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Colleferro, 18 marzo 2012 ASSOCIAZIONE NAZIONALE UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’ UNITRE - UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’ SEDE DI COLLEFERRO Via Nobel, 1 00034 Colleferro (Roma) www.unitre.info Un percorso per la conoscenza L’albero della conoscenza La vera difficoltà sta nel fatto che la fisica è un tipo di metafisica; la fisica descrive la realtà. Ma noi non sappiamo cosa sia la realtà, se non attraverso la descrizione fisica che diamo di essa”. (Albert Einstein. Lettera a Schrödinger, 1935). SINTESI Viene presentato il percorso insieme alla sintesi dell'attuale stato delle conoscenze nel campo della fisica fondamentale, della cosmologia, della nascita ed evoluzione della vita, del cervello e della mente. L'Unitre annette grande importanza alla divulgazione ed all'approfondimento di questi temi poiché aiutano l’essere umano a riflettere sul “mistero” della realtà e dell’esistenza e a rispondere anche in modo parziale e provvisorio alle domande di senso nel sentirsi parte di una realtà unica interconnessa. Si tratta perciò di ampliare un “laboratorio” di riflessione e di divulgazione che esiste da oltre quindici anni nell’Unitre ma che deve essere “esportato” in modo sistematico allargandolo anche alle neuroscienze cognitive che stanno cercando di penetrare nei meandri misteriosi del cervello e della mente. Un percorso da fare in modo attento e prudente, procedendo passo dopo passo per integrare la conoscenza e procedere alla divulgazione rivolgendosi a tutte le “sensibilità” e chiedendo il supporto di tutti coloro che hanno a cuore il pensare positivo ed il benessere spirituale dell’uomo. In realtà la scienza ha rivoluzionato i concetti di spazio, tempo, materia, di origine ed evoluzione dell’universo e della vita ed ha spazzato via molte credenze ed idee tradizionali: nessuna persona di buon senso, credente o non credente, può permettersi di ignorare questa rivoluzione.

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Colleferro, 18 marzo 2012

ASSOCIAZIONE NAZIONALE UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’

UNITRE - UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’ SEDE DI COLLEFERRO

Via Nobel, 1 00034 Colleferro (Roma) www.unitre.info

Un percorso per la conoscenza

L’albero della conoscenza

” La vera difficoltà sta nel fatto che la fisica è un tipo di metafisica; la fisica descrive la realtà. Ma noi non sappiamo cosa sia la realtà, se non attraverso la descrizione fisica che diamo di essa”. (Albert Einstein. Lettera a Schrödinger, 1935).

SINTESI Viene presentato il percorso insieme alla sintesi dell'attuale stato delle conoscenze nel campo della fisica fondamentale, della cosmologia, della nascita ed evoluzione della vita, del cervello e della mente. L'Unitre annette grande importanza alla divulgazione ed all'approfondimento di questi temi poiché aiutano l’essere umano a riflettere sul “mistero” della realtà e dell’esistenza e a rispondere anche in modo parziale e provvisorio alle domande di senso nel sentirsi parte di una realtà unica interconnessa. Si tratta perciò di ampliare un “laboratorio” di riflessione e di divulgazione che esiste da oltre quindici anni nell’Unitre ma che deve essere “esportato” in modo sistematico allargandolo anche alle neuroscienze cognitive che stanno cercando di penetrare nei meandri misteriosi del cervello e della mente. Un percorso da fare in modo attento e prudente, procedendo passo dopo passo per integrare la conoscenza e procedere alla divulgazione rivolgendosi a tutte le “sensibilità” e chiedendo il supporto di tutti coloro che hanno a cuore il pensare positivo ed il benessere spirituale dell’uomo. In realtà la scienza ha rivoluzionato i concetti di spazio, tempo, materia, di origine ed evoluzione dell’universo e della vita ed ha spazzato via molte credenze ed idee tradizionali: nessuna persona di buon senso, credente o non credente, può permettersi di ignorare questa rivoluzione.

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Indice A. RIFLESSIONI SULLE MOTIVAZIONI

­ La conoscenza ­ Realtà e verità

B. LA REALTÀ OSSERVATA DALLE SCIENZE NATURALI

1. Verso il superamento della dicotomia materia mente. L’Informazione 1.1. Informazione e realtà 1.2. Diversi approcci alla realtà

2. Una nuova interpretazione 2.1. Spazio, tempo, materia, energia 2.2. I costituenti ultimi 2.3. Il campo elettromagnetico 2.4. Gli elementi e i composti 2.5. Il campo gravitazionale

2.6. Informazione nell’Universo

3. La coscienza e la percezione della realtà 3.1. I Quanti. Sovrapposizione degli stati e indeterminazione

3.2. Non-località e entanglement 3.3. Le scienze cognitive e la coscienza

4. La vita basata sull’Informazione

5. Considerazioni finali 5.1. Visione complessiva 5.2. Il valore della conoscenza scientifica 5.3. Prospettive di una nuova visione del mondo

C. LE VIE DELLA CONOSCENZA

­ La ragione, ma non solo la ragione ­ L’estensione sociale della realtà ­ Schede varie

Nota I riferimenti bibliografici si riferiscono a testi di base e a citazioni che rivestono particolare interesse. Ci riserviamo di fornire una bibliografia più completa in sede di ampliamento del presente quadro di

sintesi.

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A - RIFLESSIONI SULLE MOTIVAZIONI La conoscenza 1, 2 Il percorso dell’uomo verso la conoscenza è stato ed è tuttora pieno di ostacoli e di difficoltà poiché la “realtà” che lo circonda e di cui è parte si presenta molto complessa, ingannevole e poco comprensibile sia dal punto di vista della percezione sensoriale che da quello del significato ultimo dell’esistenza. L’inesauribile curiosità dell’uomo unita alle sue inquietudini lo ha spinto all’osservazione ed allo studio del mondo esterno e di sé stesso in modo costante e tenace permettendogli di farsene una immagine sempre più concreta e verosimile e dare senso e significato ai fenomeni ed alle cose, sottoponendoli al controllo della ragione e determinando così quel progressivo adattamento che ha caratterizzato la sua lenta ma mirabile evoluzione. Kant ci ha insegnato che non possiamo accedere direttamente al mondo poiché tutto ciò che ci arriva da esso, il noumeno, sono le sensazioni che vengono filtrate ed elaborate dalla nostra mente che ci permette di fare esperienza delle “cose” intorno a noi. L’idealismo sostiene pertanto che gli oggetti concreti della realtà sono una creazione della coscienza che è la sola cosa che esiste, mentre il realismo ci dice che le cose hanno in ogni caso una esistenza indipendente, al di là di come le percepiamo. Sin dagli albori del pensiero umano è risultato problematico stabilire “come è” davvero il mondo e quindi “cosa sono” effettivamente realtà e verità e nemmeno le acquisizioni più recenti della scienza hanno dissipato, come vedremo, dubbi e misteri. Si pensi, ad esempio, ai colori, al rumore, ai campi fisici, alle strane proprietà delle particelle microscopiche, al tempo ed allo spazio deformati dalla presenza della massa, alle immani distese di corpi celesti, alla velocità finita di propagazione della luce ed al fatto, quindi, che guardare lontano significa vedere nel passato e così via. Ma la domanda “esiste la realtà?”, afferma in modo tranchant lo scienziato Tullio Regge 3, è “una fonte perenne di sofismi salottieri e dotte quanto futili disquisizioni. A questa domanda possiamo contrapporne un'altra: se la realtà non esiste che senso ha una domanda mai fatta da un signore inesistente? Tanto vale decidere sin dall'inizio che non abbiamo scelta, che dobbiamo comportarci pragmaticamente come se la realtà esistesse e rispondere solo alle domande che meritano una risposta. Debbo ammettere che la mia risposta è insoddisfacente e non risolve questioni di fondo.” Forse è più soddisfacente, e senz’altro sapiente oltre che in linea con lo stato attuale delle conoscenze, la risposta del fisico Michael Riordan 4 che ci ricorda come ormai sia un fatto acquisito che “La realtà fisica non è né un qualche tipo di verità oggettiva "là fuori", né un'esperienza puramente soggettiva "qui dentro". Si tratta piuttosto di una descrizione squisitamente umana dell'interazione tra l'umanità stessa e la Natura, interazione che coinvolge elementi sia della realtà esterna (il mondo fisico) che di quella interna (lo spirito, la cultura umana)”.

1 Giovanni Boniolo, Paolo Vidali, Introduzione alla filosofia della scienza, Bruno Mondadori, 2003 2 M. L. Dalla Chiara, G. Toraldo di Francia, Introduzione alla filosofia della scienza, Laterza, 2000 3 Tullio Regge, Scienza e concezioni della realtà, in Peruzzi et al, Scienza e realtà. Riduzionismo e

antiriduzionismo nelle scienze del Novecento, Bruno Mondadori, 2000, pag. 21 4 Michael Riordan, The hunting of the quark. A True Story of Modern Physics, Simon & Schuster, 1987

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Realtà e verità Nonostante i viaggi in ogni angolo del nostro pianeta, e anche oltre, nonostante la nuova scienza consenta di osservare spazi sempre più ampi che vanno dall’interno dell’atomo alle lontane galassie, sembra prevalgano “oggetti e feticci” e non l’armonia e la cooperazione che affiorano da letture sempre più sofisticate della natura. Noi ci chiediamo se il dilatarsi indistinto della barriera tra ragione e istinto sia dovuta ad una insufficiente conoscenza collettiva, oppure alla mancanza di momenti soggettivi di riflessione. Eppure, la nuova scienza ha prodotto una mutazione profonda nella visione dell’universo e del rapporto che ad esso ci unisce. Lo straordinario mutamento di concetti ed idee ha avuto origine dal una serie di eccezionali imprese intellettuali di un uomo, Albert Einstein, che diede inizio ad una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico nel XX secolo. Una fu la sua teoria della Relatività (Speciale o Ristretta), l’altra generò una innovativa modalità di considerare la radiazione elettromagnetica, la luce, che aprì la strada alla Meccanica Quantistica per la comprensione delle particelle microscopiche. Ad esse si aggiunse più tardi la Relatività Generale che mutò i concetti di gravitazione, spazio, tempo e materia e con essi la visione stessa della struttura, della “trama” del cosmo. L’osservazione del mondo atomico portò gli scienziati verso una realtà che sbriciolò le basi della loro visione classica sì da trovarsi di fronte ad una seria sfida alla loro capacità di capire il mondo. Tante e tali furono le modificazioni dei concetti fondamentali che le conseguenze epistemologiche e ontologiche furono vissute come un trauma, così che indussero il filosofo americano Filmer S. C. Northrop a scrivere: “Esiste una diffusa consapevolezza che la fisica contemporanea abbia prodotto un’importante revisione nella concezione che l’uomo ha dell’universo e dei rapporti che ad esso lo legano. Si è detto anche che tale revisione incide alla base il destino e la libertà dell’uomo, incrinando le tradizionali concezioni circa la capacità di controllare il proprio destino.” 5 Northrop parla di “sconvolgimenti”, ed è la parola giusta poiché i nuovi concetti sui quanti furono accettati con difficoltà anche dopo che ne fu completata la magnifica formulazione matematica e sono ancora oggi oggetto di profonde discussioni. Anche se gli esperimenti avevano già accertato che gli atomi non erano duri e indistruttibili, ma consistevano di vaste regioni di spazio vuoto nelle quali si muovevano entità estremamente piccole, la fisica dei quanti chiariva che anche queste entità non erano affatto simili agli oggetti solidi della fisica classica. Inoltre, fatto ancora più sconvolgente, le unità microscopiche della materia erano cose molto astratte che assumevano aspetti diversi in funzione delle modalità di osservazione: ora sembravano particelle, ora onde, e questa natura era presente anche nella luce. In effetti il concetto di realtà che emerge dalla fisica quantistica appare come una profonda frattura nella scienza moderna poiché non si può più prescindere da quanto affermato da

5 Werner Heisenber, Fisica e Filosofia, (1958), Introduzione di F. S. C. Northrop, Il Saggiatore, 2008, pag. 7

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Heisenberg: ”Noi dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in sé ma la natura esposta ai nostri metodi di osservazione”. 6 Cosa che, unita a tutte le altre scoperte delle scienze che andremo a scorrere, non può che portarci a riformulare riflessioni esistenziali ed una serie di domande di senso vecchie quanto l’uomo. Tanto che non possiamo fare a meno di chiederci insieme a Northrop: le attuali visioni ed i nuovi paradigmi “che cosa permettono od esigono che l’uomo pensi di sé in rapporto all’universo in cui vive?” 7 Se accettiamo di dedicare qualche momento del nostro tempo a questa domanda, allora possiamo pensare di rivolgere la nostra attenzione anche oltre l’orizzonte degli “oggetti e feticci” e finalmente domandarci e domandare: ­ che ruolo ha la scienza della natura nel comprendere il mondo? ­ se le conoscenze scientifiche sono certamente fonte di ispirazione positiva e di benessere

spirituale, quanto riescono a descrivere la realtà e coglierla nella sua globalità?

6 Ibidem, pag. 73 7 Ibidem, pag. 8

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B - LA REALTÀ OSSERVATA DALLE SCIENZE NATURALI

Giuseppe Torti

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B - LA REALTÀ OSSERVATA DALLE SCIENZE NATURALI 1. VERSO IL SUPERAMENTO DELLA DICOTOMIA MATERIA-MENTE. L’INFORMAZIONE Per ragioni storiche legate alla tradizione filosofica e religiosa è prevalsa l’idea di separare l’esperienza soggettiva del “sé” da un mondo separato dal sé. Seguendo questa separazione ­ la conoscenza del cosiddetto mondo fisico e’ prerogativa della scienza, mentre ­ la conoscenza di pensieri, emozioni e sentimenti è affidata alla filosofia ed alla religione. Anche non invocando le recenti acquisizioni scientifiche rimane il fatto che e’ nel cervello che viene elaborata “l’informazione” sensoriale che proviene dalle “cose” e pertanto la realtà, qualunque cosa sia, non è nulla di diverso da ciò che percepiamo poiché tutto quanto possiamo conoscere è solo ed esclusivamente l’immagine che appare nella nostra mente. Dunque anche gli oggetti che noi chiamiamo “materiali” sono in qualche modo collegati alla nostra mente come effetti del tutto immateriali che ci rappresentano il mondo. La scienza incontra grosse difficoltà a comprendere il funzionamento del cervello e brancola ancora nel buio circa l’apparire degli stati di coscienza, ma è opinione diffusa tra gli studiosi che anche le esperienze più soggettive, quelle ritenute appartenenti al mondo della mente, hanno un qualcosa che li ricollega al mondo fisico. E le cosiddette neuroscienze cognitive hanno appunto l’obiettivo di studiare e comprendere il legame tra mente e cervello con approccio interdisciplinare, partendo dalla considerazione che i fenomeni cerebrali ed i processi mentali sono manifestazioni di una unica realtà che peraltro si può cogliere solo mediante la mente umana. I successi ottenuti sia in ambito teorico che sperimentale hanno fatto crescere notevolmente l’interesse nell’ultimo decennio anche se una effettiva comprensione dei fenomeni legati alla coscienza appare ancora piuttosto remota. Questa è dunque l’attuale tendenza a considerare i due aspetti come oggetto di studio sotto una stessa prospettiva unificante che tende ad utilizzare gli stessi metodi per tutto l’esistente. D’altronde è opinione diffusa che la mente, a seguito di un lungo processo evolutivo, si sia sviluppata proprio per adattamento al mondo fenomenico che essa analizza e decodifica e risulterebbe quantomeno strano se non riuscisse a comprenderlo, anche se la cosa in fondo non è così evidente come sembra e merita ulteriori approfondimenti.

