La comunità per minori come ambiente terapeutico globale · aiuto davvero questa persona che mi è...

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Educare col cuore La comunità per minori come ambiente terapeutico globale Massimiliano Sabbadini, Paola Bastianoni, Federico Zullo

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Educare col cuore

La comunità per minori come ambiente terapeutico globale

Massimiliano Sabbadini, Paola Bastianoni, Federico Zullo

Massimiliano Sabbadini Paola Bastianoni Federico Zullo

EDUCARE COL CUORE: LA COMUNITÀ PER MINORI COME AMBIENTE

TERAPEUTICO GLOBALE

atti della formazione autunnale della Consulta Diocesana per le attività a favore dei minori e delle famiglie

ONLUS

Genova 12 – 13 – 16 NOVEMBRE 2009

INDICE GENERALE

Introduzione 5

TESTI

Paola Bastianoni 7La comunità per minori come ambiente terapeutico globale

Paola Bastianoni e Federico Zullo 49L’esperienza di comunità: opinioni e testimonianze di giovani

che l’hanno vissuto

Don Massimiliano Sabbadini 65Il mistero dell’oratorio

SLIDE

Paola Bastianoni e Federico Zullo 81Limitare i fattori di rischio: processi di valutazione, ricerca e intervento nelle comunità per minori

Paola Bastianoni 126Prendersi cura di chi cura: il ruolo della supervisione in comunità

Paola Bastianoni e Federico Zullo 144Formazione e supervisione clinica alle equipe educative nelle comunità per minori

Paola Bastianoni e Federico Zullo 165La funzione riparativa della vita quotidiana in comunità

Introduzione L’educazione è cosa di cuore, come dicevano i santi fondatori delle nostre congregazioni. E questo concetto/esperienza che ci unisce, viene, in questi atti e nella formazione della Consulta, esplorato attraverso tre canali fondamentali che sono poi il fondamento del metodo preventivo di don Bosco: amore, ragione e religione. La “ragione” viene approfondita, per così dire, con gli approcci di oggi: la riflessione pedagogica in primis. Il concetto viene qui presentato da un approccio di studi che fonda l’agire educativo come elemento terapeutico e il vivere in comunità come un approccio globale. Troviamo dunque un’inaspettata convergenza di sentire e di “ragionare” – appunto – su come occorra vivere in comunità e sul primato dato all’educare per poter dire: aiuto davvero questa persona che mi è affidata e che arriva da storie difficili. Infatti l’idea di "ambiente terapeutico globale" (Winnicott, 1965; Bettelheim, 1950; Redl e Wineman, 1951) sottolinea l’importanza della vita quotidiana come luogo "pensato" nella sua globalità per realizzare l'intervento riparativo e terapeutico, rifiutando la separazione fra un setting "a parte" deputato all'intervento psicoterapico. Il cuore e la religione vengono invece esplorati da don Massimiliano Sabbadini, proprio attraverso il metodo di don Bosco stesso. Occorre che l’educatore provi a trasmutare questi spunti dell’esperienza dell’oratorio nel proprio lavoro quotidiano. Infatti i testi e l’approccio spiegano il metodo preventivo dentro contesti che a noi sono prossimi. Dunque è affidato al lettore la “traduzione” esperienziale della narrazione, così affascinante dell’esperienza educativa con i ragazzi. Il testo, nato per tenere memoria della formazione autunnale degli operatori della Consulta di Genova, contiene anche, in appendice, le slide del corso. Fabio Gerosa, Don Marco Grega. www.consultadiocesana.org

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LA COMUNITÀ PER MINORI COME AMBIENTE TERAPEUTICO GLOBALE

Prof.ssa Paola BastianoniUniversità di Ferrara

1. Le comunità per minori

Il termine comunità per minori sottende un insieme variegato e articolato di modi di vivere il quotidiano (comunità educative, case famiglia, gruppo-famiglia, comunità di tipo familiare, etc.), messi in atto da piccoli gruppi di persone (educatori, volontari, assieme a bambini/e e/o ragazzi/e allontanati dalle loro famiglie d’origine, affidatarie e/o adottive, o da altre comunità e/o istituti) per un certo periodo della loro vita.

La scelta di vivere questa esperienza è senza dubbio per alcuni (gli adulti, i professionisti) assolutamente volontaria e libera, mentre per gli altri (i bambini/ragazzi per cui è stato predisposto l’allontanamento dalla famiglia d’origine) è imposta come un intervento di protezione, di sostegno e di aiuto.

Gli adulti dunque possono fare questa scelta per vocazione o per professione o per l’una e l’altra ragione contemporaneamente; possono limitarla nel tempo quotidiano e/o settimanale (attraverso la definizione di precise turnazioni), oppure possono decidere di non porre limiti di tempo quotidiano, scegliendo la forma residenziale di convivenza, che può prevedere un limite programmato di alcuni anni della propria vita da adulto.

I neonati, i bambini e gli adolescenti allontanati dalle famiglie d’origine non scelgono e non possono scegliere volontariamente di vivere in comunità, anche se, a partire dai dodici anni, dato che la legge in materia impone ai Servizi sociali e ai Tribunali per i minorenni di ascoltare anche il loro parere, possono partecipare più attivamente al processo di affidamento loro proposto. La comunità quindi è per loro una non-scelta, un’occasione resa indispensabile e inevitabile, per mettere in atto un intervento di protezione, crescita e tutela, in totale discontinuità con i rischi e i danni familiari in cui sono incorsi.

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La comunità è il contesto che li vede crescere, ammalarsi, guarire, mangiare, dormire. E’ il luogo dove si arrabbiano, sperano, imparano, rifiutano, trascorrono tutto il loro tempo, consumano e realizzano i loro compiti evolutivi, vivono i loro affetti, sperimentano le interazioni che caratterizzano la loro quotidianità e le loro relazioni, significative e non.

I neonati/i bambini/gli adolescenti non impostano la loro presenza su specifici turni (come fanno invece i professionisti e gli educatori coinvolti nel lavoro di comunità), non hanno alternative per trascorrere altrove la loro esistenza. Loro vivono in comunità a tempo pieno, il tempo della loro unica e irripetibile età (che sia l’infanzia, la prima adolescenza o l’adolescenza); il tempo della loro vita.

La comunità si pone di conseguenza come un contesto che deve intervenire, in termini riparatori, sulle disfunzionalità evolutive dei minori ospiti. Ma per cogliere le modalità attraverso cui deve esplicarsi tale intervento, individuando i reali ancoraggi di un’azione terapeutico-educativa checonsideri la variegata complessità di tutti gli aspetti psicologici e psico-sociali implicati e da valutare in questa specifica forma di affido dopo abuso, è necessario, in primissima istanza, comprendere, più nello specifico, chi sono i minori in comunità, dal momento che solo in questo modo è possibile accedere, nel contempo, ad un piano di individuazione delle differenti tipologie di intervento stesso, che la comunità deve strutturare, per offrire realmente occasioni di sostegno, supporto alle funzioni evolutive che per i minori in questione sono state minate da dinamiche intrafamiliari ceh non hanno garantito protezione, cura, tutela, normatività e condivisione emotiva, ovvero tutte quelle funzioni genitoriali che si connotano come i fattori strutturanti di adeguati processi di sviluppo idenititario.

2. I minori in comunità

Approfondendo pertanto il discorso sulla definizione delle caratterizzazioni che contraddistinguono i minori in comunità si può affermare che si tratta di bambini, ragazzi/adolescenti deprivati, laddove per deprivazione si intende la distruzione o la perdita dei legami significativi precoci; perdita che può comportare un disturbo reattivo i cui sintomi sono la mancanza di capacità

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di dare e ricevere affetto, la messa in atto di comportamenti aggressivi verso gli altri e verso se stessi, consistenti problemi di controllo.

Si tratta di bambini/ragazzi/adolescenti che sperimentano spesso una molteplicità di condizioni di vita: ricoveri in istituti, affidamenti falliti a famiglie, a comunità e tardive adozioni, ma, come è noto agli operatori sociali, diventano storie molto difficili il cui unico tratto di continuità è segnato dalla costante ripetizione della catena di rifiuti, abbandoni e tradimenti.

Si tratta di minori nella maggior parte dei casi connotati da una forma di psicopatologia che sfocia in condizioni di mancanza di affettività, nell’interiorizzazione del senso di vergogna o del senso di colpa, e dalla difficoltà emozionale di entrare in una relazione empatica con gli altri. Le difficoltà di relazione si configurano, pertanto come i principali esiti disadattivi del quadro di deprivazione appena descritto.

Pur con la dovuta cautela, imposta dal rischio di effettuare generalizzazioni eccessive, e sottostimando la variabilità individuale nella risposta al danno, è possibile tuttavia rilevare che emerge una grande richiesta di sostegno emotivo, che viene proprio avanzata da chi si trova gravemente deprivato dell’esperienza primaria dell’amore e dell’accoglienza strutturante.

Gli studi sulle conseguenze psicologiche del maltrattamento e dell’abuso consentono di centrare l’attenzione sulle condizioni di vita di bambini e adolescenti abusati/maltrattati, evidenziando e dimostrando che quanto più precoce è l’intervento riparativo, tanto più completa è la reversibilità del danno.Se si prendono in considerazione le descrizioni di bambini e adolescenti che hanno subito maltrattamenti fisici, trascuratezza e/o maltrattamento psicologico- condizioni, queste ultime, che accomunano le storie di tutti i minori in carico ai servizi sociali e i minori presenti nelle comunità educative- troviamo l'unanime presenza di problemi scolastici e dell'apprendimento, connessi a ritardi dello sviluppo intellettivo; difficoltà sociali ed emozionali, comprensive di ostilità, aggressività, passività, bassa stima di sé e, nel lungo periodo, esiti nella devianza e nella psicopatologia conclamata.

La Crittenden (1985) descrive i ragazzi trascurati come passivi, senza difese, con significativi ritardi dello sviluppo e disarmati in condizioni di stress;

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mentre quelli maltrattati fìsicamente sembrano presentare un temperamento difficile e, sotto stress, manifestano accentuata impulsività e rabbia.

Nell'ambito del maltrattamento psicologico vengono rilevate molte aree compromesse che coprono una vastità di sintomi a breve e a lungo termine quali: disturbi dell'alimentazione, bassa stima di sé, instabilità e ridotta sensibilità emozionale, mancanza di fiducia negli altri, dipendenza emotiva, forme di accentuata incompetenza e difficoltà nell'apprendimento, depressione, ritardi evolutivi, uso di droga e altre forme di dipendenza.

Pur nella grande variabilità delle configurazioni individuali, la costellazione delle aree dello sviluppo più frequentemente compromessa si ripresenta, sistematicamente, a carico del legame di attaccamento e della capacità di coinvolgimento in relazioni affettive, dell'adattamento e delle competenze sociali e cognitivo-emozionali.

Ne deriva di conseguenza che qualunque struttura di accoglienza per bambini e/o adolescenti che hanno subito un danno evolutivo a seguito della mancanza o della distorsione della funzione strutturante delle relazioni di attaccamento nell'infanzia, deve porsi il problema di riprodurre tale funzione in relazione all'età dei soggetti e al ritardo evolutivo presentato.

Le strutture residenziali di accoglienza per la prima infanzia devono necessariamente considerare, rispetto alla possibilità di costruire forme adeguate di intervento, tutto il quadro appena esposto, e, in funzione di questo, determinare la valutazione dei tempi di permanenza, il numero degli adulti in rapporto ai soggetti ospiti e la loro stabilità per la formazione di legami significativi, l'integrazione fra un modello teorico di riferimento e la progettazione organizzativa della struttura sul singolo e sul disturbo/sulla disfunzione specifica manifestata.

Le problematiche di disadattamento presentate dai minori in comunità possono essere infatti meglio affrontate se si adotta una prospettiva che interviene sulla qualità delle relazioni intracontestuali (interne alla comunità), tenendo presente la funzione supportiva che la struttura della vita quotidiana fornisce ai minori ospiti.

Facendo pertanto riferimento alla funzione dell’ambiente relazionale sullo sviluppo affettivo e sullo sviluppo del Sé, (funzioni che già in fasi

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precocissime, consentono, come afferma Winnicott, lo sviluppo emozionale primario) gli interventi di comunità devono necessariamente impostarsi sulla considerazione dell’imprescindibile costruzione/strutturazione di dinamiche e processi relazionali ed emotivo-affettivi, che consentano la realizzazione di un ambiente che intervenga, in modo simbolicamente e riparatoriamente regressivo, sui casi di deprivazione/maltrattamento, ricreando uno specifico setting che deve essere teso a recuperare, ricostruire, attualizzare le primarie funzioni strutturanti fallite, invertendo il percorso di sviluppo disfunzionale determinato ed avviato dai precoci fallimenti ambientali da considerarsi come la causa precipua di privazione e/o deprivazione. La comunità deve pertanto imporsi come un ambienteterapeutico globale.

3. La comunità come un ambiente terapeutico globale .

L'uso del termine terapeutico vuole sottolineare, in maniera specifica, la possibilità dell'ambiente (in questo caso la comunità) di promuovere rilevanti processi di cambiamento. Più nello specifico, è possibile affermare che la comunità, per svolgere realmente funzione terapeutica, ossia per attivare e produrre processualità trasformative in senso efficacemente evolutivo deve tener conto delle seguenti dimensioni:

- adattamento degli interventi alla fase evolutiva e al retroterra culturale dei minori ospiti;

-elasticità degli interventi che permette la regressione e garantisce quelle modifiche organizzative e relazionali necessarie ad ottemperare alle esigenze mutevoli dei giovani ospiti durante le diverse fasi del processo di cambiamento;

-organizzazione dello spazio sociale della vita di comunità (inteso sia come relazioni, sia come attività) sulla base di una imprescindibile assunzione di un ruolo riparativo;

-riconoscimento all'ambiente di componenti protettive in grado di sostenere uno sviluppo ed un mutamento che superino il livello di progettazione orientato alla patologia, ovvero la funzione protettiva deve mostrarsi in

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grado di modificare la traiettoria di vita intrapresa dal soggetto nella condizione di rischio.

Ognuno di questi aspetti, utilizzato come griglia per una riflessione approfondita interna all'equipe educativa o resa pubblica tramite i consueti strumenti di relazione con l'esterno (relazioni periodiche ai servizi sociali e al Tribunale) consente di esprimere una valutazione sulla pertinenza del funzionamento terapeutico della comunità in ogni singolo e specifico momento della sua fase evolutiva.

Spieghiamo meglio il costrutto di ambiente terapeutico globale, espressione che se non viene adeguatamente spiegata e sviluppata nelle sue complesse ed interessanti implicazioni non solo concettuali, ma anche pratico-operative, rischia di essere distorta e non compresa nelle sue istanze “rivoluzionarie” rispetto agli interventi di comunità, dal momento che la considerazione della comunità stessa come dimensione terapeutica in senso globale rappresenta il punto di svolta/o di passaggio da una dimensione istituzionale/istituzionalizzante degli interventi, ad una dimensione di tipo relazionale. Ma procediamo con ordine.

L'idea di «ambiente terapeutico globale» (Winnicott, 1965; da Bettelheim, 1950; Redl Wineman, 1951) chiarisce che in una comunità per minori ciò che svolge funzione terapeutica è la vita quotidiana da intendersi come luogo "pensato" nella sua globalità per realizzare l'intervento riparativo e terapeutico stesso. In questo senso, ciò che appare come particolarmente interessante e incisivo, soprattutto in relazione alla tipologia di problemi presentati dai bambini e dagli adolescenti deprivati e maltrattati, è il rifiuto della separazione fra un setting "a parte" deputato all'intervento psicoterapico (l'ora settimanale nello studio dello psicoterapeuta ad esempio) e la vita di ogni giorno all'interno della struttura residenziale. Il modello proposto dagli autori citati, infatti, tende a realizzare una forte compenetrazione fra l'interpretazione teorica del disturbo manifesto e la costruzione della quoti-dignità, enfatizzando come tutta l'organizzazione del quotidiano nella struttura residenziale deve essere considerata come parte integrante dell'intervento riabilitativo e terapeutico.

L’esperienza di formazione e di supervisione in comunità, purtroppo, porta a ritenere che, nella maggior parte delle comunità, è ancora il modello della separazione a predominare: il minore va dallo psicologo magari un'ora tutte le settimane, trascorrendo tutto il resto del tempo in un ambiente che, per-

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seguendo obiettivi preminentemente assistenziali, di custodia e blandamente educativi, viene svuotato da qualsiasi valenza "terapeutica".

L’uso del termine terapeutico vuol sottolineare in maniera specifica la possibilità dell’ambiente comunità di promuovere rilevanti processi di cambiamento. In questo sede, ciò che si vuol mettere in risalto è che la anche la psicoterapia individuale (riprendendo l’esempio cui prima si è fatto riferimento), deve essere integrata agli altri interventi realizzati all’interno delle attività e delle relazioni di ogni giorno in comunità, in un lavoro di confronto fra tutti gli operatori che consentirebbe all’interno di ogni equipe educativa di lavorare con un livello di conoscenze e di informazioni più integrato. In molte comunità l’interdipendenza tra l’analisi del problema portato dai minori ospiti e la teoria di riferimento adottata per affrontare quei problemi stessi, non si articola neppure in progetti educativi ragionati su obiettivi da perseguire, e le stesse considerazioni sono estensibili ai servizi territoriali che valutano per primi il caso e lo propongono alla comunità, senza occuparsi di svolgere un’attenta valutazione dei rischi e delle risorse, rendendo così manifesto il preminente interesse per la dimensione della collocazione, piuttosto che per la reale promozione del cambiamento nel percorso evolutivo del minore deprivato/maltrattato/abusato.

Su un piano di recupero delle dimensioni teoriche alla base di tale discorso, nei classici lavori in cui si trova utilizzata la nozione di ambiente terapeutico globale, il quadro concettuale è fornito dalla psicoanalisi, ma è interessante rilevare, facendo riferimento a chi ha introdotto in Italia l’operazionalizzazione di tale costrutto stesso attraverso la progettazione di contesti di comunità rispondenti a tale modello (Bastianoni ed Emiliani, 1993), che risulta ancora più idoneo ed incisivo assumere come cornice interpretativa la teoria interattivo-costruzionista dello sviluppo che pone al suo centro la nozione di scaffolding, ovvero l'azione strutturante e supportiva degli adulti che, in una concezione fortemente interazionista, mette in grado coloro che ne sono coinvolti (minori), di svolgere compiti, superare difficoltà, acquisire conoscenze e competenze che non sarebbero in grado di realizzare da soli. Se nel corso delle prime esperienze evolutive la funzione di scaffolding concerne principalmente l'interazione diretta fra adulti e bambini, successivamente essa viene attuata in modo permanente da parte dei contesti sociali nella loro organizzazione di regole, routine, rituali e significati condivisi. L'azione strutturante operata da tali elementi riconosciuti e prevedibili rende possibile la coordinazione delle interazioni che sarebbe

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altrimenti difficile o quantomeno molto costosa. La famiglia, la scuola, i gruppi dei pari sono luoghi di costruzione di significati che vengono progressivamente incorporati alla cultura di quel gruppo tramite azioni abitudinarie dotate di senso per tutti i partecipanti e rilevanti sul piano psicologico per la loro funzione di supporto alla costruzione della conoscenza di sé, dell'identità e della realtà circostante.

Riprendendo questi aspetti relativamente all’oggetto della nostra discussione, ne deriva che, rispetto agli interventi di comunità è necessario ed imprescindibile attribuire e rivolgere un'attenzione particolare alla vita quotidiana proprio perché essa è ripetitiva e, quindi, prevedibile, totalmente familiare e, pertanto, rassicurante; concerne il qui ed ora ed è facilmente rico-noscibile e rappresentabile a livello mentale, e, quindi, ha un impatto diretto sulla persona. Tutte queste caratteristiche possono essere utilizzate positivamente nei confronti di soggetti ai quali tutto questo è mancato. Si può ripartire dalla cura del corpo per riorganizzare affetti, spazio e tempo, conoscenze nella dimensione intersoggettiva.

L'organizzazione delle routine, delle regole e dei rituali familiari può costituire un indicatore di rischio psicosociale in famiglia. In accordo con la definizione di Bennett, Wolin e McAvity (1988), consideriamo i rituali come interazioni sociali schematizzate che includono una prescrizione di ruoli e un'attribuzione di significati; ricorrono in tempi e luoghi prevedibili e forni-scono all'individuo un senso di identità all'interno di un più ampio gruppo. Le routine, nell'accezione di Goffman, diventano rituali quando oltre alla funzione pratica di elemento organizzatore dello stile di vita familiare, forniscono una rappresentazione simbolica dell'identità familiare. La funzione regolatoria di questi elementi ha reso il loro studio di particolare interesse anche in ambito clinico (Wolin, Bennett, 1984).

I risultati di interessanti ricerche (Emiliani, Bastianoni, 1993), dimostrano che i "ragazzi a rischio" attribuiscono maggiore importanza alle routine regolatorie, mentre i soggetti non a rischio (che costituiscono il gruppo di controllo) vivono più frequentemente routine che facilitano l’incontro e la comunicazione fra i membri della famiglia e ad esse attribuiscono maggiore importanza per mantenere un buon clima familiare. Anche per quanto riguarda i rituali è possibile rilevare che, per i ragazzi a rischio, questi sono meno frequenti e, soprattutto non ne riconoscono le dimensioni simboliche e affettive.

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In questo senso, allora, è possiamo riconsiderare il fatto che certamente tutte le comunità si danno delle regole e strutturano la quotidianità in routine (il pranzo, la cena, i tempi dei compiti, andare a letto, alzarsi eco), ma occorre valutare quanto questi momenti dell'azione ripetuta e ritualizzata diventino il luogo della negoziazione e della condivisione di significati. Regole, routine e le celebrazioni rituali possono essere i punti forti di una realtà imposta o viceversa i tasselli di una costruzione condivisa.

A questo proposito vale la pena riflettere un momento ad esempio su una tipologia di sequenza interattiva molto frequente in comunità: un adolescente che lancia una provocazione aggressiva all'adulto.

La modalità adeguata di intervento all’interno di questa sequenza implica che il richiamo di dell’adulto al rispetto di norme di ordine generale che regolano il vivere civile, il rispetto fra le persone, la buona educazione, o anche l'appello al riconoscimento del proprio ruolo di adulto e di educatore, fanno riferimento ad un livello codificato e formale della conoscenza condivisa che, per essere accettato e reso saliente sul piano soggettivo, ha bisogno di essere sperimentato nella costruzione intersoggettiva di significati che in primo luogo riguardano l'"essere con", l'essere reciprocamente implicati in una relazione. Si può chiedere, in sostanza, di rispettare qualcosa che è stato costruito insieme, in una relazione che ha valore e riconoscimento da parte di entrambi i partner, mentre il solo richiamo ad aspetti formali non può che essere vissuto dall'adolescente come un'ulteriore provocazione per chi non si è mai sentito accolto e rispettato. Non si può prescindere, infatti, dall'assetto cognitivo ed emotivo che caratterizza, come vittime, i ragazzi "casi sociali" per i quali ciò che viene percepito come provocazione e insulto legittima la risposta violenta intesa come una forma di equità che ristabilisce una sorta di giustizia. La costruzione di storie e conoscenze in comune richiede tempo e stabilità delle relazioni che diventano criteri per prevedere e organizzare la presenza nella comunità di adulti significativi, facendo sì che gli educatori stessi si configurino per i ragazzi come adulti significativi.

Riprendendo sinteticamente quanto finora affermato, è possibile rilevare che la formulazione più esaustiva del concetto di comunità come ambiente terapeutico, riprende i temi di Winnicott relativi alla regressione come elemento di autocura e sostiene la necessità di procurare al bambino deprivato o maltrattato un ambiente adeguato a permettergli di perdere le acquisizioni fatte per costrizione e sottomissione e per ritrovare la spontaneità dello sviluppo e della fiducia nel mondo esterno. La regressione

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rappresenta la speranza dell’individuo che certi aspetti dell’ambiente che in origine fallirono possano essere rivissuti e che questa volta l’ambiente riesca, invece di fallire, nella sua funzione di favorire la tendenza naturale dell’individuo a svilupparsi e a maturare.

Proprio su questi presupposti si fonda pertanto l’organizzazione della comunità residenziali per minori, ossia impostare la struttura (dagli spazi fisici alle attività quotidiane) come parte integrante dell’intervento terapeutico, con l’obiettivo specifico di riparare i precoci fallimenti ambientali. Attraverso il concetto di ambiente terapeutico si focalizza l’attenzione (all’interno di un’interpretazione psicodinamica) sulla regolamentazione della vita quotidiana per costruire occasioni di supporto alle carenti funzioni dell’Io all’interno di specifiche relazioni vissute come emotivamente “significative” insieme ad adulti/altri significativi.

Il termine “altro significativo” utilizzato originariamente dalla teoria interpersonale della psichiatria indica quelle persone importanti per il bambino in quanto influenzano profondamente lo sviluppo del Sé, potendo promuovere o ridurre il suo stato di benessere (Sullivan, 1953).

Tutta l’esperienza infantile è organizzata in modelli relazionali che, al pari delle strutture cognitive dei modelli operativi interni, vengono conservati nel sistema Sé sotto forma di memoria o previsione che guidano la percezione delle relazioni presenti e future in tutto l’arco della vita. Un Altrosignificativo o Altri significativi incontrati in momenti successivi alla prima infanzia, in spazi quotidiano deputati alla condivisione della vita di ogni giorno, quali le comunità per minori possono perturbare i precoci modelli relazionali attraverso nuove modalità relazionali in discontinuità con le precedenti che nel tempo possono produrre cambiamento.

Questa definizione di “Altro significativo” molto prossima se non proprio coincidente a quella di “figura di attaccamento” va completata attraverso il richiamo, in una prospettiva interattivo-costruzionista, alle funzioni di tutoring, scaffolding e frame che gli educatori di comunità sono chiamati a svolgere. Nella letteratura il concetto di scaffolding è affiancato a quello di tutoring che viene spesso usato come sinonimo. Entrambi indicano l’attività di guida e supporto realizzata da un partner più competente nelle interazioni con un partner meno competente impegnato in un processo di apprendimento. In questa accezione entrambi i termini includono una gamma articolata di attività, ma “scaffolding”, nell’accezione originaria

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indica più specificamente quell’azione di regolazione competente svolta dall’adulto nel fornire un’impalcatura, una struttura di sostegno capace di guidare l’azione del meno esperto, il bambino, riducendo le possibilità della sua libera azione entro un campo definito e controllato, permettendogli di portare a compimento l’attività senza farsi carico di tutto l’impegno cognitivo che richiede.

