La comunità per minori come ambiente terapeutico globale · aiuto davvero questa persona che mi è...
Transcript of La comunità per minori come ambiente terapeutico globale · aiuto davvero questa persona che mi è...
Educare col cuore
La comunità per minori come ambiente terapeutico globale
Massimiliano Sabbadini, Paola Bastianoni, Federico Zullo
Massimiliano Sabbadini Paola Bastianoni Federico Zullo
EDUCARE COL CUORE: LA COMUNITÀ PER MINORI COME AMBIENTE
TERAPEUTICO GLOBALE
atti della formazione autunnale della Consulta Diocesana per le attività a favore dei minori e delle famiglie
ONLUS
Genova 12 – 13 – 16 NOVEMBRE 2009
INDICE GENERALE
Introduzione 5
TESTI
Paola Bastianoni 7La comunità per minori come ambiente terapeutico globale
Paola Bastianoni e Federico Zullo 49L’esperienza di comunità: opinioni e testimonianze di giovani
che l’hanno vissuto
Don Massimiliano Sabbadini 65Il mistero dell’oratorio
SLIDE
Paola Bastianoni e Federico Zullo 81Limitare i fattori di rischio: processi di valutazione, ricerca e intervento nelle comunità per minori
Paola Bastianoni 126Prendersi cura di chi cura: il ruolo della supervisione in comunità
Paola Bastianoni e Federico Zullo 144Formazione e supervisione clinica alle equipe educative nelle comunità per minori
Paola Bastianoni e Federico Zullo 165La funzione riparativa della vita quotidiana in comunità
Introduzione L’educazione è cosa di cuore, come dicevano i santi fondatori delle nostre congregazioni. E questo concetto/esperienza che ci unisce, viene, in questi atti e nella formazione della Consulta, esplorato attraverso tre canali fondamentali che sono poi il fondamento del metodo preventivo di don Bosco: amore, ragione e religione. La “ragione” viene approfondita, per così dire, con gli approcci di oggi: la riflessione pedagogica in primis. Il concetto viene qui presentato da un approccio di studi che fonda l’agire educativo come elemento terapeutico e il vivere in comunità come un approccio globale. Troviamo dunque un’inaspettata convergenza di sentire e di “ragionare” – appunto – su come occorra vivere in comunità e sul primato dato all’educare per poter dire: aiuto davvero questa persona che mi è affidata e che arriva da storie difficili. Infatti l’idea di "ambiente terapeutico globale" (Winnicott, 1965; Bettelheim, 1950; Redl e Wineman, 1951) sottolinea l’importanza della vita quotidiana come luogo "pensato" nella sua globalità per realizzare l'intervento riparativo e terapeutico, rifiutando la separazione fra un setting "a parte" deputato all'intervento psicoterapico. Il cuore e la religione vengono invece esplorati da don Massimiliano Sabbadini, proprio attraverso il metodo di don Bosco stesso. Occorre che l’educatore provi a trasmutare questi spunti dell’esperienza dell’oratorio nel proprio lavoro quotidiano. Infatti i testi e l’approccio spiegano il metodo preventivo dentro contesti che a noi sono prossimi. Dunque è affidato al lettore la “traduzione” esperienziale della narrazione, così affascinante dell’esperienza educativa con i ragazzi. Il testo, nato per tenere memoria della formazione autunnale degli operatori della Consulta di Genova, contiene anche, in appendice, le slide del corso. Fabio Gerosa, Don Marco Grega. www.consultadiocesana.org
7
LA COMUNITÀ PER MINORI COME AMBIENTE TERAPEUTICO GLOBALE
Prof.ssa Paola BastianoniUniversità di Ferrara
1. Le comunità per minori
Il termine comunità per minori sottende un insieme variegato e articolato di modi di vivere il quotidiano (comunità educative, case famiglia, gruppo-famiglia, comunità di tipo familiare, etc.), messi in atto da piccoli gruppi di persone (educatori, volontari, assieme a bambini/e e/o ragazzi/e allontanati dalle loro famiglie d’origine, affidatarie e/o adottive, o da altre comunità e/o istituti) per un certo periodo della loro vita.
La scelta di vivere questa esperienza è senza dubbio per alcuni (gli adulti, i professionisti) assolutamente volontaria e libera, mentre per gli altri (i bambini/ragazzi per cui è stato predisposto l’allontanamento dalla famiglia d’origine) è imposta come un intervento di protezione, di sostegno e di aiuto.
Gli adulti dunque possono fare questa scelta per vocazione o per professione o per l’una e l’altra ragione contemporaneamente; possono limitarla nel tempo quotidiano e/o settimanale (attraverso la definizione di precise turnazioni), oppure possono decidere di non porre limiti di tempo quotidiano, scegliendo la forma residenziale di convivenza, che può prevedere un limite programmato di alcuni anni della propria vita da adulto.
I neonati, i bambini e gli adolescenti allontanati dalle famiglie d’origine non scelgono e non possono scegliere volontariamente di vivere in comunità, anche se, a partire dai dodici anni, dato che la legge in materia impone ai Servizi sociali e ai Tribunali per i minorenni di ascoltare anche il loro parere, possono partecipare più attivamente al processo di affidamento loro proposto. La comunità quindi è per loro una non-scelta, un’occasione resa indispensabile e inevitabile, per mettere in atto un intervento di protezione, crescita e tutela, in totale discontinuità con i rischi e i danni familiari in cui sono incorsi.
8
La comunità è il contesto che li vede crescere, ammalarsi, guarire, mangiare, dormire. E’ il luogo dove si arrabbiano, sperano, imparano, rifiutano, trascorrono tutto il loro tempo, consumano e realizzano i loro compiti evolutivi, vivono i loro affetti, sperimentano le interazioni che caratterizzano la loro quotidianità e le loro relazioni, significative e non.
I neonati/i bambini/gli adolescenti non impostano la loro presenza su specifici turni (come fanno invece i professionisti e gli educatori coinvolti nel lavoro di comunità), non hanno alternative per trascorrere altrove la loro esistenza. Loro vivono in comunità a tempo pieno, il tempo della loro unica e irripetibile età (che sia l’infanzia, la prima adolescenza o l’adolescenza); il tempo della loro vita.
La comunità si pone di conseguenza come un contesto che deve intervenire, in termini riparatori, sulle disfunzionalità evolutive dei minori ospiti. Ma per cogliere le modalità attraverso cui deve esplicarsi tale intervento, individuando i reali ancoraggi di un’azione terapeutico-educativa checonsideri la variegata complessità di tutti gli aspetti psicologici e psico-sociali implicati e da valutare in questa specifica forma di affido dopo abuso, è necessario, in primissima istanza, comprendere, più nello specifico, chi sono i minori in comunità, dal momento che solo in questo modo è possibile accedere, nel contempo, ad un piano di individuazione delle differenti tipologie di intervento stesso, che la comunità deve strutturare, per offrire realmente occasioni di sostegno, supporto alle funzioni evolutive che per i minori in questione sono state minate da dinamiche intrafamiliari ceh non hanno garantito protezione, cura, tutela, normatività e condivisione emotiva, ovvero tutte quelle funzioni genitoriali che si connotano come i fattori strutturanti di adeguati processi di sviluppo idenititario.
2. I minori in comunità
Approfondendo pertanto il discorso sulla definizione delle caratterizzazioni che contraddistinguono i minori in comunità si può affermare che si tratta di bambini, ragazzi/adolescenti deprivati, laddove per deprivazione si intende la distruzione o la perdita dei legami significativi precoci; perdita che può comportare un disturbo reattivo i cui sintomi sono la mancanza di capacità
9
di dare e ricevere affetto, la messa in atto di comportamenti aggressivi verso gli altri e verso se stessi, consistenti problemi di controllo.
Si tratta di bambini/ragazzi/adolescenti che sperimentano spesso una molteplicità di condizioni di vita: ricoveri in istituti, affidamenti falliti a famiglie, a comunità e tardive adozioni, ma, come è noto agli operatori sociali, diventano storie molto difficili il cui unico tratto di continuità è segnato dalla costante ripetizione della catena di rifiuti, abbandoni e tradimenti.
Si tratta di minori nella maggior parte dei casi connotati da una forma di psicopatologia che sfocia in condizioni di mancanza di affettività, nell’interiorizzazione del senso di vergogna o del senso di colpa, e dalla difficoltà emozionale di entrare in una relazione empatica con gli altri. Le difficoltà di relazione si configurano, pertanto come i principali esiti disadattivi del quadro di deprivazione appena descritto.
Pur con la dovuta cautela, imposta dal rischio di effettuare generalizzazioni eccessive, e sottostimando la variabilità individuale nella risposta al danno, è possibile tuttavia rilevare che emerge una grande richiesta di sostegno emotivo, che viene proprio avanzata da chi si trova gravemente deprivato dell’esperienza primaria dell’amore e dell’accoglienza strutturante.
Gli studi sulle conseguenze psicologiche del maltrattamento e dell’abuso consentono di centrare l’attenzione sulle condizioni di vita di bambini e adolescenti abusati/maltrattati, evidenziando e dimostrando che quanto più precoce è l’intervento riparativo, tanto più completa è la reversibilità del danno.Se si prendono in considerazione le descrizioni di bambini e adolescenti che hanno subito maltrattamenti fisici, trascuratezza e/o maltrattamento psicologico- condizioni, queste ultime, che accomunano le storie di tutti i minori in carico ai servizi sociali e i minori presenti nelle comunità educative- troviamo l'unanime presenza di problemi scolastici e dell'apprendimento, connessi a ritardi dello sviluppo intellettivo; difficoltà sociali ed emozionali, comprensive di ostilità, aggressività, passività, bassa stima di sé e, nel lungo periodo, esiti nella devianza e nella psicopatologia conclamata.
La Crittenden (1985) descrive i ragazzi trascurati come passivi, senza difese, con significativi ritardi dello sviluppo e disarmati in condizioni di stress;
10
mentre quelli maltrattati fìsicamente sembrano presentare un temperamento difficile e, sotto stress, manifestano accentuata impulsività e rabbia.
Nell'ambito del maltrattamento psicologico vengono rilevate molte aree compromesse che coprono una vastità di sintomi a breve e a lungo termine quali: disturbi dell'alimentazione, bassa stima di sé, instabilità e ridotta sensibilità emozionale, mancanza di fiducia negli altri, dipendenza emotiva, forme di accentuata incompetenza e difficoltà nell'apprendimento, depressione, ritardi evolutivi, uso di droga e altre forme di dipendenza.
Pur nella grande variabilità delle configurazioni individuali, la costellazione delle aree dello sviluppo più frequentemente compromessa si ripresenta, sistematicamente, a carico del legame di attaccamento e della capacità di coinvolgimento in relazioni affettive, dell'adattamento e delle competenze sociali e cognitivo-emozionali.
Ne deriva di conseguenza che qualunque struttura di accoglienza per bambini e/o adolescenti che hanno subito un danno evolutivo a seguito della mancanza o della distorsione della funzione strutturante delle relazioni di attaccamento nell'infanzia, deve porsi il problema di riprodurre tale funzione in relazione all'età dei soggetti e al ritardo evolutivo presentato.
Le strutture residenziali di accoglienza per la prima infanzia devono necessariamente considerare, rispetto alla possibilità di costruire forme adeguate di intervento, tutto il quadro appena esposto, e, in funzione di questo, determinare la valutazione dei tempi di permanenza, il numero degli adulti in rapporto ai soggetti ospiti e la loro stabilità per la formazione di legami significativi, l'integrazione fra un modello teorico di riferimento e la progettazione organizzativa della struttura sul singolo e sul disturbo/sulla disfunzione specifica manifestata.
Le problematiche di disadattamento presentate dai minori in comunità possono essere infatti meglio affrontate se si adotta una prospettiva che interviene sulla qualità delle relazioni intracontestuali (interne alla comunità), tenendo presente la funzione supportiva che la struttura della vita quotidiana fornisce ai minori ospiti.
Facendo pertanto riferimento alla funzione dell’ambiente relazionale sullo sviluppo affettivo e sullo sviluppo del Sé, (funzioni che già in fasi
11
precocissime, consentono, come afferma Winnicott, lo sviluppo emozionale primario) gli interventi di comunità devono necessariamente impostarsi sulla considerazione dell’imprescindibile costruzione/strutturazione di dinamiche e processi relazionali ed emotivo-affettivi, che consentano la realizzazione di un ambiente che intervenga, in modo simbolicamente e riparatoriamente regressivo, sui casi di deprivazione/maltrattamento, ricreando uno specifico setting che deve essere teso a recuperare, ricostruire, attualizzare le primarie funzioni strutturanti fallite, invertendo il percorso di sviluppo disfunzionale determinato ed avviato dai precoci fallimenti ambientali da considerarsi come la causa precipua di privazione e/o deprivazione. La comunità deve pertanto imporsi come un ambienteterapeutico globale.
3. La comunità come un ambiente terapeutico globale .
L'uso del termine terapeutico vuole sottolineare, in maniera specifica, la possibilità dell'ambiente (in questo caso la comunità) di promuovere rilevanti processi di cambiamento. Più nello specifico, è possibile affermare che la comunità, per svolgere realmente funzione terapeutica, ossia per attivare e produrre processualità trasformative in senso efficacemente evolutivo deve tener conto delle seguenti dimensioni:
- adattamento degli interventi alla fase evolutiva e al retroterra culturale dei minori ospiti;
-elasticità degli interventi che permette la regressione e garantisce quelle modifiche organizzative e relazionali necessarie ad ottemperare alle esigenze mutevoli dei giovani ospiti durante le diverse fasi del processo di cambiamento;
-organizzazione dello spazio sociale della vita di comunità (inteso sia come relazioni, sia come attività) sulla base di una imprescindibile assunzione di un ruolo riparativo;
-riconoscimento all'ambiente di componenti protettive in grado di sostenere uno sviluppo ed un mutamento che superino il livello di progettazione orientato alla patologia, ovvero la funzione protettiva deve mostrarsi in
12
grado di modificare la traiettoria di vita intrapresa dal soggetto nella condizione di rischio.
Ognuno di questi aspetti, utilizzato come griglia per una riflessione approfondita interna all'equipe educativa o resa pubblica tramite i consueti strumenti di relazione con l'esterno (relazioni periodiche ai servizi sociali e al Tribunale) consente di esprimere una valutazione sulla pertinenza del funzionamento terapeutico della comunità in ogni singolo e specifico momento della sua fase evolutiva.
Spieghiamo meglio il costrutto di ambiente terapeutico globale, espressione che se non viene adeguatamente spiegata e sviluppata nelle sue complesse ed interessanti implicazioni non solo concettuali, ma anche pratico-operative, rischia di essere distorta e non compresa nelle sue istanze “rivoluzionarie” rispetto agli interventi di comunità, dal momento che la considerazione della comunità stessa come dimensione terapeutica in senso globale rappresenta il punto di svolta/o di passaggio da una dimensione istituzionale/istituzionalizzante degli interventi, ad una dimensione di tipo relazionale. Ma procediamo con ordine.
L'idea di «ambiente terapeutico globale» (Winnicott, 1965; da Bettelheim, 1950; Redl Wineman, 1951) chiarisce che in una comunità per minori ciò che svolge funzione terapeutica è la vita quotidiana da intendersi come luogo "pensato" nella sua globalità per realizzare l'intervento riparativo e terapeutico stesso. In questo senso, ciò che appare come particolarmente interessante e incisivo, soprattutto in relazione alla tipologia di problemi presentati dai bambini e dagli adolescenti deprivati e maltrattati, è il rifiuto della separazione fra un setting "a parte" deputato all'intervento psicoterapico (l'ora settimanale nello studio dello psicoterapeuta ad esempio) e la vita di ogni giorno all'interno della struttura residenziale. Il modello proposto dagli autori citati, infatti, tende a realizzare una forte compenetrazione fra l'interpretazione teorica del disturbo manifesto e la costruzione della quoti-dignità, enfatizzando come tutta l'organizzazione del quotidiano nella struttura residenziale deve essere considerata come parte integrante dell'intervento riabilitativo e terapeutico.
L’esperienza di formazione e di supervisione in comunità, purtroppo, porta a ritenere che, nella maggior parte delle comunità, è ancora il modello della separazione a predominare: il minore va dallo psicologo magari un'ora tutte le settimane, trascorrendo tutto il resto del tempo in un ambiente che, per-
13
seguendo obiettivi preminentemente assistenziali, di custodia e blandamente educativi, viene svuotato da qualsiasi valenza "terapeutica".
L’uso del termine terapeutico vuol sottolineare in maniera specifica la possibilità dell’ambiente comunità di promuovere rilevanti processi di cambiamento. In questo sede, ciò che si vuol mettere in risalto è che la anche la psicoterapia individuale (riprendendo l’esempio cui prima si è fatto riferimento), deve essere integrata agli altri interventi realizzati all’interno delle attività e delle relazioni di ogni giorno in comunità, in un lavoro di confronto fra tutti gli operatori che consentirebbe all’interno di ogni equipe educativa di lavorare con un livello di conoscenze e di informazioni più integrato. In molte comunità l’interdipendenza tra l’analisi del problema portato dai minori ospiti e la teoria di riferimento adottata per affrontare quei problemi stessi, non si articola neppure in progetti educativi ragionati su obiettivi da perseguire, e le stesse considerazioni sono estensibili ai servizi territoriali che valutano per primi il caso e lo propongono alla comunità, senza occuparsi di svolgere un’attenta valutazione dei rischi e delle risorse, rendendo così manifesto il preminente interesse per la dimensione della collocazione, piuttosto che per la reale promozione del cambiamento nel percorso evolutivo del minore deprivato/maltrattato/abusato.
Su un piano di recupero delle dimensioni teoriche alla base di tale discorso, nei classici lavori in cui si trova utilizzata la nozione di ambiente terapeutico globale, il quadro concettuale è fornito dalla psicoanalisi, ma è interessante rilevare, facendo riferimento a chi ha introdotto in Italia l’operazionalizzazione di tale costrutto stesso attraverso la progettazione di contesti di comunità rispondenti a tale modello (Bastianoni ed Emiliani, 1993), che risulta ancora più idoneo ed incisivo assumere come cornice interpretativa la teoria interattivo-costruzionista dello sviluppo che pone al suo centro la nozione di scaffolding, ovvero l'azione strutturante e supportiva degli adulti che, in una concezione fortemente interazionista, mette in grado coloro che ne sono coinvolti (minori), di svolgere compiti, superare difficoltà, acquisire conoscenze e competenze che non sarebbero in grado di realizzare da soli. Se nel corso delle prime esperienze evolutive la funzione di scaffolding concerne principalmente l'interazione diretta fra adulti e bambini, successivamente essa viene attuata in modo permanente da parte dei contesti sociali nella loro organizzazione di regole, routine, rituali e significati condivisi. L'azione strutturante operata da tali elementi riconosciuti e prevedibili rende possibile la coordinazione delle interazioni che sarebbe
14
altrimenti difficile o quantomeno molto costosa. La famiglia, la scuola, i gruppi dei pari sono luoghi di costruzione di significati che vengono progressivamente incorporati alla cultura di quel gruppo tramite azioni abitudinarie dotate di senso per tutti i partecipanti e rilevanti sul piano psicologico per la loro funzione di supporto alla costruzione della conoscenza di sé, dell'identità e della realtà circostante.
Riprendendo questi aspetti relativamente all’oggetto della nostra discussione, ne deriva che, rispetto agli interventi di comunità è necessario ed imprescindibile attribuire e rivolgere un'attenzione particolare alla vita quotidiana proprio perché essa è ripetitiva e, quindi, prevedibile, totalmente familiare e, pertanto, rassicurante; concerne il qui ed ora ed è facilmente rico-noscibile e rappresentabile a livello mentale, e, quindi, ha un impatto diretto sulla persona. Tutte queste caratteristiche possono essere utilizzate positivamente nei confronti di soggetti ai quali tutto questo è mancato. Si può ripartire dalla cura del corpo per riorganizzare affetti, spazio e tempo, conoscenze nella dimensione intersoggettiva.
L'organizzazione delle routine, delle regole e dei rituali familiari può costituire un indicatore di rischio psicosociale in famiglia. In accordo con la definizione di Bennett, Wolin e McAvity (1988), consideriamo i rituali come interazioni sociali schematizzate che includono una prescrizione di ruoli e un'attribuzione di significati; ricorrono in tempi e luoghi prevedibili e forni-scono all'individuo un senso di identità all'interno di un più ampio gruppo. Le routine, nell'accezione di Goffman, diventano rituali quando oltre alla funzione pratica di elemento organizzatore dello stile di vita familiare, forniscono una rappresentazione simbolica dell'identità familiare. La funzione regolatoria di questi elementi ha reso il loro studio di particolare interesse anche in ambito clinico (Wolin, Bennett, 1984).
I risultati di interessanti ricerche (Emiliani, Bastianoni, 1993), dimostrano che i "ragazzi a rischio" attribuiscono maggiore importanza alle routine regolatorie, mentre i soggetti non a rischio (che costituiscono il gruppo di controllo) vivono più frequentemente routine che facilitano l’incontro e la comunicazione fra i membri della famiglia e ad esse attribuiscono maggiore importanza per mantenere un buon clima familiare. Anche per quanto riguarda i rituali è possibile rilevare che, per i ragazzi a rischio, questi sono meno frequenti e, soprattutto non ne riconoscono le dimensioni simboliche e affettive.
15
In questo senso, allora, è possiamo riconsiderare il fatto che certamente tutte le comunità si danno delle regole e strutturano la quotidianità in routine (il pranzo, la cena, i tempi dei compiti, andare a letto, alzarsi eco), ma occorre valutare quanto questi momenti dell'azione ripetuta e ritualizzata diventino il luogo della negoziazione e della condivisione di significati. Regole, routine e le celebrazioni rituali possono essere i punti forti di una realtà imposta o viceversa i tasselli di una costruzione condivisa.
A questo proposito vale la pena riflettere un momento ad esempio su una tipologia di sequenza interattiva molto frequente in comunità: un adolescente che lancia una provocazione aggressiva all'adulto.
La modalità adeguata di intervento all’interno di questa sequenza implica che il richiamo di dell’adulto al rispetto di norme di ordine generale che regolano il vivere civile, il rispetto fra le persone, la buona educazione, o anche l'appello al riconoscimento del proprio ruolo di adulto e di educatore, fanno riferimento ad un livello codificato e formale della conoscenza condivisa che, per essere accettato e reso saliente sul piano soggettivo, ha bisogno di essere sperimentato nella costruzione intersoggettiva di significati che in primo luogo riguardano l'"essere con", l'essere reciprocamente implicati in una relazione. Si può chiedere, in sostanza, di rispettare qualcosa che è stato costruito insieme, in una relazione che ha valore e riconoscimento da parte di entrambi i partner, mentre il solo richiamo ad aspetti formali non può che essere vissuto dall'adolescente come un'ulteriore provocazione per chi non si è mai sentito accolto e rispettato. Non si può prescindere, infatti, dall'assetto cognitivo ed emotivo che caratterizza, come vittime, i ragazzi "casi sociali" per i quali ciò che viene percepito come provocazione e insulto legittima la risposta violenta intesa come una forma di equità che ristabilisce una sorta di giustizia. La costruzione di storie e conoscenze in comune richiede tempo e stabilità delle relazioni che diventano criteri per prevedere e organizzare la presenza nella comunità di adulti significativi, facendo sì che gli educatori stessi si configurino per i ragazzi come adulti significativi.
Riprendendo sinteticamente quanto finora affermato, è possibile rilevare che la formulazione più esaustiva del concetto di comunità come ambiente terapeutico, riprende i temi di Winnicott relativi alla regressione come elemento di autocura e sostiene la necessità di procurare al bambino deprivato o maltrattato un ambiente adeguato a permettergli di perdere le acquisizioni fatte per costrizione e sottomissione e per ritrovare la spontaneità dello sviluppo e della fiducia nel mondo esterno. La regressione
16
rappresenta la speranza dell’individuo che certi aspetti dell’ambiente che in origine fallirono possano essere rivissuti e che questa volta l’ambiente riesca, invece di fallire, nella sua funzione di favorire la tendenza naturale dell’individuo a svilupparsi e a maturare.
Proprio su questi presupposti si fonda pertanto l’organizzazione della comunità residenziali per minori, ossia impostare la struttura (dagli spazi fisici alle attività quotidiane) come parte integrante dell’intervento terapeutico, con l’obiettivo specifico di riparare i precoci fallimenti ambientali. Attraverso il concetto di ambiente terapeutico si focalizza l’attenzione (all’interno di un’interpretazione psicodinamica) sulla regolamentazione della vita quotidiana per costruire occasioni di supporto alle carenti funzioni dell’Io all’interno di specifiche relazioni vissute come emotivamente “significative” insieme ad adulti/altri significativi.
Il termine “altro significativo” utilizzato originariamente dalla teoria interpersonale della psichiatria indica quelle persone importanti per il bambino in quanto influenzano profondamente lo sviluppo del Sé, potendo promuovere o ridurre il suo stato di benessere (Sullivan, 1953).
Tutta l’esperienza infantile è organizzata in modelli relazionali che, al pari delle strutture cognitive dei modelli operativi interni, vengono conservati nel sistema Sé sotto forma di memoria o previsione che guidano la percezione delle relazioni presenti e future in tutto l’arco della vita. Un Altrosignificativo o Altri significativi incontrati in momenti successivi alla prima infanzia, in spazi quotidiano deputati alla condivisione della vita di ogni giorno, quali le comunità per minori possono perturbare i precoci modelli relazionali attraverso nuove modalità relazionali in discontinuità con le precedenti che nel tempo possono produrre cambiamento.
Questa definizione di “Altro significativo” molto prossima se non proprio coincidente a quella di “figura di attaccamento” va completata attraverso il richiamo, in una prospettiva interattivo-costruzionista, alle funzioni di tutoring, scaffolding e frame che gli educatori di comunità sono chiamati a svolgere. Nella letteratura il concetto di scaffolding è affiancato a quello di tutoring che viene spesso usato come sinonimo. Entrambi indicano l’attività di guida e supporto realizzata da un partner più competente nelle interazioni con un partner meno competente impegnato in un processo di apprendimento. In questa accezione entrambi i termini includono una gamma articolata di attività, ma “scaffolding”, nell’accezione originaria
17
indica più specificamente quell’azione di regolazione competente svolta dall’adulto nel fornire un’impalcatura, una struttura di sostegno capace di guidare l’azione del meno esperto, il bambino, riducendo le possibilità della sua libera azione entro un campo definito e controllato, permettendogli di portare a compimento l’attività senza farsi carico di tutto l’impegno cognitivo che richiede.
Facendo riferimento a questa accezione, asseriscono Fasulo e Pontecorvo (1998), lo scaffolding è una specifica modalità o fase, a sua volta articolata dell’attività di tutoring (vi si possono annoverare il reclutamento all’attività, la semplificazione delle componenti del compito, l’enfasi sulle razioni risolutive, etc.): tale attività pertanto, può, nel suo realizzarsi, includere anche altri tipi di mediazione e regolazione. Questi concetti individuano come indispensabile la funzione di supporto ed “impalcatura” che l’adulto deve fornire al bambino perché questi sia in grado di elaborare una conoscenza di sé e del mondo.
Nell’ambiente terapeutico tutti i momenti della giornata hanno rilevanza terapeutica, laddove siano presenti situazioni interattive e relazionali gestite da adulti, che devono accedere, con il loro stesso operato quotidiano, alla dimensione della significatività per il minore in comunità.
Si può ripartire dalla cura del corpo per riorganizzare affetti, spazio e tempo, conoscenze nella dimensione intersoggettiva. Si può svolgere la funzione di tutor nell’accompagnare il ragazzo a svolgere sequenze complesse di compiti quotidiani. Si possono contenere le sue paure interne e le paure del confronto con l’esterno. Si può sostenere la sua capacità di sentirsi efficace sull’ambiente rendendo la vita quotidiana rassicurante nella ripetizione di azioni quotidiane condivide ed elastica ed aperta ai cambiamenti richiesti dal ragazzo stesso. Un ambiente così strutturato svolge una funzione protettiva al rischio psicopatologico e psicosociale incorso dal minore consentendogli di sperimentare nuove routine relazionali e nuove esperienze di sé che nel tempo possono essere interiorizzate andando a modificare modelli rappresentazionali interni disfunzionali che altrimenti andrebbero a sostenere la continuità della traiettoria a rischio del soggetto.
L'azione strutturante della vita quotidiana riconosciuta e prevedibile rende possibile la coordinazione delle interazioni tramite azioni abitudinarie, ossia azioni dotate di senso per tutti i partecipanti e rilevanti sul piano psicologico per la loro funzione di supporto alla costruzione della conoscenza di sé,
18
dell'identità, della realtà circostante.
Un ambiente terapeutico focalizza l’attenzione sull’acquisizione da parte dei minori o giovani adulti di competenze sociali che si ancorano ad una complessa struttura interattiva in cui regole e routine funzionano come luoghi consolidati della condivisione di significati e di reciproche azioni. Il quotidiano è il mondo delle abitudini, del familiare, della continua negoziazione di significati, obiettivi e relazioni.
Per gli adulti il quotidiano è il luogo del ripetitivo, dell’ovvio, del banale, di atti compiuti senza rendersi conto, ma per i bambini l’ovvio non è ancora sedimentato, e ripetizione, familiarità sembrano essere le dimensioni che regolano i processi di apprendimento.
L’acquisizione di quelle competenze che consentono ai bambini di capire i sentimenti e i comportamenti degli altri, il comprendere il funzionamento delle regole sociali e la soddisfazione dei bisogni emotivi ad esse connessi si realizzano nelle interazioni quotidiane con partners familiari e sono proprio tali partners (nel caso delle comunità per minori, gli educatori) che devono pertanto svolgere una funzione protettiva nella misura in cui sostengono un reale cambiamento nella rappresentazione di Sé posseduta dal soggetto e della sua storia di vita.
La bassa autostima, il sentimento di vergogna e di colpa, come è stato discusso nella prima lezione, sono una costante dei bambini deprivati e maltrattati. L’organizzazione del quotidiano dovrebbe pertanto essere rivolta all'aumentare il sentimento di efficacia e di valore personale. Ricordiamo che una ricca letteratura ripresa da Di Blasio (2000) lega in modo particolare il sentimento di vergogna (che potremmo considerare una costante nel caso di bambini in comunità) ad una complessa deformazione delle percezioni e dell’immagine di sé. In particolare il sentimento di vergogna provoca una compromissione svalutativa del Sé invasiva e globale; una scissione fra Sé che osserva e Sé osservato, potremmo dire in termini meadiani una frattura fra Io e Me; con la messa in atto di processi controfattuali che tendono ad eliminare mentalmente un qualche aspetto del Sé percepito come sgradevole, cattivo o ripugnante; a livello esperienziale ciò comporta il ritirarsi, sentirsi piccolo, senza valore e impotente e di conseguenza sul piano motivazionale si verificano il desiderio di nascondersi, di scappare o il desiderio di vendicarsi; infine sul piano sociale e nella relazione con gli altri si sviluppa la preoccupazione della valutazione degli altri.
19
La funzione terapeutica della comunità, in questo senso deve pertanto produrre, proprio attraverso la significatività come criterio strutturante delle azioni dell’adulto nei confronti dle minore in comunità, una perturbazione, un cambiamento nelle aspettative e nella realtà relazionale vissuta dal minore stesso. “Perturbare”, in questo caso, significa disconfermare una percezione negativa di sé, ingabbiata entro ruoli e codici stereotipati, avvertiti come immutabili, e creare le condizioni per un approccio alla relazione e, quindi al proprio sé, capace di spezzare antichi cliché attraverso la trasmissione di aspettative positive che favoriscono un ritorno di fiducia e contenimento rispetto alla propria percezione di sé e in relazione all’altro.
4. L’ambiente terapeutico globale: la comunità e i lavoro sui contesti
Nel paragrafo precedente è stata discussa la nozione di “ambiente terapeutico globale”, che riconsidera la funzione riparatoria e di sostegno della struttura residenziale nella sua capacità di estendere la qualità terapeutica dell’intervento alle attività e alle relazioni quotidiane fra educatori e minori. In questo senso l’organizzazione di una comunità richiede agli adulti la capacità di dare corpo, attraverso modi, spazi e attività della vita di ogni giorno, a parole quali accoglienza, impegno, reciprocità, responsabilità, fiducia e sicurezza, dotando la globalità del contesto di vita di un’intenzionalità mirata. Fino ad ora lo sguardo è stato rivolto all’interno della comunità (microsistema), tuttavia la costruzione di un “ambiente terapeutico globale” richiede alla comunità stessa la capacità di funzionare adeguatamente su più livelli dell’ambiente, ovvero la realizzazione di un insieme di condizioni appartenenti al mesosistema, esosistema e macrosistema che, a loro volta, costituiscono altrettanti livelli di lavoro per l’operatore di comunità (Palareti,2003)
Con i termini microsistema, mesosistema, esostistema e macrosistema, si fa riferimento alla teoria ecologica dello sviluppo di Bronfrennebrenner (1976). Il modello ecologico può essere definito come lo studio della relazione dell’essere umano in sviluppo con le situazioni e il contesto in cui è attivamente coinvolto.
20
L'uomo è al centro di una serie d'anelli concentrici, ovvero di situazioni che esercitano un'influenza bidirezionale su di esso (ambiente ecologico). Ilcerchio concentrico più esterno rappresenta i valori della società e della cultura (macrosistema), quello più interno (microsistema) indica le situazioni in cui la persona è coinvolta in interazioni dirette, ad esempio, la famiglia, gli amici, i vicini, la scuola. Le interazioni tra i diversi microsistemi che una persona sperimenta durante la sua vita quotidiana costituiscono il mesosistema, mentre l'esosistema include tutte quelle situazioni che lo influenzano indirettamente anche se egli non vi è a contatto diretto (per un bambino, l'esosistema può essere rappresentato dall'ambiente di lavoro dei genitori e dalle loro amicizie).
L'individuo, muovendosi all'interno di questi quattro sistemi, si trova costantemente coinvolto in processi dinamici (transizioni ecologiche) che,richiedendo un cambiamento costante di ruolo e d'attività, necessitano di una costante ristrutturazione della sua posizione nelle diverse situazioni ambientali. Sono esempi di "transizioni ecologiche" la nascita di un figlio, di un fratello, il primo giorno di scuola, il primo giorno di lavoro, il licenziamento, la morte di un familiare, il cambiamento di città, casa, amicizie, fidanzato, lavoro ecc. Con le parole dell'autore, le transizioni sono una funzione congiunta di modificazioni biologiche e di alterazioni nelle condizioni ambientali; esse rappresentano quindi degli esempi per eccellenza del processo di adattamento reciproco tra l'organismo e ciò che lo circonda (Bronfenbrenner, 1979; tr. it. 1986, p. 62).
Prendendo come riferimento tali definizioni, vediamo in prima istanza il discorso legato all’intervento che la comunità deve svolgere nei diversi contesti relazionali dei minori (famiglia / scuola / tempo libero), riflettendo pertanto sulla dimensione del mesosistema.
La comunità è infatti solo uno degli ambienti in cui i minori trascorrono il loro tempo; accanto ad essa, la scuola, la famiglia d’origine, gli spazi di aggregazione del tempo libero e altri ancora costituiscono contesti rilevanti nell’esperienza di bambini e adolescenti. L’intervento di comunità non può prescindere dal prendere in considerazione l’intero sistema di relazioni che coinvolge un minore, poiché è proprio a questo livello che si collocano molti dei meccanismi protettivi rivolti ai minori.
Lo sviluppo di una persona è favorito dal fatto che siano numerosi ed eterogenei i setting ambientali in cui è coinvolta, purché essi risultino connessi tra loro in termini di stretta partecipazione, possibilità di
21
comunicazione ed esistenza di informazioni reciproche (Bronfenbrenner, 1986); il valore di una comunità residenziale sta allora non solo nella sua capacità di offrire ai minori nuove occasioni sociali e relazionali, ma anche - e in primo luogo - nel saperli accompagnare in quelle che Bronfenbrenner definisce ‘transazioni ecologiche’, poiché “la condizione meno favorevole per lo sviluppo è quella in cui i collegamenti fra le diverse situazioni o non danno alcun sostegno o mancano del tutto, quando cioè il mesosistema è scarsamente collegato” (ibidem, pag. 325). È evidente che la funzione di accompagnamento svolta dalla comunità non si esaurisce nel presente ma trova il suo massimo grado di realizzazione nella dimensione longitudinale propria del progetto, che diventa indicatore di qualità nel momento in cui esprime capacità di connessione col quotidiano, riuscendo a collocarsi in un continuum fra un prima (la provenienza dei minori) e un poi (la loro dimissione).
Focalizzando ora l’attenzione sulla dimensione dell’esosistema, applicato al contesto di comunità, è possibile affermare che all’interno di questo contenitore rintrano le interazioni fra le istituzioni che si occupano dei minori.