1.1. Informazione e realtà 8, 9, 10 Ed è proprio l’emergere di questo nuovo concetto di Informazione che caratterizza le ricerche più avanzate di questo periodo, dalla fisica alla biologia, alla genetica, alla neurofisiologia e che si afferma sempre più come denominatore comune nella comprensione della realtà in un’ottica unificante. Una visione in crescente sviluppo e che

8 Anton Zeilinger, Il velo di Einstein, Einaudi, 2005 9 Hans C. Von Baeyer, Informazione, Dedalo, 2005 10 Charles Seife, La scoperta dell’universo. I misteri del cosmo alla luce della teoria dell’informazione, Bollati

Boringhieri, 2011

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avrà un impatto notevole sulla conoscenza nei prossimi decenni visto che costituisce un importante terreno di dialogo e di collaborazione interdisciplinare. Tale necessità è emersa dapprima nella fisica fondamentale a seguito delle difficoltà incontrate nel comprendere la struttura fine del cosmo (spaziotempo) poi si è estesa anche alle scienze della vita ed ha contagiato anche le discipline collaterali. Né poteva essere altrimenti visto che la vita, e in essa l’essere cosciente, gioca un ruolo fondamentale nelle relazioni privilegiate che intrattiene con il cosmo di cui è parte. Con il risultato che la “materia” così come è stata vista e comunque indicata fino alla fine del secolo trascorso (massa, energia, spaziotempo, onda, energia del vuoto quantistico …) ha viepiù perso il suo ruolo di “sostanza” fondamentale e costituente del mondo: da sola non bastava più, era necessario qualcos’altro che la integrasse e poi addirittura la superasse: l’Informazione. L’universo è fatto anche, se non soprattutto, di Informazione che in qualche modo presiede alle attività della materia in quanto dice ad essa cosa deve fare. Pur mettendo da parte l’interesse specifico degli specialisti che stanno cercando modelli matematici sempre più esaustivi, non può sfuggire il fascino di questa nuova “sostanza del mondo”, sempre più immateriale se possibile, in grado di risolvere difficoltà di colloquio tra le varie manifestazioni della realtà e mirante ad una visione complessiva che esalta ancor più il ruolo dell’essere cosciente e la sua sintonia con la natura. L’Informazione dice in che modo gli oggetti fisici interagiscono tra di loro, e regola l’alto ed intricato livello di comunicazione tra i costituenti della realtà universale Ed è forse proprio questo il modo più efficace di cogliere l’Informazione: un colloquio stretto e continuo dell’universo con le sue parti. La Fisica di oggi ci dice che di fatto l’intero universo è praticamente “vuoto”: siamo abituati a pensare allo spazio come vuoto e alla materia come solida, ma in realtà anche nella materia non c’è assolutamente nulla: essa è completamente insostanziale, immateriale. Pertanto ciò che si può dire sulla non sostanzialità della materia è che è come un pensiero o come una quantità elementare (bit) di informazione scambiata. 11 La realtà universale è in pratica un sistema organizzato ed intercorrelato: le cose non sono costituite da altre cose ma da “entità” vibranti che si scambiano Informazione.

1.2. Diversi approcci alla realtà Certo, viene da chiedersi cosa c’è dietro l’informazione, se è insita o meno nei campi dello spaziotempo, e in caso lo sia da dove proviene: ma diventa un percorso senza fine che può essere fatto solo affidandosi alla sensibilità personale, in funzione dell’approccio con cui si vuole cogliere la causa ultima, in definitiva del proprio anelito di verità. La scienza parte dal basso ed usa classicamente il metodo riduzionista, ma l’uomo si pone comunque domande che vanno oltre i confini delle conoscenze acquisite e trascendono la realtà e la natura. Si tratta appunto di quelle esigenze metafisiche che mirano alla comprensione dell’intera realtà attraverso uno schema interpretativo che ogni persona non può evitare di costruirsi per poter affrontare la vita e dare un significato alle cose ed agli eventi. Pertanto è utile sottolineare sin da ora come conoscenza scientifica e approccio credente non siano in alcun modo in contrasto in quanto rispondono ad esigenze diverse che si

11 Seth Lloyd, Il programma dell’universo, Einaudi, 2006

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integrano e completano a vicenda, così come appaia privo di senso che l’una cerchi di prevalere sull’altro o addirittura ad esso pretenda di sostituirsi. Se tutto ciò è vero, o almeno condivisibile, la divulgazione di queste acquisizioni è estremamente importante poiché aiuta l’essere umano a riflettere sul “mistero” della realtà e dell’esistenza e a rispondere anche in modo parziale e provvisorio alle domande di senso. Si tratta perciò di ampliare un “laboratorio” di riflessione e di divulgazione che esiste da oltre quindici anni nell’Unitre ma che deve essere “esportato” in modo sistematico allargandolo anche alle neuroscienze ed alle discipline cognitive in genere. Ma si tratta di un percorso da fare in modo attento e prudente, procedendo passo dopo passo per integrare la conoscenza e procedere alla divulgazione rivolgendosi a tutte le “sensibilità” e chiedendo il supporto di tutti coloro che hanno a cuore il pensare positivo ed il benessere spirituale dell’uomo. E’ l’obiettivo principe di questo progetto intorno al quale l’Unitre sta raccogliendo ogni risorsa disponibile. Per meglio inquadrare il contesto in cui muoversi viene riportata di seguito una sintesi di alcuni aspetti salienti delle acquisizioni di 150 anni di progressi inauditi che rivelano tuttavia anche i punti di debolezza della scienza attuale. 12

12 I riferimenti bibliografici si riferiscono a testi di base e a citazioni che rivestono particolare interesse.

Ci riserviamo di fornire una bibliografia più completa in sede di ampliamento del presente quadro di sintesi.

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2. UNA NUOVA INTERPRETAZIONE 2.1 Spazio, tempo, materia, energia 13, 14, 15, 16 17

Con la nascita dell’universo è apparso lo spaziotempo e, all’interno di questo o come suoi costituenti, si sono manifestati i campi di energia che hanno originato i componenti della “materia” nonché i campi di Informazione: dunque la dialettica energia-Informazione. Dai tempi di Newton e per i successivi 250 anni lo spazio, il tempo e la materia erano dati e basta, ed esistevano in modo indipendente l’uno dall’altro, ed erano concetti tanto radicati nella mente di filosofi e scienziati da essere considerati vere e proprie caratteristiche della natura. Del resto “ l’ontologia, la branca della filosofia che studia il problema di ciò che esiste, ci insegna che una qualunque entità può esistere in senso concreto se e solo se esiste nello spazio e nel tempo, ovvero se e solo se ha una collocazione o un’ estensione spaziotemporale ben definita”. 18 Usando una metafora di Paul Davies 19, se paragoniamo la natura a una rappresentazione teatrale nella quale gli atomi che compongono la materia sono gli attori e lo spazio-tempo costituisce la scena, possiamo dire che gli scienziati dell’epoca ritenevano di doversi occupare soltanto della trama. Inoltre lo spazio e il tempo apparivano quasi ovvi per via della loro naturalità poiché lo spazio era il contenitore delle cose ed il tempo scandiva la successione dei loro movimenti. Ma dietro di essi si celavano dilemmi, contraddizioni e paradossi di ogni tipo come spiegherà Einstein a partire dal 1905. Come visto, ci appare naturale dire che lo spazio ed il tempo esistono in quanto esistono le cose materiali e i loro movimenti, ovvero qualunque cosa può esistere solo se occupa una certa porzione dello spazio e del tempo. Ma possiamo distinguere in modo preciso il luogo (dello spazio) dalla cosa (nello spazio)? “ Nessuno si sentirebbe di poter identificare una cosa con lo spazio che questa occupa, ma operare chiaramente la loro distinzione non è facile. Lo spazio esiste, ma il modello di ciò che esiste è la cosa corporea, dalla quale noi vogliamo differenziare lo spazio che essa occupa. Il dilemma si può formulare in questi termini: “se il luogo è corporeo non potrai distinguerlo dalla cosa, se è incorporeo non potrai affermare che esso esiste”. 20

13 V. Allori, M. Dorato, F. Laudisa e N. Zanghì, La natura delle cose, introduzione ai fondamenti e alla filosofia

della fisica, Carocci, 2005 14 Brian Greene, La trama del cosmo, Einaudi, 2004 15 Silvio Braccesi, Per una storia della fisica del ventesimo secolo, Bononia University Press, 2008 16 Paul Davies, I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, Mondadori, 1997 17 La Fisica delle particelle elementari, http://www.fisicaparticelle.altervista.org/links.html 18 V. Allori, M. Dorato, F. Laudisa e N. Zanghì, La natura delle cose, introduzione ai fondamenti e alla filosofia

della fisica, Carocci, 2005, pag. 16 19 Paul Davies, I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, Mondadori, 1997, pag. 6 20 Giulio Napoleoni, Filosofia, racconti, appunti,http://giulionapoleoni.blogspot.it/2008/10/spazio-e-

tempo.html

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In realtà il nostro senso comune è fortemente influenzato dalla geometria euclidea, cui da sempre abbiamo delegato l’interpretazione delle proprietà dello spazio reale, ma per essa “ … distinguere il punto dal suo luogo è in realtà impossibile. Il più elementare degli enti geometrici, infatti, è concepito come privo di dimensioni”.21 Ma più che impossibile è meglio dire che non ha senso in quanto non compare nei postulati di quella geometria e pertanto non previsto, non consentito. Nel III secolo avanti Cristo Euclide si era concentrato su ben altri problemi nel creare quella monumentale struttura matematica e si era solo premurato di dare al “luogo” del punto e della retta certe caratteristiche di omogeneità e di isotropia (quelle appunto dello spazio) previste nel 4° Postulato e rimaste misteriose fino al XIX secolo. Punto, retta e piano, così come visualizzati nelle nostre menti, non consentono di distinguere la loro esistenza da quella dello spazio che occupano. La geometria euclidea per millenni è stata considerata la struttura vera del mondo e, dopo Newton, Kant ha addirittura eretto lo spazio euclideo alla dignità di “forma di intuizione a priori” connaturata con le nostre facoltà cognitive. In realtà, lungi dall’essere una forma a priori della nostra mente, la geometria euclidea non è nemmeno una descrizione veritiera del mondo, con buona pace di Kant. Con la Relatività Ristretta del 1905 le cose peggiorano e a questi paradossi se ne sommano altri che Einstein man mano rimuove fino ad individuare una nuova nozione di tempo che incide sul concetto stesso di spazio stravolgendone la struttura istante per istante insieme ai fenomeni fisici che esso ospita. Su questo torneremo in sede di approfondimento. “In conclusione possiamo dire che il modo nuovo in cui la fisica ha elaborato le nozioni di spazio e di tempo, e in connessione con queste anche la nozione di cosa materiale (soprattutto con il concetto di campo), ci obbliga a rivedere i nostri significati del termine “realtà” e apre la nostra mente verso nuovi modi di pensare ciò che esiste, e quindi può fornirci anche categorie nuove per pensare la nostra esperienza. In particolare notiamo che l’evoluzione della fisica sembra mostrare ai filosofi, ma più in generale a tutti noi, che la realtà è spesso irriducibile alle coppie concettuali con cui cerchiamo di rappresentarla: spazio/tempo, passato/futuro, oggetti/eventi, sostanza/relazione, cosa/luogo, pieno/vuoto, corporeo/incorporeo, esistente/inesistente, discreto/continuo, e forse anche altre, sono distinzioni concettuali a cui siamo abituati ma che saremo costretti sempre più a rivedere (a meno che la filosofia, e la cultura in generale, non scelgano, come purtroppo spesso fanno, di ignorare i progressi della conoscenza scientifica).” 22 Tuttavia nel XIX secolo era ancora possibile credere che la fisica avrebbe raggiunto la sua completezza solo quando fosse riuscita a rendere conto delle forze che agiscono fra le particelle di materia e di come queste si muovono sotto l’azione di quelle. Tutto si riduceva alle forze ed al moto. Oggi, invece, la Fisica vuole comprendere l’intera opera: attori, scena e trama. Essa infatti cerca di dare una spiegazione esaustiva dell’esistenza e delle proprietà di tutte le particelle elementari, dello spazio e del tempo, nonché dei processi in cui sono coinvolti, inclusa l’informazione cosmica e la vita.

21 Ibidem 22 Ibidem

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Non a caso la Fisica aspira a creare visioni sempre più complete e a costruire una unica teoria che spieghi la maggior parte se non tutti i fenomeni (GUT: Grand Unification Theories, TOE: Theory of Everything), cercando di dimostrare che tutte le forze che osserviamo in natura sono manifestazioni di un’unica forza fondamentale. Il fatto sconcertante è che non è chiaro alla Fisica cosa sia esattamente lo spazio, cosa sia il tempo né se la materia e l’energia siano nello spaziotempo o ne siano costituenti. Né sa se materia ed energia creano lo spazio ed il tempo. Ma è certo che non si può avere tempo senza spazio, né spazio senza tempo: essi formano un unicum interagente, lo spaziotempo, che si modifica in presenza di massa ed energia. Inoltre oggi appare corretto dire che lo spaziotempo non è un contenitore, al punto che se sparissero la massa e i campi gravitazionali, verosimilmente non rimarrebbe nulla, neppure uno spaziotempo vuoto. Del resto, come ben noto, non esiste il vuoto immaginato dagli scienziati fino alla fine del 1800. E in questo contesto opera la speciale forma di energia che è la luce. La sua velocità è assoluta: identica in tutte le direzioni, qualunque sia la velocità della sorgente, la stessa per tutti gli osservatori qualunque sia la loro velocità. Hermann Weyl, che frequentò Einstein ai tempi della sua permanenza a Princeton, ha reso molto bene l’idea che aveva della luce: “Tutti i corpi in moto sono definibili razionalmente in termini di spazio e tempo, e lo spazio e il tempo sono definibili razionalmente in riferimento alla luce, ma la luce non è definibile in riferimento a niente altro. La luce ha uno statuto fisico e metafisico unico nell’universo”. La luce non essendo definita con altro riferimento che se stessa, è la grande costante. Luce, materia, energia, spazio e tempo non sono cose separate e quindi collegate da leggi esterne ma sono aggregati in un unicum che regola le loro mutue relazioni.