Facendo riferimento a questa accezione, asseriscono Fasulo e Pontecorvo (1998), lo scaffolding è una specifica modalità o fase, a sua volta articolata dell’attività di tutoring (vi si possono annoverare il reclutamento all’attività, la semplificazione delle componenti del compito, l’enfasi sulle razioni risolutive, etc.): tale attività pertanto, può, nel suo realizzarsi, includere anche altri tipi di mediazione e regolazione. Questi concetti individuano come indispensabile la funzione di supporto ed “impalcatura” che l’adulto deve fornire al bambino perché questi sia in grado di elaborare una conoscenza di sé e del mondo.

Nell’ambiente terapeutico tutti i momenti della giornata hanno rilevanza terapeutica, laddove siano presenti situazioni interattive e relazionali gestite da adulti, che devono accedere, con il loro stesso operato quotidiano, alla dimensione della significatività per il minore in comunità.

Si può ripartire dalla cura del corpo per riorganizzare affetti, spazio e tempo, conoscenze nella dimensione intersoggettiva. Si può svolgere la funzione di tutor nell’accompagnare il ragazzo a svolgere sequenze complesse di compiti quotidiani. Si possono contenere le sue paure interne e le paure del confronto con l’esterno. Si può sostenere la sua capacità di sentirsi efficace sull’ambiente rendendo la vita quotidiana rassicurante nella ripetizione di azioni quotidiane condivide ed elastica ed aperta ai cambiamenti richiesti dal ragazzo stesso. Un ambiente così strutturato svolge una funzione protettiva al rischio psicopatologico e psicosociale incorso dal minore consentendogli di sperimentare nuove routine relazionali e nuove esperienze di sé che nel tempo possono essere interiorizzate andando a modificare modelli rappresentazionali interni disfunzionali che altrimenti andrebbero a sostenere la continuità della traiettoria a rischio del soggetto.

L'azione strutturante della vita quotidiana riconosciuta e prevedibile rende possibile la coordinazione delle interazioni tramite azioni abitudinarie, ossia azioni dotate di senso per tutti i partecipanti e rilevanti sul piano psicologico per la loro funzione di supporto alla costruzione della conoscenza di sé,

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dell'identità, della realtà circostante.

Un ambiente terapeutico focalizza l’attenzione sull’acquisizione da parte dei minori o giovani adulti di competenze sociali che si ancorano ad una complessa struttura interattiva in cui regole e routine funzionano come luoghi consolidati della condivisione di significati e di reciproche azioni. Il quotidiano è il mondo delle abitudini, del familiare, della continua negoziazione di significati, obiettivi e relazioni.

Per gli adulti il quotidiano è il luogo del ripetitivo, dell’ovvio, del banale, di atti compiuti senza rendersi conto, ma per i bambini l’ovvio non è ancora sedimentato, e ripetizione, familiarità sembrano essere le dimensioni che regolano i processi di apprendimento.

L’acquisizione di quelle competenze che consentono ai bambini di capire i sentimenti e i comportamenti degli altri, il comprendere il funzionamento delle regole sociali e la soddisfazione dei bisogni emotivi ad esse connessi si realizzano nelle interazioni quotidiane con partners familiari e sono proprio tali partners (nel caso delle comunità per minori, gli educatori) che devono pertanto svolgere una funzione protettiva nella misura in cui sostengono un reale cambiamento nella rappresentazione di Sé posseduta dal soggetto e della sua storia di vita.

La bassa autostima, il sentimento di vergogna e di colpa, come è stato discusso nella prima lezione, sono una costante dei bambini deprivati e maltrattati. L’organizzazione del quotidiano dovrebbe pertanto essere rivolta all'aumentare il sentimento di efficacia e di valore personale. Ricordiamo che una ricca letteratura ripresa da Di Blasio (2000) lega in modo particolare il sentimento di vergogna (che potremmo considerare una costante nel caso di bambini in comunità) ad una complessa deformazione delle percezioni e dell’immagine di sé. In particolare il sentimento di vergogna provoca una compromissione svalutativa del Sé invasiva e globale; una scissione fra Sé che osserva e Sé osservato, potremmo dire in termini meadiani una frattura fra Io e Me; con la messa in atto di processi controfattuali che tendono ad eliminare mentalmente un qualche aspetto del Sé percepito come sgradevole, cattivo o ripugnante; a livello esperienziale ciò comporta il ritirarsi, sentirsi piccolo, senza valore e impotente e di conseguenza sul piano motivazionale si verificano il desiderio di nascondersi, di scappare o il desiderio di vendicarsi; infine sul piano sociale e nella relazione con gli altri si sviluppa la preoccupazione della valutazione degli altri.

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La funzione terapeutica della comunità, in questo senso deve pertanto produrre, proprio attraverso la significatività come criterio strutturante delle azioni dell’adulto nei confronti dle minore in comunità, una perturbazione, un cambiamento nelle aspettative e nella realtà relazionale vissuta dal minore stesso. “Perturbare”, in questo caso, significa disconfermare una percezione negativa di sé, ingabbiata entro ruoli e codici stereotipati, avvertiti come immutabili, e creare le condizioni per un approccio alla relazione e, quindi al proprio sé, capace di spezzare antichi cliché attraverso la trasmissione di aspettative positive che favoriscono un ritorno di fiducia e contenimento rispetto alla propria percezione di sé e in relazione all’altro.

4. L’ambiente terapeutico globale: la comunità e i lavoro sui contesti

Nel paragrafo precedente è stata discussa la nozione di “ambiente terapeutico globale”, che riconsidera la funzione riparatoria e di sostegno della struttura residenziale nella sua capacità di estendere la qualità terapeutica dell’intervento alle attività e alle relazioni quotidiane fra educatori e minori. In questo senso l’organizzazione di una comunità richiede agli adulti la capacità di dare corpo, attraverso modi, spazi e attività della vita di ogni giorno, a parole quali accoglienza, impegno, reciprocità, responsabilità, fiducia e sicurezza, dotando la globalità del contesto di vita di un’intenzionalità mirata. Fino ad ora lo sguardo è stato rivolto all’interno della comunità (microsistema), tuttavia la costruzione di un “ambiente terapeutico globale” richiede alla comunità stessa la capacità di funzionare adeguatamente su più livelli dell’ambiente, ovvero la realizzazione di un insieme di condizioni appartenenti al mesosistema, esosistema e macrosistema che, a loro volta, costituiscono altrettanti livelli di lavoro per l’operatore di comunità (Palareti,2003)

Con i termini microsistema, mesosistema, esostistema e macrosistema, si fa riferimento alla teoria ecologica dello sviluppo di Bronfrennebrenner (1976). Il modello ecologico può essere definito come lo studio della relazione dell’essere umano in sviluppo con le situazioni e il contesto in cui è attivamente coinvolto.

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L'uomo è al centro di una serie d'anelli concentrici, ovvero di situazioni che esercitano un'influenza bidirezionale su di esso (ambiente ecologico). Ilcerchio concentrico più esterno rappresenta i valori della società e della cultura (macrosistema), quello più interno (microsistema) indica le situazioni in cui la persona è coinvolta in interazioni dirette, ad esempio, la famiglia, gli amici, i vicini, la scuola. Le interazioni tra i diversi microsistemi che una persona sperimenta durante la sua vita quotidiana costituiscono il mesosistema, mentre l'esosistema include tutte quelle situazioni che lo influenzano indirettamente anche se egli non vi è a contatto diretto (per un bambino, l'esosistema può essere rappresentato dall'ambiente di lavoro dei genitori e dalle loro amicizie).

L'individuo, muovendosi all'interno di questi quattro sistemi, si trova costantemente coinvolto in processi dinamici (transizioni ecologiche) che,richiedendo un cambiamento costante di ruolo e d'attività, necessitano di una costante ristrutturazione della sua posizione nelle diverse situazioni ambientali. Sono esempi di "transizioni ecologiche" la nascita di un figlio, di un fratello, il primo giorno di scuola, il primo giorno di lavoro, il licenziamento, la morte di un familiare, il cambiamento di città, casa, amicizie, fidanzato, lavoro ecc. Con le parole dell'autore, le transizioni sono una funzione congiunta di modificazioni biologiche e di alterazioni nelle condizioni ambientali; esse rappresentano quindi degli esempi per eccellenza del processo di adattamento reciproco tra l'organismo e ciò che lo circonda (Bronfenbrenner, 1979; tr. it. 1986, p. 62).

Prendendo come riferimento tali definizioni, vediamo in prima istanza il discorso legato all’intervento che la comunità deve svolgere nei diversi contesti relazionali dei minori (famiglia / scuola / tempo libero), riflettendo pertanto sulla dimensione del mesosistema.

La comunità è infatti solo uno degli ambienti in cui i minori trascorrono il loro tempo; accanto ad essa, la scuola, la famiglia d’origine, gli spazi di aggregazione del tempo libero e altri ancora costituiscono contesti rilevanti nell’esperienza di bambini e adolescenti. L’intervento di comunità non può prescindere dal prendere in considerazione l’intero sistema di relazioni che coinvolge un minore, poiché è proprio a questo livello che si collocano molti dei meccanismi protettivi rivolti ai minori.

Lo sviluppo di una persona è favorito dal fatto che siano numerosi ed eterogenei i setting ambientali in cui è coinvolta, purché essi risultino connessi tra loro in termini di stretta partecipazione, possibilità di

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comunicazione ed esistenza di informazioni reciproche (Bronfenbrenner, 1986); il valore di una comunità residenziale sta allora non solo nella sua capacità di offrire ai minori nuove occasioni sociali e relazionali, ma anche - e in primo luogo - nel saperli accompagnare in quelle che Bronfenbrenner definisce ‘transazioni ecologiche’, poiché “la condizione meno favorevole per lo sviluppo è quella in cui i collegamenti fra le diverse situazioni o non danno alcun sostegno o mancano del tutto, quando cioè il mesosistema è scarsamente collegato” (ibidem, pag. 325). È evidente che la funzione di accompagnamento svolta dalla comunità non si esaurisce nel presente ma trova il suo massimo grado di realizzazione nella dimensione longitudinale propria del progetto, che diventa indicatore di qualità nel momento in cui esprime capacità di connessione col quotidiano, riuscendo a collocarsi in un continuum fra un prima (la provenienza dei minori) e un poi (la loro dimissione).

Focalizzando ora l’attenzione sulla dimensione dell’esosistema, applicato al contesto di comunità, è possibile affermare che all’interno di questo contenitore rintrano le interazioni fra le istituzioni che si occupano dei minori.

Quando un figlio viene allontanato dalla famiglia sono diverse le istituzioni coinvolte nella presa in carico complessiva. La funzione educativa, di tutela e cura che normalmente viene esercitata sotto la responsabilità di un unico soggetto (la famiglia) viene in un certo senso ‘distribuita’ ad istituzioni e professionisti (tribunale per i minorenni, servizi sociali, comunità, psicologo o neuropsichiatra infantile) chiamati a loro volta a collaborare in quanto vicendevolmente detentori di una parte di soluzione del problema, ciascuno in virtù del proprio ruolo e delle proprie competenze. È una situazione obiettivamente complessa in cui molte difficoltà nascono dal fatto che i soggetti/istituzioni coinvolti sono spesso diversi fra loro per struttura organizzativa e tipologia, dimensioni, finalità, logiche e culture organizzative, valori e codici linguistici (Leone e Prezza, 1999). L’interazione professionale ed istituzionale richiede molto impegno e consapevolezza: non si tratta, infatti, di individuare e sommare quote di competenza e responsabilità, ma è necessario assumere, anche in questo caso, un modello “co-evolutivo” che riconosca, cioè, l’interdipendenza reciproca delle varie istituzioni al fine di far fronte a ciò che, esse stesse, contribuiscono a definire come ‘problema’. Ciò che appartiene all’esosistema non è quindi una variabile esterna, una circostanza che, al più, interferisce o agevola il proprio intervento, ma un vero e proprio

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oggetto di lavoro che, al pari del micro e del mesosistema, richiede continui sforzi di ascolto, comunicazione e negoziazione per arrivare, partendo da un complesso agglomerato di intenzioni, mandati, attese sociali e domande, ad una pratica operativa condivisa (Palareti, Berti, Emiliani, 2008).

L’analisi fin qui condotta si è occupata della dimensione relazionale degli interventi di comunità: è tuttavia nel macrosistema che si rende disponibile quell’insieme di strumenti concettuali, modelli culturali, norme e sistemi di credenze a cui ciascuna comunità attinge nella gestione dei propri interventi.

Due pertanto sono gli aspetti che costituiscono, su questo livello, un necessario terreno di confronto per ciascuna comunità e per gli operatori che vi lavorano: i modelli teorici che guidano l’azione educativa e gli aspetti legislativi che regolano il funzionamento delle comunità, con particolare riferimento al tema della valutazione di qualità.

A partire dagli anni ‘70 le comunità si sono sviluppate in Italia a macchia di leopardo, portando con sé rilevanti differenze per origine, cultura e sviluppo; per esempio alcune di esse, attualmente gestite da cooperative, nascono dal volontariato, altre da un ‘ridimensionamento’ degli istituti religiosi, altre ancora sono state aperte dagli enti pubblici. L’assenza prolungata di un quadro normativo nazionale (l’approvazione della legge quadro nazionale n°328 è solo del 20001[3]) ha aumentato tale disomogeneità sia per quanto riguarda la distribuzione delle strutture nelle varie aree geografiche, sia relativamente ai modelli gestionali, organizzativi, pedagogici e strutturali (Palareti, Berti, Bastianoni, 2006).

All’interno di ogni comunità è comunque possibile rintracciare teorie implicite, filosofie di riferimento o veri e propri modelli teorici che, contribuendo a creare un complesso sistema di attribuzioni di valori e aspettative, fondano l'azione quotidiana degli operatori. Tali modelli vengono a volte esplicitati, comparendo ad esempio nel progetto generale della comunità o discussi nel contesto della supervisione; più spesso, però, restano nella sfera dell’implicito. La maggioranza degli operatori lavora in contesti nei quali l’azione educativa non appare sostenuta da una riflessione teorica condivisa dall’equipe ma, anzi, il riferimento a modelli interpretativi

1[3] Legge 328/2000 dal titolo “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

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non risulta costituire una base significativa su cui fondare l’intervento della comunità.

Riteniamo invece importante sottolineare che la comunità può costituirsi come ambiente “terapeutico”, nel senso di promuovere il cambiamento, solose dispone di modelli teorici in grado di spiegare sia la genesi del danno, sia le condizioni riparative sia, infine, l’insieme dei processi che sostengono il perseguimento di questo obiettivo. Al contrario, se è guidata unicamente da un’idea di tipo assistenzialistico, essa resterà ancorata a funzioni di cura e custodia, bloccando nella realtà ogni reale cambiamento.

Questa differenza tra “terapeutico” ed assistenziale introduce la necessità di criteri di valutazione pertinenti a cogliere anche questa distinzione. Il tema della valutazione dei servizi è oggi molto lontano da un’analisi qualitativa specifica di questo tipo. Infatti, pur essendo la valutazione di qualità un argomento imprescindibile per tutte le strutture residenziali che si muovono nel sistema di “quasi mercato” caratteristico dell’attuale sistema di welfare, essa risponde a criteri quantitativi e poco efficaci rispetto a organizzazioni in cui l’aspetto relazionale ha un rilievo fondamentale.

Di fatto, le comunità non sono un servizio standardizzabile e ciò, se da un lato rappresenta una risorsa per l’eterogeneità dei bisogni ai quali devono rispondere, dall’altro conduce a notevoli difficoltà nella definizione dei criteri che garantiscano livelli minimi di qualità. Nell’attuale sistema di welfare misto2[4], infatti, l’Ente Pubblico ha la possibilità di affidare a soggetti privati la gestione di diversi servizi mantenendone tuttavia la titolarità, facendosi carico, cioè, di definire le caratteristiche del servizio e mantenendo la responsabilità ultima per la qualità dello stesso.

Dal punto di vista normativo il sistema di qualità prevede l’autorizzazione e l’accreditamento. Oggi si assiste ad un vivace dibattito sull’efficacia di tali strumenti come garanzia di qualità (Regalia e Bruno, 2000; Foglietta, 2001); gli indici individuati dalla legislazione sono di carattere quantitativo e strutturale, non orientati alla valutazione del lavoro, ma alla misurazione di

2[4] Il Decreto legislativo 502/92 ha modificato profondamente il modello di erogazione delle prestazioni socio sanitarie, prevedendo che una pluralità di soggetti possano operare all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, con l’obiettivo di creare concorrenza nell’ipotesi che ciò contribuisca a migliorare la qualità e corrisponda una migliore gestione delle risorse.

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standard ritenuti necessari (ad esempio, per le comunità educative, il rapporto numerico fra educatori e utenti o l’organizzazione degli spazi interni tale da garantire agli ospiti il massimo di fruibilità e di privacy, l’organizzazione ed assistenza del tempo libero). Tali indici sono inoltre di tipo statico e quindi legati al riscontro di conformità/difformità rispetto ad un modello precostituito.

Rimane quindi un problema aperto quello di individuare indicatori che consentano una reale valutazione dell’efficacia dell’intervento di comunità, che aiuti in primo luogo gli operatori nella gestione del lavoro. Riteniamo che una valutazione degli interventi ecologicamente orientata (che , dal micro al macro, comprenda tutti i livelli di analisi) rappresenti per l’equipe educativa un’occasione per pensare, comunicare e riorganizzare in termini condivisi (Orsenigo, 1999), cogliendo appieno la peculiarità di un lavoro che si pone in continuità fra l’individuale e il collettivo, l’intrapsichico e il sociale.

5. La comunità come ambito di esercizio delle funzioni genitoriali e i rischi dell’istituzionalizzazione

Dopo aver discusso delle complesse interazioni che la comunità intrattiene con altri sistemi all’interno della dimensione ecologica dei rapporti intersistemici (applicazioni della teoria ecologica di Bronfrenbrenner), torniamo ora nuovamente a focalizzare l’attenzione sul micro-contesto, sviluppando la riflessione sulle dimensioni interne alla comunità e discutendo in modo specifico dell’applicazione del costrutto di genitorialità al contesto di comunità stessa. La domanda di partenza risulta pertanto essere la seguente: è possibile parlare di esercizio di funzioni genitoriali nel caso delle comunità per minori? Gli educatori, possono svolgere funzioni genitoriali?

Includere tra le nuove genitorialità anche gli educatori a molti sembrerà un’azione ardita e impropria. Nella realtà della nostra esperienza ormai ventennale con coloro che si occupano di figli non propri nella vita quotidiana (famiglie adottive, affidatarie, educatori), abbiamo riscontrato una costante trasversale a tutti i ruoli e i contesti che ci permette di includere, pur con le necessarie e visibili differenze, tutte le professioni di cura nella realtà delle genitoriali simboliche.

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Senza entrare nello specifico dell’analisi dei costrutti di genitorialità, generatività, genitorialità simbolica in questa sede basti ricordare che la “genitorialità può essere intesa come una funzione autonoma e processuale dell’essere umano preesistente all’azione di concepire che ne è soltanto una, se pur fondamentale, ma non necessaria espressione (Cramer e Palacio-Espasa, 1994).

La genitorialità, infatti, va prioritariamente riferita al costrutto interno relativo alla rappresentazione della funzione materna che si origina nell’individuo a partire dalla primissima infanzia come risultato processuale delle modalità relazionali attive con i propri caregiver e che consente al bambino di pervenire a livello rappresentativo-narrativo alla costruzione dei modelli operativi interni della relazione e quindi della relazione genitoriale (IWM ; Bowlby, 1973,1980, 1988; Bretherton e Munholland,1999).

L’asse portante della funzione genitoriale fa riferimento al piacere di provvedere all’altro, di conoscerne l’aspetto e il funzionamento corporeo e mentale in cambiamento, di esplorarne le reazioni, di interpretarne i bisogni, offrendo protezione e accudimento (Fava Vizziello, 2003). Questa esperienza è per l’essere umano fortemente ancorata allo sviluppo affettivo-emotivo-cognitivo, attivando emozioni fortemente interconnesse di piacere e/o delusione, senso di arricchimento e/o svuotamento della propria personalità, con conseguente arricchimento o distorsioni della stessa struttura psichica, non solo con i figli o con le persone a noi più vicine ma anche nel mondo professionale, in tutte le professioni di aiuto per ruolo e, nelle altre, per scelta.

L’esperienza della genitorialità è quindi onnipresente nelle relazioni di cura ed è il primo forte (anche se raramente consapevole) organizzatore implicito e motore del comportamento, attivatore emotivo dell’azione e dell’intervento rivolto all’altro.

Partendo pertanto dal presupposto fondamentale che la figura dell’educatore può incarnare la dimensione della genitorialità, in quanto di fatto l’educatore stesso svolge o può/dovrebbe svolgere, sulla base delle riflessioni appena presentate, una funzione genitoriale, risulta possibile affermare che le comunità residenziali per minori sono l’espressione emblematica di una tipologia di convivenza quotidiana tra due generazioni (adulti e bambini/adolescenti) che più di qualsiasi altra forma di convivenza espone i

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partecipanti al paradosso dell’assenza di coincidenza tra ogni aspetto che lega la genitorialità al legame biologico, alla familiarità, all’affetto, alla gratuità ma che, nonostante tutte queste assenze, attiva fortemente tutto ciò che concerne la genitorialità più profonda, quella non risolta, quella rimossa, quella agita.

Nelle comunità per minori, infatti, co-costruiscono la loro vita quotidiana adulti e minori che non solo non sono uniti da legami biologici ma che sono, inizialmente, dei perfetti sconosciuti che non scelgono di stare assieme, non possono decidere i tempi della loro convivenza che normalmente vengono definiti in altri luoghi istituzionali (Tribunali, Servizi sociali), che possono non avere affinità né necessariamente sviluppare dei legami, né provare reciproca simpatia/empatia o odio/rancore/recriminazioni.

Nelle comunità non si realizza la coincidenza spaziale tra la vita dei genitori biologici e quella dei loro figli, così come si registra la più ampia discontinuità tra lo svolgimento delle funzioni genitoriali quotidiane ad opera degli adulti che vi operano, siano essi professionisti o volontari, e l’esercizio reale/simbolico della genitorialità da parte dei genitori naturali/affidatari/adottivi.

Infine, l’esistenza delle comunità per minori si impone alla nostra attenzione con la stessa dirompente, fastidiosa, ostile, sfacciata comunicazione, che ogni abietto (Taurino, 2005), cioè ogni oggetto sociale diverso/altro/estremo (e in virtù di questo negletto) attiva, generando in noi sentimenti di non facile accettazione.

L’esistenza stessa delle comunità per minori, luogo dove vengono accolti/inclusi e/o relegati/reclusi (a seconda del modello culturale in atto) i figli scacciati, rifiutati, non voluti, offesi, violentati, abusati, impone di confrontarsi con la coesistenza reale e simbolica di protezione e danno/rischio/pericolo nelle relazioni tra genitori biologici e figli biologici, costringendoci a rivedere, ripensare, riattribuire significati a quell’oggetto sociale, quale è il nucleo familiare tradizionale che attraverso un processo di naturalizzazione (Fruggeri 2005) sembrava assolvere al meglio il suo compito biologico primario assegnatoli dalla natura: garantire la sopravvivenza psicologica e fisica dei figli, erigendo barriere difensive verso l’esterno, dominio del pericolo, del non conosciuto, dell’estraneo, così come sostenuto dalla nota teoria dell’attaccamento (Bastianoni, Taurino, 2005).

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Nelle comunità per minori viceversa, è proprio l’estraneo, il non familiare, lo sconosciuto, ad essere designato ed incaricato dalla società a ripristinare il funzionamento relazionale, cognitivo ed affettivo danneggiato nei figli altrui, proprio da chi familiare e conosciuto lo è sicuramente, in quanto genitore biologico o simbolico (affidatario e/o adottivo), ma che, intimidendo, attaccando, violando e disconoscendo, si va a collocare proprio al di fuori del confine naturale della protezione, assumendo i toni e le sembianze dell’aggressore/estraneo.

Attraverso l’esercizio della protezione al piccolo/bambino/adolescente che ha ricevuto danni ed è incorso nel pericolo proprio dentro “i confini” della sua famiglia, qualunque configurazione essa abbia assunto (monogenitoriale, nucleare, allargata, adottiva, affidataria), l’estraneo acquisisce lo status di familiare/conosciuto/affidabile e si inscrive all’interno di quelle relazioni significative in grado di modificare traiettorie evolutive inevitabilmente dirette verso il disagio/disturbo psicologico/relazionale.

Queste considerazioni introducono un tema, a nostro avviso, assolutamente non trascurabile laddove si vogliano comprendere, capire a analizzare i processi dinamici attivi inevitabilmente nell’adulto, non genitore biologico, che investe sia professionalmente sia volontariamente il suo tempo nella cura, nell’assistenza, nell’educazione quotidiana di figli non suoi, incontrandosi, confrontandosi, scontrandosi quotidianamente con i propri modelli interiorizzati di genitorialità.

Le resistenze o i meccanismi di difesa che si attivano in questo quotidiano processo di confronto personale quando non vengono riconosciuti, accolti, sostenuti e interpretati, conducono inesorabilmente o a reiterare proiezioni dei propri conflitti non risolti sugli adolescenti e sui bambini in carico o a tentare fughe razionali/razionalizzanti dal conflitto personale in atto, ricercando modelli culturali che possano legittimare la distanza affettiva e l’ancoraggio al ruolo.

Il modello professionale di stampo istituzionale/istituzionalizzante,ampiamente impiegato in campo educativo, si trova così a rivestire un ruolo culturale cruciale, perché assume la funzione simbolica di alternativa alla relazionalità, al rapporto interpersonale, al confronto con vissuti soggettivi destabilizzanti quando non sono accolti, letti e restituiti negli appositi setting formativi e di supervisione.

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Il modello professionale, nella sua versione riduttiva di stampo istituzionalizzante massicciamente impiegato in tutte le istituzioni educative si configura pertanto come il contenitore culturale che più di altri legittima la fuga dal confronto e dal conflitto con le emozioni e con i vissuti che l’esperienza quotidiana attiva, additando come espressioni di scarsa professionalità ogni forma di coinvolgimento personale, ogni vissuto emotivo, ogni comunicazione personale, ogni manifestazione differenziata di interazione con l’altro.

