoscimento della propria funzione politica. Ciò comportava l’abolizione dei privilegi delle vecchie classi nobiliari e la rimozione degli ostacoli di natura legale, finanziaria, organizzativa alla sviluppo economico e all’affermazione economica, politica, sociale e culturale della borghesia.

La rivoluzione francese del 1789 consisterà nella conquista del potere politico, per conseguire questi obiettivi e nel riconoscimento dell’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini.

In tal modo la società si democratizza, determinandosi l’affermazione del pluralismo.

2.3 La modernizzazione socialeLa modernizzazione sociale ha prodotto il rinnovamento dell’assetto sociale complessivo

con la nascita di nuovi classi e gruppi sociali e la formazione di nuovi processi sociali. La struttura sociale tradizionale si presenta gerarchica e autoritaria, poiché la sua organizzazione risponde alla logica di appartenenza in base ai vincoli di sangue. Nella società moderna, l’individuo ha una maggiore importanza e viene riconosciuto il suo agire.

La diversa valutazione dell’azione dei soggetti è dovuta principalmente al fatto che in ambito tradizionale ciascun individuo si trova ad adempiere a una serie di compiti determinati dalla consuetudine, pressoché stabili nel tempo. La società moderna assegna a ciascuno un posto nella scala sociale sulla base di un criterio di merito; pertanto, i ruoli sono acquisiti e non derivati dall’origine famigliare o basati sull’appartenenza a uno specifico gruppo.

Nella società moderna prevale un orientamento di tipo acquisitivo, mentre quella tradizionale segue una logica di ascrizione.

Durante il Medioevo la mobilità sociale era assai scarsa, nel senso che i ranghi erano abbastanza rigidi ed era ammessa solo la mobilità verso l’alto. La mobilità sociale è, invece, una modalità per garantire il ricambio e l’utilizzazione delle risorse sociali migliori, reclutandole in qualsiasi strato sociale e riconoscendo l’importanza delle doti e talenti personali.

L’organizzazione sociale della società industriale e capitalistica è caratterizzata, rispetto alla società medievale, da due classi sociali: la borghesia imprenditoriale, proprietaria dei mezzi di produzione che offre lavoro, e il proletariato che svolge il lavoro.

Le classi sociali moderne si originano dal terzo stato che, nell’epoca medioevale, raggruppava tutti coloro che non facevano parte del primo stato (nobili), né del secondo stato (gli ecclesiastici), né dei servi della gleba.

Le società moderne, invece, hanno una struttura improntata a una crescente differenziazione funzionale interna.

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Un altro fenomeno legato alla modernità è rappresentato dalla mobilità: essa si distingue in MOBILITÀ SOCIALE e MOBILITÀ FISICA O GEOGRAFICA. Con il primo si intende il passaggio, facilitato dall’aumento della scolarizzazione, da classi e gruppi sociali diversi da quelli di provenienza in base al merito del singolo individuo. Con il secondo si intendono l’immigrazione e l’inurbamento, facilitati dal miglioramento dei trasporti.

Un’ulteriore differenza tra tradizione e modernità è rappresentata dalla famiglia che subì una trasformazione in termini di dimensione e funzionale. Dalla famiglia ‘allargata’ (convivenza di più generazioni) si passa a quella ‘nucleare’, composta dalla coppia e dai propri figli. Dal punto di vista funzionale, inoltre, mentre la famiglia tradizionale fungeva anche da unità produttiva, quella moderna è solo un’unità di consumo.

Prima dell’industrializzazione, i bambini lavoravano in campagna sotto il controllo dei genitori; successivamente, iniziarono a lavorare nelle fabbriche (come anche le donne), ma il datore di lavoro non aveva affatto cura della sorte e della salute dei piccoli operai: in quel periodo crebbe la mortalità infantile.

2.4 La modernizzazione culturalePer modernizzazione culturale si intende l’affermazione di valori, comportamenti, norme e

mentalità “moderni”. Le caratteristiche di questo processo sono: la secolarizzazione, lo sviluppo della razionalità, la trasformazione del carattere del comportamento e delle relazioni umane che si fanno sempre più impersonali.

Con il termine di secolarizzazione si intende l’affermazione di concezioni del mondo e della vita svincolate dalla religione. Ciò pone l’accento sul fatto che l’uomo è soggetto agente e faber fortunae suae. Pertanto, il mondo e la realtà circostante possono venire indagati con i mezzi e le tecniche moderne.

Questo si coniuga con il concetto di razionalità dell’uomo occidentale, e nella fattispecie dell’homo oeconomicus, consiste nel perseguimento degli obiettivi prefissati, avviene cioè in modo razionale, ossia adottando comportamenti, metodi e tecniche appropriate volte a conseguire lo scopo a costo più basso.

Il processo di modernizzazione ha indotto, nelle società europee, anche una trasformazione nella dimensione socio-psicologica. Norbert Elias ha dimostrato che l’uomo moderno ha una sensibilità diversa, assume comportamenti differenti e intrattiene rapporti diversi dal passato con i suoi simili, controlla le pulsioni e ha un maggior distacco psicologico ed emotivo nelle vicende della vita quotidiana.

Il processo di civilizzazione consiste in un passaggio graduale dalla costrizione sociale all’autocostrizione psico-sociale.

Il processo di civilizzazione si divide in tre fasi: nella prima fase prevale l’eterocostrizione; la seconda è quella della regolazione e della repressione degli istinti; la terza fase è quella dell’autocontrollo e dell’autocondizionamento, in cui si prova repulsione alla sola idea di non comportarsi in modo conforme alle maniere “civili”.

3. L’AVVENTO DELLA MODERNITÀ: IL PASSAGGIO A NUOVI ASSETTI SOCIALI

I padri fondatori avevano in comune l’idea che la storia dell’umanità tendesse al progresso e, coerentemente con l’impostazione positivista, ritenevano che il mutamento sociale ed economico fossero regolati da leggi universali. Da tale concezione discendevano due corollari. Secondo il primo il cammino dell’umanità sarebbe un PROCESSO EVOLUTIVO GRADUALE, CUMULATIVO, IRREVERSABILE e DOTATO DI UN FINE. Il secondo corollario riguarda la ferma convinzione che alla base di questo processo vi sia un PRINCIPIO REGOLATORE, i cui meccanismi debbano essere svelati e proposti in forma di leggi.

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Il primo problema che si pone è quello di ricostruire la genesi e la dinamica del mutamento e del nuovo ordine sociale. Il secondo problema è quello di comprendere i caratteri dell’accresciuta complessità e di individuare gli elementi che consentono l’equilibrio e l’ordine sociali.

3.1 Il mutamento socialeCon il termine di mutamento sociale si intende una modificazione durevole nel tempo della

struttura sociale, talmente profonda da non consentire il ripristino o da renderlo molto difficile. Sono vari i modelli interpretativi del mutamento sociale: essi si distinguono in ciclici (utilizzati dagli storici per le fluttuazioni) o lineari (i grandi autori classici del pensiero sociologico concordano su di una visione del mutamento sociale che condurrebbe verso la complessità, nel senso del progresso).

Le cause del mutamento sociale possono essere di natura endogena (interne al tessuto sociale stesso) o esogena (cause esterne). Ma come è stato interpretato il mutamento sociale dai classici del pensiero sociologico?

La versione inglese del mutamento sociale prende le forme dell’evoluzionismo sociale, il cui massimo esponente è Herbert Spencer.

I tratti caratteristici della sociologia inglese, sono rappresentati da un lato dalla centralità dell’individuo come soggetto attivo di cambiamento e dalla teoria evoluzionistica dall’altro.

Spencer conia la “legge universale dell’evoluzione” che indica il passaggio da una situazione di omogeneità, semplicità e scarsa differenziazione, ad uno stato di eterogeneità, maggiore articolazione e diversificazione interna.

Secondo Spencer, questo passaggio è dovuto alla lotta per la sopravvivenza e dunque è frutto dell’evoluzione. L’affermazione di ciascun individuo, nell’ambito della società moderna, rappresenta l’esito di una dura selezione dalla quale emergono i soggetti più forti e capaci.

Secondo Emile Durkheim la divisione sociale del lavoro innesca il mutamento sociale e ne costituisce la peculiarità.

Tra le cause che contribuiscono ai progressi della divisione del lavoro, Durkheim annovera l’incremento demografico. Esso rappresenta un’alterazione dello stato di quiete e di equilibrio dato tradizionalmente, comportando un maggior numero di transazioni e di scambi.

L’aumentata frequenza dei rapporti tra i soggetti comporta non solo una maggiore e più accentuata divisione del lavoro sociale, ma anche un’alterazione di tipo qualitativo che risiede nel senso collettivo di appartenenza alla comunità e che Durkheim chiama “densità morale”.

La costruzione teorica e l’impianto della concezione sociale elaborata e sviluppata da Durkheim si incentrano sul concetto di solidarietà, inteso come senso di condivisione tra gli esseri umani che si sentono membri di una società. La solidarietà è dunque un sentimento che fa sentire gli esseri umani uniti gli uni agli altri.

La solidarietà meccanica si instaura nelle società poco differenziate, cioè, quando sussiste una scarsa divisione del lavoro, quando vi è poca differenziazione sociale e si è in presenza di grande somiglianza e interscambiabilità tra gli individui. Nel caso di una società moderna il tipo di solidarietà è detto organico.