2.2 I costituenti ultimi 23, 24, 25 Negli ultimi due secoli la scienza non ha fatto altro che esaminare la struttura della materia, dividerla in granuli sempre più piccoli per studiarne le proprietà e scoprire i “costituenti ultimi”, ossia i “mattoni elementari” dei filosofi greci, con i quali poter costruire tutto ciò che esiste. Insomma: “L’idea di fondo di tutte le indagini sulle forze è che rompendo la materia in pezzi sempre più piccoli alla fine dovrà emergere la vera struttura elementare. Fino a un certo punto i risultati hanno corrisposto alle aspettative. In primo luogo, lo studio delle molecole ha consentito una buona comprensione delle proprietà dei gas e dei solidi; quindi rompendo le molecole in atomi si sono chiarite le proprietà del legame chimico. Allontanando gli elettroni dagli atomi si è visto da dove proviene l’elettricità e come la luce può essere emessa ed assorbita, e spezzando il nucleo medesimo si sono scoperte forze totalmente nuove. Infine, l’interno dei nucleoni ha rivelato un livello di struttura ancora più elementare e l’esistenza di ulteriori forze”. 26

23 Leon M. Lederman, David N. Schramm, Dai quark al cosmo, Zanichelli, 1991 24 Brian Greene, La trama del cosmo, Einaudi, 2004 25 Carlo Rovelli, Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio?, Di Renzo Editore, 2005 26 C'è un limite alla comprensione? Da: La Fisica delle particelle elementari,

http://www.fisicaparticelle.altervista.org/comprensione.html

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Così sono emerse le molecole fatte di atomi che a loro volta presentano una struttura interna molto complessa alla base della quale vi sono elettroni e nuclei. Ma gli atomi, che formano le molecole scambiando o mettendo in comune uno o più elettroni responsabili dei cosiddetti legami chimici, hanno nuclei formati da protoni e neutroni tenuti insieme dalle forze nucleari; di nuovo sia il protone che il neutrone non hanno una struttura semplice poiché sono costituiti da tre quark ognuno. Ed i quark complicano notevolmente la situazione poiché, anche se sono considerati indivisibili, in natura non è possibile osservarli separati e non sono i costituenti elementari visto che gli atomi sono fatti anche di elettroni oltre che di altre particelle (bosoni) responsabili delle forze di legame. Quindi la fisica è ancora alla ricerca di detti costituenti ed ha elaborato una teoria, il Modello Standard, che intende descrivere sia la materia che le forze che agiscono tramite “mediatori” come i fotoni per la forza elettromagnetica. Ma la gravità, che pure è la forza di gran lunga più familiare, non è prevista dal Modello Standard che pertanto non è ancora una teoria completa poiché, oltre a non prevedere un unico costituente elementare, non spiega completamente la natura del mondo. Questo è il motivo per cui la fisica, da qualche decennio, sta perseguendo la comprensione completa delle particelle, delle forze, dello spazio e del tempo e vuole risolvere l’incompatibilità tra la gravità della Relatività Generale, che riguarda il mondo macroscopico, e la Meccanica Quantistica che si riferisce al mondo microscopico. Di qui l’esigenza di mettere a punto una teoria unica che cerchi di spiegare tutto come la Teoria delle Stringhe che prevede uno spazio continuo a 11 dimensioni con entità fondamentali, le stringhe, che con le loro vibrazioni danno origine alla materia ed alle forze, o come la Gravitazione Quantistica a Loop che prevede addirittura uno spaziotempo discontinuo, cioè costituito da elementi separati 27, quando arriviamo alla minima dimensione consentita, la lunghezza di Planck (10-33 cm). Insomma, oggi si pensa che tutto lo spazio, macro e microscopico, sia costituito da una griglia di entità invisibili ed immateriali, i “campi” (elettro-magnetico, nucleare, gravitazionale), e le particelle non sarebbero altro che eccitazioni, perturbazioni che si propagano lungo la griglia stessa. “ Fino a che punto si può seguire questa strada? Non ci siamo forse già impantanati al livello dei quark, i quali non possono essere studiati separatamente nemmeno in linea di principio, e le cui proprietà si manifestano solo nel comportamento collettivo? E non potrebbe allora il nostro attuale livello di comprensione essere solo un’isola di semplicità, a metà strada tra la complessità macroscopica e quella submicroscopica? Se è così, dovremmo porci domande completamente diverse da quelle abituali riguardo all’organizzazione del mondo microscopico, e invece di interrogarci sui costituenti della materia, studiare forze e campi come un tutto integrato. Preoccupati come siamo della forma dei tasselli e di come possono adattarsi l’uno all’altro, potremmo infatti non vedere la figura d’insieme.

27 Separati è utilizzato per esigenze discorsive. Qui in effetti non ha senso poiché, comunque sia ipotizzata la

struttura, non può esservi separazione tra un elemento di spazio e l’altro poiché ivi non può esistere spazio.

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Nel secolo XVII l’uomo si trovò di fronte a un radicale mutamento di prospettive, nel momento in cui si rese conto di quanto la Terra fosse piccola e insignificante rispetto alla vastità dell’universo. In questo secolo abbiamo guardato in direzione opposta, nelle segrete profondità della materia, e abbiamo provato nuova meraviglia per quest’altra rivoluzione. La materia apparentemente solida dei nostri sensi ha ceduto la strada a un mondo immateriale di particelle effimere e alla mutevole complessità delle loro interazioni senza fine; un mondo nel quale strane leggi di conservazione combattono la casualità quantistica e riescono a impedire la discesa senza freni verso il caos e la distruzione. Dei vari aspetti che emergono dal nostro studio del mondo microscopico, quello che senza dubbio incute maggiore riverenza è la straordinaria ingegnosità che la natura ci rivela.” 28 E’ tuttavia opportuno, quando cerchiamo di rappresentarci il mondo, non pensare che esso è fatto da particelle e campi che vivono in quel qualcosa che in modo istintivo chiamiamo “spazio”, ma da particelle e campi che vivono uno sull’altro, oppure uno dentro l’altro. Anche se dire “dentro” oppure “sopra” in questo caso non ha più senso poiché i riferimenti vengono a mancare in quanto si è dissolto il concetto di spazio. E’ come chiedersi: cosa c’era prima del Big Bang? Non ha senso chiedere cosa c’era (dove?) prima (quando?) visto che il tempo e lo spazio sono comparsi con il Big Bang stesso. “Lo spazio che Newton aveva descritto come una tavola fissa, in realtà non esiste; quello che esiste è il campo gravitazionale: un oggetto fisico che può muoversi. Quindi il mondo non è fatto di particelle e campi che vivono nello spazio, ma da particelle e campi che vivono su un altro campo, cioè campi che vivono, per così dire, uno sull’altro. E’ sul campo gravitazionale, o dentro il campo gravitazionale, che noi viviamo, non su uno spazio-tavola fisso”. 29 E’ questo insieme di campi sovrapposti ed interagenti che ha preso il posto del vecchio spazio immutabile ed eterno di Newton. Dunque, massa ed energia comunicano, scambiano Informazione con lo spaziotempo che “vive”, cambia, si modifica. Ma l’Informazione di ritorno obbliga massa ed energia ad adattarsi al nuovo profilo dello spaziotempo e, così modificate, inducono altri scambi con lo spaziotempo, quindi altre modifiche di questo e così via, in un gioco senza fine. E’ l’Informazione quindi che regola scambi e trasformazioni all’interno di quell’unicum in cui l’energia sostiene, si fa carico dei mutamenti. Questa è in poche parole la dialettica energia-Informazione. La Fisica di oggi sta spendendo le sue migliori energie per entrare in questa dialettica primordiale per comprendere la natura degli enti interagenti e quindi del meccanismo intimo che è alla base di tutto l’esistente. Si può già ben intuire come, senza una miglior comprensione di tale dinamica, risulti molto difficile se non impossibile entrare nei meccanismi più profondi che hanno portato all’origine della vita, soprattutto di quella autocosciente.

28 C'è un limite alla comprensione? Da: La Fisica delle particelle elementari,

http://www.fisicaparticelle.altervista.org/comprensione.html 29 Carlo Rovelli, Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio?, Di Renzo Editore, 2005, pag. 16

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2.3 Il campo elettromagnetico Quando un elettrone atomico riceve una quantità di energia sufficiente si sposta in un’orbita più’ alta. Da questo stato ritornerà allo stato precedente restituendo l’energia eccedente sotto forma di un fotone: si tratta di uno scambio di informazione per poter cambiare di stato. E’ il modo di comunicare tra protoni del nucleo ed elettroni periferici, con un linguaggio ben preciso tra due entità vibranti diverse: noi per convenzione diciamo che hanno cariche elettriche opposte (positive e negative) e chiamiamo forza elettromagnetica questo scambio incessante. Ma anche i protoni del nucleo (tutti con carica positiva) comunicano tra di loro e si tengono uniti con un legame molto più resistente e stabile (forza nucleare forte) per dare origine ai vari elementi chimici che esistono in natura a seconda del numero di protoni coinvolti. Un legame talmente forte da vincere con facilità sullo scambio elettromagnetico che vorrebbe allontanare i protoni e impedire la formazione del nucleo. La luce nella forma di fotoni mette a posto i bilanci energetici durante gli scambi cosicché in quegli addensamenti che costituiscono le cose (non è il caso di dire all’interno della materia, poiché non c’è un interno, non c’è un esterno, non c’è materia) è tutto un andirivieni di luce che va a sanare debiti e crediti di energia man mano che procede l’enorme numero di scambi.

2.4 Gli elementi e i composti Dunque, un elettrone ed un protone si scambiano informazione per diventare un atomo di Idrogeno. Ma l’atomo di Idrogeno non è un elettrone ma non è nemmeno un protone poiché è l’intercomunicazione che si istaura tra i due che li lega in una relazione che fornisce loro caratteristiche del tutto diverse. L’acqua è un continuo fluire di Informazione fra due atomi di Idrogeno ed uno di Ossigeno che “colloquiano” e collaborano ma non perdono le loro caratteristiche individuali poiché c’è sempre modo di riportarli ad elementi separati cedendo loro una precisa quantità di energia. Ma l’acqua non è Ossigeno e non è Idrogeno ma è un loro modo particolare di comunicare e rimanere legati, una loro tendenza naturale. Fruttosio e Glucosio sono molecole organiche: sono fatte esattamente degli stessi elementi (6 atomi di Carbonio, 12 di Idrogeno, 6 di Ossigeno) ma non sono lo stesso zucchero ed hanno proprietà diverse poiché diverso è il modo con cui gli atomi C, H, O si interfacciano e scambiano informazione. Ma nulla fa prevedere le caratteristiche dello zucchero esaminando quelle del solo Carbonio, del solo Ossigeno o del solo Idrogeno. E questo vale per tutte le possibili aggregazioni che vedono gli elementi della scala periodica dar origine ai più svariati composti chimici, inorganici o organici che siano. Ogni informazione data o ricevuta determina una trasformazione ed una trasformazione avviene ogni volta che una informazione viene scambiata: a fronte di essa si ha un nuovo stato o un legame particolare con cessione o acquisto di energia. La luce è il messaggero che mette a posto i conti. L’energia e l’informazione sono le due facce con cui l’universo si esprime e sono complementari: l’energia fa fare cose alle cose, l’informazione dice alle cose cosa fare.

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Le particelle di materia usano bit, le unità minime di informazione, così che ogni singola molecola, ogni atomo, ogni particella elementare registra bit di informazione e le interazioni tra questi frammenti di universo cambiano i rispettivi bit e provocano una nuova modifica dell’informazione e cosi via per dare origine a tutte le cose, inclusa la vita cosciente. Questo portentoso meccanismo si applica a tutto l’universo.

2.5 Il campo gravitazionale Le aggregazioni di entità che abbiamo visto possono essere di diverse dimensioni e possono trovarsi a distanze piccolissime ma anche enormi: quelle cosmiche. Ora, a queste distanze, sarebbe ingenuo invocare la forza elettromagnetica per tenere insieme le cose poiché non sarebbe chiaro chi condurrebbe la danza. Gli scambi tra entità cariche sono di sicuro presenti negli addensamenti, piccoli o grandi che siano, ma questi ad una certa distanza non appaiono né positivi né negativi e quindi non presentano debiti o crediti di sorta dal punto di vista elettromagnetico. Sarebbe perciò impossibile iniziare scambi per ulteriori aggregazioni poiché non ci sarebbe quell’energia che fa fare cose alle cose e di conseguenza non sussisterebbe nemmeno quell’Informazione che dice alle cose cosa fare. In carenza di altri campi di energia, e quindi di altre forze di legame, sarebbe impossibile creare altri corpi di dimensioni crescenti fino ad arrivare ai pianeti, alle stelle, alle galassie, agli ammassi ed ai superammassi. Ed ecco che entra in gioco la Gravitazione, il campo di forze più importante che si manifesta per primo e quasi subito dopo la nascita dell’universo, il Big Bang. L’energia e l’informazione connesse a questo campo giocano un ruolo analogo a quello già visto con le microentità cariche, ma su aggregazioni più corpose ed elettricamente neutre. Questa volta non abbiamo bisogno di una dialettica positivo-negativo per mettere insieme le cose cosicché la gravità risulta sempre e solo attrattiva sì da mettere insieme porzioni crescenti di universo a dispetto di un’espansione che tira in verso opposto. Tutta la materia dell’universo è soggetta alla gravità che è sempre presente e del tutto predominante: è la fonte originaria dell’Informazione e dell’ordine che riscontriamo nelle cose del mondo.

2.6 Informazione nell’universo 30, 31, 32 Nella teoria di Shannon l’Informazione è trattata come una misura dell’ordine, quindi opposta all’entropia che caratterizza lo stato di disordine presente in un sistema fisico: quando l’entropia aumenta c’è una crescita dell’agitazione termica e quindi una diminuzione del contenuto di informazione. Quando giunge allo stato di massima entropia il sistema si ferma, non fa più nulla poiché è arrivato all’equilibrio termodinamico e lì resta. Ma da dove viene l’Informazione che regola le trasformazioni? Evidentemente dall’universo che ne è dotato sin dal Big Bang, avvenuto 13,7 miliardi di anni fa.