Quando un figlio viene allontanato dalla famiglia sono diverse le istituzioni coinvolte nella presa in carico complessiva. La funzione educativa, di tutela e cura che normalmente viene esercitata sotto la responsabilità di un unico soggetto (la famiglia) viene in un certo senso ‘distribuita’ ad istituzioni e professionisti (tribunale per i minorenni, servizi sociali, comunità, psicologo o neuropsichiatra infantile) chiamati a loro volta a collaborare in quanto vicendevolmente detentori di una parte di soluzione del problema, ciascuno in virtù del proprio ruolo e delle proprie competenze. È una situazione obiettivamente complessa in cui molte difficoltà nascono dal fatto che i soggetti/istituzioni coinvolti sono spesso diversi fra loro per struttura organizzativa e tipologia, dimensioni, finalità, logiche e culture organizzative, valori e codici linguistici (Leone e Prezza, 1999). L’interazione professionale ed istituzionale richiede molto impegno e consapevolezza: non si tratta, infatti, di individuare e sommare quote di competenza e responsabilità, ma è necessario assumere, anche in questo caso, un modello “co-evolutivo” che riconosca, cioè, l’interdipendenza reciproca delle varie istituzioni al fine di far fronte a ciò che, esse stesse, contribuiscono a definire come ‘problema’. Ciò che appartiene all’esosistema non è quindi una variabile esterna, una circostanza che, al più, interferisce o agevola il proprio intervento, ma un vero e proprio
22
oggetto di lavoro che, al pari del micro e del mesosistema, richiede continui sforzi di ascolto, comunicazione e negoziazione per arrivare, partendo da un complesso agglomerato di intenzioni, mandati, attese sociali e domande, ad una pratica operativa condivisa (Palareti, Berti, Emiliani, 2008).
L’analisi fin qui condotta si è occupata della dimensione relazionale degli interventi di comunità: è tuttavia nel macrosistema che si rende disponibile quell’insieme di strumenti concettuali, modelli culturali, norme e sistemi di credenze a cui ciascuna comunità attinge nella gestione dei propri interventi.
Due pertanto sono gli aspetti che costituiscono, su questo livello, un necessario terreno di confronto per ciascuna comunità e per gli operatori che vi lavorano: i modelli teorici che guidano l’azione educativa e gli aspetti legislativi che regolano il funzionamento delle comunità, con particolare riferimento al tema della valutazione di qualità.
A partire dagli anni ‘70 le comunità si sono sviluppate in Italia a macchia di leopardo, portando con sé rilevanti differenze per origine, cultura e sviluppo; per esempio alcune di esse, attualmente gestite da cooperative, nascono dal volontariato, altre da un ‘ridimensionamento’ degli istituti religiosi, altre ancora sono state aperte dagli enti pubblici. L’assenza prolungata di un quadro normativo nazionale (l’approvazione della legge quadro nazionale n°328 è solo del 20001[3]) ha aumentato tale disomogeneità sia per quanto riguarda la distribuzione delle strutture nelle varie aree geografiche, sia relativamente ai modelli gestionali, organizzativi, pedagogici e strutturali (Palareti, Berti, Bastianoni, 2006).
All’interno di ogni comunità è comunque possibile rintracciare teorie implicite, filosofie di riferimento o veri e propri modelli teorici che, contribuendo a creare un complesso sistema di attribuzioni di valori e aspettative, fondano l'azione quotidiana degli operatori. Tali modelli vengono a volte esplicitati, comparendo ad esempio nel progetto generale della comunità o discussi nel contesto della supervisione; più spesso, però, restano nella sfera dell’implicito. La maggioranza degli operatori lavora in contesti nei quali l’azione educativa non appare sostenuta da una riflessione teorica condivisa dall’equipe ma, anzi, il riferimento a modelli interpretativi
1[3] Legge 328/2000 dal titolo “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
23
non risulta costituire una base significativa su cui fondare l’intervento della comunità.
Riteniamo invece importante sottolineare che la comunità può costituirsi come ambiente “terapeutico”, nel senso di promuovere il cambiamento, solose dispone di modelli teorici in grado di spiegare sia la genesi del danno, sia le condizioni riparative sia, infine, l’insieme dei processi che sostengono il perseguimento di questo obiettivo. Al contrario, se è guidata unicamente da un’idea di tipo assistenzialistico, essa resterà ancorata a funzioni di cura e custodia, bloccando nella realtà ogni reale cambiamento.
Questa differenza tra “terapeutico” ed assistenziale introduce la necessità di criteri di valutazione pertinenti a cogliere anche questa distinzione. Il tema della valutazione dei servizi è oggi molto lontano da un’analisi qualitativa specifica di questo tipo. Infatti, pur essendo la valutazione di qualità un argomento imprescindibile per tutte le strutture residenziali che si muovono nel sistema di “quasi mercato” caratteristico dell’attuale sistema di welfare, essa risponde a criteri quantitativi e poco efficaci rispetto a organizzazioni in cui l’aspetto relazionale ha un rilievo fondamentale.
Di fatto, le comunità non sono un servizio standardizzabile e ciò, se da un lato rappresenta una risorsa per l’eterogeneità dei bisogni ai quali devono rispondere, dall’altro conduce a notevoli difficoltà nella definizione dei criteri che garantiscano livelli minimi di qualità. Nell’attuale sistema di welfare misto2[4], infatti, l’Ente Pubblico ha la possibilità di affidare a soggetti privati la gestione di diversi servizi mantenendone tuttavia la titolarità, facendosi carico, cioè, di definire le caratteristiche del servizio e mantenendo la responsabilità ultima per la qualità dello stesso.
Dal punto di vista normativo il sistema di qualità prevede l’autorizzazione e l’accreditamento. Oggi si assiste ad un vivace dibattito sull’efficacia di tali strumenti come garanzia di qualità (Regalia e Bruno, 2000; Foglietta, 2001); gli indici individuati dalla legislazione sono di carattere quantitativo e strutturale, non orientati alla valutazione del lavoro, ma alla misurazione di
2[4] Il Decreto legislativo 502/92 ha modificato profondamente il modello di erogazione delle prestazioni socio sanitarie, prevedendo che una pluralità di soggetti possano operare all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, con l’obiettivo di creare concorrenza nell’ipotesi che ciò contribuisca a migliorare la qualità e corrisponda una migliore gestione delle risorse.
24
standard ritenuti necessari (ad esempio, per le comunità educative, il rapporto numerico fra educatori e utenti o l’organizzazione degli spazi interni tale da garantire agli ospiti il massimo di fruibilità e di privacy, l’organizzazione ed assistenza del tempo libero). Tali indici sono inoltre di tipo statico e quindi legati al riscontro di conformità/difformità rispetto ad un modello precostituito.
Rimane quindi un problema aperto quello di individuare indicatori che consentano una reale valutazione dell’efficacia dell’intervento di comunità, che aiuti in primo luogo gli operatori nella gestione del lavoro. Riteniamo che una valutazione degli interventi ecologicamente orientata (che , dal micro al macro, comprenda tutti i livelli di analisi) rappresenti per l’equipe educativa un’occasione per pensare, comunicare e riorganizzare in termini condivisi (Orsenigo, 1999), cogliendo appieno la peculiarità di un lavoro che si pone in continuità fra l’individuale e il collettivo, l’intrapsichico e il sociale.
5. La comunità come ambito di esercizio delle funzioni genitoriali e i rischi dell’istituzionalizzazione
Dopo aver discusso delle complesse interazioni che la comunità intrattiene con altri sistemi all’interno della dimensione ecologica dei rapporti intersistemici (applicazioni della teoria ecologica di Bronfrenbrenner), torniamo ora nuovamente a focalizzare l’attenzione sul micro-contesto, sviluppando la riflessione sulle dimensioni interne alla comunità e discutendo in modo specifico dell’applicazione del costrutto di genitorialità al contesto di comunità stessa. La domanda di partenza risulta pertanto essere la seguente: è possibile parlare di esercizio di funzioni genitoriali nel caso delle comunità per minori? Gli educatori, possono svolgere funzioni genitoriali?
Includere tra le nuove genitorialità anche gli educatori a molti sembrerà un’azione ardita e impropria. Nella realtà della nostra esperienza ormai ventennale con coloro che si occupano di figli non propri nella vita quotidiana (famiglie adottive, affidatarie, educatori), abbiamo riscontrato una costante trasversale a tutti i ruoli e i contesti che ci permette di includere, pur con le necessarie e visibili differenze, tutte le professioni di cura nella realtà delle genitoriali simboliche.
25
Senza entrare nello specifico dell’analisi dei costrutti di genitorialità, generatività, genitorialità simbolica in questa sede basti ricordare che la “genitorialità può essere intesa come una funzione autonoma e processuale dell’essere umano preesistente all’azione di concepire che ne è soltanto una, se pur fondamentale, ma non necessaria espressione (Cramer e Palacio-Espasa, 1994).
La genitorialità, infatti, va prioritariamente riferita al costrutto interno relativo alla rappresentazione della funzione materna che si origina nell’individuo a partire dalla primissima infanzia come risultato processuale delle modalità relazionali attive con i propri caregiver e che consente al bambino di pervenire a livello rappresentativo-narrativo alla costruzione dei modelli operativi interni della relazione e quindi della relazione genitoriale (IWM ; Bowlby, 1973,1980, 1988; Bretherton e Munholland,1999).
L’asse portante della funzione genitoriale fa riferimento al piacere di provvedere all’altro, di conoscerne l’aspetto e il funzionamento corporeo e mentale in cambiamento, di esplorarne le reazioni, di interpretarne i bisogni, offrendo protezione e accudimento (Fava Vizziello, 2003). Questa esperienza è per l’essere umano fortemente ancorata allo sviluppo affettivo-emotivo-cognitivo, attivando emozioni fortemente interconnesse di piacere e/o delusione, senso di arricchimento e/o svuotamento della propria personalità, con conseguente arricchimento o distorsioni della stessa struttura psichica, non solo con i figli o con le persone a noi più vicine ma anche nel mondo professionale, in tutte le professioni di aiuto per ruolo e, nelle altre, per scelta.
L’esperienza della genitorialità è quindi onnipresente nelle relazioni di cura ed è il primo forte (anche se raramente consapevole) organizzatore implicito e motore del comportamento, attivatore emotivo dell’azione e dell’intervento rivolto all’altro.
Partendo pertanto dal presupposto fondamentale che la figura dell’educatore può incarnare la dimensione della genitorialità, in quanto di fatto l’educatore stesso svolge o può/dovrebbe svolgere, sulla base delle riflessioni appena presentate, una funzione genitoriale, risulta possibile affermare che le comunità residenziali per minori sono l’espressione emblematica di una tipologia di convivenza quotidiana tra due generazioni (adulti e bambini/adolescenti) che più di qualsiasi altra forma di convivenza espone i
26
partecipanti al paradosso dell’assenza di coincidenza tra ogni aspetto che lega la genitorialità al legame biologico, alla familiarità, all’affetto, alla gratuità ma che, nonostante tutte queste assenze, attiva fortemente tutto ciò che concerne la genitorialità più profonda, quella non risolta, quella rimossa, quella agita.
Nelle comunità per minori, infatti, co-costruiscono la loro vita quotidiana adulti e minori che non solo non sono uniti da legami biologici ma che sono, inizialmente, dei perfetti sconosciuti che non scelgono di stare assieme, non possono decidere i tempi della loro convivenza che normalmente vengono definiti in altri luoghi istituzionali (Tribunali, Servizi sociali), che possono non avere affinità né necessariamente sviluppare dei legami, né provare reciproca simpatia/empatia o odio/rancore/recriminazioni.
Nelle comunità non si realizza la coincidenza spaziale tra la vita dei genitori biologici e quella dei loro figli, così come si registra la più ampia discontinuità tra lo svolgimento delle funzioni genitoriali quotidiane ad opera degli adulti che vi operano, siano essi professionisti o volontari, e l’esercizio reale/simbolico della genitorialità da parte dei genitori naturali/affidatari/adottivi.
Infine, l’esistenza delle comunità per minori si impone alla nostra attenzione con la stessa dirompente, fastidiosa, ostile, sfacciata comunicazione, che ogni abietto (Taurino, 2005), cioè ogni oggetto sociale diverso/altro/estremo (e in virtù di questo negletto) attiva, generando in noi sentimenti di non facile accettazione.
L’esistenza stessa delle comunità per minori, luogo dove vengono accolti/inclusi e/o relegati/reclusi (a seconda del modello culturale in atto) i figli scacciati, rifiutati, non voluti, offesi, violentati, abusati, impone di confrontarsi con la coesistenza reale e simbolica di protezione e danno/rischio/pericolo nelle relazioni tra genitori biologici e figli biologici, costringendoci a rivedere, ripensare, riattribuire significati a quell’oggetto sociale, quale è il nucleo familiare tradizionale che attraverso un processo di naturalizzazione (Fruggeri 2005) sembrava assolvere al meglio il suo compito biologico primario assegnatoli dalla natura: garantire la sopravvivenza psicologica e fisica dei figli, erigendo barriere difensive verso l’esterno, dominio del pericolo, del non conosciuto, dell’estraneo, così come sostenuto dalla nota teoria dell’attaccamento (Bastianoni, Taurino, 2005).
27
Nelle comunità per minori viceversa, è proprio l’estraneo, il non familiare, lo sconosciuto, ad essere designato ed incaricato dalla società a ripristinare il funzionamento relazionale, cognitivo ed affettivo danneggiato nei figli altrui, proprio da chi familiare e conosciuto lo è sicuramente, in quanto genitore biologico o simbolico (affidatario e/o adottivo), ma che, intimidendo, attaccando, violando e disconoscendo, si va a collocare proprio al di fuori del confine naturale della protezione, assumendo i toni e le sembianze dell’aggressore/estraneo.
Attraverso l’esercizio della protezione al piccolo/bambino/adolescente che ha ricevuto danni ed è incorso nel pericolo proprio dentro “i confini” della sua famiglia, qualunque configurazione essa abbia assunto (monogenitoriale, nucleare, allargata, adottiva, affidataria), l’estraneo acquisisce lo status di familiare/conosciuto/affidabile e si inscrive all’interno di quelle relazioni significative in grado di modificare traiettorie evolutive inevitabilmente dirette verso il disagio/disturbo psicologico/relazionale.
Queste considerazioni introducono un tema, a nostro avviso, assolutamente non trascurabile laddove si vogliano comprendere, capire a analizzare i processi dinamici attivi inevitabilmente nell’adulto, non genitore biologico, che investe sia professionalmente sia volontariamente il suo tempo nella cura, nell’assistenza, nell’educazione quotidiana di figli non suoi, incontrandosi, confrontandosi, scontrandosi quotidianamente con i propri modelli interiorizzati di genitorialità.
Le resistenze o i meccanismi di difesa che si attivano in questo quotidiano processo di confronto personale quando non vengono riconosciuti, accolti, sostenuti e interpretati, conducono inesorabilmente o a reiterare proiezioni dei propri conflitti non risolti sugli adolescenti e sui bambini in carico o a tentare fughe razionali/razionalizzanti dal conflitto personale in atto, ricercando modelli culturali che possano legittimare la distanza affettiva e l’ancoraggio al ruolo.
Il modello professionale di stampo istituzionale/istituzionalizzante,ampiamente impiegato in campo educativo, si trova così a rivestire un ruolo culturale cruciale, perché assume la funzione simbolica di alternativa alla relazionalità, al rapporto interpersonale, al confronto con vissuti soggettivi destabilizzanti quando non sono accolti, letti e restituiti negli appositi setting formativi e di supervisione.
28
Il modello professionale, nella sua versione riduttiva di stampo istituzionalizzante massicciamente impiegato in tutte le istituzioni educative si configura pertanto come il contenitore culturale che più di altri legittima la fuga dal confronto e dal conflitto con le emozioni e con i vissuti che l’esperienza quotidiana attiva, additando come espressioni di scarsa professionalità ogni forma di coinvolgimento personale, ogni vissuto emotivo, ogni comunicazione personale, ogni manifestazione differenziata di interazione con l’altro.
Sulla scia di queste processualità, in molte comunità la vita quotidiana non è organizzata secondo una prospettiva terapeutica: è semplicemente organizzata. Gli adulti non desiderano assumere significatività e spessore personale, ma preferiscono rifugiarsi nella distanza garantita dal ruolo; in quanto educatori, gli adulti organizzano, spiegano, rendono prevedibile l’ambiente attraverso la didascalica descrizione delle loro presenze e delle loro assenze, dei loro ritorni e delle loro uscite in e dalla comunità. Di certo però non è questa la prevedibilità di un ambiente terapeutico globale.
La prevedibilità di un ambiente terapeutico è la certezza maturata nei lunghi giorni e nelle notti in comunità di non essere lasciata/o sola/o con i propri dubbi, pensieri, ossessioni, ma di poter contare su qualcuno che c’è per te, c’è per come sei, c’è per la tua tristezza e per la tua rabbia, c’è per i tuoi non baci e i tuoi non abbracci, c’è a distrarti quando proprio non ce la fai più c’è. C’è per dirti “mi dispiace” (…mi dispiace che sei dovuta venire qui. Mi dispiace per quello che ti è successo. Mi dispiace non poter essere tua madre. Mi dispiace tanto e per tutto ma adesso che sei qui con me ti posso dire con certezza che io ci sono. Non posso fare altro ma ci sono. Ci sono quando piangi e quando sei arrabbiata. Ci sono quando quel boccone non va giù e il piatto rimane sempre pieno. Ci sono quando vorresti soltanto chiudere gli occhi e quando quegli occhi non si chiudono mai. Io ci sono).
Quel qualcuno c’è al di là dei turni, che c’è quando ti dice semplicemente abbracciandoti che non può risolvere problemi irrisolvibili, non può restituirti alla tua mamma, né accellerare i tempi del Tribunale, non può aiutarti a dimenticare ciò che hai vissuto ma può aiutarti a ricordare ciò che è stato e, soprattutto, può starti vicino. E’ lì vicino a te, pronto a crederti anche quando tutti gli altri sono costretti a dubitare perché è in atto il processo di validation.
29
Nell’ambiente terapeutico l’accessibilità non è vincolata ai dettami organizzativi. Non si è costretti a imparare l’accoglienza part-time di tipo istituzionale che segna l’esperienza di tanti bambini in comunità. L’ambiente terapeutico evoca una casa non solo perché lo spazio è accogliente, colorato e ordinato. La cura dello spazio fisico è un prerequisito necessario, emblematico, indispensabile ma non è sufficiente. a realizzare l’accoglienza laddove coesista con la fretta, il disinteresse e l’assenza di oggetti che segnalano la condivisione di quello spazio anche con gli adulti.
Il linguaggio istituzionale si rifugia nell’anonimato del ruolo (sintetizzabile nell’espressione: in comunità si è tutti educatori), protetto dall’istanza professionale che giustifica l’uso del termine a costruzione dei presupposti di un’interazione educativa che non deve essere foriera di confusività e ambiguità. In virtù di questo assioma educativo i bambini, di qualunque età, devono sapere molto bene non solo che gli adulti che incontrano in comunità sono tutti educatori ma che svolgono tutti le stesse funzioni, che hanno tutti lo stesso orientamento educativo, che fanno tutti le stesse cose e conoscono tutto ciò che succede in comunità, anche quando sono assenti, grazie al potere esteso e pervasivo della comunicazione verbale (colloquio all’inizio del turno con l’educatore che smonta) e scritta (diario di bordo, agenda, osservazioni… ) che garantisce loro l’unicità nella molteplicità.
La cultura istituzionale, troppo spesso inglobata acriticamente nel modello professionalizzante, conferisce rigidità alla duttilità del lavoro d’èquipe che richiede necessariamente a tutti di condividere informazioni, comunicazioni, confidenze sulla realtà relazionale che si è dispiegata in comunità in assenza di alcuni educatori non presenti, ma laddove la comunicazione non risulta al servizio del benessere del bambino /adolescente e del rispetto dell’unicità di ogni relazione educativa adulto/minore che si struttura in comunità, si assiste ad un grossolano conformismo educativo che facilmente degenera nella spersonalizzazione di ogni rapporto. La degenerazione di questo processo è facilmente riconoscibile nella richiesta/imposizione all’educatore che entra in turno, dopo una settimana di assenza, di non salutare il bambino di otto anni attualmente in punizione per non spezzare la continuità educativa e destabilizzare il valore dell’intervento effettuato dal collega.
L’adozione di un orientamento relazionale, al contrario, valorizza l’impegno, la competenza, la responsabilità e la capacità di ciascuno di realizzare relazioni originali, uniche, autentiche, tra loro sintoniche e non discordanti, in accordo con la finalità progettuali e gli obiettivi
30
educativi/riparatori/terapeutici rivolti al minore, come risultato di una competente e attenta direzione volta, non a mortificare e a sacrificare la specificità di ogni relazione, ma ad accordarle in un’insieme armonico e coerente che, nella sua unicità, mantiene riconoscibile la specificità di ciascuna.
Chi ha esperienza diretta con bambini piccoli è in grado di riconoscere quanto sia grande e costante il bisogno di protezione fisica ed emotiva che i bambini richiedono alle figure che regolarmente si occupano di loro ogni giorno. La ricerca di protezione, espressa attivamente e con tenacia sia attraverso il pianto, sia con la tensione a monitorare visivamente la presenza dell’altro sia attraverso la ricerca fisica dell’adulto, quando il piccolo inizia a padroneggiare il movimento, sembra placarsi e trovare conforto solo quando l’accessibilità fisica e la disponibilità emotiva/affettiva delle figure familiari diventano caratteristiche relazionali costanti e prevedibili del contesto di cura quotidiano.
In termini evolutivi, un bambino che ha accesso costante ad un contesto relazionale responsivo e sensibile si assicura un’esperienza fondamentale per un suo buon adattamento a breve e a lungo termine: l’esperienza della sicurezza; la sensazione, cioè, di poter contare sull’altro nei momenti di bisogno, di paura, di tensione emotiva interna, la consapevolezza di poter conoscere l’ambiente, di poterlo esplorare senza paura sapendo che si può sempre fare ritorno alla base sicura nei momenti di difficoltà per poterne poi ripartire dopo aver ricevuto conforto, rassicurazione, consolazione.
L’alternanza tra attività di esplorazione dell’ambiente e di ricerca di vicinanza fisica e di contatto emotivo con l’adulto familiare per assicurarsi la sua protezione e, di conseguenza, consolidare il proprio sentimento di sicurezza, sono infatti quelle prime sfide evolutive che il piccolo umano deve assolvere positivamente per garantirsi la sopravvivenza psicologica, oltreché, naturalmente, quella fisica.
Non tutte le interazioni con le figure adulte, però, assolvono a questo compito e non sempre la qualità dello scambio relazionale garantisce la sicurezza: scambi occasionali con persone scarsamente significative non danno luogo all’esperienza della sicurezza, così come scambi quotidiani con figure d’attaccamento che non riescono ad assolvere ai loro compiti di protezione impediscono ai piccoli di sperimentare prima, e di introiettare poi, la sicurezza. In ogni caso ciò che è fuori discussione è che l’esperienza
31
della sicurezza o dell’assenza di sicurezza o di esperienze miste è strettamente connessa al legame/i d’attaccamento che si costruisce e consolida negli scambi interattivi tra il bambino e la persona o le persone che se ne prendono cura continuativamente nella vita quotidiana anche in comunità (Bastianoni, 2005).
L’esperienza dei bambini affidati alle comunità è privata della ricorrenza di esperienze relazionali idonee all’interiorizzazione della sicurezza e il primo compito che l’ambiente comunità ha necessità di espletare è proprio quello di consentire all’individuo di avere accesso ad almeno un’alternativa relazionale che gli consenta di sperimentare protezione e sicurezza negate nelle precedenti esperienze familiari.
Si tratta di un compito che ogni educatore è chiamato a svolgere e rappresenta il primo fondamentale nucleo della sua professionalità: costruire saldi e rassicuranti legami che possano reggere l’impatto di emozioni ambivalenti e contrastanti, di vissuti emotivi dirompenti, di rappresentazioni fantasmatiche. E’ un compito che non può essere svolto in solitudine autoreferenziale ma necessita, a sua volta, di un adeguato, sicuro e stabile sostegno professionale. Il setting di formazione/supervisione integrata (a cui saranno dedicate le ultime lezioni) è il contesto che consente agli adulti impegnati nella costruzione di processi relazionali significativi con i minori loro affidati di rispondere professionalmente a questo compito, potendo contare su una base sicura che accoglie i loro vissuti, che è in grado di contenerli, leggerli e restituirli con l’attenzione di chi sa che non può colludervi laddove essi si configurino in continuità con quelli esperiti dai bambini/adolescenti nelle relazioni primarie e rappresentino, pertanto, quelle dimensioni dalle quali si richiede affrancamento e cambiamento e non pervasiva continuità.
Gli educatori devono pertanto assumersi il rischio e la responsabilità di porsi come adulti significativi.
Il paradosso culturale con il quale ci confrontiamo regolarmente quando svolgiamo compiti di supervisione nelle comunità per minori è invece regolarmente inscritto nell’ossimoro adulto significativo indifferenziato che esprime al meglio proprio questo conflitto non risolto.
L’adulto significativo è per sua natura soggettivamente identificabile dall’altro, è colui che si preferisce, si sceglie, perché più vicino emotivamente, perché più presente nello spazio e nel tempo, perché più
32
accessibile, perché più riconoscibile. Ogni educatore perché possa diventare adulto significativo ha necessità di essere riconosciuto nella sua specifica soggettività e non può essere interscambiabile ed indifferenziato con gli altri colleghi, pur avendo il compito di esprimere nella sua singolarità e specificità un’accoglienza collettiva e condivisa con i colleghi. Ed è proprio il processo di co-costruzione nel gruppo di una personale e soggettiva capacità di relazionarsi con ogni bambino/adolescente in maniera coerente, personale e differenziata da parte di ogni educatore, a richiedere il superamento del concettosi indifferenziazione che va inteso come il fallimento di ogni intervento educativo in comunità.
Un elemento fondamentale pertanto è proprio uscire dalla logica dell’indifferenziazione e creare le premesse per la determinazione di processi di familiarizzazione, ossia la realizzazione del passaggio dall’estraneità alla familiarità/significatività, processo che rappresenta quell’occasione offerta al bambino/adolescente di intraprendere incompagnia affidabile il lungo viaggio rivolto alla comprensione di chi si è ora, e di chi si è stato prima, e di chi si potrà diventare; di ciò che è accaduto, per responsabilità di chi e per quali ragioni. Domande/dubbi/timori che, trasversalmente all’età, alle ragioni dell’ingresso in comunità, ai tempi di permanenza e alla destinazione successiva, accomunano tutti coloro che hanno subito ingiustizie ed esclusioni dal loro ambiente familiare.
Diventare familiare agli occhi di un bambino/adolescente sconosciuto a cui si richiede di crederti, di rispettarti, di ascoltarti, di comportarsi come da te suggerito, significa essere conosciuto, accessibile e affidabile. Conoscenza, accessibilità e affidabilità costituiscono il primo processo protettivo rivolto a chi viene accolto in comunità che ogni educatore ha necessità di attivare per realizzare con ciascuno una storia comune/condivisa intesa come prerequisito/ premessa indispensabile ad ogni percorso di auto-affidamento da parte del bambino/ragazzo stesso.
La costruzione di una storia in comune con i minori proprio a partire dalla condivisione dei tempi e degli spazi della vita quotidiana in comunità, implica il lasciare che i tempi iniziali della familiarizzazione non siano segnati dallo scandire dei turni di lavoro, ma dalla presenza attenta e continua degli adulti in relazione ai tempi e ai bisogni dei bambini (prima conoscenza e familiarizzazione con l’ambiente fisico e relazionale; i tempi dell’addormentamento e del risveglio scanditi dalla continuità della
33
presenza di chi assicura l’abbandono al sonno e accoglie i turbamenti del risveglio). L’adozione di un orientamento relazionale centrato sulla comprensione dei processi interattivi, simbolici e dinamici in atto, orienta la programmazione delle attività e l’organizzazione delle presenze degli educatori, e non viceversa, e ogni scelta organizzava e gestionale deve essere discussa nel setting di supervisione, al fine di comprenderne e valutarne significati e ricadute reali e simboliche, nel breve e nel lungo periodo. Il processo di familiarizzazione tra adulti e bambini, dopo la fase iniziale di conoscenza reciproca in comunità, si deve progressivamente ampliare alla conoscenza dei reciproci ambienti di vita in una condivisione empatica che apra lo spazio alla fiducia e all’appartenza da parte di ciascun bambino.
Nella costruzione della storia in comune gioca un ruolo centrale la possibilità data ai bambini di conoscere i luoghi di vita degli educatori. Il sentimento di condividere con gli adulti incontrati un destino comune ed esperienze analoghe si rafforza quando i bambini hanno accesso agli spazi, alle attività e ai tempi della loro vita e quindi hanno la possibilità, anche durante la loro assenza in comunità, di raffigurarsi dove sono, in quali attività sono impegnati e con chi le stanno condividendo. Vedere le case abitate dagli educatori, dai loro familiari e amici, le scuole frequentate quando avevano la loro stessa età, gli ambienti di vita attuali, realizza una conoscenza reale condivisa e un accesso simbolico all’altro, a un luogo mentale terzo dove pensarsi e pensare il dipanare di una vita diversa dalla propria ma vicina e possibile; una finestra su un futuro che contempla il passato ma se ne può discostare.
Il processo di costruzione di una storia in comune centrata sulla familiarizzazione degli estranei/educatori per renderli innanzitutto personedense di storia, specificità, peculiarità, soggettività conosciute, e successivamente persone significative in quanto accessibili, vicini anche se a volte lontani nello spazio ma non nel tempo grazie ai telefoni cellulari, empatici e possibili oggetti di identificazione è sempre necessario laddove si adotti con consapevolezza un orientamento relazionale che annulla le dicotomie istituzionali (vita privata e vita professionale) identificando un punto di vista terzo che le sappia integrare. Il rispetto per la dimensione privata e per l’intimità dell’educatore non diventa allora incompatibile con l’accessibilità e la conoscenza da parte dei bambini/adolescenti che non si traduce mai in mera invasione o in stucchevoli sentimenti di inclusione caritatevole. L’incontro di sé concesso all’altro è governato e monitorato in
34
maniera consapevole al fine di impiegare la propria persona, la propria storia, i propri spazi reali per costruire e rendere visibile all’altro quello spazio simbolico, interno, sempre accessibile che l’adulto/educatore/genitore simbolico mette a disposizione di ciascun bambino/adolescente preso in carico. Uno spazio in cui il bambino può rispecchiarsi e ritrovarsi; uno spazio che non si esaurisce né si riduce per la presenza di altri oggetti d’amore ma si dilata e si amplia nell’accoglienza e nell’accettazione specifica di ognuno.
E’ lo spazio del rispecchiamento mancato nelle relazioni precoci, è lo spazio che non crea competizione con il proprio partner o con i propri figli o tra i bambini della comunità perché è uno spazio che cresce e si dilata seguendo i tempi e l’evoluzione della professionalizzazione relazionale. La familiarità è il primo obiettivo nel processo di professionalizzazione relazionale richiesto all’educatore di comunità che supporta e determina le condizioni perché possa esercitare in maniera consapevole e sistematica la funzione di protezione/sicurezza necessaria alla sua trasformazione da familiare a significativo.
6. Dalla significatività relazionale alle emozioni: il doppio livello della comunità come ambiente terapeutico globale
Approfondendo infine le riflessioni finora esposte possiamo pertanto affermare che essere adulti significativi non è una premessa da inserire comodamente nei progetti di comunità o nella carta dei servizi per ottenere autorizzazioni al funzionamento e/o accreditamenti, e non si identifica neppure con il personale assunto, né con i loro nomi, né con i titoli scolastici. Adulto significativo è un costrutto, una finalità, una tensione ma è anche un risultato professionale che occupa un ruolo centrale in ogni progettazione consapevole, accorta e prospettica.
Diventare adulto significativo è un processo che richiede all’educatore impegno, assunzione di responsabilità e continuità nella presenza fisica, simbolica, emotiva, affettiva e strumentale. Non si può avviare un processo di significatività senza collocarsi in una prospettiva temporale che garantisce la propria permanenza in comunità almeno per lo stesso periodo previsto per i bambini/adolescenti presi in carico; così come è inammissibile pensare che l’interruzione di questo
35
affiancamento, accompagnamento, condivisione con il ragazzo del percorso di affidamento all’altro (simbolico sul piano rappresentazionale, ma reso attivo e possibile dalla realtà interattiva in atto) non abbia ricadute sulla credibilità che ai suoi occhi avrà l’intero sistema relazionale comunitario, confermando non solo, il valore predittivo dei modelli operativi interni strutturati nelle prime relazioni familiari, ma producendo inevitabili arresti nei processi rappresentazionali interni che, ancora una volta, non potranno modificarsi nella direzione di acquisire sicurezza e fiducia nell’altro come derivato di esperienze relazionali reali discontinue con le precedenti ma continuative nel tempo e nelle caratteristiche di stabilità/affettività/accoglienza/sintonia empatica/responsività.
Il tempo necessario alla realizzazione del processo di significatività e a garantirne gli effetti a livello rappresentazionale non è a dimensione lineare ma processuale, lo possiamo definire tempo relazionale in quanto risultato dell’interdipendenza tra diversi fattori/dimensioni processuali di natura prevalentemente relazionale. Li elenchiamo: a) i tempi di permanenza del minore in comunità; b) i modelli operativi interni della relazione di attaccamento attivi sia nel bambino che nell’educatore e i conseguenti vissuti emotivi e rappresentazioni della sicurezza, della protezione, dell’affidabilità, della fiducia che agiscono sia nell’adulto che nel bambino; c) i modelli culturali della relazione elaborati dagli educatori (argomento su cui concentreremo l’attenzione nelle prossime lezioni)3;c) l’adozione di una prospettiva teorica relazionale; d) l’accesso costante a setting formativi e di supervisione di matrice relazionale.
Il tempo relazionale identifica pertanto questo processo dinamico costantemente sottoposto all’influenza di processi/fattori di rischio presenti in ognuno dei livelli. A titolo esemplificativo riportiamo, per ognuno dei livelli considerati, solo alcuni tra i fattori di rischio più frequentemente riscontrati nelle comunità per minori: livello a) tempi di permanenza del minore che si protraggono per troppo tempo rispetto alle previsioni iniziali che mettono a repentaglio la possibilità
3 Adottando un orientamento dinamico a matrice socio-costruzionista (Carli, Paniccia, 2002, Taurino…), consideriamo i modelli culturali come prodotti socio-cognitivi-affettivi che, sintetizzando dimensioni razionali/operative e simbolico/affettive, rappresentano sia le differenti modalità con le quali i soggetti di un determinato gruppo sociale strutturano il proprio pensiero, i propri agiti e i propri schemi comportamentali, sia i tratti culturali significativi di una specifica categoria di individui.
36
da parte della comunità di assicurare la stabilità relazionale del contesto relazionale: 7 anni di permanenza rispetto ai 2 previsti; livello b) presenza di modelli operativi interni di tipo disorganizzato/disorientato nel bambino e inaccessibilità ad appositi setting psicoterapeutici esterni alla comunità; livello c) modelli culturali istituzionalizzanti fortemente radicati in un’ équipe non motivata al cambiamento; livello d) ridotto o nullo investimento economico nelle attività di formazione e supervisione da parte dell’ente gestore della comunità
Su questo piano possiamo pertanto concludere, ribadendo ancora una volta quanto il principale ed indispensabile processo/ fattore protettivo che può contrastare l’impatto del rischio sull’esito finale del prodotto (altrosignificativo) sia sempre e in ogni caso il supporto/sostegno dato all’educatore/équipe, perché possa pienamente assumersi la responsabilità della relazione nella cornice processuale e interpretativa offerta da un costante lavoro integrato di formazione e supervisione, garanzia professionale della tensione costante e consapevole al mantenimento attivo di una cultura relazionale centrata sulla necessità di sostenere chi cura gli offesi, i traditi, i violati nella comprensione dei processi e delle dinamiche interne e interattive rese attive nell’interazione con l’altro nella direzione di non rinunciare alle potenzialità terapeutiche che il contesto quotidiano e le relazioni attuali possono esprimere (Bastianoni Taurino, 2007, 2008) .
Riflettendo pertanto su quanto abbiamo finora esposto (funzione educativa come funzione genitoriale, significatività relazionale dell’adulto, rischi dell’istituzionalizzazione), emerge di conseguenza che un ulteriore livello di analisi, risulta centrato sulla considerazione che, per parlare di ambiente terapeutico globale, bisogna centrare l’attenzione sulla dimensione della relazione e della soggettività. Considerando pertanto che laddove ci sono relazioni e persone/soggetti, ci sono sempre emozioni (per quanto alle volte processi difensivi non mettano nelle condizioni di riconoscerle, accettarle, condividerle e quindi anche accoglierle negli altri), è possibile rilevare che, senza grandi variazioni da un soggetto all’altro, da un gruppo all’altro, nelle nostre esperienze di formazione e di supervisione alle équipe educative, alle famiglie affidatarie e alle case-famiglia, abbiamo sempre più spesso constatato che le emozioni e i vissuti soggettivi che vengono attivati dalla relazione educativa in quanto relazione in cui si giocano tutte le dimensioni insite nella genitorialità come funzione, sono per i care-giver i primi
37
potenti organizzatori impliciti del proprio modo di intervenire e di relazionarsi con ragazzi/e e con compagni/e e con i colleghi.