La solidarietà serve a mantenere la coesione sociale: nelle società più semplici, essa fortifica il senso di appartenenza e di rafforzamento reciproco; nelle società moderne, la solidarietà alimenta il senso di ciascuno di essere necessario agli altri per le sue particolari competenze e dipendente dai suoi simili per lo stesso motivo.

Se non si attua il passaggio da solidarietà meccanica a solidarietà organica avremo uno stato di anomia, descritto da Durkheim come la mancanza di regole conformi al benessere di una collettività; il termine indica la perdita dell’armonia e dell’equilibrio sociali. In una simile condizione si verificano caos, turbolenze, disordine sociale e crisi economiche.

Capostipite delle teorie conflittualistiche del mutamento sociale è Karl Marx, per il quale il conflitto è una costante della storia dell’umanità, anzi il vero motore del mutamento sociale.

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Marx si pone in forte discontinuità con la concezione organicistica di Spencer e Durkheim: dà diritto di cittadinanza al conflitto, non solo considerandolo come stato normale, ma anche in quanto elemento propulsore delle trasformazioni storiche.

Marx idealizza una società senza classi, più avanzata e moralmente superiore in quanto non più caratterizzata dallo sfruttamento e all’insegna della giustizia sociale.

Il mutamento sociale comporta la sostituzione di una classe dominante con un’altra (la storia degli uomini è storia di lotte di classi. La concezione che Marx sviluppò con Friedrich Engels circa il mutamento sociale è frutto della loro concezione materialistica della storia.

L’esigenza primaria degli esseri umani sta nel soddisfare i bisogni materiali, quindi, risulta determinante il modo in cui si producono i beni per soddisfarli. Secondo Marx ed Engels, quest’ultimo influisce sull’assetto economico-produttivo, sull’organizzazione del lavoro e sull’ordinamento sociale. Conseguentemente, il sistema di rapporti di produzione e di proprietà dei mezzi di produzione genera determinati rapporti sociali. Questo complesso di elementi costituisce la struttura economica della società o la sua base reale. Su di essa si eleva la sovrastruttura che comprende politica, diritto, forme culturali e la religione.

Giungendo a maturazione un diverso modo di produzione, si verrà a costituire, gradatamente, un nuovo sistema di produzione e di rapporti di proprietà. Nel momento in cui le nuove forze sociali, consolidatesi nel tempo, saranno in grado di affermarsi come classe dominante, si renderà necessario il rivolgimento sociale che instauri un nuovo ordine sociale, grazie al quale si procederà alla sostituzione della vecchia classe dominante con una nuova.

Anche Weber sostiene che il mutamento sociale va inteso come esito di un processo conflittuale (l’equilibrio viene costantemente messo in discussione).

3.2 Il problema dell’ordine e dell’equilibrio interni ad una società che cambiaFerguson considera le trasformazioni della società civile, avviando la sua analisi dal

passaggio della società dallo stato selvaggio a quello barbaro. In questa seconda fase compare la proprietà, che corrisponde a un nuovo modo di organizzazione sociale e a un suo migliore assetto.

Ferguson nota che l’attivismo commerciale e la proprietà privata alimentano l’egoismo e l’individualismo e teme le conseguenze negative di tali comportamenti, sostenendo che la ricerca e la cura dei propri interessi, quale unica modalità di agire in ambito sociale, finiscano con il causare la perdita del senso di comunità. Allo scopo di conciliare i diversi interessi che si formano nella società moderna, il metodo per garantire la pace sociale è quello di stingere un accordo tra i soggetti interessati: il contratto sociale è un patto flessibile che contribuisce a definire e consolidare le regole di convivenza sociale e civile.

Per il pensiero sociale inglese (Spencer) il nuovo ordine sociale va letto in chiave naturalistica e fisiologica: nella società moderna (rappresentata come un organismo complesso e maggiormente articolato rispetto al passato)ogni organo svolge il proprio compito, pertanto, l’interconnessione tra le diverse parti garantisce il benessere del corpo sociale.

Secondo Spencer, per l’equilibrio del corpo sociale è necessario che esso sia costituito da diversi gruppi, posti tra loro in relazione differenziata e complementare (darwinismo sociale).

A supporto di ciò, Spencer fa riferimento alla teoria dell’evoluzione, sostenendo che nella società, come accade nel mondo della natura, gli individui si trovano a dover lottare per la propria sopravvivenza: la vittoria di alcuni è la sconfitta di altri. Ciò non significa che i secondi debbano soccombere, piuttosto che saranno destinati a posizioni e condizioni di rango inferiore e di minor prestigio sociale.

Auguste Comte ritiene la sociologia (che chiama anche FISICA SOCIALE) la scienza destinata a consentire il governo del nuovo ordine sociale, contribuendo a fornire strumenti e metodi per il raggiungimento della pace, dell’equilibrio e dell’armonia in seno alla convivenza umana. Egli distingue la sociologia in STATICA e DINAMICA sociale. La statica sociale ha per oggetto di studio gli elementi ricorrenti e immutabili insiti nelle società umane (la famiglia), la

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dinamica sociale studia tutti quegli aspetti che possono subire delle trasformazioni nel corso del tempo.

Comte individua tre fasi che si sono succedute nel corso del tempo e a ognuno di esse corrisponde un preciso modo di intendere la conoscenza. Nel primo, stadio teologico, risalente all’epoca medioevale, le fonti del sapere erano attribuite a entità soprannaturali. Il secondo stadio è quello metafisico, in cui la ragione umana è la via maestra per la conoscenza; tale situazione porta alla compresenza di più idee spesso in contrasto tra loro, generando caos e incertezza: questa è la fase che corrisponde all’età moderna. Solo nell’ultimo stadio, quello positivo, vi sarà ordine e progresso; in questa fase prevale la scienza, alla quale tutti gli uomini accettano di assoggettarsi.

Secondo Durkheim, la disciplina che ha delineato i contorni dell’ordine sociale e si è occupata del suo mantenimento, è stato il diritto.

Le norme (intese come modalità regolative cui si conforma il comportamento dei singoli e, quindi, quello dell’intera società) fanno presa sul soggetto, hanno un riconoscimento sociale e vengono introiettate dall’individuo.

Diversamente dal pensiero di Spencer, con il quale condivide l’organicismo di matrice positivista, Durkheim basa l’interezza della società sul senso di appartenenza a essa da parte dell’individuo.

4. I CARATTERI DEL NUOVO ORDINE SOCIALE

4.1 Caratteri economici della società modernaLa divisione del lavoro, applicata al processo produttivo, è un modo di razionalizzazione

della produzione allo scopo di accrescerla. Questo comporta una maggiore disponibilità di beni e un maggior benessere per la popolazione. La divisione del lavoro consiste nella scomposizione del processo produttivo in fasi semplici che vengono assegnate a ciascun lavoratore, tale che ognuno di loro si concentri su una singola mansione.

Smith rileva come questo comporti l’abbrutimento fisico e morale delle classi subalterne, finché esse si rivelino forze sociali non in grado di favorire il progresso dell’umanità.

Per Marx il quoziente di divisione del lavoro presente in un determinato assetto socio-economico indica il grado di efficienza e di sviluppo delle forze produttive: a ciò corrispondono determinati rapporti di forza all’interno della società.

Il capitalismo ha generato due classi nella società: la borghesia imprenditoriale e la classe operaia, il proletariato. La borghesia imprenditoriale è proprietaria dei mezzi di produzione; il proletariato dispone solo della propria forza lavoro.

La merce forza-lavoro viene remunerata a prezzi di mercato, ma essa in realtà rende all’imprenditore più di quanto effettivamente costa. La giornata lavorativa ha un certa durata nell’arco della quale il lavoratore ripaga il datore di lavoro della retribuzione che questo gli corrisponde in una frazione di tempo di lavoro; il restante periodo della giornata lavorativa, in cui deve continuare ad erogare la propria prestazione lavorativa, è detta pluslavoro.

Secondo il principio della “teoria dell’alienazione”, dal momento che il borghese imprenditore è il detentore dei prodotti finiti, l’operaio è alienato, nel senso che non riconosce come suo il prodotto del proprio lavoro.

Riguardo alla contraddizione tra chi produce il bene e chi se ne appropria, Marx ed Engels definiscono il concetto di plusvalore. Lo scarto tra quanto rende effettivamente il lavoro e la sua remunerazione rappresenta per il borghese imprenditore il margine di profitto che è quantificabile.

Inoltre, Marx sostiene che la quota di plusvalore tenderebbe a decrescere con il miglioramento della tecnologia, in quanto questa, perfezionandosi, consente di impiegare sempre meno manodopera.

Per quanto riguarda la GENESI DEL CAPITALISMO, Marx ne ha ravvisato le cause nel progresso tecnico e in una serie di trasformazioni di carattere economico-produttivo.

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Secondo Weber la confessione religiosa protestante (nello specifico quella calvinista) ha avuto un ruolo nello sviluppo industriale e nella crescita economica dell’Europa centro-settentrionale. La dottrina della predestinazione, una volta secolarizzatasi, ha rappresentato un modus agendi per l’intera società, tale da favorire la nascita del capitalismo.

Infatti, per la dottrina della predestinazione, il fedele è all’oscuro del fatto se sarà ammesso alla beatitudine eterna; il fedele ignora la sorte che lo attende, ma Dio manda ai propri fedeli dei segnali. Il successo economico rappresenta un indizio di benevolenza di Dio, per questo il fedele lavora alacremente per ottenere posizioni economiche e professionali di ri1ievo.