30 Paul Davies, Da dove viene la vita, Mondadori, 2000 31 Seth Lloyd, Il programma dell’universo, Einaudi, 2006 32 Charles Seife, La scoperta dell’universo. I misteri del cosmo alla luce della teoria dell’informazione, Bollati

Boringhieri, 2011

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In realtà le enormi nubi cosmiche primordiali non sono in perfetto equilibrio termodinamico poiché in esse è presente la gravitazione che tende ad amplificare ogni piccola disomogeneità a causa del suo potere sempre attrattivo ed il sistema diventa localmente instabile, nel senso che cominciano a formarsi qua e là addensamenti locali di materia che si riscalda dando origine ad uno spostamento del calore. In effetti è proprio la gravità fa sì che l’energia della nube non si distribuisca equamente tra le particelle ed evita che la essa giunga ad uno stato di equilibrio e di omogeneità che la porterebbe all’incapacità di fare alcunché. Si oppone perciò all’entropia che tende al disordine e impedirebbe alla nube di continuare a lavorare per aggregare successive porzioni di gas cosmico. Quindi, anche a temperatura più o meno uniforme il gas non è in uno stato di entropia massima e possiede ancora una quantità immensa di energia in grado di trasformarsi in lavoro utile per aggregare grumi sempre più numerosi di materia, cioè di lavoro e di informazione da trasferire. “ Evidentemente, in un modo ancora poco chiaro, nel campo gravitazionale omogeneo di una nube di gas anonima e indifferenziata è nascosta una immensa quantità di informazione. Man mano che il sistema si evolve, il gas si allontana dall’equilibrio e l’informazione si trasferisce dal campo gravitazionale alla materia. Parte di essa finisce nei genomi degli organismi sotto forma di informazione biologica.” 33 E’ così che compare l’ordine che genera gli addensamenti di materia che evolvono in strutture variegate e complesse che, in centinaia di milioni di anni, danno origine a stelle e galassie che possono spargere il calore con più vigore in uno spazio sempre più freddo a causa dell’espansione. E’ l’ordine portato dall’Informazione che provoca l’evoluzione dell’universo e fa assumere ad esso le dimensioni e le forme di nebulose, stelle, galassie, ammassi e superammassi, pianeti e satelliti per presentarsi all’appuntamento con la vita. Un processo in fase avanzata di compimento quando, all’incirca quattro miliardi di anni fa, l’Informazione finita nei genomi degli organismi sotto forma di informazione biologica ha fatto emergere i primi organismi unicellulari. A questo punto dell’analisi di ciò che per secoli abbiamo chiamato “realtà materiale” è opportuno soffermarsi sull’idea di una dialettica energia-informazione alla base di tutto ciò che alimenta il manifestarsi del mondo della materia. Specie in considerazione di quanto vedremo sul problema mente-corpo, ovvero sul ruolo della coscienza, che è di enorme importanza poiché essa è senza dubbio alla base di tutte le acquisizioni umane e costituisce il fondamento della nostra visione della realtà oltre che di tutta la nostra esperienza e conoscenza, inclusa naturalmente la scienza che ne dipende in modo essenziale.

33 Paul Davies, Da dove viene la vita, Mondadori, 2000, pag. 64

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3. LA COSCIENZA E LA PERCEZIONE DELLA REALTA’ Il mondo è un intricato contenitore di elettroni, fotoni, quark, protoni, atomi, molecole, campi, ma noi “vediamo” immagini e colori, “sentiamo” sapori, odori, sentimenti ed emozioni. Le popolazioni di neuroni in continua interazione all’interno del cervello elaborano i segnali elettrici provocati dall’arrivo dei fotoni sulla retina e noi “vediamo” gli alberi, le case, le montagne, le stelle fuori di noi così come le vibrazioni dell’aria che colpiscono l’orecchio vengono trasformate in segnali che arrivano nel cervello e diventano “suoni” che proiettiamo al di fuori di noi in una ingegnosa sequenza spaziotemporale. Cos’è che ci fa credere che ciò che la coscienza ci presenta non sia dentro di noi, ma fuori, nello spazio e nel tempo? Siamo invero in presenza di interazioni fisiche tra particelle che si articolano in un gioco combinato di enorme complessità ed in grado di strutturare e sostenere le sensazioni e le loro successive elaborazioni fino alla comparsa delle percezioni e degli stati mentali. Particelle che formano il cervello e i suoi neuroni che lavorano in modo invisibile e discreto all’interno della nostra testa ed organizzano, per il tramite di altre particelle della stessa natura, tutto ciò che proviene dall’esterno, dalla realtà universale fatta ancora di quelle particelle: grazie a questo processo tanto sofisticato quanto nascosto “vediamo” le cose e “sentiamo” le emozioni. Queste esperienze coscienti elementari sono chiamate “qualia” nella tradizione filosofica che si è ripetutamente interrogata su come sia possibile che da una base reale e fisica quale è il cervello possa scaturire qualcosa che nulla ha né di materiale né di quantificabile. E’ chiaro che l’Informazione scambiata tra i microenti, specie elettroni, protoni e fotoni, sostenuti da altri microenti, atomi e molecole, gioca un ruolo fondamentale nel dare origine all’incredibile struttura del cervello e della mente. Tramite la scienza conosciamo abbastanza queste particelle e i processi da cui originano, prevediamo le interazioni cui sono soggette e le regole che devono rispettare, riusciamo ad esaminare il cervello e a descrivere in dettaglio certe sue proprietà ma non sappiamo in che modo emergano gli stati mentali, come si organizzino ed evolvano e soprattutto come riescano a fornirci quello straordinario mondo di immagini e sensazioni tanto “normali” e familiari di cui ci fa partecipi proprio la coscienza. E’ così che, a seconda della fase che l’universo vive, la cooperazione tra particelle cresce di livello, di intensità e di sofisticazione: al momento del Big Bang è una cosa, alla comparsa della vita dopo nove miliardi di anni è un’altra, all’emergere dell’autocoscienza è un’altra ancora. Cos’altro rimane da chiedere in termini di immaginazione e di creatività ad una natura che dispone di una “materia prima” così versatile e pronta a soddisfare requisiti sempre più stringenti, di qualità e quantità crescente? Forse è più giusto domandarsi cos’altro ci riserva questo portentoso processo evolutivo che usa tassi crescenti di materia per incrementare l’Informazione da diffondere in un universo più ricettivo e pronto al cambiamento di quanto riusciamo ad immaginare.

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Occorre a questo punto rendersi conto che tutto ciò che riusciamo a percepire e comprendere della realtà “esterna” dipende dalla nostra mente che a sua volta dipende dal cervello che, come supporto materiale, è proprio un pezzo di quella realtà esterna che investighiamo con la nostra mente, cioè osserviamo la realtà servendoci di un pezzo di quella realtà. Siamo dunque in presenza di un vero e proprio circolo vizioso che costituisce il vero e grande problema della mente che cerca di comprendere sé stessa, il “paradosso della spirale dell’Io”. Lo psicologo Keith Floyd in ’’Of time and the mind’’ 34 emblematicamente scrive: “E’assai plausibile che un neurochirurgo non possa mai trovare la sede della coscienza, poiché essa non implica uno o più’ organi, ma l’interazione di campi d’energia all’interno del cervello. … I neurofisiologi non troveranno quello che cercano al di fuori della loro coscienza, poiché quello che cercano è ciò che sta cercando”. Per secoli si è discusso sulla coscienza basandosi solo su ciò che la mente stessa suggerisce attraverso le percezione soggettive, come discutere sull’acqua senza sapere che è composta di atomi di idrogeno e ossigeno ed è tenuta insieme da cariche elettriche elementari che interagiscono tramite campi elettromagnetici. Come visto, la concezione dualistica introdotta da Cartesio con la res cogitans e la res extensa ha prodotto una separazione netta tra mente e corpo, tra realtà psichica e realtà materiale, così da indurre gli uomini di scienza a disinteressarsi della coscienza e della soggettività. Tale posizione, seguita poi dal positivismo, ha allontanato la mente da ogni possibile analisi scientifica quasi che il cervello fosse qualcosa di immateriale e totalmente svincolato dal corpo e dalle sensazioni provenienti dal mondo esterno. Anche per questo motivo la coscienza presenta ancora aspetti misteriosi e sembra sottrarsi alle leggi che valgono per le altre “sostanze” del mondo reale e, pur essendo intimamente e permanentemente collegata con il nostro “io”, sfugge ad ogni tipo di indagine e tentativo di comprenderla. E quanto sia fondamentale e cruciale il suo ruolo viene rimarcato dall’attenzione ad essa riservata dal mondo dei quanti che da parecchi decenni ha rivoluzionato non solo l’ambito della fisica ma anche quello delle altre scienze, incluse quelle cognitive. Tuttavia non stupisce più di tanto la fitta nebbia che ancora la avvolge poiché lo stesso vale anche e soprattutto per quei fenomeni fisici fondamentali (spazio, tempo, campi, etc.) che sono i costituenti ultimi, gli “atomi” della realtà come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. Di converso occorre considerare che a partire dalla rivoluzione einsteiniana, in specie con l’equivalenza massa-energia, ha iniziato a dissolversi quella persistente distinzione tra materia corporea ed incorporea fino ad arrivare ai campi, entità immateriali continue e presenti ovunque nello spazio con le particelle ridotte a condensazioni locali della loro energia.

34 Keith Floyd, Of time and the mind. Reprinted from Frontiers of consciousness, Julian Press, 1974.

http://www.sandmansland.com/of_time_and_the_mind.pdf

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E’ in questo contesto che i corpi solidi hanno definitivamente perso la connotazione tradizionale di entità singole e distinte divenendo unità inseparabili tra loro e con l’ambiente, con proprietà comprensibili solo in termini di interazione reciproca.

3.1. I Quanti. Sovrapposizione degli stati e indeterminazione 35, 36 Senza l’intervento dell’osservatore le entità microscopiche (elettroni, fotoni, atomi etc.) non sono descrivibili come “cose” nello spaziotempo. L’entità in esame si trova contemporaneamente in più stati, o meglio in una “sovrapposizione” di stati differenti. Per la fisica quantistica qualsiasi microente (la materia) allo “stato naturale” non ha oggettivamente (ontologicamente) una posizione e una velocità simultaneamente definite, non ha una “realtà definita”. In altre parole è impossibile conoscere simultaneamente e con precisione assoluta sia la posizione che la velocità di una particella (Principio di Indeterminazione di Heisenberg). La materia, prima di qualsiasi misurazione, vive sempre come un mix di stati sovrapposti. Nel caso delle variabili coniugate velocità-posizione ed energia-tempo, la particella vive come ente che presenta “mischiate” queste quattro qualità. Viene meno un concetto cardine della causalità della fisica classica, quello di traiettoria. Infatti una particella segue una traiettoria ben precisa solo se possiede in ogni istante di tempo posizione e velocità ben definite. Cosa appunto impossibile. Del resto, volendo far chiarezza su ciò che si deve intendere per “posizione” di un elettrone occorre specificare determinati esperimenti con l’aiuto dei quali si può misurare la “posizione” di quella particella. Ma se la cosa è impossibile, poiché così è fatto il mondo, ecco che l’espressione “posizione” non ha alcun senso. Ciò porta a dire che gli oggetti quantistici non possiedono proprietà a priori rispetto all’osservazione. Queste proprietà, prima dell’osservazione, non sono sconosciute, ma indeterminate (indeterminazione ontologica). Inoltre, non compiendo le particelle traiettorie continue, nessuna regolarità può essere identificata nella successione degli eventi così come non è possibile conoscere a priori l’esito di un evento ma si può al massimo determinare la probabilità di trovarlo (facendo una misura) in un certo punto dello spazio: perciò la meccanica quantistica è una teoria probabilistica. Tutto ciò spiega il vero mistero delle frange di interferenza nell’esperimento “più bello della fisica”, quello della doppia fenditura più volte confermato sperimentalmente anche in tempi recenti. Infatti, fintanto che la traiettoria dell’elettrone che attraversa lo schermo (con le fenditure) non viene osservata non ha senso chiedere quale sia la traiettoria di questa particella, poiché il concetto di traiettoria acquista significato solo con l’osservazione. Cioè, l’esistenza oggettiva di un elettrone in un certo punto dello spazio (per esempio in una delle due fenditure), indipendentemente da una osservazione concreta, non ha alcun senso.

35 Gian Carlo Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, 2009 36 Anton Zeilinger, Il velo di Einstein, Einaudi, 2005

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Dunque, non disturbando l’elettrone si osserva la figura di interferenza poiché l’elettrone conserva la sua natura indeterminata e può in qualche modo passare attraverso entrambe le fenditure e dare origine all’interferenza. D’altra parte se si osserva la fenditura attraversata dall’elettrone si perturba il percorso della particella, si fa collassare la sovrapposizione e spariscono i fenomeni che portano all’interferenza. L’elettrone sembra manifestare un’effettiva esistenza solo quando lo osserviamo. Sembra che chi osserva (la coscienza) gli fornisca le proprietà di particella nello spaziotempo e pertanto la realtà venga creata almeno in parte dall’osservatore. L’osservatore, l’essere cosciente, sembra assumere importanza rilevante nel determinare la realtà. Su questa linea il fisico Heinz Pagels osserva: “La vecchia idea che il mondo esista effettivamente in uno stato definito non è più sostenibile. La teoria quantistica svela un messaggio interamente nuovo: la realtà è in parte creata dall’osservatore … La situazione si presenta paradossale al nostro intuito, perché stiamo cercando di applicare al mondo reale un’idea dell’oggettività che sta solo nelle nostre teste, una fantasia.” 37 La cosa viene ulteriormente esasperata, se possibile, nel 1978 con L’esperimento a scelta ritardata di Wheeler dove si prende atto che gli strumenti di registrazione che operano “qui ed ora” hanno un ruolo nel generare ciò che è accaduto nel passato. Lo stesso Wheeler dichiara in un convegno del 1980: “… Per quanto utile possa essere nella vita di ogni giorno il dire «il mondo esiste là fuori indipendentemente da noi», questo punto di vista non può più essere mantenuto. C’è uno strano senso in cui il nostro è un universo partecipato …“. 38 Cosa che porta Brian D. Josephson, Nobel per la fisica 1973, a scrivere: “L’universo non è una collezione di oggetti, ma una inseparabile rete di modelli di energia vibrante nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto: includendo nel tutto l’osservatore“. Sembrerebbe dunque che la coscienza dell’osservatore abbia un ruolo speciale da giocare nel comportamento dell’universo.

3.2. Non-località e entanglement 39, 40 Se due particelle nascono dallo stesso processo, in qualunque istante misuriamo lo spin della prima, istantaneamente si conosce lo spin dell’altra, anche se la seconda si trova in un’altra galassia. E’ chiaro che prima della misura la particella si trovava in una sovrapposizione di due stati, quindi il suo spin era sia su che giù. All’atto della misura si estrae informazione dalla particella, la sovrapposizione collassa e lo spin diventa su, mentre l’altra istantaneamente mostra uno spin giù.