Sulla scia di queste processualità, in molte comunità la vita quotidiana non è organizzata secondo una prospettiva terapeutica: è semplicemente organizzata. Gli adulti non desiderano assumere significatività e spessore personale, ma preferiscono rifugiarsi nella distanza garantita dal ruolo; in quanto educatori, gli adulti organizzano, spiegano, rendono prevedibile l’ambiente attraverso la didascalica descrizione delle loro presenze e delle loro assenze, dei loro ritorni e delle loro uscite in e dalla comunità. Di certo però non è questa la prevedibilità di un ambiente terapeutico globale.

La prevedibilità di un ambiente terapeutico è la certezza maturata nei lunghi giorni e nelle notti in comunità di non essere lasciata/o sola/o con i propri dubbi, pensieri, ossessioni, ma di poter contare su qualcuno che c’è per te, c’è per come sei, c’è per la tua tristezza e per la tua rabbia, c’è per i tuoi non baci e i tuoi non abbracci, c’è a distrarti quando proprio non ce la fai più c’è. C’è per dirti “mi dispiace” (…mi dispiace che sei dovuta venire qui. Mi dispiace per quello che ti è successo. Mi dispiace non poter essere tua madre. Mi dispiace tanto e per tutto ma adesso che sei qui con me ti posso dire con certezza che io ci sono. Non posso fare altro ma ci sono. Ci sono quando piangi e quando sei arrabbiata. Ci sono quando quel boccone non va giù e il piatto rimane sempre pieno. Ci sono quando vorresti soltanto chiudere gli occhi e quando quegli occhi non si chiudono mai. Io ci sono).

Quel qualcuno c’è al di là dei turni, che c’è quando ti dice semplicemente abbracciandoti che non può risolvere problemi irrisolvibili, non può restituirti alla tua mamma, né accellerare i tempi del Tribunale, non può aiutarti a dimenticare ciò che hai vissuto ma può aiutarti a ricordare ciò che è stato e, soprattutto, può starti vicino. E’ lì vicino a te, pronto a crederti anche quando tutti gli altri sono costretti a dubitare perché è in atto il processo di validation.

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Nell’ambiente terapeutico l’accessibilità non è vincolata ai dettami organizzativi. Non si è costretti a imparare l’accoglienza part-time di tipo istituzionale che segna l’esperienza di tanti bambini in comunità. L’ambiente terapeutico evoca una casa non solo perché lo spazio è accogliente, colorato e ordinato. La cura dello spazio fisico è un prerequisito necessario, emblematico, indispensabile ma non è sufficiente. a realizzare l’accoglienza laddove coesista con la fretta, il disinteresse e l’assenza di oggetti che segnalano la condivisione di quello spazio anche con gli adulti.

Il linguaggio istituzionale si rifugia nell’anonimato del ruolo (sintetizzabile nell’espressione: in comunità si è tutti educatori), protetto dall’istanza professionale che giustifica l’uso del termine a costruzione dei presupposti di un’interazione educativa che non deve essere foriera di confusività e ambiguità. In virtù di questo assioma educativo i bambini, di qualunque età, devono sapere molto bene non solo che gli adulti che incontrano in comunità sono tutti educatori ma che svolgono tutti le stesse funzioni, che hanno tutti lo stesso orientamento educativo, che fanno tutti le stesse cose e conoscono tutto ciò che succede in comunità, anche quando sono assenti, grazie al potere esteso e pervasivo della comunicazione verbale (colloquio all’inizio del turno con l’educatore che smonta) e scritta (diario di bordo, agenda, osservazioni… ) che garantisce loro l’unicità nella molteplicità.

La cultura istituzionale, troppo spesso inglobata acriticamente nel modello professionalizzante, conferisce rigidità alla duttilità del lavoro d’èquipe che richiede necessariamente a tutti di condividere informazioni, comunicazioni, confidenze sulla realtà relazionale che si è dispiegata in comunità in assenza di alcuni educatori non presenti, ma laddove la comunicazione non risulta al servizio del benessere del bambino /adolescente e del rispetto dell’unicità di ogni relazione educativa adulto/minore che si struttura in comunità, si assiste ad un grossolano conformismo educativo che facilmente degenera nella spersonalizzazione di ogni rapporto. La degenerazione di questo processo è facilmente riconoscibile nella richiesta/imposizione all’educatore che entra in turno, dopo una settimana di assenza, di non salutare il bambino di otto anni attualmente in punizione per non spezzare la continuità educativa e destabilizzare il valore dell’intervento effettuato dal collega.

L’adozione di un orientamento relazionale, al contrario, valorizza l’impegno, la competenza, la responsabilità e la capacità di ciascuno di realizzare relazioni originali, uniche, autentiche, tra loro sintoniche e non discordanti, in accordo con la finalità progettuali e gli obiettivi

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educativi/riparatori/terapeutici rivolti al minore, come risultato di una competente e attenta direzione volta, non a mortificare e a sacrificare la specificità di ogni relazione, ma ad accordarle in un’insieme armonico e coerente che, nella sua unicità, mantiene riconoscibile la specificità di ciascuna.

Chi ha esperienza diretta con bambini piccoli è in grado di riconoscere quanto sia grande e costante il bisogno di protezione fisica ed emotiva che i bambini richiedono alle figure che regolarmente si occupano di loro ogni giorno. La ricerca di protezione, espressa attivamente e con tenacia sia attraverso il pianto, sia con la tensione a monitorare visivamente la presenza dell’altro sia attraverso la ricerca fisica dell’adulto, quando il piccolo inizia a padroneggiare il movimento, sembra placarsi e trovare conforto solo quando l’accessibilità fisica e la disponibilità emotiva/affettiva delle figure familiari diventano caratteristiche relazionali costanti e prevedibili del contesto di cura quotidiano.

In termini evolutivi, un bambino che ha accesso costante ad un contesto relazionale responsivo e sensibile si assicura un’esperienza fondamentale per un suo buon adattamento a breve e a lungo termine: l’esperienza della sicurezza; la sensazione, cioè, di poter contare sull’altro nei momenti di bisogno, di paura, di tensione emotiva interna, la consapevolezza di poter conoscere l’ambiente, di poterlo esplorare senza paura sapendo che si può sempre fare ritorno alla base sicura nei momenti di difficoltà per poterne poi ripartire dopo aver ricevuto conforto, rassicurazione, consolazione.

L’alternanza tra attività di esplorazione dell’ambiente e di ricerca di vicinanza fisica e di contatto emotivo con l’adulto familiare per assicurarsi la sua protezione e, di conseguenza, consolidare il proprio sentimento di sicurezza, sono infatti quelle prime sfide evolutive che il piccolo umano deve assolvere positivamente per garantirsi la sopravvivenza psicologica, oltreché, naturalmente, quella fisica.

Non tutte le interazioni con le figure adulte, però, assolvono a questo compito e non sempre la qualità dello scambio relazionale garantisce la sicurezza: scambi occasionali con persone scarsamente significative non danno luogo all’esperienza della sicurezza, così come scambi quotidiani con figure d’attaccamento che non riescono ad assolvere ai loro compiti di protezione impediscono ai piccoli di sperimentare prima, e di introiettare poi, la sicurezza. In ogni caso ciò che è fuori discussione è che l’esperienza

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della sicurezza o dell’assenza di sicurezza o di esperienze miste è strettamente connessa al legame/i d’attaccamento che si costruisce e consolida negli scambi interattivi tra il bambino e la persona o le persone che se ne prendono cura continuativamente nella vita quotidiana anche in comunità (Bastianoni, 2005).

L’esperienza dei bambini affidati alle comunità è privata della ricorrenza di esperienze relazionali idonee all’interiorizzazione della sicurezza e il primo compito che l’ambiente comunità ha necessità di espletare è proprio quello di consentire all’individuo di avere accesso ad almeno un’alternativa relazionale che gli consenta di sperimentare protezione e sicurezza negate nelle precedenti esperienze familiari.

Si tratta di un compito che ogni educatore è chiamato a svolgere e rappresenta il primo fondamentale nucleo della sua professionalità: costruire saldi e rassicuranti legami che possano reggere l’impatto di emozioni ambivalenti e contrastanti, di vissuti emotivi dirompenti, di rappresentazioni fantasmatiche. E’ un compito che non può essere svolto in solitudine autoreferenziale ma necessita, a sua volta, di un adeguato, sicuro e stabile sostegno professionale. Il setting di formazione/supervisione integrata (a cui saranno dedicate le ultime lezioni) è il contesto che consente agli adulti impegnati nella costruzione di processi relazionali significativi con i minori loro affidati di rispondere professionalmente a questo compito, potendo contare su una base sicura che accoglie i loro vissuti, che è in grado di contenerli, leggerli e restituirli con l’attenzione di chi sa che non può colludervi laddove essi si configurino in continuità con quelli esperiti dai bambini/adolescenti nelle relazioni primarie e rappresentino, pertanto, quelle dimensioni dalle quali si richiede affrancamento e cambiamento e non pervasiva continuità.

Gli educatori devono pertanto assumersi il rischio e la responsabilità di porsi come adulti significativi.

Il paradosso culturale con il quale ci confrontiamo regolarmente quando svolgiamo compiti di supervisione nelle comunità per minori è invece regolarmente inscritto nell’ossimoro adulto significativo indifferenziato che esprime al meglio proprio questo conflitto non risolto.

L’adulto significativo è per sua natura soggettivamente identificabile dall’altro, è colui che si preferisce, si sceglie, perché più vicino emotivamente, perché più presente nello spazio e nel tempo, perché più

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accessibile, perché più riconoscibile. Ogni educatore perché possa diventare adulto significativo ha necessità di essere riconosciuto nella sua specifica soggettività e non può essere interscambiabile ed indifferenziato con gli altri colleghi, pur avendo il compito di esprimere nella sua singolarità e specificità un’accoglienza collettiva e condivisa con i colleghi. Ed è proprio il processo di co-costruzione nel gruppo di una personale e soggettiva capacità di relazionarsi con ogni bambino/adolescente in maniera coerente, personale e differenziata da parte di ogni educatore, a richiedere il superamento del concettosi indifferenziazione che va inteso come il fallimento di ogni intervento educativo in comunità.

Un elemento fondamentale pertanto è proprio uscire dalla logica dell’indifferenziazione e creare le premesse per la determinazione di processi di familiarizzazione, ossia la realizzazione del passaggio dall’estraneità alla familiarità/significatività, processo che rappresenta quell’occasione offerta al bambino/adolescente di intraprendere incompagnia affidabile il lungo viaggio rivolto alla comprensione di chi si è ora, e di chi si è stato prima, e di chi si potrà diventare; di ciò che è accaduto, per responsabilità di chi e per quali ragioni. Domande/dubbi/timori che, trasversalmente all’età, alle ragioni dell’ingresso in comunità, ai tempi di permanenza e alla destinazione successiva, accomunano tutti coloro che hanno subito ingiustizie ed esclusioni dal loro ambiente familiare.

Diventare familiare agli occhi di un bambino/adolescente sconosciuto a cui si richiede di crederti, di rispettarti, di ascoltarti, di comportarsi come da te suggerito, significa essere conosciuto, accessibile e affidabile. Conoscenza, accessibilità e affidabilità costituiscono il primo processo protettivo rivolto a chi viene accolto in comunità che ogni educatore ha necessità di attivare per realizzare con ciascuno una storia comune/condivisa intesa come prerequisito/ premessa indispensabile ad ogni percorso di auto-affidamento da parte del bambino/ragazzo stesso.

La costruzione di una storia in comune con i minori proprio a partire dalla condivisione dei tempi e degli spazi della vita quotidiana in comunità, implica il lasciare che i tempi iniziali della familiarizzazione non siano segnati dallo scandire dei turni di lavoro, ma dalla presenza attenta e continua degli adulti in relazione ai tempi e ai bisogni dei bambini (prima conoscenza e familiarizzazione con l’ambiente fisico e relazionale; i tempi dell’addormentamento e del risveglio scanditi dalla continuità della

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presenza di chi assicura l’abbandono al sonno e accoglie i turbamenti del risveglio). L’adozione di un orientamento relazionale centrato sulla comprensione dei processi interattivi, simbolici e dinamici in atto, orienta la programmazione delle attività e l’organizzazione delle presenze degli educatori, e non viceversa, e ogni scelta organizzava e gestionale deve essere discussa nel setting di supervisione, al fine di comprenderne e valutarne significati e ricadute reali e simboliche, nel breve e nel lungo periodo. Il processo di familiarizzazione tra adulti e bambini, dopo la fase iniziale di conoscenza reciproca in comunità, si deve progressivamente ampliare alla conoscenza dei reciproci ambienti di vita in una condivisione empatica che apra lo spazio alla fiducia e all’appartenza da parte di ciascun bambino.

Nella costruzione della storia in comune gioca un ruolo centrale la possibilità data ai bambini di conoscere i luoghi di vita degli educatori. Il sentimento di condividere con gli adulti incontrati un destino comune ed esperienze analoghe si rafforza quando i bambini hanno accesso agli spazi, alle attività e ai tempi della loro vita e quindi hanno la possibilità, anche durante la loro assenza in comunità, di raffigurarsi dove sono, in quali attività sono impegnati e con chi le stanno condividendo. Vedere le case abitate dagli educatori, dai loro familiari e amici, le scuole frequentate quando avevano la loro stessa età, gli ambienti di vita attuali, realizza una conoscenza reale condivisa e un accesso simbolico all’altro, a un luogo mentale terzo dove pensarsi e pensare il dipanare di una vita diversa dalla propria ma vicina e possibile; una finestra su un futuro che contempla il passato ma se ne può discostare.

Il processo di costruzione di una storia in comune centrata sulla familiarizzazione degli estranei/educatori per renderli innanzitutto personedense di storia, specificità, peculiarità, soggettività conosciute, e successivamente persone significative in quanto accessibili, vicini anche se a volte lontani nello spazio ma non nel tempo grazie ai telefoni cellulari, empatici e possibili oggetti di identificazione è sempre necessario laddove si adotti con consapevolezza un orientamento relazionale che annulla le dicotomie istituzionali (vita privata e vita professionale) identificando un punto di vista terzo che le sappia integrare. Il rispetto per la dimensione privata e per l’intimità dell’educatore non diventa allora incompatibile con l’accessibilità e la conoscenza da parte dei bambini/adolescenti che non si traduce mai in mera invasione o in stucchevoli sentimenti di inclusione caritatevole. L’incontro di sé concesso all’altro è governato e monitorato in

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maniera consapevole al fine di impiegare la propria persona, la propria storia, i propri spazi reali per costruire e rendere visibile all’altro quello spazio simbolico, interno, sempre accessibile che l’adulto/educatore/genitore simbolico mette a disposizione di ciascun bambino/adolescente preso in carico. Uno spazio in cui il bambino può rispecchiarsi e ritrovarsi; uno spazio che non si esaurisce né si riduce per la presenza di altri oggetti d’amore ma si dilata e si amplia nell’accoglienza e nell’accettazione specifica di ognuno.

E’ lo spazio del rispecchiamento mancato nelle relazioni precoci, è lo spazio che non crea competizione con il proprio partner o con i propri figli o tra i bambini della comunità perché è uno spazio che cresce e si dilata seguendo i tempi e l’evoluzione della professionalizzazione relazionale. La familiarità è il primo obiettivo nel processo di professionalizzazione relazionale richiesto all’educatore di comunità che supporta e determina le condizioni perché possa esercitare in maniera consapevole e sistematica la funzione di protezione/sicurezza necessaria alla sua trasformazione da familiare a significativo.

6. Dalla significatività relazionale alle emozioni: il doppio livello della comunità come ambiente terapeutico globale

Approfondendo infine le riflessioni finora esposte possiamo pertanto affermare che essere adulti significativi non è una premessa da inserire comodamente nei progetti di comunità o nella carta dei servizi per ottenere autorizzazioni al funzionamento e/o accreditamenti, e non si identifica neppure con il personale assunto, né con i loro nomi, né con i titoli scolastici. Adulto significativo è un costrutto, una finalità, una tensione ma è anche un risultato professionale che occupa un ruolo centrale in ogni progettazione consapevole, accorta e prospettica.

Diventare adulto significativo è un processo che richiede all’educatore impegno, assunzione di responsabilità e continuità nella presenza fisica, simbolica, emotiva, affettiva e strumentale. Non si può avviare un processo di significatività senza collocarsi in una prospettiva temporale che garantisce la propria permanenza in comunità almeno per lo stesso periodo previsto per i bambini/adolescenti presi in carico; così come è inammissibile pensare che l’interruzione di questo

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affiancamento, accompagnamento, condivisione con il ragazzo del percorso di affidamento all’altro (simbolico sul piano rappresentazionale, ma reso attivo e possibile dalla realtà interattiva in atto) non abbia ricadute sulla credibilità che ai suoi occhi avrà l’intero sistema relazionale comunitario, confermando non solo, il valore predittivo dei modelli operativi interni strutturati nelle prime relazioni familiari, ma producendo inevitabili arresti nei processi rappresentazionali interni che, ancora una volta, non potranno modificarsi nella direzione di acquisire sicurezza e fiducia nell’altro come derivato di esperienze relazionali reali discontinue con le precedenti ma continuative nel tempo e nelle caratteristiche di stabilità/affettività/accoglienza/sintonia empatica/responsività.

Il tempo necessario alla realizzazione del processo di significatività e a garantirne gli effetti a livello rappresentazionale non è a dimensione lineare ma processuale, lo possiamo definire tempo relazionale in quanto risultato dell’interdipendenza tra diversi fattori/dimensioni processuali di natura prevalentemente relazionale. Li elenchiamo: a) i tempi di permanenza del minore in comunità; b) i modelli operativi interni della relazione di attaccamento attivi sia nel bambino che nell’educatore e i conseguenti vissuti emotivi e rappresentazioni della sicurezza, della protezione, dell’affidabilità, della fiducia che agiscono sia nell’adulto che nel bambino; c) i modelli culturali della relazione elaborati dagli educatori (argomento su cui concentreremo l’attenzione nelle prossime lezioni)3;c) l’adozione di una prospettiva teorica relazionale; d) l’accesso costante a setting formativi e di supervisione di matrice relazionale.

Il tempo relazionale identifica pertanto questo processo dinamico costantemente sottoposto all’influenza di processi/fattori di rischio presenti in ognuno dei livelli. A titolo esemplificativo riportiamo, per ognuno dei livelli considerati, solo alcuni tra i fattori di rischio più frequentemente riscontrati nelle comunità per minori: livello a) tempi di permanenza del minore che si protraggono per troppo tempo rispetto alle previsioni iniziali che mettono a repentaglio la possibilità

3 Adottando un orientamento dinamico a matrice socio-costruzionista (Carli, Paniccia, 2002, Taurino…), consideriamo i modelli culturali come prodotti socio-cognitivi-affettivi che, sintetizzando dimensioni razionali/operative e simbolico/affettive, rappresentano sia le differenti modalità con le quali i soggetti di un determinato gruppo sociale strutturano il proprio pensiero, i propri agiti e i propri schemi comportamentali, sia i tratti culturali significativi di una specifica categoria di individui.

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da parte della comunità di assicurare la stabilità relazionale del contesto relazionale: 7 anni di permanenza rispetto ai 2 previsti; livello b) presenza di modelli operativi interni di tipo disorganizzato/disorientato nel bambino e inaccessibilità ad appositi setting psicoterapeutici esterni alla comunità; livello c) modelli culturali istituzionalizzanti fortemente radicati in un’ équipe non motivata al cambiamento; livello d) ridotto o nullo investimento economico nelle attività di formazione e supervisione da parte dell’ente gestore della comunità

Su questo piano possiamo pertanto concludere, ribadendo ancora una volta quanto il principale ed indispensabile processo/ fattore protettivo che può contrastare l’impatto del rischio sull’esito finale del prodotto (altrosignificativo) sia sempre e in ogni caso il supporto/sostegno dato all’educatore/équipe, perché possa pienamente assumersi la responsabilità della relazione nella cornice processuale e interpretativa offerta da un costante lavoro integrato di formazione e supervisione, garanzia professionale della tensione costante e consapevole al mantenimento attivo di una cultura relazionale centrata sulla necessità di sostenere chi cura gli offesi, i traditi, i violati nella comprensione dei processi e delle dinamiche interne e interattive rese attive nell’interazione con l’altro nella direzione di non rinunciare alle potenzialità terapeutiche che il contesto quotidiano e le relazioni attuali possono esprimere (Bastianoni Taurino, 2007, 2008) .

Riflettendo pertanto su quanto abbiamo finora esposto (funzione educativa come funzione genitoriale, significatività relazionale dell’adulto, rischi dell’istituzionalizzazione), emerge di conseguenza che un ulteriore livello di analisi, risulta centrato sulla considerazione che, per parlare di ambiente terapeutico globale, bisogna centrare l’attenzione sulla dimensione della relazione e della soggettività. Considerando pertanto che laddove ci sono relazioni e persone/soggetti, ci sono sempre emozioni (per quanto alle volte processi difensivi non mettano nelle condizioni di riconoscerle, accettarle, condividerle e quindi anche accoglierle negli altri), è possibile rilevare che, senza grandi variazioni da un soggetto all’altro, da un gruppo all’altro, nelle nostre esperienze di formazione e di supervisione alle équipe educative, alle famiglie affidatarie e alle case-famiglia, abbiamo sempre più spesso constatato che le emozioni e i vissuti soggettivi che vengono attivati dalla relazione educativa in quanto relazione in cui si giocano tutte le dimensioni insite nella genitorialità come funzione, sono per i care-giver i primi

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potenti organizzatori impliciti del proprio modo di intervenire e di relazionarsi con ragazzi/e e con compagni/e e con i colleghi.

L’attenzione a riconoscere, interpretare, leggere e monitorare i processi intrapsichici che la relazione con bambini e adolescenti “non-figli” attiva è il primo compito a cui ogni adulto care-giver, sia esso volontario o stipendiato, non può sottrarsi. Sapersi ascoltare, sapersi osservare, registrare e riconoscere, senza reprimere, le proprie emozioni, riconducendole ai contesti simbolici nei quali i significati della storia di ciascuno trovano radicamento e spiegazione, sono il contenuto di questo primo e costante lavoro su se stesso da parte dell’adulto che eroga cura ed è propedeutico alla relazione con l’altro, all’essere assieme e per l’altro. Sono questi significati soggettivi che costituiscono i primi strumenti con cui ogni adulto impegnato in una relazione di cura legge la realtà dinamica in atto, la intepreta, reagisce e interviene.

L’educatore, anche il più consapevole, competente ed esperto, se è lasciato da solo a confrontarsi con la complessità di questi processi che inevitabilmente coinvolgono la sua emotività, i suoi vissuti personali, le sue personali resistenze al riaffiorare di tematiche relazionali non risolte, tende a ridurre inesorabilmente la complessità della relazione educativa stessa, a dimensioni più facilmente controllabili, con veloci scivolamenti nella direzione di un riduzionismo accettabile a sé e agli altri, che comporta di volta in volta l’attivazione di meccanismi di difesa, quali la negazione e la proiezione o la fuga nell’intellettualizzazione che, in questo ambito specifico, si traduce nell’adozione di un modello definito impropriamente professionalizzante ma, che in realtà, si impone come semplicemente proteso alla negazione giustificatoria di ogni vissuto emotivo da parte dell’educatore, di ogni componente interpersonale nell’interazione con l’utente, che così identificato perde ogni caratteristica di individualità soggettiva.

Sono queste le ragioni che da sempre (Emiliani Bastianoni, 1993; Bastianoni,2000, Bastianoni Palareti, 2005, Bastianoni, Taurino, 2005) ci spingono a sollecitare enti pubblici e privati ad investire politicamente, economicamente e culturalmente nella formazione e nella supervisione per consentire a tutti coloro che interagiscono con figli “altrui” in setting residenziali che sostituiscono temporaneamente o per tempi medio-lunghi la vita quotidiana in famiglia, di usufruire di uno spazio regolare e frequente dove poter pensare all’altro e pensarsi nella relazione con l’altro

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e con se stesso. Senza l’accesso regolare a un qualificato setting di formazione e supervisione l’accoglienza residenziale dei “figli altrui” è destinata a rimanere imbrigliata nei modelli istituzionali/istituzionalizzanti che certamente la chiusura degli istituti per minori alla fine del 2006 non ha né sancito né debellato.

Riprendendo il filo conduttore delle nostre argomentazioni, tutte le riflessioni finora esposte ci spingono pertanto ad aprire un importante contenitore di lavoro e di discussione centrato sulla constatazione che la comunità può essere letta secondo un doppio livello di analisi:

- un versante concreto/tangibile/esterno che consente di vedere la comunità come uno specifico setting ambientale e microcontestuale in cui prendono forma dinamiche e situazioni interattive e relazionali che devono assumere valenza protettiva, riparatoria, ri-strutturante i modelli della sicurezza;

- un versante più simbolico/emotivo/rappresentazionale/interno che consente di vedere, in termini più complessi, la comunità stessa come il prodotto dei sistemi rappresentativi, dei modelli culturali, dei vissuti emotivo-affettivi degli educatori, dei minori e degli esiti delle loro interazioni nel setting esterno.

Relativamente al primo aspetto, (ossia la comunità come setting esterno), recuperando sinteticamente quanto esposto nelle precedenti lezioni, la comunità va intesa essenzialmente, ad un livello esterno, concreto, osservabile e valutabile, come un “sistema” che agisce in una dimensione di rete (comunità, minori, famiglie, servizi, agenzie educative e socializzanti quali la scuola, etc.) e si connota, in termini di microsistema, come un ambiente relazionale caratterizzato da interazioni strutturanti e accoglienti, che si realizzano in un ambiente fisico curato, rassicurante e personalizzato e reso prevedibile, condividibile e co-costruito dai ragazzi e dagli adulti attraverso la proposizione prevalente di routine e rituali connotati in senso “relazionale” (Emiliani, Bastianoni, 1993; Emiliani, Melotti, Palareti, 1998 ; Palareti,2003). Proprio su questi presupposti si fonda infatti l’organizzazione dell’accoglienza in comunità a partire dalla cura degli spazi fisici, all’impostazione delle attività quotidiane; dalla turnazione degli educatori sulla base delle esigenze relazionali dei bambini, alla cura personale dei piccoli e all’alleanza emotiva con ciascuno di loro come parte integrante dell’intervento terapeutico.

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Attraverso il concetto di ambiente terapeutico si focalizza l’attenzione (all’interno di un’interpretazione psicodinamica) sulla regolamentazione della vita quotidiana per costruire occasioni di supporto alle carenti funzioni dell’Io all’interno, è utile ribadirlo, di specifiche relazioni vissute come emotivamente “significative”, intese come il motore di ogni processo di sviluppo/cambiamento/affiliazione/ appartenenza da parte dei bambini presi in carico.