Secondo Weber, anche un atteggiamento di tipo strutturale nei confronti del mondo ha “aiutato” lo sviluppo economico europeo, ovvero la razionalità (che significa perseguire l’obiettivo prefissato, adottando tutti i mezzi a disposizione dopo aver accuratamente selezionato quello più congruo allo scopo).

Vediamo quali sono gli altri aspetti caratterizzanti l’economia moderna. Il primo è il DENARO in quanto mezzo di scambio. Per Simmel, il denaro è un mezzo, un materiale da relazione, uno dei tanti aspetti della vita sociale, il simbolo dell’interdipendenza e dei rapporti, e quindi del carattere fondamentale della realtà sociale.

Simmel rileva come nei confronti del denaro si è sempre nutrita una crescente fiducia, tale da renderlo propulsore delle attività economiche. Ciò ha reso possibile la sua accumulazione e dunque la formazione del capitale.

Il denaro comporta alcune interessanti manifestazioni sociali: nell’economia monetaria aumenta la sfera della libertà individuale (l’intermediazione del denaro spersonalizza le relazioni, i rapporti tra fornitori e consumatori avvengono all’insegna di una reciproca indipendenza).

Lo stesso cambiamento si registra nella produzione: la relazione tra datore di lavoro e prestatore d’opera è circoscritta all’ambiente lavorativo.

L’aumento della libertà individuale come affermazione dell’indipendenza del soggetto ha come aspetto negativo una spersonalizzazione dei rapporti umani che sono sempre più basati sul calcolo e la razionalità.

Nel corso della storia dell’umanità, Thorstein Veblen riscontra come sia costante il dominio di una classe agiata a scapito di una attiva e laboriosa. La classe agiata, fondamentalmente improduttiva, usa distinguersi dalla massa grazie al proprio stile di consumo che Veblen definisce “vistoso”; tale tendenza consiste nell’accedere a beni di lusso, la cui funzionalità è la stessa rispetto alle merci prodotte per il grande pubblico, ma il cui unico scopo è quello di essere alla portata di una clientela selezionata.

Un contributo significativo alla definizione e alla fondazione della sociologia economica è fornito da Weber Sombart, secondo il quale i soggetti economici nella conduzione delle loro attività quotidiane si ispirano ad un complesso di norme e valori che rappresenta la MENTALITÀ ECONOMICA o SPIRITO ECONOMICO. L’esercizio delle attività economiche avviene in un quadro di norme formali e informali che danno luogo all’ORGANIZZAZIONE ECONOMICA. Infine, la produzione dei beni e servizi volti alla soddisfazione dei bisogni è realizzata sulla base di CONOSCENZE tecniche e di PROCEDIMENTI a disposizione della collettività.

Sombart ritiene che siano gli IMPRENDITORI la figura centrale determinante per comprendere la genesi del capitalismo moderno. Essi ‘rompono’ con il passato e abbandonano la tradizione, innescando i processi di mutamento e di sviluppo economico.

4.2 Caratteri politici della società modernaIl processo di modernizzazione ha avuto come esito la nascita della democrazia parlamentare

borghese e della società civile. Per SOCIETÀ CIVILE si intende un insieme di persone, per lo più di estrazione borghese, che costituiscono il tessuto connettivo della società e che rivendicheranno il diritto a vivere come cittadino a pieno titolo, configurandosi come componente sociale distinta dal ceto politico.

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Muta anche la fonte di legittimazione del potere. Weber distingue potere (capacità di imporsi contro una resistenza operando una forma di costrizione) da potenza (capacità di farsi obbedire, chi segue l’ordine riconoscere come lecito il comando considerando che l’autorità che emana l’ordine sia legittimata a farlo).

Il potere può essere (fonti di legittimazione del potere) di tipo tradizionale, ossia trarre la sua fonte di legittimazione dal passato; carismatico, basato sulle capacità e qualità del capo; burocratico-legale, la cui fonte di legittimazione è la legge scritta e, dunque, una forma di potere impersonale.

Riguardo ai meccanismi di regolazione della vita politica moderna, Vilfredo Pareto teorizza che la struttura sociale sia formata da una minoranza capace e in posizioni di comando, l’élite, e da una minoranza ad essa subordinata. Egli condivide (con Roberto Michels e Gaetano Mosca) l’idea che il popolo sia incapace di autogovernarsi; mentre un gruppo ristretto sarebbe, invece, in grado di gestire il potere.

Michels, autore della “legge ferrea dell’oligarchia”, sosteneva che in tutti i gruppi esiste un nucleo ristretto al vertice che tende a mantenere il potere e le posizioni di privilegio, escludendo chi non ne fa parte (la democrazia è fittizia).

Sul versante opposto alle teorie elitiste si colloca la Scuola di Francoforte, nota anche come “teoria critica della società”.

Essi pensano che sia necessario operare un’integrazione del marxismo con la psicoanalisi, in modo da comprendere le ragioni del consenso delle masse al totalitarismo. Adorno pubblicò una indagine con il titolo la personalità autoritaria.

In seguito, Erich Fromm dimostrerà che la struttura autoritaria viene interiorizzata dal singolo, il quale sviluppa un rapporto libidico con l’autorità, inibendo lo sviluppo di una personalità autonoma, capace di critica e autocritica. In questo modo si forma la personalità autoritaria, i cui tratti caratteristici sono la sottomissione nei confronti del potere e la tendenza a scaricare le proprie frustrazioni su chi è in una condizione di debolezza e inferiorità.

4.3 L’assetto sociale modernoCon stratificazione sociale si intende una gerarchia di strati sociali disposti per ordine

crescente o decrescente; i criteri di distinzione possono essere il reddito, il prestigio sociale dell’occupazione o altre variabili. La stratificazione di tipo tradizionale è basata sull’ascrizione 8qualità riscontrabili fin dalla nascita), mentre la stratificazione moderna è basata sull’acquisizione (titoli e meriti conseguiti grazie alle proprie doti o al proprio impegno).

Le interpretazioni degli autori classici a tale fenomeno sono diverse. Marx aveva contrapposto la borghesia imprenditoriale al proletariato industriale, in base al possesso dei mezzi di produzione. Però, questa struttura è molto semplificata. Weber introdusse la distinzione tra CLASSI POSSIDENTI (dispongono di rendite da cui traggono sostentamento) CLASSI ACQUISITIVE (acquistano i beni di cui necessitano sul mercato).

Weber affianca al concetto di classe sociale il concetto di CETO: nella società moderna l’appartenenza a un ceto dipende dalla condivisione dei MODI DI VITA.

La stratificazione sociale può essere distinta in stratificazione economica, politica e professionale: questi ambiti si intersecano tra di loro. Con il passare del tempo hanno acquisito sempre più importanza i cosiddetti corpi intermedi, ossia coloro che si interpongono tra lo Stato e il cittadino.

Importante è il contributo di Charles Wright Mills che introdusse il tema della rilevanza dei ceti medi, ovvero i “colletti bianchi”, e rilevò che le società di massa sono caratterizzate dall’omologazione (progressivo avvicinamento tra classi e gruppi sociali) e dalla generalizzazione degli stili di vita.

La stratificazione sociale rimanda ai concetti di divisione sociale del lavoro e di differenziazione sociale. La differenziazione sociale è un processo tramite il quale ciascuna parte o settore della società assume contorni maggiormente definiti.

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In tal modo, l’individuo allarga il campo delle sue conoscenze e accresce, di conseguenza, la sua INDIVIDUALIZZAZIONE. In questo contesto, Simmel dimostra come diminuisce e si fa meno stretto il legame tra individuo e gruppo.

4.4 Aspetti culturali del nuovo ordine socialeCon il termine cultura si intende il complesso di caratteri materiali e non materiali, che

costituiscono il patrimonio intellettuale di una popolazione; essa comprende norme di comportamento, modi di pensare, valori, usi e costumi, abitudini, lingue e simboli. Il corredo culturale viene appreso da ciascun membro della collettività nel corso del processo di socializzazione, che ha lo scopo di integrare il singolo nel gruppo.

La socializzazione si distingue in primaria (avviene in famiglia che svolge il ruolo di agente di socializzazione) e secondaria (si attua fuori dalla famiglia).

La società moderna ammette l’esistenza di molteplici visioni del mondo, di diverse concezioni e sistemi valoriali, anche in conflitto tra di loro, ciò che Weber ha definito “politeismo dei valori”. Ciò non significa che nella società moderna non esistano valori o che non ci si pongano problemi sociali. A tal riguardo, Durkheim ha dimostrato come l’appartenenza e il senso di coesione sociale condiviso da tutti i membri della società costituiscano una sorta di religione civile.

I caratteri culturali della società moderna sono stati analizzati in due aspetti rilevanti: uno considera la cultura e la conoscenza un prodotto sociale, l’altro considera la cultura come merce e quindi prodotta e venduta.

Karl Mannheim, secondo il quale la conoscenza non può aspirare a una assoluta verità, dunque, è relativa.

Mannheim è ricordato anche per il concetto di IDEOLOGIA, secondo cui ogni individuo tende a concepire la realtà secondo il punto di vista culturale, la sensibilità e l’ottica del gruppo di cui fa parte.

Un altro contributo è quello della Scuola di Francoforte e della sua teoria critica della società che ha messo in risalto come nella società moderna e capitalista prevalga la razionalità strumentale dovuta allo sviluppo tecnologico.