37 Heinz Pagels, Codice cosmico, Bollati Boringhieri, 1984, pag. 134 - 137 38 John A. Wheeler, Esperimenti a scelta ritardata e dialogo Bohr-Einstein, intervento tenuto a Londra alla

riunione della Società Americana di Filosofia e della Società Reale inglese, 1980. 39 Gian Carlo Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, 2009 40 Anton Zeilinger, Il velo di Einstein, Einaudi, 2005

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La cosa è stata verificata sperimentalmente molte volte. E’ come se il secondo fotone, sapendo che lo spin del suo gemello è stato misurato ed è di tipo su, collassasse istantaneamente con spin giù. I due fotoni in tale situazione si comportano, in un certo senso, come se fossero una particella sola. Dopo la sovrapposizione questa “azione a distanza” è il secondo vero e proprio grande mistero della Meccanica Quantistica. E si dice non-locale nel senso che avviene a livello cosmico visto che la distanza non è coinvolta: la funzione d’onda della particella, con il suo contenuto di informazione, non è una caratteristica locale come l’energia, la massa, la carica. Dà da pensare il fatto che ogni cambiamento locale di questo tipo nel mondo microscopico provochi una trasformazione istantanea in tutto l’universo che si presenta di nuovo come un unicum interconnesso ed interagente. Anche se in fondo non dovrebbe sorprendere più di tanto visto che al momento del Big Bang tutta la sostanza dell’universo era in intimo contatto, costretta in uno spazio incredibilmente piccolo. Com’è possibile che oggetti microscopici possano essere simultaneamente in due posti diversi? Come fanno le particelle a comunicare istantaneamente fra di loro? E’ opinione diffusa che la cosa è possibile solo considerando le due particelle come parti distinte di una unica entità. Per esigenze di sintesi tralasciamo la decoerenza quantistica che descrive una natura che effettua senza sosta misure, estrae informazione ed ogni volta distrugge la sovrapposizione degli stati delle particelle. Di nuovo troviamo che i “mattoni”, i costituenti della materia/energia non comunicano attraverso leggi esterne ma sono correlati in una unica entità. La visione che emerge è che prima della vita cosciente le cose “esistono” in qualche modo, in una sorta di stato di cui non è dato sapere. E’ solo con l’emergere di questa che il mondo appare con una sua fisionomia: è la coscienza che almeno in parte “determina” la realtà. E’ sempre più presente la coscienza dell’osservatore che tende a giocare un ruolo speciale nel comportamento dell’universo attraverso quell’interscambio incessante, quel ruolo primario ed essenziale costituito dall’Informazione. C’è da dire tuttavia che su queste questioni di alto valore speculativo c’è un grande dibattito tra i fisici quantistici ed il consenso non è ancora unanime. Ciò che appare certo è che la realtà non può essere considerata del tutto "oggettiva" ed indipendente dall'osservazione in quanto l'osservatore è parte del sistema fisico osservato. In conclusione la realtà non esiste “là fuori” indipendentemente da chi la osserva. Ma gli osservatori siamo noi. Il che sta a significare che, siccome la nostra visione “quotidiana” delle cose non va d'accordo con la realtà dei quanti, dobbiamo convincerci che il cosiddetto “buon senso” non sia poi così buono e che le nostre idee sul mondo vanno alquanto riviste. Ed all’obiezione che le cose esistevano ben prima della comparsa dell’uomo si può facilmente replicare che è vero ma che non ha senso immaginarle, “vederle” con le categorie umane, poiché ciò che chiamiamo realtà è solo ed esclusivamente una descrizione squisitamente umana della interazione tra l’essere cosciente e la natura. 41

41 Vedi anche cap. A-La conoscenza

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3.3. Le scienze cognitive e la coscienza 42, 43 Nei primi decenni del secolo scorso la fisica quantistica ha posto la coscienza in posizione centrale rispetto al manifestarsi della realtà provocando un progressivo indebolimento della posizione dualistica. Dagli anni ’80 in poi l’impiego crescente di sofisticate apparecchiature di diagnostica per immagini quali la tomografia computerizzata (TAC), la risonanza magnetica (RMN), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS) accoppiata ad elettroencefalogramma (EEG), ha permesso di conseguire notevoli risultati nella conoscenza delle attività cerebrali e il proliferare di studi interdisciplinari con l’approccio riduzionista tipico delle scienze. Sono state sviluppate tecniche di ogni tipo per ottenere immagini delle zone cerebrali di soggetti opportunamente stimolati in modo visivo o emotivo così da evidenziare aree con particolare attività chimica e afflusso sanguigno, o con specifico utilizzo di ossigeno e glucosio. Le scoperte effettuate hanno prodotto successivi affinamenti di teorie che hanno portato all’affermazione delle neuroscienze cognitive per lo studio dell’anatomia, chimico-fisica, biochimica, biologia molecolare, fisiologia, genetica, patologia e immunologia del sistema nervoso e del cervello. Tali e tante acquisizioni stanno portando le neuroscienze a vedere il rapporto mente-corpo sotto una prospettiva unificante, basata sulla visione di una coscienza da investigare e comprendere in una chiave di interconnessione con il tutto. Da qui la necessità di scoprire i correlati neurali della coscienza (NCC) 44, cioè “l’insieme più piccolo di meccanismi e di eventi cerebrali sufficienti per una specifica sensazione cosciente: di una sensazione elementare come il colore rosso. Definire e individuare l’NCC è una sfida scientifica fondamentale del nostro tempo”. Lo scienziato pone una domanda ben nota:

“ Il dilemma mente-corpo si può esprimere in poche parole con la domanda «Come può un sistema fisico, qual’è il cervello, provare l’esperienza di qualcosa?»” … Allora, in che modo l’attività neurale origina la sensazione di dolore bruciante? Esiste forse nel cervello qualcosa di magico? E riguarda che cosa: la sua architettura, il tipo di neuroni coinvolti, oppure gli schemi di attività elettrochimica a esso associati? La faccenda si fa ancora più misteriosa quando mi rendo conto che buona parte, di ciò che accade nella mia testa, per non dire tutto è inaccessibile all’introspezione. Anzi, molte mie azioni quotidiane -allacciarmi le scarpe, guidare, correre, arrampicarmi, una semplice conversazione- lavorano con il pilota automatico, mentre la mia mente è impegnata in faccende più importanti. In che modo questi comportamenti differiscono neurologicamente dai comportamenti che danno origine alle sensazioni coscienti?” 45

42 Christof Koch, La ricerca della coscienza, UTET, 2007 43 Gerald M. Edelman, Giulio Tononi, Un universo di coscienza, Einaudi, 2000 44 Christof Koch, La ricerca della coscienza, UTET, 2007, pag. XXVII 45 Ibidem

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E continua chiamando in causa neuroni e sinapsi: “ I neuroni sono gli atomi della percezione, della memoria, del pensiero e dell’azione, e le rispettive connessioni sinaptiche influenzano e guidano l’aggregazione transitoria delle cellule nelle più grandi coalizioni all’origine della percezione. Qualsiasi teoria che spieghi i fondamenti neuronali della coscienza dovrà, perciò, descrivere interazioni specifiche tra cellule nervose, nella scala temporale dei millisecondi”. 46 Koch era stato contagiato dal Nobel Francis Crick 47, lo scopritore della doppia elica del DNA, che peraltro aveva esposto le sue tesi provocatoriamente riduzioniste scrivendo: “ L’ipotesi straordinaria è che proprio «Tu» , con le tue gioie e i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso di identità personale e il tuo libero arbitrio, in realtà non sia altro che la risultante del comportamento di una miriade di cellule nervose e delle molecole in esse contenute. […] Questa ipotesi è talmente lontana e diversa dalle idee della maggior parte di noi che può davvero essere definita straordinaria.” Ma qualora si riuscisse a scoprire gli NCC rimarrebbe comunque il grosso problema di fare l’ulteriore passo e di collegare quell’insieme di eventi cerebrali a quella specifica sensazione di rosso: comprendere cioè in cosa consiste il fenomeno “scena mentale” con oggetti rossi e come diventa stato soggettivo del percipiente. Questo però rimane uno dei problemi più ardui ed impenetrabili anche quando semplifichiamo le cose e cerchiamo di afferrare semplicemente la “rossità” del rosso, come e dove si manifesta e perché la percepiamo proprio così. In pratica non riusciamo a capire cosa succede ad una radiazione luminosa con lunghezza d’onda di 600-700 microns quando, dopo aver colpito i nostri occhi, viene trasformata in segnali elettrici che vengono elaborati nelle successive aree visive del cervello per essere convertiti nella percezione cosciente del rosso che in qualche modo ci “appare”. Quei miliardi di miliardi di fotoni continuano ad entrare nei nostri occhi ed a produrre segnali elettrici che vengono elaborati fino a generare e mantenere le nostre consuete, piacevoli, regolari e persistenti immagini “rosse”, lontane o vicine, ferme o in movimento che siano. Il filosofo americano John Searle ritiene però che la coscienza é una proprietà emergente del cervello e, come tale, gode di un’ontologia propria e in questo si differenzia dal resto degli “oggetti” del mondo. Le percezioni coscienti si manifestano esclusivamente nella dimensione soggettiva degli individui, in prima persona, e quindi non possono essere analizzate con i tradizionali metodi oggettivi della scienza: “La coscienza ha un’ontologia in prima persona o soggettiva e quindi non può essere ridotta a nessuna cosa che presenti un’ontologia in terza persona o oggettiva. […] Ciò che intendo dire affermando che la coscienza ha un’ontologia in prima persona è che i cervelli biologici presentano una notevole capacità di produrre esperienze, e queste esperienze esistono soltanto quando vengono provate da agenti animali o umani”. 48

46 Ibidem, pag. 29 47 Francis Crick, La scienza e l'anima. Un'ipotesi sulla coscienza, Rizzoli, 1994, pag. 17 48 John Searle, Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina, 1997, pag. 176

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Se così fosse, e le esperienze coscienti dei qualia risultassero impossibili da correlare e quantificare, dovremmo arrenderci all’idea che esse che non siano legate alla realtà fisica dei fenomeni ma siano piuttosto una manifestazione a sé stante ed esclusiva della mente, cioè un aspetto ontologico e non epistemologico e conoscitivo del manifestarsi della coscienza. Risulterebbe allora vano cercare relazioni di causa-effetto tra eventi neuro fisiologici del cervello e percezioni coscienti che rimarrebbero in tal modo relegate alla sola sfera della soggettività. Data la complessità e le difficoltà di analisi, non meraviglia che tutte le teorie della coscienza proposte fino ad oggi siano rimaste a livello speculativo e nessuna sia ancora accettata, pur avendo ciascuna di esse fornito utili elementi alla comprensione del fenomeno. In aggiunta occorre tener presente che la mente non materiale sembra essere del tutto libera e indipendente dal cervello fisico, eppure pienamente in grado d’influenzarlo, anzi di guidarne il comportamento. Certo si è che appare difficile negare che, qualunque cosa sia la realtà, possa essere qualcosa di diverso dalla nostra percezione di essa, poiché è ragionevole affermare che ciò che posso conoscere è solo l’immagine che appare nella mia mente. Per questo motivo alcuni scienziati contemporanei ritengono, a torto o a ragione, che quando comprenderemo completamente il mondo dello spazio, del tempo e della materia, capiremo anche tutto il resto. Il che equivale a dire che la coscienza, essendo verosimilmente una “sostanza” di questo mondo, potrà essere compresa quando conosceremo meglio i costituenti fondamentali dello stesso mondo. Per tali motivi Roger Penrose, uno dei massimi scienziati contemporanei è arrivato ad affermare: “Quasi tutte le interpretazioni della meccanica quantistica dipendono in definitiva dalla presenza di un «essere percepente»; sembra quindi che ci richiedano di saper cosa sia effettivamente un essere percepente!. … Qualunque sia lo stato di queste idee, mi sembra che una teoria fisica «fondamentale» che aspiri ad essere ritenuta completa ai più profondi livelli dei fenomeni fisici debba avere la potenzialità di contenere le facoltà mentali coscienti. … La sfida è comprendere il mondo mentale utilizzando i termini del mondo fisico”. Ma come può il mondo dello spaziotempo e della materia dar origine alla coscienza? Sembra di poter dire a questo punto che la risposta, se mai possibile, possa venire dal già visto processo di elaborazione dell’Informazione con cui l’Universo origina e sostiene la sua evoluzione. Sulle notevoli scoperte delle scienze cognitive e sui possibili modelli che descrivono il manifestarsi degli stati di coscienza sulla base di teorie quantistiche torneremo in fase di approfondimento.

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4. LA VITA BASATA SULL’ INFORMAZIONE 49 Da una immensa nube primordiale di gas caldi e freddi si è generata la differenziazione graduale che ha portato all’ordine dell’universo attuale ed alle stelle che con il rilascio di grandi quantità di energia mantengono lontano dall’equilibrio le porzioni circostanti di universo. Anche nella nostra fetta di cosmo questa energia è stata e viene utilizzata per portare a quell’elevato grado di ordine e informazione che ha reso possibile l’apparire e lo svilupparsi della vita, tutto ciò per contrastare il 2° Principio della Termodinamica che tenderebbe a far crescere il disordine ed a riportare le cose in condizioni di equilibrio termodinamico e di massima entropia. Abbiamo visto che la gravità si oppone al disordine 50 e la vita può essere intesa proprio come l’opposto di esso in quanto è l’atto per eccellenza di replicare e conservare l’informazione contro i tentativi di certe leggi fisiche di distruggerla. La Terra, sin dalla sua formazione, avvenuta intorno a 4,6 miliardi di anni fa, ha ricevuto e trasformato l’energia della nostra stella ed aumentato il suo grado di ordine fino a che non è comparsa la vita, circa 4 miliardi di anni fa. E la vita è proprio una sorta di principio dinamico che utilizza regole logiche per ricevere ed elaborare informazione che regola le funzioni biologiche e l’evoluzione della cellula. La molecola di DNA, vecchia di almeno 3,5 miliardi di anni, può essere vista come una specie di software molto avanzato capace di mantenere un ambiente ordinato all’interno della cellula e di garantirne così il nutrimento e la duplicazione. Con queste modalità la vita ha potuto evolvere dai microorganismi primordiali a quelli di crescente complessità ed organizzazione fino all’uomo. “Pur essendo una struttura materiale, esso è carico di significato. La disposizione degli atomi lungo i filamenti dell’elica del vostro DNA determina il vostro aspetto e anche, in una certa misura, il vostro comportamento e la vostra sensibilità. Il DNA non è niente di meno che un programma o, più precisamente, un algoritmo o un manuale di istruzioni per la costruzione di un essere umano che vive, respira, pensa.” 51 Le istruzioni per i processi chimici necessari per la sintesi delle proteine sono quindi contenute nel DNA che caratterizza ogni forma di vita. Esse risiedono appunto nella macromolecola a doppia elica del DNA, contenuta nei cromosomi di ogni cellula dell’organismo. La lunghissima sequenza di basi del DNA costituisce il messaggio cifrato che contiene tutte le istruzioni particolari per costruire ogni singola parte dell’organismo. I manuali con le istruzioni sono custodite nei cromosomi che si trovano nel nucleo che è una vera e propria sala di controllo della fabbrica cellulare in incessante funzionamento. Nel cosiddetto codice genetico, un sistema comune a tutte le forme di vita, le informazioni codificate nel DNA arrivano a costruire tutte le proteine necessarie alla vita degli organismi, un codice cifrato per specificare i venti amminoacidi necessari che dispone di quattro “lettere”, le quattro basi azotate: Adenina, Guanina, Citosina e Timina.