Ogni comunità, in questo senso, ha bisogno di avvalersi di educatori competenti, in grado cioè di conoscere e riconoscere se stessi, lavorare in équipe, accogliere l’altro, comprendendone le richieste, leggere e interpretare i processi relazionali in atto; ha bisogno di organizzare il proprio intervento globale terapeutico predisponendo il quotidiano, ovvero gli obiettivi e le strategie educative e relazionali, in accordo con le diverse esigenze che i singoli bambini/e e adolescenti esprimono.

Con setting interno di comunità facciamo riferimento, invece, attraverso un approccio eminentemente psicodinamico, ai modelli culturali, alle rappresentazioni, alle emozioni e ai vissuti degli operatori.

Intendiamo con modelli culturali quei sistemi di rappresentazione che si connotano come specifiche modalità attraverso cui gli individui concepiscono emotivamente e fanno esperienza del proprio universo/mondo relazionale interno ed esterno (Carli, Paniccia, 2002).

Nello specifico, i modelli culturali sono prodotti socio-cognitivo-emotivi che, sintetizzando dimensioni razionali/operative e simbolico-affettive, rappresentano le differenti modalità con le quali chi opera nelle comunità struttura il proprio pensiero, le proprie emozioni, i propri agiti, i propri schemi comportamentali, il proprio “mondo interno”.

I modelli culturali consentono di comprendere la simbolizzazione affettiva del contesto condivisa dal gruppo. E’ possibile affermare che la specifica organizzazione relazionale di ogni contesto è determinata da un sistema di strutture latenti che consentono di cogliere precisi meccanismi di simbolizzazione messi in atto dai soggetti in interazione e che consistono nel conferimento alle dimensioni implicate nel processo relazionale stesso di un significato inconscio e polisemico fondato su precise istanze collocabili su un versante che non è identificabile come razionale, conscio ed operativo,

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quanto più che altro simbolico ed affettivo (Matte Blanco, 1975; Carli, Paniccia, 2003; Grasso, Salvatore, 1997).

L’interazione tra soggetti all’interno di un medesimo ambiente (relazionale) attiva una regolazione di schemi mentali e di comportamenti ad essi correlati, che assumono un carattere intrinsecamente intersoggettivo e che hanno la funzione di riprodurre il sistema di convivenza (contesto di interazione) attraverso l’elaborazione di codici simbolici che permettono di esperire la relazione sulla base dei precisi meccanismi di categorizzazione.

L’esplicitazione e la consapevolezza dei sistemi rappresentazionali impliciti che indirizzano/governano direttamente e/o indirettamente l’azione e l’intervento educativo, consentendo di indagare la capacità del modello culturale della relazione educativa di incidere/direzionare gli interventi educativi tracciando quella linea di continuità e reciproca interdipendenza tra modello culturale di relazione educativa, interventi effettuati e risultati ottenuti.

Su un ulteriore piano di complessità è possibile inoltre affermare che comunità si configura come un complesso sistema relazionale che fonda sulla dimensione dell’intersoggettività il criterio fondamentale per l’attivazione di processi evolutivi che, attraverso la relazione educativa, mettono in campo, per gli attori implicati in tale sistema (operatori e minori), una condivisione di stati interni, i cui esiti devono essere considerati come imprescindibili fattori di comprensione ed interpretazione delle dinamiche relazionali (intracontestuali) e dei meccanismi di simbolizzazione affettiva del contesto di interazione.

La relazione nel contesto quotidiano comunità attiva pertanto sempre negli educatori, e non solo nei bambini e negli adolescenti, vissuti emotivi personali che vengono agiti nel corso dell’interazione con l’altro (collega, minore, gruppo, contesto in generale) e che si ancorano al proprio universo emozionale/emotivo strutturatosi nel corso della propria storia emotiva/relazionale.

Nella nostra lunga esperienza con le comunità educative, abbiamo ritrovato la prevalente ricorrenza di specifici temi narrativi che sembrano intessere i vissuti emotivi della propria storia relazionale precoce della grande maggioranza delle persone che operano in comunità.

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Li elenchiamo designandoli con le polarità che li contraddistinguono e tra le quali si dipana un continuum di specifiche peculiarità idiosincratiche che possono essere facilmente ricondotte alle seguenti tematiche narrative che abbiamo così riassunto: tradimento/fiducia; alleanza/solitudine; inclusione/esclusione; “abusato”/abusante; appartenenza-accettazione/rifiuto. In queste narrazioni simboliche che hanno per oggetto tradimenti, solitudini, esclusioni, abusi, rifiuti e che, parallelamente, ambiscono alla fiducia, all’alleanza, all’appartenenza e all’accettazione sono sempre rintracciabili conflitti non risolti e assenza di integrazione tra le differenti espressioni di Sé degli educatori.

Il non riconoscimento dei conflitti e l’assenza di integrazione conducono gli educatori ad inevitabili, ricorrenti e dannosi agiti relazionali sia nei confronti dei colleghi ma soprattutto nei confronti dei minori in affidamento.

L’integrazione dei diversi Sé che si attivano nell’interazione con il minore, affinchè il bambino reale possa essere veramente al centro dell’intervento di comunità, è il risultato di un profondo lavoro di individuazione delle dinamiche relazionali che sono attive in comunità .

7. Il vissuto degli educatori e le dinamiche triadiche del sè

La riflessione sui processi dinamici, relazionali e simbolici che sono attivi nel contesto quotidiano delle comunità educative, conferisce una notevole rilevanza al tentativo di individuare dei luoghi adeguati (che come poi vedremo saranno la formazione e la supervisione alle equipe educative) per l’analisi, la restituzione e la ristrutturazione dei meccanismi alla base delle interazioni/relazioni tra educatori e minori. Da questo punto di vista è necessario esplicitare che l’articolato universo interno dei vissuti emotivi soggettivi relativi alla propria esperienza relazionale da parte degli educatori, possono essere considerati i primi potenti organizzatori impliciti delle modalità di intervento e di strutturazione della relazione con ragazzi/e in comunità.

Partendo infatti dal presupposto che l’adeguatezza di ogni intervento educativo, agito dagli educatori di comunità, può funzionare solo entro un processo di strutturazione di funzionali dinamiche relazionali, si rileva che gli elementi di base di tale funzionalità devono essere ricercati nella capacità di mettere in pratica l’accoglienza dell’altro (il minore a rischio), il

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contenimento delle sue emozioni, la restituzione dei processi emotivo-affettivi in atto, l’ascolto empatico, la corretta analisi della domanda (esplicita ma soprattutto latente/implicita), la costruzione di esperienze protettive che annullino i fattori di rischio personali, l’individuazione di percorsi di intervento pensati sia sull’individualità del soggetto che riceve la cura, sia sulla contingenza della reciprocità relazionale e non sull’applicazione di procedure educative standardizzate.

La complessità delle dinamiche in atto nella relazione educativo-terapeutica consente tuttavia di rilevare che all’interno del contesto relazionale, gli educatori non sono (e non devono considerarsi) “immuni” dall’attivazione di emozioni e vissuti soggettivi i cui ancoraggi sono da ricercarsi nella propria storia/esperienza relazionale/familiare precoce.

Questa consapevolezza permette di focalizzare l’attenzione pertanto sulla considerazione che la “sovra-stimolazione” emotiva a cui gli educatori sono quotidianamente sottoposti permette nel contempo l’attivazione di specifiche dinamiche triadiche simboliche inerenti il Sé.

Vediamo più nello specifico che cosa si intende con tale espressione.

L’educatore è in primissima istanza un professionista dell’educazione: questo vuol dire che la relazione educativa in comunità attiva questa prima dimensione del Sé; si verifica cioè l’attivazione del sé educatore caratterizzato dall’ancoraggio alle funzioni e al ruolo.

Su secondo piano, coesistente però in termini simbolicamente ed inconsciamente simultanei, l’educatore nell’interazione con il minore in comunità riconosce inconsciamente delle parti di sé attivate dal minore stesso preso in carico: la relazione educativa attiva pertanto anche la dimensione del Sé bambino (dell’educatore).

Infine, ma sempre in una dimensione di simultanea coesistenza, l’educatore, svolgendo funzioni genitoriali, deve anche fare i conti con la rappresentazione delle figure genitoriali interiorizzate; conclusimao pertanto che la relazione educativa attiva anche il Sé genitore simbolico (dell’educatore).

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Ne deriva di conseguenza che è proprio l’intreccio di questi nuclei rappresentazionali e di questi vissuti emotivi/emozionali implicati che vanno necessariamente considerati per monitorare e favorire l’adozione consapevole, da parte degli educatori, di modelli culturali esplicitamente centrati su orientamenti relazionali e non istituzionali/istituzionalizzanti, in grado di determinare adeguati sistemi di alleanze, azioni, agiti ed ancoraggi interpretativi.

Per cogliere la rilevanza di questo modello interpretativo legata alla dimensione triadica del Sé che viene attivata dalla relazione educativa, facciamo riferimento ad un caso affrontato in un incontro di formazione ad una specifica equipe e che è fortemente indicativo delle profonde implicazioni dell’approccio interpretativo proposto.

Per inciso, va detto che rispetto al discorso relativo alla formazione, si rimanda l’approfondimento delle caratteristiche di questo particolare setting e delle sue specificità nelle ultime lezioni di tale modulo.

Tornando pertanto all’esemplifiazione che si intende proprorre, il riferimento è ad un’educatrice (orfana di madre), che chiamiamo Giuditta, che riporta il suo confuso vissuto rispetto ad una precisa situazione/sequenza interattiva che l’ha vista coinvolta insieme ad una bambina in comunità, che chiamiamo Francesca.

La sequenza inerisce nello specifico una telefonata tra Francesca, una bimba di cinque anni e sua madre, telefonata nel corso della quale la bimba piange disperatamente (tanto che non riesce a concludere la telefonat).

Prima di procedere con la lettura e l’interpretazione di questa situazione interattiva, è utile fornire alcune informazioni che consentono di contestualizzare sia l’evento reale, sia i vissuti dell’educatrice.

Francesca è in comunità da quattro mesi in seguito ad un drastico e repentino allontanamento dall’ambiente familiare della zia materna, presso cui era stata accolta, in maniera altrettanto traumatica, in seguito all’arresto della madre tossicodipendente e alla sua detenzione per furto avvenuta pochi mesi prima del suo inserimento in comunità. Dopo una permanenza di poche settimane in casa della zia, la bambina viene allontanata in seguito alla segnalazione effettuata da quest’ultima ai servizi sociali su presunti

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abusi e molestie sessuali a carico della piccola da parte del padre violento e tossicomane, con il quale la bambina trascorreva i fine settimana. I rapporti con il padre vengono immediatamente interrotti in attesa di verifica dell’attendibilità dei fatti denunciati, mentre vengono mantenuti i contatti telefonici con la madre che, nel frattempo, uscita dal carcere, pur essendo a conoscenza della denuncia effettuata dalla sorella, ha ripreso la convivenza con il padre della bambina.

Dopo questa puntuale narrazione immaginiamo che non sia difficile empatizzare con la piccola e provare sentimenti quanto meno avversivi nei confronti dei suoi genitori, tali da far supporre una presunta facilità nel compito di protezione e di tutela della bambina dalla comunicazione con loro che, pur nelle loro soggettive difficoltà, sembrano destinati a tradire ogni espressione del funzionamento genitoriale.

Nella realtà che andremo a descrivere, invece, il compito di tutela e di protezione della bambina risulta del tutto impossibile all’educatrice che se ne prende carico. Il racconto dell’educatrice in formazione verte infatti su un’interminabile telefonata tra la madre e la piccola figlia, che lascia quest’ultima nella solitudine più sconfortante in assenza di empatia, protezione e conforto da parte dell’adulto teoricamente “protettivo” (l’educatrice) che assiste collusivamente alla sua distruzione/destrutturazione emotiva, senza riuscire a intervenire a nessun livello: né concreto interrompendo la telefonata o parlando con la madre, né emotivo, accogliendo il dolore conseguente e tentando una qualsiasi forma di consolazione, né affidando a terzi, i colleghi, il sostegno emotivo a lei in quel momento inaccessibile.

E’ utile nel contempo fornire anche fornire alcune informazioni rispetto all’educatrice Giuditta. La perdita precoce della madre (come poi emergerà dal lavoro di analisi in formazione) ha attivato in lei sentimenti di rabbia (ovviamente non immediatamente riconosciuta, né tanto meno risolta: sono questi i nuclei emotivi attivi nell’educatrice).

In questo esempio l’educatrice si mostra del tutto incapace di sostenere emotivamente e di consolare una bimba di pochi anni alle prese con un dolore troppo grande, attivato da una madre abbandonica, in quanto prevale in lei un forte ancoraggio, non consapevole, con la propria emozione prevalente, la rabbia non risolta verso la sua stessa madre abbandonica.

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Utilizzando lo schema relativo all’attivazione tripartitica del Se, è possibile schematizzare come segue il processo dinamico di tipo collusivo agito dall’educatrice attraverso un ancoraggio inconsapevole alla propria dirompente emozione di rabbia non risolta verso la propria figura materna, vissuta nei termini del tradimento abbandonino.

La narrazione inconscia dell’educatrice sembra pertanto essere la seguente:

Mi identifico in te bambina (attivazione del sé bambino) che provi un dolore “inconsolabile.”

Io sono nello stesso tempo il bambino inconsolabile/sofferente, ma svolgo funzioni genitoriali (attivazione del Sé genitore simbolico), e dal punto di vista del ruolo svolgo nel contempo una funzione protettiva e riparatoria (attivazione del Sé educatore).

Io per mantenere l’ “alleanza” con il sé bambino, ti consento di stare al telefono con la mamma “per non perderla” (è chiaro che pur all’interno di tale identificazione proiettiva si gioca tutta l’ambivalenza emotiva che in realtà sfocia in una profonda attivazione di aggressività).

Nel contempo, mantengo l’alleanza con il sé materno interiorizzato (mamma abbandonica che non consola) che mi mette nelle condizioni di non poter agire la protezione (sé educatore), perché se la esercitassi tradirei mia madre (interiorizzata), che devo salvare proprio per non provare più quel dolore che il bambino reale prova e mi riattiva.

Paralizzo pertanto ogni intervento (protettivo), esponendo/costringendo il bambino reale (Francesca), la piccola che mi è stata affidata, alla solitudine dolorosa di un’interazione non consolante, che mi consente di rimanere il bambino inconsolato da una mamma presente/assente (dinamica collusiva).

Mi difendo però da tutto questo reificando il tuo dolore, che deve essere solo tuo; dolore in cui non posso, non devo e soprattutto non voglio entrare.

Una restituzione in gruppo di questa complessità è possibile solo ad una fase avanzata del processo formativo, quando l’alleanza di lavoro con i singoli e con il gruppo è consolidata.

Nel caso specifico, la capacità empatica del conduttore e la maturazione dei sistemi di alleanza realizzati nel e con il gruppo hanno facilitato il percorso di autoconsapevolezza dell’educatrice che è riuscita a riconoscere la complessità e l’ambivalenza delle emozioni provate e ad esprimere, proprio

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a partire da tali riflessioni, la domanda di essere aiutata nel comprendere se la scelta professionale effettuata fosse realmente compatibile con il percorso personale di integrazione ed elaborazione dei propri conflitti non ancora risolti.

Il processo di autoconsapevolezza orientato e diretto in formazione può consentire, quindi, di pervenire ad una narrazione diversa/altra, una nuova possibilità, prima inimmaginabile al soggetto che gli permette di utilizzare in maniera più equilibrata e meno collusiva, la tipologia di ancoraggio a lui/lei più familiare.

In questo specifico caso un ancoraggio più equilibrato sui vissuti emotivi può portare l’educatore a riconoscere e a offrire riparazione al bambino ferito che è stato mantenendo lo sguardo vigile sul bambino reale che, liberato da dinamiche proiettive, può ricevere la risposta emotiva adeguata alla contingenza/ attualità relazionale.

Il non riconoscimento dei conflitti e l’assenza di integrazione tra le differenti parti del Sé, conducono gli educatori ad inevitabili, ricorrenti e dannosi agiti relazionali nei confronti dei minori in affidamento.

E’ necessario pertanto sostenere l’adulto educatore nell’integrazione dei diversi Sé che si attivano nell’interazione con il minore, affinchè il bambino reale possa essere veramente posto al centro dell’intervento di comunità.

Quando tale integrazione è assente o non è ben realizzata le modalità interattive e i conseguenti agiti pongono il minore nella condizione di adultizzazione riparatoria verso l’adulto che in lui ritrova, a livello proiettivo, il suo sé bambino in conflitto con il sé adulto.

Chiariamo con un altro esempio di narrazione simbolica prototipica riscontrabile tutte le volte che l’adulto si difende dall’intensità della sofferenza del bambino reale, che riattiva prepotentemente il suo dolore non risolto di bambino sofferente.

In questi casi assistiamo, con regolarità, all’identificazione proiettiva da parte dell’adulto, che è stato un bambino sofferente, nel bambino reale che ora reclama protezione (ossia il minore in comunità).

Questa identificazione genera conflitto tra il sé adulto che vorrebbe consolare il bambino reale e il sé bambino che reclama riparazione alla protezione mancata.

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Da bambino, però quel bambino che ora è un educatore, reprimeva la sua esigenza per agire la protezione verso l’adulto non protettivo, nel tentativo salvifico, rivolto alla figura genitoriale non rispondente ai suoi bisogni emotivi. L’emozione conseguente risulta essere la rabbia.

Nell’attualità l’adulto che non ha compreso e rielaborato questo vissuto, a contatto con l’emozione repressa della rabbia, pretende inconsciamente da quel bambino reale l’inversione di ruolo di allora, reclamando quella protezione che possa porre riparazione alla sua esperienza non risolta.

L’integrazione, intesa come equilibrio dinamico tra le diverse parti di sé, co-presenti nelle interazioni con i “non figli” in setting quotidiani come le comunità, è un lungo e complesso processo che si realizza attraverso una costante ed impegnativa riflessione personale e di gruppo, sollecitata e sostenuta dal conduttore/formatore sulle dinamiche proiettive attive nella relazione con il minore.

L’obiettivo è consentire all’altro reale di essere visto e riconosciuto dall’educatore nella sua personale soggettività, in modo da poter raggiungere quella centralità dell’intervento declamata, più che attuata, in ogni carta dei servizi e in tutti i progetti educativi personalizzati elaborati dalle comunità.

Approfondimenti consigliati

Emiliani F., Bastianoni P., Una normale solitudine, Carocci ; Roma

Bastianoni P. Interazioni in comunità, Carocci , Roma

Bastianoni P., Taurino A. Le comunità per minori, Modelli di formazione e supervisione clinica , Carocci Faber; Roma

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L’ESPERIENZA DI COMUNITÀ: OPINIONI E TESTIMONIANZE DI GIOVANI CHE

L’HANNO VISSUTO P. Bastianoni, F. Zullo

Università di Ferrara

Concludiamo queste giornate di intenso lavoro ringraziando tutti voi e riportando i risultati di una ricerca esplorativa che si è posta l’obiettivo di indagare le rappresentazioni e i vissuti relativi all’esperienza di comunità di alcuni giovani che hanno discusso assieme a noi su questo tema.

In questa presentazione cercherò di delineare come valutano l’esperienza di comunità alcuni tra i giovani più resilienti che vi hanno vissuto, che hanno formulato un pensiero attorno a questo tema e che hanno aderito alla richiesta di partecipare ad alcuni focus group sull’esperienza di comunità realizzati nei primi mesi dell’anno presso l’Università di Ferrara. Come abbiamo già discusso in un nostro precedente articolo (Bastianoni, Rubino, Taurino, Palareti, Berti, 2006), la customer satisfaction è un parametro molto complesso da definire quando parliamo dei servizi alla persona e tanto più quanto la voce del cliente è quella di giovani ragazzi che valutano l’esperienza di accoglienza in un servizio residenziale dopo essere stati allontanati dalla loro famiglia, con tutta l’ambivalenza affettiva che ciò comporta! Il giudizio dell’utente, infatti è un criterio centrale nella valutazione dei servizi alla persona e, anche se da punto di vista teorico ed operativo è difficile definire i rapporti che regolano la qualità percepita, quella ‘certificata’ (ovvero l’insieme dei requisiti definiti dall’accreditamento) e quella ‘oggettiva’ concernente il livello tecnico professionale delle prestazioni e la loro appropriatezza sul piano scientifico-tecnico (Bosio e Vecchio, 2000), un servizio che si organizza intorno alla soddisfazione del cliente non può che considerare l’efficacia finale del suo intervento, non più rispetto ad un modo ottimale di gestire l’intervento, ma rispetto al divario che potrà esserci tra la qualità attesa e la qualità percepita dal cliente (Foglietta 1995,2001). Obiettivo raggiungibile potenziando la competenza del servizio a utilizzare come informazione per lo sviluppo della propria efficacia la domanda del proprio utente. Quanto premesso applicato al contesto delle comunità per minori apre alcuni interrogativi indispensabili

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per comprendere come vada coniugato il concetto di centralità dell’utenza con i processi di cambiamento necessari per ridurre le criticità del servizio stesso per meglio soddisfare le aspettative dell’utenza. In particolare modo quando l’utenza è costituita da persone molto giovani quali sono i ragazzi delle comunità occorre inoltre precisare quale sia il significato del concetto di qualità condiviso dai giovani utenti.Per valutare la qualità di un servizio infatti è importante ragionare sulle differenze chiave o sugli scostamenti che, a diversi livelli, si possono verificare nel processo di simbolizzazione di un servizio da parte di chi lo eroga e di chi lo riceve, cosi come molti modelli classici propongono (Parasuraman, Zeithaml e Berry 1985). Nello specifico in questo lavoro abbiamo voluto analizzare il punto di vista dei giovani dimessi dalle comunità, discutendo con loro attraverso incontri di gruppo e metodologie attive quali i focus group, su alcuni scarti o distanze rilevate tra le loro attese e ciò che hanno ricevuto nella loro esperienza in comunità, approfondendo la riflessione tra gli scarti presenti tra la progettualità dichiarata dalle comunità e quella erogata rilevabile nelle narrazioni e nelle discussioni effettuate con i giovani interlocutori. In questo senso le informazioni e le criticità discusse con i giovani che hanno vissuto in comunità non vanno intese esclusivamente come disfunzioni da ridurre per ottenere un incremento della qualità nel servizio offerto, quanto più che altro come informazioni utili a comprendere e ad individuare azioni capaci di gestire un cambiamento possibile e processuale. Vale la pena a questo punto sottolineare la diversa natura degli scarti a cui facciamo riferimento. Se da una parte, infatti, non si può prescindere dalla necessaria riduzione di quelli legati a caratteristiche strutturali e relazionali disfunzionali (che come si avrà modo di rilevare meglio più avanti, possono essere regole inappropriate, spazi fisici inadeguati, carenze di cure, l’eccessivo caos quotidiano, l’assenza di un controllo sicuro e rassicurante, l’eccessivo turn over degli educatori, la loro incapacità di farsi rispettare, la scarsa empatia etc) dall’altra non si può minimizzare la necessità di comprendere e governare gli scarti o gli scostamenti che sono invece l’espressione culturale dei differenti modi (modelli culturali) di stare in un’ organizzazione agiti dai diversi attori. Riteniamo che sia proprio una lettura articolata di questa molteplicità e complessità di posizioni soggettive a meglio favorire la comprensione della domanda di cui l’utente è portatore. Sulla base di questa finalità sono stati effettuati quattro focus group con giovani che avevano vissuto per un periodo consistente della loro vita in comunità e con una sufficiente capacità riflessiva e comunicativa per discutere la loro personale opinione sul valore e sul significato

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dell’esperienza in comunità rispetto alla loro vita, con particolare riferimento alla vita attuale e ai rapporti con la famiglia d’origine, rilevando punti di forza e criticità dell’intervento di comunità come risposta ai bisogni evolutivi dei ragazzi “fuori famiglia”. I giovani sono stati convocati in sede universitaria alcuni mesi prima della realizzazione di un convegno dal titolo “Interventi di rete a sostegno delle genitorialità complesse: il rapporto tra comunità per minori e famiglie” realizzato a Ferrara il 1 aprile 2009 con lo scopo dichiarato e condiviso di apportare il loro specifico contributo sul tema centrale del convegno proprio a partire dalla loro personale esperienza e dal ruolo svolto dalla comunità, secondo la loro opinione, nei propri percorsi di vita con particolare riferimento alle considerazioni maturate sulla loro famiglia d’origine. Tutti i giovani hanno aderito con estremo interesse, partecipazione e responsabilità alla proposta e hanno contribuito con generosità di tempo ed energia alla realizzazione dei 4 incontri.

2. I soggetti Sei ragazzi (5 maschi e una femmina) di età compresa tra i 18 e i 21 anni, di nazionalità italiana, tranne un ragazzo afghano che è venuto in Italia da solo (MSNA), con una lunga esperienza di comunità (dai 2 ai 10 anni, permanenza media: 4 anni). Tutti i giovani parlano la lingua italiana con sufficiente competenza e padronanza del linguaggio e hanno buone capacità riflessive e di mentalizzazione. La maggior parte dei giovani hanno avuto esperienze plurime di affido familiare di affido a comunità. Le riflessioni che hanno condiviso maggiormente sono riferite alla loro esperienza globale e in particolare all’esperienza vissuta in due comunità del ferrarese dove hanno completato il loro percorso di affidamento.

3. MetodologiaSono stati realizzati quattro focus group realizzati in un luogo neutro, una piccola auletta universitaria, alla presenza del conduttore e di un osservatore che ha registrato e trascritto fedelmente la conversazione in atto. Ogni focus ha avuto una durata media di 90 minuti.

Dal punto di vista metodologico i focus sono stati svolti in maniera non direttiva, ossia lasciando liberi i soggetti partecipanti di organizzare la propria produzione discorsiva in relazione agli imput posti dal moderatore. Rispetto alla formulazione delle domande è stato utilizzato inizialmente il metodo del topic guide (Krueger, 1998a), ossia una scaletta di punti/argomenti per aprire la fase esplorativa del lavoro. Dopo tale fase il metodo utilizzato è stato quello del questioning route (Krueger, 1994,

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1998b), vale a dire un percorso più strutturato di domande, tutte centrate sul filo conduttore dell’esplorazione dei diversi modi di pensare l’esperienze in comunità rispetto alla propria vita attuale e al rapporto con la propria famiglia d’origine.