L’attenzione a riconoscere, interpretare, leggere e monitorare i processi intrapsichici che la relazione con bambini e adolescenti “non-figli” attiva è il primo compito a cui ogni adulto care-giver, sia esso volontario o stipendiato, non può sottrarsi. Sapersi ascoltare, sapersi osservare, registrare e riconoscere, senza reprimere, le proprie emozioni, riconducendole ai contesti simbolici nei quali i significati della storia di ciascuno trovano radicamento e spiegazione, sono il contenuto di questo primo e costante lavoro su se stesso da parte dell’adulto che eroga cura ed è propedeutico alla relazione con l’altro, all’essere assieme e per l’altro. Sono questi significati soggettivi che costituiscono i primi strumenti con cui ogni adulto impegnato in una relazione di cura legge la realtà dinamica in atto, la intepreta, reagisce e interviene.
L’educatore, anche il più consapevole, competente ed esperto, se è lasciato da solo a confrontarsi con la complessità di questi processi che inevitabilmente coinvolgono la sua emotività, i suoi vissuti personali, le sue personali resistenze al riaffiorare di tematiche relazionali non risolte, tende a ridurre inesorabilmente la complessità della relazione educativa stessa, a dimensioni più facilmente controllabili, con veloci scivolamenti nella direzione di un riduzionismo accettabile a sé e agli altri, che comporta di volta in volta l’attivazione di meccanismi di difesa, quali la negazione e la proiezione o la fuga nell’intellettualizzazione che, in questo ambito specifico, si traduce nell’adozione di un modello definito impropriamente professionalizzante ma, che in realtà, si impone come semplicemente proteso alla negazione giustificatoria di ogni vissuto emotivo da parte dell’educatore, di ogni componente interpersonale nell’interazione con l’utente, che così identificato perde ogni caratteristica di individualità soggettiva.
Sono queste le ragioni che da sempre (Emiliani Bastianoni, 1993; Bastianoni,2000, Bastianoni Palareti, 2005, Bastianoni, Taurino, 2005) ci spingono a sollecitare enti pubblici e privati ad investire politicamente, economicamente e culturalmente nella formazione e nella supervisione per consentire a tutti coloro che interagiscono con figli “altrui” in setting residenziali che sostituiscono temporaneamente o per tempi medio-lunghi la vita quotidiana in famiglia, di usufruire di uno spazio regolare e frequente dove poter pensare all’altro e pensarsi nella relazione con l’altro
38
e con se stesso. Senza l’accesso regolare a un qualificato setting di formazione e supervisione l’accoglienza residenziale dei “figli altrui” è destinata a rimanere imbrigliata nei modelli istituzionali/istituzionalizzanti che certamente la chiusura degli istituti per minori alla fine del 2006 non ha né sancito né debellato.
Riprendendo il filo conduttore delle nostre argomentazioni, tutte le riflessioni finora esposte ci spingono pertanto ad aprire un importante contenitore di lavoro e di discussione centrato sulla constatazione che la comunità può essere letta secondo un doppio livello di analisi:
- un versante concreto/tangibile/esterno che consente di vedere la comunità come uno specifico setting ambientale e microcontestuale in cui prendono forma dinamiche e situazioni interattive e relazionali che devono assumere valenza protettiva, riparatoria, ri-strutturante i modelli della sicurezza;
- un versante più simbolico/emotivo/rappresentazionale/interno che consente di vedere, in termini più complessi, la comunità stessa come il prodotto dei sistemi rappresentativi, dei modelli culturali, dei vissuti emotivo-affettivi degli educatori, dei minori e degli esiti delle loro interazioni nel setting esterno.
Relativamente al primo aspetto, (ossia la comunità come setting esterno), recuperando sinteticamente quanto esposto nelle precedenti lezioni, la comunità va intesa essenzialmente, ad un livello esterno, concreto, osservabile e valutabile, come un “sistema” che agisce in una dimensione di rete (comunità, minori, famiglie, servizi, agenzie educative e socializzanti quali la scuola, etc.) e si connota, in termini di microsistema, come un ambiente relazionale caratterizzato da interazioni strutturanti e accoglienti, che si realizzano in un ambiente fisico curato, rassicurante e personalizzato e reso prevedibile, condividibile e co-costruito dai ragazzi e dagli adulti attraverso la proposizione prevalente di routine e rituali connotati in senso “relazionale” (Emiliani, Bastianoni, 1993; Emiliani, Melotti, Palareti, 1998 ; Palareti,2003). Proprio su questi presupposti si fonda infatti l’organizzazione dell’accoglienza in comunità a partire dalla cura degli spazi fisici, all’impostazione delle attività quotidiane; dalla turnazione degli educatori sulla base delle esigenze relazionali dei bambini, alla cura personale dei piccoli e all’alleanza emotiva con ciascuno di loro come parte integrante dell’intervento terapeutico.
39
Attraverso il concetto di ambiente terapeutico si focalizza l’attenzione (all’interno di un’interpretazione psicodinamica) sulla regolamentazione della vita quotidiana per costruire occasioni di supporto alle carenti funzioni dell’Io all’interno, è utile ribadirlo, di specifiche relazioni vissute come emotivamente “significative”, intese come il motore di ogni processo di sviluppo/cambiamento/affiliazione/ appartenenza da parte dei bambini presi in carico.
Ogni comunità, in questo senso, ha bisogno di avvalersi di educatori competenti, in grado cioè di conoscere e riconoscere se stessi, lavorare in équipe, accogliere l’altro, comprendendone le richieste, leggere e interpretare i processi relazionali in atto; ha bisogno di organizzare il proprio intervento globale terapeutico predisponendo il quotidiano, ovvero gli obiettivi e le strategie educative e relazionali, in accordo con le diverse esigenze che i singoli bambini/e e adolescenti esprimono.
Con setting interno di comunità facciamo riferimento, invece, attraverso un approccio eminentemente psicodinamico, ai modelli culturali, alle rappresentazioni, alle emozioni e ai vissuti degli operatori.
Intendiamo con modelli culturali quei sistemi di rappresentazione che si connotano come specifiche modalità attraverso cui gli individui concepiscono emotivamente e fanno esperienza del proprio universo/mondo relazionale interno ed esterno (Carli, Paniccia, 2002).
Nello specifico, i modelli culturali sono prodotti socio-cognitivo-emotivi che, sintetizzando dimensioni razionali/operative e simbolico-affettive, rappresentano le differenti modalità con le quali chi opera nelle comunità struttura il proprio pensiero, le proprie emozioni, i propri agiti, i propri schemi comportamentali, il proprio “mondo interno”.
I modelli culturali consentono di comprendere la simbolizzazione affettiva del contesto condivisa dal gruppo. E’ possibile affermare che la specifica organizzazione relazionale di ogni contesto è determinata da un sistema di strutture latenti che consentono di cogliere precisi meccanismi di simbolizzazione messi in atto dai soggetti in interazione e che consistono nel conferimento alle dimensioni implicate nel processo relazionale stesso di un significato inconscio e polisemico fondato su precise istanze collocabili su un versante che non è identificabile come razionale, conscio ed operativo,
40
quanto più che altro simbolico ed affettivo (Matte Blanco, 1975; Carli, Paniccia, 2003; Grasso, Salvatore, 1997).
L’interazione tra soggetti all’interno di un medesimo ambiente (relazionale) attiva una regolazione di schemi mentali e di comportamenti ad essi correlati, che assumono un carattere intrinsecamente intersoggettivo e che hanno la funzione di riprodurre il sistema di convivenza (contesto di interazione) attraverso l’elaborazione di codici simbolici che permettono di esperire la relazione sulla base dei precisi meccanismi di categorizzazione.
L’esplicitazione e la consapevolezza dei sistemi rappresentazionali impliciti che indirizzano/governano direttamente e/o indirettamente l’azione e l’intervento educativo, consentendo di indagare la capacità del modello culturale della relazione educativa di incidere/direzionare gli interventi educativi tracciando quella linea di continuità e reciproca interdipendenza tra modello culturale di relazione educativa, interventi effettuati e risultati ottenuti.
Su un ulteriore piano di complessità è possibile inoltre affermare che comunità si configura come un complesso sistema relazionale che fonda sulla dimensione dell’intersoggettività il criterio fondamentale per l’attivazione di processi evolutivi che, attraverso la relazione educativa, mettono in campo, per gli attori implicati in tale sistema (operatori e minori), una condivisione di stati interni, i cui esiti devono essere considerati come imprescindibili fattori di comprensione ed interpretazione delle dinamiche relazionali (intracontestuali) e dei meccanismi di simbolizzazione affettiva del contesto di interazione.
La relazione nel contesto quotidiano comunità attiva pertanto sempre negli educatori, e non solo nei bambini e negli adolescenti, vissuti emotivi personali che vengono agiti nel corso dell’interazione con l’altro (collega, minore, gruppo, contesto in generale) e che si ancorano al proprio universo emozionale/emotivo strutturatosi nel corso della propria storia emotiva/relazionale.
Nella nostra lunga esperienza con le comunità educative, abbiamo ritrovato la prevalente ricorrenza di specifici temi narrativi che sembrano intessere i vissuti emotivi della propria storia relazionale precoce della grande maggioranza delle persone che operano in comunità.
41
Li elenchiamo designandoli con le polarità che li contraddistinguono e tra le quali si dipana un continuum di specifiche peculiarità idiosincratiche che possono essere facilmente ricondotte alle seguenti tematiche narrative che abbiamo così riassunto: tradimento/fiducia; alleanza/solitudine; inclusione/esclusione; “abusato”/abusante; appartenenza-accettazione/rifiuto. In queste narrazioni simboliche che hanno per oggetto tradimenti, solitudini, esclusioni, abusi, rifiuti e che, parallelamente, ambiscono alla fiducia, all’alleanza, all’appartenenza e all’accettazione sono sempre rintracciabili conflitti non risolti e assenza di integrazione tra le differenti espressioni di Sé degli educatori.
Il non riconoscimento dei conflitti e l’assenza di integrazione conducono gli educatori ad inevitabili, ricorrenti e dannosi agiti relazionali sia nei confronti dei colleghi ma soprattutto nei confronti dei minori in affidamento.
L’integrazione dei diversi Sé che si attivano nell’interazione con il minore, affinchè il bambino reale possa essere veramente al centro dell’intervento di comunità, è il risultato di un profondo lavoro di individuazione delle dinamiche relazionali che sono attive in comunità .
7. Il vissuto degli educatori e le dinamiche triadiche del sè
La riflessione sui processi dinamici, relazionali e simbolici che sono attivi nel contesto quotidiano delle comunità educative, conferisce una notevole rilevanza al tentativo di individuare dei luoghi adeguati (che come poi vedremo saranno la formazione e la supervisione alle equipe educative) per l’analisi, la restituzione e la ristrutturazione dei meccanismi alla base delle interazioni/relazioni tra educatori e minori. Da questo punto di vista è necessario esplicitare che l’articolato universo interno dei vissuti emotivi soggettivi relativi alla propria esperienza relazionale da parte degli educatori, possono essere considerati i primi potenti organizzatori impliciti delle modalità di intervento e di strutturazione della relazione con ragazzi/e in comunità.
Partendo infatti dal presupposto che l’adeguatezza di ogni intervento educativo, agito dagli educatori di comunità, può funzionare solo entro un processo di strutturazione di funzionali dinamiche relazionali, si rileva che gli elementi di base di tale funzionalità devono essere ricercati nella capacità di mettere in pratica l’accoglienza dell’altro (il minore a rischio), il
42
contenimento delle sue emozioni, la restituzione dei processi emotivo-affettivi in atto, l’ascolto empatico, la corretta analisi della domanda (esplicita ma soprattutto latente/implicita), la costruzione di esperienze protettive che annullino i fattori di rischio personali, l’individuazione di percorsi di intervento pensati sia sull’individualità del soggetto che riceve la cura, sia sulla contingenza della reciprocità relazionale e non sull’applicazione di procedure educative standardizzate.
La complessità delle dinamiche in atto nella relazione educativo-terapeutica consente tuttavia di rilevare che all’interno del contesto relazionale, gli educatori non sono (e non devono considerarsi) “immuni” dall’attivazione di emozioni e vissuti soggettivi i cui ancoraggi sono da ricercarsi nella propria storia/esperienza relazionale/familiare precoce.
Questa consapevolezza permette di focalizzare l’attenzione pertanto sulla considerazione che la “sovra-stimolazione” emotiva a cui gli educatori sono quotidianamente sottoposti permette nel contempo l’attivazione di specifiche dinamiche triadiche simboliche inerenti il Sé.
Vediamo più nello specifico che cosa si intende con tale espressione.
L’educatore è in primissima istanza un professionista dell’educazione: questo vuol dire che la relazione educativa in comunità attiva questa prima dimensione del Sé; si verifica cioè l’attivazione del sé educatore caratterizzato dall’ancoraggio alle funzioni e al ruolo.
Su secondo piano, coesistente però in termini simbolicamente ed inconsciamente simultanei, l’educatore nell’interazione con il minore in comunità riconosce inconsciamente delle parti di sé attivate dal minore stesso preso in carico: la relazione educativa attiva pertanto anche la dimensione del Sé bambino (dell’educatore).
Infine, ma sempre in una dimensione di simultanea coesistenza, l’educatore, svolgendo funzioni genitoriali, deve anche fare i conti con la rappresentazione delle figure genitoriali interiorizzate; conclusimao pertanto che la relazione educativa attiva anche il Sé genitore simbolico (dell’educatore).
43
Ne deriva di conseguenza che è proprio l’intreccio di questi nuclei rappresentazionali e di questi vissuti emotivi/emozionali implicati che vanno necessariamente considerati per monitorare e favorire l’adozione consapevole, da parte degli educatori, di modelli culturali esplicitamente centrati su orientamenti relazionali e non istituzionali/istituzionalizzanti, in grado di determinare adeguati sistemi di alleanze, azioni, agiti ed ancoraggi interpretativi.
Per cogliere la rilevanza di questo modello interpretativo legata alla dimensione triadica del Sé che viene attivata dalla relazione educativa, facciamo riferimento ad un caso affrontato in un incontro di formazione ad una specifica equipe e che è fortemente indicativo delle profonde implicazioni dell’approccio interpretativo proposto.
Per inciso, va detto che rispetto al discorso relativo alla formazione, si rimanda l’approfondimento delle caratteristiche di questo particolare setting e delle sue specificità nelle ultime lezioni di tale modulo.
Tornando pertanto all’esemplifiazione che si intende proprorre, il riferimento è ad un’educatrice (orfana di madre), che chiamiamo Giuditta, che riporta il suo confuso vissuto rispetto ad una precisa situazione/sequenza interattiva che l’ha vista coinvolta insieme ad una bambina in comunità, che chiamiamo Francesca.
La sequenza inerisce nello specifico una telefonata tra Francesca, una bimba di cinque anni e sua madre, telefonata nel corso della quale la bimba piange disperatamente (tanto che non riesce a concludere la telefonat).
Prima di procedere con la lettura e l’interpretazione di questa situazione interattiva, è utile fornire alcune informazioni che consentono di contestualizzare sia l’evento reale, sia i vissuti dell’educatrice.
Francesca è in comunità da quattro mesi in seguito ad un drastico e repentino allontanamento dall’ambiente familiare della zia materna, presso cui era stata accolta, in maniera altrettanto traumatica, in seguito all’arresto della madre tossicodipendente e alla sua detenzione per furto avvenuta pochi mesi prima del suo inserimento in comunità. Dopo una permanenza di poche settimane in casa della zia, la bambina viene allontanata in seguito alla segnalazione effettuata da quest’ultima ai servizi sociali su presunti
44
abusi e molestie sessuali a carico della piccola da parte del padre violento e tossicomane, con il quale la bambina trascorreva i fine settimana. I rapporti con il padre vengono immediatamente interrotti in attesa di verifica dell’attendibilità dei fatti denunciati, mentre vengono mantenuti i contatti telefonici con la madre che, nel frattempo, uscita dal carcere, pur essendo a conoscenza della denuncia effettuata dalla sorella, ha ripreso la convivenza con il padre della bambina.
Dopo questa puntuale narrazione immaginiamo che non sia difficile empatizzare con la piccola e provare sentimenti quanto meno avversivi nei confronti dei suoi genitori, tali da far supporre una presunta facilità nel compito di protezione e di tutela della bambina dalla comunicazione con loro che, pur nelle loro soggettive difficoltà, sembrano destinati a tradire ogni espressione del funzionamento genitoriale.
Nella realtà che andremo a descrivere, invece, il compito di tutela e di protezione della bambina risulta del tutto impossibile all’educatrice che se ne prende carico. Il racconto dell’educatrice in formazione verte infatti su un’interminabile telefonata tra la madre e la piccola figlia, che lascia quest’ultima nella solitudine più sconfortante in assenza di empatia, protezione e conforto da parte dell’adulto teoricamente “protettivo” (l’educatrice) che assiste collusivamente alla sua distruzione/destrutturazione emotiva, senza riuscire a intervenire a nessun livello: né concreto interrompendo la telefonata o parlando con la madre, né emotivo, accogliendo il dolore conseguente e tentando una qualsiasi forma di consolazione, né affidando a terzi, i colleghi, il sostegno emotivo a lei in quel momento inaccessibile.
E’ utile nel contempo fornire anche fornire alcune informazioni rispetto all’educatrice Giuditta. La perdita precoce della madre (come poi emergerà dal lavoro di analisi in formazione) ha attivato in lei sentimenti di rabbia (ovviamente non immediatamente riconosciuta, né tanto meno risolta: sono questi i nuclei emotivi attivi nell’educatrice).
In questo esempio l’educatrice si mostra del tutto incapace di sostenere emotivamente e di consolare una bimba di pochi anni alle prese con un dolore troppo grande, attivato da una madre abbandonica, in quanto prevale in lei un forte ancoraggio, non consapevole, con la propria emozione prevalente, la rabbia non risolta verso la sua stessa madre abbandonica.
45
Utilizzando lo schema relativo all’attivazione tripartitica del Se, è possibile schematizzare come segue il processo dinamico di tipo collusivo agito dall’educatrice attraverso un ancoraggio inconsapevole alla propria dirompente emozione di rabbia non risolta verso la propria figura materna, vissuta nei termini del tradimento abbandonino.
La narrazione inconscia dell’educatrice sembra pertanto essere la seguente:
Mi identifico in te bambina (attivazione del sé bambino) che provi un dolore “inconsolabile.”
Io sono nello stesso tempo il bambino inconsolabile/sofferente, ma svolgo funzioni genitoriali (attivazione del Sé genitore simbolico), e dal punto di vista del ruolo svolgo nel contempo una funzione protettiva e riparatoria (attivazione del Sé educatore).
Io per mantenere l’ “alleanza” con il sé bambino, ti consento di stare al telefono con la mamma “per non perderla” (è chiaro che pur all’interno di tale identificazione proiettiva si gioca tutta l’ambivalenza emotiva che in realtà sfocia in una profonda attivazione di aggressività).
Nel contempo, mantengo l’alleanza con il sé materno interiorizzato (mamma abbandonica che non consola) che mi mette nelle condizioni di non poter agire la protezione (sé educatore), perché se la esercitassi tradirei mia madre (interiorizzata), che devo salvare proprio per non provare più quel dolore che il bambino reale prova e mi riattiva.
Paralizzo pertanto ogni intervento (protettivo), esponendo/costringendo il bambino reale (Francesca), la piccola che mi è stata affidata, alla solitudine dolorosa di un’interazione non consolante, che mi consente di rimanere il bambino inconsolato da una mamma presente/assente (dinamica collusiva).
Mi difendo però da tutto questo reificando il tuo dolore, che deve essere solo tuo; dolore in cui non posso, non devo e soprattutto non voglio entrare.
Una restituzione in gruppo di questa complessità è possibile solo ad una fase avanzata del processo formativo, quando l’alleanza di lavoro con i singoli e con il gruppo è consolidata.
Nel caso specifico, la capacità empatica del conduttore e la maturazione dei sistemi di alleanza realizzati nel e con il gruppo hanno facilitato il percorso di autoconsapevolezza dell’educatrice che è riuscita a riconoscere la complessità e l’ambivalenza delle emozioni provate e ad esprimere, proprio
46
a partire da tali riflessioni, la domanda di essere aiutata nel comprendere se la scelta professionale effettuata fosse realmente compatibile con il percorso personale di integrazione ed elaborazione dei propri conflitti non ancora risolti.
Il processo di autoconsapevolezza orientato e diretto in formazione può consentire, quindi, di pervenire ad una narrazione diversa/altra, una nuova possibilità, prima inimmaginabile al soggetto che gli permette di utilizzare in maniera più equilibrata e meno collusiva, la tipologia di ancoraggio a lui/lei più familiare.
In questo specifico caso un ancoraggio più equilibrato sui vissuti emotivi può portare l’educatore a riconoscere e a offrire riparazione al bambino ferito che è stato mantenendo lo sguardo vigile sul bambino reale che, liberato da dinamiche proiettive, può ricevere la risposta emotiva adeguata alla contingenza/ attualità relazionale.
Il non riconoscimento dei conflitti e l’assenza di integrazione tra le differenti parti del Sé, conducono gli educatori ad inevitabili, ricorrenti e dannosi agiti relazionali nei confronti dei minori in affidamento.
E’ necessario pertanto sostenere l’adulto educatore nell’integrazione dei diversi Sé che si attivano nell’interazione con il minore, affinchè il bambino reale possa essere veramente posto al centro dell’intervento di comunità.
Quando tale integrazione è assente o non è ben realizzata le modalità interattive e i conseguenti agiti pongono il minore nella condizione di adultizzazione riparatoria verso l’adulto che in lui ritrova, a livello proiettivo, il suo sé bambino in conflitto con il sé adulto.
Chiariamo con un altro esempio di narrazione simbolica prototipica riscontrabile tutte le volte che l’adulto si difende dall’intensità della sofferenza del bambino reale, che riattiva prepotentemente il suo dolore non risolto di bambino sofferente.
In questi casi assistiamo, con regolarità, all’identificazione proiettiva da parte dell’adulto, che è stato un bambino sofferente, nel bambino reale che ora reclama protezione (ossia il minore in comunità).
Questa identificazione genera conflitto tra il sé adulto che vorrebbe consolare il bambino reale e il sé bambino che reclama riparazione alla protezione mancata.
47
Da bambino, però quel bambino che ora è un educatore, reprimeva la sua esigenza per agire la protezione verso l’adulto non protettivo, nel tentativo salvifico, rivolto alla figura genitoriale non rispondente ai suoi bisogni emotivi. L’emozione conseguente risulta essere la rabbia.
Nell’attualità l’adulto che non ha compreso e rielaborato questo vissuto, a contatto con l’emozione repressa della rabbia, pretende inconsciamente da quel bambino reale l’inversione di ruolo di allora, reclamando quella protezione che possa porre riparazione alla sua esperienza non risolta.
L’integrazione, intesa come equilibrio dinamico tra le diverse parti di sé, co-presenti nelle interazioni con i “non figli” in setting quotidiani come le comunità, è un lungo e complesso processo che si realizza attraverso una costante ed impegnativa riflessione personale e di gruppo, sollecitata e sostenuta dal conduttore/formatore sulle dinamiche proiettive attive nella relazione con il minore.
L’obiettivo è consentire all’altro reale di essere visto e riconosciuto dall’educatore nella sua personale soggettività, in modo da poter raggiungere quella centralità dell’intervento declamata, più che attuata, in ogni carta dei servizi e in tutti i progetti educativi personalizzati elaborati dalle comunità.
Approfondimenti consigliati
Emiliani F., Bastianoni P., Una normale solitudine, Carocci ; Roma
Bastianoni P. Interazioni in comunità, Carocci , Roma
Bastianoni P., Taurino A. Le comunità per minori, Modelli di formazione e supervisione clinica , Carocci Faber; Roma
49
L’ESPERIENZA DI COMUNITÀ: OPINIONI E TESTIMONIANZE DI GIOVANI CHE
L’HANNO VISSUTO P. Bastianoni, F. Zullo
Università di Ferrara
Concludiamo queste giornate di intenso lavoro ringraziando tutti voi e riportando i risultati di una ricerca esplorativa che si è posta l’obiettivo di indagare le rappresentazioni e i vissuti relativi all’esperienza di comunità di alcuni giovani che hanno discusso assieme a noi su questo tema.
In questa presentazione cercherò di delineare come valutano l’esperienza di comunità alcuni tra i giovani più resilienti che vi hanno vissuto, che hanno formulato un pensiero attorno a questo tema e che hanno aderito alla richiesta di partecipare ad alcuni focus group sull’esperienza di comunità realizzati nei primi mesi dell’anno presso l’Università di Ferrara. Come abbiamo già discusso in un nostro precedente articolo (Bastianoni, Rubino, Taurino, Palareti, Berti, 2006), la customer satisfaction è un parametro molto complesso da definire quando parliamo dei servizi alla persona e tanto più quanto la voce del cliente è quella di giovani ragazzi che valutano l’esperienza di accoglienza in un servizio residenziale dopo essere stati allontanati dalla loro famiglia, con tutta l’ambivalenza affettiva che ciò comporta! Il giudizio dell’utente, infatti è un criterio centrale nella valutazione dei servizi alla persona e, anche se da punto di vista teorico ed operativo è difficile definire i rapporti che regolano la qualità percepita, quella ‘certificata’ (ovvero l’insieme dei requisiti definiti dall’accreditamento) e quella ‘oggettiva’ concernente il livello tecnico professionale delle prestazioni e la loro appropriatezza sul piano scientifico-tecnico (Bosio e Vecchio, 2000), un servizio che si organizza intorno alla soddisfazione del cliente non può che considerare l’efficacia finale del suo intervento, non più rispetto ad un modo ottimale di gestire l’intervento, ma rispetto al divario che potrà esserci tra la qualità attesa e la qualità percepita dal cliente (Foglietta 1995,2001). Obiettivo raggiungibile potenziando la competenza del servizio a utilizzare come informazione per lo sviluppo della propria efficacia la domanda del proprio utente. Quanto premesso applicato al contesto delle comunità per minori apre alcuni interrogativi indispensabili
50
per comprendere come vada coniugato il concetto di centralità dell’utenza con i processi di cambiamento necessari per ridurre le criticità del servizio stesso per meglio soddisfare le aspettative dell’utenza. In particolare modo quando l’utenza è costituita da persone molto giovani quali sono i ragazzi delle comunità occorre inoltre precisare quale sia il significato del concetto di qualità condiviso dai giovani utenti.Per valutare la qualità di un servizio infatti è importante ragionare sulle differenze chiave o sugli scostamenti che, a diversi livelli, si possono verificare nel processo di simbolizzazione di un servizio da parte di chi lo eroga e di chi lo riceve, cosi come molti modelli classici propongono (Parasuraman, Zeithaml e Berry 1985). Nello specifico in questo lavoro abbiamo voluto analizzare il punto di vista dei giovani dimessi dalle comunità, discutendo con loro attraverso incontri di gruppo e metodologie attive quali i focus group, su alcuni scarti o distanze rilevate tra le loro attese e ciò che hanno ricevuto nella loro esperienza in comunità, approfondendo la riflessione tra gli scarti presenti tra la progettualità dichiarata dalle comunità e quella erogata rilevabile nelle narrazioni e nelle discussioni effettuate con i giovani interlocutori. In questo senso le informazioni e le criticità discusse con i giovani che hanno vissuto in comunità non vanno intese esclusivamente come disfunzioni da ridurre per ottenere un incremento della qualità nel servizio offerto, quanto più che altro come informazioni utili a comprendere e ad individuare azioni capaci di gestire un cambiamento possibile e processuale. Vale la pena a questo punto sottolineare la diversa natura degli scarti a cui facciamo riferimento. Se da una parte, infatti, non si può prescindere dalla necessaria riduzione di quelli legati a caratteristiche strutturali e relazionali disfunzionali (che come si avrà modo di rilevare meglio più avanti, possono essere regole inappropriate, spazi fisici inadeguati, carenze di cure, l’eccessivo caos quotidiano, l’assenza di un controllo sicuro e rassicurante, l’eccessivo turn over degli educatori, la loro incapacità di farsi rispettare, la scarsa empatia etc) dall’altra non si può minimizzare la necessità di comprendere e governare gli scarti o gli scostamenti che sono invece l’espressione culturale dei differenti modi (modelli culturali) di stare in un’ organizzazione agiti dai diversi attori. Riteniamo che sia proprio una lettura articolata di questa molteplicità e complessità di posizioni soggettive a meglio favorire la comprensione della domanda di cui l’utente è portatore. Sulla base di questa finalità sono stati effettuati quattro focus group con giovani che avevano vissuto per un periodo consistente della loro vita in comunità e con una sufficiente capacità riflessiva e comunicativa per discutere la loro personale opinione sul valore e sul significato
51
dell’esperienza in comunità rispetto alla loro vita, con particolare riferimento alla vita attuale e ai rapporti con la famiglia d’origine, rilevando punti di forza e criticità dell’intervento di comunità come risposta ai bisogni evolutivi dei ragazzi “fuori famiglia”. I giovani sono stati convocati in sede universitaria alcuni mesi prima della realizzazione di un convegno dal titolo “Interventi di rete a sostegno delle genitorialità complesse: il rapporto tra comunità per minori e famiglie” realizzato a Ferrara il 1 aprile 2009 con lo scopo dichiarato e condiviso di apportare il loro specifico contributo sul tema centrale del convegno proprio a partire dalla loro personale esperienza e dal ruolo svolto dalla comunità, secondo la loro opinione, nei propri percorsi di vita con particolare riferimento alle considerazioni maturate sulla loro famiglia d’origine. Tutti i giovani hanno aderito con estremo interesse, partecipazione e responsabilità alla proposta e hanno contribuito con generosità di tempo ed energia alla realizzazione dei 4 incontri.
2. I soggetti Sei ragazzi (5 maschi e una femmina) di età compresa tra i 18 e i 21 anni, di nazionalità italiana, tranne un ragazzo afghano che è venuto in Italia da solo (MSNA), con una lunga esperienza di comunità (dai 2 ai 10 anni, permanenza media: 4 anni). Tutti i giovani parlano la lingua italiana con sufficiente competenza e padronanza del linguaggio e hanno buone capacità riflessive e di mentalizzazione. La maggior parte dei giovani hanno avuto esperienze plurime di affido familiare di affido a comunità. Le riflessioni che hanno condiviso maggiormente sono riferite alla loro esperienza globale e in particolare all’esperienza vissuta in due comunità del ferrarese dove hanno completato il loro percorso di affidamento.
3. MetodologiaSono stati realizzati quattro focus group realizzati in un luogo neutro, una piccola auletta universitaria, alla presenza del conduttore e di un osservatore che ha registrato e trascritto fedelmente la conversazione in atto. Ogni focus ha avuto una durata media di 90 minuti.
Dal punto di vista metodologico i focus sono stati svolti in maniera non direttiva, ossia lasciando liberi i soggetti partecipanti di organizzare la propria produzione discorsiva in relazione agli imput posti dal moderatore. Rispetto alla formulazione delle domande è stato utilizzato inizialmente il metodo del topic guide (Krueger, 1998a), ossia una scaletta di punti/argomenti per aprire la fase esplorativa del lavoro. Dopo tale fase il metodo utilizzato è stato quello del questioning route (Krueger, 1994,
52
1998b), vale a dire un percorso più strutturato di domande, tutte centrate sul filo conduttore dell’esplorazione dei diversi modi di pensare l’esperienze in comunità rispetto alla propria vita attuale e al rapporto con la propria famiglia d’origine.
I focus sono stati audio registrati, trascritti fedelmente. Una sintesi di ciascun focus è stata inviata a ciascun partecipante prima dell’incontro successivo in modo che ciascuno potesse apportare modifiche o aggiunte. Tutti i giovani hanno riletto e riflettutto sulla sintesi loro inviata e solo un ragazzo che nel primo focus aveva partecipato con un numero minore di interventi rispetto agli altri, ha aggiunto al report considerazioni personali che non aveva espresso in gruppo e che sono state inserite nel corpus narrativo considerato. I testi interamente trascritti dei quattro focus sono stati sottoposti a due successive analisi del testo con software specifici NUD*IST (Non numerical Unstructured Data Indexing Searching and Theorizing) e Alceste (Analyse des Léxèmes Cooccurrents dans les Enoncès Simple d’un texte).
In questa sede ci occuperemo solo della seconda, limitandoci a riportare che l’analisi effettuata tramite NUD*IST (analisi centrata a rilevare la categorizzazione operativa, nel senso di rappresentazione razionale/cosciente del contesto/oggetto sociale: funzione e valutazione della comunità rispetto al proprio percorso di vita con specifico riferimento al rapporto con la propria famiglia d’origine) ha consentito di rilevare le seguenti macrocategorie impiegate dai partecipanti per discutere e confrontarsi sul tema proposto. Le elenchiamo in ordine di frequenza: profilo dell’educatore (120 unità di testo su 340 totali codificate), profilo della comunità (120), profilo del gruppo dei ragazzi (80), vissuti sulla famiglia d’origine (10), criteri di valutazione dell’intervento (10). E’ a questo punto interessante osservare come la macrocategoria più impiegata e più ricca di sottocategorie sia stata quella rappresentata dal profilo dell’educatore che segnala proprio l’orientamento relazionale e la grande importanza attribuita dai giovani alla figura dell’operatore di comunità. Il profilo dell’educatore viene delineato attraverso un confronto tra il buoneducatore,l’educatore incapace e il debole. Il buon educatore, nella descrizione dei partecipanti alla ricerca è colui che ha fegato e polso, non si spaventa, sa dare le regole ma è elastico e comprensivo, non si mostra debole e arrendevole ma è capace di chiudere un’occhio quando è necessario. E’ una persona che comprende i ragazzi perché ha vissuto le stesse sofferenze e proviene da esperienze familiari analoghe oppure ha una forte passione per le ingiustizie e per i ragazzi e ama il suo lavoro. E’
53
coerente, non fa finta di niente e non è interessato soltanto allo stipendio e ai turni ma si fa sentire anche quando non è in comunità perché è veramento interessato alla vita dei ragazzi, non permette che i ragazzi di rovinarsi e di finire male senza regole. L’educatore incapace non sa tenere testa, non sa mantenere il suo ruolo, è ingiusto e manifesta di preferire/favorire alcuni ragazzi rispetto ad altri, è nervoso e ha paura. Non è coerente ed è disinteressato alla vita e ai sentimenti dei ragazzi. E’ incapace anche l’educatore debole ma non è disinteressato ai ragazzi e non è neppure ostile semplicemente non ce la fa e deve essere sostenuto e protetto dagli stessi ragazzi contro coloro che ne fanno bersaglio di derisione e provocazione.
5. I Risultati Vediamo ora come si sono organizzati i cluster dando forma ai diversi modi
di simbolizzare la comunità per minori da parte dei ragazzi che vi hanno
vissuto .
Il primo modello di simbolizzazione emerso può essere definito “lacomunità come rischio”. Questo cluster che ricopre il 18.80% del prodotto discorsivo totale è costituito da lemmi che fanno riferimento alla comunitàcome luogo rischioso (rischio) soprattutto per i ragazzi più giovani (piccoli, subire). In relazione all’oggetto della nostra indagine (cioè la qualità dell’intervento di comunità rispetto alla propria vita) in questo cluster il riferimento principale è proprio al pericolo rappresentato dalla comunità. È possibile ipotizzare che in questo raggruppamento la valutazione della comunità abbia a che fare proprio con le condizioni rischiose che i giovani identificano nella comunità. Alcuni elementi sembrano emergere in maniera significativa: assenza di sicurezza e di controllo ( sicurezza, controllo, educatori, gruppo) che evidenzia una simbolizzazione del contesto di comunità come un luogo pericoloso quando sia assente una partecipazione attiva e accurata da parte degli educatori e un loro costante controllo sul gruppo dei ragazzi. Ma dove viene identificato il pericolo? Il gruppo dei ragazzi riveste un ruolo centrale. Al gruppo è attribuita la possibilità di manifestare, modalità distruttive verso i piu piccoli (nemico, scherni, agnellino, lupo) attraverso azioni offensive e prevaricatrici (pressioni, offese, catena, insulti ai genitori pagare) che non vengono contenute dagli educatori (educatori,debole, no- controllo). In questa simbolizzazione della comunità la sicurezza è un derivato dell’omogeneità dell’età nei gruppi, della
54
preparazione preventiva da effettuare ai nuovi arrivati (nuovi,rispetto,comprendere gruppo pagare nemico), in modo che sappiano come comportarsi nei confronti del gruppo già costituito evitando di incorrere in pesanti azioni di “vittimizzazione”(scherzi, punizioni,sottomissione,ferite).Ne deriva una simbolizzazione della comunità come luogo a carattere fortemente istituzionale/istituzionalizzante e potenzialmente veicolante ulteriori rischi evolutivi per i minori che vi sono accolti, soprattutto se la loro età li espone ai soprusi dei più grandi. Simmetricamente il costrutto di protezione viene impiegato per declinare la protezione dei ragazzi più piccoli dall’esposizione a una vita sotteranea di gruppo che impone le sue regole, la sua gerarchia di potere e le sue modalità di esercizio del potere attraverso criteri strutturali (evitare i gruppi misti per età) e preventivi (informare/preparare i nuovi arrivati sulle caratteristiche del gruppo, i comportamenti consigliati per non essere vittime di nonnismo) e attraverso le caratteristiche personali degli educatori che distinguono coloro che sanno proteggere (polso, elasticità, tener testa, no paura, regole) da quelli che abbandonano i ragazzi in balia di loro stessi (deboli, caos, paura, bersaglio, lasciar correre, tirarsi indietro).