49 Paul Davies, Da dove viene la vita, Mondadori, 2000 50 Vedi para 2.6 51 Paul Davies, Da dove viene la vita, Mondadori, 2000, pag. 36

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Il suo linguaggio è dunque un “alfabeto” basato sull’ordine in cui sono disposte le quattro basi lungo la doppia elica, che viene tradotto nella esatta sequenza degli amminoacidi che formano una proteina. La Natura sceglie un metodo economico per trasmettere le sue istruzioni di “costruzione”, usa un alfabeto di sole 4 lettere per scrivere tutte le parole che compongono i manuali di istruzione che regolano e trasmettono la vita contro le 21 del nostro alfabeto e le 2 del linguaggio binario dei computer. Ma come ha avuto origine il codice genetico insieme ai meccanismi per la sua traduzione? Il sofisticato apparato molecolare (enzimi, RNA etc.) che supporta il funzionamento del codice è esso stesso prodotto secondo le istruzioni contenute nel codice, ma non era evidentemente presente all’origine. E’ come immaginare una fabbrica di computer che viene gestita proprio da quei computer che essa sola è in grado di produrre. Nonostante tanta complessità è fuor di dubbio che tutte le forme di vita sono nate da un antenato comune, un minuscolo e rozzo microbo vissuto miliardi di anni fa. Per quanto primitivo, questo microbo deve essere stato causato da una moltitudine di molecole che ad un certo punto hanno smesso di muoversi disordinatamente ed hanno iniziato a cooperare creando dapprima una membrana di separazione con l’esterno quindi organizzando all’interno una serie ordinata di attività e di sequenze di assemblaggio che, in centinaia di milioni di anni, hanno portato alla prima forma di vita. Per far questo hanno dovuto fare una transizione dallo stato in cui seguivano servilmente le ordinarie interazioni fisico-chimiche prescritte dalle leggi di natura a quello in cui si sono organizzate per tracciare propri originali percorsi. E’ allora comprensibile come, superato questo passaggio, possano operare i meccanismi darwiniani di duplicazione, mutazione casuale e selezione e si comprende come, a partire da un microbo ancestrale, a poco a poco, errore dopo errore, si sono prodotte istruzioni sempre più lunghe per la costruzione di organismi sempre più complessi. Ma l’evoluzione darwiniana può operare solo se la vita esiste già in una qualche forma e non può offrire nessun tipo di aiuto per spiegare quel primo passo cruciale che è l’origine della vita. Anche qui, come già per la coscienza 52, una spiegazione potrà forse essere trovata con il progredire della conoscenza di quel principio dinamico di Informazione che si annida nella struttura intima del cosmo inteso come rete complessa di relazioni tra le varie parti del tutto.

52 Vedi para 3.3

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5. CONSIDERAZIONI FINALI 5.1. Visione complessiva

La visione complessiva della Realtà che scaturisce dalle attuali conoscenze scientifiche si può riassumere essenzialmente come segue.

­ Essa non appare scomponibile in unità minime dotate di esistenza indipendente: più ci addentriamo nella materia e più’ la natura non ci rivela la presenza di una struttura fondamentale isolata ma ci appare piuttosto come una rete complessa di relazioni tra le varie parti del tutto.

­ L’universo non è un contenitore riempito di oggetti distinti. La Meccanica Quantistica e la Relatività, tuttoggi confermate sperimentalmente in modo sistematico, descrivono l’universo come una inseparabile rete di modelli di energia vibrante nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto, incluso naturalmente l’osservatore cosciente.

­ Il mondo è di fatto “vuoto” ed in esso si manifestano entità immateriali, i campi, che danno origine a materia, energia ed Informazione, dunque a tutte le cose. La struttura intima di questo vuoto rappresenta la trama del cosmo e può essere immaginata come una complessa e fitta griglia lungo la quale appaiono e si propagano le eccitazioni, le perturbazioni dei campi che noi chiamiamo particelle, cioè fotoni, elettroni, protoni, neutroni, atomi, molecole e così via. La fisica teorica e sperimentale odierna sta facendo enormi sforzi per comprendere la natura di questa trama.

­ Gli scambi e le comunicazioni tra le particelle sono gestiti da altri campi sovrapposti che sostengono il colloquio e la dinamica incessante di tutto ciò che esiste sia a livello microscopico che macroscopico.

­ Quelle che fino a pochi decenni fa abbiamo chiamato materia e energia non sono più la sostanza fondamentale del mondo in quanto da sole non riescono a descriverlo ed hanno bisogno dell’Informazione che dice alla materia cosa fare ed all’energia di sostenere tutti i processi di cambiamento della materia.

­ L’Informazione presente nell’universo ne provoca i mutamenti ed i successivi livelli di ordine e di organizzazione (nubi cosmiche, stelle, galassie …) fino a coinvolgere atomi e molecole, apparentemente inerti, in una cooperazione straordinaria che porta ai primi organismi unicellulari ed alla successiva evoluzione verso tutte le forme di vita.

Con la fisica dei quanti viene sancita la crisi del realismo oggettivo a favore di una visione diversa in cui le particelle esistono in uno stato “indeterminato” (di sovrapposizione) che rimane tale finché la percezione di un osservatore o soggetto conoscente non le rende reali. Le recenti teorie dell’Informazione meglio interpretano il comportamento degli atomi, degli elettroni e dei fotoni e si avviano ad essere la chiave per capire sia il mondo subatomico che quello macroscopico ovvero dai quark al DNA, dalle cellule alle stelle, dalle galassie ai buchi neri. Esse prefigurano altresì un universo in grado di computare la propria evoluzione fino a far emergere la vita e quindi quegli esseri speciali dotati di coscienza cui verrebbe assegnato non solo il ruolo passivo di percepire la realtà ma anche quello di “determinarla” almeno in parte.

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In tal modo la coscienza, già fondamento di tutto quanto concerne la percezione della realtà e pertanto di tutta l’esperienza e la conoscenza umana, verrebbe ad assumere un ruolo di ben altra importanza. Prima della vita cosciente le cose “esistono” in qualche modo, in una sorta di stato di cui non è dato sapere e le particelle microscopiche sembrano manifestare un’effettiva esistenza solo quando le osserviamo: l’atto di osservazione cosciente fornirebbe ad esse le proprietà peculiari di particelle nello spaziotempo. Ed è appunto con l’emergere della vita cosciente che il mondo assume la fisionomia che ci è familiare. Sappiamo che l’universo è comparso circa 13,7 miliardi di anni fa. Dopo qualche centinaio di milioni di anni, come conseguenza della gravitazione e delle forze elettromagnetiche e nucleari, si sono formate le prime stelle e galassie secondo precise geometrie ben visibili nelle magnifiche fotografie dei nostri telescopi, specie di quello orbitante Hubble. Per svariati miliardi di anni le prime stelle sono esplose spargendo nell’universo gli elementi chimici fabbricati al loro interno dalle reazioni nucleari mentre è continuata la nascita di nuove stelle che incessantemente hanno alimentato questo processo per dotare il cosmo di tutto quanto necessario agli sviluppi successivi. E’ avanzato così un ordine che preludeva all’appuntamento con la vita. Un ordine gestito dall’Informazione presente nell’universo primordiale sin dai suoi primi istanti. I primi organismi unicellulari sono apparsi all’incirca 10 miliardi dopo il Big Bang e sono evoluti con l’alternarsi di aggiustamenti, mutazioni ed estinzioni per oltre 3 miliardi di anni fino alla comparsa, alcuni milioni di anni fa, dei primi ominidi. Quindi, prima dell’apparire dell’essere più o meno cosciente, tutto ciò che chiamiamo realtà già c’era, ben strutturata e molto simile a quella di oggi. Ma non ha senso chiedersi come fosse allora o come sia oggi “effettivamente” (la cosa in sé di Kant) poiché è solo l’uomo che se ne fa una “immagine” tipica ed esclusiva, frutto del suo peculiare interagire con la natura. Non è la mente umana che crea la realtà, visto che l’universo “esisteva” ed evolveva ben prima che l’uomo apparisse sulla scena, ma è l’essere cosciente che se ne dà quell’immagine tipica tanto ovvia e scontata, quella dettata da ciò che chiamiamo “senso comune”. Kant in qualche modo aveva anticipato che la cosa in sé non è conoscibile ma la scienza di oggi rende disponibile una visione che lascia intravvedere sviluppi di grande rilevanza visto che l’Informazione è parte di quel “loop”, di quel “circuito chiuso” cosmico che dà origine sia alle cose che alla coscienza che in qualche modo le rende manifeste. Abbiamo già visto53 infatti che gli oggetti microscopici si trovano in uno stato di indeterminazione ontologica nel senso che non possiedono proprietà a priori rispetto all’osservazione, ovvero si trovano in uno stato di cui non è dato sapere se non interviene un osservatore che, non dimentichiamolo, è però parte del sistema fisico osservato. Ed è proprio qui che interviene il ruolo di collegamento e di interconnessione al tutto svolto dall’Informazione e quindi la necessità di rivedere le nostre categorie tradizionali e con esse il cosiddetto senso comune.

53 Vedi anche para 3.2

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Per questo insistiamo sulla tipicità dell’interazione umana con la natura, sulla fallacia del nostro senso comune e quindi sulla necessità di rovesciare il nostro modo abituale di vedere le cose del mondo. In verità il primo colpo mortale al senso comune viene inferto dalla Relatività di Einstein, agli inizi del ‘900, quando il concetto di tempo si fonde con quello di spazio e si prende atto del fatto che la velocità di propagazione dell’informazione è finita e di 300 mila chilometri al secondo, quella della luce. Dunque, occorre convincersi che l’immagine della Terra di duemila anni fa, ai tempi dell’impero romano, è arrivata solo in una piccola porzione della nostra Galassia e semplicemente “non esiste” per la gran parte degli ipotetici suoi abitanti che stanno ancora vedendo il nostro pianeta come era svariate decine di migliaia di anni fa. Lo stesso vale anche se torniamo indietro alle prime forme di civiltà storiche (circa 6000 anni fa), quando gli uomini iniziavano quel lungo e tortuoso percorso che permetteva di accumulare la gran mole delle conoscenze attuali, visto che il raggio della nostra Via Lattea è di circa 50.000 anni luce. Se poi usciamo dalla Galassia e ci trasferiamo nel vicino Ammasso della Vergine dobbiamo convincerci che lì stanno vedendo ancora la Terra con gli ultimi dinosauri visto che distano da noi circa 65 milioni di anni luce. Non bastasse, teniamo presente che vi sono galassie distanti oltre 13 miliardi di anni luce, che nel frattempo però devono essere molto cambiate, anzi potrebbero essersi fuse con altre: ma tutto ciò possiamo solo immaginarlo poiché potremo saperlo solo in un futuro molto lontano di miliardi di anni. Dunque, se non c’è un “presente” valido per tutti come si fa a stabilire cosa effettivamente esiste? E se non possiamo stilare l’elenco delle cose esistenti in questo momento come facciamo a farci un’idea della realtà? Ma il mondo è fatto così ed è per questo che vale la pena rassegnarsi a vedere le cose esistenti o meno in una prospettiva completamente diversa.

5.2. Il valore della conoscenza scientifica La filosofia è stata la prima e più importante delle discipline ed ha gettato le basi della conoscenza umana anche se ha dovuto man mano cedere spazi tradizionali di indagine (ad esempio i concetti di spazio, tempo e moto, la cosmologia etc.) alla scienza che progrediva con metodi del tutto diversi ed accumulava sempre più verità parziali ma pur sempre coerenti e solide. Il metodo scientifico, introdotto da Galilei e Newton, ha iniziato con l’indagare sul “come” avvengono i fenomeni naturali ed a studiarne l’ordine e la regolarità ma i vistosi sviluppi del XX secolo lo hanno in qualche modo fatto virare verso una comprensione più profonda della realtà nei suoi vari livelli e verso il “perché”, per rispondere in modo più compiuto all’ansia di conoscenza dell’uomo e quindi alle domande fondamentali sulla natura ultima del mondo in cui viviamo alla ricerca di soddisfazione e di senso.

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Con l’allargarsi degli orizzonti, le letture sempre più sofisticate della natura, l’introduzione dell’Informazione e gli sviluppi delle indagini sulla vita, sul cervello e sulla mente ha potuto quindi progredire una visione del mondo aperta a prospettive di comprensione e di unificazione in un’ottica complessiva che le ricollega all’universo, al tutto, e cioè a quell’unicum già visto in cui la realtà si esprime e prende corpo. Una visione comune della natura che sembra avviarsi a mettere da parte vecchie divergenze tra scienziati, filosofi e teologi sopravvissute fino a tempi recenti. E’ significativo il commento che segue di Silvio Bergia,54 uno dei pochi scienziati contemporanei che ha contribuito alla riflessione filosofica sul contenuto di verità delle acquisizioni scientifiche. “ Non è allora necessariamente che la meccanica quantistica ci obblighi ad abbandonare ogni e qualsivoglia ontologia. Piuttosto, diremo che non è più permessa (in toto) un’ontologia meccanicistica, ossia un’ontologia basata su questi asserti: a) il mondo è fatto di entità che possiedono le loro proprietà che siano o no osservate; b) le possiedono in modo innato (cioè non le acquisiscono all’atto della misura); c) l’interazione fra entità è preassegnata e locale; d) le proprietà del tutto sono inferibili da quelle delle parti. La rinuncia a un’ontologia meccanicistica non significa necessariamente la rinuncia a una qualsiasi ontologia. Una ontologia non meccanicistica dovrebbe essere, in un certo senso, più debole, in quanto dovrebbe rinunciare a requisiti forti come quelli su espressi … … Il punto sembra essere che non riusciamo proprio ad esprimere un’ontologia, che, a un tempo, sia aderente ai fenomeni a accettabile dalla nostra mente. E questo proprio perché il mondo dei fenomeni quantistici ci appare folle. Ma - e questo è l’altro punto centrale- è il mondo che è folle o è la nostra mente che è inadeguata ad afferrarlo? Forse il problema non è quello di adattare la realtà alle nostre categorie mentali, ma quello di adattare le nostre categorie mentali alla realtà”.