Secondo i teorici francofortesi l’industria culturale (che chiamano anche semicultura) oggi rappresenta lo svago offerto ai lavoratori, i quali vengono distratti dalla loro routine (il panem et circenses contemporaneo).

Quanto alle comunicazioni di massa, esse rappresentano, secondo la Scuola di Francoforte, dei mezzi atti alla manipolazione delle coscienze e hanno come risultato una produzione standardizzata, di massa, che diviene merce; ciò rappresenta uno svuotamento della “vera” cultura che è invece critica: l’unica possibilità di riscatto sta nella dialettica negativa che, ovviamente, è contraria al sistema.

5. LA SOCIETÀ COME LUOGO DELL’INDIVIDUO

Il rapporto tra individuo e società ha dato luogo a due approcci di analisi: quello macrosociologico (considera la società come un’entità generale che sovrasta l’individuo) che è l’approccio che abbiamo seguito fin qui, e quello microsociologico (pone l’accento sulle relazioni che l’individuo intreccia nel proprio ambiente e il cui prodotto ha per esito la costruzione della società).

5.1 Durkheim: l’uomo, “padrone di casa” della societàSecondo Durkheim, l’individuo e la società sono inscindibili. Egli dimostra come l’atto di

togliersi la vita non sia una questione legata all’interiorità del soggetto, ma abbia chiare cause sociali rintracciabili nel grado di integrazione nella società e di compattezza del tessuto sociale.

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Egli distingue tre tipi di suicidio. Nel suicidio egoistico prevale nel soggetto il senso dell’individualità su quello di appartenenza alla comunità. A tal proposito il suicidio viene correlato con la variabile della confessione religiosa, da cui emerge che quella protestante è quella a maggior rischio di suicidio: il soggetto, avendo sviluppato un rapporto diretto con la divinità, si suicida nel momento in cui gli viene a mancare il calore della comunità ecclesiale. Quindi, tanto più l’individuo sentirà di appartenere a una società, tanto meno si sentirà spinto a togliersi la vita.

Altre variabili correlate al suicidio sono il sesso e lo stato civile. Durkheim ha riscontrato che gli uomini tendono a suicidarsi più delle donne, perché sono maggiormente inseriti nella vita sociale, pertanto, quando questo legame si affievolisce, sono più esposti al suicidio. Per i maschi, il matrimonio è un ottimo rimedio contro il suicidio. A riprova di ciò, gli uomini vedovi tendono maggiormente a suicidarsi e si salvano nel caso di presenza di figli. Le donne tendono a compiere il gesto estremo quando la loro centralità domestica viene meno.

Il suicidio altruistico si registra quando la società prevale sull’individuo, non appena le spinte sociali nei confronti del singolo sono forti o abnormi. In tal caso, il soggetto, identificandosi con la società, si spinge fino al suicidio, rinunciando alla propria incolumità fisica.

Il suicidio anomico (tipico della società moderna) si registra nei casi in cui le regole sociali non si sono adeguate ai cambiamenti di tipo strutturale.

In conclusione, secondo Durkheim l’individuo e la società debbono essere in rapporto di consonanza, di equilibrio e di armonia, sia per il benessere psichico del singolo che per un sano andamento della vita collettiva.

5.2 L’individuo di Tönnies tra comunità e societàLa COMUNITÀ è l’unico luogo in cui l’essere umano è veramente se stesso, perché egli

non perde la genuinità dei suoi sentimenti e trova corrispondenza ai suoi affetti nell’ambiente che lo circonda. Tönnies sostiene che il senso di comunità è naturale, poiché basato sui rapporti naturali e di sangue nell’ambito della cerchia familiare.

Nella SOCIETÀ gli individui svolgono attività per l’interesse alla collaborazione di tutti con tutti, quindi è un aggregato di soggetti che stanno insieme per convenzione.

L’attività principe è lo scambio di prestazioni che ha luogo tramite l’atto di transazione; la convivenza sociale è basata sul contratto (che sancisce lo scambio), anziché sugli stati emotivi e affettivi come avviene nelle comunità. Ciò che conta nella società è il valore di scambio e il metro di misura accettato da tutti è il denaro: grazie alla mediazione del denaro avviene lo scambio.

Tanto la comunità quanto la società sono caratterizzate da un tipo di volontà che le contraddistingue: tipica della società è la volontà arbitraria che contribuisce alla formazione del pensiero, mentre la comunità è caratterizzata da una volontà di tipo essenziale che è il principio dell’unità della vita. La prima forma di volontà è più immediata e passionale, l’altra più razionale e calcolatrice, quindi l’una si contrappone all’altra.

5.3 La scuola tedescaLa sociologia e il pensiero sociale della Germania considerano la società e la modernità

come un complesso profondamente problematico.Il contributo tedesco si presenta differente dal “paradigma” positivista dominante

nell’Ottocento. L’oggetto d’analisi del suo approccio è l’agire sociale e l’interazione tra gli uomini, considerandoli costitutivi della realtà sociale (Weber e Simmel). Dal punto di vista metodologico, rivendicano la specificità della disciplina e conseguentemente l’impossibilità di usare il metodo e i criteri di ricerca tipici delle scienze naturali.

5.3.1 La teoria dell’azione socialeWeber sostiene che la sociologia si occupa dell’agire sociale, interpretandolo e spiegandolo

causalmente. Secondo Weber, non tutto l’agire umano è sociale, ma è definito tale dal senso attribuito all’azione e dal fatto che l’azione viene rivolta ad altri.

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Per Weber, fare sociologia significa interpretare l’azione di un soggetto agente – comprenderne il senso e, quindi, mettersi nel suoi panni – (“sociologia comprendente”) e, dunque, fornire una spiegazione dell’azione osservata.

L’azione è “sociale” quando il senso è attribuito all’azione sia dal soggetto agente che da colui verso cui l’azione è diretta. La spiegazione dell’azione sociale deve dar conto delle motivazioni che hanno spinto l’attore ad agire in quel modo (analisi dei nessi causali).

Weber ha rintracciato quattro diversi tipi di azione sociale: razionale rispetto allo scopo, quando l’individuo agisce per ottenere qualcosa; razionale rispetto al valore, quando alla base dell’agire sussiste una motivazione di carattere

etico, morale; affettivo, quando l’individuo agisce in base alle proprie emozioni e passioni; tradizionale, fa riferimento a prassi consolidate e che si tramandano nel tempo.

5.3.2 Società e sociologia secondo SimmelSecondo Simmmel, la sociologia consiste nello studio delle forme che assumono i diversi

tipi di interazione tra gli uomini. Simmel introduce la differenza tra forma e contenuto, segnando l’avvio della SOCIOLOGIA FORMALE.

Un altro concetto simmeliano è quello di SOCIAZIONE.La società è frutto di un insieme di combinazioni di reciprocità e di relazioni mutue e

scambievoli tra gli individui; le forme delle relazioni reciproche tra gli individui tendono a cristallizzarsi nel corso del tempo e il fatto che si stabilizzino, assumendo contorni definiti, avviene grazie al processo di sociazione.

5.4 L’azione secondo ParetoPareto constata che le azioni umane sono dettate da impulsi e passioni. Nel suo Trattato di

sociologia generale, egli individua i presupposti metodologici della disciplina: la sociologia non ricava verità assolute, ma si basa sull’esperienza e l’osservazione dei fatti. Le leggi sociologiche esprimono la probabilità delle relazioni tra i diversi elementi, attraverso il metodo induttivo, e le ipotesi formulate valgono fino a prova contraria.

Nell’agire umano possiamo distinguere elementi soggettivi, che orientano l’individuo, e gli elementi oggettivi, che sono la manifestazione concreta dell’agire. Quando gli elementi soggettivi e oggettivi coincidono (avviene raramente) si ha azione logica, in tutte le altre si hanno azioni non logiche.

Molte azioni sono dettate da componenti emotive e non razionali, passioni e pulsioni che Pareto chiama residui; gli esseri umani attribuiscono al proprio agire caratteri razionali che Pareto chiama derivazioni. Per comprendere l’agire sociale bisogna risalire ai residui che si dividono in due classi: l’istinto di combinazione (relazione tra due fattori) e la persistenza degli aggregati (la tendenza a conservare la relazione).

6. IL DILEMMA TRA MICRO E MACRO

6.1 Le MicroteorieQuesto orientamento teorico focalizza il proprio interesse sull’interazione tra gli individui e

considera la realtà sociale frutto dei rapporti tra gli uomini e della loro intersoggettività. Nell’ambito delle microteorie troviamo due orientamenti: l’interazionismo simbolico e la fenomenologia.

6.1.1 L’interazionismo simbolico

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Tale orientamento considera l’individuo nella interazione con se stesso, determinandone il comportamento sociale. L’interazionismo simbolico studia i processi mediante i quali gli individui si formano le opinioni, decidono e, conseguentemente, agiscono.

Mead concepisce lo sviluppo dell’individuo come risultato d’interazione tra gli esseri umani e il loro ambiente sociale e materiale. Accanto a questo, è importante studiare anche il mondo psichico interiore dell’individuo, frutto anch’esso dell’interazione sociale.

Alla base della psicologia sociale di Mead, e quindi dell’interazionismo simbolico, ci sono quattro elementi: il sé, l’interazione con il sé, lo sviluppo del sé e il significato simbolico.

Il sé è un processo sociale di interazione con se stessi perché consente di instaurare il rapporto con la realtà circostante sulla base dell’interpretazione che dà della stessa.