All’opposto, nel modello di simbolizzazione corrispondente al 2° cluster che, ricoprendo il 32,06% del prodotto discorsivo totale è il cluster predominante, la valutazione della comunità viene riferita alla dimensione funzionale/residenziale. Potremmo definire questo cluster come “ ilquotidiano istruttivo”. Questa rappresentazione è centrata sul ruolo istruttivo svolto dalla comunità nel preparare i ragazzi alla vita futura (autonomia, futuro, capacità, casa, bollette) con particolare riferimento alla quotidianità esperita in comunità (insegnamenti, lavatrice, soldi, spesa, vita quotidiana). È interessante notare come in questo modello, da un lato si pone l'accento sulla dimensione organizzativa (quotidiano, tempo, utilizzare, pomeriggio, imparare) dove è presente la rappresentazione di una funzionalità delle routine della vita quotidiana dedicate ai compiti domestici (spesa, lavare, utilizzare tempo) dall'altra parte, le azioni previste entro questo raggruppamento sono legate agli aspetti di soddisfazione personale connessi all’autonomia raggiunta (capacità, soldi gestione, casa) e soprattutto alle cure ricevute (cura,ordine, pulizia,vestiti stirati,cibo,,colazione) e interiorizzate (ordinare,pulire,cucinare, amarefigli).
Questo cluster si contrappone nettamente al precedente, in quanto, mentre nel primo modello simbolico la centralità della rappresentazione è rappresentata dal pericolo che la comunità rappresenta per i più piccoli e per
55
i più sprovveduti socialmente, in questo modello, invece, il pericolo cede il passo alla competenza nella gestione di ogni autonomia personale e ambientale che la comunità riesce a garantire, laddove la vita quotidiana sia improntata alla condivisione di ciò che serve per vivere (cucinare,spesa, soldi insegnamento, fare assieme) . L’immagine che emerge in questo cluster è dunque ancorata ad una logica educativa finalizzata a favorire l’autonomia e la competenza personale del minore. Passiamo ora a descrivere il modello espresso dal cluster 3 (22, 08%) che potremmo denominare “regolazione/regolarità”. Questo raggruppamento, infatti rimanda ad una qualità tutta focalizzata sul clima relazionale e quotidiano della comunità (clima, regolare, no-caos, no-disordine). I lemmi (difficoltà, parlare, rumore, disordine, difficile, cambiamento) rimandano ad una criticità dell’ambiente di comunità laddove non vengano garantite quelle condizioni di regolare svolgimento pacifico delle routine della vita quotidiana (pace, caotico, rumore).
Il cluster 4 (12,16%) definisce un modello culturale che abbiamo scelto di denominare “il fattore psicologico” utilizzando una definizione della comunità fornita da un partecipante al focus.In questo modello il valore della comunità per la vita dei ragazzi che vi vivono è rappresentata dalla disposizione personale a riflettere sulla propria esperienza (riflettere) ad assumere un’atteggiamento riflessivo e pacato (pazienza) che riesce a comunicare agli altri (esprimere) chi si è (rivelarsi,aprirsi ). In primo luogo è utile sottolineare come tale operazione non sia esente da fatica richiedendo una competenza comunicativa (imparare,comunicare, provare, aspettare) supportata dal proprio impegno e volontà (impegno) e dalla capacità degli educatori di essere empatici, sensibili, competenti (interesse, cuore, simile, sofferenza, comprendere) e di effettuare una corretta analisi della domanda (lettura).L’ultimo raggruppamento da noi denominato “la fatica dei vissuti familiari” ricopre il 24.92% del prodotto discorsivo totale e definisce una rappresentazione dell’intervento di comunità riferito ai propri vissuti sulla famiglia d’origine come scenario per una personale e raccolta riflessione (solo, pace, pensare, tregua, distanza) riconoscendo però la capacità degli educatori di offrirsi come mediatori nei confronti della famiglia d’origine (mediare,implulsività, incontri, protezione, parlare, genitor, aiuto). E’ interessante rilevare che i lemmi riconoscibili in queto cluster rimandano a caratteristiche personali che riguardano adulti e figli in un intreccio emotivo caratterizzato prevalentemente dalla distanza dagli affetti ( pausa, tempo,calma, accettare). Sembra delinearsi in questo cluster una qualità che fonda i presupposti nella protezione dall’incontro/scontro con una
56
realtà familiare dura/ostile che però si vuole conservare e accettare con la necessaria distanza dagli affetti negativi che inevitabilmente suscita (rabbia, pazienza,attutire).
Lo spazio fattoriale (cfr. figura 1) organizza i modelli descritti dando senso all’insieme dei repertori linguistici e simbolici fin qui esplorati. Entrando nello specifico dell’analisi, lo spazio appare strutturato da processi di simbolizzazione (gli assi fattoriali) relativi a due dimensioni:
1. la rappresentazione/simbolizzazione del ruolo della comunità rispetto al proprio percorso di vita e al rapporto con le proprie famiglie d’origine come “contesto ambivalente”(I fattore, asse orizzontale) che si snoda lungo un continuum tra le due opposte polarità del rischio e della protezione;
2. la rappresentazione/simbolizzazione della comunità nella sua duplicità di setting educativo/terapeutico (II fattore, asse verticale) lungo un continuum tra le due categorie che definiscono un settinginterno (polarità positiva, in alto) che sottende il ruolo della comunità nel favorire processi di comprensione e di rielaborazione dei vissuti connessi alla propria storia personale contrapposto a una dimensione esterna rappresentata dal contenimento e dalla strutturazione fornita dalla vita quotidiana attraverso al regolazione di tempi e spazi e la regolamentazione del lecito e del non lecito.
57
Figura 1
Setting interno
Setting esterno
Passando ad un ulteriore livello di analisi del piano fattoriale attraverso l’applicazione del modello geometrico/strutturale (Bolasco, Coppi, 1983) per l’interpretazione dei dati a nostra disposizione, è possibile rilevare che l’intersezione degli assi ortogonali genera uno spazio a quattro quadrantiche costituiscono delle specifiche aree culturali ( cfr. fig. 2). Il quadrante 1 (in basso a destra) determinato dall’intersezione tra rischio/ setting esterno rappresenta l’area in cui si manifesta maggiormente la fatica di fronteggiare il gruppo dei pari”vittimizzante. Il quadrante II (in alto a destra), determinato dall’intersezione tra la rischio/ setting interno si connota meglio come l’area della capacità di simbolizzare il rischio. Il quadrante III (in alto a sinistra), determinato dall’intersezione tra settinginterno/ protezione delimita l’area della rielaborazione dei propri vissuti familiari. Il quadrante IV (in basso a sinistra), determinato
Cluster 5
Cluster 1
Cluster 4
Cluster 3 Cluster 2
protezione rischio
58
dall’intersezione tra setting esterno/ protezione definisce l’area del sostegno all’autonomia personale.
Figura 2
rischioprotezione
MC5
MC4
Rielaborare i vissuti familiari
Simbolizzare il rischio
MC1
Imparare l’autonomia
Fronteggiare i pari
MC2MC3
Setting interno
Setting esterno
59
6. Conclusioni
La ricerca ha messo in evidenza l’esistenza di uno spazio fattoriale al cui interno si articolano cinque differenti modelli culturali, da considerarsi come altrettante modalità legate alla simbolizzazione del ruolo/ funzione svolta dalla comunità rispetto alla propria vita e ai rapporti con la propria famiglia d’origine così come vengono simbolizzate da giovani che vi hanno vissuto una parte consistente della propria giovane esistenza. La coesistenza nello stesso spazio di cinque modelli culturali esplicita, dunque, la pluralità delle rappresentazioni condivise dai soggetti coinvolti nell’esperienza di focus.
Considerando i due fattori che rappresentano i processi di simbolizzazione alla base dei differenti modelli culturali individuati, è pertanto possibile rilevare che gli elementi su cui sembrano ancorarsi le definizioni di ruolo/funzione della comunità riguardano la rappresentazione del suo funzionamento tra rischio e protezione da una parte e la simbolizzazione dei due principali contesti d’intervento (setting interno ed esterno). Ciò consente di evidenziare quanto i giovani dimessi dalle comunità sappiano riconoscere il valore dell’esperienza di comunità in quanto luogo dove potersi “riprendere”dalla faticosa quotidianità familiare per poter riflettere su ciò che è successo alla luce della nuova esperienza. La funzione di protezione della comunità viene fortemente interconnessa alla capacità empatica, di comprensione di sostegno e di rassicurazione svolta dagli educatori che si “prendono a cuore” la nostra vita, che “sono simili a noi”o che sono “molto interessati al loro lavoro e non lo fanno solo per soldi”ed è riconosciuta dai giovani che hanno partecipato ai focus come l’aspetto più significativo e rilevante dell’esperienza di comunità rispetto ai significati attribuiti alla propria vita passata e ai progetti futuri. Simmetricamente il rischio dell’esperienza in comunità è simbolizzato come strettamente associato alla solitudine in cui educatori non interessati al proprio lavoro, paurosi, dipendenti e incapaci di farsi rispettare e di ordinare e organizzare il quotidiano, abbandonano i ragazzi, soprattutto i più piccoli, in balia di una contaminante esposizione ai processi di vittimizzazione e di violenza reiteratamente messi in atto dal gruppo dei giovani arrabbiati e delusi dalla vita che la comunità fa convivere assieme.
La simbolizzazione della comunità come setting interno (spazio riflessivo e simbolico) ed esterno esterno (organizzazione della vita quotidiana) esprime, invece, una forte dialettica tra la rappresentazione del sostegno
60
ricevuto dalla comunità sia nei processi di simbolizzazione/mentalizzazione della realtà che comportano l’incremento della capacità riflessiva e della consapevolezza sia nell’acquisizione di competenze quotidiane connesse alla capacità di gestione della propria autonomia personale.
Da quanto fin qui esposto, si può pertanto dedurre la complessità del tema trattato entro uno scenario che designa una pluralità di dimensioni e di orientamenti, ma dove, tuttavia, risulta predominante una concezione della funzione della comunità come fortemente ancorata a modelli relazionali che riconoscono la centralità del minore, dei suoi bisogni di regolazione/regolamentazione, accoglienza e conforto, ascolto e aiuto nella riflessione e nella rielaborazione sui ciò che è avvenuto e che può ritornare se non si è sufficientemente sostenuti a modificare le traiettorie interne ed esterne della propria vita.
Nello specifico se consideriamo il contenuto rappresentazionale del cluster più pesante ( MC2:il quotidiano istruttivo) si deduce una rappresentazione della comunità come fortemente centrata sul sostegno all’apprendistato di una vita quotidiana che consenta al giovane di muoversi verso l’autonomia e la competenza attraverso il benessere esperito (cura,pulizia,ordine) e la cura personale ricevuta (accudimento, vestiti, cose). La qualità dell’intervento di comunità evocata da tale modello rimanda ad una rappresentazione fortemente definita da un orientamento relazionale che rimanda all’immagine di un minore rievocato nel suo bisogno primario di accudimento in un ambiente ordinato e piacevole che veicola attenzione, preoccupazione e cura.
Lo stesso minore è fatto oggetto di incontro quotidiano e di un processo di riconoscimento reciproco che ben esplicita la dimensione relazionale sintetizzata nel lemma condividere.
In fase conclusiva, non resta che tentare di rispondere a due quesiti cruciali che ci hanno accompagnato in questa esposizione: quali sono le criticità presenti nelle comunità così come sono nella realtà italiana e quali possibili cambiamenti è necessario apportare perché si riducano gli scarti tra ciò che i ragazzi si attendono e ciò che invece ricevono? E quali sono le dimensioni che possono essere implementate per sviluppare la riduzione di questi scarti?
Un tentativo di risposta alla prima domanda include anche la seconda. Se trattiamo, come abbiamo anticipato nell’introduzione, i modelli culturali
61
sull’intervento di comunità emersi dal confronto tra i giovani che hanno partecipato all’esperienza di focus come una variabilità da gestire e non come scarti o scostamenti da un modello di qualità ideale (quella centrata sulla protezione del minore, sul suo accudimento e sull’assunzione di responsabilità rispetto al suo futuro) ne deduciamo che il lavoro di restituzione agli educatori e ai professionisti che organizzano e gestiscono le comunità sia da effettuare sull’esplicitazione di quanto sia necessario orientare il proprio intervento nella direzione di un approccio relazionale che sappia coniugare esigenze organizzative a istanze educative e sappia riconoscere la centralità di una relazione significativa, affidabile e coerente come condizione indispensabile perché si possano modificare, attraverso esperienze reali con adulti sui quali poter contare, i modelli relazionali interiorizzati nelle esperienze passate che veicolano continuità al rischio e alla violenza e non consentono di pensare né tantomeno programmare una vita diversa da quella alla quale ci si sente inevitabilmente destinati. I ragazzi resilienti, quelli che ce la stanno facendo, come testimoniano le loro parole, non prescindono da un forte orientamento relazionale. Credono nella capacità eversiva della relazione. Sicuramente non possiamo deluderli.
62
BIBLIOGRAFIA
Bastianoni P., Rubino F., Taurino A., Palareti L., Berti C. (2006),
Rappresentazioni della qualità nei servizi di comunità per minori:
un’esperienza di focus group, Psicologia scolastica, vol. 4, n.2,
Carli R., Paniccia R.M. (1999) Psicologia della formazione, Il Mulino,
Bologna
Carli R., Paniccia R. M. (2002), L’analisi Emozionale del testo. Uno
strumento psicologico per leggere testi e discorsi, Franco Angeli,
Milano.
Foglietta, F. (1995), La soddisfazione dell’utente come obiettivo di qualità
nei progetti di incentivazione, in Sevizi Sociali Fondazione Zancan
n°3 Padova.
Foglietta F. (2001), La difficile valutazione della qualità nei servizi
sociosanitari, in Politiche e servizi, Studi Zancan, 5-6.
Krueger R. A. (1994), Focus group: a pratical guide for applied research,
Sage, London.
Krueger R. A. (1998a), Developing questions for focus group, in Morgan D.
L., Krueger, R. A., King, J.A. (eds), Focus group kit, Sage, London,
vol. III.
Krueger R. A. (1998b), Moderating focus group, in in Morgan D. L.,
Krueger, R. A., King, J.A. (eds), Focus group kit, Sage, London, vol.
IV.
63
Matte Blanco I. (1975), The unconscious as infinite sets. An essay in bi-
logic, Gerald Duckworth & Company LTD, London ( trad. It.:
L’incoscio come insiemi infiniti, Einaudi, Torino, 1981).
Normann R. (1984),The definition of quality and approaches to ils
mandgement, Health Admnistration Press, Ann Arbor MI, (trad. It.:
La gestione strategica dei servizi, ETAS libri, Milano,1985).
Normann R. (2001),Reframing business:when the map changes the
landscapes, John Wiley Sons, New York, (trad. It.: Ridisegnare
l'impresa: quando la mappa cambia il paesaggio, ETAS libri,
Milano,2002).
Parasuraman A., Berry L.L., Zeithalm V.A., (1985) A conceptual model of
service quality and its implications for future research, Journal of
Marketing, 49(4): 41-50
65
IL “MISTERO” DELL’ORATORIO*
don Massimiliano Sabbadini
già presidente della federazione Oratori della Diocesi di Milano * Testo tratto dalla Conferenza Organizzativa di NOI Verona del 28 ottobre
2004
Educazione cristiana: la tradizione proiettata nel futuro.
Vedendovi qui di fronte a me tutti insieme, mi viene spontaneo immaginare dietro i vostri volti anche le realtà di cui siete testimoni, portatori, animatori e quindi sento la presenza di una Chiesa vivace, ricca, competente anche nell’educazione dei ragazzi, dei giovani, degli adolescenti. Al di là di quello che i miei occhi percepiscono ora, è bello pensare soprattutto ai vostri ragazzi e poi agli educatori e animatori, ai curati e parroci di tutte le chiese e le parrocchie che voi rappresentate ed è anche a loro che voglio comunicare una brevissima testimonianza legata ad un’esperienza che ho appena vissuto.Proprio questa notte sono tornato da Belgrado, o meglio da una diocesi a 40 Km da Belgrado, dove sono andato con il cardinale Dionigi Tettamanzi, il mio arcivescovo, il successore di Sant’Ambrogio sulla cattedra di Milano. Ambrogio fu, per usare una terminologia attuale, un giovane praticante avvocato in quella terra. Per questo il cardinale Tettamanzi è stato invitato per festeggiare i 1.700 anni del martirio di San Demetrio e degli altri che hanno dato vita a una Chiesa così lontana. Perché vi racconto questo? Perché, con il mio Arcivescovo, mi sono trovato in una situazione piuttosto desolata: la chiesa cattolica è solo una piccolissima minoranza, il 5% della popolazione, circondata in buona parte dalla Chiesa Ortodossa, e con una storia recente fortemente antireligiosa nella quale i cattolici hanno potuto giusto sopravvivere. Là ho toccato con mano quanto sia difficile celebrare la fede iniziata 1.700 anni fa in quei luoghi e ancor di più ricondurre a una pratica quotidiana la vita cristiana, dove non è stata irrorata continuamente, di generazione in generazione. Ma, appunto, da che cosa è nutrita e sostenuta la fede? Riflettendo anche con il Cardinale in auto, sulla via del ritorno, mi è sembrato proprio di cogliere che il segreto della continuità è l’educazione cristiana: poter trasmettere valori ai propri figli, i quali trasmetteranno ai figli dei loro figli i valori in cui credono, valori che, però, devono essere vissuti e non solo celebrati. Questa mi sembra proprio la ricchezza di una Chiesa che è quella che noi conosciamo, che ci fa
66
continuamente vivaci, sempre protesi al futuro, alla ricerca preziosa delle radici del passato per viverle ancora oggi. Il confronto con una Chiesa lontana per alcuni aspetti, legati principalmente al suo destino storico, ma in fondo geograficamente vicina, separata da noi solo dall’Adriatico e raggiungibile velocemente, ci dice con un occhio più disincantato quanto sia preziosa l’eredità che noi riceviamo e la tradizione che noi consegniamo ad altri: una Chiesa che educa i suoi figli è una Chiesa viva, che guarda al futuro. Sarà capace di gettare un nuovo seme perché il Vangelo sia non solo ricordato, ma anche vissuto e sentito come la trama di ogni giorno da vivere. Vi ho raccontato questa esperienza, perché contiene un altro modo, forse meno immediato, sicuramente più complesso, di definire l’oratorio. Oratorio significa cento cose. Certo, “oratorio” presuppone anche mille questioni organizzative; anche il nostro incontro di questa sera è organizzativo. Sappiamo benissimo, però, che non ci sarebbe nulla da organizzare se non esistesse un organismo vivo, vivente, palpitante, anche un po’ scalpitante. Un organismo che qualche volta fa anche rumore, si muove, si agita. In questa ottica, allora, appare bella persino la fatica che ci sta davanti: la fatica di una ricchezza che ci è consegnata da trafficare perché a sua volta generi ricchezza da trafficare e così via. Credo che ciascuno di voi, quando sente parlare di oratorio, pensi inevitabilmente alla propria esperienza; ma, se appena si ferma un poco, visto che siamo in chiesa – anche questo per motivi organizzativi, ma non solo, perché il luogo è carico di un significato forte - il pensiero soggiacente è anche quello di riconsegnare l’oratorio, cioè la propria esperienza, la propria fatica, quello che abbiamo da fare, a Gesù e di metterci continuamente alla sua scuola.
L’oratorio: una funzione sociale? Non solo, ma anche…
La funzione sociale dell’oratorioRecentemente, proprio l’estate scorsa, avrete avuto modo di seguire qualche notizia vibrante, addirittura qualche polemica (si erano, infatti, create delle tensioni all’interno dell’Azione Cattolica perché uno degli invitati era Gianfranco Fini) intorno a un convegno che si è tenuto nell’ambito dell’incontro del Papa con l’Azione Cattolica a Loreto. Il convegno si era svolto due giorni prima a San Benedetto del Tronto ed era stato organizzato congiuntamente dall’Azione Cattolica e dal Centro Sportivo Italiano sul tema “La funzione sociale degli oratori”. Io ero stato invitato a tracciare le conclusioni. Senza entrare nel merito delle polemiche, è bene ricordare che
67
proprio in quella occasione si ebbe modo di affermare a chiare lettere che quando si dice oratorio, si presuppone certamente una funzione sociale, ma non solo! L’oratorio ha anche un suo ruolo sociale, che finalmente oggi viene riconosciuto grazie ad interventi legislativi, a livello sia regionale che nazionale, ma, è importante proprio qui sottolineare che l’oratorio è anche, ma non solo, funzione sociale.
L’oratorio alla luce del Mistero di DioL’oratorio esiste non solo e non tanto perché c’è un pezzo di società da salvare, oppure, detto in altri termini, siccome nella società è avvertito il problema della gioventù, che poi si chiami questione giovanile, disagio giovanile, o in mille altri modi, si parte sempre da qui quando il tema viene presentato in televisione, dai mass media. Poiché, quindi, i giovani rappresentano un problema delicato, allora si cerca chi ha le risposte. Ben venga a questo punto la Chiesa che ha dalla sua il Patronato, l’Oratorio, le Associazioni giovanili. Così si presenta l’oratorio come una risposta a un problema sociale. Attenzione: ciò concretamente avviene, ma nella Chiesa non c’è l’oratorio perché ci sono i problemi. C’è l’oratorio innanzitutto, perché c’è una Chiesa che ha una sensibilità educativa e vive la gioia di riconoscersi come madre di quei figli che Dio stesso ha generato. E dunque è bello parlare di oratorio in Chiesa. L’oratorio anche nella sua parola, nel suo nome, inventato da San Filippo Neri nel XVI secolo, è luogo della preghiera e molte volte l’oratorio è anche fisicamente quella chiesa annessa a quella parrocchiale, dove si ritrovano le congregazioni per pregare. Oratorio: luogo di un mistero, il mistero di un Dio che non è statico, ma è presente e attivo in questo nostro tempo, in questa società, dentro le nostre comunità, nonostante i nostri limiti. Il Signore ci guarda in faccia con i nostri difetti e quando pensiamo all’oratorio è Lui che ci dice: “Io non sono stanco di affidarvi i miei figli”. L’oratorio è quindi il mistero della fiducia di Dio che continuamente nel Battesimo affida alla Chiesa dei figli. E allora, qual è quella madre che non si cura dei suoi figli? Lo diceva già il Padre della Chiesa San Cipriano: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”. E lo stesso concetto viene espresso nel sacramento del Battesimo; a quello stesso mistero attingiamo la forza, le radici, la profondità dell’oratorio. Noi ci prendiamo cura di quelli che riconosciamo come nostri figli, che non sono nostri singolarmente, ma di noi tutti insieme. È una comunità cristiana che è madre e che ha un Dio come Padre. Potete intuire, allora, quale sia la qualità, la natura profondamente spirituale dell’oratorio. Alla luce di questo, è comunque positivo l’effetto che l’oratorio produce facendo del bene nella società, perché è come una buona
68
madre che si occupa dei suoi figli: non se ne occupa un giorno sì e un giorno no, non se ne occupa una volta perché ha voglia e una volta no, non se ne occupa solo se i figli rispondono bene, ma se ne occupa sempre. Ed una buona madre così è un bene, per sé stessa perché risponde alla propria vocazione, per il padre di quei figli, per i figli stessi, per la società intera. Ecco così è la Chiesa che con l’oratorio incide anche nella società, rispondendo però alla sua propria vocazione di prendersi a cuore i ragazzi, di esprimere ogni attenzione fisica, morale, spirituale, economica anche, per vedere crescere i figli di Dio come persone autentiche. Fra l’altro, nella società, e pensiamo a quella parte della società che ciascuno di noi vive, voi laici soprattutto, cioè al mondo del lavoro, del volontariato, del tempo libero, quando si trovano dei giovani ben educati, sensibili, generosi, che hanno voglia di impegnarsi per gli altri, che hanno quella serenità di fondo con la quale non hanno paura anche di affrontare qualche rischio, qualche sacrificio, tutti dicono: ma dove sono giovani così? Si farebbero carte false per averli tra i colleghi di lavoro, per affidargli delle responsabilità professionali. Ebbene l’oratorio si propone proprio questo: vedere crescere – diceva San Giovanni Bosco – buoni cristiani e onesti cittadini. E attenzione che i buoni cristiani si riconoscono poi da come si comportano nella società, ovvero se a scuola si impegnano, se in famiglia sono in pace, se pensano al loro futuro con responsabilità. E’ chiaro allora che l’oratorio, cioè la Chiesa che è madre, che educa i suoi figli, realizza quel bene che poi la società intera riconosce come tale. Oggi nessuno più, essendo caduti anche gli steccati ideologici, osa negare che sia davvero un bene. L’educazione cristiana contiene in sé il massimo impegno della partecipazione anche alla vita sociale, la capacità di giovani di prendersi a cuore la vita di tutti gli altri. Ecco perché, allora, interpretato alla luce del mistero di Dio, possiamo affermare che l’oratorio è anche una funzione sociale.
Il riconoscimento giuridico della funzione sociale dell’oratorio È molto importante, come dicevo poc’anzi, che recentemente, nella storia di questi ultimi anni, anche le istituzioni pubbliche abbiano formalmente e sostanzialmente riconosciuto il valore e la rilevanza che assumono gli oratori in quanto tali nel tessuto sociale. Una delle prime leggi regionali in questo contesto ha proprio questa titolazione “Il riconoscimento della funzione sociale ed educativa degli oratori” del 22 novembre 2001, legge della Regione Lombardia, cui hanno fatto seguito diverse altre leggi regionali. Nell’agosto 2003 anche il Parlamento dello Stato Italiano ha
69
siglato al riguardo la “legge 206”, all’iter della quale ho potuto contribuire personalmente con un’audizione alla Camera dei Deputati l’8 maggio 2002. Attenzione però, anche in questo senso noi non possiamo affermare di fronte alla società: c’è un oratorio perché c’è una legge. La legge non stabilisce come devono essere gli oratori, che cosa debbano fare. È interessante che il concetto cardine di quella legge è il riconoscimento: si riconosce ciò che c’è già, e così si dice in altri termini, anche per l’oratorio, la sussidiarietà. C’è un soggetto che è presente, che è vivo, che è attivo, che per quello che è e che fa, senza bisogno che nessun altro gli insegni che cosa deve fare e come, fa del bene a tutti, del bene fruibile e riconoscibile dalla società. È importante rilevare questo concetto, perché alcune volte un facile cortocircuito sulla interpretazione di questi riconoscimenti legislativi degli oratori, dei patronati (sono riconosciute con la legge tutte le realtà, anche di altre confessioni religiose: era necessario questo, data la matrice non confessionale che ha lo Stato nel promulgare le sue leggi), può far pensare che finalmente possiamo far bene l’oratorio perché lo Stato fa qualcosa per l’oratorio. Non è così. Semmai lo Stato sente come un proprio impegno – siccome gli oratori ci sono già – di favorire che quello che gli oratori fanno sia un bene anche per gli altri e di mettere ogni oratorio in condizione di farlo: garantire risorse economiche, possibilità di utilizzo di beni pubblici, mobili e immobili e, a dire la verità, non molto di più (nella legge statale non c’è moltissimo riguardo a fondi e finanziamenti perché rimanda alle leggi regionali).
L’oratorio “ponte tra la Chiesa e la strada” L’oratorio, come abbiamo visto, nasce dalle viscere materne di Dio e, in virtù di questo, viene riconosciuto nella sua capacità concreta, fattiva, come avviene con una buona madre che non si limita a pronunciare belle parole, ma con i fatti cresce robusti e convinti i suoi figli. Perciò anche lo Stato, anche la società civile riconosce l’oratorio. E poi il Papa, forse lo ricorderete, un po’ a sorpresa, nel 2000, quando si era appena conclusa la Giornata Mondiale della Gioventù (tutti si ricordano di Roma, Tor Vergata, con milioni di giovani): una settimana dopo, mentre era in vacanza a Castel Gandolfo, incontrò i giovani della diocesi di Albano Laziale, e lì, mentre tutti parlavano ancora della Giornata Mondiale della Gioventù, lui ha riportato subito l’accento su un modo quotidiano, non straordinario come era stata ovviamente la Giornata Mondiale, che molte comunità possono vivere, di stare vicino, di accompagnare, di guidare, di vedere protagonisti i propri giovani, i propri ragazzi i propri adolescenti. A quel punto il Papa parlò proprio dell’oratorio e, volendo rilanciare la
70
missione degli oratori, li definì “un ponte tra la Chiesa e la strada”,un’espressione poi diventata famosa e utilizzata molte volte. E’ stato interessante, però, cogliere che questa definizione veniva introdotta come integrazione di quei momenti eccezionali, straordinari, che sono quelli in cui tutti dicono “che bella la Chiesa con i giovani”. La Chiesa, però, non è con i giovani solo quando il Papa li raduna una volta ogni tre anni, ma la Chiesa è ogni giorno laddove i giovani vivono le grandi sfide della loro esistenza, dove fanno fatica ad andare avanti o dove, se non fanno fatica, vorrebbero veder riconosciuta un po’ di più la propria capacità di portar avanti anche la Chiesa, la comunità e anche gli altri. Quindi ci sono sfide che oggi rappresentano la vita quotidiana dei ragazzi: “Che senso ha la mia vita? Come faccio ad essere felice? Perché mi annoio? Che cosa potrà interessarmi? Che significato ha se sono innamorato o no?”. L’oratorio è il modo quotidiano di una Chiesa che è vicina ai ragazzi dove vivono, ma che è accanto soprattutto alle vie più nascoste dove passano queste domande, dove pulsano nel cuore queste provocazioni, che rischiano di cadere nel vuoto della solitudine, in cui non trovano interlocutori, se non interessati perché hanno qualcosa da vendere. L’oratorio è invece la testimonianza quotidiana, qualche volta anche un po’ grigia, non sempre organizzata benissimo (anche se giustamente riteniamo importante che l’oratorio sia testimonianza pure di una buona capacità strutturale e ben articolata di stare vicino ai ragazzi), di una grande passione educativa che si gioca dove passa la vita dei ragazzi con le loro luci e le loro ombre, dove ci sono quelli educati, ma dove ci sono anche quelli poco educati. Ecco, tutto questo rappresenta, in sintesi, la ricchezza e la grandezza dell’oratorio, che riesce a unire la sua matrice ecclesiale e spirituale con quella sociale. Questa è la matrice propria di chi non solo sa dire belle parole, stendere ambiziosi programmi sulla gioventù, ma di chi vuole anche rimboccarsi le maniche, seppure ciò può significare affrontare mille delusioni. Tutto questo comporta vivere un’autentica passione educativa. Chi di voi è genitore, chi di voi è insegnante a scuola, chi di voi è responsabile o animatore nei circoli e negli oratori sa benissimo che nove giorni su dieci non è che si cantino sempre l’Alleluia o il Te Deum. Sorgono e si intrecciano tra loro cento dubbi: “Non so capirli questi ragazzi…”, “ho fatto cinque proposte e non vanno mai bene...”. Eppure c’è questa passione educativa, questa Chiesa interpretata da mille volti, mani e cuori che costruiscono poi l’oratorio. Spesso i giornalisti mi chiedono: “Chi va all’oratorio? Cosa c’è di nuovo all’oratorio? Quanti sono i frequentanti dell’oratorio?”. A me piace subito spostare un po’ il discorso e rispondere alla domanda con un’altra domanda: “Secondo voi, chi fa l’oratorio?” Non c’è l’oratorio senza chi lo fa. Da
71
questo punto di vista l’oratorio è uno spettacolo bellissimo di un volontariato in grandissima parte, oserei dire nell’assoluta maggioranza, gratuito, con persone che mettono a disposizione le proprie risorse di tempo, di denaro, di pazienza e di intelligenza per educare altri.
Un oratorio quadridimensionale: Chiesa, casa, scuola e strada Oggi si battono facilmente le mani a chi spende tempo nel volontariato assistenziale, in quello per i beni culturali, in quello per i beni ambientali. A me piace dire ai giornalisti che c’è una schiera di persone che dedica il proprio tempo al volontariato educativo e che si tratta di una missione formidabile, nel senso che fa anche un po’ paura, che è un’avventura che non si sa mai bene quando e come finisce. Eppure all’oratorio ci sono presone che si spendono in questa avventura. Non gli unici, non da soli; certo ci sono anche le associazioni, ci sono le benemerite istituzioni che si occupano dei ragazzi, ma anche gli oratori sono protagonisti nell’ambito del volontariato educativo. Per realizzare che cosa? Per fare che cosa?
Oserei individuare quattro coordinate sulle quali si fonda la realtà dell’oratorio: oratorio è un po’ chiesa, è un po’ casa, è un po’ scuola ed è un po’ strada.
Oratorio è ChiesaIntanto, e l’abbiamo detto già in buona parte, l’oratorio è un po’ Chiesa per la sua stessa natura, che vi ho detto prima, e cioè perché nella chiesa parrocchiale c’è il fonte battesimale; quindi lì Dio ha affidato a qualcuno i suoi figli. L’oratorio è Chiesa e ce ne accorgiamo, diciamo anche simpaticamente, se dobbiamo trovare l’oratorio tra le vie di un paese, di una città. Come facciamo? Sempre, quando chiedo la strada per un oratorio, mi dicono: “Guarda, dove vedi il campanile, proprio vicino al campanile vedrai i riflettori, le porticine, il campo”. Non c’è oratorio senza la vicinanza, spesso anche strutturale, con l’edificio della chiesa. L’oratorio è Chiesa innanzi tutto perché è comunità credente, perché è insieme di persone che credono e che educano. Non c’è oratorio solo dove c’è il prete eroe, la suora intrepida, qualche santo educatore dalla capacità carismatica di tirarsi dietro tutti i ragazzi. Forse qualche esempio così c’è ancora, ma non è il migliore degli esempi di oratorio. C’è un oratorio dove c’è Chiesa, e sapete che la parola Chiesa significa “assemblea”, vuol dire che l’oratorio è là dove c’è un insieme il più possibile organizzato, coordinato, pensato, ben distribuito di capacità, di attitudini, di volontà, di ministeri, di servizio alla vita dei ragazzi e dei giovani. E allora si fa oratorio, perché uno porta avanti
72
l’attività sportiva, un altro il teatro, uno coordina i catechisti, uno più esplicitamente nella catechesi annuncia il Vangelo, un altro più specificamente, ma non meno efficacemente, lo mette in scena nei momenti di volontariato. Capite, uno non è mai solo, già nella sua testimonianza: l’oratorio è fatto da persone diverse e dunque è un insieme, una Chiesa. Pensate che cosa significa allora che l’oratorio sia Chiesa proprio oggi, in un tempo in cui tutti i ragazzi che conosciamo sono portatori qualche volta sani, qualche volta no, di una terribile e insidiosa malattia, che si diffonde nell’aria, nella cultura in cui siamo immersi e che si chiama individualismo. Quella cultura che ti fa credere che si diventa grandi solo se ci si distingue dagli altri, solo se “io esiste”, come diceva la pubblicità - mi sembra - di un’automobile, oppure quell’altra dell’”uomo che non deve chiedere mai!”. Individualismo: il successo nella vita fino a emergere, emergere, emergere, ma fino a quando? Fino al punto in cui si è così esclusivi da essere soli. Capite, allora, come si insinua il male sottile dell’individualismo? Ebbene quando noi ci mettiamo ad accompagnare la vita dei ragazzi, lo facciamo come Chiesa, non da soli, ma insieme. Io non potrei fare niente nella diocesi e negli oratori di Milano se non attraverso la concertazione bellissima e poliedrica di catechiste, animatori, genitori, responsabili dei bar, dei circoli, dell’attività sportiva... Che bello, un popolo variegato che educa proprio perché è insieme. Ed educa all’insieme. L’oratorio è Chiesa perché chi va all’oratorio capisce subito che non esiste lui da solo, ma che lui esisteinsieme agli altri. Questo stile emerge anche da come si gioca. Non so se anche qui, ma nella diocesi di Milano, con il Sinodo Diocesano 47°, si proibirono i videogiochi nei bar degli oratori. E perché? Perché avviene che di fronte al videogioco uno ci si piazza davanti…ed è solo lui. E invece se non altro con il “calcio balilla”, o il “tam-tam”, o il ping-pong, bisogna essere almeno in due per giocare all’oratorio. Ricordate la “canzoncina” di Elio e Le Storie Tese, che forse avrete sentito questa estate: “all’oratorio si canta almeno in tre”.