In altre parole, tramite la scienza riusciamo a conoscere in modo più profondo la natura delle cose e la dimensione ontologica della realtà a patto di rinunciare ai presupposti meccanicistici della fisica classica. Quanto meno possiamo essere d’accordo che “ … se, secondo la lezione kantiana, ci è impossibile descrivere la realtà come è in sé, non è tuttavia affatto priva di significato la costruzione di ontologie possibili a partire dalle teorie scientifiche, facendo leva su quei concetti teorici e/o comuni alla nostra esperienza. Se l’oggettività scientifica non esaurisce l’ambito della realtà, tuttavia ne costituisce un indizio molto forte”. 55

54 Silvio Bergia, Alice nel paese delle meraviglie: il difficile processo di adattamento della mente umana al

mondo dei fenomeni quantistici. Istituto di Fisica dell’Università di Milano, Atti SISFA 1997, http://www.brera.unimi.it/sisfa/atti/1997/bergia.pdf

55 Gino Tarozzi, Isabella Tassani, Il realismo empirico di Silvio Bergia. Rivista dell’Istituto di Filosofia, Università

di Urbino, Isonomia, 2007, http://www.uniurb.it/Filosofia/isonomia/2007tarozzitassani.pdf

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In tale contesto è di particolare interesse la posizione del filosofo e teologo Rafael Martinez 56 della Pontificia Università della Santa Croce: “Se ammettiamo una nozione aristotelica di natura, intesa come principio intrinseco delle cose, è possibile arrivare ad una conoscenza di qual è la natura concreta delle cose? È possibile cioè dire qual è la natura delle diverse realtà che compongono questo mondo? … è proprio la scienza a raggiungere tale conoscenza, quando studia l’insieme dei fenomeni fisici, chimici o biologici e ottiene dei concreti risultati in ognuna di queste scienze. La conoscenza ogni volta più precisa della struttura fondamentale della materia, ad esempio, costituisce un modo attraverso il quale sempre con più profondità si raggiunge una certa

conoscenza della natura dei diversi costitutivi del mondo fisico.

… Ciò che tento di dire è quindi che nella conoscenza raggiunta dalla scienza, progredisce contemporaneamente la conoscenza della dimensione ontologica della realtà. Cioè, attraverso la scienza conosciamo più perfettamente la natura delle cose. E rincorrere una conoscenza della natura indipendente dalla scienza non sembra in nessun modo possibile. … Conoscere la natura non può significare ottenere una comprensione di tipo geometrico o matematico, che solo il razionalismo meccanicista si illudeva di poter raggiungere. La conoscenza del mondo naturale che ci dà la scienza sarà sempre parziale, e in un qualche senso congetturale, poiché le teorie scientifiche mai saranno definitive né assolute. Tuttavia la scienza è in grado di raggiungere una vera conoscenza, e attraverso di essa progredisce anche la nostra comprensione della realtà nei suoi vari livelli, anche in quello metafisico.” Del resto abbiamo già visto che, nonostante le criticità ancora presenti, le descrizioni sempre più rigorose dei componenti intimi della materia forniscono una visione sempre più nitida dei diversi costituenti del mondo fisico e della natura, dallo spaziotempo ai campi di forze, alle particelle elementari, all’evoluzione del cosmo. Allo stesso modo si può affermare che, aumentando la conoscenza del patrimonio genetico del DNA e dei processi neurologici alla base del funzionamento del cervello, si comprenderà meglio la natura degli organismi viventi e dei meccanismi di percezione sensoriale fino all’emergere degli stati di coscienza. In definitiva si può ben dire che senza la scienza non è più possibile pensare di arrivare ad una qualsivoglia conoscenza della natura specie se si considerano i successi della fisica quantistica che ha affinato notevolmente la visione della realtà e sconvolto quella meccanicistica sviluppatasi dopo Newton, retaggio di una ontologia di derivazione classica che era imposta alla natura più che esserne dedotta. Abbiamo quindi registrato alcune pregevoli concordanze che non devono però far dimenticare che il cammino da fare è ancora lungo visti i retaggi di secoli di incomprensioni e conflitti ancor oggi tutt’altro che sopiti in molti ambienti scientifici, filosofici e religiosi.

56 Rafael Martinez, Il concetto di natura tra scienza e teologia. L'esigenza di una mediazione epistemologica,

Comunicazione alla Fifth European Conference on Science and Theology, Freising-Munich, 1994, http://www.unav.es/cryf/dioelanatura6.html

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5.3. Prospettive di una nuova visione del mondo Nei paragrafi precedenti abbiamo visto l’importanza delle acquisizioni della fisica dei quanti specie per ciò che concerne il ruolo svolto dalla ragione umana (logos). Ora occorre però evidenziare come esse siano entrate con forza in un vecchio problema posto dalla filosofia greca e in specie da Platone e che si è protratto fino ai nostri giorni: quello della realtà sensibile e di quella vera. In effetti la tradizione filosofica occidentale prende l’avvio intorno al VII secolo A. C. quando i pensatori greci, considerando insufficienti le spiegazioni fornite dal mito, iniziano a ragionare intorno a ciò che osservano e cercano di cogliere il senso della realtà in cui sono immersi con il solo aiuto della ragione (logos), e vanno alla ricerca di un principio (arché) in grado di spiegare le realtà particolari che sono sottoposte al divenire. Un principio che evidentemente doveva risultare immutabile. 57 Ma, nel far ciò, la filosofia greca non pone il problema della differenza tra conoscenza della natura (realtà sensibile) e natura stessa (realtà vera), poiché la realtà viene considerata indipendente dal soggetto che la investiga e la conosce. Con Platone nasce la metafisica in quanto è il primo ad introdurre, tramite il logos, la separazione tra un mondo naturale e fisico ed uno che va oltre le apparenze sensibili, che risulta incorruttibile, sempre identico a sé stesso, eterno: “il mondo delle idee”, dove risiedono le essenze delle cose, le “verità”. Nel mondo fisico le cose sono fallaci, cambiano e si modificano mentre nell’altro sono le idee ad avere lo status di realtà e verità e costituiscono il fondamento ultimo. E’ così che si fa strada nei millenni successivi e si radica nella nostra mentalità quel modo di vedere le cose che poi diventerà il senso comune che crede in una realtà oggettiva che esiste “al di là” ed indipendentemente da noi che la percepiamo e descriviamo: la tradizionale distinzione tra un soggetto che conosce ed un oggetto che è conosciuto. In era moderna, come noto, specialmente con Cartesio, Kant, Hegel e Nietzsche questo modo di vedere il mondo subisce forti trasformazioni che portano ad un progressivo rafforzamento dell’autonomia della ragione umana da ogni entità metafisica fino a far coincidere l’unica realtà possibile proprio con la ragione e addirittura ritenere falsa l’esistenza di qualsivoglia essenza o verità ultima e quindi della conoscenza oggettiva stessa. Così il processo è lucidamente sintetizzato da Reale e Antiseri: 58 “Che il mondo sia una nostra rappresentazione, che nessuno di noi possa uscire da sé stesso e vedere le cose per quello che sono, che tutto ciò di cui ha conoscenza certa si trovi dentro alla nostra coscienza, è la “verità” della filosofia moderna da Cartesio a Berkeley”. In sintesi, con l’idealismo ed il nichilismo si identifica la realtà con la ragione (logos): il mondo è una nostra rappresentazione e, in quanto tale, non è oggettivamente conoscibile. Siamo noi a dare un senso alle cose. Dunque il logos della filosofia greca non può dir nulla sulla metafisica e sulla realtà “vera”.

57 G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, Brescia 1992 58 Ibidem, vol. 3, pag. 170

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Il logos non svela il mondo ma gli conferisce un senso utile solo a noi stessi e la metafisica diviene un’invenzione del logos così da venir dichiarata “morta” con i tutti i valori assoluti ad essa connessi. E’ così che anche nella scienza si diffondono talune persistenti tendenze, ancorché minoritarie, ad attribuire alla ragione umana la capacità di ordinare ogni cosa per renderla a noi intelligibile e chiara così da rendere le leggi di natura e l’ordine che vediamo niente altro che la proiezione e l’oggettivizzazione del nostro logos.

In ogni caso, in seguito ai successi collezionati dalla scienza, si rafforza sempre più la fiducia nella ragione e l’applicazione del metodo scientifico agli ambiti più disparati per il progresso della conoscenza umana anche se con l’avvento dell’Illuminismo viene esasperata la visione meccanicistica del mondo tanto da proclamare lo studio della materia e dei suoi movimenti bastevole a spiegare ogni aspetto della realtà e dell’esistenza. Un pensiero scientifico riduzionista che procede per oltre due secoli ed alimenta l’impressione di esser fatto di postulati e principi aridi e incomprensibili e di formule matematiche astruse, custoditi da scienziati visti per lo più come individui freddi e senz’anima, isolati nelle loro torri di avorio. In tal modo si consolidano nel tempo preconcetti e conflitti alimentati anche dalla manifesta ostilità delle religioni rivelate che non intendono mettere in discussione talune verità di fede. Inoltre, nella seconda metà dell’800 si aggiungono ideologie filosofiche e politiche che influenzano le culture ed i comportamenti trascurando la realtà e facendo crescere il senso di impotenza dell’uomo davanti ad un mondo non conoscibile con la conseguenza che l’impossibilità di ammettere verità assolute nel campo della conoscenza viene trasferita a quello dell’etica mettendone in discussione i principi irrinunciabili. Tale situazione si protrae fino ai primi decenni del ‘900 quando le grandi scoperte sulla struttura dell’atomo, della fisica relativistica e quantistica avviano un processo di recupero del valore di verità della realtà, che prosegue nella seconda metà del secolo allorché le cose prendono una piega del tutto diversa in virtù dell’avanzamento della conoscenza e della cultura in genere ma soprattutto del grande miglioramento delle condizioni di vita prodotto dalle applicazioni tecnologiche seguite alla rivoluzione scientifica dei primi decenni. L’aumento esponenziale delle comunicazioni radiotelevisive e telefoniche, gli scambi culturali, le missioni spaziali, la diffusione dei PC, di Internet e dei sofisticati mezzi di diagnostica medica fanno il resto, così da rendere la scienza più “umana” ed accessibile al grande pubblico. E’ opportuno a questo punto notare come, in presenza di una filosofia che annaspa e tende sempre più a chiudersi su sé stessa, il XX secolo vede di converso il consolidarsi della rivoluzione quantistica ed una visione scientifica del mondo che rende possibile un “ritorno al reale” da intendere soprattutto come ricerca di fondamenti quanto più oggettivi e stabili. Un ritorno cioè che porti prima ad assimilare il rovesciamento dei paradigmi tradizionali e poi le nuove “verità” scientifiche.

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Di certo non può sfuggire l’impatto di una siffatta visione scientifica del mondo sull’ansia di conoscenza dell’uomo, sul suo posto e sul suo ruolo nel cosmo, sull’esigenza di rispondere alle fondamentali domande circa la struttura della realtà alla ricerca di soddisfacimento interiore, di significato e di senso. Insomma, sull’aumento della sua consapevolezza delle cose che lo circondano, sul suo arricchimento nel sentirsi parte di una realtà unica interconnessa. Si tratta in ultima analisi di una riflessione per cogliere in modo più concreto “come è” davvero il mondo nel tentativo di rispondere alla domanda persistente di “cosa sono” effettivamente realtà e verità. Per questo appare ragionevole concludere che la nuova visione del mondo, umano e materiale, può fornire un notevole supporto allo studio delle dinamiche interne dell'individuo e della sua percezione della realtà in vista di un equilibrio psicofisico più aderente alle conoscenze raggiunte. Prodotta dall’Informazione, la pressione evolutiva opera invero sull’intero cosmo e genera nell’individuo una tensione continua alla ricerca di nuovi territori intellettuali da esplorare e limiti da superare verso il continuo rinnovamento di sé. E’ essenzialmente questa l’ansia inesauribile dell’uomo alla ricerca della verità. La sola potentissima macchina computazionale del cervello, che si avvale di 100 miliardi di neuroni e oltre 100.000 miliardi di sinapsi, elabora l’esperienza accumulata per simulare nuove situazioni ed opportunità spinta dalla necessità di alimentare istante dopo istante l’enorme flusso di calcolo diretto a supportare la mente che, a sua volta, genera conoscenza di cui si nutre in senso assoluto. Come abbiamo detto in premessa il nostro progetto ha l’obiettivo di fornire un contributo a questo tipo di riflessione partendo da una divulgazione mirata e attenta delle attuali conoscenze scientifiche che trovano un terreno più ricettivo e interessato presso ogni tipo di pubblico. Auspichiamo che il progetto trovi l’accoglienza desiderata nell’intesa che non mancheremo di ampliare argomenti appena toccati in questa nota né di organizzare momenti di approfondimento sulle varie tematiche da raccogliere nel tempo ed integrare in un documento di facile accesso. D’altronde è innegabile che la scienza ha rivoluzionato i concetti di spazio, tempo, materia, di origine ed evoluzione dell’universo e della vita ed ha spazzato via molte credenze ed idee tradizionali cosicché nessuna persona di buon senso, credente o non credente, può permettersi di ignorare questa rivoluzione. Pertanto piace concludere questa nota con le parole dello scienziato Paul Davies, Premio Templeton 1995: “ In realtà, lungi dal minacciare il benessere spirituale del genere umano, la scienza è vista sempre più come fonte di ispirazione positiva. Quanto più gli scienziati svelano i segreti della natura, tanto più essi rivelano un universo di bellezza e ingegnosità sbalorditiva, uno splendido piano cosmico davvero degno del nostro stupore e della nostra lode”. 59

59 Paul Davies , Scienza e Religione nel XXI secolo. Conferenza della Fondazione Templeton, Filadelfia, 2000,

http://www.disf.org/Documentazione/14.asp

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C - LE VIE DELLA CONOSCENZA

L’inesauribile tendenza dell’essere umano a domandarsi il perché delle cose, ad andare sempre più in profondità e a non accontentarsi di risposte parziali ha le sue radici proprio nell’esigenza profonda di soddisfacimento interiore e di significato. Una conoscenza approfondita della realtà di cui siamo parte non può essere perciò esclusiva degli specialisti o degli appassionati ma interessa tutti: il “libro della natura” è aperto e la sua lettura produce un arricchimento della persona che acquista sempre più consapevolezza delle cose che la circondano e del proprio posto nel cosmo.

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La ragione, ma non solo la ragione 60

“ A partire dal XVII secolo - un'epoca di grande insicurezza, causata in parte anche dalla nuova cosmologia - l'uomo imparò a trovare nella ragione una nuova base per la certezza (cogito, ergo sum) e imparò a usarla nel dubbio completo in modo sempre più vasto. Fu essenzialmente legittimato e storicamente necessario che l'uomo nell’illuminismo scientifico indagasse la natura e i suoi limiti, infine anche sé stesso e i rapporti sociali in tutti i loro diversi aspetti, in modo imparziale, razionale e sistematico. Di certo l'uomo non vive di sola ragione. In ogni legittimazione di principio e in ogni necessità storica della razionalità indipendente e della conoscenza scientifica, una razionalità assolutizzata dev'essere rifiutata. Che sia fisico o filosofo o quant'altro, ogni uomo ha a che fare con qualcosa di più della ragione: con il volere e il sentire, la fantasia e la disposizione d'animo, le emozioni e le passioni, che non possono essere ridotte semplicemente alla ragione. Accanto al pensiero metodico-razionale di Cartesio, «l’esprit de géometrie», vi sono - come già nel suo opposto, Pascal - anche il comprendere, l'intuire e il sentire intuitivo-totalizzante, «l'esprit de finesse». Si potrebbe tuttavia obiettare: non è reale solo ciò che è «oggettivo»? Assolutamente no, anche l'oggettività scientifica, che è così centrale per le scienze naturali moderne, è passata attraverso una storia in epoca moderna: «oggettività» non è semplicemente uguale a «verità». La giustizia esaurisce la lista delle virtù sociali tanto poco, quanto l'oggettività esaurisce quella delle virtù epistemologiche”.