I focus sono stati audio registrati, trascritti fedelmente. Una sintesi di ciascun focus è stata inviata a ciascun partecipante prima dell’incontro successivo in modo che ciascuno potesse apportare modifiche o aggiunte. Tutti i giovani hanno riletto e riflettutto sulla sintesi loro inviata e solo un ragazzo che nel primo focus aveva partecipato con un numero minore di interventi rispetto agli altri, ha aggiunto al report considerazioni personali che non aveva espresso in gruppo e che sono state inserite nel corpus narrativo considerato. I testi interamente trascritti dei quattro focus sono stati sottoposti a due successive analisi del testo con software specifici NUD*IST (Non numerical Unstructured Data Indexing Searching and Theorizing) e Alceste (Analyse des Léxèmes Cooccurrents dans les Enoncès Simple d’un texte).

In questa sede ci occuperemo solo della seconda, limitandoci a riportare che l’analisi effettuata tramite NUD*IST (analisi centrata a rilevare la categorizzazione operativa, nel senso di rappresentazione razionale/cosciente del contesto/oggetto sociale: funzione e valutazione della comunità rispetto al proprio percorso di vita con specifico riferimento al rapporto con la propria famiglia d’origine) ha consentito di rilevare le seguenti macrocategorie impiegate dai partecipanti per discutere e confrontarsi sul tema proposto. Le elenchiamo in ordine di frequenza: profilo dell’educatore (120 unità di testo su 340 totali codificate), profilo della comunità (120), profilo del gruppo dei ragazzi (80), vissuti sulla famiglia d’origine (10), criteri di valutazione dell’intervento (10). E’ a questo punto interessante osservare come la macrocategoria più impiegata e più ricca di sottocategorie sia stata quella rappresentata dal profilo dell’educatore che segnala proprio l’orientamento relazionale e la grande importanza attribuita dai giovani alla figura dell’operatore di comunità. Il profilo dell’educatore viene delineato attraverso un confronto tra il buoneducatore,l’educatore incapace e il debole. Il buon educatore, nella descrizione dei partecipanti alla ricerca è colui che ha fegato e polso, non si spaventa, sa dare le regole ma è elastico e comprensivo, non si mostra debole e arrendevole ma è capace di chiudere un’occhio quando è necessario. E’ una persona che comprende i ragazzi perché ha vissuto le stesse sofferenze e proviene da esperienze familiari analoghe oppure ha una forte passione per le ingiustizie e per i ragazzi e ama il suo lavoro. E’

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coerente, non fa finta di niente e non è interessato soltanto allo stipendio e ai turni ma si fa sentire anche quando non è in comunità perché è veramento interessato alla vita dei ragazzi, non permette che i ragazzi di rovinarsi e di finire male senza regole. L’educatore incapace non sa tenere testa, non sa mantenere il suo ruolo, è ingiusto e manifesta di preferire/favorire alcuni ragazzi rispetto ad altri, è nervoso e ha paura. Non è coerente ed è disinteressato alla vita e ai sentimenti dei ragazzi. E’ incapace anche l’educatore debole ma non è disinteressato ai ragazzi e non è neppure ostile semplicemente non ce la fa e deve essere sostenuto e protetto dagli stessi ragazzi contro coloro che ne fanno bersaglio di derisione e provocazione.

5. I Risultati Vediamo ora come si sono organizzati i cluster dando forma ai diversi modi

di simbolizzare la comunità per minori da parte dei ragazzi che vi hanno

vissuto .

Il primo modello di simbolizzazione emerso può essere definito “lacomunità come rischio”. Questo cluster che ricopre il 18.80% del prodotto discorsivo totale è costituito da lemmi che fanno riferimento alla comunitàcome luogo rischioso (rischio) soprattutto per i ragazzi più giovani (piccoli, subire). In relazione all’oggetto della nostra indagine (cioè la qualità dell’intervento di comunità rispetto alla propria vita) in questo cluster il riferimento principale è proprio al pericolo rappresentato dalla comunità. È possibile ipotizzare che in questo raggruppamento la valutazione della comunità abbia a che fare proprio con le condizioni rischiose che i giovani identificano nella comunità. Alcuni elementi sembrano emergere in maniera significativa: assenza di sicurezza e di controllo ( sicurezza, controllo, educatori, gruppo) che evidenzia una simbolizzazione del contesto di comunità come un luogo pericoloso quando sia assente una partecipazione attiva e accurata da parte degli educatori e un loro costante controllo sul gruppo dei ragazzi. Ma dove viene identificato il pericolo? Il gruppo dei ragazzi riveste un ruolo centrale. Al gruppo è attribuita la possibilità di manifestare, modalità distruttive verso i piu piccoli (nemico, scherni, agnellino, lupo) attraverso azioni offensive e prevaricatrici (pressioni, offese, catena, insulti ai genitori pagare) che non vengono contenute dagli educatori (educatori,debole, no- controllo). In questa simbolizzazione della comunità la sicurezza è un derivato dell’omogeneità dell’età nei gruppi, della

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preparazione preventiva da effettuare ai nuovi arrivati (nuovi,rispetto,comprendere gruppo pagare nemico), in modo che sappiano come comportarsi nei confronti del gruppo già costituito evitando di incorrere in pesanti azioni di “vittimizzazione”(scherzi, punizioni,sottomissione,ferite).Ne deriva una simbolizzazione della comunità come luogo a carattere fortemente istituzionale/istituzionalizzante e potenzialmente veicolante ulteriori rischi evolutivi per i minori che vi sono accolti, soprattutto se la loro età li espone ai soprusi dei più grandi. Simmetricamente il costrutto di protezione viene impiegato per declinare la protezione dei ragazzi più piccoli dall’esposizione a una vita sotteranea di gruppo che impone le sue regole, la sua gerarchia di potere e le sue modalità di esercizio del potere attraverso criteri strutturali (evitare i gruppi misti per età) e preventivi (informare/preparare i nuovi arrivati sulle caratteristiche del gruppo, i comportamenti consigliati per non essere vittime di nonnismo) e attraverso le caratteristiche personali degli educatori che distinguono coloro che sanno proteggere (polso, elasticità, tener testa, no paura, regole) da quelli che abbandonano i ragazzi in balia di loro stessi (deboli, caos, paura, bersaglio, lasciar correre, tirarsi indietro).

All’opposto, nel modello di simbolizzazione corrispondente al 2° cluster che, ricoprendo il 32,06% del prodotto discorsivo totale è il cluster predominante, la valutazione della comunità viene riferita alla dimensione funzionale/residenziale. Potremmo definire questo cluster come “ ilquotidiano istruttivo”. Questa rappresentazione è centrata sul ruolo istruttivo svolto dalla comunità nel preparare i ragazzi alla vita futura (autonomia, futuro, capacità, casa, bollette) con particolare riferimento alla quotidianità esperita in comunità (insegnamenti, lavatrice, soldi, spesa, vita quotidiana). È interessante notare come in questo modello, da un lato si pone l'accento sulla dimensione organizzativa (quotidiano, tempo, utilizzare, pomeriggio, imparare) dove è presente la rappresentazione di una funzionalità delle routine della vita quotidiana dedicate ai compiti domestici (spesa, lavare, utilizzare tempo) dall'altra parte, le azioni previste entro questo raggruppamento sono legate agli aspetti di soddisfazione personale connessi all’autonomia raggiunta (capacità, soldi gestione, casa) e soprattutto alle cure ricevute (cura,ordine, pulizia,vestiti stirati,cibo,,colazione) e interiorizzate (ordinare,pulire,cucinare, amarefigli).

Questo cluster si contrappone nettamente al precedente, in quanto, mentre nel primo modello simbolico la centralità della rappresentazione è rappresentata dal pericolo che la comunità rappresenta per i più piccoli e per

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i più sprovveduti socialmente, in questo modello, invece, il pericolo cede il passo alla competenza nella gestione di ogni autonomia personale e ambientale che la comunità riesce a garantire, laddove la vita quotidiana sia improntata alla condivisione di ciò che serve per vivere (cucinare,spesa, soldi insegnamento, fare assieme) . L’immagine che emerge in questo cluster è dunque ancorata ad una logica educativa finalizzata a favorire l’autonomia e la competenza personale del minore. Passiamo ora a descrivere il modello espresso dal cluster 3 (22, 08%) che potremmo denominare “regolazione/regolarità”. Questo raggruppamento, infatti rimanda ad una qualità tutta focalizzata sul clima relazionale e quotidiano della comunità (clima, regolare, no-caos, no-disordine). I lemmi (difficoltà, parlare, rumore, disordine, difficile, cambiamento) rimandano ad una criticità dell’ambiente di comunità laddove non vengano garantite quelle condizioni di regolare svolgimento pacifico delle routine della vita quotidiana (pace, caotico, rumore).

Il cluster 4 (12,16%) definisce un modello culturale che abbiamo scelto di denominare “il fattore psicologico” utilizzando una definizione della comunità fornita da un partecipante al focus.In questo modello il valore della comunità per la vita dei ragazzi che vi vivono è rappresentata dalla disposizione personale a riflettere sulla propria esperienza (riflettere) ad assumere un’atteggiamento riflessivo e pacato (pazienza) che riesce a comunicare agli altri (esprimere) chi si è (rivelarsi,aprirsi ). In primo luogo è utile sottolineare come tale operazione non sia esente da fatica richiedendo una competenza comunicativa (imparare,comunicare, provare, aspettare) supportata dal proprio impegno e volontà (impegno) e dalla capacità degli educatori di essere empatici, sensibili, competenti (interesse, cuore, simile, sofferenza, comprendere) e di effettuare una corretta analisi della domanda (lettura).L’ultimo raggruppamento da noi denominato “la fatica dei vissuti familiari” ricopre il 24.92% del prodotto discorsivo totale e definisce una rappresentazione dell’intervento di comunità riferito ai propri vissuti sulla famiglia d’origine come scenario per una personale e raccolta riflessione (solo, pace, pensare, tregua, distanza) riconoscendo però la capacità degli educatori di offrirsi come mediatori nei confronti della famiglia d’origine (mediare,implulsività, incontri, protezione, parlare, genitor, aiuto). E’ interessante rilevare che i lemmi riconoscibili in queto cluster rimandano a caratteristiche personali che riguardano adulti e figli in un intreccio emotivo caratterizzato prevalentemente dalla distanza dagli affetti ( pausa, tempo,calma, accettare). Sembra delinearsi in questo cluster una qualità che fonda i presupposti nella protezione dall’incontro/scontro con una

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realtà familiare dura/ostile che però si vuole conservare e accettare con la necessaria distanza dagli affetti negativi che inevitabilmente suscita (rabbia, pazienza,attutire).

Lo spazio fattoriale (cfr. figura 1) organizza i modelli descritti dando senso all’insieme dei repertori linguistici e simbolici fin qui esplorati. Entrando nello specifico dell’analisi, lo spazio appare strutturato da processi di simbolizzazione (gli assi fattoriali) relativi a due dimensioni:

1. la rappresentazione/simbolizzazione del ruolo della comunità rispetto al proprio percorso di vita e al rapporto con le proprie famiglie d’origine come “contesto ambivalente”(I fattore, asse orizzontale) che si snoda lungo un continuum tra le due opposte polarità del rischio e della protezione;

2. la rappresentazione/simbolizzazione della comunità nella sua duplicità di setting educativo/terapeutico (II fattore, asse verticale) lungo un continuum tra le due categorie che definiscono un settinginterno (polarità positiva, in alto) che sottende il ruolo della comunità nel favorire processi di comprensione e di rielaborazione dei vissuti connessi alla propria storia personale contrapposto a una dimensione esterna rappresentata dal contenimento e dalla strutturazione fornita dalla vita quotidiana attraverso al regolazione di tempi e spazi e la regolamentazione del lecito e del non lecito.

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Figura 1

Setting interno

Setting esterno

Passando ad un ulteriore livello di analisi del piano fattoriale attraverso l’applicazione del modello geometrico/strutturale (Bolasco, Coppi, 1983) per l’interpretazione dei dati a nostra disposizione, è possibile rilevare che l’intersezione degli assi ortogonali genera uno spazio a quattro quadrantiche costituiscono delle specifiche aree culturali ( cfr. fig. 2). Il quadrante 1 (in basso a destra) determinato dall’intersezione tra rischio/ setting esterno rappresenta l’area in cui si manifesta maggiormente la fatica di fronteggiare il gruppo dei pari”vittimizzante. Il quadrante II (in alto a destra), determinato dall’intersezione tra la rischio/ setting interno si connota meglio come l’area della capacità di simbolizzare il rischio. Il quadrante III (in alto a sinistra), determinato dall’intersezione tra settinginterno/ protezione delimita l’area della rielaborazione dei propri vissuti familiari. Il quadrante IV (in basso a sinistra), determinato

Cluster 5

Cluster 1

Cluster 4

Cluster 3 Cluster 2

protezione rischio

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dall’intersezione tra setting esterno/ protezione definisce l’area del sostegno all’autonomia personale.

Figura 2

rischioprotezione

MC5

MC4

Rielaborare i vissuti familiari

Simbolizzare il rischio

MC1

Imparare l’autonomia

Fronteggiare i pari

MC2MC3

Setting interno

Setting esterno

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6. Conclusioni

La ricerca ha messo in evidenza l’esistenza di uno spazio fattoriale al cui interno si articolano cinque differenti modelli culturali, da considerarsi come altrettante modalità legate alla simbolizzazione del ruolo/ funzione svolta dalla comunità rispetto alla propria vita e ai rapporti con la propria famiglia d’origine così come vengono simbolizzate da giovani che vi hanno vissuto una parte consistente della propria giovane esistenza. La coesistenza nello stesso spazio di cinque modelli culturali esplicita, dunque, la pluralità delle rappresentazioni condivise dai soggetti coinvolti nell’esperienza di focus.

Considerando i due fattori che rappresentano i processi di simbolizzazione alla base dei differenti modelli culturali individuati, è pertanto possibile rilevare che gli elementi su cui sembrano ancorarsi le definizioni di ruolo/funzione della comunità riguardano la rappresentazione del suo funzionamento tra rischio e protezione da una parte e la simbolizzazione dei due principali contesti d’intervento (setting interno ed esterno). Ciò consente di evidenziare quanto i giovani dimessi dalle comunità sappiano riconoscere il valore dell’esperienza di comunità in quanto luogo dove potersi “riprendere”dalla faticosa quotidianità familiare per poter riflettere su ciò che è successo alla luce della nuova esperienza. La funzione di protezione della comunità viene fortemente interconnessa alla capacità empatica, di comprensione di sostegno e di rassicurazione svolta dagli educatori che si “prendono a cuore” la nostra vita, che “sono simili a noi”o che sono “molto interessati al loro lavoro e non lo fanno solo per soldi”ed è riconosciuta dai giovani che hanno partecipato ai focus come l’aspetto più significativo e rilevante dell’esperienza di comunità rispetto ai significati attribuiti alla propria vita passata e ai progetti futuri. Simmetricamente il rischio dell’esperienza in comunità è simbolizzato come strettamente associato alla solitudine in cui educatori non interessati al proprio lavoro, paurosi, dipendenti e incapaci di farsi rispettare e di ordinare e organizzare il quotidiano, abbandonano i ragazzi, soprattutto i più piccoli, in balia di una contaminante esposizione ai processi di vittimizzazione e di violenza reiteratamente messi in atto dal gruppo dei giovani arrabbiati e delusi dalla vita che la comunità fa convivere assieme.

La simbolizzazione della comunità come setting interno (spazio riflessivo e simbolico) ed esterno esterno (organizzazione della vita quotidiana) esprime, invece, una forte dialettica tra la rappresentazione del sostegno

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ricevuto dalla comunità sia nei processi di simbolizzazione/mentalizzazione della realtà che comportano l’incremento della capacità riflessiva e della consapevolezza sia nell’acquisizione di competenze quotidiane connesse alla capacità di gestione della propria autonomia personale.

Da quanto fin qui esposto, si può pertanto dedurre la complessità del tema trattato entro uno scenario che designa una pluralità di dimensioni e di orientamenti, ma dove, tuttavia, risulta predominante una concezione della funzione della comunità come fortemente ancorata a modelli relazionali che riconoscono la centralità del minore, dei suoi bisogni di regolazione/regolamentazione, accoglienza e conforto, ascolto e aiuto nella riflessione e nella rielaborazione sui ciò che è avvenuto e che può ritornare se non si è sufficientemente sostenuti a modificare le traiettorie interne ed esterne della propria vita.

Nello specifico se consideriamo il contenuto rappresentazionale del cluster più pesante ( MC2:il quotidiano istruttivo) si deduce una rappresentazione della comunità come fortemente centrata sul sostegno all’apprendistato di una vita quotidiana che consenta al giovane di muoversi verso l’autonomia e la competenza attraverso il benessere esperito (cura,pulizia,ordine) e la cura personale ricevuta (accudimento, vestiti, cose). La qualità dell’intervento di comunità evocata da tale modello rimanda ad una rappresentazione fortemente definita da un orientamento relazionale che rimanda all’immagine di un minore rievocato nel suo bisogno primario di accudimento in un ambiente ordinato e piacevole che veicola attenzione, preoccupazione e cura.

Lo stesso minore è fatto oggetto di incontro quotidiano e di un processo di riconoscimento reciproco che ben esplicita la dimensione relazionale sintetizzata nel lemma condividere.

In fase conclusiva, non resta che tentare di rispondere a due quesiti cruciali che ci hanno accompagnato in questa esposizione: quali sono le criticità presenti nelle comunità così come sono nella realtà italiana e quali possibili cambiamenti è necessario apportare perché si riducano gli scarti tra ciò che i ragazzi si attendono e ciò che invece ricevono? E quali sono le dimensioni che possono essere implementate per sviluppare la riduzione di questi scarti?

Un tentativo di risposta alla prima domanda include anche la seconda. Se trattiamo, come abbiamo anticipato nell’introduzione, i modelli culturali

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sull’intervento di comunità emersi dal confronto tra i giovani che hanno partecipato all’esperienza di focus come una variabilità da gestire e non come scarti o scostamenti da un modello di qualità ideale (quella centrata sulla protezione del minore, sul suo accudimento e sull’assunzione di responsabilità rispetto al suo futuro) ne deduciamo che il lavoro di restituzione agli educatori e ai professionisti che organizzano e gestiscono le comunità sia da effettuare sull’esplicitazione di quanto sia necessario orientare il proprio intervento nella direzione di un approccio relazionale che sappia coniugare esigenze organizzative a istanze educative e sappia riconoscere la centralità di una relazione significativa, affidabile e coerente come condizione indispensabile perché si possano modificare, attraverso esperienze reali con adulti sui quali poter contare, i modelli relazionali interiorizzati nelle esperienze passate che veicolano continuità al rischio e alla violenza e non consentono di pensare né tantomeno programmare una vita diversa da quella alla quale ci si sente inevitabilmente destinati. I ragazzi resilienti, quelli che ce la stanno facendo, come testimoniano le loro parole, non prescindono da un forte orientamento relazionale. Credono nella capacità eversiva della relazione. Sicuramente non possiamo deluderli.

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IL “MISTERO” DELL’ORATORIO*

don Massimiliano Sabbadini

già presidente della federazione Oratori della Diocesi di Milano * Testo tratto dalla Conferenza Organizzativa di NOI Verona del 28 ottobre

2004

Educazione cristiana: la tradizione proiettata nel futuro.

Vedendovi qui di fronte a me tutti insieme, mi viene spontaneo immaginare dietro i vostri volti anche le realtà di cui siete testimoni, portatori, animatori e quindi sento la presenza di una Chiesa vivace, ricca, competente anche nell’educazione dei ragazzi, dei giovani, degli adolescenti. Al di là di quello che i miei occhi percepiscono ora, è bello pensare soprattutto ai vostri ragazzi e poi agli educatori e animatori, ai curati e parroci di tutte le chiese e le parrocchie che voi rappresentate ed è anche a loro che voglio comunicare una brevissima testimonianza legata ad un’esperienza che ho appena vissuto.Proprio questa notte sono tornato da Belgrado, o meglio da una diocesi a 40 Km da Belgrado, dove sono andato con il cardinale Dionigi Tettamanzi, il mio arcivescovo, il successore di Sant’Ambrogio sulla cattedra di Milano. Ambrogio fu, per usare una terminologia attuale, un giovane praticante avvocato in quella terra. Per questo il cardinale Tettamanzi è stato invitato per festeggiare i 1.700 anni del martirio di San Demetrio e degli altri che hanno dato vita a una Chiesa così lontana. Perché vi racconto questo? Perché, con il mio Arcivescovo, mi sono trovato in una situazione piuttosto desolata: la chiesa cattolica è solo una piccolissima minoranza, il 5% della popolazione, circondata in buona parte dalla Chiesa Ortodossa, e con una storia recente fortemente antireligiosa nella quale i cattolici hanno potuto giusto sopravvivere. Là ho toccato con mano quanto sia difficile celebrare la fede iniziata 1.700 anni fa in quei luoghi e ancor di più ricondurre a una pratica quotidiana la vita cristiana, dove non è stata irrorata continuamente, di generazione in generazione. Ma, appunto, da che cosa è nutrita e sostenuta la fede? Riflettendo anche con il Cardinale in auto, sulla via del ritorno, mi è sembrato proprio di cogliere che il segreto della continuità è l’educazione cristiana: poter trasmettere valori ai propri figli, i quali trasmetteranno ai figli dei loro figli i valori in cui credono, valori che, però, devono essere vissuti e non solo celebrati. Questa mi sembra proprio la ricchezza di una Chiesa che è quella che noi conosciamo, che ci fa

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continuamente vivaci, sempre protesi al futuro, alla ricerca preziosa delle radici del passato per viverle ancora oggi. Il confronto con una Chiesa lontana per alcuni aspetti, legati principalmente al suo destino storico, ma in fondo geograficamente vicina, separata da noi solo dall’Adriatico e raggiungibile velocemente, ci dice con un occhio più disincantato quanto sia preziosa l’eredità che noi riceviamo e la tradizione che noi consegniamo ad altri: una Chiesa che educa i suoi figli è una Chiesa viva, che guarda al futuro. Sarà capace di gettare un nuovo seme perché il Vangelo sia non solo ricordato, ma anche vissuto e sentito come la trama di ogni giorno da vivere. Vi ho raccontato questa esperienza, perché contiene un altro modo, forse meno immediato, sicuramente più complesso, di definire l’oratorio. Oratorio significa cento cose. Certo, “oratorio” presuppone anche mille questioni organizzative; anche il nostro incontro di questa sera è organizzativo. Sappiamo benissimo, però, che non ci sarebbe nulla da organizzare se non esistesse un organismo vivo, vivente, palpitante, anche un po’ scalpitante. Un organismo che qualche volta fa anche rumore, si muove, si agita. In questa ottica, allora, appare bella persino la fatica che ci sta davanti: la fatica di una ricchezza che ci è consegnata da trafficare perché a sua volta generi ricchezza da trafficare e così via. Credo che ciascuno di voi, quando sente parlare di oratorio, pensi inevitabilmente alla propria esperienza; ma, se appena si ferma un poco, visto che siamo in chiesa – anche questo per motivi organizzativi, ma non solo, perché il luogo è carico di un significato forte - il pensiero soggiacente è anche quello di riconsegnare l’oratorio, cioè la propria esperienza, la propria fatica, quello che abbiamo da fare, a Gesù e di metterci continuamente alla sua scuola.

L’oratorio: una funzione sociale? Non solo, ma anche…

La funzione sociale dell’oratorioRecentemente, proprio l’estate scorsa, avrete avuto modo di seguire qualche notizia vibrante, addirittura qualche polemica (si erano, infatti, create delle tensioni all’interno dell’Azione Cattolica perché uno degli invitati era Gianfranco Fini) intorno a un convegno che si è tenuto nell’ambito dell’incontro del Papa con l’Azione Cattolica a Loreto. Il convegno si era svolto due giorni prima a San Benedetto del Tronto ed era stato organizzato congiuntamente dall’Azione Cattolica e dal Centro Sportivo Italiano sul tema “La funzione sociale degli oratori”. Io ero stato invitato a tracciare le conclusioni. Senza entrare nel merito delle polemiche, è bene ricordare che

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proprio in quella occasione si ebbe modo di affermare a chiare lettere che quando si dice oratorio, si presuppone certamente una funzione sociale, ma non solo! L’oratorio ha anche un suo ruolo sociale, che finalmente oggi viene riconosciuto grazie ad interventi legislativi, a livello sia regionale che nazionale, ma, è importante proprio qui sottolineare che l’oratorio è anche, ma non solo, funzione sociale.