Oratorio è casaPoi l’oratorio è casa: se un oratorio funziona bene, i ragazzi ci stanno come a casa loro, nel senso che non ci stanno con il cronometro fino al 59° minuto del catechismo per poi fuggire via, ma si intrattengono volentieri e sentono che si respira aria familiare. Ogni oratorio si riconosce dal clima che c’è; quello di casa nostra sappiamo che non è facilmente riproducibile, non si può comprare o produrre in laboratorio, e non lo si può mettere nello ionizzatore dell’aria perché si diffonda “magicamente”. L’atmosfera di casa vuol dire molte cose, vuol dire quella Chiesa di cui parlavamo poco fa; se è
73
Chiesa siamo fratelli, se siamo fratelli abbiamo cura uno per l’altro, ma anche responsabilità, perché ciascuno sente di doversi impegnare lui per primo. A chi non è mai capitato di imbattersi in quegli adolescenti o ragazzi delle medie – che hanno spesso quelle facce un po’ segnate – che arrivano in oratorio e dicono: “Ueh, non c’è nessuno…” e magari ci sono lì una cinquantina di persone, ma per loro “non c’è nessuno” perché non c’è nessuno di quelli che hanno in mente loro. E subito dopo cosa dicono? “Ueh… ma qui è un mortorio!” Allora la battuta pronta: “Eh, bravo, e tu cosa ci metti perché sia più vivo? Tu sei uno di quelli che vorresti trovare venendo all’oratorio?”. Bisogna far sentire i ragazzi protagonisti dell’ “aria che si respira” come a casa, anzi di più. Le mamme presenti qui potrebbero confermarlo. Dicono spesso ai figli affaccendati e in po’ nomadi: “questa casa non è un albergo”. Già, la casa non è un albergo perché ci sei anche tu, sei parte attiva, e così deve essere anche all’oratorio. L’oratorio è casa perché ha in qualche modo il carattere, la sensibilità e il temperamento di tutti quelli che vi sono dentro. All’oratorio nessuno è un cliente…E così l’oratorio è casa anche perché è gratis. Dove si trova oggi un posto nel quale, appena entrati, non si chieda “quanto costa?”. E magari si è già pagato il biglietto prima. L’oratorio non è così, ci pensate? È gratis anche in senso letterale, perché non si sborsano soldi dalle tasche. Certo ogni tanto i soldi servono anche all’oratorio e ben venga che anche i ragazzi imparino a metterceli, visto che li spendono per tante altre cose. Però il clima che si respira è quello della gratuità. Ricordo in un oratorio una scritta su un muro, che era stato riservato ai messaggi liberi che i ragazzi volevano affiggervi: Qui gli amici sono gratis. Subito sotto c’era il listino prezzi dei gelati, però gli amici erano gratis! Ecco perché l’oratorio è casa.L’oratorio è casa anche perché a casa ci sono i genitori e l’oratorio non si propone qualcosa d’altro di ciò che interessa anche i genitori dei ragazzi. Non solo, l’oratorio si propone di essere a sostegno, a integrazione, a completamento dell’attività educativa dei genitori, senza prescinderne, senza trascurarla, senza cancellarla. Non può esserci un oratorio senza un rapporto, sappiamo quanto difficile da cercare e da trovare, con le famiglie e i genitori dei ragazzi. Però è anche vero che l’oratorio non è tout court, pari pari, la stessa vita domestica che i ragazzi trovano a casa loro. Analoga è però la preoccupazione che vivono i genitori, quella cioè di veder crescere bene i propri figli in una comunione di vita stabile, affettivamente certa, custodia sicura di buoni valori.
74
Oratorio è scuolaPoi, ancora, l’oratorio è un po’ scuola. Questo è il lato meno simpatico. Quante volte lo sentiamo dire: “Il catechismo assomiglia un po’ troppo alla scuola, e se è così i ragazzi non vi partecipano volentieri”. Però, non neghiamolo, a scuola si va per imparare e anche all’oratorio si va per imparare. L’oratorio ha anche dei contenuti da dare, da offrire, l’oratorio non c’è solo quando si dice ai ragazzi: “Cosa volete che facciamo?”. Ma quando qualcuno sa che cosa comunicare a quei ragazzi. Quindi dà qualcosa in più di ciò che sta già nella vita dei ragazzi e suscita il gusto di imparare, di apprendere. In questo senso è importantissimo il catechismo ed è importantissima l’esperienza spirituale. A pregare si impara. L’oratorio è fatto anche – e soprattutto – per questo. Quando un ragazzo impara a pregare, poi ha un respiro che lo accompagna tutta la vita. Anche quando sarà adulto, anche quando insegnerà ai suoi figli a pregare. Perché la “scuola”, all’oratorio, è scuola di tante cose che non si apprendono solo sui libri. Peraltro, qualche libro ci deve essere anche all’oratorio, dove si stima e si realizza anche l’attività culturale e intellettuale, magari rappresentata in cento modi diversi. Insegnare può significare far apprendere ai ragazzi suonando o cantando, ma intanto apprendono, intanto imparano. L’oratorio è anche scuola di vita. Come a casa non solo si prende qualcosa, si mangia, si ricevono dei servizi, ma anche e soprattutto si vive, così l’oratorio è capace di mettere in scena delle situazioni di vita nelle quali si impara. Che cosa? A vivere come ha fatto Gesù, a perdonare come ha perdonato Gesù. Un’estate, durante un oratorio estivo, il Grest, nella parrocchia dove ero vicario parrocchiale, non avevamo la mensa per il pranzo. Dopo una settimana è andato via una ragazzino di prima media, perché la mamma lo aveva iscritto alla colonia del Comune perché lì c’era la mensa. E questo ragazzo era molto triste e non voleva andarci. Io cercavo di incoraggiarlo, dicendogli che anche il comune avrebbe trovato dei bravi animatori, ma lui mi ha detto: “Eh sì don, ma non sai che là se due litigano nessuno li divide.” Lì ho capito che grande scuola è l’oratorio. Ho capito che attraverso gli occhi e la coscienza di un ragazzino era passata l’idea che all’oratorio si impara a perdonare. E questo non è forse il Vangelo? “Settanta volte sette”! Perché “all’oratorio quando due litigano qualcuno li divide”: non basta dire che c’è un valore, ma bisogna metterlo in pratica. Anche nelle piccole cose, come, ad esempio: “Se non fai la pace, non fai la merenda”. All’oratorio, in quanto scuola, si imparano cose che ti servono per la vita.L’oratorio è scuola, anche perché - soprattutto dove i ragazzi frequentano l’oratorio del loro territorio, vicino a casa e vicino a scuola - è molto utile e molto opportuno che qualcuno dell’oratorio stabilisca dei rapporti con la
75
scuola, elementare e media soprattutto, con gli insegnanti di religione, con il preside se si può, per stabilire magari dei punti di contatto, instaurando così un lavoro di rete. Si sente tanto parlare di lavoro di rete ed è importante che un oratorio non si senta un’”isola che non c’è”, un luogo “magico” di un altro pianeta. Oggi tutti sanno benissimo che quel ragazzo, quel preadolescente che si educa è lo stesso studente che va a scuola, è il figlio che è in famiglia, è il giocatore in erba della società sportiva, ma è anche il nostro ragazzo dell’oratorio. Se ci mettiamo virtuosamente in collegamento con tutti gli altri che si preoccupano della sua educazione, riusciremo forse a qualcosa. Oggi anche l’oratorio non basta da solo; ci vuole un po’ di capacità di allacciare rapporti diretti, progetti comuni, interventi nei casi di emergenza, sussidiarietà. Sotto questo punto di vista, a mio parere, gli oratori devono crescere ancora. Siamo un po’ abituati, come in passato, a fare tutto da soli come se noi fossimo gli unici e i più bravi, invece dobbiamo riconoscere che ci sono oggi tanti educatori professionali, insegnanti, assistenti sociali, associazioni e istituzioni del territorio, ecc., con i quali aprire un dialogo fecondo ed efficace ber il bene delle giovani generazioni.
Oratorio è stradaInfine, riallacciandomi al discorso del Papa, l’oratorio è anche strada.L’oratorio sorge, spesso materialmente, vicino al campanile, ponendosi come una soglia che dà su una strada. E noi sappiamo quanto pericoloso sia se è troppo vicino alla strada... Ma ciò ha anche un significato molto profondo: strada vuol dire anche informalità, evoca quegli aspetti che facciamo fatica a considerare nella vita dei ragazzi, che sono incontrollabili e incontrollati, che rivelano anche quel bisogno di libertà che si esprime - che lo si voglia o no – al di là del nostro controllo, negli ambiti della trasgressione, alla ricerca di confini che poi, se non ci sono, generano guai seri. Voi sapete che uno dei problemi rilevati dai pedagogisti nelle nuove generazioni è che, siccome inizia troppo presto la de-strutturazione,l’assenza di ogni regola, a volte già in casa, i ragazzi vanno in tilt psichiatrico: senza regole non crescono. Però è anche vero che ogni tanto dobbiamo forse eliminare alcune regole. L’oratorio è un ponte prospiciente alla nostra strada, è una sorta di zona continuamente attraversabile da dentro a fuori, da fuori a dentro. Non è un recinto invalicabile. Quella strada così intesa come destrutturazione, i ragazzi se la portano dentro, anche i nostri più bravi, anche quelli che già fanno gli educatori, anche loro hanno dentro una “strada” che è ora è l’ebbrezza, ora la confusione, ora l’euforia, ora la chiusura in se stessi…; ciascuno fa esperienza di una “strada” verso la
76
propria vera libertà che cerca i suoi confini, cerca come decidersi, cerca quei sì e quei no grazie ai quali la vita diventa una vita benedetta, decisa, voluta. Quanto è difficile oggi questo! Bene, l’oratorio sa essere un ponte tra la chiesa e la strada. Questo però, bisogna dirlo lasciandoci un po’ provocare. Dire strada vuol dire ciò che abbiamo sotto casa in maniera piuttosto indistinta.Cioè vuol dire anche una serie di problemi, la piccola devianza, la piccola delinquenza, quel subbuglio di gioventù non educata che oggi c’è e si fa notare spesso scomposta, rumorosa, sprezzante. Quand’ero all’oratorio nella periferia nord di Milano, alla Bovisa, litigavo talvolta con le mamme che tenevano il bar dell’oratorio. Erano generosissime e volonterose. Facevano i turni due volte la settimana, ma ogni tanto venivano da me e dicevano: “Don Massimiliano, adesso basta: o lei manda fuori quel ragazzo o io non vengo più. Perché me l’ha fatta ancora in barba, è venuto a rubarmi le patatine, mi ha preso in giro”. E io un po’ litigavo amabilmente, perché sentivo in questa mamma una difficoltà sì, ma non del tutto vera. Allora le dicevo: “Ma Carmela, se quello fosse tuo figlio, cosa faresti? Andresti da tuo marito e gli diresti: “Basta, vado via di casa se adesso tuo figlio non si comporta bene”? No, cercheresti mille modi per insegnare l’educazione a quel ragazzo lì”. Oppure arrivava qualcuno mentre ero in classe per il catechismo a dirmi: “Don, vieni, perché hanno bestemmiato, eh, all’oratorio non si bestemmia”. Certo, non c’è bisogno di scriverlo fuori, è ovvio, no? Succede un fatto, chi è lì lo affronta. Tutti hanno una capacità educativa, i genitori stessi la sviluppano, ma chissà perché quando si trovano all’oratorio viene loro un complesso di inferiorità, sembra che non siano più in grado di affrontarlo da soli. Perché forse ci illudiamo di trovare all’oratorio quelli già educati che si comportano sempre bene e che rispondono subito bene alle nostre proposte. Invece oggi mi sembra che l’oratorio sappia stare come un ponte sulla strada quando, con molta acutezza, sa intercettare anche quei vuoti di educazione che si presentano. Ancora a quelle mamme dicevo: “Se a casa tua suonano e vedi dallo spioncino uno che è vestito male, che è un po’ maleodorante, che ha la faccia sporca e che non mangia da qualche giorno, che cosa fai? Ti fai un po’ di coraggio, ma gli dai aiuto, perché ti hanno insegnato che la carità cristiana non è solo dir belle parole, non è solo far offerte in Chiesa; gli darai da mangiare, se ha fame”. Ecco, oggi spesso i comportamenti difficili, trasgressivi e un po’ scostanti di certi ragazzi rappresentano la povertà dell’educazione. E, come se uno è povero di pane gli dai da mangiare, così se uno è povero di educazione cominci a dirgli: “Guarda che qui ci si comporta così ”. Il modo migliore per tradire chi ha bisogno di educazione è quello di far finta di niente, di non richiamare le regole, essere più deboli.
77
L’Oratorio invece deve essere anche capace di sostenere qualche strappo, se c’è. Attenzione che non c’è solo quello: ci sono anche molti ragazzi che l’educazione l’hanno ricevuta e assimilata e possono metterla a disposizione degli altri. Ragazzi apostoli di altri ragazzi, coinvolti al servizio, con il loro impegno, di altri coetanei.
Oratorio è “oltre”: la quinta dimensione
Dunque oratorio è chiesa, casa, scuola e strada. Ho detto quadridimensionale, ma mi piace pensare che ci sia anche una quinta dimensione. L’oratorio è anche oltre, oltre tutto questo. Ritorniamo così alla frase con cui abbiamo cominciato, cioè l’oratorio è anche un mistero. È un mistero di quell’oltre che è la vita del ragazzo che tu incontri al tuo oratorio, che va verso dove tu non sai ancora, ma con la fiducia, e insieme il santo timore, di chi sa che Dio ha preparato per lui una strada, un disegno, e tu fai il tifo per quel ragazzo, perché incontri e decida per quel disegno che Dio ha pensato. Ed è utile quello che tu puoi fare. Un oratorio che è oltre, perché sa benissimo che oltre a quello che riesce a fare c’è molto altro che continuamente ci chiama a una missione infinita. E infine l’oratorio è oltreperché sa che per fare tutto quello che deve non basta l’organizzazione, non bastano i soldi, non basta la capacità di ciascuno, ma bisogna mettersi anche un po’ in ginocchio. A invocare quell’Oltre – con la maiuscola – dal quale viene ogni bene che fa della Chiesa una madre capace di crescere i suoi figli.
Gen
ova
–12
/13
nove
mbr
e 20
09Fo
rmaz
ione
aut
unna
le C
onsu
lta D
ioce
sana
LIM
ITA
RE
I FA
TTO
RI D
I RIS
CH
IO: P
RO
CES
SI D
I VA
LUTA
ZIO
NE,
R
ICER
CA
E IN
TER
VEN
TO N
ELLE
CO
MU
NIT
ÁPE
R M
INO
RI
Pao
la B
astia
noni
e Fe
deric
o Zu
lloD
ipar
timen
to d
i Sci
enze
Um
ane
Uni
vers
itàdi
Fer
rara
Obi
ettiv
o
Com
pren
dere
qua
li so
no i
fatto
ri de
l no
stro
ope
rato
quo
tidia
no in
com
unità
che
poss
ono
conf
igur
arsi
com
e “r
isch
io”
limita
ndo
la p
ossi
bilit
àdi
real
izza
re u
n “a
mbi
ente
tera
peut
ico
glob
ale”
Am
bien
te te
rape
utic
o gl
obal
e
Tutti
i m
omen
ti de
lla g
iorn
ata
hann
o ril
evan
za
tera
peut
ica
Ogn
i asp
etto
del
lo s
pazi
o fis
ico
e og
ni s
ua
mod
alità
di fu
nzio
nam
ento
èfin
aliz
zata
a fa
r se
ntire
ai m
inor
i i lo
ro b
isog
ni p
iùim
porta
nti d
i qu
elli
degl
i edu
cato
riU
tiliz
za u
n m
odel
lo re
lazi
onal
equ
indi
Vita
quo
tidia
na c
ome
luog
o “p
ensa
to”n
ella
sua
gl
obal
itàpe
r rea
lizza
re l’
inte
rven
to ri
para
tivo,
rif
iuta
ndo
la s
epar
azio
ne c
on u
n se
tting
psic
oter
apic
o “a
par
te”
Com
e pr
oced
erem
oA
ffron
tere
mo
due
diffe
rent
i per
cors
i, og
nuno
dei
qu
ali
rapp
rese
nta
un’e
sper
ienz
a di
ric
erca
e
rifle
ssio
ne d
a no
i svo
lta p
ress
o l’U
nive
rsità
di
Ferr
ara
in c
olla
bora
zion
e co
n il
Coo
rdin
amen
toP
rovi
ncia
le d
elle
Com
unità
per M
inor
i: 1.
ène
cess
ario
va
luta
re
la
qual
itàde
l no
stro
in
terv
ento
2.è
nece
ssar
io d
efin
ire q
ual è
il no
stro
mod
ello
cu
ltura
le d
i com
unità
e m
odifi
carn
e gl
i asp
etti
pote
nzia
lmen
te “r
isch
iosi
”
CO
SA
INTE
ND
IAM
O P
ER
VA
LUTA
ZIO
NE
DE
LLA
Q
UA
LITÁ
DE
LL’IN
TER
VE
NTO
DI C
OM
UN
ITÁ
?
èun
pro
cess
o di
com
para
zion
e de
i ris
ulta
ti ot
tenu
ti ne
lla p
resa
in c
aric
o de
l min
ore
e de
lla s
ua fa
mig
lia c
on g
li ob
ietti
vi s
tabi
liti
nella
fase
di i
nser
imen
toè
un p
erco
rso
di ri
fless
ione
che
inte
nde
verif
icar
e se
sia
mo
o m
eno
nella
dire
zion
e gi
usta
, se
stia
mo
vera
men
te a
iuta
ndo
i no
stri
bam
bini
, i n
ostri
raga
zzi e
le lo
ro
fam
iglie
Qua
li pa
ram
etri
andi
amo
a m
isur
are?
Qua
li fa
ttori
pren
dere
in c
onsi
dera
zion
e?
Cap
acità
di ri
spet
tare
le re
gole
?I b
uoni
risu
ltati
scol
astic
i?L’
avve
nuto
rien
tro in
fam
iglia
?Il
ragg
iung
imen
to d
egli
obie
ttivi
del
P
.E.P
.?La
pos
itiva
riel
abor
azio
ne d
ella
pro
pria
st
oria
?Il
bene
sser
e pe
rcep
ito?
Qua
ndo
valu
tare
?
Alla
fine
del
per
cors
o in
com
unità
?U
n an
no o
due
dop
o l’u
scita
?P
rogr
essi
vam
ente
al r
aggi
ungi
men
to d
ei
vari
obie
ttivi
del
P.E
.P.?
Il be
ness
ere
perc
epito
qua
lche
ann
o do
po
l’usc
ita?
Il be
ness
ere
perc
epito
all’e
tàX
?
Chi
dec
ide
che
cosa
val
utar
e?
I ser
vizi
soc
iali?
Gli
educ
ator
i?Il
supe
rvis
ore?
La
rete
di s
ogge
tti c
oinv
olti
nella
pre
sa in
ca
rico?
I ric
erca
tori?
…so
nogl
i osp
iti a
dec
ider
e!
Il pa
radi
gma
della
qua
lità
nei s
ervi
zi a
lla p
erso
na p
one
la
sodd
isfa
zion
e de
l cl
ient
e (c
usto
mer
satis
fact
ion)
com
e pa
ram
etro
cen
trale
ed
essa
si
mis
ura
sulla
bas
e de
l di
vario
(sca
rto) t
ra la
qua
lità
atte
sae
la q
ualit
àpe
rcep
itaP
erta
nto
uno
dei c
ompi
ti di
un
serv
izio
alla
per
sona
èut
ilizz
are
com
e in
form
azio
ne p
er lo
svi
lupp
o de
lla p
ropr
ia e
ffica
cia
la
dom
anda
del
pro
prio
ute
nte
e an
aliz
zare
gli
scar
ti (o
sc
osta
men
ti)pr
esen
ti tra
la p
roge
ttual
itàdi
chia
rata
e
quel
la e
roga
ta ri
leva
bile
dal
le n
arra
zion
i del
l’ute
nte
stes
so (P
aras
uram
an, Z
eith
aml,
Ber
ry 1
985)
Ric
erca
con
gio
vani
ex-
ospi
ti
SO
GG
ETT
I:7
raga
zzi (
6 m
asch
i e u
na fe
mm
ina)
di e
tàco
mpr
esa
tra i
18 e
i 21
ann
i con
pe
rman
enza
med
ia in
com
unità
di tr
e an
ni
e pr
oven
ient
i dai
tre
dive
rsi c
onte
sti
resi
denz
iali
per a
dole
scen
ti de
lla p
rovi
ncia
fe
rrare
se.
OB
IETT
IVI:
-In
daga
re il
pun
to d
i vis
ta d
ei
giov
ani d
imes
si d
alle
co
mun
itàris
petto
alla
loro
es
perie
nza
resi
denz
iale
-A
naliz
zare
gli
scar
titr
a le
lo
ro a
ttese
e c
iò c
he h
anno
ric
evut
o ril
evab
ile d
alle
loro
na
rraz
ioni
(qua
lità
atte
sa v
s qu
alità
perc
epita
)
MET
OD
O E
STR
UM
ENTI
:-
4fo
cus
grou
pre
aliz
zati
in
luog
o ne
utro
(uni
vers
ità) a
lla
pres
enza
di u
n co
ndut
tore
e
di u
n os
serv
ator
e -
I foc
us g
roup
sono
sta
ti au
dior
egis
trat
ie tr
ascr
itti
fede
lmen
te-
Ana
lisi d
ei d
ati:
utili
zzo
dei
softw
are
Nud
.iste
Alc
este
RIS
ULT
ATI
(1)
Ana
lisi d
ei d
ati c
on N
ud*is
t:S
ono
stat
e ril
evat
e 5
mac
roca
tego
rie re
lativ
e al
la ra
ppre
sent
azio
ne
razi
onal
e/co
scie
nte
del c
onte
sto/
ogge
tto s
ocia
le:
prof
ilo g
rupp
o de
i rag
azzi
; 81
prof
ilo d
ella
com
unità
; 117
prof
ilo d
ell'e
duca
tore
; 121
crite
ri d
i val
utaz
ione
de
ll'in
terv
ento
; 9vi
ssut
i fam
iglia
d'o
rigi
ne;
12
prof
ilo d
ell'e
duca
tore
prof
ilo d
ella
com
unità
prof
ilo g
rupp
o de
ira
gazz
ivi
ssut
i fam
iglia
d'or
igin
ecr
iteri
di v
alut
azio
nede
ll'in
terv
ento
“Buo
n ed
ucat
ore”
sa d
are
le re
gole
ma
èel
astic
o e
com
pren
sivo
non
si s
pave
nta
di fr
onte
alle
man
ifest
azio
ni
aggr
essi
veco
mpr
ende
e c
apis
ce i
raga
zzi p
erch
évi
ssut
i pe
rson
ali s
imili
e/o
pass
ione
per
giu
stiz
ia e
min
ori
in d
iffic
oltà
èac
cess
ibile
si s
a m
ette
re in
dis
cuss
ione
Inte
rven
to d
i qua
lità
se e
quip
e è
cost
ituita
da
figur
e ac
cess
ibili,
ela
stic
he, a
utor
evol
i, si
cure
di s
ée
com
pren
sive
“Edu
cato
re in
capa
ce”
non
sa m
ante
nere
il p
ropr
io ru
olo
(si
abba
ssa
ai li
velli
dei m
inor
i, en
tra in
sfid
a co
n lo
ro, s
i arra
bbia
faci
lmen
te…
)no
n sa
“ten
ere
test
a”al
le m
anife
staz
ioni
ag
gres
sive
e a
lle p
rovo
cazi
oni d
ei ra
gazz
iè
ingi
usto
per
chè
ha p
refe
renz
eè
nerv
oso
e ha
pau
ra
“edu
cato
re d
ebol
e”
èin
capa
ce a
nch’
esso
non
èdi
sint
eres
sato
e n
emm
eno
ostil
eè
affe
zion
ato
ai m
inor
im
a è
una
pers
ona
fragi
le, n
on c
e la
fa…
in q
uest
i due
cas
i l’in
terv
ento
di c
omun
itàvi
ene
cons
ider
ato
di b
assa
qua
lità…
ène
cess
ario
che
gl
i edu
cato
ri si
ano
dota
ti di
un
buon
live
llo d
i m
atur
azio
ne e
di a
dulti
tà, d
evon
o av
er
riela
bora
to e
ffica
cem
ente
la lo
ro s
toria
, dev
ono
esse
re p
erso
ne s
olid
e, d
eter
min
ate
ed
equi
libra
te
“buo
na c
omun
ità”
ordi
nata
, pul
ita, a
ccog
lient
edo
tata
di s
pazi
per
sona
lizza
bili
(la s
tanz
a,
l’arm
adio
, ecc
.)no
n c’
ètro
ppa
conf
usio
ne, s
i può
sta
re
tranq
uilli
si p
uò a
cqui
star
e l’a
bbig
liam
ento
ne
cess
ario
e d
i pro
prio
gus
togl
i ogg
etti
di o
ccor
renz
a qu
otid
iana
son
o su
ffici
ente
e a
degu
ati
“com
unità
non
adeg
uata
”no
n cu
ra g
li am
bien
ti, è
trasc
urat
asi
man
gia
mal
e, n
on c
’ècu
ra d
el c
ibo
c’è
caos
e c
onfli
ttual
itàco
stan
te tr
a ed
ucat
ori e
m
inor
iut
ilizz
a po
che
risor
se e
cono
mic
he p
er fa
r fro
nte
alle
rich
iest
e de
i rag
azzi
Per
tant
oL’
inte
rven
to d
i com
unità
sarà
di q
ualit
àse
gli
spaz
i e
i tem
pi d
el q
uotid
iano
ven
gono
cur
ati e
or
gani
zzat
i sec
ondo
i bi
sogn
i per
sona
li de
i m
inor
i e n
on s
econ
do lo
gich
e di
bila
ncio
ec
onom
ico
e di
indi
ffere
nza
rispe
tto a
ll’or
dine
e
alla
pul
izia
del
le c
ose
e de
gli s
pazi
RIS
ULT
ATI
(2):
App
rofo
ndim
ento
del
l’ana
lisi d
ei d
ati c
on A
lces
te:
mod
i di s
imbo
lizza
re la
com
unità
per m
inor
i da
parte
dei
raga
zzi e
x os
piti
18,8
0%
32,0
6%
22,0
8%
12,1
6%
24,9
2%
0,00
%
5,00
%
10,0
0%
15,0
0%
20,0
0%
25,0
0%
30,0
0%
35,0
0%
la c
omui
tà c
ome
risc
hio
il qu
otid
iano
istr
uttiv
ore
gola
zion
e/re
gola
rità
il fa
ttor
e ps
icol
ogic
ola
fatic
a de
i vis
suti
fam
iliar
i
“la c
omun
itàco
me
risch
io”
(val
utaz
ione
del
la c
omun
itàin
bas
e al
per
icol
o ch
e ra
ppre
sent
a):
elem
enti
com
e l’a
ssen
za d
i sic
urez
za e
co
ntro
llode
gli e
duca
tori
vers
o le
azi
oni
dist
rutti
ve, o
ffens
ive
e pr
evar
icat
rici
(pre
ssio
ni, o
ffese
, cat
ena)
dei
raga
zzi p
iùgr
andi
e/o
agg
ress
ivi n
ei c
onfro
nti d
ei p
iùpi
ccol
i e/o
app
ena
arriv
ati(
nem
ico,
sche
rni,
agne
llino
, lup
o), s
imbo
lizza
no la
co
mun
itàco
me
fatto
re d
i ris
chio
…as
senz
adi
pro
tezi
one
Qui
ndi
se la
com
unità
deve
ess
ere
“pro
tetti
va”
occo
rre “p
rote
gger
e”i p
iùvu
lner
abili
dalle
ag
gres
sion
i e d
agli
atta
cchi
altr
ui“s
e no
n ve
ngo
prot
etto
èpe
rché
non
me
lo
mer
ito, q
uest
o vu
ol d
ire c
he a
llora
ève
ram
ente
col
pa m
ia s
e so
no q
ui p
erta
nto
non
mi m
erito
il ri
spet
to d
egli
altri
”D
ISIS
TIM
A, M
AN
TEN
IME
NTO
SE
NS
O D
I C
OLP
A:
ES
ITO
NE
GA
TIV
O
““ la c
omun
itla
com
unit àà
com
e ris
chio
com
e ris
chio
””
“il q
uotid
iano
istru
ttivo
”(va
luta
zion
e de
lla
com
unità
rifer
ita a
lla d
imen
sion
e fu
nzio
nale
/resi
denz
iale
):
Cap
acità
della
com
unità
di p
repa
rare
gli
ospi
ti al
la v
ita fu
tura
“aut
onom
a”at
trave
rso
la re
gola
rità
e la
funz
iona
lità
delle
rout
ine
della
vita
quo
tidia
na (s
pesa
, lav
are,
ord
ine
cam
era)
“il q
uotid
iano
istru
ttivo
”
quin
dico
mun
itàco
me
“pal
estra
”per
la v
ita fu
tura
“son
o in
gra
do d
i arr
angi
arm
i da
solo
, la
com
unità
mi h
a re
so c
onsa
pevo
le d
elle
mie
cap
acità
di
gest
ione
di m
e st
esso
e d
ella
cas
a, s
ono
in
grad
o di
pad
rone
ggia
re il
quo
tidia
no”
SE
NS
O D
I SIC
UR
EZZ
A E
DI E
FFIC
AC
IA
PE
RS
ON
ALE
, AU
ME
NTO
DE
LL’A
UTO
STI
MA
: E
SIT
O P
OS
ITIV
O
“reg
olaz
ione
/rego
larit
à”(v
alut
azio
ne d
ella
com
unità
in b
ase
al c
lima
posi
tivo
che
gara
ntis
ce
rego
lare
svo
lgim
ento
del
le ro
utin
e qu
otid
iane
):
clim
a re
lazi
onal
e e
quot
idia
no c
aotic
o,di
sord
inat
o e
conf
littu
ale
(cao
s, ru
mor
e,
diso
rdin
e, li
tigar
e)vs
paci
fico,
ser
eno
e or
dina
to (t
ranq
uilli
tà,
pace
, reg
olar
e, n
o di
sord
ine)
“reg
olaz
ione
/rego
larit
à”
quin
diil
min
ore
deve
pot
er c
onta
re s
u un
a co
mun
itàin
cu
i si c
rean
o le
con
dizi
oni p
er fa
vorir
e un
clim
a m
ite e
ord
inat
o“s
e an
che
qui,
com
e a
casa
mia
, c’è
sem
pre
conf
usio
ne, c
aos
e lit
igi a
llora
vuo
l dire
che
il
mon
do è
fatto
cos
ì, pe
rché
allo
ra n
on m
i fan
no
torn
are
a ca
sa?”
CO
NFE
RM
A C
HE
LO
SP
AZI
O C
IRC
OS
TAN
TE É
OS
TILE
E ID
EA
CH
E N
ON
SI P
OS
SA
US
CIR
E
DA
TA
LE O
STI
LITÁ
’:E
SIT
O N
EG
ATI
VO
“il fa
ttore
psi
colo
gico
”(va
luta
zion
e de
lla c
omun
itàsu
lla b
ase
della
ca
paci
tàde
gli e
duca
tori
di e
sser
e em
patic
i, se
nsib
ili e
com
pete
nti):
nece
ssità
di p
oter
con
tare
su
educ
ator
i at
tent
i e s
ensi
bili,
cap
aci d
i cog
liere
i bi
sogn
i affe
ttivi
/em
otiv
i dei
min
ori e
di
pors
i com
e ba
se s
icur
a at
trave
rso
cui e
ssi
poss
ano
fidar
si e
sen
tirsi
libe
ri di
rifle
ttere
su
di s
é, s
ulla
pro
pria
sto
ria e
sui
pro
pri
viss
uti f
amilia
ri(r
iflet
tere
, pen
sare
) edi
com
unic
are
(riv
elar
si, a
prirs
i, es
prim
ere)
i vi
ssut
i per
sona
li in
funz
ione
di u
na
riela
bora
zion
e rip
arat
iva
Qui
ndi
pres
enza
di a
dulti
sig
nific
ativ
i e re
spon
sivi
“gli
educ
ator
i mi c
apis
cono
e q
uest
o m
i dà
la
poss
ibili
tàdi
pen
sare
a m
e st
esso
e a
lla m
ia
stor
ia, d
i pot
er p
arla
re c
on lo
ro e
rius
cire
a
capi
re ta
nte
cose
che
altr
imen
ti m
i fan
no
prov
are
rabb
ia, r
anco
re e
insi
cure
zza”
CO
NS
AP
EV
OLE
ZZA
DE
LLA
PR
OP
RIA
STO
RIA
P
ER
SO
NA
LE E
SE
NTI
ME
NTO
DI F
IDU
CIA
N
ELL
’ALT
RO
SIG
NIF
ICA
TIV
O C
ON
C
ON
SE
GU
EN
TE A
UM
EN
TO D
I SIC
UR
EZZ
A D
I S
É’:
ES
ITO
PO
SIT
IVO
““ il fa
ttore
psi
colo
gico
il fa
ttore
psi
colo
gico
””
“il fa
ttore
psi
colo
gico
”
VS
“nes
suno
mi a
scol
ta, n
essu
nom
i cap
isce
, so
nom
olto
con
fuso
e ar
rabb
iato
: deg
liad
ulti
non
cisi
può
fidar
e, m
eglio
tene
rsil
e pr
oprie
cose
per s
è”A
CC
UM
ULO
DI F
RU
STR
AZI
ON
E E
R
AB
BIA
E R
ICO
NFE
RM
A D
I MO
DE
LLI D
I A
DU
LTO
OS
TILE
E IN
AFF
IDA
BIL
E:
ES
ITO
NE
GA
TIV
O
“la fa
tica
dei v
issu
ti fa
mili
ari”
(val
utaz
ione
del
la
com
unità
in ri
ferim
ento
al r
appo
rto c
on la
fam
iglia
d’
orig
ine)
:
capa
cità
della
com
unità
di p
orsi
com
e m
edia
trice
nei
con
front
i dei
vis
suti
e de
i ra
ppor
ti co
n la
fam
iglia
d’o
rigin
e de
i min
ori
(med
iare
, pro
tezi
one,
par
lare
ai g
enito
ri)
“la fa
tica
dei v
issu
ti fa
mili
ari” quin
diE
duca
tori
che
entra
no in
rela
zion
e di
retta
con
la fa
mig
lia,
sost
engo
no il
min
ore
nelle
con
flittu
alità
e of
frono
alla
st
essa
stru
men
ti pe
r un
mag
gior
ben
esse
re e
ser
enità
rela
zion
ali
“gli
educ
ator
i han
no c
onos
ciut
o la
mia
fam
iglia
, han
no d
ato
dei b
uoni
con
sigl
i, ha
nno
aiut
ato
me
a ca
pire
cos
a st
ava
succ
eden
do c
on e
tra
i mie
i gen
itori
quin
di s
to m
eglio
co
n m
e st
esso
e c
on lo
ro”
CU
RA
DE
LLE
RE
LAZI
ON
I E D
EI V
ISS
UTI
FA
MIL
IAR
I:E
SIT
O P
OS
ITIV
O
vs“g
li ed
ucat
ori n
on m
i las
ciav
ano
parla
re c
on i
mie
i ge
nito
ri, n
on s
i son
o m
ai in
tere
ssat
i a lo
ro, i
o vo
glio
ben
e ai
mie
i gen
itori
e no
n co
ndiv
ido
le
opin
ioni
deg
li ed
ucat
ori s
u di
loro
qui
ndi h
anno
ra
gion
e ad
opp
orsi
al f
atto
che
son
o in
com
unità
; la
com
unità
sbag
lia tu
tto, n
on fu
nzio
na! S
to
meg
lio a
cas
a m
ia, a
nche
se
mia
mad
re s
i dro
ga
e m
io p
adre
non
c’è
mai
!”M
AN
CA
TA R
IELA
BO
RA
ZIO
NE
DE
LLA
PR
OP
RIA
S
TOR
IA E
RIC
ON
FER
MA
DI M
OD
ELL
I DI
AD
ULT
O IN
AFF
IDA
BIL
E:
ES
ITO
NE
GA
TIV
O
conc
lusi
oni
La fu
nzio
ne d
i pro
tezi
one
della
com
unità
vien
e fo
rtem
ente
inte
rcon
ness
a al
la c
apac
itàem
patic
a, d
i com
pren
sion
e, s
oste
gno
e ra
ssic
uraz
ione
svo
lta d
agli
educ
ator
i
All’
oppo
sto
il ris
chio
della
com
unità
èsi
mbo
lizza
to c
ome
stre
ttam
ente
ass
ocia
to a
lla
solit
udin
e in
cui
gli
educ
ator
i inc
apac
i e n
on
inte
ress
ati l
asci
ano
i rag
azzi
più
picc
oli e
indi
fesi
in
bal
ia d
i pro
cess
i di v
ittim
izza
zion
e e
di
viol
enza
da
parte
dei
più
gran
di
conc
lusi
oni
La fu
nzio
ne d
ella
com
unità
èqu
indi
anc
orat
a a
mod
elli
rela
zion
ali c
he ri
cono
scon
o la
cen
tralit
àde
l min
ore
e de
i suo
i bis
ogni
. Ciò
esp
rime
che
la
qual
itàde
ll’in
terv
ento
der
iva
da u
n or
ient
amen
tore
lazi
onal
ech
e rim
anda
all’
imm
agin
e di
un
min
ore
rievo
cato
nel
suo
bis
ogno
prim
ario
di
accu
dim
ento
in u
n am
bien
te o
rdin
ato
e pi
acev
ole.
perta
nto
l’opi
nion
e de
i gio
vani
adu
lti d
imes
si è
in a
ccor
do
con
il co
stru
tto d
i com
unità
com
e “a
mbi
ente
te
rape
utic
o gl
obal
e”
PE
R R
IAS
SU
ME
RE
INTE
RV
EN
TO D
I QU
ALI
TÁC
HE
CO
ND
UC
E A
D U
N
ES
ITO
PO
SIT
IVO
PU
ÓD
ER
IVA
RE
DA
ALC
UN
E
CA
RA
TTE
RIS
TIC
HE
PA
RTI
CO
LAR
I:D
ell’e
duca
tore
: buo
ned
ucat
ore
vsed
ucat
ore
debo
le/in
capa
ceD
ella
com
unità
: buo
naco
mun
itàvs
com
unità
non
adeg
uata
Del
lere
lazi
onii
nter
pers
onal
i: si
gnifi
cativ
e, s
uppo
rtive
e
ripar
ativ
evs
asse
nti,
pove
re, o
stili
Del
rapp
orto
con
la fa
mig
liad’
orig
ine:
con
divi
sion
e,
colla
bora
zion
e, m
edia
zion
evs
escl
usio
ne, g
iudi
zio,
st
igm
atiz
zazi
one
impl
icaz
ioni
Qua
li ca
mbi
amen
ti e
qual
i dim
ensi
oni
poss
ono
esse
re im
plem
enta
ti pe
r svi
lupp
are
la ri
duzi
one
di q
uest
i SC
AR
TI?