60 Dal testo L’inizio di tutte le cose di Hans Kung

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L’estensione sociale della realtà Siamo consapevoli che nel XX secolo la fisica ha prodotto ed indotto straordinarie trasformazioni concettuali. Si pensi al passaggio da una visione del mondo come moltitudine di oggetti separati, riuniti in una grande macchina, ad una visione di un tutto armonico ed indivisibile. Il passaggio, dunque, ad una rete di rapporti dinamici comprendenti l’osservatore umano e la sua coscienza. Tali trasformazioni concettuali hanno generato una rete di orizzonti multidisciplinari fondati sulla consapevolezza dell’interrelazione ed interdipendenza di tutti i fenomeni: fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali. Le grandi linee di questa nuova cornice concettuale sono già in via di elaborazione di comunità, di gruppi e di una moltitudine di persone che stanno sviluppando nuovi modi di pensare e di creare interazioni tra le stesse persone e tra le persone e l’ambiente. Pensiamo che vi sia un’intima connessione fra la nostra visione dell’esistente e i valori etici che guidano il nostro comportamento. Il modo in cui vediamo noi stessi e la realtà che ci circonda si proietta sulle nostre attitudini, i nostri rapporti con gli altri e l’ambiente. È necessaria quindi una più diffusa conoscenza del nostro universo, ovvero della nostra dimora, quale la nuova scienza ci mostra, affinché prevalga un miglioramento etico dell’uomo. Il nostro è un auspicio ma anche un invito volto a tutti coloro che, pur non svolgendo attività di “pensatori” a tempo pieno, vogliano cogliere l’opportunità di riflettere sul rapporto tra l’armonia del cosmo e l’incoerenza dei nostri comportamenti sociali.

Le schede che seguono desiderano rappresentare alcuni aspetti della nostra incoerenza nel rapporto con la realtà. Realtà che la scienza ci fa scoprire sempre più raffinata e sottile che va oltre la percezione dei nostri sensi.

Don Augusto Fagnani e Riccardo Girardi

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Il dubbio nella religione dell’eterno sviluppo

La credenza combina il vero e il falso

Insicurezza, impoverimento, nuove disuguaglianze. L’eterno sviluppo non funziona più, nemmeno per le sfere sociali medie e medio-alte.

Il dubbio è entrato nel cuore di una credenza fermamente consolidata nelle diverse discipline economico-politiche. Le teorie che avevano previsto un benessere generalizzato perdono progressivamente credibilità.

La credenza combina il vero e il falso. Non c’e dubbio che da due secoli a questa parte i beni disponibili per l'umanità hanno conosciuto una crescita enorme; rendendo più facile e duratura l’esistenza di chi ne ha usufruito. Ma il dubbio deriva dal nucleo del sistema dello sviluppo: la presunzione di potersi estendere in tutto il pianeta attraverso una crescita supposta infinita e assolutamente necessaria.

Occorre iniziare a leggere correttamente le mirabili curve della crescita, perché non sono soltanto quelle mostrate dall’economia (la crescita della produzione e dei consumi) ma anche quelle derivate: l’entropia, la trasformazione dell’energia libera in energia legata, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, l’effetto serra …… il crescente divario fra paesi situati nella parte alta della curva relativa alla crescita ed i paesi della parte bassa della medesima.

Gilbert Rist nel suo libro Lo sviluppo-storia di una credenza occidentale scrive:

“All’ampio movimento che si richiama allo sviluppo si sono convertiti (con rare eccezioni) la totalità dei dirigenti politici, degli operatori economici, degli organismi internazionali pubblici e privati, oltre ad una consistente percentuale delle popolazioni del nord e del sud del mondo.

Lo sviluppo è una creazione sociale quale promessa di una abbondanza generalizzata, ma passa ormai per un fenomeno naturale, sono le sue leggi (necessarie e indiscutibili) che governano la nostra società. Ed è divenuto estremamente difficile liberarsene.

Si è interiorizzata nel corpo sociale una credenza diffusa, che orienta le azioni produttivistiche dall’inizio della rivoluzione industriale, in un contesto culturale dove sempre di più il motore dello sviluppo è la crescita e il motore della crescita è la credenza incondizionata. Si insegue l’obiettivo di un’abbondanza generalizzata all’orizzonte, che si allontana quando si crede prossima, a costo di uno sfruttamento forsennato della natura, di una crescita delle ineguaglianze e di una mercificazione totale del mondo.

L’integralismo dominante fra la maggior parte dei dirigenti politici ed economici, offusca la loro capacità di vedere lo scarto esistente fra i valori a cui si richiamano e la durezza dei rapporti sociali esistente.”

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La preminenza assoluta dell’economia

Nel suo libro Ambiente e pace- Una rivoluzione possibile Carla Ravaioli sostiene con ragione:

“La dimensione economica avvolge ogni momento del sociale. Ciò ha prodotto una supremazia assoluta dell’economia su ogni altra funzione, fino alla subordinazione della politica e quindi delle strategie dei governi destra e sinistra che siano. La competizione è regola di vita, fino alla cancellazione di ogni norma di convivenza civile ed alla perdita di solidarietà.”

E aggiunge:

“È sempre meno attiva la funzione che storicamente l’economia ha avuto: la risposta ai bisogni reali. Mentre attualmente lo scopo prioritario è la crescente produttività del sistema a prescindere dai contenuti e dalle conseguenze. Un immensa produzione di merci da promuovere in un mercato di consumatori (noi) dove la pubblicità ha il compito di trasformare i desideri in bisogni funzionali alle merci prodotte”.

“La società diventa così un accessorio del mercato, la produzione non risponde ai suoi bisogni reali, ma viene pianificata per un gruppo sociale individuato e poi programmato da sofisticate tecniche di persuasione per il consumo del prodotto.”

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Conflitto tra logica del profitto e

bene comune

Emanuele Severino nel suo libro Lezioni di politica mette in evidenza:

“Le forze che si erano alleate per eliminare il nemico comune, cioè il ‘socialismo reale’: il capitalismo, la democrazia illuministico-liberale, le istituzioni socio-politiche che si richiamano al cristianesimo ….. Ebbene queste forze mostrano ora, in modo del tutto esplicito, la loro insuperabile conflittualità. Infatti il mondo voluto dal capitalismo non solo non è il mondo del socialismo reale, ma non è nemmeno il mondo ambito dalla democrazia o dal cristianesimo.”

Sul piano politico si mantiene l’illusione di conciliare lo scopo fondamentale del capitalismo (il profitto) con quello del ‘bene comune’ sorretto in modi diversi dalla democrazia e dal cristianesimo. Tali scopi però si escludono a vicenda e, se si realizza un mondo cristiano, non si può realizzare un mondo in cui lo scopo della società sia il profitto privato.

E Severino prosegue:

“ Il capitalismo, pensano in molti, non deve avere come scopo il profitto, ma il bene comune, e si vuole che, distogliendolo dal suo scopo, esso possa in ogni caso rimanere uguale a sé stesso. Lo si concepisce, appunto, come qualcosa che può avere indifferentemente come scopo il bene comune o il profitto, rimanendo in entrambi i casi lo stesso.”

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L’ambiguità del linguaggio

La medesima ambiguità, fra scopo e strumento, primeggia nei mezzi di comunicazione; essi ci sommergono di analisi congiunturali sugli strumenti (i modi di sviluppo): crescita, economia, mercato, finanza e quant’altro, oscurando simultaneamente una domanda sostanziale: per quale scopo d'insieme.

Abbiamo la netta sensazione che, in modo più o meno consapevole, una parte prevalente della comunicazione e dell’informazione ha rovesciato (confuso?) il rapporto tra strumento e fine. Lo strumento (il modo di sviluppo) è stato trasformato nel fine delle strutture sociali.

Vogliamo mettere in evidenza, tramite alcune considerazioni di Manuel Castells (La società in rete), che:

“è essenziale per la comprensione della dinamica sociale mantenere la distanza analitica e l’interdipendenza empirica tra modi di produzione (capitalismo, statalismo..) e modi di sviluppo (industrialismo, informazionalismo..)”….”le strutture sociali interagiscono con il processo produttivo, stabilendo le regole per l’appropriazione, la distribuzione e gli usi del sovrappiù.”

Tali norme costituiscono:

“ Modi di produzione, che a loro volta definiscono i rapporti sociali di produzione, determinando l’esistenza di classi sociali che si consolidano con l’agire storico …”

”I modi di sviluppo rappresentano gli assetti tecnologici attraverso i quali il lavoro agisce sulla materia per generare il prodotto, in ultima analisi stabilendo il livello e la qualità del surplus ….”

Riferirsi esclusivamente al modo di sviluppo e omettendo sistematicamente entro quale modo di produzione si intenderebbe inserirlo, evidenzia una subordinazione culturale verso il pensiero unico dominante. Pone, implicitamente, il modo di produzione capitalistico quale limite invalicabile delle nostre prospettive future, impedendoci di percepire la netta contrapposizione fra logica del profitto e bene comune.

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La vittoria della libertà sul totalitarismo 61

Secondo l’interpretazione prevalente in occidente, il crollo del sistema sovietico è un verdetto semplice e netto: la vittoria della libertà sul totalitarismo. La dimostrazione sperimentale della superiorità del capitalismo liberale sui regimi socialisti, l’esito inevitabile di sistemi politici estranei ai valori fondamentali della tradizione politica e culturale dell’occidente.

Questa lettura, che oggi è la più diffusa, è molto parziale e mette in ombra problemi e dimensioni molto rilevanti.

Infatti, se si osserva più da vicino il crollo del socialismo reale, non è difficile vedere che esso rappresenta non la vittoria dell’occidente contro il suo “altro”, ma l’esaurimento di una lunga tensione dialettica tra due poli, entrambi interni alla tradizione occidentale, quello della libertà e quello dell’uguaglianza. Tale tensione, che ha attraversato negli ultimi due secoli la storia della modernità, si esaurisce allorché il sistema dei paesi socialisti prima inizia a perdere la sua capacità di attrazione e poi crolla, lasciando campo libero al suo avversario storico.

Le tragiche ingiustizie consumatesi sotto quei regimi non devono però far dimenticare che essi erano nati da una rivoluzione, il cui scopo principale era quello di costruire una società fondata sull’uguaglianza.

In corrispondenza di questa svolta epocale la stessa nozione di modernità viene rapidamente ridisegnata sui modelli vincenti: adesso non ha più senso qualificarla con un aggettivo (liberale o socialista), ma è sufficiente la sola parola modernità, purché ricalcata accuratamente sui tratti del capitalismo vincente.

L’ideologia di questo modello economico-politico è una forma radicale di d’individualismo, che vede ogni legame sociale come una prigione arcaica e liberticida. In questo mondo, in cui ognuno fa per sé e deve solo pensare a correre, le disuguaglianze fra le classi sociali e tra i paesi non sono più un problema da affrontare, ma la dimostrazione più o meno diretta della diversa qualità delle culture e dei popoli. La crisi del welfare non è solo un problema istituzionale, ma l’inizio di una nuova durezza nei confronti di chi perde.

61 Testo di riferimento: Homo Civicus di F. Cassano

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La tutela del bene comune62

La “nostra intera economia è divenuta un’economia di spreco. In cui le cose devono essere divorate ed eliminate con la stessa rapidità con cui sono state prodotte”. Insomma nella nostra società il consumo è semplicemente un momento della produzione, e quindi il consumatore ideale è un soggetto etero diretto, manipolato attraverso la continua sollecitazione dei suoi desideri - egli è mille miglia lontano da qualsiasi consapevolezza dei meccanismi che lo governano, guidato da un processo “in cui le cose appaiono e scompaiono in cicli sempre ricorrenti, appaiono e svaniscono senza mai durare abbastanza per fornire uno sfondo al processo vitale”. Tali meccanismi decidono e governano tanto più facilmente quanto più si trova di fronte individui inermi e passivi.

“Questa passività e questo privatismo costituiscono la base per l’insediarsi di un potere che cura, amministra e sottomette i cittadini. Là dove il bene comune non interessa più i singoli, il suo curatore è un despota che non viene più controllato.” (A. De Tocqueville)

In una società nella quale la volgarità corre il rischio di fare da battistrada ad un dispotismo, che si nasconde dietro la maschera formale della libertà, la risposta più alta a questo pericolo è l’esercizio della cittadinanza: cittadini attivi che associandosi tra loro superano l’isolamento individualistico per la difesa dei beni comuni.

62 Testo di riferimento: Homo Civicus di F. Cassano

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Un brontolio sordo sale dalle discariche63

Con un sistema sociale così fatto, pensare di mettere al centro del nostro agire collettivo la tutela del bene comune appare una follia. Ma quello che ci fa ben sperare è il progressivo aumento di coloro che avvertono il problema; anche perché un brontolio sordo sale dalle discariche, dove si ammassano gli effetti perversi del degrado e della progressiva scomparsa dei beni comuni a causa della loro usura “egoistica”.

Solo pochi anni fa l’acqua era ancora un bene pubblico. Oggi la si acquista al supermercato, e gli antichi rubinetti servono solo per lavarsi e per lavare. Tra non molto anche l’acqua per le pulizie diventerà una merce. Dopo toccherà all’aria, dal momento che la bellezza, il mare e i silenzi sono già da tempo recintati e venduti.

Da questa distruzione dei beni comuni escono perdenti in primo luogo i più deboli, quelli che, nella lotta per accaparramento privato del pianeta, arrivano quando gli altri hanno già occupato i posti a sedere e chiuso ermeticamente le porte.

Tutelare i beni comuni significa, quindi, tutelare in primo luogo tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione di sesso, razza, classe o cultura, difendere una forma elementare, ma vitale, di uguaglianza.

La difesa dei beni comuni non coincide con una banale apologia di una forma giuridica o della proprietà pubblica, e non muove da un sospetto pregiudiziale nei riguardi del mercato. Siamo convinti che si diano dei casi nei quali alcuni beni essenziali per la comunità possono essere prodotti meglio da una molteplicità di soggetti in concorrenza tra loro. Ma tra questo schema ideale e il mercato reale c’è la stessa abissale distanza che c’era tra l’immagine del socialismo come comunità di liberi ed uguali e il dominio di nomenclature dispotiche. Il mercato reale è pieno di asimmetrie gelosamente custodite e di primati indiscutibili.

63 Testo di riferimento: Homo Civicus di F. Cassano