L’oratorio alla luce del Mistero di DioL’oratorio esiste non solo e non tanto perché c’è un pezzo di società da salvare, oppure, detto in altri termini, siccome nella società è avvertito il problema della gioventù, che poi si chiami questione giovanile, disagio giovanile, o in mille altri modi, si parte sempre da qui quando il tema viene presentato in televisione, dai mass media. Poiché, quindi, i giovani rappresentano un problema delicato, allora si cerca chi ha le risposte. Ben venga a questo punto la Chiesa che ha dalla sua il Patronato, l’Oratorio, le Associazioni giovanili. Così si presenta l’oratorio come una risposta a un problema sociale. Attenzione: ciò concretamente avviene, ma nella Chiesa non c’è l’oratorio perché ci sono i problemi. C’è l’oratorio innanzitutto, perché c’è una Chiesa che ha una sensibilità educativa e vive la gioia di riconoscersi come madre di quei figli che Dio stesso ha generato. E dunque è bello parlare di oratorio in Chiesa. L’oratorio anche nella sua parola, nel suo nome, inventato da San Filippo Neri nel XVI secolo, è luogo della preghiera e molte volte l’oratorio è anche fisicamente quella chiesa annessa a quella parrocchiale, dove si ritrovano le congregazioni per pregare. Oratorio: luogo di un mistero, il mistero di un Dio che non è statico, ma è presente e attivo in questo nostro tempo, in questa società, dentro le nostre comunità, nonostante i nostri limiti. Il Signore ci guarda in faccia con i nostri difetti e quando pensiamo all’oratorio è Lui che ci dice: “Io non sono stanco di affidarvi i miei figli”. L’oratorio è quindi il mistero della fiducia di Dio che continuamente nel Battesimo affida alla Chiesa dei figli. E allora, qual è quella madre che non si cura dei suoi figli? Lo diceva già il Padre della Chiesa San Cipriano: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”. E lo stesso concetto viene espresso nel sacramento del Battesimo; a quello stesso mistero attingiamo la forza, le radici, la profondità dell’oratorio. Noi ci prendiamo cura di quelli che riconosciamo come nostri figli, che non sono nostri singolarmente, ma di noi tutti insieme. È una comunità cristiana che è madre e che ha un Dio come Padre. Potete intuire, allora, quale sia la qualità, la natura profondamente spirituale dell’oratorio. Alla luce di questo, è comunque positivo l’effetto che l’oratorio produce facendo del bene nella società, perché è come una buona

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madre che si occupa dei suoi figli: non se ne occupa un giorno sì e un giorno no, non se ne occupa una volta perché ha voglia e una volta no, non se ne occupa solo se i figli rispondono bene, ma se ne occupa sempre. Ed una buona madre così è un bene, per sé stessa perché risponde alla propria vocazione, per il padre di quei figli, per i figli stessi, per la società intera. Ecco così è la Chiesa che con l’oratorio incide anche nella società, rispondendo però alla sua propria vocazione di prendersi a cuore i ragazzi, di esprimere ogni attenzione fisica, morale, spirituale, economica anche, per vedere crescere i figli di Dio come persone autentiche. Fra l’altro, nella società, e pensiamo a quella parte della società che ciascuno di noi vive, voi laici soprattutto, cioè al mondo del lavoro, del volontariato, del tempo libero, quando si trovano dei giovani ben educati, sensibili, generosi, che hanno voglia di impegnarsi per gli altri, che hanno quella serenità di fondo con la quale non hanno paura anche di affrontare qualche rischio, qualche sacrificio, tutti dicono: ma dove sono giovani così? Si farebbero carte false per averli tra i colleghi di lavoro, per affidargli delle responsabilità professionali. Ebbene l’oratorio si propone proprio questo: vedere crescere – diceva San Giovanni Bosco – buoni cristiani e onesti cittadini. E attenzione che i buoni cristiani si riconoscono poi da come si comportano nella società, ovvero se a scuola si impegnano, se in famiglia sono in pace, se pensano al loro futuro con responsabilità. E’ chiaro allora che l’oratorio, cioè la Chiesa che è madre, che educa i suoi figli, realizza quel bene che poi la società intera riconosce come tale. Oggi nessuno più, essendo caduti anche gli steccati ideologici, osa negare che sia davvero un bene. L’educazione cristiana contiene in sé il massimo impegno della partecipazione anche alla vita sociale, la capacità di giovani di prendersi a cuore la vita di tutti gli altri. Ecco perché, allora, interpretato alla luce del mistero di Dio, possiamo affermare che l’oratorio è anche una funzione sociale.

Il riconoscimento giuridico della funzione sociale dell’oratorio È molto importante, come dicevo poc’anzi, che recentemente, nella storia di questi ultimi anni, anche le istituzioni pubbliche abbiano formalmente e sostanzialmente riconosciuto il valore e la rilevanza che assumono gli oratori in quanto tali nel tessuto sociale. Una delle prime leggi regionali in questo contesto ha proprio questa titolazione “Il riconoscimento della funzione sociale ed educativa degli oratori” del 22 novembre 2001, legge della Regione Lombardia, cui hanno fatto seguito diverse altre leggi regionali. Nell’agosto 2003 anche il Parlamento dello Stato Italiano ha

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siglato al riguardo la “legge 206”, all’iter della quale ho potuto contribuire personalmente con un’audizione alla Camera dei Deputati l’8 maggio 2002. Attenzione però, anche in questo senso noi non possiamo affermare di fronte alla società: c’è un oratorio perché c’è una legge. La legge non stabilisce come devono essere gli oratori, che cosa debbano fare. È interessante che il concetto cardine di quella legge è il riconoscimento: si riconosce ciò che c’è già, e così si dice in altri termini, anche per l’oratorio, la sussidiarietà. C’è un soggetto che è presente, che è vivo, che è attivo, che per quello che è e che fa, senza bisogno che nessun altro gli insegni che cosa deve fare e come, fa del bene a tutti, del bene fruibile e riconoscibile dalla società. È importante rilevare questo concetto, perché alcune volte un facile cortocircuito sulla interpretazione di questi riconoscimenti legislativi degli oratori, dei patronati (sono riconosciute con la legge tutte le realtà, anche di altre confessioni religiose: era necessario questo, data la matrice non confessionale che ha lo Stato nel promulgare le sue leggi), può far pensare che finalmente possiamo far bene l’oratorio perché lo Stato fa qualcosa per l’oratorio. Non è così. Semmai lo Stato sente come un proprio impegno – siccome gli oratori ci sono già – di favorire che quello che gli oratori fanno sia un bene anche per gli altri e di mettere ogni oratorio in condizione di farlo: garantire risorse economiche, possibilità di utilizzo di beni pubblici, mobili e immobili e, a dire la verità, non molto di più (nella legge statale non c’è moltissimo riguardo a fondi e finanziamenti perché rimanda alle leggi regionali).

L’oratorio “ponte tra la Chiesa e la strada” L’oratorio, come abbiamo visto, nasce dalle viscere materne di Dio e, in virtù di questo, viene riconosciuto nella sua capacità concreta, fattiva, come avviene con una buona madre che non si limita a pronunciare belle parole, ma con i fatti cresce robusti e convinti i suoi figli. Perciò anche lo Stato, anche la società civile riconosce l’oratorio. E poi il Papa, forse lo ricorderete, un po’ a sorpresa, nel 2000, quando si era appena conclusa la Giornata Mondiale della Gioventù (tutti si ricordano di Roma, Tor Vergata, con milioni di giovani): una settimana dopo, mentre era in vacanza a Castel Gandolfo, incontrò i giovani della diocesi di Albano Laziale, e lì, mentre tutti parlavano ancora della Giornata Mondiale della Gioventù, lui ha riportato subito l’accento su un modo quotidiano, non straordinario come era stata ovviamente la Giornata Mondiale, che molte comunità possono vivere, di stare vicino, di accompagnare, di guidare, di vedere protagonisti i propri giovani, i propri ragazzi i propri adolescenti. A quel punto il Papa parlò proprio dell’oratorio e, volendo rilanciare la

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missione degli oratori, li definì “un ponte tra la Chiesa e la strada”,un’espressione poi diventata famosa e utilizzata molte volte. E’ stato interessante, però, cogliere che questa definizione veniva introdotta come integrazione di quei momenti eccezionali, straordinari, che sono quelli in cui tutti dicono “che bella la Chiesa con i giovani”. La Chiesa, però, non è con i giovani solo quando il Papa li raduna una volta ogni tre anni, ma la Chiesa è ogni giorno laddove i giovani vivono le grandi sfide della loro esistenza, dove fanno fatica ad andare avanti o dove, se non fanno fatica, vorrebbero veder riconosciuta un po’ di più la propria capacità di portar avanti anche la Chiesa, la comunità e anche gli altri. Quindi ci sono sfide che oggi rappresentano la vita quotidiana dei ragazzi: “Che senso ha la mia vita? Come faccio ad essere felice? Perché mi annoio? Che cosa potrà interessarmi? Che significato ha se sono innamorato o no?”. L’oratorio è il modo quotidiano di una Chiesa che è vicina ai ragazzi dove vivono, ma che è accanto soprattutto alle vie più nascoste dove passano queste domande, dove pulsano nel cuore queste provocazioni, che rischiano di cadere nel vuoto della solitudine, in cui non trovano interlocutori, se non interessati perché hanno qualcosa da vendere. L’oratorio è invece la testimonianza quotidiana, qualche volta anche un po’ grigia, non sempre organizzata benissimo (anche se giustamente riteniamo importante che l’oratorio sia testimonianza pure di una buona capacità strutturale e ben articolata di stare vicino ai ragazzi), di una grande passione educativa che si gioca dove passa la vita dei ragazzi con le loro luci e le loro ombre, dove ci sono quelli educati, ma dove ci sono anche quelli poco educati. Ecco, tutto questo rappresenta, in sintesi, la ricchezza e la grandezza dell’oratorio, che riesce a unire la sua matrice ecclesiale e spirituale con quella sociale. Questa è la matrice propria di chi non solo sa dire belle parole, stendere ambiziosi programmi sulla gioventù, ma di chi vuole anche rimboccarsi le maniche, seppure ciò può significare affrontare mille delusioni. Tutto questo comporta vivere un’autentica passione educativa. Chi di voi è genitore, chi di voi è insegnante a scuola, chi di voi è responsabile o animatore nei circoli e negli oratori sa benissimo che nove giorni su dieci non è che si cantino sempre l’Alleluia o il Te Deum. Sorgono e si intrecciano tra loro cento dubbi: “Non so capirli questi ragazzi…”, “ho fatto cinque proposte e non vanno mai bene...”. Eppure c’è questa passione educativa, questa Chiesa interpretata da mille volti, mani e cuori che costruiscono poi l’oratorio. Spesso i giornalisti mi chiedono: “Chi va all’oratorio? Cosa c’è di nuovo all’oratorio? Quanti sono i frequentanti dell’oratorio?”. A me piace subito spostare un po’ il discorso e rispondere alla domanda con un’altra domanda: “Secondo voi, chi fa l’oratorio?” Non c’è l’oratorio senza chi lo fa. Da

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questo punto di vista l’oratorio è uno spettacolo bellissimo di un volontariato in grandissima parte, oserei dire nell’assoluta maggioranza, gratuito, con persone che mettono a disposizione le proprie risorse di tempo, di denaro, di pazienza e di intelligenza per educare altri.

Un oratorio quadridimensionale: Chiesa, casa, scuola e strada Oggi si battono facilmente le mani a chi spende tempo nel volontariato assistenziale, in quello per i beni culturali, in quello per i beni ambientali. A me piace dire ai giornalisti che c’è una schiera di persone che dedica il proprio tempo al volontariato educativo e che si tratta di una missione formidabile, nel senso che fa anche un po’ paura, che è un’avventura che non si sa mai bene quando e come finisce. Eppure all’oratorio ci sono presone che si spendono in questa avventura. Non gli unici, non da soli; certo ci sono anche le associazioni, ci sono le benemerite istituzioni che si occupano dei ragazzi, ma anche gli oratori sono protagonisti nell’ambito del volontariato educativo. Per realizzare che cosa? Per fare che cosa?

Oserei individuare quattro coordinate sulle quali si fonda la realtà dell’oratorio: oratorio è un po’ chiesa, è un po’ casa, è un po’ scuola ed è un po’ strada.

Oratorio è ChiesaIntanto, e l’abbiamo detto già in buona parte, l’oratorio è un po’ Chiesa per la sua stessa natura, che vi ho detto prima, e cioè perché nella chiesa parrocchiale c’è il fonte battesimale; quindi lì Dio ha affidato a qualcuno i suoi figli. L’oratorio è Chiesa e ce ne accorgiamo, diciamo anche simpaticamente, se dobbiamo trovare l’oratorio tra le vie di un paese, di una città. Come facciamo? Sempre, quando chiedo la strada per un oratorio, mi dicono: “Guarda, dove vedi il campanile, proprio vicino al campanile vedrai i riflettori, le porticine, il campo”. Non c’è oratorio senza la vicinanza, spesso anche strutturale, con l’edificio della chiesa. L’oratorio è Chiesa innanzi tutto perché è comunità credente, perché è insieme di persone che credono e che educano. Non c’è oratorio solo dove c’è il prete eroe, la suora intrepida, qualche santo educatore dalla capacità carismatica di tirarsi dietro tutti i ragazzi. Forse qualche esempio così c’è ancora, ma non è il migliore degli esempi di oratorio. C’è un oratorio dove c’è Chiesa, e sapete che la parola Chiesa significa “assemblea”, vuol dire che l’oratorio è là dove c’è un insieme il più possibile organizzato, coordinato, pensato, ben distribuito di capacità, di attitudini, di volontà, di ministeri, di servizio alla vita dei ragazzi e dei giovani. E allora si fa oratorio, perché uno porta avanti

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l’attività sportiva, un altro il teatro, uno coordina i catechisti, uno più esplicitamente nella catechesi annuncia il Vangelo, un altro più specificamente, ma non meno efficacemente, lo mette in scena nei momenti di volontariato. Capite, uno non è mai solo, già nella sua testimonianza: l’oratorio è fatto da persone diverse e dunque è un insieme, una Chiesa. Pensate che cosa significa allora che l’oratorio sia Chiesa proprio oggi, in un tempo in cui tutti i ragazzi che conosciamo sono portatori qualche volta sani, qualche volta no, di una terribile e insidiosa malattia, che si diffonde nell’aria, nella cultura in cui siamo immersi e che si chiama individualismo. Quella cultura che ti fa credere che si diventa grandi solo se ci si distingue dagli altri, solo se “io esiste”, come diceva la pubblicità - mi sembra - di un’automobile, oppure quell’altra dell’”uomo che non deve chiedere mai!”. Individualismo: il successo nella vita fino a emergere, emergere, emergere, ma fino a quando? Fino al punto in cui si è così esclusivi da essere soli. Capite, allora, come si insinua il male sottile dell’individualismo? Ebbene quando noi ci mettiamo ad accompagnare la vita dei ragazzi, lo facciamo come Chiesa, non da soli, ma insieme. Io non potrei fare niente nella diocesi e negli oratori di Milano se non attraverso la concertazione bellissima e poliedrica di catechiste, animatori, genitori, responsabili dei bar, dei circoli, dell’attività sportiva... Che bello, un popolo variegato che educa proprio perché è insieme. Ed educa all’insieme. L’oratorio è Chiesa perché chi va all’oratorio capisce subito che non esiste lui da solo, ma che lui esisteinsieme agli altri. Questo stile emerge anche da come si gioca. Non so se anche qui, ma nella diocesi di Milano, con il Sinodo Diocesano 47°, si proibirono i videogiochi nei bar degli oratori. E perché? Perché avviene che di fronte al videogioco uno ci si piazza davanti…ed è solo lui. E invece se non altro con il “calcio balilla”, o il “tam-tam”, o il ping-pong, bisogna essere almeno in due per giocare all’oratorio. Ricordate la “canzoncina” di Elio e Le Storie Tese, che forse avrete sentito questa estate: “all’oratorio si canta almeno in tre”.

Oratorio è casaPoi l’oratorio è casa: se un oratorio funziona bene, i ragazzi ci stanno come a casa loro, nel senso che non ci stanno con il cronometro fino al 59° minuto del catechismo per poi fuggire via, ma si intrattengono volentieri e sentono che si respira aria familiare. Ogni oratorio si riconosce dal clima che c’è; quello di casa nostra sappiamo che non è facilmente riproducibile, non si può comprare o produrre in laboratorio, e non lo si può mettere nello ionizzatore dell’aria perché si diffonda “magicamente”. L’atmosfera di casa vuol dire molte cose, vuol dire quella Chiesa di cui parlavamo poco fa; se è

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Chiesa siamo fratelli, se siamo fratelli abbiamo cura uno per l’altro, ma anche responsabilità, perché ciascuno sente di doversi impegnare lui per primo. A chi non è mai capitato di imbattersi in quegli adolescenti o ragazzi delle medie – che hanno spesso quelle facce un po’ segnate – che arrivano in oratorio e dicono: “Ueh, non c’è nessuno…” e magari ci sono lì una cinquantina di persone, ma per loro “non c’è nessuno” perché non c’è nessuno di quelli che hanno in mente loro. E subito dopo cosa dicono? “Ueh… ma qui è un mortorio!” Allora la battuta pronta: “Eh, bravo, e tu cosa ci metti perché sia più vivo? Tu sei uno di quelli che vorresti trovare venendo all’oratorio?”. Bisogna far sentire i ragazzi protagonisti dell’ “aria che si respira” come a casa, anzi di più. Le mamme presenti qui potrebbero confermarlo. Dicono spesso ai figli affaccendati e in po’ nomadi: “questa casa non è un albergo”. Già, la casa non è un albergo perché ci sei anche tu, sei parte attiva, e così deve essere anche all’oratorio. L’oratorio è casa perché ha in qualche modo il carattere, la sensibilità e il temperamento di tutti quelli che vi sono dentro. All’oratorio nessuno è un cliente…E così l’oratorio è casa anche perché è gratis. Dove si trova oggi un posto nel quale, appena entrati, non si chieda “quanto costa?”. E magari si è già pagato il biglietto prima. L’oratorio non è così, ci pensate? È gratis anche in senso letterale, perché non si sborsano soldi dalle tasche. Certo ogni tanto i soldi servono anche all’oratorio e ben venga che anche i ragazzi imparino a metterceli, visto che li spendono per tante altre cose. Però il clima che si respira è quello della gratuità. Ricordo in un oratorio una scritta su un muro, che era stato riservato ai messaggi liberi che i ragazzi volevano affiggervi: Qui gli amici sono gratis. Subito sotto c’era il listino prezzi dei gelati, però gli amici erano gratis! Ecco perché l’oratorio è casa.L’oratorio è casa anche perché a casa ci sono i genitori e l’oratorio non si propone qualcosa d’altro di ciò che interessa anche i genitori dei ragazzi. Non solo, l’oratorio si propone di essere a sostegno, a integrazione, a completamento dell’attività educativa dei genitori, senza prescinderne, senza trascurarla, senza cancellarla. Non può esserci un oratorio senza un rapporto, sappiamo quanto difficile da cercare e da trovare, con le famiglie e i genitori dei ragazzi. Però è anche vero che l’oratorio non è tout court, pari pari, la stessa vita domestica che i ragazzi trovano a casa loro. Analoga è però la preoccupazione che vivono i genitori, quella cioè di veder crescere bene i propri figli in una comunione di vita stabile, affettivamente certa, custodia sicura di buoni valori.

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Oratorio è scuolaPoi, ancora, l’oratorio è un po’ scuola. Questo è il lato meno simpatico. Quante volte lo sentiamo dire: “Il catechismo assomiglia un po’ troppo alla scuola, e se è così i ragazzi non vi partecipano volentieri”. Però, non neghiamolo, a scuola si va per imparare e anche all’oratorio si va per imparare. L’oratorio ha anche dei contenuti da dare, da offrire, l’oratorio non c’è solo quando si dice ai ragazzi: “Cosa volete che facciamo?”. Ma quando qualcuno sa che cosa comunicare a quei ragazzi. Quindi dà qualcosa in più di ciò che sta già nella vita dei ragazzi e suscita il gusto di imparare, di apprendere. In questo senso è importantissimo il catechismo ed è importantissima l’esperienza spirituale. A pregare si impara. L’oratorio è fatto anche – e soprattutto – per questo. Quando un ragazzo impara a pregare, poi ha un respiro che lo accompagna tutta la vita. Anche quando sarà adulto, anche quando insegnerà ai suoi figli a pregare. Perché la “scuola”, all’oratorio, è scuola di tante cose che non si apprendono solo sui libri. Peraltro, qualche libro ci deve essere anche all’oratorio, dove si stima e si realizza anche l’attività culturale e intellettuale, magari rappresentata in cento modi diversi. Insegnare può significare far apprendere ai ragazzi suonando o cantando, ma intanto apprendono, intanto imparano. L’oratorio è anche scuola di vita. Come a casa non solo si prende qualcosa, si mangia, si ricevono dei servizi, ma anche e soprattutto si vive, così l’oratorio è capace di mettere in scena delle situazioni di vita nelle quali si impara. Che cosa? A vivere come ha fatto Gesù, a perdonare come ha perdonato Gesù. Un’estate, durante un oratorio estivo, il Grest, nella parrocchia dove ero vicario parrocchiale, non avevamo la mensa per il pranzo. Dopo una settimana è andato via una ragazzino di prima media, perché la mamma lo aveva iscritto alla colonia del Comune perché lì c’era la mensa. E questo ragazzo era molto triste e non voleva andarci. Io cercavo di incoraggiarlo, dicendogli che anche il comune avrebbe trovato dei bravi animatori, ma lui mi ha detto: “Eh sì don, ma non sai che là se due litigano nessuno li divide.” Lì ho capito che grande scuola è l’oratorio. Ho capito che attraverso gli occhi e la coscienza di un ragazzino era passata l’idea che all’oratorio si impara a perdonare. E questo non è forse il Vangelo? “Settanta volte sette”! Perché “all’oratorio quando due litigano qualcuno li divide”: non basta dire che c’è un valore, ma bisogna metterlo in pratica. Anche nelle piccole cose, come, ad esempio: “Se non fai la pace, non fai la merenda”. All’oratorio, in quanto scuola, si imparano cose che ti servono per la vita.L’oratorio è scuola, anche perché - soprattutto dove i ragazzi frequentano l’oratorio del loro territorio, vicino a casa e vicino a scuola - è molto utile e molto opportuno che qualcuno dell’oratorio stabilisca dei rapporti con la

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scuola, elementare e media soprattutto, con gli insegnanti di religione, con il preside se si può, per stabilire magari dei punti di contatto, instaurando così un lavoro di rete. Si sente tanto parlare di lavoro di rete ed è importante che un oratorio non si senta un’”isola che non c’è”, un luogo “magico” di un altro pianeta. Oggi tutti sanno benissimo che quel ragazzo, quel preadolescente che si educa è lo stesso studente che va a scuola, è il figlio che è in famiglia, è il giocatore in erba della società sportiva, ma è anche il nostro ragazzo dell’oratorio. Se ci mettiamo virtuosamente in collegamento con tutti gli altri che si preoccupano della sua educazione, riusciremo forse a qualcosa. Oggi anche l’oratorio non basta da solo; ci vuole un po’ di capacità di allacciare rapporti diretti, progetti comuni, interventi nei casi di emergenza, sussidiarietà. Sotto questo punto di vista, a mio parere, gli oratori devono crescere ancora. Siamo un po’ abituati, come in passato, a fare tutto da soli come se noi fossimo gli unici e i più bravi, invece dobbiamo riconoscere che ci sono oggi tanti educatori professionali, insegnanti, assistenti sociali, associazioni e istituzioni del territorio, ecc., con i quali aprire un dialogo fecondo ed efficace ber il bene delle giovani generazioni.

Oratorio è stradaInfine, riallacciandomi al discorso del Papa, l’oratorio è anche strada.L’oratorio sorge, spesso materialmente, vicino al campanile, ponendosi come una soglia che dà su una strada. E noi sappiamo quanto pericoloso sia se è troppo vicino alla strada... Ma ciò ha anche un significato molto profondo: strada vuol dire anche informalità, evoca quegli aspetti che facciamo fatica a considerare nella vita dei ragazzi, che sono incontrollabili e incontrollati, che rivelano anche quel bisogno di libertà che si esprime - che lo si voglia o no – al di là del nostro controllo, negli ambiti della trasgressione, alla ricerca di confini che poi, se non ci sono, generano guai seri. Voi sapete che uno dei problemi rilevati dai pedagogisti nelle nuove generazioni è che, siccome inizia troppo presto la de-strutturazione,l’assenza di ogni regola, a volte già in casa, i ragazzi vanno in tilt psichiatrico: senza regole non crescono. Però è anche vero che ogni tanto dobbiamo forse eliminare alcune regole. L’oratorio è un ponte prospiciente alla nostra strada, è una sorta di zona continuamente attraversabile da dentro a fuori, da fuori a dentro. Non è un recinto invalicabile. Quella strada così intesa come destrutturazione, i ragazzi se la portano dentro, anche i nostri più bravi, anche quelli che già fanno gli educatori, anche loro hanno dentro una “strada” che è ora è l’ebbrezza, ora la confusione, ora l’euforia, ora la chiusura in se stessi…; ciascuno fa esperienza di una “strada” verso la

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propria vera libertà che cerca i suoi confini, cerca come decidersi, cerca quei sì e quei no grazie ai quali la vita diventa una vita benedetta, decisa, voluta. Quanto è difficile oggi questo! Bene, l’oratorio sa essere un ponte tra la chiesa e la strada. Questo però, bisogna dirlo lasciandoci un po’ provocare. Dire strada vuol dire ciò che abbiamo sotto casa in maniera piuttosto indistinta.Cioè vuol dire anche una serie di problemi, la piccola devianza, la piccola delinquenza, quel subbuglio di gioventù non educata che oggi c’è e si fa notare spesso scomposta, rumorosa, sprezzante. Quand’ero all’oratorio nella periferia nord di Milano, alla Bovisa, litigavo talvolta con le mamme che tenevano il bar dell’oratorio. Erano generosissime e volonterose. Facevano i turni due volte la settimana, ma ogni tanto venivano da me e dicevano: “Don Massimiliano, adesso basta: o lei manda fuori quel ragazzo o io non vengo più. Perché me l’ha fatta ancora in barba, è venuto a rubarmi le patatine, mi ha preso in giro”. E io un po’ litigavo amabilmente, perché sentivo in questa mamma una difficoltà sì, ma non del tutto vera. Allora le dicevo: “Ma Carmela, se quello fosse tuo figlio, cosa faresti? Andresti da tuo marito e gli diresti: “Basta, vado via di casa se adesso tuo figlio non si comporta bene”? No, cercheresti mille modi per insegnare l’educazione a quel ragazzo lì”. Oppure arrivava qualcuno mentre ero in classe per il catechismo a dirmi: “Don, vieni, perché hanno bestemmiato, eh, all’oratorio non si bestemmia”. Certo, non c’è bisogno di scriverlo fuori, è ovvio, no? Succede un fatto, chi è lì lo affronta. Tutti hanno una capacità educativa, i genitori stessi la sviluppano, ma chissà perché quando si trovano all’oratorio viene loro un complesso di inferiorità, sembra che non siano più in grado di affrontarlo da soli. Perché forse ci illudiamo di trovare all’oratorio quelli già educati che si comportano sempre bene e che rispondono subito bene alle nostre proposte. Invece oggi mi sembra che l’oratorio sappia stare come un ponte sulla strada quando, con molta acutezza, sa intercettare anche quei vuoti di educazione che si presentano. Ancora a quelle mamme dicevo: “Se a casa tua suonano e vedi dallo spioncino uno che è vestito male, che è un po’ maleodorante, che ha la faccia sporca e che non mangia da qualche giorno, che cosa fai? Ti fai un po’ di coraggio, ma gli dai aiuto, perché ti hanno insegnato che la carità cristiana non è solo dir belle parole, non è solo far offerte in Chiesa; gli darai da mangiare, se ha fame”. Ecco, oggi spesso i comportamenti difficili, trasgressivi e un po’ scostanti di certi ragazzi rappresentano la povertà dell’educazione. E, come se uno è povero di pane gli dai da mangiare, così se uno è povero di educazione cominci a dirgli: “Guarda che qui ci si comporta così ”. Il modo migliore per tradire chi ha bisogno di educazione è quello di far finta di niente, di non richiamare le regole, essere più deboli.