RIC
ERC
A-
Pro
muo
vere
tali
perc
orsi
in a
ltri t
errit
ori e
in
mod
o si
stem
atic
o: d
are
voce
ai r
agaz
zi!!!
-V
alid
are
i ris
ulta
ti-
Def
inire
par
amet
ri di
inte
rven
to e
di r
elaz
ione
ed
ucat
iva
cond
ivis
i ed
effic
aci n
ella
dire
zion
e di
un
appr
occi
o re
lazi
onal
e
impl
icaz
ioni
POLI
TIC
A-
Ren
dere
i pa
ram
etri
norm
e di
legg
e-
Intro
durre
nel
la re
te il
“gar
ante
del
la q
ualit
à”(o
su
perv
isor
e di
pro
cess
o)
CO
MU
NIT
ÁR
ESID
ENZI
ALE
. Rid
urre
l’im
patto
dei
fatto
ri di
“ris
chio
”. P
rom
uove
re u
na c
ultu
ra re
lazi
onal
e . E
ffettu
are
perc
orsi
cos
tant
i e s
iste
mat
ici d
i for
maz
ione
e
supe
rvis
ione
con
pro
fess
ioni
sti d
el s
etto
re. I
ndag
are
il pr
oprio
“MO
DE
LLO
CU
LTU
RA
LE D
I C
OM
UN
ITÀ
”
MO
DE
LLO
CU
LTU
RA
LE D
I CO
MU
NIT
À
Per
mod
ello
cul
tura
le d
i co
mun
itàin
tend
iam
o qu
ei s
iste
mi d
i rap
pres
enta
zion
i attr
aver
so c
ui g
li in
divi
dui
conc
epis
cono
em
otiv
amen
te e
fan
no
espe
rienz
a de
l pr
oprio
m
ondo
re
lazi
onal
e e
com
e ad
es
si
sian
o an
cora
te
le
prat
iche
ed
ucat
ive,
gl
i in
terv
enti
e gl
i ag
iti
rela
zion
ali
all’i
nter
no d
el s
ettin
gdi
com
unità
PR
INC
IPA
LI M
OD
ELL
I RIL
EV
ATI
MO
DEL
LOIS
TITU
ZIO
NA
LE/IS
TITU
ZIO
NA
LIZZ
AN
TE MO
NO
TON
IA
OM
OG
EN
EIT
À
ETE
RO
DIR
EZI
ON
E
PR
OC
ES
SI C
OM
UN
ICAT
IVI P
RE
VA
LEN
TEM
EN
TEC
EN
TRAT
I SU
L C
ON
FLIT
TO D
I PO
TER
E
RA
PP
OR
TI IN
TER
GR
UP
PA
LI
PA
RC
ELL
IZZA
ZIO
NE
MO
DEL
LO R
ELA
ZIO
NA
LEC
omun
itàco
me
“am
bien
te te
rape
utic
o gl
obal
e”
AD
ATT
AM
ENTO
“R
OVE
SCIA
TO”
ELA
STIC
ITÀ
OR
GA
NIZ
ZATI
VA
VITA
QU
OTI
DIA
NA
ST
RU
TTU
RA
NTE
AD
ULT
I SIG
NIF
ICA
TIVI
FUN
ZIO
NE
PRO
TETT
IVA
LA R
ICER
CA
-INTE
RVE
NTO
:C
ON
TEST
O A
NA
LIZZ
ATO
Com
unità
dell’
Em
ilia
Rom
agna
pro
veni
ente
da
un p
assa
to is
tituz
iona
le
che
circ
a ci
nque
ann
i fa
ha s
ubito
una
tra
sfor
maz
ione
in s
egui
to
all’a
degu
amen
to a
i pa
ram
etri
stru
ttura
li de
lla
legi
slaz
ione
vig
ente
.E
rano
osp
itati
7 m
inor
i di
sess
o m
asch
ile d
i età
com
pres
a fra
i 13
ed
i 18
anni
.
PE
RS
ON
ALE
:8
educ
ator
i di e
ntra
mbi
i se
ssi
un c
oord
inat
ore
un s
uper
viso
reun
’aus
iliar
ia a
ddet
ta a
cu
cina
/pul
izie
una
volo
ntar
ia d
el S
ervi
zio
Civ
ile
MET
OD
OLO
GIA
OS
SE
RV
AZI
ON
E P
AR
TEC
IPA
NTE
: del
le ro
utin
e qu
otid
iane
e ri
unio
ni d
’equ
ipe
e di
sup
ervi
sion
e du
rant
eun
per
iodo
di 6
mes
i con
app
unti
carta
e m
atita
INTE
RV
ISTA
SE
MI-S
TRU
TTU
RA
TA A
FIG
UR
E
PR
IVIL
EG
IATE
(Coo
rdin
ator
e e
tre e
duca
tori)
AN
ALI
SI T
RA
SC
RIZ
ION
I SP
ON
TAN
EE
DI:
diar
io g
iorn
alie
ro d
elle
con
segn
e, re
lazi
oni d
el T
ribun
ale
dei M
inor
i, ve
rbal
i di i
ncon
tro tr
a S
ervi
zi S
ocia
li e
com
unità
, ver
bali
delle
riun
ioni
d’e
quip
e
RIS
ULT
ATI
ELEM
ENTI
ISTI
TUZI
ON
ALI
/ISTI
TUZI
ON
ALI
ZZA
NTI
RIL
EVA
TI
CO
MU
NIC
AZI
ON
E IN
TER
PER
SON
ALE
C
ON
AN
CO
RA
GG
IO A
L R
UO
LO
INTE
RVE
NTI
ED
UC
ATI
VI P
REV
ALE
NTE
MEN
TE
CEN
TRA
TI S
UL
SIST
EMA
REG
OLE
/PU
NIZ
ION
I
CO
NTR
APP
OSI
ZIO
NE
TRA
GR
UPP
I
MIN
AC
CIA
:“ho
per
so la
paz
ienz
a e
gli h
o de
tto d
i and
arse
ne a
letto
sen
nò c
i sar
ebbe
rost
ate
delle
con
segu
enze
gra
vi p
er la
sua
situ
azio
ne, g
iàdi
per
sé
delic
ata”
RIC
ATT
O:“
gli h
o de
tto c
he s
e no
n la
fini
va n
on
gli a
vrei
con
cess
o di
gio
care
alla
pla
ysta
tion”
ESC
ALAT
ION
DEL
TO
NO
DEL
LA V
OC
E:“g
li ho
cac
ciat
o un
urlo
e s
i èm
esso
sub
ito b
uono
”
“l’un
ica
rego
la è
asco
ltare
ciò
che
dic
e l’e
duca
tore
pre
sent
e”
“tu fa
i cos
ìper
ché
te lo
dic
o io
!”
“se
tra i
due
c’è
qual
cuno
che
può
dire
qua
lcos
a,qu
el q
ualc
uno
sono
io”
“se
ogni
tant
o ci
son
o de
lle e
ccez
ioni
e p
erch
élo
dec
idia
mo
noi”
“se
tirat
e a
cem
ento
iniz
iam
o ve
ram
ente
a ti
rare
la c
ingh
iae
chi c
i rim
ette
sie
te v
oi”
“voi
non
pot
ete
deci
dere
nie
nte
perc
hése
noi
vog
liam
ofa
ccia
mo
un g
ran
casi
no e
non
dor
me
più
ness
uno
fino
a do
man
i”
CO
NSI
DER
AZI
ON
I DIN
AM
ICH
E
VA
NTA
GG
I A B
RE
VE
TE
RM
INE
PE
R
L’E
DU
CA
TOR
E
“Raf
fredd
amen
to”d
elle
em
ozio
ni d
esta
biliz
zant
i po
rtate
dal
min
ore
Rid
uzio
ne d
ella
dur
ata
dell’
inte
razi
one
con
min
or
disp
endi
o di
ene
rgie
Con
ferm
a de
l pro
prio
po
tere
CO
NS
EG
UE
NZE
SU
L M
ED
IO/L
UN
GO
PE
RIO
DO
PE
R I
MIN
OR
I
Man
cato
rico
nosc
imen
to d
ei
loro
bis
ogni
real
iA
ccum
ulo
di fr
ustra
zion
e e
aggr
essi
vità
Inte
rioriz
zazi
one
e/o
ricon
ferm
a di
mod
elli
di a
dulto
in
affid
abile
, ost
ile, v
iole
nto
FAS
I DE
LL’IN
TER
VE
NTO
Res
tituz
ione
all’e
quip
e ed
ucat
iva
delle
trac
ce
istit
uzio
nali/
istit
uzio
naliz
zant
i rile
vate
App
rofo
ndim
ento
e d
iscu
ssio
ne d
elle
tem
atic
he e
mer
se
proc
essi
che
han
no fa
vorit
oco
nosc
enza
, com
pren
sion
e e
cond
ivis
ione
del
le
rapp
rese
ntaz
ioni
pre
vale
nti e
sist
enti
valu
tazi
one
della
pos
sibi
le m
odifi
cabi
lità/
riduz
ione
del
le
dim
ensi
oni i
stitu
zion
ali/i
stitu
zion
aliz
zant
i
prom
ozio
ne d
i un
setti
ngad
orie
ntam
ento
rela
zion
ale
ovve
ro d
i un
“am
bien
te te
rape
utic
o gl
obal
e”
GR
IGLI
A D
I RIF
ER
IME
NTO
DE
L P
ER
CO
RS
O F
OR
MA
TIV
O
AM
BIE
NTE
TE
RA
PE
UTI
CO
GLO
BA
LE
DIF
FER
ENZI
AZI
ON
E E
PER
SON
ALI
ZZA
ZIO
NE
DEG
LI S
PAZI
E E
DEI
TEM
PI D
ELLA
VIT
A Q
UO
TID
IAN
A
CO
STR
UZI
ON
E C
ON
DIV
ISA
DE
LLE
R
OU
TIN
E E
DE
LLE
RE
GO
LE Q
UO
TID
IAN
E
RE
LAZI
ON
I IN
TER
PE
RS
ON
ALI
SIG
NIF
ICA
TIV
E
“la re
gola
non
èug
uale
per
tutti
!”
“la p
rogr
amm
azio
ne d
elle
col
labo
razi
oni n
ella
pre
para
zion
e de
i pas
ti e
nello
svol
gim
ento
del
le m
ansi
oni d
ella
cas
a vi
ene
fatta
ass
iem
e ai
min
ori
e ne
l ris
petto
dei
bis
ogni
, dei
gus
ti e
delle
nec
essi
tàpe
rson
ali”
un s
uppo
rto c
osta
nte
di a
dulti
cap
aci d
i avv
iare
pro
cess
i di i
nter
azio
ne
sign
ifica
tivì,
cost
anti
e st
ruttu
rant
i: sv
ilupp
o di
rela
zion
i int
erpe
rson
ali s
into
nich
e at
trave
rso
un d
ialo
go c
apac
e di
forn
ire ri
spos
te a
uten
tiche
, em
patic
he e
con
tinge
nti
La ri
cerc
a-in
terv
ento
ha
perm
esso
cos
ìdi c
ondu
rre il
gru
ppo
educ
ativ
o ad
acq
uisi
re u
n m
odel
lo d
i int
erve
nto
coi m
inor
i di m
atric
e re
lazi
onal
e ne
ll’otti
ca d
ella
cos
truzi
one
di u
n
ambi
ente
tera
peut
ico
glob
ale
RIC
ERC
A-IN
TER
VEN
TO c
ome
proc
esso
di F
OR
MA
ZIO
NE
per g
li ed
ucat
orie
com
e st
rum
ento
per
la c
ompr
ensi
one
e rid
uzio
ne
dei F
ATT
OR
I DI R
ISC
HIO
“IL M
IO A
MB
IEN
TE T
ER
AP
EU
TIC
O G
LOB
ALE
”
“se
parlo
di m
e e
sent
o ch
e tu
mi c
apis
ci e
mi a
iuti
a da
re u
n se
nso
alle
m
ie p
arol
e al
lora
, pia
no p
iano
, mi a
ccor
go c
he d
i te
mi p
osso
fida
re,
che
in te
pos
so tr
ovar
e lo
spa
zio
per s
foga
rmi e
per
rior
dina
re i
mie
i se
ntim
enti,
i m
iei a
ffetti
; il p
osto
in c
ui m
i tro
vo è
ordi
nato
, pul
ito,
acco
glie
nte,
rico
nosc
ibile
, per
sona
lizza
bile
e, p
erta
nto,
pr
eved
ibile
…se
nto
che
la m
ia ra
bbia
e la
mia
frus
trazi
one
poss
ono
esse
re c
onte
nute
e c
iò p
uò o
ffrirm
i lo
spaz
io p
er p
ensa
rmi
dive
rsam
ente
, per
cam
biar
e, p
er a
vere
un’
imm
agin
e de
lla re
lazi
one
con
l’altr
o po
sitiv
a e
cost
rutti
va…
inqu
esto
mod
o po
sso
limita
re la
ca
tena
di r
eazi
oni n
egat
ive
cons
egue
nti a
i tra
umi e
alle
situ
azio
ni d
i st
ress
e d
isag
io d
alle
qua
li so
no v
enut
o…in
ques
to m
odo
poss
o pe
rturb
are
e m
odifi
care
le m
ie in
sicu
rezz
e, il
mio
atta
ccam
ento
di
sfun
zion
ale:
mi s
ento
più
sicu
ro d
i me,
più
mer
itevo
le d
i am
ore
e di
af
fetto
. Pos
so fa
rcel
a, c
’èqu
alcu
no a
l mon
do d
i cui
mi p
osso
ve
ram
ente
fida
re!”
QU
ES
TA E
’LA
CU
RA
!Q
UE
STA
E’L
A Q
UA
LITÁ
DE
LL’IN
TER
VE
NTO
DI C
OM
UN
ITA
’!
Intro
duzi
one
La c
omun
itàpe
r min
ori c
ome
“am
bien
te te
rape
utic
o gl
obal
e”ne
cess
ita d
i un
o sp
azio
fisi
co, a
ffetti
vo e
men
tale
dep
utat
o al
l’acc
oglie
nza/
rest
ituzi
one/
inte
rpre
tazi
one
dei v
issu
ti d
egli
educ
ator
i, re
si
salie
nti d
all’in
tera
zion
e qu
otid
iana
con
bam
bini
e a
dole
scen
ti pr
ofon
dam
ente
ferit
i da
rela
zion
i prim
arie
dis
funz
iona
li, c
aren
ti e
spes
so
mal
tratta
nti.
Nel
lo s
tess
o te
mpo
la c
omun
itàpe
r min
ori p
erch
épo
ssa
gara
ntire
un
ambi
ente
quo
tidia
no re
lazi
onal
e ac
cogl
ient
e e
rivol
to a
lla re
ale
com
pren
sion
e de
lla ri
chie
sta
di a
iuto
rivo
lta d
ai s
uoi p
icco
li os
piti
richi
ede
uno
spaz
io fi
sico
, affe
ttivo
e m
enta
le d
ove
gli e
duca
tori
poss
ano
esse
re
aiut
ati a
non
col
lude
re c
on le
din
amic
he a
ttive
nel
le in
tera
zion
i con
i m
inor
i,con
i co
llegh
i e c
on le
istit
uzio
ni d
i app
arte
nenz
a e
invi
anti,
ess
endo
co
stan
tem
ente
sos
tenu
ti ne
l man
tene
re u
na d
ispo
nibi
lità
all’a
uten
tica
acco
glie
nza
dell’a
ltro
alla
luce
di u
n co
stan
te c
entra
ggio
su
un e
sam
e di
re
altà
della
rich
iest
a di
aiu
to, d
i cui
l’al
tro è
porta
tore
, il p
iùpo
ssib
ile in
tegr
a da
con
suet
e e
inev
itabi
li di
nam
iche
pro
ietti
ve e
spo
stam
enti
rela
zion
ali.
Con
test
o te
oric
o
orie
ntam
ento
rela
zion
ale
com
e ris
ulta
to d
ella
co
stan
te in
tegr
azio
ne tr
a is
tanz
e/ric
hies
te/b
isog
ni re
lazi
onal
i e ri
spos
te
orga
nizz
ativ
e ch
e no
n po
sson
o ch
e co
nfig
urar
si c
ome
appa
rtene
nti a
lla s
tess
a m
atric
e re
lazi
onal
e.
AM
BIT
I DI I
NTE
RV
EN
TO D
ELL
A
SU
PE
RV
ISIO
NE
a)S
ettin
ges
tern
o1.
real
izza
zion
e e
mon
itora
ggio
sul
la c
ostru
zion
e e
sul
man
teni
men
to d
ell’a
mbi
ente
tera
peut
ico
glob
ale
con
la c
entra
tura
sul
le re
lazi
oni r
eali
che
si a
ttiva
no
in c
omun
ità;
b) S
ettin
gin
tern
o1.
prom
ozio
ne e
sta
biliz
zazi
one
di u
na c
ultu
ra
dell’
orga
nizz
azio
ne c
entra
ta s
u un
’impo
staz
ione
re
lazi
onal
e fin
aliz
zata
all’
acco
glie
nza.
2.
Effe
ttuaz
ione
di u
n’an
alis
i del
la d
oman
da c
he
prov
iene
dal
l’altr
o: is
tituz
ione
invi
ante
, com
unità
, m
inor
e , f
amig
lia) s
enza
col
lude
re c
on la
dom
anda
is
tituz
iona
le;
AM
BIT
I DI I
NTE
RV
EN
TO D
ELL
A
SU
PE
RV
ISIO
NE
3.pr
oget
tazi
one
di u
n in
terv
ento
sul
min
ore
a pa
rtire
dal
la
capa
cità
di in
stau
rare
un’
alle
anza
em
otiv
a co
n lo
st
esso
;4.
rest
ituzi
one
del d
ato
di re
altà
in d
isco
ntin
uità
con
alcu
ni
ster
eotip
i cul
tura
li do
min
anti
(es.
mad
re c
omun
que
buon
a, g
enito
ri co
mun
que
mig
liori
dei n
on g
enito
ri,
segr
eti e
com
plic
itàet
c);
5. ri
cono
scim
ento
e re
stitu
zion
e a
gli e
duca
tori
degl
i el
emen
ti di
con
sape
vole
zza
su q
uali
sist
emi d
i al
lean
za s
ono
attiv
i nel
le in
tera
zion
i edu
cativ
e e
qual
i te
mi n
arra
tivi p
reva
lent
i fan
no d
a sc
enar
io a
lle
rela
zion
i in
com
unità
.
A)
Set
ting
este
rno:
L’am
bien
te te
rape
utic
o qu
otid
iano
Nel
l’am
bien
te t
erap
eutic
o tu
tte l
e in
tera
zion
i op
erat
ori-
min
ori
si
prop
ongo
no
di
assu
mer
e si
gnifi
cativ
itàe
rilev
anza
rela
zion
ale
svol
gend
o un
a fu
nzio
ne s
truttu
rant
e e
prot
ettiv
a pe
r il m
inor
e (s
caffo
ldin
g, h
oldi
ng)
Un
ambi
ente
te
rape
utic
o è
orie
ntat
o a
ricos
truire
le
di
men
sion
i por
tant
i del
la v
ita q
uotid
iana
(sp
azi e
tem
pi)
stru
ttura
ndo
rout
ine,
ritu
ali e
mod
alità
di c
onvi
venz
a da
in
tend
ersi
com
e lu
oghi
sim
bolic
i pe
r la
con
divi
sion
e di
si
gnifi
cati
da a
ttrib
uire
alle
azi
oni c
ontin
gent
i e re
cipr
oche
B)S
ettin
gin
tern
o:
Din
amic
he c
onfli
ttual
i atti
ve
nell’
inte
razi
one
supe
rvis
ore/
educ
ator
iIl
proc
esso
di n
on c
ollu
sion
e co
n i v
issu
ti de
gli o
pera
tori
attiv
a di
nam
iche
con
flittu
ali n
el ra
ppor
to e
duca
tore
-sup
ervi
sore
per
ché
la
supe
rvis
ione
pro
pone
/impo
ne u
n’us
cita
dal
la c
ollu
sion
e de
l “no
n ve
dere
l’al
tro”(
il m
inor
e) e
qui
ndi u
n ric
hiam
o al
la re
spon
sabi
lità
educ
ativ
a e
all’i
mpe
gno
nell’
alle
anza
em
otiv
a co
n l’a
ltro
e al
l’ass
unzi
one
di u
na p
rosp
ettiv
a pr
oces
sual
e ch
e a
parti
re d
alla
co
ntin
genz
a re
lazi
onal
e in
atto
sia
in g
rado
di c
rear
e di
scon
tinui
tàco
n le
stru
tture
e i
mod
elli
rela
zion
ali d
isfu
nzio
nali
inte
rioriz
zati
dall’
altro
(mod
elli
oper
ativ
i int
erni
del
l’atta
ccam
ento
) e c
he v
anno
ric
onos
ciut
i, ac
colti
e tr
asfo
rmat
i;
Pren
ders
i cur
a ne
lla
conf
littu
alità
La re
aliz
zazi
one
di q
uest
o pr
oces
so im
plic
a la
cap
acità
di
riusc
ire c
omun
que
ad a
ttiva
re u
na d
imen
sion
e di
“cur
a”riv
olta
all’
educ
ator
e rin
unci
ando
alla
col
lusi
one
con
i suo
i vi
ssut
i (pr
oprio
per
evi
tare
il ri
schi
o de
lla c
ollu
sion
e si
rim
anda
al n
eces
sario
con
test
o fo
rmat
ivo
cont
inge
nte)
e
ripor
tand
o su
lla s
cena
prin
cipa
le l’
altro
, la
sua
richi
esta
, i
suoi
bis
ogni
, la
prog
ettu
alità
che
va p
erse
guita
per
ef
fettu
are
un c
orre
tto in
terv
ento
di a
iuto
Sis
tem
idi a
llean
zaL’
alle
anza
di
lavo
ro c
on l
’équ
ipe
educ
ativ
a è
la r
isul
tant
e di
un
proc
esso
di r
estit
uzio
ne a
ll’ed
ucat
ore
delle
din
amic
he c
onfli
ttual
i res
e at
tive
nella
din
amic
a su
perv
isor
e/ed
ucat
ore
dove
il
supe
rvis
ore
si
rend
e po
rtavo
ce
delle
is
tanz
e de
l ba
mbi
no
real
e e
in
ques
to
proc
esso
impo
ne a
ttenz
ione
e c
ompr
ensi
one
da p
arte
del
l’edu
cato
re
per
i bi
sogn
i de
l ba
mbi
no r
eale
ma
l’edu
cato
re s
i so
ttrae
a q
uest
e ric
hies
te p
rete
nden
do a
sua
vol
ta a
scol
to e
atte
nzio
ne d
a pa
rte d
el
supe
rvis
ore
per
il su
o sé
bam
bino
che
em
erge
con
flittu
alm
ente
nelle
in
tera
zion
i co
n il
supe
rvis
ore
e ne
lle
inte
razi
oni
con
i ba
mbi
ni/a
dole
scen
ti re
ali.
Un’
alle
anza
di l
avor
o eq
uilib
rata
(ho
ldin
g e
rest
ituzi
one
dei p
roce
ssi
in a
tto a
ll’ed
ucat
ore)
èil
risul
tato
di u
n eq
uilib
rio tr
a fu
nzio
ne d
i cur
a riv
olta
all’
educ
ator
e (a
ccog
lienz
a e
ricon
osci
men
to d
elle
con
flittu
alità
in a
tto)
e ric
onos
cim
ento
dei
bis
ogni
del
bam
bino
/ado
lesc
ente
in
com
unità
.
Sis
tem
i di a
llean
ze d
isfu
nzio
nali
supe
rvis
ore/
educ
ator
i
Se
tale
in
tegr
azio
ne
èas
sent
e o
non
real
izza
ta
le
mod
alità
inte
ratti
ve e
i c
onse
guen
ti ag
iti p
ongo
no i
l su
perv
isor
e
nella
co
ndiz
ione
di
“c
onte
nito
re”
delle
pr
oiez
ioni
de
i co
nflit
ti no
n ris
olti
da
parte
de
gli
educ
ator
i.
Alle
anza
non
equ
ilibr
ata
cent
rata
sul
ruo
lo (
alle
anza
pr
eval
ente
con
la d
imen
sion
e pr
ofes
sion
ale
e ra
zion
ale
dell’
inte
razi
one:
dis
tanz
iant
e da
gli a
ffetti
).
Ric
onos
cim
ento
dei
sis
tem
i di a
llean
za a
ttivi
tra
edu
cato
ri e
min
ori
ricon
osce
re e
rest
ituire
agl
i edu
cato
ri el
emen
ti di
con
sape
vole
zza
su q
uali
sist
emi d
i alle
anza
son
o at
tivi n
elle
in
tera
zion
i edu
cativ
e e
qual
i tem
i na
rrativ
i pre
vale
nti f
anno
da
scen
ario
alle
re
lazi
oni i
n co
mun
ità.
Sos
tene
re il
pro
cess
o co
rret
to d
i ana
lisi
della
dom
anda
effe
ttuar
e un
’ana
lisi d
ella
dom
anda
che
pr
ovie
ne d
all’a
ltro:
istit
uzio
ne in
vian
te,
com
unità
, min
ore
, fam
iglia
) sen
za
collu
dere
con
la d
oman
da is
tituz
iona
le.
Ric
onos
cim
ento
dei
mod
elli/
ster
eotip
i dom
inan
ti e
loro
des
truttu
razi
one
rest
ituzi
one
del d
ato
di re
altà
in
disc
ontin
uità
con
alcu
ni s
tere
otip
i cu
ltura
li do
min
anti
(es.
mad
re c
omun
que
buon
a, g
enito
ri co
mun
que
mig
liori
dei
non
geni
tori,
seg
reti
e co
mpl
icità
etc)
Sos
tene
re l’
inte
rven
to d
i cur
a su
l m
inor
e
Pro
getta
re u
n in
terv
ento
sul
min
ore
a pa
rtire
dal
la
capa
cità
di in
stau
rare
un’
alle
anza
em
otiv
a co
n lo
st
esso
.Im
para
re a
far r
icon
osce
re a
ll’ed
ucat
ore
le te
mat
iche
cr
ucia
li de
lla n
arra
tiva
rela
zion
ale
pers
onal
e de
l m
inor
e e
aiut
are
l’edu
cato
re a
sos
tene
re il
min
ore
Aiu
tare
l’ed
ucat
ore
a ga
rant
ire la
nec
essa
ria
rego
lazi
one
al b
ambi
ni n
el ri
spet
to d
ella
sua
età
e de
lle
sue
com
pete
nze
Sos
tene
re l’
inte
rven
to d
i cur
a su
l m
inor
eA
iuta
re l’
educ
ator
e a
gara
ntire
pr
otez
ione
Aiu
tare
l’ed
ucat
ore
a si
nton
izza
rsi a
ffetti
vam
ente
co
n le
rich
iest
e em
otiv
e de
l ba
mbi
no
Sos
tene
re l’
inte
rven
to d
i cur
a su
l m
inor
eA
iuta
re l’
educ
ator
e a
pre
vede
re il
ra
ggiu
ngim
ento
di t
appe
evo
lutiv
e de
l ba
mbi
no (f
unzi
one
pred
ittiv
a de
lla
funz
ione
gen
itoria
le a
nche
sim
bolic
a)A
iuta
re l’
educ
ator
e a
favo
rire
nel b
ambi
no
la c
ostru
zion
e di
sch
emi d
ell’”
esse
re c
on”
(funz
ione
rapp
rese
ntat
iva
della
ge
nito
ralit
ài)
Sos
tene
re l’
inte
rven
to d
i cur
a su
l m
inor
eA
iuta
re l’
educ
ator
e a
dare
dei
lim
iti (f
orm
at)
Aiu
tare
l’ed
ucat
ore
a da
re u
n co
nten
uto
pens
abile
alle
pe
rcez
ioni
e a
lle s
ensa
zion
i che
al
l’ini
zio
sono
priv
e di
spe
ssor
e ps
ichi
co (f
unzi
one
sign
ifica
nte
della
gen
itoria
lità)
Sos
tene
re l’
inte
rven
to d
i cur
a su
l m
inor
eA
iuta
re l’
educ
ator
e a
cost
ruire
un
a st
oria
con
divi
sa c
on il
min
ore
in c
ui il
bam
bino
pos
sa s
entir
si
parte
atti
va in
clus
a e
dina
mic
amen
te p
roie
ttata
alla
co
ntin
uità
tra p
assa
to,p
rese
nte
e fu
turo
FORM
AZIO
NE E
SU
PERVIS
ION
E
FORM
AZIO
NE E
SU
PERVIS
ION
E
CLI
NIC
A A
LLE E
QU
IPE E
DU
CATIV
ECLI
NIC
A A
LLE E
QU
IPE E
DU
CATIV
EN
ELL
E
CO
MU
NIT
AN
ELL
E
CO
MU
NIT
A’’PER M
INO
RI
PER M
INO
RI
Paola
Paola
Bas
tian
oni*
Bas
tian
oni*
Ale
ssan
dro
Tau
rino**
Ale
ssan
dro
Tau
rino**
Feder
ico
Feder
ico
Zullo
*Zullo
**U
niv
ersi
t*U
niv
ersi
t ààdeg
li Stu
di di Fe
rrar
adeg
li Stu
di di Fe
rrar
a**U
niv
ersi
t**U
niv
ersi
t ààdeg
li Stu
di di Bar
ideg
li Stu
di di Bar
i
Dim
en
sio
ni
cost
itu
tive
di
un
o
speci
fico
m
od
ell
o
Dim
en
sio
ni
cost
itu
tive
di
un
o
speci
fico
m
od
ell
o
inte
gra
to d
i fo
rmazi
on
e e su
perv
isio
ne all
e co
mu
nit
inte
gra
to d
i fo
rmazi
on
e e su
perv
isio
ne all
e co
mu
nit
ààed
uca
tive c
on
un
a p
art
ico
lare
to
rsio
ne:
ed
uca
tive c
on
un
a p
art
ico
lare
to
rsio
ne:
ll ’’an
alisi
dei
pro
cess
i d
inam
ici,
rela
zio
nali e
an
alisi
dei
pro
cess
i d
inam
ici,
rela
zio
nali e
si
mb
oli
ci
che
son
o
att
ivi
nel
con
test
o
sim
bo
lici
ch
e
son
o
att
ivi
nel
con
test
o
qu
oti
dia
no
dell
e c
om
un
itq
uo
tid
ian
o d
ell
e c
om
un
itàà
per
min
ori
p
er
min
ori
Tale
ap
pro
ccio
ri
spo
nd
e
no
n
solo
ad
u
n
Tale
ap
pro
ccio
ri
spo
nd
e
no
n
solo
ad
u
n
pre
ciso
e
dete
rmin
ato
m
od
ello
d
i p
reci
so
e
dete
rmin
ato
m
od
ello
d
i fo
rmazi
on
e
e
sup
erv
isio
ne
stess
a,
ma
form
azi
on
e
e
sup
erv
isio
ne
stess
a,
ma
an
che
ad
u
n
pre
ciso
m
od
ello
te
ori
co
an
che
ad
u
n
pre
ciso
m
od
ello
te
ori
co
(pra
tico
) d
i co
mu
nit
(pra
tico
) d
i co
mu
nit
àà..
Che
cosa
Che
cosa
èèla
com
unit
la c
om
unit
ààper
min
ori?
per
min
ori?
Qual
i din
amic
he
Qual
i din
amic
he
èèposs
ibile
tro
vare
in
poss
ibile
tro
vare
in
com
unit
com
unit
àà??
Perc
hPe
rchéé
par
liam
o d
i in
tegra
zione
tra
par
liam
o d
i in
tegra
zione
tra
form
azio
ne
e su
per
visi
one?
form
azio
ne
e su
per
visi
one?
Il m
odel
lo d
i co
munit
Il m
odel
lo d
i co
munit
àà
La c
om
unit
La c
om
unit
ààco
me
ambie
nte
ter
apeu
tico
co
me
ambie
nte
ter
apeu
tico
glo
bal
eglo
bal
e
(( Win
nic
ott
Win
nic
ott
, 1965;
, 1965;
Bet
telh
eim
Bet
telh
eim
, 1950;
, 1950;
Red
lRed
lee
Win
eman
Win
eman,
1951)
, 1951)
Am
bie
nte
ter
apeu
tico
glo
bal
eAm
bie
nte
ter
apeu
tico
glo
bal
e
Vita
quo
tidia
naVi
ta q
uotid
iana
Stab
ilità
rela
zion
ale
com
e ba
se s
icur
aSt
abili
tàre
lazi
onal
e co
me
base
sic
ura
Fatt
ore
di
prot
ezio
ne v
s fa
ttor
i di r
isch
io
Fatt
ore
di
prot
ezio
ne v
s fa
ttor
i di r
isch
io
ambi
ente
fis
ico
cura
to,
rass
icur
ante
e
pers
onal
izza
to
ambi
ente
fis
ico
cura
to,
rass
icur
ante
e
pers
onal
izza
to
rout
ine
rout
ine
inte
razi
oni
Stru
ttur
anti
inte
razi
oni
Stru
ttur
anti
ritua
li co
nnot
ati
in s
enso
“r
elaz
iona
le”
ritua
li co
nnot
ati
in s
enso
“r
elaz
iona
le”
Sist
ema
rela
zion
ale
Sist
ema
rela
zion
ale
inte
rsog
gett
ivit
inte
rsog
gett
ivit àà
cond
ivis
ione
di s
tati
inte
rni
cond
ivis
ione
di s
tati
inte
rni
Gli
esiti
di t
ale
cond
ivis
ione
: G
li es
iti d
i tal
e co
ndiv
isio
ne:
fatt
ori d
i com
pren
sion
e ed
fa
ttor
i di c
ompr
ensi
one
ed
inte
rpre
tazi
one
delle
di
nam
iche
re
lazi
onal
i in
terp
reta
zion
e de
lle
dina
mic
he
rela
zion
ali
(( int
raco
ntes
tual
iin
trac
onte
stua
li ) e
dei
mec
cani
smi
di si
mbo
lizza
zion
e )
e de
i m
ecca
nism
i di
si
mbo
lizza
zion
e af
fett
iva
del c
onte
sto
di in
tera
zion
e.af
fett
iva
del c
onte
sto
di in
tera
zion
e.