Mead individua varie componenti del sé: l’Io (impulsi), il Me (guida il comportamento del soggetto sociale), il Sé (processo sociale che include l’Io e il Me).

Nell’interazione con il sé l’individuo comunica con se stesso, si immedesima nell’altro per dirigere la sua azione.

Lo sviluppo del sé si attua seguendo diversi stadi: a circa 2 anni avviene la pre-rappresentazione e si tratta dell’azione imitativa; in una fase più avanzata dell’infanzia, l’altro generalizzato consente di assumere la posizione di un atro.

Infine, il significato simbolico che deriva dal gesto prima ancora dell’atto stesso. Il gesto interiorizzato ha lo stesso significato per tutti i membri della società.

In Herbert Blumer, l’interpretazione assume rilevanza centrale.Egli ritiene che gli esseri umani agiscano verso le cose per il significato che tali cose hanno

per loro; il significato emerge dall’interazione sociale; il significato non è dato in modo definitivo, ma si plasma sulla base del processo interpretativo del soggetto agente. Pertanto, per Blumer la sequenza dell’interpretazione sociale è: stimolo-interpretazione-risposta.

6.1.2 La fenomenologiaLa fenomenologia si occupa di come gli attori percepiscono i fenomeni nella loro

immediatezza.Edmund Husserl riteneva che la conoscenza proviene dai fenomeni sensoriali. Il concetto

viene ripreso da Alfred Schütz che concentra la sua attenzione sul MONDO DELLA VITA VITA quotidiana. Secondo la sua versione, il mondo della vita è un mondo di azioni e interazioni tra i soggetti agenti, pieno di azioni dotate di senso.

Secondo Schütz il vero senso dell’azione può essere colto solo in riferimento al progetto dell’azione e l’azione è interpretabile per il fine, oppure perché è frutto di una precisa scelta.

Per Schütz i rapporti sociali derivano da un rapporto diretto con un alter ego: è possibile cogliere il senso dell’azione altrui nei limiti in cui si raggiunge il progetto dell’agire altrui. Schütz distingue nella produzione dell’azione umana tra senso soggettivo, il che significa un rapporto di contemporaneità, e un senso oggettivo, poiché si tratta di una conoscenza estranea.

Schütz chiama il procedimento in base al quale elaboriamo i concetti, allo scopo di designarli, TIPIFICAZIONE. Tale processo rende possibile anche la conoscenza dell’altro. Viviamo, dunque, in un mondo di oggetti tipificati e li percepiamo in quanto li riferiamo all’esperienza fatta in precedenza.

6.1.3 La “seconda generazione” delle MicroteorieErving Goffman intende la vita quotidiana al pari di una rappresentazione teatrale (nei

rapporti è costante la preoccupazione per come si vuole apparire); inoltre, l’azione si adatta a seconda che l’attore si trovi sul proscenio o nel retroscena di qualsiasi istituzione. Le istituzioni totali sono luoghi in cui il singolo svolge la sua vita 24 ore su 24 e in cui viene privato della sua individualità e della propria sfera intima.

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L’ETNOMETODOLOGIA di Harold Garfinkel l’etnometodologia studia la realtà della vita quotidiana e il modo utilizzato dagli individui per dare senso alle proprie azioni, agli eventi che li circondano.

Per l’etnometodologia gli esseri umani interagiscono dimostrando di seguire le norme e valori in modo da mantenere un quadro coerente del proprio ordine sociale, dando un significato al proprio mondo.

Altre due teorie molto simili che rientrano nell’ambito microsociologico sono quelle dello SCAMBIO e della SCELTA RAZIONALE (Ruth A. Wallace e Alison Wolf fanno riferimento alla teoria di George Homans), secondo le quali gli individui agiscono solo in quanto attori razionali, perché essi debbono massimizzare gli sforzi (trovandosi in regime di scarsità di mezzi) allo scopo di perseguire il proprio tornaconto.

In conclusione, le microteorie del dopoguerra concentrano la loro attenzione sulla realtà sociale vissuta dai soggetti e su come essi la elaborano. Peter Berger e Thomas Luckmann hanno elaborato una sociologia della vita quotidiana, mettendo in luce il processo tramite cui gli individui creano con l’azione e l’interazione la realtà quotidiana come esperienza oggettiva, fattuale e significante, la quale diventa così un dato che conferisce senso a ciò che essi fanno. Tale risultato si raggiunge grazie a un processo che comprende le fasi di esteriorizzazione, oggettivazione e interiorizzazione.

6.2 Le Macroteorie6.2.1 Lo struttural-funzionalismo: Talcott Parsons

Parsons voleva fondare una teoria comprensiva dell’ordine sociale, concependo la società come un sistema organicamente coeso e connesso in tutte le sue parti e in cui ciascuna di esse riveste un compito preciso nel mantenere salda l’unità interna della società.

Nella teoria parsonsiana l’azione del soggetto agente è trattata in termini astratti e assai generali; solo un punto centrale resta fermo: il comportamento è funzionale, ossia risponde all’esigenza di mantenere e perpetuare l’ordine interno alla società e il suo assetto.

Nella teoria dell’azione sociale, Parsons formula la teoria volontaristica dell’azione, secondo cui il comportamento umano è frutto di conformità normative e aspettative, apprese durante il processo di socializzazione.

Le componenti dell’azione sociale sono le seguenti: il soggetto agente o attore che ha un fine da perseguire; l’azione si svolge in una specifica situazione determinata da condizioni e mezzi; l’attore agisce in base a norme sociali interiorizzate nel processo di socializzazione.

L’elemento volontaristico di tale teoria risiederebbe nella possibilità del soggetto di orientare l’azione secondo la situazione che vive e il ruolo che di volta in volta viene a ricoprire. Ciò non significa che l’azione sia soggettiva, ma che viene orientata secondo le circostanze, seguendo una “banda di oscillazione” che Parsons chiama pattern variables. Le VARIABILI STRUTTURALI sono cinque coppie oppositive: affettività – neutralità affettiva egoismo – altruismo universalismo – particolarismo diffusività – specificità realizzazione – attribuzione.

Indirizzare l’azione verso l’uno o l’altro dipende dalle circostanze e dal ruolo ricoperto dall’attore nel momento in cui compie l’azione.

Il RUOLO è la parte che interpreta chi si trova in una data situazione; esso indica il modo di comportarsi, valido per tutti a prescindere dall’individualità.

È necessario che chi riveste uno specifico ruolo agisca in un modo congruente con il ruolo medesimo, affinché il sistema sociale risulti integro e perfettamente funzionante.

Un altro caposaldo dell’opera di Parson è Il sistema sociale: per SISTEMA si intende una complessa intelaiatura di ruoli interconnessi e interagenti tra loro.

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Egli individua quattro bisogni fondamentali del sistema (schema AGIL o LIGA): adattamento (Adaptation) dell’individuo all’ambiente che comporta la necessità di assicurarsi le risorse per garantire la sopravvivenza del sistema medesimo; raggiungere i propri scopi (Goal); integrazione (Integration) del sistema medesimo; mantenere un livello di conflittualità basso e dunque gestire la tensione, mantenendola a uno stadio latente (Latency).

Tuttavia, non tardano le critiche alla concezione parsoniana di sistema sociale perfetto, soprattutto per aver escluso qualsiasi elemento che potesse alterare l’equilibrio all’interno del sistema. Secondo Parsons, le tensioni interne al sistema possono essere ben riassorbite dallo sistema stesso.

6.2.2 Lo struttural-funzionalismo: Robert King MertonSecondo la concezione mertoniana di DISFUNZIONE, i modelli culturali possono spingere

in una determinata direzione; tuttavia, molto spesso, per alcuni gruppi sociali svantaggiati può darsi una discrasia tra mezzi e mete: non tutti gli elementi del sistema producono adattamento. Inoltre, è necessario anche chiedersi chi sia il soggeto che beneficia della funzionalità.

Merton critica tre fondamenti del funzionalismo: l’unità funzionale, perché non tutti gli elementi culturali di un contesto sociale sono funzionali al mantenimento della società; l’indispensabilità funzionale, perché non tutte le funzioni sono necessarie a mantenere un sistema sociale coeso e integrato; il funzionalismo universale, perché non tutte le funzioni svolgono un’azione positiva.

Egli distingue, inoltre, tra funzioni manifeste e funzioni latenti; le funzioni manifeste hanno motivazioni coscienti, quelle latenti sono relative alle conseguenze di un’azione.

6.2.3 Il neofunzionalismoSi inizia a considerare la possibilità di tener conto della prospettiva micro e della eventualità

di un’integrazione con quella macro.Nello specifico, Niklas Luhmann introduce due nuovi concetti: l’autoreferenzialità consiste

nella capacità di un sistema di adottare delle decisioni in base alla determinazione delle priorità.Quanto alla complessità del sistema, essa viene progressivamente ridotta (riduzione della

complessità) e comprende un’amplia gamma di scelte e possibilità di selezione. Tale selezione permette di distinguere il MONDO (il complesso delle possibilità di selezione) dall’AMBIENTE (le possibilità di una situazione concreta): il SISTEMA si configura come la reale selezione operata.

Per Luhmann il SENSO ha rilevanza, perché aiuta nel processo di selezione e di riduzione della complessità.