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L’Oratorio invece deve essere anche capace di sostenere qualche strappo, se c’è. Attenzione che non c’è solo quello: ci sono anche molti ragazzi che l’educazione l’hanno ricevuta e assimilata e possono metterla a disposizione degli altri. Ragazzi apostoli di altri ragazzi, coinvolti al servizio, con il loro impegno, di altri coetanei.

Oratorio è “oltre”: la quinta dimensione

Dunque oratorio è chiesa, casa, scuola e strada. Ho detto quadridimensionale, ma mi piace pensare che ci sia anche una quinta dimensione. L’oratorio è anche oltre, oltre tutto questo. Ritorniamo così alla frase con cui abbiamo cominciato, cioè l’oratorio è anche un mistero. È un mistero di quell’oltre che è la vita del ragazzo che tu incontri al tuo oratorio, che va verso dove tu non sai ancora, ma con la fiducia, e insieme il santo timore, di chi sa che Dio ha preparato per lui una strada, un disegno, e tu fai il tifo per quel ragazzo, perché incontri e decida per quel disegno che Dio ha pensato. Ed è utile quello che tu puoi fare. Un oratorio che è oltre, perché sa benissimo che oltre a quello che riesce a fare c’è molto altro che continuamente ci chiama a una missione infinita. E infine l’oratorio è oltreperché sa che per fare tutto quello che deve non basta l’organizzazione, non bastano i soldi, non basta la capacità di ciascuno, ma bisogna mettersi anche un po’ in ginocchio. A invocare quell’Oltre – con la maiuscola – dal quale viene ogni bene che fa della Chiesa una madre capace di crescere i suoi figli.

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nive

rsità

di

Ferr

ara

in c

olla

bora

zion

e co

n il

Coo

rdin

amen

toP

rovi

ncia

le d

elle

Com

unità

per M

inor

i: 1.

ène

cess

ario

va

luta

re

la

qual

itàde

l no

stro

in

terv

ento

2.è

nece

ssar

io d

efin

ire q

ual è

il no

stro

mod

ello

cu

ltura

le d

i com

unità

e m

odifi

carn

e gl

i asp

etti

pote

nzia

lmen

te “r

isch

iosi

CO

SA

INTE

ND

IAM

O P

ER

VA

LUTA

ZIO

NE

DE

LLA

Q

UA

LITÁ

DE

LL’IN

TER

VE

NTO

DI C

OM

UN

ITÁ

?

èun

pro

cess

o di

com

para

zion

e de

i ris

ulta

ti ot

tenu

ti ne

lla p

resa

in c

aric

o de

l min

ore

e de

lla s

ua fa

mig

lia c

on g

li ob

ietti

vi s

tabi

liti

nella

fase

di i

nser

imen

toè

un p

erco

rso

di ri

fless

ione

che

inte

nde

verif

icar

e se

sia

mo

o m

eno

nella

dire

zion

e gi

usta

, se

stia

mo

vera

men

te a

iuta

ndo

i no

stri

bam

bini

, i n

ostri

raga

zzi e

le lo

ro

fam

iglie

Qua

li pa

ram

etri

andi

amo

a m

isur

are?

Qua

li fa

ttori

pren

dere

in c

onsi

dera

zion

e?

Cap

acità

di ri

spet

tare

le re

gole

?I b

uoni

risu

ltati

scol

astic

i?L’

avve

nuto

rien

tro in

fam

iglia

?Il

ragg

iung

imen

to d

egli

obie

ttivi

del

P

.E.P

.?La

pos

itiva

riel

abor

azio

ne d

ella

pro

pria

st

oria

?Il

bene

sser

e pe

rcep

ito?

Qua

ndo

valu

tare

?

Alla

fine

del

per

cors

o in

com

unità

?U

n an

no o

due

dop

o l’u

scita

?P

rogr

essi

vam

ente

al r

aggi

ungi

men

to d

ei

vari

obie

ttivi

del

P.E

.P.?

Il be

ness

ere

perc

epito

qua

lche

ann

o do

po

l’usc

ita?

Il be

ness

ere

perc

epito

all’e

tàX

?

Chi

dec

ide

che

cosa

val

utar

e?

I ser

vizi

soc

iali?

Gli

educ

ator

i?Il

supe

rvis

ore?

La

rete

di s

ogge

tti c

oinv

olti

nella

pre

sa in

ca

rico?

I ric

erca

tori?

…so

nogl

i osp

iti a

dec

ider

e!

Il pa

radi

gma

della

qua

lità

nei s

ervi

zi a

lla p

erso

na p

one

la

sodd

isfa

zion

e de

l cl

ient

e (c

usto

mer

satis

fact

ion)

com

e pa

ram

etro

cen

trale

ed

essa

si

mis

ura

sulla

bas

e de

l di

vario

(sca

rto) t

ra la

qua

lità

atte

sae

la q

ualit

àpe

rcep

itaP

erta

nto

uno

dei c

ompi

ti di

un

serv

izio

alla

per

sona

èut

ilizz

are

com

e in

form

azio

ne p

er lo

svi

lupp

o de

lla p

ropr

ia e

ffica

cia

la

dom

anda

del

pro

prio

ute

nte

e an

aliz

zare

gli

scar

ti (o

sc

osta

men

ti)pr

esen

ti tra

la p

roge

ttual

itàdi

chia

rata

e

quel

la e

roga

ta ri

leva

bile

dal

le n

arra

zion

i del

l’ute

nte

stes

so (P

aras

uram

an, Z

eith

aml,

Ber

ry 1

985)

Ric

erca

con

gio

vani

ex-

ospi

ti

SO

GG

ETT

I:7

raga

zzi (

6 m

asch

i e u

na fe

mm

ina)

di e

tàco

mpr

esa

tra i

18 e

i 21

ann

i con

pe

rman

enza

med

ia in

com

unità

di tr

e an

ni

e pr

oven

ient

i dai

tre

dive

rsi c

onte

sti

resi

denz

iali

per a

dole

scen

ti de

lla p

rovi

ncia

fe

rrare

se.

OB

IETT

IVI:

-In

daga

re il

pun

to d

i vis

ta d

ei

giov

ani d

imes

si d

alle

co

mun

itàris

petto

alla

loro

es

perie

nza

resi

denz

iale

-A

naliz

zare

gli

scar

titr

a le

lo

ro a

ttese

e c

iò c

he h

anno

ric

evut

o ril

evab

ile d

alle

loro

na

rraz

ioni

(qua

lità

atte

sa v

s qu

alità

perc

epita

)

MET

OD

O E

STR

UM

ENTI

:-

4fo

cus

grou

pre

aliz

zati

in

luog

o ne

utro

(uni

vers

ità) a

lla

pres

enza

di u

n co

ndut

tore

e

di u

n os

serv

ator

e -

I foc

us g

roup

sono

sta

ti au

dior

egis

trat

ie tr

ascr

itti

fede

lmen

te-

Ana

lisi d

ei d

ati:

utili

zzo

dei

softw

are

Nud

.iste

Alc

este

RIS

ULT

ATI

(1)

Ana

lisi d

ei d

ati c

on N

ud*is

t:S

ono

stat

e ril

evat

e 5

mac

roca

tego

rie re

lativ

e al

la ra

ppre

sent

azio

ne

razi

onal

e/co

scie

nte

del c

onte

sto/

ogge

tto s

ocia

le:

prof

ilo g

rupp

o de

i rag

azzi

; 81

prof

ilo d

ella

com

unità

; 117

prof

ilo d

ell'e

duca

tore

; 121

crite

ri d

i val

utaz

ione

de

ll'in

terv

ento

; 9vi

ssut

i fam

iglia

d'o

rigi

ne;

12

prof

ilo d

ell'e

duca

tore

prof

ilo d

ella

com

unità

prof

ilo g

rupp

o de

ira

gazz

ivi

ssut

i fam

iglia

d'or

igin

ecr

iteri

di v

alut

azio

nede

ll'in

terv

ento

“Buo

n ed

ucat

ore”

sa d

are

le re

gole

ma

èel

astic

o e

com

pren

sivo

non

si s

pave

nta

di fr

onte

alle

man

ifest

azio

ni

aggr

essi

veco

mpr

ende

e c

apis

ce i

raga

zzi p

erch

évi

ssut

i pe

rson

ali s

imili

e/o

pass

ione

per

giu

stiz

ia e

min

ori

in d

iffic

oltà

èac

cess

ibile

si s

a m

ette

re in

dis

cuss

ione

Inte

rven

to d

i qua

lità

se e

quip

e è

cost

ituita

da

figur

e ac

cess

ibili,

ela

stic

he, a

utor

evol

i, si

cure

di s

ée

com

pren

sive

“Edu

cato

re in

capa

ce”

non

sa m

ante

nere

il p

ropr

io ru

olo

(si

abba

ssa

ai li

velli

dei m

inor

i, en

tra in

sfid

a co

n lo

ro, s

i arra

bbia

faci

lmen

te…

)no

n sa

“ten

ere

test

a”al

le m

anife

staz

ioni

ag

gres

sive

e a

lle p

rovo

cazi

oni d

ei ra

gazz

ingi

usto

per

chè

ha p

refe

renz

nerv

oso

e ha

pau

ra

“edu

cato

re d

ebol

e”

èin

capa

ce a

nch’

esso

non

èdi

sint

eres

sato

e n

emm

eno

ostil

affe

zion

ato

ai m

inor

im

a è

una

pers

ona

fragi

le, n

on c

e la

fa…

in q

uest

i due

cas

i l’in

terv

ento

di c

omun

itàvi

ene

cons

ider

ato

di b

assa

qua

lità…

ène

cess

ario

che

gl

i edu

cato

ri si

ano

dota

ti di

un

buon

live

llo d

i m

atur

azio

ne e

di a

dulti

tà, d

evon

o av

er

riela

bora

to e

ffica

cem

ente

la lo

ro s

toria

, dev

ono

esse

re p

erso

ne s

olid

e, d

eter

min

ate

ed

equi

libra

te

“buo

na c

omun

ità”

ordi

nata

, pul

ita, a

ccog

lient

edo

tata

di s

pazi

per

sona

lizza

bili

(la s

tanz

a,

l’arm

adio

, ecc

.)no

n c’

ètro

ppa

conf

usio

ne, s

i può

sta

re

tranq

uilli

si p

uò a

cqui

star

e l’a

bbig

liam

ento

ne

cess

ario

e d

i pro

prio

gus

togl

i ogg

etti

di o

ccor

renz

a qu

otid

iana

son

o su

ffici

ente

e a

degu

ati

“com

unità

non

adeg

uata

”no

n cu

ra g

li am

bien

ti, è

trasc

urat

asi

man

gia

mal

e, n

on c

’ècu

ra d

el c

ibo

c’è

caos

e c

onfli

ttual

itàco

stan

te tr

a ed

ucat

ori e

m

inor

iut

ilizz

a po

che

risor

se e

cono

mic

he p

er fa

r fro

nte

alle

rich

iest

e de

i rag

azzi

Per

tant

oL’

inte

rven

to d

i com

unità

sarà

di q

ualit

àse

gli

spaz

i e

i tem

pi d

el q

uotid

iano

ven

gono

cur

ati e

or

gani

zzat

i sec

ondo

i bi

sogn

i per

sona

li de

i m

inor

i e n

on s

econ

do lo

gich

e di

bila

ncio

ec

onom

ico

e di

indi

ffere

nza

rispe

tto a

ll’or

dine

e

alla

pul

izia

del

le c

ose

e de

gli s

pazi

RIS

ULT

ATI

(2):

App

rofo

ndim

ento

del

l’ana

lisi d

ei d

ati c

on A

lces

te:

mod

i di s

imbo

lizza

re la

com

unità

per m

inor

i da

parte

dei

raga

zzi e

x os

piti

18,8

0%

32,0

6%

22,0

8%

12,1

6%

24,9

2%

0,00

%

5,00

%

10,0

0%

15,0

0%

20,0

0%

25,0

0%

30,0

0%

35,0

0%

la c

omui

tà c

ome

risc

hio

il qu

otid

iano

istr

uttiv

ore

gola

zion

e/re

gola

rità

il fa

ttor

e ps

icol

ogic

ola

fatic

a de

i vis

suti

fam

iliar

i

“la c

omun

itàco

me

risch

io”

(val

utaz

ione

del

la c

omun

itàin

bas

e al

per

icol

o ch

e ra

ppre

sent

a):

elem

enti

com

e l’a

ssen

za d

i sic

urez

za e

co

ntro

llode

gli e

duca

tori

vers

o le

azi

oni

dist

rutti

ve, o

ffens

ive

e pr

evar

icat

rici

(pre

ssio

ni, o

ffese

, cat

ena)

dei

raga

zzi p

iùgr

andi

e/o

agg

ress

ivi n

ei c

onfro

nti d

ei p

iùpi

ccol

i e/o

app

ena

arriv

ati(

nem

ico,

sche

rni,

agne

llino

, lup

o), s

imbo

lizza

no la

co

mun

itàco

me

fatto

re d

i ris

chio

…as

senz

adi

pro

tezi

one

Qui

ndi

se la

com

unità

deve

ess

ere

“pro

tetti

va”

occo

rre “p

rote

gger

e”i p

iùvu

lner

abili

dalle

ag

gres

sion

i e d

agli

atta

cchi

altr

ui“s

e no

n ve

ngo

prot

etto

èpe

rché

non

me

lo

mer

ito, q

uest

o vu

ol d

ire c

he a

llora

ève

ram

ente

col

pa m

ia s

e so

no q

ui p

erta

nto

non

mi m

erito

il ri

spet

to d

egli

altri

”D

ISIS

TIM

A, M

AN

TEN

IME

NTO

SE

NS

O D

I C

OLP

A:

ES

ITO

NE

GA

TIV

O

““ la c

omun

itla

com

unit àà

com

e ris

chio

com

e ris

chio

””

“il q

uotid

iano

istru

ttivo

”(va

luta

zion

e de

lla

com

unità

rifer

ita a

lla d

imen

sion

e fu

nzio

nale

/resi

denz

iale

):

Cap

acità

della

com

unità

di p

repa

rare

gli

ospi

ti al

la v

ita fu

tura

“aut

onom

a”at

trave

rso

la re

gola

rità

e la

funz

iona

lità

delle

rout

ine

della

vita

quo

tidia

na (s

pesa

, lav

are,

ord

ine

cam

era)

“il q

uotid

iano

istru

ttivo

quin

dico

mun

itàco

me

“pal

estra

”per

la v

ita fu

tura

“son

o in

gra

do d

i arr

angi

arm

i da

solo

, la

com

unità

mi h

a re

so c

onsa

pevo

le d

elle

mie

cap

acità

di

gest

ione

di m

e st

esso

e d

ella

cas

a, s

ono

in

grad

o di

pad

rone

ggia

re il

quo

tidia

no”

SE

NS

O D

I SIC

UR

EZZ

A E

DI E

FFIC

AC

IA

PE

RS

ON

ALE

, AU

ME

NTO

DE

LL’A

UTO

STI

MA

: E

SIT

O P

OS

ITIV

O

“reg

olaz

ione

/rego

larit

à”(v

alut

azio

ne d

ella

com

unità

in b

ase

al c

lima

posi

tivo

che

gara

ntis

ce

rego

lare

svo

lgim

ento

del

le ro

utin

e qu

otid

iane

):

clim

a re

lazi

onal

e e

quot

idia

no c

aotic

o,di

sord

inat

o e

conf

littu

ale

(cao

s, ru

mor

e,

diso

rdin

e, li

tigar

e)vs

paci

fico,

ser

eno

e or

dina

to (t

ranq

uilli

tà,

pace

, reg

olar

e, n

o di

sord

ine)

“reg

olaz

ione

/rego

larit

à”

quin

diil

min

ore

deve

pot

er c

onta

re s

u un

a co

mun

itàin

cu

i si c

rean

o le

con

dizi

oni p

er fa

vorir

e un

clim

a m

ite e

ord

inat

o“s

e an

che

qui,

com

e a

casa

mia

, c’è

sem

pre

conf

usio

ne, c

aos

e lit

igi a

llora

vuo

l dire

che

il

mon

do è

fatto

cos

ì, pe

rché

allo

ra n

on m

i fan

no

torn

are

a ca

sa?”

CO

NFE

RM

A C

HE

LO

SP

AZI

O C

IRC

OS

TAN

TE É

OS

TILE

E ID

EA

CH

E N

ON

SI P

OS

SA

US

CIR

E

DA

TA

LE O

STI

LITÁ

’:E

SIT

O N

EG

ATI

VO

“il fa

ttore

psi

colo

gico

”(va

luta

zion

e de

lla c

omun

itàsu

lla b

ase

della

ca

paci

tàde

gli e

duca

tori

di e

sser

e em

patic

i, se

nsib

ili e

com

pete

nti):

nece

ssità

di p

oter

con

tare

su

educ

ator

i at

tent

i e s

ensi

bili,

cap

aci d

i cog

liere

i bi

sogn

i affe

ttivi

/em

otiv

i dei

min

ori e

di

pors

i com

e ba

se s

icur

a at

trave

rso

cui e

ssi

poss

ano

fidar

si e

sen

tirsi

libe

ri di

rifle

ttere

su

di s

é, s

ulla

pro

pria

sto

ria e

sui

pro

pri

viss

uti f

amilia

ri(r

iflet

tere

, pen

sare

) edi

com

unic

are

(riv

elar

si, a

prirs

i, es

prim

ere)

i vi

ssut

i per

sona

li in

funz

ione

di u

na

riela

bora

zion

e rip

arat

iva

Qui

ndi

pres

enza

di a

dulti

sig

nific

ativ

i e re

spon

sivi

“gli

educ

ator

i mi c

apis

cono

e q

uest

o m

i dà

la

poss

ibili

tàdi

pen

sare

a m

e st

esso

e a

lla m

ia

stor

ia, d

i pot

er p

arla

re c

on lo

ro e

rius

cire

a

capi

re ta

nte

cose

che

altr

imen

ti m

i fan

no

prov

are

rabb

ia, r

anco

re e

insi

cure

zza”

CO

NS

AP

EV

OLE

ZZA

DE

LLA

PR

OP

RIA

STO

RIA

P

ER

SO

NA

LE E

SE

NTI

ME

NTO

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IDU

CIA

N

ELL

’ALT

RO

SIG

NIF

ICA

TIV

O C

ON

C

ON

SE

GU

EN

TE A

UM

EN

TO D

I SIC

UR

EZZ

A D

I S

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ES

ITO

PO

SIT

IVO

““ il fa

ttore

psi

colo

gico

il fa

ttore

psi

colo

gico

””

“il fa

ttore

psi

colo

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VS

“nes

suno

mi a

scol

ta, n

essu

nom

i cap

isce

, so

nom

olto

con

fuso

e ar

rabb

iato

: deg

liad

ulti

non

cisi

può

fidar

e, m

eglio

tene

rsil

e pr

oprie

cose

per s

è”A

CC

UM

ULO

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RU

STR

AZI

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E E

R

AB

BIA

E R

ICO

NFE

RM

A D

I MO

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LLI D

I A

DU

LTO

OS

TILE

E IN

AFF

IDA

BIL

E:

ES

ITO

NE

GA

TIV

O

“la fa

tica

dei v

issu

ti fa

mili

ari”

(val

utaz

ione

del

la

com

unità

in ri

ferim

ento

al r

appo

rto c

on la

fam

iglia

d’

orig

ine)

:

capa

cità

della

com

unità

di p

orsi

com

e m

edia

trice

nei

con

front

i dei

vis

suti

e de

i ra

ppor

ti co

n la

fam

iglia

d’o

rigin

e de

i min

ori

(med

iare

, pro

tezi

one,

par

lare

ai g

enito

ri)

“la fa

tica

dei v

issu

ti fa

mili

ari” quin

diE

duca

tori

che

entra

no in

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zion

e di

retta

con

la fa

mig

lia,

sost

engo

no il

min

ore

nelle

con

flittu

alità

e of

frono

alla

st

essa

stru

men

ti pe

r un

mag

gior

ben

esse

re e

ser

enità

rela

zion

ali

“gli

educ

ator

i han

no c

onos

ciut

o la

mia

fam

iglia

, han

no d

ato

dei b

uoni

con

sigl

i, ha

nno

aiut

ato

me

a ca

pire

cos

a st

ava

succ

eden

do c

on e

tra

i mie

i gen

itori

quin

di s

to m

eglio

co

n m

e st

esso

e c

on lo

ro”

CU

RA

DE

LLE

RE

LAZI

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I E D

EI V

ISS

UTI

FA

MIL

IAR

I:E

SIT

O P

OS

ITIV

O

vs“g

li ed

ucat

ori n

on m

i las

ciav

ano

parla

re c

on i

mie

i ge

nito

ri, n

on s

i son

o m

ai in

tere

ssat

i a lo

ro, i

o vo

glio

ben

e ai

mie

i gen

itori

e no

n co

ndiv

ido

le

opin

ioni

deg

li ed

ucat

ori s

u di

loro

qui

ndi h

anno

ra

gion

e ad

opp

orsi

al f

atto

che

son

o in

com

unità

; la

com

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sbag

lia tu

tto, n

on fu

nzio

na! S

to

meg

lio a

cas

a m

ia, a

nche

se

mia

mad

re s

i dro

ga

e m

io p

adre

non

c’è

mai

!”M

AN

CA

TA R

IELA

BO

RA

ZIO

NE

DE

LLA

PR

OP

RIA

S

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IA E

RIC

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FER

MA

DI M

OD

ELL

I DI

AD

ULT

O IN

AFF

IDA

BIL

E:

ES

ITO

NE

GA

TIV

O

conc

lusi

oni

La fu

nzio

ne d

i pro

tezi

one

della

com

unità

vien

e fo

rtem

ente

inte

rcon

ness

a al

la c

apac

itàem

patic

a, d

i com

pren

sion

e, s

oste

gno

e ra

ssic

uraz

ione

svo

lta d

agli

educ

ator

i

All’

oppo

sto

il ris

chio

della

com

unità

èsi

mbo

lizza

to c

ome

stre

ttam

ente

ass

ocia

to a

lla

solit

udin

e in

cui

gli

educ

ator

i inc

apac

i e n

on

inte

ress

ati l

asci

ano

i rag

azzi

più

picc

oli e

indi

fesi

in

bal

ia d

i pro

cess

i di v

ittim

izza

zion

e e

di

viol

enza

da

parte

dei

più

gran

di

conc

lusi

oni

La fu

nzio

ne d

ella

com

unità

èqu

indi

anc

orat

a a

mod

elli

rela

zion

ali c

he ri

cono

scon

o la

cen

tralit

àde

l min

ore

e de

i suo

i bis

ogni

. Ciò

esp

rime

che

la

qual

itàde

ll’in

terv

ento

der

iva

da u

n or

ient

amen

tore

lazi

onal

ech

e rim

anda

all’

imm

agin

e di

un

min

ore

rievo

cato

nel

suo

bis

ogno

prim

ario

di

accu

dim

ento

in u

n am

bien

te o

rdin

ato

e pi

acev

ole.

perta

nto

l’opi

nion

e de

i gio

vani

adu

lti d

imes

si è

in a

ccor

do

con

il co

stru

tto d

i com

unità

com

e “a

mbi

ente

te

rape

utic

o gl

obal

e”

PE

R R

IAS

SU

ME

RE

INTE

RV

EN

TO D

I QU

ALI

TÁC

HE

CO

ND

UC

E A

D U

N

ES

ITO

PO

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IVO

PU

ÓD

ER

IVA

RE

DA

ALC

UN

E

CA

RA

TTE

RIS

TIC

HE

PA

RTI

CO

LAR

I:D

ell’e

duca

tore

: buo

ned

ucat

ore

vsed

ucat

ore

debo

le/in

capa

ceD

ella

com

unità

: buo

naco

mun

itàvs

com

unità

non

adeg

uata

Del

lere

lazi

onii

nter

pers

onal

i: si

gnifi

cativ

e, s

uppo

rtive

e

ripar

ativ

evs

asse

nti,

pove

re, o

stili

Del

rapp

orto

con

la fa

mig

liad’

orig

ine:

con

divi

sion

e,

colla

bora

zion

e, m

edia

zion

evs

escl

usio

ne, g

iudi

zio,

st

igm

atiz

zazi

one

impl

icaz

ioni

Qua

li ca

mbi

amen

ti e

qual

i dim

ensi

oni

poss

ono

esse

re im

plem

enta

ti pe

r svi

lupp

are

la ri

duzi

one

di q

uest

i SC

AR

TI?

RIC

ERC

A-

Pro

muo

vere

tali

perc

orsi

in a

ltri t

errit

ori e

in

mod

o si

stem

atic

o: d

are

voce

ai r

agaz

zi!!!

-V

alid

are

i ris

ulta

ti-

Def

inire

par

amet

ri di

inte

rven

to e

di r

elaz

ione

ed

ucat

iva

cond

ivis

i ed

effic

aci n

ella

dire

zion

e di

un

appr

occi

o re

lazi

onal

e

impl

icaz

ioni

POLI

TIC

A-

Ren

dere

i pa

ram

etri

norm

e di

legg

e-

Intro

durre

nel

la re

te il

“gar

ante

del

la q

ualit

à”(o

su

perv

isor

e di

pro

cess

o)

CO

MU

NIT

ÁR

ESID

ENZI

ALE

. Rid

urre

l’im

patto

dei

fatto

ri di

“ris

chio

”. P

rom

uove

re u

na c

ultu

ra re

lazi

onal

e . E

ffettu

are

perc

orsi

cos

tant

i e s

iste

mat

ici d

i for

maz

ione

e

supe

rvis

ione

con

pro

fess

ioni

sti d

el s

etto

re. I

ndag

are

il pr

oprio

“MO

DE

LLO

CU

LTU

RA

LE D

I C

OM

UN

ITÀ

MO

DE

LLO

CU

LTU

RA

LE D

I CO

MU

NIT

À

Per

mod

ello

cul

tura

le d

i co

mun

itàin

tend

iam

o qu

ei s

iste

mi d

i rap

pres

enta

zion

i attr

aver

so c

ui g

li in

divi

dui

conc

epis

cono

em

otiv

amen

te e

fan

no

espe

rienz

a de

l pr

oprio

m

ondo

re

lazi

onal

e e

com

e ad

es

si

sian

o an

cora

te

le

prat

iche

ed

ucat

ive,

gl

i in

terv

enti

e gl

i ag

iti

rela

zion

ali

all’i

nter

no d

el s

ettin

gdi

com

unità

PR

INC

IPA

LI M

OD

ELL

I RIL

EV

ATI

MO

DEL

LOIS

TITU

ZIO

NA

LE/IS

TITU

ZIO

NA

LIZZ

AN

TE MO

NO

TON

IA

OM

OG

EN

EIT

À

ETE

RO

DIR

EZI

ON

E

PR

OC

ES

SI C

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UN

ICAT

IVI P

RE

VA

LEN

TEM

EN

TEC

EN

TRAT

I SU

L C

ON

FLIT

TO D

I PO

TER

E

RA

PP

OR

TI IN

TER

GR

UP

PA

LI

PA

RC

ELL

IZZA

ZIO

NE

MO

DEL

LO R

ELA

ZIO

NA

LEC

omun

itàco

me

“am

bien

te te

rape

utic

o gl

obal

e”

AD

ATT

AM

ENTO

“R

OVE

SCIA

TO”

ELA

STIC

ITÀ

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GA

NIZ

ZATI

VA

VITA

QU

OTI

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NA

ST

RU

TTU

RA

NTE

AD

ULT

I SIG

NIF

ICA

TIVI

FUN

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NE

PRO

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IVA

LA R

ICER

CA

-INTE

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NTO

:C

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TEST

O A

NA

LIZZ

ATO

Com

unità

dell’

Em

ilia

Rom

agna

pro

veni

ente

da

un p

assa

to is

tituz

iona

le

che

circ

a ci

nque

ann

i fa

ha s

ubito

una

tra

sfor

maz

ione

in s

egui

to

all’a

degu

amen

to a

i pa

ram

etri

stru

ttura

li de

lla

legi

slaz

ione

vig

ente

.E

rano

osp

itati

7 m

inor

i di

sess

o m

asch

ile d

i età

com

pres

a fra

i 13

ed

i 18

anni

.