Com
unità
La r
ealiz
zazi
one
del
l'inte
rven
to
La r
ealiz
zazi
one
del
l'inte
rven
to r
ipar
ativ
oripar
ativ
oe
tera
peu
tico
e te
rapeu
tico
conte
nim
ento
em
otivo
conte
nim
ento
em
otivo
rest
ituzi
one
dei
pro
cess
i re
stituzi
one
dei
pro
cess
i em
otivo
emotivo
-- affet
tivi
affe
ttiv
iin
att
oin
att
o
asco
lto e
mpat
ico
asco
lto e
mpat
ico
corr
etta
anal
isi del
la d
om
anda
corr
etta
anal
isi del
la d
om
anda
(esp
licita
ma
sopra
ttutt
o lat
ente
/im
plic
ita)
, (e
splic
ita
ma
sopra
ttutt
o lat
ente
/im
plic
ita)
,
Set
ting
Set
ting
inte
rno
inte
rno
Model
li cu
ltura
li,
Model
li cu
ltura
li,
rappre
senta
zioni, e
mozi
oni e
rappre
senta
zioni, e
mozi
oni e
viss
uti d
egli
oper
atori
viss
uti d
egli
oper
atori
Model
li cu
ltura
liM
odel
li cu
ltura
li
Sis
tem
i di
rappre
senta
zione
che
si
connota
no
Sis
tem
i di
rappre
senta
zione
che
si
connota
no
com
e sp
ecific
he
modal
itco
me
spec
ific
he
modal
itàà
attr
aver
so
cui
gli
attr
aver
so
cui
gli
indiv
idui
conce
pis
cono
emotiva
men
te
e
fanno
indiv
idui
conce
pis
cono
emotiva
men
te
e
fanno
esper
ienza
del
pro
prio u
niv
erso
/mondo r
elaz
ional
e es
per
ienza
del
pro
prio u
niv
erso
/mondo r
elaz
ional
e in
tern
o e
d e
ster
no
inte
rno e
d e
ster
no
Prodott
iPr
odott
iso
cio
soci
o-- c
ognitiv
oco
gnitiv
o-- e
motivi
emotivi
che,
sin
tetizz
ando
che,
sin
tetizz
ando
dim
ensi
oni
razi
onal
i/oper
ativ
e e
dim
ensi
oni
razi
onal
i/oper
ativ
e e
sim
bolic
osi
mbolic
o--
affe
ttiv
eaf
fett
ive,
rappre
senta
no le
diffe
renti m
odal
it,
rappre
senta
no le
diffe
renti m
odal
itàà
con
con
le q
ual
i i
sogget
ti d
i un d
eter
min
ato g
ruppo (
nel
le
qual
i i
sogget
ti d
i un d
eter
min
ato g
ruppo (
nel
ca
so
spec
ific
o,
gli
oper
atori
di
com
unit
caso
sp
ecific
o,
gli
oper
atori
di
com
unitàà))
stru
ttura
no
il pro
prio
pen
sier
o,
le
pro
prie
stru
ttura
no
il pro
prio
pen
sier
o,
le
pro
prie
emozi
oni,
i pro
pri
agiti,
i pro
pri
schem
i em
ozi
oni,
i pro
pri
agiti,
i pro
pri
schem
i co
mport
amen
tali
com
port
amen
tali ..
La d
imen
sione
La d
imen
sione
tria
dic
atr
iadic
adel
del
SSèè
LeLe““ d
inam
iche
din
amic
he
tria
dic
he
tria
dic
he””
sim
bolic
he
che
iner
isco
no
la
sim
bolic
he
che
iner
isco
no
la
sogget
tivi
tso
gget
tivi
t ààdel
ldel
l ’’ educa
tore
sono r
elat
ive
nel
lo s
pec
ific
o (
da
educa
tore
sono r
elat
ive
nel
lo s
pec
ific
o (
da
un p
unto
di vi
sta
psi
codin
amic
o)
all
un p
unto
di vi
sta
psi
codin
amic
o)
all ’’ i
nte
rconnes
sione
tra:
inte
rconnes
sione
tra:
ss ééed
uca
tore
educa
tore
(anco
raggio
alle
funzi
oni e
al r
uolo
)(a
nco
raggio
alle
funzi
oni e
al r
uolo
)
ss èèfiglio
figlio
(par
ti d
i s
(par
ti d
i s éé
rico
nosc
iute
nel
min
ore
pre
so in c
aric
o)
rico
nosc
iute
nel
min
ore
pre
so in c
aric
o)
ss éégen
itore
si
mbolic
ogen
itore
si
mbolic
o(r
appre
senta
zione
del
le
figure
(r
appre
senta
zione
del
le
figure
gen
itorial
i in
teriorizz
ate)
gen
itorial
i in
teriorizz
ate)
nucl
einucl
eira
ppre
senta
zional
ira
ppre
senta
zional
ivi
ssuti e
motivi
/em
ozi
onal
ivi
ssuti e
motivi
/em
ozi
onal
i
Dim
ensi
oni si
mbolic
he
legat
e al
Dim
ensi
oni si
mbolic
he
legat
e al
sett
ing
sett
ing
inte
rno
inte
rno
Conf
litti
non
risol
ti tr
a le
diff
eren
ti pa
rti d
i SCo
nflit
ti no
n ris
olti
tra
le d
iffer
enti
part
i di S
éé ..
Anco
ragg
i mot
ivaz
iona
liAn
cora
ggi m
otiv
azio
nali
Rel
azio
ne
tra
sist
emi
di
anco
ragg
io
e
tipol
ogia
di
Rel
azio
ne
tra
sist
emi
di
anco
ragg
io
e
tipol
ogia
di
in
terv
ento
inte
rven
to
Sist
emi d
i alle
anza
Sist
emi d
i alle
anza
Conflitti n
on r
isolti
Conflitti n
on r
isolti --
inte
gra
zione
tra
le d
iffe
renti
inte
gra
zione
tra
le d
iffe
renti
par
ti d
i S
par
ti d
i S
éé
La
form
azio
ne
mira
a so
sten
ere
lLa
fo
rmaz
ione
mira
a so
sten
ere
l ’’ adulto
educa
tore
ad
ulto
educa
tore
nel
lnel
l ’’ inte
gra
zione
del
le
div
erse
dim
ensi
oni
inte
rne
del
S
inte
gra
zione
del
le
div
erse
dim
ensi
oni
inte
rne
del
S
éébam
bin
o e
del
Sbam
bin
o e
del
Séé
adulto c
he
si a
ttiv
ano n
ell
adulto c
he
si a
ttiv
ano n
ell ’’ i
nte
razi
one
con il
inte
razi
one
con il
min
ore
(bam
bin
o r
eale
) m
inore
(bam
bin
o r
eale
)
Se
tale
inte
gra
zione
Se
tale
inte
gra
zione
èèas
sente
o n
on r
ealiz
zata
le
modal
itas
sente
o n
on r
ealiz
zata
le
modal
itàà
inte
ratt
ive
e i
conse
guen
ti
agiti
pongono
il m
inore
nel
la
inte
ratt
ive
e i
conse
guen
ti
agiti
pongono
il m
inore
nel
la
condiz
ione
di
condiz
ione
di
adultiz
zazi
one
adultiz
zazi
one
ripar
atoria
ripar
atoria
vers
o l
vers
o l
’’ adulto c
he
in
adulto c
he
in
lui
ritr
ova
a l
ivel
lo p
roie
ttiv
o i
l su
o s
lui
ritr
ova
a l
ivel
lo p
roie
ttiv
o i
l su
o s
éébam
bin
o i
n c
onflitto
bam
bin
o i
n c
onflitto
co
n il s
con il s éé
adulto.
adulto.
Lavo
ro s
ugli
Lavo
ro s
ugli
““ anco
raggi
anco
raggi ””
motiva
zional
im
otiva
zional
i
Il
lavo
ro
sugli
anco
raggi
conse
nte
di
render
e es
plic
iti
e Il
lavo
ro
sugli
anco
raggi
conse
nte
di
render
e es
plic
iti
e m
anifes
ti a
gli
educa
tori i s
iste
mi im
plic
iti ch
e ve
icola
no l
man
ifes
ti a
gli
educa
tori i s
iste
mi im
plic
iti ch
e ve
icola
no l’’ a
zione
azio
ne
e l
e l ’’ i
nte
rven
to e
duca
tivo
.in
terv
ento
educa
tivo
.Le
princi
pal
i tipolo
gie
di an
cora
ggio
sono:
Le p
rinci
pal
i tipolo
gie
di an
cora
ggio
sono:
anco
raggio
al
anco
raggio
al ru
olo
pro
fess
ional
e ru
olo
pro
fess
ional
e in
sen
so ist
ituzi
onal
ein
sen
so ist
ituzi
onal
e;;
anco
raggio
ad
al
tri
ruoli
anco
raggio
ad
al
tri
ruoli
(bam
bin
o/f
iglio
/a,
mat
erno,
(b
ambin
o/f
iglio
/a,
mat
erno,
in
segnan
te/g
uid
a, s
ore
lla p
iin
segnan
te/g
uid
a, s
ore
lla p
i ùùgra
nde,
am
ico/a
; sa
lvat
ore
;gra
nde,
am
ico/a
; sa
lvat
ore
;
Anco
raggio
alle
em
ozi
oni;
Anco
raggio
alle
em
ozi
oni;
Anco
raggio
al
le
esig
enze
del
bam
bin
o
real
e e
alle
su
e Anco
raggio
al
le
esig
enze
del
bam
bin
o
real
e e
alle
su
e em
ozi
oni
emozi
oni
Ese
mpi di sp
ecific
he
tipolo
gie
di an
cora
ggio
Ese
mpi di sp
ecific
he
tipolo
gie
di an
cora
ggio
Sim
met
ria
Sim
met
ria
Confiden
za e
seg
reto
Confiden
za e
seg
reto
Incl
usi
one
Incl
usi
one-- e
sclu
sione
escl
usi
one
Tra
sgre
ssio
ne
Tra
sgre
ssio
ne
Collu
sione
sull
Collu
sione
sull ’’
emozi
one
emozi
one
““ educa
tore
educa
tore
”” : r
ispost
a co
munic
ativ
a as
imm
etrica
e s
e l
: risp
ost
a co
munic
ativ
a as
imm
etrica
e s
e l ’’ e
mozi
one
emozi
one
èè““ a
rrab
bia
toar
rabbia
to””
div
enta
un ra
pport
o di
pote
re ed
at
tiva
la
div
enta
un ra
pport
o di
pote
re ed
at
tiva
la
puniz
ione
(mi ar
rabbio
, ti p
unis
co)
puniz
ione
(mi ar
rabbio
, ti p
unis
co)
““ educa
tore
educa
tore
”” /am
ico
(dim
ensi
oni
che
/am
ico
(dim
ensi
oni
che
conflig
gono
conflig
gono)
la
) la
risp
ost
a può e
sser
e:
risp
ost
a può e
sser
e: ““ m
i uniform
o a
llm
i uniform
o a
ll ’’id
ea d
i dar
e id
ea d
i dar
e re
gole
e
puniz
ioni
regole
e
puniz
ioni ””
ma
poic
hm
a poic
héé
ques
teques
teco
nflig
gono
conflig
gono
con il m
odel
lo d
i co
n il m
odel
lo d
i ““ a
mic
oam
ico”” ,
le
puniz
ioni le
fac
cio d
are
, le
puniz
ioni le
fac
cio d
are
al
mio
co
llega,
per
cu
i rim
ango
emotiva
men
te
al
mio
co
llega,
per
cu
i rim
ango
emotiva
men
te
ader
ente
al
livel
lo d
i am
ico,
ma
riso
lvo i
l co
nflitto
ad
eren
te a
l liv
ello
di
amic
o,
ma
riso
lvo i
l co
nflitto
su
l liv
ello
is
titu
zional
e (f
acci
o
salv
o
quel
pia
no)
sul
livel
lo
istitu
zional
e (f
acci
o
salv
o
quel
pia
no)
chie
den
do a
llch
ieden
do a
ll ’’al
tro d
i punire.
al
tro d
i punire.
Ese
mpio
anco
raggio
inte
gra
to:
Ese
mpio
anco
raggio
inte
gra
to:
Anco
raggio
sui
viss
uti e
motivi
che
port
a Anco
raggio
sui
viss
uti e
motivi
che
port
a a
veder
e il
bam
bin
o f
erito c
he
a ve
der
e il
bam
bin
o f
erito c
he
èèin
me
in m
e co
n la
risp
ost
a em
otiva
ad
eguat
a al
la
con la
risp
ost
a em
otiva
ad
eguat
a al
la
contingen
za/a
ttual
itco
ntingen
za/a
ttual
itàà
rela
zional
e ch
e re
lazi
onal
e ch
e non d
eve
com
port
are
la
non d
eve
com
port
are
la c
onfu
sivi
tco
nfu
sivi
t ààdei
dei
ruoli
e del
le d
inam
iche
collu
sive
ruoli
e del
le d
inam
iche
collu
sive
Lavo
ro s
ull
Lavo
ro s
ull ’’
inte
gra
zione
tra
sist
emi di
inte
gra
zione
tra
sist
emi di
anco
raggio
e tipolo
gia
di in
terv
ento
anco
raggio
e tipolo
gia
di in
terv
ento
ruolo
pro
fess
ional
e di tipo ist
ituzi
onal
e st
ile n
oru
olo
pro
fess
ional
e di tipo ist
ituzi
onal
e st
ile n
orm
ativ
orm
ativ
o
emozi
one
contingen
te:
inte
rven
to e
stem
pora
neo
ed im
pr
emozi
one
contingen
te:
inte
rven
to e
stem
pora
neo
ed im
pr o
vvis
ato o
ovv
isat
o o
ca
otico
caotico
ruoli:
ruoli:
Inse
gnan
te inte
rven
to d
i tipo s
cola
stic
o/d
idat
tico
/cognitiv
o leg
Inse
gnan
te inte
rven
to d
i tipo s
cola
stic
o/d
idat
tico
/cognitiv
o leg
ato a
gli
ato a
gli
appre
ndim
enti);
appre
ndim
enti);
amic
o in
terv
ento
sim
met
rico
e t
enden
zial
men
te c
ollu
sivo
; am
ico in
terv
ento
sim
met
rico
e t
enden
zial
men
te c
ollu
sivo
;
salv
atore
inte
rven
to n
orm
ativ
o/v
alorial
esa
lvat
ore
inte
rven
to n
orm
ativ
o/v
alorial
e
Sis
tem
i di al
lean
zaSis
tem
i di al
lean
za
LL ’’al
lean
za e
motiva
equili
bra
taal
lean
za e
motiva
equili
bra
ta(h
old
ing e
(h
old
ing e
re
stituzi
one
dei
pro
cess
i in
at
to
al
rest
ituzi
one
dei
pro
cess
i in
at
to
al
bam
bin
o c
om
e risu
ltat
o d
i un e
quili
brio
bam
bin
o c
om
e risu
ltat
o d
i un e
quili
brio
tra
funzi
one
pro
tett
iva
(tr
a fu
nzi
one
pro
tett
iva
( sséé
educa
tore
educa
tore
),),rico
nosc
imen
to d
ei b
isogni
del
lrico
nosc
imen
to d
ei b
isogni
del
l ’’ altro
(al
tro (
ss éégen
itore
si
mbolic
ogen
itore
si
mbolic
o),
ripar
azio
ne
del
le
),
ripar
azio
ne
del
le
pro
prie
ferite
/tra
dim
enti/e
sclu
sioni
(pro
prie
ferite
/tra
dim
enti/e
sclu
sioni
( sséé
figlio
figlio
))
Sis
tem
i di al
lean
ze e
motive
dis
funzi
onal
iSis
tem
i di al
lean
ze e
motive
dis
funzi
onal
i
Alle
anza
non
equili
bra
ta
di
tipo
Alle
anza
non
equili
bra
ta
di
tipo
istitu
zional
izza
nte
(al
lean
za p
reva
lente
con
istitu
zional
izza
nte
(al
lean
za p
reva
lente
con
il s
il s éé
educa
tore
: dis
tanzi
ante
dag
li af
fett
i).
educa
tore
: dis
tanzi
ante
dag
li af
fett
i).
Alle
anza
non
equili
bra
ta
di
tipo
collu
sivo
Alle
anza
non
equili
bra
ta
di
tipo
collu
sivo
(a
llean
za
pre
vale
nte
co
n
i nucl
ei
emotivi
(a
llean
za
pre
vale
nte
co
n
i nucl
ei
emotivi
non
riel
abora
ti
del
s
non
riel
abora
ti
del
s éé
bam
bin
obam
bin
odel
ldel
l ’’ educa
tore
).ed
uca
tore
).
La s
uper
visi
one
La s
uper
visi
one
Pro
get
tare
un inte
rven
to s
ul m
inore
a p
artire
dal
la c
apac
itPro
get
tare
un inte
rven
to s
ul m
inore
a p
artire
dal
la c
apac
itàà
di in
staura
re
di in
staura
re
un
un’’ a
llean
za e
motiva
con lo s
tess
o.
alle
anza
em
otiva
con lo s
tess
o.
Impar
are
a fa
r rico
nosc
ere
all
Impar
are
a fa
r rico
nosc
ere
all ’’ e
duca
tore
le
tem
atic
he
cruci
ali del
la
educa
tore
le
tem
atic
he
cruci
ali del
la
nar
rativa
rel
azio
nal
e per
sonal
e del
min
ore
e a
iuta
re l
nar
rativa
rel
azio
nal
e per
sonal
e del
min
ore
e a
iuta
re l’’ e
duca
tore
a
educa
tore
a
sost
ener
e il
min
ore
sost
ener
e il
min
ore
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a g
aran
tire
pro
tezi
one
educa
tore
a g
aran
tire
pro
tezi
one
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a s
into
niz
zars
i af
fett
ivam
ente
con le
rich
iest
e em
otiv
educa
tore
a s
into
niz
zars
i af
fett
ivam
ente
con le
rich
iest
e em
otivee
del
bam
bin
odel
bam
bin
oAiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a g
aran
tire
la
nec
essa
ria
regola
zione
al b
ambin
i nel
ed
uca
tore
a g
aran
tire
la
nec
essa
ria
regola
zione
al b
ambin
i nel
risp
etto
del
la s
ua
etrisp
etto
del
la s
ua
etàà
e del
le s
ue
com
pet
enze
e del
le s
ue
com
pet
enze
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a d
are
dei
lim
iti (f
orm
at)
educa
tore
a d
are
dei
lim
iti (f
orm
at)
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a
pre
veder
e il
raggiu
ngim
ento
di ta
ppe
evolu
tive
del
ed
uca
tore
a
pre
veder
e il
raggiu
ngim
ento
di ta
ppe
evolu
tive
del
bam
bin
o (
funzi
one
pre
dittiva
del
la f
unzi
one
gen
itorial
e an
che
sibam
bin
o (
funzi
one
pre
dittiva
del
la f
unzi
one
gen
itorial
e an
che
sim
bolic
a)m
bolic
a)Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a
favo
rire
nel
bam
bin
o la
cost
ruzi
one
di sc
hem
i ed
uca
tore
a
favo
rire
nel
bam
bin
o la
cost
ruzi
one
di sc
hem
i del
ldel
l ’”’”es
sere
con
esse
re c
on””
(funzi
one
rappre
senta
tiva
del
la
(funzi
one
rappre
senta
tiva
del
la g
enitora
litgen
itora
litààii ))
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a d
are
un c
onte
nuto
pen
sabile
alle
per
cezi
oni e
alle
ed
uca
tore
a d
are
un c
onte
nuto
pen
sabile
alle
per
cezi
oni e
alle
se
nsa
zioni ch
e al
lse
nsa
zioni ch
e al
l ’’ iniz
io s
ono p
rive
di sp
esso
re p
sich
ico (
funzi
one
iniz
io s
ono p
rive
di sp
esso
re p
sich
ico (
funzi
one
signific
ante
del
la g
enitorial
itsi
gnific
ante
del
la g
enitorial
itàà))
Aiu
tare
lAiu
tare
l’’ e
duca
tore
a c
ost
ruire
una
storia
condiv
isa
con il m
inore
in c
ui
educa
tore
a c
ost
ruire
una
storia
condiv
isa
con il m
inore
in c
ui ilil
bam
bin
o p
oss
a se
ntirs
i par
te a
ttiv
a in
clusa
e d
inam
icam
ente
pro
ibam
bin
o p
oss
a se
ntirs
i par
te a
ttiv
a in
clusa
e d
inam
icam
ente
pro
i ett
ata
alla
et
tata
alla
co
ntinuit
continuit
ààtr
a pas
sato
,pre
sente
e f
utu
rotr
a pas
sato
,pre
sente
e f
utu
ro
Rifer
imen
ti b
iblio
gra
fici
EM
ILIA
NI
F.,
BASTIA
NO
NI
P. (
1993),
Una
norm
ale
solit
udin
e, C
arocc
i,
Rom
a.Bas
tian
oniP.
(2000),
Inte
razi
oni in
com
unità,
Car
occ
i, R
om
a.BASTIA
NO
NI
P.,
FRU
GG
ERI
L.,
Proce
ssi di sv
iluppo e
rel
azio
ni fa
mili
ari,
Ediz
ioni U
nic
opli,
Mila
no 2
005.
BASTIA
NO
NI
P.,
TAU
RIN
O A
. (2
007)
(a c
ura
di)
, Fa
mig
liee
gen
itorial
ità
oggi. N
uovi
sig
nific
ati e
pro
spet
tive
, Ediz
ioni U
nic
opli,
Mila
no.
CO
DIS
POTI
O.
,BASTIA
NO
NI
P.,
TAU
RIN
O A
. (2
008)
(a c
ura
di)
, D
inam
iche
rela
zional
i e
inte
rven
ti c
linic
i. T
eorie,
conte
sti e
stru
men
ti,
Car
occ
i, R
om
a.ZU
LLO
F.,
BASTIA
NO
NI
P.,
TAU
RIN
O A
. (2
008),
La
dei
stituzi
onal
izza
zione
dei
bam
bin
i e
deg
li ad
ole
scen
ti in u
na
pro
spet
tiva
psi
coso
cial
e e
psi
codin
amic
a,
in “
Ras
segna
bib
liogra
fica
”, C
entr
o
Naz
ional
e di D
ocu
men
tazi
one
e Anal
isi In
fanzi
a e
Adole
scen
za,
Istitu
to
deg
li In
noce
nti d
i Fi
renze
, n.
3/2
008.
BASTIA
NO
NI
P.,
TAU
RIN
O A
. (a
cura
di)
, Com
unità
per
min
ori.
Model
li di fo
rmaz
ione
e su
per
visi
one
clin
ica,
Car
occ
i, R
om
a.
Geno
va –
12/1
3 no
vem
bre
2009
Form
azio
ne a
utun
nale
Con
sult
a D
ioce
sana
La f
unzion
e ripa
rativa
della
vita
quo
tidian
a in c
omun
ità
Geno
vaGe
nova
––12
/13
nove
mbr
e 20
0912
/13
nove
mbr
e 20
09Fo
rmaz
ione
aut
unna
le C
onsu
lta
Dio
cesa
naFo
rmaz
ione
aut
unna
le C
onsu
lta
Dio
cesa
na
La f
unzion
e La
fun
zion
e ripa
rativa
ripa
rativa
della
della
vita
quo
tidian
a in c
omun
itvita
quo
tidian
a in c
omun
itàà
Paol
aPa
ola
Bast
iano
niBa
stia
noni
e Fe
deri
co
e Fe
deri
co Z
ullo
Zullo
Dip
arti
men
to d
i Sci
enze
Um
ane
Dip
arti
men
to d
i Sci
enze
Um
ane
Uni
vers
itU
nive
rsit
ààdi
Fer
rara
di F
erra
ra
Intr
oduz
ione
•fu
nzio
ne s
trut
tura
nte
dell’
ambi
ente
sul
lo s
vilu
ppo
affe
ttiv
o,
sullo
svi
lupp
o de
l Sé,
o s
u qu
ello
che
da
Win
nico
ttvi
ene
defi
nito
svilu
ppo
emoz
iona
le p
rim
ario
. •
I co
ncet
ti w
inni
cott
iani
di h
oldi
ng (c
he f
avor
isce
il p
roce
sso
di in
tegr
azio
ne n
ella
dir
ezio
ne d
ell’I
o so
no),
di h
andl
ing
(che
favo
risc
e la
per
sona
lizza
zion
e, q
uella
sal
datu
ra t
ra p
sich
e e
som
a ch
e co
nsen
te lo
svi
lupp
o de
l sen
tim
ento
che
si h
a de
lla
prop
ria
pers
ona)
, com
e qu
ello
di a
mbi
ente
ter
apeu
tico
gl
obal
edi
Bet
telh
eim
sono
ess
enzi
ali p
er p
rese
ntar
e l’a
ttua
lità
di a
mbi
enti
che
ogg
i si p
ongo
no a
ncor
a l’o
biet
tivo
di
inte
rven
ire
tera
peut
icam
ente
nella
vit
a qu
otid
iana
.
La c
omun
ità
che
ripa
raRi
para
re d
a:de
priv
azio
ne/m
altr
atta
men
toricr
eand
oun
am
bien
te t
erap
euti
co c
he r
ecup
era,
ri
cost
ruis
ce e
d at
tual
izza
le
prim
arie
fu
nzio
ni s
trut
tura
nti
falli
te,
ripa
rand
o ai
pre
coci
fal
limen
ti a
mbi
enta
li ca
usa
di p
riva
zion
e o
depr
ivaz
ione
.
Live
llidi
inte
rven
toda
part
e de
llaco
mun
ità
•di
men
sion
e si
mbo
lica
della
com
unit
à
•fu
nzio
ni p
rote
ttiv
e e
stru
ttur
anti
FILO
NI
DI
STU
DIO
RELA
TIVI
ALL
A “C
ARA
TTER
IZZA
ZIO
NE”
DEL
MIN
ORE
IN
CO
MU
NIT
A’
•(K
ey q
uest
ion:
chi
son
o i m
inor
i in
com
unit
a’?)
Dep
riva
zion
e(P
sico
pato
logia
Clas
sica
)
•Fi
lone
cen
trat
o es
senz
ialm
ente
sul
l'ide
a de
lla
depr
ivaz
ione
(dep
riva
tion
) sub
ita
in c
aso
di
dist
ruzi
one
dei l
egam
i con
la f
igur
a m
ater
na o
con
un
suo
sos
titu
to o
add
irit
tura
in c
aso
di m
anca
nza
tota
le d
i un
lega
me
affe
ttiv
o (p
riva
tion
).•
L'ac
cent
o è
post
o su
lla r
elaz
ione
mad
re-b
ambi
no e
su
lle c
onse
guen
ze d
ell'a
ver
amat
o e
perd
uto
l'ogg
etto
d'a
mor
e o
sul n
on a
ver
mai
avu
to la
po
ssib
ilità
di e
sser
e am
ato
e am
are.
Focu
s ce
ntra
le•
Il t
ema
cent
rale
con
cern
e il
ruol
o fo
ndam
enta
le
assu
nto
dai l
egam
i di a
ttac
cam
ento
nel
la p
rim
a in
fanz
ia q
uali
elem
enti
cos
titu
tivi
e in
disp
ensa
bili
per
la c
resc
ita
uman
a e
le c
onse
guen
ze d
ella
loro
pe
rdit
a o
della
loro
com
plet
a as
senz
a.•
Que
sto
filo
ne d
i stu
di d
imos
tra,
in m
anie
ra
indi
scut
ibile
, il p
eso
dell'
ambi
ente
sui p
roce
ssi d
i cr
esci
ta;a
mbi
ente
inte
so in
pri
mo
luog
o co
me
sist
ema
di r
elaz
ioni
sig
nifi
cati
ve e
str
uttu
rant
i la
real
tàin
tern
a e
la r
appr
esen
tazi
one
della
rea
ltà
este
rna.
Cons
egue
nze
evol
utiv
eLa
dep
riva
zion
epu
ò co
mpo
rtar
e un
distu
rbo
reat
tivo
dell'at
tacc
amen
to i c
ui s
into
mi so
no:
man
canz
a di c
apac
ità
di d
are
e rice
vere
af
fett
o, c
ompo
rtam
enti a
ggre
ssivi, d
istu
rbi ne
l co
ntat
to v
isivo
e ne
l lin
guag
gio,
bug
ie e
fur
ti
(ten
denz
e an
tiso
ciali),
man
canz
a di a
micizie o
ra
ppor
ti s
ignifica
tivi s
tabi
li, c
onsist
enti
prob
lemi di
con
trollo.
Etio
logi
a de
l dis
turb
o•
Il d
istu
rbo
èdo
vuto
alla
man
canz
a di
un
atta
ccam
ento
pri
mar
io a
seg
uito
del
rif
iuto
e d
ella
se
para
zion
e da
lla m
adre
: un
rifi
uto
che
può
veri
fica
rsi e
per
man
ere
anch
e qu
ando
la m
adre
èfi
sica
men
te p
rese
nte,
ma
la r
elaz
ione
con
il f
iglio
è
cara
tter
izza
ta d
al f
allim
ento
iniz
iale
di q
uals
iasi
ca
paci
tàem
pati
ca e
di c
onte
nim
ento
(hol
ding
).
Cons
egue
nze
evol
utiv
e»
La c
onse
guen
za m
aggi
ore
della
man
cata
co
stru
zion
e di
lega
mi n
ell'i
nfan
zia
èl'i
ncap
acit
àdi
inst
aura
re r
elaz
ioni
si
gnif
icat
ive
nella
vit
a su
cces
siva
.»
Ciò
si a
ccom
pagn
a ad
una
for
ma
di
psic
opat
olog
ia c
arat
teri
zzat
a da
man
canz
a di
af
fett
ivit
à, v
ergo
gna
o se
nso
di
colp
a/re
spon
sabi
lità
e da
lla d
iffi
colt
àem
ozio
nale
di e
ntra
re in
una
rel
azio
ne
empa
tica
con
gli
altr
i. »
Le d
iffi
coltà
di r
elaz
ione
si c
onfi
gura
no,
dunq
ue, c
ome
i pri
ncip
ali e
siti
dis
adat
tivi
del
quad
ro d
i dep
riva
zion
e so
pra
desc
ritt
o
Il m
altr
atta
men
to
•La
più
rece
nte
lett
erat
ura
sul m
altr
atta
men
to in
fant
ile (D
i Bla
sio,
200
0) è
impo
stat
a se
cond
o l'o
rien
tam
ento
cla
ssic
o de
lla p
sico
pato
logi
a, il
cui
foc
us
èri
volt
o al
la s
tori
a in
divi
dual
e de
l sog
gett
o e
al d
anno
sub
ito.
•Ci
ò ch
e di
ffer
enzi
a le
due
pro
spet
tive
èch
e m
entr
e le
ric
erch
e de
l pri
mo
orie
ntam
ento
stu
dian
o gr
uppi
di i
ndiv
idui
che
cre
scon
o in
am
bien
ti d
iver
si
con
un'o
ttic
a fo
rtem
ente
cen
trat
a su
lla r
elaz
ione
fra
indi
vidu
o e
cara
tter
isti
che
dei c
onte
sti d
i svi
lupp
o, le
ric
erch
e de
l sec
ondo
, con
un
appr
occi
o pi
ùcl
inic
o, s
i foc
aliz
zano
qua
si e
sclu
siva
men
te s
ulla
per
sona
. •
In q
uest
o se
nso
assu
mon
o ri
lievo
la p
reci
sazi
one
diag
nost
ica
della
tip
olog
ia
del d
anno
sub
ito
e i f
atto
ri d
i ris
chio
o d
i pro
tezi
one
che
poss
ono
ampl
ific
are
o ri
durr
e il
dann
o ps
icol
ogic
o, f
atto
ri in
tesi
non
tan
to c
ome
oppo
rtun
ità
o co
ndiz
ioni
di v
ita,
ma
qual
i car
atte
rist
iche
indi
vidu
ali d
ei
sing
oli.
•D
iven
tano
impo
rtan
ti a
llora
la s
ubti
polo
gia
del m
altr
atta
men
to, l
'età
di
inso
rgen
za, l
a re
lazi
one
che
inte
rcor
re f
ra c
hi lo
ha
mes
so in
att
o e
chi
l'ha
su
bito
, la
cron
icit
à, c
ome
dist
orsi
one
perm
anen
te n
ello
svi
lupp
o, o
ppur
e il
veri
fica
rsi d
ella
vio
lenz
a in
man
iera
impr
ovvi
sa e
acu
ta.
Cons
egue
nze
del
mal
trat
tam
ento
Se s
i pre
nde
in c
onsi
dera
zion
e le
des
criz
ioni
di b
ambi
ni e
ad
oles
cent
ich
e ha
nno
subi
to m
altr
atta
men
ti f
isic
i,tr
ascu
rate
zza
e/o
mal
trat
tam
ento
psi
colo
gico
(con
dizi
oni,
ques
t'ul
tim
e, c
he a
ccom
unan
o le
sto
rie
di t
utti
i m
inor
iin
car
ico
ai s
ervi
zi s
ocia
li) t
rovi
amo
l'una
nim
e pr
esen
za d
i pro
blem
i sco
last
ici e
nel
l'app
rend
imen
to
conn
essi
a r
itar
di d
ello
svi
lupp
o in
telle
ttiv
o;
diff
icol
tàso
cial
i ed
emoz
iona
li, c
ompr
ensi
ve d
i ost
ilità
, ag
gres
sivi
tà, p
assi
vità
; bas
sa s
tim
a di
sé
e,
nel l
ungo
per
iodo
, esi
ti n
ella
dev
ianz
a e
nella
psi
copa
tolo
gia
conc
lam
ata.
I ra
gazz
i tra
scur
ati s
ono:
pass
ivi,
senz
a di
fese
, con
sig
nifi
cati
vi
rita
rdi d
ello
svi
lupp
o e
disa
rmat
i in
cond
izio
ni d
i str
ess,
men
tre
quel
li m
altr
atta
ti f
isic
amen
te s
embr
ano
pres
enta
re u
n te
mpe
ram
ento
dif
fici
le e
, so
tto
stre
ss, m
anif
esta
no a
ccen
tuat
a im
puls
ivit
àe
rabb
ia C
ritt
ende
n(1
985)
Cons
egue
nze
del
mal
trat
tam
ento
psi
colo
gico
Nel
l'am
bito
del
mal
trat
tam
ento
psi
colo
gico
veng
ono
rile
vate
mol
te a
ree
com
prom
esse
che
cop
rono
una
va
stit
àdi
sin
tom
i a b
reve
e a
lung
o te
rmin
e qu
ali:
dist
urbi
del
l'alim
enta
zion
e, b
assa
sti
ma
di s
é,
inst
abili
tàe
rido
tta
sens
ibili
tàem
ozio
nale
, m
anca
nza
di f
iduc
ia n
egli
altr
i, di
pend
enza
, for
me
di a
ccen
tuat
a in
com
pete
nza
e di
ffic
oltà
nell'
appr
endi
men
to,
depr
essi
one,
rit
ardi
evo
luti
vi,
uso
di d
roga
ed
altr
i anc
ora.
Are
e de
llo s
vilu
ppo
com
prom
esse
Pur
nella
gra
nde
vari
abili
tàde
lle c
onfi
gura
zion
i in
divi
dual
i, la
cos
tella
zion
e de
lle a
ree
dello
sv
ilupp
o pi
ùfr
eque
ntem
ente
com
prom
essa
si
ripr
esen
ta s
iste
mat
icam
ente
a c
aric
o de
l leg
ame
di a
ttac
cam
ento
e d
ella
cap
acit
àdi
coi
nvol
gim
ento
in
rel
azio
ni a
ffet
tive
, del
l'ada
ttam
ento
e d
elle
co
mpe
tenz
e so
cial
i, de
lle c
ompe
tenz
e co
gnit
ive
e de
ll'ap
pren
dim
ento
.
Com
unit
àSu
lla b
ase
degl
i ele
men
ti d
escr
itti
ne
deri
va
che
qual
unqu
e st
rutt
ura
di a
ccog
lienz
a pe
r ba
mbi
ni, a
dole
scen
ti, g
iova
ni a
dult
i ch
e ha
nno
subi
to u
n da
nno
evol
utiv
o a
segu
ito
della
man
canz
a o
della
dis
tors
ione
del
la
funz
ione
str
uttu
rant
e de
lle r
elaz
ioni
di
atta
ccam
ento
nel
l'inf
anzi
a, d
eve
pors
i il
prob
lem
a di
rip
rodu
rre
tale
fun
zion
e in
re
lazi
one
all'e
tàde
i sog
gett
i e a
l rit
ardo
ev
olut
ivo
pres
enta
to.
Org
aniz
zazi
one
della
co
mun
ità
La c
omun
ità
deve
ess
ere
orga
nizz
ata
su s
peci
fici
cr
iter
i qua
li l'et
àde
i minor
i e,
in f
unzi
one
di
ques
to a
spet
to, la
valuta
zion
e de
i te
mpi
dipe
rman
enza
,il nu
mer
o de
gli ad
ulti
in r
appo
rto
ai
sogg
etti
osp
iti e
la lo
ro s
tabi
lità
per
la for
maz
ione
di leg
ami sign
ificat
ivi,l’int
egra
zion
e fr
a un
mod
ello t
eorico
di rife
rimen
toe
la pro
gett
azione
orga
nizz
ativa
stes
sa d
ella s
trut
tura
sul s
ingo
lo
e su
l dist
urbo
spe
cifico
man
ifes
tato
.