7. ASPETTI E PROBLEMI DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

7.1 Brevi cenni sul contesto storico del XX secoloIl Novecento è segnato nella sua prima metà, dalle due guerre mondiali e dall’esperienza

nazista e nella sua seconda parte fino agli anni Settenta è caratterizzato da un periodo di pace e prosperità; nell’ultimo quarto del XX secolo, si assiste a un progressivo declino e a una sempre più generalizzata crisi.

Dal punto di vista economico-finanziario, il periodo del secondo dopoguerra fu caratterizzato dalla ricostruzione in Europa occidentale, dalla creazione del sistema monetario internazionale e dalla nascita del mercato comune europeo.

La ricostruzione post-bellica portò ad una propagazione del benessere sconosciuta fino ad allora: gli anni dal 1950 circa al 1980 sono stati definiti da Hobsbawm l’età dell’oro.

La crisi del modello sociale ed economico contemporaneo si verifica all’inizio degli anni Settanta a causa della dislocazione dei poteri economici in diverse parti del mondo, della crisi

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petrolifera, della cessazione della convertibilità del dollaro in oro e della caduta dei prezzi di alcune materie prime. Alla fine degli anni Ottanta si dissolve il sistema economico-politico realsocialista.

Sul finire del XX secolo e all’inizio del XXI la società di massa diviene una società globale, passando da un ordine sociale basato sulla centralità della propria collocazione lavorativa e professionale, da cui deriva la propria posizione personale e collettiva, a una pluralità di fonti (genere, etnia e cultura) cui attingere per determinare la propria identità sociale.

7.2 Aspetti e problemi economici della società contemporanea7.2.1 Le trasformazioni del capitalismo

Negli USA si compie, tra gli anni Dieci e Venti del XX secolo, la seconda rivoluzione industriale, quando Henry Ford utilizza la catena di montaggio (inizia l’era della produzione di massa) e applica i principi scientifici di Frederick Winslow Taylor.

(Nasce il fordismo-taylorismo.) La divisione del lavoro si era compiuta scomponendo il processo produttivo in singole fasi, ciascuna delle quali viene assegnata a un operaio. Con la catena di montaggio è l’operaio ad essere assegnato alla fase lavorativa.

Nell’ambito del fordismo-taylorismo una versione più soft di organizzazione del lavoro è la Scuola delle relazioni umane, frutto delle ricerche di Elton Mayo: una tipologia di gestione delle relazioni sul luogo di lavoro che punta sulla motivazione all’impegno dei lavoratori, considerandoli “risorse umane” e che tiene conto dei fattori e degli elementi anche di carattere psicologico che possono fungere da incentivo.

Nel frattempo, nell’Estremo Oriente, Tajichi Ohno (direttore della Toyota) stava mettendo a punto un metodo diverso da quello americano: abbreviamento dei tempi e allestimento veloce della produzione in modo da avere in lavorazione il pezzo su richiesta crearono una produzione diversificata.

Sono chiare le differenze con il modello fordista-taylorista, il quale è caratterizzato da un produzione standardizzata; inoltre, nel modello giapponese è il mercato che dà l’indicazione alla linea produttiva; infine, il lavoratore non è più un semplice dipendente che svolge una mansione, ma ha la responsabilità di controllare il macchinario.

Negli anni Settanta del XX secolo, il mercato era saturo dei beni di consumo di massa e il consumatore era alla ricerca di merci non fabbricate in serie. Si riducono, così, le dimensioni dell’azienda (processo downsizing).

Si apre così la fase post-fordista nella quale declina la figura sociale dell’operaio-massa.Questo contesto favorì il processo di globalizzazione della produzione che porterà alla

deindustrializzazione (processi produttivi tendenti a impiegare sempre meno manodopera) e alla crescente incertezza del lavoro.

Inoltre, donne, anziani, giovani e lavoratori con bassa qualifica e scarsa preparazione vengono espulsi dal mercato del lavoro; pertanto, si mostra necessario un costante aggiornamento delle competenze lavorative e professionali, accompagnate dalla capacità di saper gestire con prontezza ed elasticità le diverse situazioni.

Si perdono anche i diritti e le certezze del rapporto di lavoro subordinato: i costi del trattamento pensionistico ricadono sul singolo, la tredicesima, l’assenza per malattia e le ferie retribuite non sono sostenute più anche dalle aziende.

In conclusione vengono chiariti alcuni concetti fondamentali: il termine POST-FORDISTA indica una produzione organizzata secondo canoni snelli e ispirati ai criteri di flessibilità e del decentramento produttivo.

Il termine POST-INDUSTRIALE designa un ordinamento socio-economico in cui prevale il terziario (settore dei servizi) che acquisisce maggiore importanza rispetto all’industria sia per numero di addetti che per l’apporto dato alla produzione della ricchezza nazionale.

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La piccola impresa ha successo grazie a una produttività ridotta e produzioni tradizionali ereditate dall’artigianato locale. Il rapporto finale prezzo-qualità rappresenta un vantaggio competitivo.

7.2.2 Decolonizzazione e sviluppoNel 1960 l’Organizzazione delle Nazioni Unite proclamò il “decennio dello sviluppo”, nella

convinzione che con massicci trasferimenti di capitali e tecnologie dai paesi più sviluppati e grazie a una politica di interventi miranti alla costruzione di infrastrutture, i paesi arretrati potessero ammodernarsi.

Tuttavia, questo processo non fu sufficiente. Gli interventi promossi nei paesi arretrati alterarono gli equilibri interni.

Problemi da cui sono afflitti i paesi del Terzo Mondo: ciascun settore produttivo è caratterizzato da un’economia di sussistenza (produzione per l’autoconsumo) accanto alla conduzione capitalistica delle industrie multinazionali; tale coesistenza di settori moderni e arretrati è chiamata eterogeneità strutturale.

L’agricoltura, anche se con gravi difficoltà, riveste un ruolo centrale nel Terzo Mondo.L’industria è determinata sia dalla situazione interna che da contingenze esterne. Riguardo

agli aspetti interni, l’industria è debole e impiega poche persone che formano una “aristocrazia” operaia. Riguardo le influenze esterne, l’industria subisce la divisione internazionale del lavoro.

Un aspetto assai importante dell’industrializzazione è quello della tecnologia e ci si è chiesti se andassero privilegiate tecnologie moderne, che tendono a impiegare poca manodopera ma producono beni competitivi sui mercati internazionali, oppure tecnologie capace di creare posti di lavoro.

Quanto al settore dei servizi, esso è legato all’economia informale o di sussistenza, una serie di attività che si svolgono sulle strade delle città del Terzo Mondo e che vedono attivi donne e bambini.

La pubblica amministrazione (classe statale) condiziona fortemente la struttura sociale e produttiva del Terzo Mondo e non ha concorrenti.

Un altro tema particolare è il ruolo delle donne nel Terzo Mondo e l’impatto della modernizzazione sulla loro vita e, più in generale, sull’assetto sociale: i processi di modernizzazione alterano i rapporti di collaborazione tra i sessi, sconvolgono gli equilibri delle relazioni comunitarie e non permettono alle componenti sociali più deboli di beneficiare delle innovazioni.

Le donne sono svantaggiate anche in ambito lavorativo e di mercato: occupano i posti più bassi e meno retribuiti, non sono tutelate perché prive di preparazione scolastica e professionale.

7.2.3 Ascesa e caduta dello Stato interventista in economiaI primi interventi nell’economia risalgono all’epoca del New Deal (Franklin Delano

Roosvelt), quando lo Stato finanziò grandi progetti di sviluppo per le infrastrutture e per il sostegno delle aree più arretrate.

Tale filosofia è stata seguita anche in Italia per risollevare il Mezzogiorno, nel tentativo di colmare la distanza con il Nord: formare capitale produttivo anche utilizzando le forze presenti in loco.

Nel 1952 fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno, Ente destinato a contribuire alla pianificazione di opere pubbliche e alla realizzazione di politiche di sviluppo.

Un ulteriore fattore di impoverimento del Meridione è da imputare alla massiccia emigrazione che lo ha privato delle forze sociali più attive e fresche.

7.2.4 La globalizzazione

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Con il termine di globalizzazione (o modernizzazione) si intende la stretta interdipendenza degli elementi economici, produttivi e finanziari tra diverse aree geografiche; essa investe non solo gli aspetti economici, ma anche la sfera politica e gli ambiti culturali e sociali.

Uno degli elementi centrali dell’economia globalizzata è il movimento dei capitali che fluttuano in tempo reale sui mercati finanziari integrati. Altro tratto distintivo è la disponibilità di connessioni comunicative e informative rese possibili dalle nuove tecnologie.

Un ultimo fattore è la disponibilità della forza-lavoro che si adatta alle eseginze produttive e mobile (flussi migratori).

L’economia globale non coinvolge tutto il globo, ma solo alcune zone a causa della loro posizione e funzione. Dal punto di vista geoeconomico si organizzano tre poli: USA, Europa e Sud est asiatico.

Riguardo la genesi della globalizzazione è possibile affermare che dopo aver conseguito e acquisito livelli di benessere, bisogni ed esigenze si sono raffinati; il sistema e le strutture sociali si sono adeguate. Pertanto, la volontà e l’esigenza di perpetuare il modello di società contemporanea consolidatosi nel secondo dopoguerra hanno sollecitato a plasmare la realtà, inducendo trasformazioni e rompendo gli equilibri esistenti.

7.3 Aspetti e problemi politici della società contemporanea7.3.1 Il problema del consenso e le politiche sociali

Le politiche sociali sono un complesso di misure che le autorità definiscono allo scopo di sostenere i cittadini nelle loro necessità quotidiane.

Esse servono a garantire livelli minimi di reddito, di assistenza, di tutela della salute, istruzione, alimentazione, anche allo scopo di garantire l’ordine pubblico, sia per contribuire al progresso della società che per non intaccarne l’integrità.

Con l’avanzare della società moderna, i poveri e mendicanti non beneficiavano più della carità della Chiesa, ma erano abbandonati a se stessi. La soluzione inglese a ciò furono le Workhouses, in cui erano costretti a lavorare in cambio del mantenimento statale.

Il primo intervento a favore di un’assistenza sociale è stato fatto da Otto von Bismarck che varò una serie di misure di assicurazioni sociali contro disoccupazione, malattia, infortuni e vecchiaia.

Il finanziamento di tali provvedimenti era sia a carico del lavoratore che del datore di lavoro. Fino ad allora, i lavoratori industriali si erano attrezzati in proprio con le casse di mutuo soccorso non riconosciute da parte dello Stato, il quale non interveniva né attraverso contributi che con norme.

All’inizio del XX secolo i governi dei paesi europei introdussero le prime leggi di assicurazione sociale. Più tardi, Lord William Henry Beveridge ampliò il modello bismarckiano con determinate misure per garantire la fruizione di servizi di sanità, assistenza previdenziale, istruzione, abitazione e sicurezza sociale al fine di creare una CITTADINANZA SOCIALE. Tutti i cittadini potevano beneficiare di questi servizi (UNIVERSALISMO delle prestazioni).

Le INTERPRETAZIONI riguardo alla FUNZIONE DELLO STATO SOCIALE sono di natura CONFLITTUALISTA (l’intento politico è quello di neutralizzare la pericolosità del conflitto sociale e di controllare la classe lavoratrice) o FUNZIONALISTA (le politiche sociali rappresentano una necessità per l’assetto e l’organizzazione sociale contemporanea).

Negli ultimi anni si è giunti a una progressiva privatizzazione dei servizi, affidandone la gestioni ai privati, il cui fine è il profitto e non il servizio.

7.3.2 Gli assetti politici interni e internazionaliRiguardo agli ASSETTI POLITICI INTERNI, si vede il progressivo ALLARGAMENTO

DEL SUFFRAGIO nel corso del XX secolo; accanto ai movimenti dei lavoratori emergono i nuovi movimenti: studenti universitari e poi donne; successivamente, anche pacifisti, ecologisti e

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omosessuali e poi movimenti di opinio a favore di determinate iniziative (per esempio, Franco Basaglia per l’abolizione dei manicomi nel 1978).

Attualmente, sono oggetto di interesse per la politica, le questioni politiche di quei gruppi che vogliono vedere riconosciuto il diritto al rispetto della loro identità sul piano etnico, culturale e religioso (in nome di una SOCIETÀ MULTICULTURALE).

Un altro tema legato alla politica e più in particolare alla costruzione del consenso elettorale è quello relativo al RUOLO DEI MASS MEDIA nella lotta politica.

Quanto agli ASSETTI POLITICI ESTERNI, si assiste al processo di DENAZIONALIZZAZIONE, dovuto ai crescenti intrecci sovranazionali, e ai processi di decentramento che contribuiscono alla DESTATALIZZAZIONE; gli Stati nazionali devono assicurare condizioni ottimali per la produzione economica e la riproduzione sociale. Da Welfare State (organizzazione statale che fornisce servizi della sanità, assistenza previdenziale, istruzione, sostegno all’economia e politiche dei redditi) si passa a Workfare State (interventi per rendere competitiva l’economia nazionale, anche al fine di rendere il mercato del lavoro adatto alle esigenze produttive).

7.4 Aspetti e problemi sociali della società contemporaneaIl processo di modernizzazione sociale vede il nascere di classi e gruppi sociali diversi da

quelli dell’epoca premoderna.La classe media finisce per diventare molto complessa al suo interno, comprendendo figure

sociale e professionali molto diverse tra di loro: aristocrazia operai e piccola borghesia impiegatizia. Il ceto medio è la prova di come gli stili di vita della società contemporanea si siano generalizzati, grazie alla diffusione dell’istruzione, ai mezzi di comunicazione di massa, ai consumi e a uno sstile di vita urbano che impone tempi e ritmi specifici.

Tuttavia, permane una fascia di popolazione a rischio di emarginazione sociale, anche nei paesi più ricchi: ciò è dovuto a bassa istruzione e formazione professionale, razza, etnia, genere ed età dei soggetti.

Un fenomeno recente è la formazione dei working poors: ovvero quelle persone che, pur lavorando, non raggiungono la soglia minimale di reddito socialmente riconosciuta come necessaria per vivere e che non possono migliorare le proprie qualificazioni che vengono mortificate sempre di più.

Nel secondo dopoguerra, le DONNE iniziano a lavorare e quindi a percepire reddito; quelle delle giovani generazioni studiano, conseguendo titoli che agevolano l’ingresso nel mercato del lavoro: ciò modifica la struttura della società, ovvero c’è un ritardo dell’età delle nozze, quindi meno figli, anche con mezzi per il controllo della fertilità; questo, insieme al progressivo allungarsi della speranza di vita, favorisce l’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE.

Viene anche rivoluzionata e rafforzata la conduzione della casa, attraverso la nascita degli elettrodomestici.

Questi cambiamenti strutturali mettono in discussione la cultura tradizionale all’interno della famiglia: si assiste a un RIDIMENSIONAMENTO DEL POTERE E DELL’AUTORITÀ del pater familias e, più in generale, della figura maschile. La famiglia passa da ALLARGATA a NUCLEARE. Questo modello di famiglia è quello canonico borghese.

Il rapporto tra coniugi non è più considerato indissolubile. Si parla sempre più spesso di coppie di fatto, quel tipo di unione extramatrimoniale, anche allo scopo di risolvere problemi pratici.

Un altro fenomeno sono le FAMIGLIE MONOPARENTERALI: nuclei familiari formati da un solo genitore, di solito la madre. Oggi si registra una significativa incidenza di famiglie di single, cioè formate da una sola persona: ciò è dovuto a cambiamenti culturali, alla maggiore facilità negli spostamenti, alla crisi del matrimonio, alla difficoltà di stabilire relazioni durature, all’invecchiamento e quindi allo stato di vedovanza.

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Un altro aspetto interessante è quello legato al fatto che, soprattutto nei paesi ricchi, la POPOLAZIONE è in corso di progressivo INVECCHIAMENTO, da un lato perché la vita media si allunga e dall’altro perché si assiste a un progressivo calo delle nascite. L’invecchiamento crea problemi dal punto di vista dei bilanci statali (pensionati della forza-lavoro attiva) e la necessità di organizzare la cura delle persone anziane in strutture consone o presso il loro domicilio.

L’ultimo aspetto legato alle caratteristiche della stratificazione sociale, si basa sulle differenze etniche e razziali: la società diventa MULTICULTURALE. Una caratteristica peculiare della società globale è l’immigrazione.

Tutto il XX secolo è un secolo di immigrazione di popoli che si spostano alla ricerca di condizioni di vita migliori rispetto a quelle che avevano in patria, sia sul piano economico, che sul piano della sopravvivenza, per sfuggire a persecuzioni o guerre.

Ciò rappresenta un problema da gestire per i paesi ospitanti, in primo luogo sul piano organizzativo, sanitario e di sicurezza, oltre che politico e di gestione pratica di tale emergenza.

7.5 Aspetti e problemi culturali della società contemporaneaI grandi mezzi di comunicazione di massa, che nascono in epoca moderna con la stampa e si

sviluppano nella radio e nella televisione, hanno svolto un’importante ruolo nell’apertura di nuovi orizzonti, nel favorire la diffusione di nuovi comportamenti e nell’accelerare i cambiamenti; ma hanno anche accorciato le distanze e sono stati un potente fattore di integrazione.

Accanto ai mezzi di comunicazione di massa tradizionali, si collocano oggi quelli di nuova generazione che fanno perno sull’informatica e le telecomunicazioni. L’impossibilità o l’incapacità di utilizzare le nuove tecnologie comunicative rappresenta un vero e proprio ostacolo all’inclusione sociale, come dimostra il dibattito sul digital divide.

7.5.1 Il dibattito sul postmodernoIl termine postmoderno indica una “rottura” con la tradizione della razionalità, della

funzionalità, della linearità che la cultura moderna occidentale aveva tramandato almeno dall’epoca dell’Illuminismo.

Dal punto di vista teorico il postmoderno rifiuta ogni teorizzazione sistematica, privilegiando il livello microsociologico e dunque adottando quale ottica privilegiata la condizione dell’individuo e la sua percezione della realtà.

7.5.2 Culture e identità localiSembrerebbe che con la globalizzazione si proceda verso una cultura, mentalità e modi di

pensare e di agire comuni a tutti e diffusi sull’intero pianeta. Tuttavia, oggi non si può parlare di una sola cultura egemone, uguale ovunque, ma di un progressivo avvicinamento di diverse culture locali.

L’esito di tale fenomeno può dar luogo tanto a un confronto tra diversità come coesistenza di differenze di aspetti culturali e identitari, quanto a scontri di civiltà.