La p
rosp
ettiva
co
ntes
tualista
Le p
robl
emat
iche
di d
isad
atta
men
to p
rese
ntat
e da
i so
gget
ti d
epri
vati
/mal
trat
tati
(m
inor
i/ad
oles
cent
i/gi
ovan
i adu
lti)
poss
ono
esse
re
meg
lio a
ffro
ntat
e se
si a
dott
a un
a pr
ospe
ttiv
a ra
dica
lmen
teco
ntes
tual
ista
che
oltr
e al
la q
ualit
àde
lle r
elaz
ioni
, ten
ga p
rese
nte
la f
unzi
one
supp
orti
vach
e la
str
uttu
ra d
ella
vit
a qu
otid
iana
fo
rnis
ce, n
ei d
iver
si c
onte
sti d
i vit
a, in
cui
i m
inor
i cr
esco
no.
Mod
elli
teor
ici d
i ri
feri
men
toQ
uest
o m
odel
lo d
i rif
erim
ento
con
iuga
i co
ntri
buti
-de
ll’ap
proc
cio
Inte
ratt
ivo-
Cost
ruzi
onis
ta-
della
Mic
roso
ciol
ogia
del
la V
ita
Quo
tidi
ana
-de
ll’ap
proc
cio
Ecol
ogic
o/Co
ntes
tual
ista
- del
laPs
icop
atol
ogia
Evo
luti
va
App
rocc
io int
erat
tivo
-co
stru
zion
ista
e micos
ociologia
della
vita
quot
idiana
•Ta
li ap
proc
ci v
edon
o i s
ogge
tti q
uali
atto
ri d
el p
roce
sso
di
cost
ruzi
one
del S
ée
della
rea
ltà
attr
aver
so le
inte
razi
oni.
•Se
cond
o ta
li ap
proc
ci la
rea
ltà
indi
vidu
ale
e so
cial
e si
con
figu
ra
com
e un
ince
ssan
te p
roce
sso
dial
etti
co, e
la v
ita
quot
idia
na s
i pr
esen
ta c
ome
una
real
tàso
gget
tiva
men
te s
igni
fica
tiva
, ma
nello
st
esso
tem
po r
icon
osci
uta
e ri
cono
scib
ile in
mod
o co
eren
te e
og
gett
ivo
(Bes
t, 1
995)
. •
Risp
etto
al p
robl
ema
della
cos
truz
ione
e d
ella
con
osce
nza
della
re
altà
inte
rna
ed e
ster
na, l
’appr
occi
o in
tera
ttiv
o-co
stru
zion
ista
riti
ene
che
la r
ealt
àso
cial
e, c
osìc
ome
i sig
nifi
cati
da
attr
ibui
re
agli
even
ti c
he la
cos
titu
isco
no o
la c
arat
teri
zzan
o, s
orgo
no e
ve
ngon
o co
stru
iti p
ropr
io n
ell’a
mbi
to d
ell’i
nter
azio
ne (B
erge
r,
Luck
man
n, 1
966;
Gof
fman
n, 1
967)
.
Mod
ello
ecolog
ico/
cont
estu
alista
(Bro
nfen
bren
ner
1992
).•
Il m
odel
lo e
colo
gico
si p
uò d
efin
ire
com
e lo
stu
dio
della
re
lazi
one
dell’
esse
re u
man
o in
svi
lupp
o co
n le
sit
uazi
oni e
il
cont
esto
nei
qua
li è
atti
vam
ente
coi
nvol
to.
•L’
uom
o è
al c
entr
o di
una
ser
ie d
i ane
lli c
once
ntri
ci,
ovve
rosi
a, d
i sit
uazi
oni c
he e
serc
itan
o un
’infl
uenz
a bi
dire
zion
ale
su d
i ess
o.•
I ce
rchi
con
cent
rici
più
este
rni s
ono
quel
li ch
e ra
ppre
sent
ano
i val
ori d
ella
soc
ietà
e de
lla c
ultu
ra, m
entr
e qu
elli
più
inte
rni i
ndic
ano
le s
itua
zion
i più
vici
ne a
lla p
erso
na
com
e, a
d es
empi
o, la
fam
iglia
, i v
icin
i e la
scu
ola.
Il m
odel
lo e
colo
gico
rap
pres
enta
un
alla
rgam
ento
del
la p
rosp
etti
va
sist
emic
a, a
ttra
vers
o le
seg
uent
i is
tanz
e:
•-
il ri
cono
scim
ento
del
l’inf
luen
za d
i pen
sier
i ed
emoz
ioni
su
gli e
lem
enti
del
sis
tem
a o
sui s
iste
mi s
tess
i;•
-il
recu
pero
del
la d
imen
sion
e st
oric
o-te
mpo
rale
, che
si
man
ifes
ta n
ella
con
side
razi
one
evol
utiv
a de
lla p
erso
na e
ne
ll’at
tenz
ione
al c
osti
tuir
si e
d ev
olve
rsi n
el t
empo
de
ll’es
peri
enza
;•
-l’i
ntro
duzi
one
delle
var
iabi
li so
cial
i, cu
ltur
ali e
d ed
ucat
ive;
•-
la r
isco
pert
a de
ll’in
divi
duo
con
i suo
i pen
sier
i, se
ntim
enti
, sc
opi,
inte
nzio
ni e
bis
ogni
.
Rapp
orto
svilu
ppo/
ambi
ente
•Br
onfe
nbre
nner
defi
nisc
e lo
svi
lupp
o co
me
"una
mod
ific
azio
ne p
erm
anen
te d
el m
odo
in c
ui u
n in
divi
duo
perc
epis
ce e
aff
ront
a il
suo
ambi
ente
"•
"Lo
stes
so a
utor
e de
fini
sce
l'am
bien
te "e
colo
gico
" "co
me
un
insi
eme
di s
trut
ture
incl
use
l'una
nel
l'altr
a, s
imili
ad
una
seri
e di
bam
bole
rus
se e
nvir
onm
enta
lsys
tem
s: m
icro
syst
em,
mes
osys
tem
, exo
syst
em,
mac
rosy
stem
).•
"Lo
svilu
ppo
di u
n in
divi
duo
èpr
ofon
dam
ente
det
erm
inat
o da
ev
enti
che
si v
erif
ican
o in
sit
uazi
oni a
mbi
enta
li in
cui
l'i
ndiv
iduo
ste
sso
non
ène
ppur
e pr
esen
te"
Psicop
atolog
ia E
volutiva
La P
sico
pato
logi
a so
ttol
inea
l’im
port
anza
del
le c
ondi
zion
i, in
tese
qua
li fa
ttor
i di r
isch
io e
di p
rote
zion
e, c
he s
oste
ngon
o le
for
me
dell’
adat
tam
ento
e d
el d
isad
atta
men
to.
Ass
unti d
i ba
se•
Ogn
i for
ma
di p
sico
pato
logi
a si
pre
sent
a in
un
sogg
etto
in v
ia d
i svi
lupp
o e
la f
ase
evol
utiv
a de
l sog
gett
o è
dete
rmin
ante
per
com
pren
dere
le
orig
ini e
le m
anif
esta
zion
i del
dis
turb
o.•
Ogn
i for
ma
di p
sico
pato
logi
a è
defi
nita
in r
ifer
imen
to a
sta
ndar
d no
rmat
ivi d
eriv
ati d
ai s
iste
mi d
i nor
me
prop
rie
ai d
iver
si a
mbi
enti
soc
io-
cult
ural
i.•
Ogn
i for
ma
di p
sico
pato
logi
a è
infl
uenz
ata
da c
ompl
esse
inte
razi
oni
gene
-cul
tura
.•
poic
héla
mag
gior
par
te d
ei q
uadr
i psi
copa
tolo
gici
ric
onos
ce u
na
mol
tepl
icit
àdi
cau
se, è
utile
des
criv
ere
il qu
adro
in t
erm
ini d
i per
cors
i de
vian
ti o
di t
raie
ttor
ie d
i svi
lupp
o.•
lo s
tudi
o de
ll’ad
atta
men
to è
impo
rtan
te p
er c
ompr
ende
re la
ps
icop
atol
ogia
.
Ambi
ente
ter
apeu
tico
glob
ale
L’id
ea d
i"a
mbi
ente
ter
apeu
tico
globa
le"
(Win
nico
tt, 1
965;
Bet
telh
eim
, 195
0; R
edle
W
inem
an, 1
951)
sot
tolin
eal’i
mpo
rtan
za d
ella
vita
quot
idiana
com
e luog
o "p
ensa
to"
nella
sua
gl
obal
ità
per
real
izza
re l'
inte
rven
to r
ipar
ativ
oe
tera
peut
ico,
rifiut
ando
la s
epar
azio
ne f
ra u
n se
ttin
g"a
par
te"
depu
tato
all'
inte
rven
to
psic
oter
apic
o.
La r
egre
ssio
neLa
for
mul
azio
ne p
iùes
aust
iva
di q
uest
o co
ncet
to
ripr
ende
pro
prio
i te
mi d
i Win
nico
ttre
lati
vi a
lla
regr
essi
one
com
e el
emen
to d
i aut
ocur
a e
sost
iene
la
nec
essi
tàdi
pro
cura
re a
l bam
bino
dep
riva
to o
m
altr
atta
to u
n am
bien
te a
degu
ato
a pe
rmet
terg
li di
per
dere
le a
cqui
sizi
oni f
atte
per
cos
triz
ione
e
sott
omis
sion
e e
per
ritr
ovar
e la
spo
ntan
eità
dello
sv
ilupp
o e
della
fid
ucia
nel
mon
do e
ster
no.
Funz
ione
rip
arat
oria
dell’
ambi
ente
•Se
cond
o W
inni
cott
le p
sico
si s
ono
capa
ci d
i au
togu
arig
ione
se in
un
succ
essi
vo m
omen
to d
ello
sv
ilupp
o l’a
mbi
ente
for
nisc
e al
bam
bino
ciò
che
gli
èm
anca
to n
ei p
rim
i mom
enti
del
la v
ita.
•“L
a re
gres
sion
e ra
ppre
sent
a la
spe
ranz
a de
ll’in
divi
duo
psic
otic
o ch
e ce
rti a
spet
ti
dell’
ambi
ente
che
in o
rigi
ne f
allir
ono
poss
ano
esse
re r
ivis
suti
e c
he q
uest
a vo
lta
l’am
bien
te
ries
ca, i
nvec
e di
fal
lire,
nel
la s
ua f
unzi
one
di
favo
rire
la t
ende
nza
natu
rale
del
l’ind
ivid
uo a
sv
ilupp
arsi
e a
mat
urar
e”.
Acc
ezioni d
el t
ermine
“ter
apeu
tico
”•
Il c
once
tto
di “t
erap
euti
co”v
uole
sott
olin
eare
, in
man
iera
spe
cifi
ca, l
a po
ssib
ilità
dell’
ambi
ente
di p
rom
uove
re r
ileva
nti p
roce
ssi d
i cam
biam
ento
.•
Alc
une
acce
zion
i che
in t
ale
pros
pett
iva
il te
rmin
e te
rape
utic
ovi
ene
ad
assu
mer
e:•
1) l'
adat
tam
ento
alla
fas
e ev
olut
iva
e al
ret
rote
rra
cult
ural
e de
i min
ori
ospi
ti;
•2)
l’el
asti
cità
che
perm
ette
la r
egre
ssio
ne e
gar
anti
sce
quel
le m
odif
iche
or
gani
zzat
ive
e re
lazi
onal
i nec
essa
rie
ad o
ttem
pera
re a
lle e
sige
nze
mut
evol
i dei
gio
vani
osp
iti d
uran
te le
div
erse
fas
i del
pro
cess
odi
ca
mbi
amen
to;
•3)
il fa
tto
che
tutt
o lo
spa
zio
soci
ale
della
vit
a di
com
unit
à, in
teso
sia
com
e re
lazi
oni s
ia c
ome
atti
vità
, as
sum
a un
pos
sibi
le r
uolo
“r
ipar
ativ
o/ri
para
tori
o”;
•4)
il r
icon
osci
men
to a
ll'am
bien
te d
i com
pone
nti p
rote
ttiv
e in
gra
do d
i so
sten
ere
uno
svilu
ppo
ed u
n m
utam
ento
che
sup
erin
o il
livel
lo d
i pr
oget
tazi
one
orie
ntat
o al
la p
atol
ogia
. La
funz
ione
pro
tett
iva
deve
m
ostr
arsi
in g
rado
di m
odif
icar
e la
tra
iett
oria
di v
ita
intr
apre
sa d
al
sogg
etto
nel
la c
ondi
zion
e di
ris
chio
.
Vita
quo
tidi
ana
e st
rutt
uraz
ione
del
l’IO
Att
rave
rso
il co
ncet
to d
i am
bien
te
tera
peut
ico
si f
ocalizza
l’att
enzion
e (a
ll’inte
rno
di u
n’inte
rpre
tazion
e ps
icod
inam
ica)
sulla r
egolam
enta
zion
e de
lla v
ita
quot
idiana
per
cos
truire
oc
casion
i di s
uppo
rto
alle c
aren
ti f
unzion
i de
ll’Io
.
Key
ques
tion
s•
Come
si c
arat
terizz
a un
ambi
ente
te
rape
utico?
•Q
uali
sono
le
sue
dimen
sion
i fo
ndam
enta
li?•
-Ch
i so
no g
li at
tori c
he f
ungo
no d
a figu
re s
trut
tura
nti de
ll’inte
rven
to s
ui
minor
i co
n fu
nzioni “te
rape
utiche
”?
Cara
tter
isti
che
tera
peut
iche
del
quo
tidi
ano
•N
ell’a
mbi
ente
ter
apeu
tico
tut
ti i
mom
enti
del
la g
iorn
ata
hann
o ri
leva
nza
tera
peut
ica.
Ogn
i asp
etto
del
lo s
pazi
o fi
sico
e o
gni s
ua m
odal
ità
di f
unzi
onam
ento
èfi
naliz
zata
a
far
sent
ire
il so
gget
to “a
cas
a su
a.”
•U
n am
bien
te t
erap
euti
co c
erca
di r
icos
trui
re le
dim
ensi
oni
port
anti
del
la v
ita
quot
idia
na (s
pazi
e t
empi
) all’
inte
rno
della
qua
le s
i str
uttu
rano
rou
tine
e r
egol
e.•
L'az
ione
str
uttu
rant
e de
lla v
ita
quot
idia
narico
nosc
iuta
e pr
eved
ibile
ren
de p
ossi
bile
laco
ordina
zion
e de
lle
inte
razion
itr
amiteaz
ioni a
bitu
dina
rie,
oss
ia a
zion
i:•
dota
te d
i sen
so p
er t
utti
i pa
rtec
ipan
ti•
rile
vant
i sul
pia
no p
sico
logi
co p
er la
loro
fun
zion
e di
su
ppor
to a
lla c
ostr
uzio
ne
La p
rote
zion
e es
erci
tata
da
l quo
tidi
ano
Una
com
unità
prot
ettiva
riv
olge
la s
ua
atte
nzio
ne p
ropr
io alla
vita
quot
idiana
perc
hé“la
quot
idianità
prot
etta
”im
plica
ripe
titi
vità
, pre
vedi
bilit
à, f
amili
arit
àe
rass
icur
azio
ne; è
faci
lmen
te r
icon
osci
bile
ed
èra
ppre
sent
abile
a li
vello
men
tale
.
Rego
le,
rout
ine,
ritua
li
•I ritu
ali
sono
inte
razi
oni s
ocia
li s
chem
atiz
zate
che
incl
udon
o un
a pr
escr
izione
di r
uoli,
un’at
trib
uzione
di s
igni
fica
ti; r
icor
rono
inte
mpi
e lu
oghi
pre
vedi
bili,
for
nisc
ono
all’i
ndiv
iduo
un
sens
o di
id
enti
tàal
l’int
erno
di u
n pi
ùam
pio
grup
po.
•Le
rou
tine
div
enta
no r
itua
li qu
ando
oltr
e al
la f
unzi
one
prat
ica
di
elem
ento
org
aniz
zato
re d
ello
sti
le d
i vit
a fa
mili
are
forn
isco
noun
ara
ppre
sent
azio
ne s
imbo
lica
dell’
iden
tità
fam
iliar
e.•
Tutt
e le
com
unit
àsi
dan
no r
egol
e, t
utte
str
uttu
rano
la q
uoti
dian
ità
in r
outi
ne (i
l pra
nzo,
la c
ena,
i te
mpi
dei
com
piti
, and
are
a le
tto,
al
zars
i, et
c.)ma
occo
rre
valu
tare
qua
nto
ques
ti m
omen
ti d
ell’a
zion
e ri
petu
ta e
rit
ualiz
zata
div
enta
no il
luog
o de
lla n
egoz
iazi
one
e de
lla
cond
ivis
ione
di s
igni
fica
ti.
•Re
gole, ro
utine
e ritu
ali
poss
ono
esse
re i
punt
i for
ti d
i una
rea
ltà
impo
sta
o vi
ceve
rsa
i tas
selli
di u
na c
ostr
uzio
ne c
ondi
visa
.
Esem
pio:
Seq
uenz
ein
tera
ttiv
ein
com
unit
à•
L'ad
oles
cent
e la
ncia
una
pro
voca
zion
e ag
gres
siva
all’a
dulto
e
il ri
chia
mo
di q
uest
’ulti
mo
al r
ispe
tto
di n
orm
e di
ord
ine
gene
rale
che
reg
olan
o il
vive
re c
ivile
, il r
ispe
tto
fra
si f
a rife
rimen
toad
un
livel
lo c
odif
icat
o e
form
ale
della
co
nosc
enza
con
divi
sa c
he, p
er e
sser
e ac
cett
ato
e re
so
salie
nte
sul p
iano
sog
gett
ivo
ha b
isog
no d
i ess
ere
sper
imen
tato
nella
cos
truz
ione
inte
rsog
gett
iva
di ’
“ess
ere
con”
, in
una
rela
zion
e.•
Si p
uò c
hied
ere
di r
ispe
ttar
e qu
alco
sa c
he è
stat
o co
stru
itoinsiem
e in u
na r
elaz
ione
che
ha
valore
per
entr
ambi
i pa
rtne
r men
tre
il so
lo r
ichiam
o ad
asp
etti
form
ali
non
può
che
esse
re v
issu
to c
ome
un’ul
teri
ore
prov
ocaz
ione
per
chi
non
si è
mai
sen
tito
acc
olto
e
risp
etta
to.
Funz
iona
men
to d
ell’a
mbi
ente
te
rape
utic
o qu
otid
iano
Un
ambi
ente
ter
apeu
tico
foc
aliz
za
l’att
enzi
one
sull’
acqu
isiz
ione
da
part
e de
i m
inor
i o
giov
ani a
dult
i di c
ompe
tenz
eso
cialic
he s
i anc
oran
o ad
una
com
ples
sa
stru
ttur
a in
tera
ttiv
a in
cui
reg
ole
e ro
utin
e fu
nzio
nano
com
e lu
oghi
con
solid
ati
della
con
divi
sion
e di
sig
nifi
cati
e d
i re
cipr
oche
azi
oni.
Rego
lazi
one
del
quot
idia
no•
Il q
uoti
dian
o è
il m
ondo
del
le a
bitu
dini
, del
fam
iliar
e, d
ella
co
ntin
ua n
egoz
iazi
one
di s
igni
fica
ti, o
biet
tivi
e r
elaz
ioni
.•
Per
gli a
dult
i il q
uoti
dian
o è
il lu
ogo
del r
ipet
itiv
o, d
ell’o
vvio
, de
l ban
ale,
di a
tti c
ompi
uti s
enza
ren
ders
i con
to, m
a pe
r i
bam
bini
l’ov
vio
non
èan
cora
sed
imen
tato
, e r
ipet
izio
ne,
fam
iliar
ità
sem
bran
o es
sere
le d
imen
sion
i che
reg
olan
o i
proc
essi
di a
ppre
ndim
ento
.•
L’ac
quis
izio
ne d
i que
lle c
ompe
tenz
e ch
e co
nsen
tono
ai
bam
bini
di c
apir
e i s
enti
men
ti e
i co
mpo
rtam
enti
deg
li al
tri,
il co
mpr
ende
re il
fun
zion
amen
to d
elle
reg
ole
soci
ali e
la
sodd
isfa
zion
e de
i bis
ogni
em
otiv
i ad
esse
con
ness
i si
real
izza
no n
elle
inte
razi
oni q
uoti
dian
e co
n pa
rtne
rsfa
mili
ari.
Adu
lti sign
ificat
ivi
•Il
ter
min
e “a
ltro
sig
nifi
cati
vo”u
tiliz
zato
ori
gina
riam
ente
dal
la
teor
ia in
terp
erso
nale
del
la p
sich
iatr
ia in
dica
que
lle p
erso
ne
impo
rtan
ti p
er il
bam
bino
in q
uant
o in
flue
nzan
o pr
ofon
dam
ente
losv
ilupp
o de
l Sé,
pot
endo
pro
muo
vere
o r
idur
re il
suo
sta
to d
i be
ness
ere
(Sul
livan
, 195
3).
•Tu
tta
l’esp
erie
nza
infa
ntile
èor
gani
zzat
a in
mod
elli
rela
zion
ali
che,
al p
ari d
elle
str
uttu
re c
ogni
tive
dei
mod
elli
oper
ativ
i int
erni
, ve
ngon
o co
nser
vati
nel
sis
tem
a Sé
sott
o fo
rma
di m
emor
ia o
pr
evis
ione
che
gui
dano
la p
erce
zion
e de
lle r
elaz
ioni
pre
sent
i e
futu
re in
tut
to l’
arco
del
la v
ita.
•
Que
sta
defi
nizi
one
di “A
ltro
sig
nifi
cati
vo”m
olto
pro
ssim
a se
non
pr
opri
o co
inci
dent
e a
quel
la d
i “fi
gura
di a
ttac
cam
ento
”va
com
plet
ata
attr
aver
so il
ric
hiam
o, in
una
pro
spet
tiva
inte
ratt
ivo-
cost
ruzi
onis
ta, a
lle f
unzi
oni d
i tut
oring,
sca
ffolding
e fr
ame.
Scaf
folding
•L'
azio
ne t
utor
ia, s
trut
tura
nte
e su
ppor
tiva
degl
i ad
ulti
riv
olta
a m
ette
re in
gra
do c
olor
o ch
e ne
so
no c
oinv
olti
, di s
volg
ere
com
piti
, sup
erar
e di
ffic
oltà
, acq
uisi
re c
onos
cenz
e e
com
pete
nze
che
non
sare
bber
o in
gra
do d
i rea
lizza
re d
a so
li.
•Fu
nzio
ni d
i str
uttu
razi
one
che
l’adu
lto
com
pie
nei
conf
ront
i del
pro
cess
i di c
ostr
uzio
ne d
ella
co
nosc
enza
da
part
e de
l bam
bino
e s
i rif
eris
cono
al
l’esp
erie
nza
dire
tta
e co
ncre
ta c
he q
uest
’ulti
mo
fa d
ell’i
nter
azio
ne c
on l’
adul
to.
Form
at•
form
a st
anda
rdiz
zata
di a
zion
e co
ngiu
nta
in u
n co
ntes
to c
omun
icat
ivo.
•N
on è
lo s
cam
bio
in s
ém
a la
sua
str
uttu
ra d
i bas
e.•
Que
sti co
ncet
ti ind
ividua
no c
ome
indisp
ensa
bile
la f
unzion
e di s
uppo
rto
ed “im
palcat
ura”
che
l’adu
lto
deve
for
nire
al ba
mbi
no p
erch
équ
esti
sia
in g
rado
di elab
orar
e un
a co
nosc
enza
di sé
e de
l mon
do.
Funz
ioni c
he g
li ad
ulti s
ignifica
tivi
(edu
cato
ri d
i co
mun
ità)
dev
ono
asso
lver
e•
Per
i ba
mbi
ni p
iùpicc
oli
èqu
ello
di b
isog
no d
i relaz
ione
che,
insiem
e a
quello d
i co
mpe
tenz
a e
auto
nomia r
appr
esen
ta il
pri
mo
tra
i tre
bis
ogni
ps
icol
ogic
i fon
dam
enta
li de
l sis
tem
a de
l Sé
(Con
nell,
199
0).
• •N
ell’i
mpo
staz
ione
teo
rica
di C
onne
llil
sist
ema
del S
éè
un s
et d
i pro
cess
i di
valu
tazi
one
attr
aver
so c
ui il
Sé
valu
ta il
gra
do in
cui
i bi
sogn
i psi
colo
gici
ve
ngon
o so
ddis
fatt
i dal
l’am
bien
te c
irco
stan
te.
•Se
alla
bas
e dl
bis
ogno
di r
elaz
ione
si p
one
il pr
oces
so d
i att
acca
men
to, t
ale
biso
gno
rifl
ette
la n
eces
sità
di s
enti
rsi l
egat
o co
n si
cure
zza
agli
altr
i e d
i sp
erim
enta
re s
e st
esso
com
e m
erit
evol
e d’
amor
e e
capa
ce d
i am
are.
•
Dal
mom
ento
che
, sec
ondo
il p
roce
sso
di a
ttac
cam
ento
, que
sto
tipo
di
info
rmaz
ioni
èin
corp
orat
o ne
i mod
elli
del S
ée
dell’
altr
o ch
e l’i
ndiv
iduo
co
stru
isce
nel
cor
so d
elle
rel
azio
ni, i
l rap
port
o ch
e eg
li in
stau
ra c
on a
ltre
fi
gure
att
iva
tali
mod
elli
e le
per
cezi
oni r
ifer
ite
dai b
ambi
ni p
otre
bber
o pe
rmet
tere
di v
alut
are
in q
uale
mod
o i b
isog
ni p
sico
logi
ci d
el b
ambi
no s
iano
so
ddis
fatt
i.
Proc
esso
di f
unzion
amen
to p
rote
ttivo
della
com
unità
il ca
mbi
amen
to n
ella d
efinizione
di s
ée
del
sign
ificat
o at
trib
uito
alla
pro
pria c
ondizion
e di
svan
tagg
io
•La
com
unit
àsi
con
figu
ra c
ome
fatt
ore
prot
etti
vo n
ella
m
isur
a in
cui
svo
lge
una
funz
ione
str
uttu
rant
e ne
i con
fron
ti
del S
èe
delle
com
pete
nze
soci
ali e
cog
niti
ve d
el s
ogge
tto.
•D
ato
che
la b
assa
aut
osti
ma,
il s
enti
men
to d
i ver
gogn
a e
di
colp
a so
no u
na c
osta
nte
dei b
ambi
ni d
epri
vati
e m
altr
atta
ti,
l’org
aniz
zazi
one
del q
uoti
dian
o do
vreb
be e
sser
e ri
volt
a al
l'aum
enta
re il
sen
tim
ento
di e
ffic
acia
e d
i val
ore
pers
onal
e.
Pert
urba
re•
Tra
le f
unzi
oni d
ella
com
unit
àsp
icca
, in
man
iera
in
equi
voca
bile
, que
lla t
erap
euti
ca c
he c
onti
ene,
fin
da
ll’et
imol
ogia
del
ter
min
e, u
n si
gnif
icat
o di
cam
biam
ento
ch
e co
rris
pond
e ad
una
per
turb
azio
ne d
elle
asp
etta
tive
e
della
rea
ltà
rela
zion
ale
viss
uta
dal s
ogge
tto.
•
“Per
turb
are”
, in
ques
to c
aso,
sig
nifi
ca d
isco
nfer
mar
eun
a pe
rcez
ione
neg
ativ
a di
sé,
inga
bbia
ta e
ntro
ruo
li e
codi
ci
ster
eoti
pati
, avv
erti
ti c
ome
imm
utab
ili, e
cre
are
le
cond
izio
ni p
er u
n ap
proc
cio
alla
rel
azio
ne e
, qui
ndi a
l pro
prio
sé
, cap
ace
di s
pezz
are
anti
chi c
liché
attr
aver
so la
tr
asm
issi
one
di a
spet
tati
ve p
osit
ive
che
favo
risc
ono
un
rito
rno
di f
iduc
ia e
con
teni
men
to r
ispe
tto
alla
pro
pria
pe
rcez
ione
di s
ée
in r
elaz
ione
all’
altr
o.
Proc
essi
pro
tett
ivi
La c
omun
ità
atti
va u
n pr
oces
so d
i pro
tezi
one
quan
do è
in g
rado
di
:a)
ridur
re l’im
patt
o de
l fa
ttor
e risc
hio
tram
ite
la r
iduz
ione
de
l te
mpo
di es
posizion
e de
l minor
e a
situ
azioni c
he
implican
o st
ress
e d
isag
io e
mot
ivo.
In q
uest
o se
nso,
la c
omun
ità
deve
acc
oglie
re a
tten
tam
ente
il
man
dato
del
Ser
vizi
o so
cial
e o
del T
ribu
nale
che
ha
pred
ispo
sto
l’allo
ntan
amen
to d
el m
inor
e da
l suo
am
bien
te
fam
iliar
e, t
ram
ite
un d
osag
gio
mol
to o
cula
to n
ella
fre
quen
za
dei r
appo
rti c
on la
fam
iglia
e c
osti
tuen
dosi
com
e pr
esen
za
med
iatr
ice
nei m
omen
ti d
i pas
sagg
io t
ra c
omun
ità
e fa
mig
lia,
attr
aver
so la
pre
senz
a st
abili
zzan
te d
egli
educ
ator
i
Ciò
non
sign
ific
aim
pedi
re la
libe
rtà
della
com
unic
azio
ne
geni
tore
-fig
li o
allo
ntan
arli
defi
niti
vam
ente
l’u
no d
all’a
ltro
, ma,
reg
olar
e i t
empi
del
la
dist
anza
e d
el r
iavv
icin
amen
to, n
el r
ispe
tto
dei b
isog
ni d
i pro
tezi
one
man
ifes
tati
dal
m
inor
e, d
ei s
uoi t
empi
di e
labo
razi
one
del
dann
o su
bito
nec
essa
ri a
lla r
idef
iniz
ione
di
sée
della
pro
pria
sto
ria.
b) r
idur
re l’im
patt
o de
l fa
ttor
e risc
hio
tram
ite
un c
ambi
amen
to d
el
sign
ificat
o ch
e il
minor
e st
esso
at
trib
uisc
e alla c
ondizion
e sf
avor
evole
•O
ccor
re c
he la
com
unit
àm
ostr
i la
prop
ria
capa
cità
nell’
offr
ire
sost
egno
psi
colo
gico
alla
pau
re m
anif
esta
te d
ai
raga
zzi v
erso
la p
ropr
ia f
amig
lia e
, con
tem
pora
neam
ente
, co
nsen
ta a
i rag
azzi
di p
oter
rie
labo
rare
pos
itiv
amen
te le
fi
gure
par
enta
li pe
r ri
guad
agna
rle
nel p
ropr
io s
cena
rio
inte
rno.
•N
ella
gra
n pa
rte
dei c
asi a
que
sta
ride
fini
zion
e di
sé
in
rapp
orto
a c
hi s
i èst
ati e
con
chi
, va
affi
anca
to il
sos
tegn
o di
rett
o al
sup
eram
ento
del
l’eti
chet
tam
ento
soci
ale
che,
se
gnal
ando
dive
rsit
àpr
esun
te o
rea
li, in
terv
iene
ad
aggr
avar
e un
a si
tuaz
ione
già
mol
to d
olor
osa
e co
mpr
omes
sa.
c) r
idur
re o
lim
itar
e la
cate
na d
i re
azioni
nega
tive
.•
In q
uest
o se
nso
va d
iret
to o
gni s
forz
o pe
r ev
itar
e il
suss
egui
rsi d
i ri
spos
te a
bban
doni
che
(ado
zion
i o a
ffid
amen
ti a
cui
seg
uono
in
seri
men
ti t
ardi
vi in
com
unit
ào
isti
tuzi
onal
izza
zion
i), l’
accu
mul
arsi
de
l rit
ardo
sco
last
ico,
l’ag
grav
amen
to d
elle
dif
fico
ltà
rela
zion
ali
alle
qua
li co
nseg
uono
, ine
vita
bilm
ente
, suc
cess
ive
prob
lem
atic
hene
lle r
elaz
ioni
inti
me
con
il pa
rtne
r e
con
i fig
i.•
Una
cor
rett
a va
luta
zion
e da
par
te d
egli
enti
com
pete
nti d
elle
co
ndiz
ioni
di d
isag
io in
izia
le e
un’a
ltre
ttan
to a
ccur
ata
risp
osta
sul
le
solu
zion
i più
indi
cate
, con
sent
e al
la c
omun
ità
di in
terv
enir
e co
n un
a pr
oget
tazi
one
indi
vidu
ale,
sen
sibi
le a
l rec
uper
o de
i dan
ni p
rese
nti,
inte
grat
a co
n gl
i alt
ri in
terv
enti
dir
etti
all’
ambi
ente
fam
iliar
e, e
fi
naliz
zata
ad
impe
dire
que
lle c
ondi
zion
i di t
rasm
issi
one
inte
rgen
eraz
iona
le d
el d
anno
a c
ui v
anno
add
ebit
ati,
com
e è
orm
ai
asso
dato
, esi
ti e
volu
tivi
infa
usti
;
d)fa
vorire
l’in
stau
rars
i di u
n se
ntim
ento
pos
itivo
relativo
alla
st
ima
di s
ée
all’e
fficac
ia
pers
onale.
•Il
cam
biam
ento
nel
l’im
mag
ine
di s
é, n
ella
per
cezi
one
della
pr
opri
a ef
fica
cia
e co
mpe
tenz
a, r
isul
tato
di u
na c
o-co
stru
zion
edi
sto
rie
affe
ttiv
amen
te r
icch
e e
solid
e,
rich
iede
alla
com
unit
àdi
far
si g
aran
te d
ella
sta
bilit
àre
lazi
onal
e de
ll’am
bien
te, a
ffin
ché
la r
elaz
ione
con
l’e
duca
tore
si c
arat
teri
zzi c
ome
“bas
e si
cura
”, in
gra
do d
i pr
omuo
vere
in o
gni r
agaz
zo u
na p
erso
nale
cap
acit
àpr
oget
tual
e, in
crem
enta
ndo
la s
ua s
icur
ezza
nel
fut
uro
e re
nden
do m
anif
esti
i su
cces
si d
a lu
i ott
enut
i con
l’a
ppro
vazi
one
e l’a
ccog
lienz
a; e
, inf
ine,
ren
dend
o ai
suo
i oc
chi p
ossi
bili
anch
e nu
ovi e
più
com
ples
si o
biet
tivi
at
trav
erso
l’es
erci
zio
del t
utor
ing
e de
llo s
caff
oldi
ng.
•Tu
tto
ciò
èpo
ssib
ile s
olo
dove
ven
gano
for
nite
al m
inor
e nu
ove
oppo
rtun
ità
relazion
alie
sociali.
Tens
ione
al c
ambi
amen
to•
A t
ale
prop
osit
o, v
a ri
badi
ta la
nov
ità
rela
zion
ale
dell’
inte
rven
to d
i com
unit
à, in
net
ta d
isco
ntin
uità
con
l’am
bien
te d
’ori
gine
e in
ten
sion
e ve
rso
la d
efin
izio
ne d
i un
futu
ro d
iver
so.
•L’
ambi
ente
del
la c
omun
ità
non
può
che
esse
re e
spre
ssio
ne d
i qu
esta
ten
sion
e al
cam
biam
ento
, res
a vi
sibi
le d
alla
cur
a de
gli
ambi
enti
, dal
la q
ualit
àe
dall’
atte
nzio
ne a
lla c
ura
pers
onal
e e
alla
cuc
ina,
dal
ben
esse
re d
ella
vit
a qu
otid
iana
, dal
la
poss
ibili
tàdi
fre
quen
tare
nuo
vi a
mic
i e n
uove
sit
uazi
oni e
di
esse
re im
pegn
ati i
n at
tivi
tàdi
vers
e e
stim
olan
ti in
gra
do d
i at
tiva
re n
uovi
can
ali d
i esp
ress
ione
per
sona
le e
di e
licit
are
viss
uti e
moz
iona
li di
vers
i.
Bibl
iogr
afia
ess
enzi
ale
Bast
iano
niP.
Tau
rino
A. (
2009
) Le
com
unit
àpe
r m
inor
i .
Caro
cciF
aber
, Rom
a.
Bast
iano
niP.
(200
0) I
nter
azio
ni in
com
unit
à. C
aroc
ci, R
oma.
Emili
ani F
., Ba
stia
noni
P (1
993)
, Una
nor
mal
e
sol
itud
ine,
Caro
cci,
Rom
a.
Di B
lasi
oP.
(200
0) P
sico
logi
a de
l bam
bino
mal
trat
to, I
l Mul
ino,
Bo
logn
a
Finito di stampare nel mese di marzo 2010 presso la Divisione di Stampa Digitale
Associazione Padre Monti info: [email protected]
Consulta Diocesana per le attività a favore
dei minori e delle famiglie
Stampato in proprio - Marzo [email protected]