Il secondo elemento caratteristico è quello della convivenza tra globale e locale. La crescente apertura delle economie nazionali al mercato mondiale produce reazioni a livello locale: il locale è inserito nel globale e dunque sono due dimensioni interrelate della stessa globalizzazione. Per inciso, la capacità di essere concorrenziali a livello globale è caratteristica di un determinato territorio, di una specifica area o regione, in questo modo globale e locale s’incontrano ed entrano in relazione.

7.5.3 La sociologia del rischioLe riflessioni effettuate dalla sociologia del rischio pongono in evidenza il senso di crescente

insicurezza e incertezza circa i nostri destini individuali e collettivi, sperimentando progressivamente la perdita del controllo sulle nostre vite, proprio a opera di fattori e di elementi che fino a ieri hanno rappresentato un incentivo al miglioramento delle nostre vite.

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Come precisa Trentini, l’idea del rischio è “tipico di una società secolarizzata orientata al futuro e avanzata tecnologicamente”. La riflessione sul rischio, inoltre, è sintomatica della crisi di fiducia in cui attualmente versa il sapere scientifico.

Con il termine RISCHIO si intende l’incertezza relativa alla possibilità che si verifichi un determinato evento dagli esiti imprevisti e non desiderati. Esso è un fattore che è possibile prevenire, attraverso mezzi e strumenti che consentono un maggiore controllo sugli eventi che lo producono.

Tra gli autori della sociologia del rischio va menzionato Ulrich Beck e la sua tesi, secondo la quale la società moderna è una società a rischio duplice: il rischio è una componente della sua dinamica (rischi calcolabili e che possibile prevenire), ma è anche capace di produrlo (pericolo ambientale o distruzione atomica da cui è difficile difendersi).

Anthony Giddens condivide l’opinione di Beck e inserisce i concetto di FIDUCIA che è riferito tanto alle nostre capacità e relazioni intessute, quanto al grado di confidenza nei confronti di istituzioni e gruppi, scienza ed esperti che l’autore chiama “sistema astratti”.

Luhmann definisce rischio una conseguenza inattesa e indesiderata di decisioni prese da persone o da organizzazioni, ponendo l’accento sull’aspetto politico.

Secondo Trentini, gli ambiti in cui si addensano i maggiori rischi e pericoli sono quelli legati alle biotecnologie o ingegneria genetica, quello rappresentato dal terrorismo e l’economia.

8. TECNICHE E METODI DELLA RICERCA SOCIALE

8.1 La ricerca quantitativaLa ricerca quantitativa è formalizzata e segue uno specifico iter. In primo luogo, lo

scienziato sociale deve DETERMINARE L’OGGETTO della propria RICERCA; deve cioè circoscrivere l’argomento che lo interessa e procedere a una definizione delle aree problematiche.

Successivamente, si procede alla formulazione delle ipotesi: il ricercatore, partendo dal singolo caso preso in osservazione, può tentare di analizzarlo risalendo al corpus dottrinario della disciplina, deducendolo quindi dalla teoria.

Poi, occorre scomporre i concetti nelle loro diverse sfaccettature per renderli adattabili alla ricerca empirica (operativizzazione).

A seguito di ciò, si procede alla costruzione degli indicatori, che consente di rilevare presso l’UNITÀ d’ANALISI (ossia il singolo elemento da intervistare) la presenza o meno di ciascuna dimensione in cui è stato scomposto il concetto che si sta trattando. A ogni dimensione viene ATTRIBUITO UN PUNTEGGIO (indicatore). Il punteggio che ne scaturisce verrà sintetizzato tramite un indice, misura sintetica di tutti i punteggi rilevati presso le singole unità d’analisi per ciascuna dimensione del concetto.

Assumendo una connotazione logico-matematica, sarà in seguito possibile procedere all’elaborazione dei dati, successivamente all’individuazione degli indicatori. Il passo successivo è costituito dalla costruzione delle variabili che, infatti, assumono un valore numerico in base all’assenza/presenza della proprietà.

Le variabili sono di tre classi: le variabili nominali rilevano stati discreti (si può appartenere solo a una categoria), non ordinabili (assenza di graduatoria, gerarchia o altro valore);le variabili ordinali esprimono un ordinamento da maggiore a minore, ma non ne indicano la distanza; le variabili cardinali sono caratterizzate da un’unità di misura e ne illustrano la distanza. La principale differenza tra le variabili è quella che individua le variabili dipendenti da quelle indipendenti. La VARIABILE INDIPENDENTE rappresenta la causa di un fenomeno; la VARIABILE DIPENDENTE è influenzata dalla prima e, quindi, è l’effetto. Nella ricerca sociale generalmente l’ANALISI è MULTIVARIATA, nel senso che vengono esaminate più variabili.

Il CAMPIONAMENTO consente di selezionare dall’universo oggetto di rilevazione una serie di ELEMENTI da intervistare: il campione riporta, in scala, tutte le caratteristiche della

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popolazione oggetto di indagine. Questo è possibile, perché la caratteristica del campione è quella di essere casuale (ogni soggetto ha la stessa probabilità di essere estratto).

Il campione deve anche essere rappresentativo della popolazione osservata, ovvero i caratteri da rilevare devono essere distribuiti in modo da rispecchiare la diffusione nella popolazione.

I campioni possono essere di vari tipi: probabilistici o meno. Il campione casuale semplice è un campione probabilistico e statistico. Altri campioni probabilistici sono: il CAMPIONE SISTEMATICO, il CAMPIONE STRATIFICATO, il CAMPIONE A STADI, il CAMPIONE A GRAPPOLO e il CAMPIONAMENTO PER AREE.

Tra i campioni non probabilistici abbiamo: il CAMPIONAMENTO PER QUOTA, il CAMPIONAMENTO A SCELTA RAGIONATA, quello BILANCIATO, quello per casi in cui i soggetti sono difficili da reperire.

Un altro modo di rilevare e misurare atteggiamenti e orientamenti è costituito dalle scale, costituite da un insieme di elementi (items).

La scala più nota è quella di Likert, utilizzata per la rilevazione degli atteggiamenti. Altre tipologie di scale sono: lo scalogramma o scala cumulativa di Guttmann e quella detta della “distanza sociale” di Bogardus.

Riguardo la raccolta dei dati, le modalità contemplano l’intervista e l’esperimento. Esistono diversi tipi di interviste: quella più nota è il questionario, ma ci sono anche l’intervista strutturata (la domanda è standard e la risposta è libera) e l’intervista libera (in cui nulla è predefinito). L’esperimento viene utilizzato nel caso in cui al variare della variabile indipendente muta quella dipendente.

In molti frangenti i dati sono già disponibili e prodotti in grande messe da diversi Enti e soprattutto dalla Pubblica Amministrazione.

L’elaborazione e l’analisi dei dati sono le fasi finali della ricerca.

8.2 La ricerca qualitativaLa ricerca qualitativa è articolabile in fasi susseguenti tra loro, ma non con la precisa

scansione e linearità della ricerca quantitativa. La ricerca qualitativa assomiglia più a un processo di conoscenza.

Tuttavia, proprio a causa di questa scarsa formalizzazione nelle modalità di conduzione della ricerca e di raccolta dei dati, è fondamentale da parte del ricercatore la conoscenza della materia, la sua professionalità e la sua capacità di condurre l’indagine.

Anche in questo caso, è necessario procedere all’individuazione dell’oggetto di indagine, alla definizione delle aree problematiche, alla formulazione delle ipotesi per spiegare i fenomeni sotto osservazione. Gli stessi concetti di cui ci si avvale, sebbene non vengano operativizzati, sono attentamente vagliati, definiti e circoscritti con riferimento al tema di interesse e soggetto dell’analisi. Infine, anche la ricerca qualitativa si avvale di tecniche di indagine empirica. Relativamente all’analisi dei dati, proprio per l’assenza delle variabili, mancherà la matrice di dati e dunque non sarà possibile applicare le tecniche matematico-statistiche.

Le principali tecniche di ricerca sono l’osservazione e l’intervista, cui si accosta anche l’analisi dei documenti. L’osservazione può essere partecipante o meno: nel primo caso, si chiede all’intervistatore un coinvolgimento diretto e una considerevole capacità nel non influenzare i soggetti; il secondo caso è quello dell’osservatore esterno.

Esistono diversi tipi di intervista: quella strutturata, in cui le domande sono strutturate sempre allo stesso modo e la sequenza è uguale per tutti; l’intervista semi strutturata consiste in una traccia, una scaletta degli argomenti che interessano il ricercatore.

Esistono altri tipi di interviste che vertono principalmente sulla specificità degli interlocutori: le interviste agli osservatori privilegiati sono rivolte a chi si trova in determinate posizioni e il cui parere ed esperienza possono essere utili per la ricerca. I focus group sono colloqui

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condotti con gruppi di persone omogenee. Nelle interviste di gruppo riescono a trovare spazio argomenti che non emergerebbero nel colloquio tra il solo intervistato e l’intervistatore.

Un altro importante ambito di applicazione delle tecniche di ricerca qualitativa è quello che utilizza come materiale empirico i documenti. Essi possono essere i più svariati e comprendono sia le testimonianze scritte che quelle orali.

Dopo aver completato la raccolta del materiale empirico, si passa all’analisi dei dati, che nel caso dell’approccio qualitativo, rappresenta una fase molto delicata. In questo frangente si rivela essenziale la preparazione dello studioso e la chiarezza del disegno della ricerca che egli intende condurre, onde evitare perdite di informazioni preziose o esiti indeterminati e conclusioni incerte sulla ricerca.