PE

RS

ON

ALE

:8

educ

ator

i di e

ntra

mbi

i se

ssi

un c

oord

inat

ore

un s

uper

viso

reun

’aus

iliar

ia a

ddet

ta a

cu

cina

/pul

izie

una

volo

ntar

ia d

el S

ervi

zio

Civ

ile

MET

OD

OLO

GIA

OS

SE

RV

AZI

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E P

AR

TEC

IPA

NTE

: del

le ro

utin

e qu

otid

iane

e ri

unio

ni d

’equ

ipe

e di

sup

ervi

sion

e du

rant

eun

per

iodo

di 6

mes

i con

app

unti

carta

e m

atita

INTE

RV

ISTA

SE

MI-S

TRU

TTU

RA

TA A

FIG

UR

E

PR

IVIL

EG

IATE

(Coo

rdin

ator

e e

tre e

duca

tori)

AN

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SI T

RA

SC

RIZ

ION

I SP

ON

TAN

EE

DI:

diar

io g

iorn

alie

ro d

elle

con

segn

e, re

lazi

oni d

el T

ribun

ale

dei M

inor

i, ve

rbal

i di i

ncon

tro tr

a S

ervi

zi S

ocia

li e

com

unità

, ver

bali

delle

riun

ioni

d’e

quip

e

RIS

ULT

ATI

ELEM

ENTI

ISTI

TUZI

ON

ALI

/ISTI

TUZI

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ZZA

NTI

RIL

EVA

TI

CO

MU

NIC

AZI

ON

E IN

TER

PER

SON

ALE

C

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RA

GG

IO A

L R

UO

LO

INTE

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NTI

ED

UC

ATI

VI P

REV

ALE

NTE

MEN

TE

CEN

TRA

TI S

UL

SIST

EMA

REG

OLE

/PU

NIZ

ION

I

CO

NTR

APP

OSI

ZIO

NE

TRA

GR

UPP

I

MIN

AC

CIA

:“ho

per

so la

paz

ienz

a e

gli h

o de

tto d

i and

arse

ne a

letto

sen

nò c

i sar

ebbe

rost

ate

delle

con

segu

enze

gra

vi p

er la

sua

situ

azio

ne, g

iàdi

per

delic

ata”

RIC

ATT

O:“

gli h

o de

tto c

he s

e no

n la

fini

va n

on

gli a

vrei

con

cess

o di

gio

care

alla

pla

ysta

tion”

ESC

ALAT

ION

DEL

TO

NO

DEL

LA V

OC

E:“g

li ho

cac

ciat

o un

urlo

e s

i èm

esso

sub

ito b

uono

“l’un

ica

rego

la è

asco

ltare

ciò

che

dic

e l’e

duca

tore

pre

sent

e”

“tu fa

i cos

ìper

ché

te lo

dic

o io

!”

“se

tra i

due

c’è

qual

cuno

che

può

dire

qua

lcos

a,qu

el q

ualc

uno

sono

io”

“se

ogni

tant

o ci

son

o de

lle e

ccez

ioni

e p

erch

élo

dec

idia

mo

noi”

“se

tirat

e a

cem

ento

iniz

iam

o ve

ram

ente

a ti

rare

la c

ingh

iae

chi c

i rim

ette

sie

te v

oi”

“voi

non

pot

ete

deci

dere

nie

nte

perc

hése

noi

vog

liam

ofa

ccia

mo

un g

ran

casi

no e

non

dor

me

più

ness

uno

fino

a do

man

i”

CO

NSI

DER

AZI

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I DIN

AM

ICH

E

VA

NTA

GG

I A B

RE

VE

TE

RM

INE

PE

R

L’E

DU

CA

TOR

E

“Raf

fredd

amen

to”d

elle

em

ozio

ni d

esta

biliz

zant

i po

rtate

dal

min

ore

Rid

uzio

ne d

ella

dur

ata

dell’

inte

razi

one

con

min

or

disp

endi

o di

ene

rgie

Con

ferm

a de

l pro

prio

po

tere

CO

NS

EG

UE

NZE

SU

L M

ED

IO/L

UN

GO

PE

RIO

DO

PE

R I

MIN

OR

I

Man

cato

rico

nosc

imen

to d

ei

loro

bis

ogni

real

iA

ccum

ulo

di fr

ustra

zion

e e

aggr

essi

vità

Inte

rioriz

zazi

one

e/o

ricon

ferm

a di

mod

elli

di a

dulto

in

affid

abile

, ost

ile, v

iole

nto

FAS

I DE

LL’IN

TER

VE

NTO

Res

tituz

ione

all’e

quip

e ed

ucat

iva

delle

trac

ce

istit

uzio

nali/

istit

uzio

naliz

zant

i rile

vate

App

rofo

ndim

ento

e d

iscu

ssio

ne d

elle

tem

atic

he e

mer

se

proc

essi

che

han

no fa

vorit

oco

nosc

enza

, com

pren

sion

e e

cond

ivis

ione

del

le

rapp

rese

ntaz

ioni

pre

vale

nti e

sist

enti

valu

tazi

one

della

pos

sibi

le m

odifi

cabi

lità/

riduz

ione

del

le

dim

ensi

oni i

stitu

zion

ali/i

stitu

zion

aliz

zant

i

prom

ozio

ne d

i un

setti

ngad

orie

ntam

ento

rela

zion

ale

ovve

ro d

i un

“am

bien

te te

rape

utic

o gl

obal

e”

GR

IGLI

A D

I RIF

ER

IME

NTO

DE

L P

ER

CO

RS

O F

OR

MA

TIV

O

AM

BIE

NTE

TE

RA

PE

UTI

CO

GLO

BA

LE

DIF

FER

ENZI

AZI

ON

E E

PER

SON

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ZZA

ZIO

NE

DEG

LI S

PAZI

E E

DEI

TEM

PI D

ELLA

VIT

A Q

UO

TID

IAN

A

CO

STR

UZI

ON

E C

ON

DIV

ISA

DE

LLE

R

OU

TIN

E E

DE

LLE

RE

GO

LE Q

UO

TID

IAN

E

RE

LAZI

ON

I IN

TER

PE

RS

ON

ALI

SIG

NIF

ICA

TIV

E

“la re

gola

non

èug

uale

per

tutti

!”

“la p

rogr

amm

azio

ne d

elle

col

labo

razi

oni n

ella

pre

para

zion

e de

i pas

ti e

nello

svol

gim

ento

del

le m

ansi

oni d

ella

cas

a vi

ene

fatta

ass

iem

e ai

min

ori

e ne

l ris

petto

dei

bis

ogni

, dei

gus

ti e

delle

nec

essi

tàpe

rson

ali”

un s

uppo

rto c

osta

nte

di a

dulti

cap

aci d

i avv

iare

pro

cess

i di i

nter

azio

ne

sign

ifica

tivì,

cost

anti

e st

ruttu

rant

i: sv

ilupp

o di

rela

zion

i int

erpe

rson

ali s

into

nich

e at

trave

rso

un d

ialo

go c

apac

e di

forn

ire ri

spos

te a

uten

tiche

, em

patic

he e

con

tinge

nti

La ri

cerc

a-in

terv

ento

ha

perm

esso

cos

ìdi c

ondu

rre il

gru

ppo

educ

ativ

o ad

acq

uisi

re u

n m

odel

lo d

i int

erve

nto

coi m

inor

i di m

atric

e re

lazi

onal

e ne

ll’otti

ca d

ella

cos

truzi

one

di u

n

ambi

ente

tera

peut

ico

glob

ale

RIC

ERC

A-IN

TER

VEN

TO c

ome

proc

esso

di F

OR

MA

ZIO

NE

per g

li ed

ucat

orie

com

e st

rum

ento

per

la c

ompr

ensi

one

e rid

uzio

ne

dei F

ATT

OR

I DI R

ISC

HIO

“IL M

IO A

MB

IEN

TE T

ER

AP

EU

TIC

O G

LOB

ALE

“se

parlo

di m

e e

sent

o ch

e tu

mi c

apis

ci e

mi a

iuti

a da

re u

n se

nso

alle

m

ie p

arol

e al

lora

, pia

no p

iano

, mi a

ccor

go c

he d

i te

mi p

osso

fida

re,

che

in te

pos

so tr

ovar

e lo

spa

zio

per s

foga

rmi e

per

rior

dina

re i

mie

i se

ntim

enti,

i m

iei a

ffetti

; il p

osto

in c

ui m

i tro

vo è

ordi

nato

, pul

ito,

acco

glie

nte,

rico

nosc

ibile

, per

sona

lizza

bile

e, p

erta

nto,

pr

eved

ibile

…se

nto

che

la m

ia ra

bbia

e la

mia

frus

trazi

one

poss

ono

esse

re c

onte

nute

e c

iò p

uò o

ffrirm

i lo

spaz

io p

er p

ensa

rmi

dive

rsam

ente

, per

cam

biar

e, p

er a

vere

un’

imm

agin

e de

lla re

lazi

one

con

l’altr

o po

sitiv

a e

cost

rutti

va…

inqu

esto

mod

o po

sso

limita

re la

ca

tena

di r

eazi

oni n

egat

ive

cons

egue

nti a

i tra

umi e

alle

situ

azio

ni d

i st

ress

e d

isag

io d

alle

qua

li so

no v

enut

o…in

ques

to m

odo

poss

o pe

rturb

are

e m

odifi

care

le m

ie in

sicu

rezz

e, il

mio

atta

ccam

ento

di

sfun

zion

ale:

mi s

ento

più

sicu

ro d

i me,

più

mer

itevo

le d

i am

ore

e di

af

fetto

. Pos

so fa

rcel

a, c

’èqu

alcu

no a

l mon

do d

i cui

mi p

osso

ve

ram

ente

fida

re!”

QU

ES

TA E

’LA

CU

RA

!Q

UE

STA

E’L

A Q

UA

LITÁ

DE

LL’IN

TER

VE

NTO

DI C

OM

UN

ITA

’!

Pre

nder

si c

ura

di c

hi c

ura:

il ru

olo

della

sup

ervi

sion

e in

com

unità

Pao

la B

astia

noni

Intro

duzi

one

La c

omun

itàpe

r min

ori c

ome

“am

bien

te te

rape

utic

o gl

obal

e”ne

cess

ita d

i un

o sp

azio

fisi

co, a

ffetti

vo e

men

tale

dep

utat

o al

l’acc

oglie

nza/

rest

ituzi

one/

inte

rpre

tazi

one

dei v

issu

ti d

egli

educ

ator

i, re

si

salie

nti d

all’in

tera

zion

e qu

otid

iana

con

bam

bini

e a

dole

scen

ti pr

ofon

dam

ente

ferit

i da

rela

zion

i prim

arie

dis

funz

iona

li, c

aren

ti e

spes

so

mal

tratta

nti.

Nel

lo s

tess

o te

mpo

la c

omun

itàpe

r min

ori p

erch

épo

ssa

gara

ntire

un

ambi

ente

quo

tidia

no re

lazi

onal

e ac

cogl

ient

e e

rivol

to a

lla re

ale

com

pren

sion

e de

lla ri

chie

sta

di a

iuto

rivo

lta d

ai s

uoi p

icco

li os

piti

richi

ede

uno

spaz

io fi

sico

, affe

ttivo

e m

enta

le d

ove

gli e

duca

tori

poss

ano

esse

re

aiut

ati a

non

col

lude

re c

on le

din

amic

he a

ttive

nel

le in

tera

zion

i con

i m

inor

i,con

i co

llegh

i e c

on le

istit

uzio

ni d

i app

arte

nenz

a e

invi

anti,

ess

endo

co

stan

tem

ente

sos

tenu

ti ne

l man

tene

re u

na d

ispo

nibi

lità

all’a

uten

tica

acco

glie

nza

dell’a

ltro

alla

luce

di u

n co

stan

te c

entra

ggio

su

un e

sam

e di

re

altà

della

rich

iest

a di

aiu

to, d

i cui

l’al

tro è

porta

tore

, il p

iùpo

ssib

ile in

tegr

a da

con

suet

e e

inev

itabi

li di

nam

iche

pro

ietti

ve e

spo

stam

enti

rela

zion

ali.

Con

test

o te

oric

o

orie

ntam

ento

rela

zion

ale

com

e ris

ulta

to d

ella

co

stan

te in

tegr

azio

ne tr

a is

tanz

e/ric

hies

te/b

isog

ni re

lazi

onal

i e ri

spos

te

orga

nizz

ativ

e ch

e no

n po

sson

o ch

e co

nfig

urar

si c

ome

appa

rtene

nti a

lla s

tess

a m

atric

e re

lazi

onal

e.

AM

BIT

I DI I

NTE

RV

EN

TO D

ELL

A

SU

PE

RV

ISIO

NE

a)S

ettin

ges

tern

o1.

real

izza

zion

e e

mon

itora

ggio

sul

la c

ostru

zion

e e

sul

man

teni

men

to d

ell’a

mbi

ente

tera

peut

ico

glob

ale

con

la c

entra

tura

sul

le re

lazi

oni r

eali

che

si a

ttiva

no

in c

omun

ità;

b) S

ettin

gin

tern

o1.

prom

ozio

ne e

sta

biliz

zazi

one

di u

na c

ultu

ra

dell’

orga

nizz

azio

ne c

entra

ta s

u un

’impo

staz

ione

re

lazi

onal

e fin

aliz

zata

all’

acco

glie

nza.

2.

Effe

ttuaz

ione

di u

n’an

alis

i del

la d

oman

da c

he

prov

iene

dal

l’altr

o: is

tituz

ione

invi

ante

, com

unità

, m

inor

e , f

amig

lia) s

enza

col

lude

re c

on la

dom

anda

is

tituz

iona

le;

AM

BIT

I DI I

NTE

RV

EN

TO D

ELL

A

SU

PE

RV

ISIO

NE

3.pr

oget

tazi

one

di u

n in

terv

ento

sul

min

ore

a pa

rtire

dal

la

capa

cità

di in

stau

rare

un’

alle

anza

em

otiv

a co

n lo

st

esso

;4.

rest

ituzi

one

del d

ato

di re

altà

in d

isco

ntin

uità

con

alcu

ni

ster

eotip

i cul

tura

li do

min

anti

(es.

mad

re c

omun

que

buon

a, g

enito

ri co

mun

que

mig

liori

dei n

on g

enito

ri,

segr

eti e

com

plic

itàet

c);

5. ri

cono

scim

ento

e re

stitu

zion

e a

gli e

duca

tori

degl

i el

emen

ti di

con

sape

vole

zza

su q

uali

sist

emi d

i al

lean

za s

ono

attiv

i nel

le in

tera

zion

i edu

cativ

e e

qual

i te

mi n

arra

tivi p

reva

lent

i fan

no d

a sc

enar

io a

lle

rela

zion

i in

com

unità

.

A)

Set

ting

este

rno:

L’am

bien

te te

rape

utic

o qu

otid

iano

Nel

l’am

bien

te t

erap

eutic

o tu

tte l

e in

tera

zion

i op

erat

ori-

min

ori

si

prop

ongo

no

di

assu

mer

e si

gnifi

cativ

itàe

rilev

anza

rela

zion

ale

svol

gend

o un

a fu

nzio

ne s

truttu

rant

e e

prot

ettiv

a pe

r il m

inor

e (s

caffo

ldin

g, h

oldi

ng)

Un

ambi

ente

te

rape

utic

o è

orie

ntat

o a

ricos

truire

le

di

men

sion

i por

tant

i del

la v

ita q

uotid

iana

(sp

azi e

tem

pi)

stru

ttura

ndo

rout

ine,

ritu

ali e

mod

alità

di c

onvi

venz

a da

in

tend

ersi

com

e lu

oghi

sim

bolic

i pe

r la

con

divi

sion

e di

si

gnifi

cati

da a

ttrib

uire

alle

azi

oni c

ontin

gent

i e re

cipr

oche

B)S

ettin

gin

tern

o:

Din

amic

he c

onfli

ttual

i atti

ve

nell’

inte

razi

one

supe

rvis

ore/

educ

ator

iIl

proc

esso

di n

on c

ollu

sion

e co

n i v

issu

ti de

gli o

pera

tori

attiv

a di

nam

iche

con

flittu

ali n

el ra

ppor

to e

duca

tore

-sup

ervi

sore

per

ché

la

supe

rvis

ione

pro

pone

/impo

ne u

n’us

cita

dal

la c

ollu

sion

e de

l “no

n ve

dere

l’al

tro”(

il m

inor

e) e

qui

ndi u

n ric

hiam

o al

la re

spon

sabi

lità

educ

ativ

a e

all’i

mpe

gno

nell’

alle

anza

em

otiv

a co

n l’a

ltro

e al

l’ass

unzi

one

di u

na p

rosp

ettiv

a pr

oces

sual

e ch

e a

parti

re d

alla

co

ntin

genz

a re

lazi

onal

e in

atto

sia

in g

rado

di c

rear

e di

scon

tinui

tàco

n le

stru

tture

e i

mod

elli

rela

zion

ali d

isfu

nzio

nali

inte

rioriz

zati

dall’

altro

(mod

elli

oper

ativ

i int

erni

del

l’atta

ccam

ento

) e c

he v

anno

ric

onos

ciut

i, ac

colti

e tr

asfo

rmat

i;

Pren

ders

i cur

a ne

lla

conf

littu

alità

La re

aliz

zazi

one

di q

uest

o pr

oces

so im

plic

a la

cap

acità

di

riusc

ire c

omun

que

ad a

ttiva

re u

na d

imen

sion

e di

“cur

a”riv

olta

all’

educ

ator

e rin

unci

ando

alla

col

lusi

one

con

i suo

i vi

ssut

i (pr

oprio

per

evi

tare

il ri

schi

o de

lla c

ollu

sion

e si

rim

anda

al n

eces

sario

con

test

o fo

rmat

ivo

cont

inge

nte)

e

ripor

tand

o su

lla s

cena

prin

cipa

le l’

altro

, la

sua

richi

esta

, i

suoi

bis

ogni

, la

prog

ettu

alità

che

va p

erse

guita

per

ef

fettu

are

un c

orre

tto in

terv

ento

di a

iuto

Sis

tem

idi a

llean

zaL’

alle

anza

di

lavo

ro c

on l

’équ

ipe

educ

ativ

a è

la r

isul

tant

e di

un

proc

esso

di r

estit

uzio

ne a

ll’ed

ucat

ore

delle

din

amic

he c

onfli

ttual

i res

e at

tive

nella

din

amic

a su

perv

isor

e/ed

ucat

ore

dove

il

supe

rvis

ore

si

rend

e po

rtavo

ce

delle

is

tanz

e de

l ba

mbi

no

real

e e

in

ques

to

proc

esso

impo

ne a

ttenz

ione

e c

ompr

ensi

one

da p

arte

del

l’edu

cato

re

per

i bi

sogn

i de

l ba

mbi

no r

eale

ma

l’edu

cato

re s

i so

ttrae

a q

uest

e ric

hies

te p

rete

nden

do a

sua

vol

ta a

scol

to e

atte

nzio

ne d

a pa

rte d

el

supe

rvis

ore

per

il su

o sé

bam

bino

che

em

erge

con

flittu

alm

ente

nelle

in

tera

zion

i co

n il

supe

rvis

ore

e ne

lle

inte

razi

oni

con

i ba

mbi

ni/a

dole

scen

ti re

ali.

Un’

alle

anza

di l

avor

o eq

uilib

rata

(ho

ldin

g e

rest

ituzi

one

dei p

roce

ssi

in a

tto a

ll’ed

ucat

ore)

èil

risul

tato

di u

n eq

uilib

rio tr

a fu

nzio

ne d

i cur

a riv

olta

all’

educ

ator

e (a

ccog

lienz

a e

ricon

osci

men

to d

elle

con

flittu

alità

in a

tto)

e ric

onos

cim

ento

dei

bis

ogni

del

bam

bino

/ado

lesc

ente

in

com

unità

.

Sis

tem

i di a

llean

ze d

isfu

nzio

nali

supe

rvis

ore/

educ

ator

i

Se

tale

in

tegr

azio

ne

èas

sent

e o

non

real

izza

ta

le

mod

alità

inte

ratti

ve e

i c

onse

guen

ti ag

iti p

ongo

no i

l su

perv

isor

e

nella

co

ndiz

ione

di

“c

onte

nito

re”

delle

pr

oiez

ioni

de

i co

nflit

ti no

n ris

olti

da

parte

de

gli

educ

ator

i.

Alle

anza

non

equ

ilibr

ata

cent

rata

sul

ruo

lo (

alle

anza

pr

eval

ente

con

la d

imen

sion

e pr

ofes

sion

ale

e ra

zion

ale

dell’

inte

razi

one:

dis

tanz

iant

e da

gli a

ffetti

).

Ric

onos

cim

ento

dei

sis

tem

i di a

llean

za a

ttivi

tra

edu

cato

ri e

min

ori

ricon

osce

re e

rest

ituire

agl

i edu

cato

ri el

emen

ti di

con

sape

vole

zza

su q

uali

sist

emi d

i alle

anza

son

o at

tivi n

elle

in

tera

zion

i edu

cativ

e e

qual

i tem

i na

rrativ

i pre

vale

nti f

anno

da

scen

ario

alle

re

lazi

oni i

n co

mun

ità.

Sos

tene

re il

pro

cess

o co

rret

to d

i ana

lisi

della

dom

anda

effe

ttuar

e un

’ana

lisi d

ella

dom

anda

che

pr

ovie

ne d

all’a

ltro:

istit

uzio

ne in

vian

te,

com

unità

, min

ore

, fam

iglia

) sen

za

collu

dere

con

la d

oman

da is

tituz

iona

le.

Ric

onos

cim

ento

dei

mod

elli/

ster

eotip

i dom

inan

ti e

loro

des

truttu

razi

one

rest

ituzi

one

del d

ato

di re

altà

in

disc

ontin

uità

con

alcu

ni s

tere

otip

i cu

ltura

li do

min

anti

(es.

mad

re c

omun

que

buon

a, g

enito

ri co

mun

que

mig

liori

dei

non

geni

tori,

seg

reti

e co

mpl

icità

etc)

Sos

tene

re l’

inte

rven

to d

i cur

a su

l m

inor

e

Pro

getta

re u

n in

terv

ento

sul

min

ore

a pa

rtire

dal

la

capa

cità

di in

stau

rare

un’

alle

anza

em

otiv

a co

n lo

st

esso

.Im

para

re a

far r

icon

osce

re a

ll’ed

ucat

ore

le te

mat

iche

cr

ucia

li de

lla n

arra

tiva

rela

zion

ale

pers

onal

e de

l m

inor

e e

aiut

are

l’edu

cato

re a

sos

tene

re il

min

ore

Aiu

tare

l’ed

ucat

ore

a ga

rant

ire la

nec

essa

ria

rego

lazi

one

al b

ambi

ni n

el ri

spet

to d

ella

sua

età

e de

lle

sue

com

pete

nze

Sos

tene

re l’

inte

rven

to d

i cur

a su

l m

inor

eA

iuta

re l’

educ

ator

e a

gara

ntire

pr

otez

ione

Aiu

tare

l’ed

ucat

ore

a si

nton

izza

rsi a

ffetti

vam

ente

co

n le

rich

iest

e em

otiv

e de

l ba

mbi

no

Sos

tene

re l’

inte

rven

to d

i cur

a su

l m

inor

eA

iuta

re l’

educ

ator

e a

pre

vede

re il

ra

ggiu

ngim

ento

di t

appe

evo

lutiv

e de

l ba

mbi

no (f

unzi

one

pred

ittiv

a de

lla

funz

ione

gen

itoria

le a

nche

sim

bolic

a)A

iuta

re l’

educ

ator

e a

favo

rire

nel b

ambi

no

la c

ostru

zion

e di

sch

emi d

ell’”

esse

re c

on”

(funz

ione

rapp

rese

ntat

iva

della

ge

nito

ralit

ài)

Sos

tene

re l’

inte

rven

to d

i cur

a su

l m

inor

eA

iuta

re l’

educ

ator

e a

dare

dei

lim

iti (f

orm

at)

Aiu

tare

l’ed

ucat

ore

a da

re u

n co

nten

uto

pens

abile

alle

pe

rcez

ioni

e a

lle s

ensa

zion

i che

al

l’ini

zio

sono

priv

e di

spe

ssor

e ps

ichi

co (f

unzi

one

sign

ifica

nte

della

gen

itoria

lità)

Sos

tene

re l’

inte

rven

to d

i cur

a su

l m

inor

eA

iuta

re l’

educ

ator

e a

cost

ruire

un

a st

oria

con

divi

sa c

on il

min

ore

in c

ui il

bam

bino

pos

sa s

entir

si

parte

atti

va in

clus

a e

dina

mic

amen

te p

roie

ttata

alla

co

ntin

uità

tra p

assa

to,p

rese

nte

e fu

turo

FORM

AZIO

NE E

SU

PERVIS

ION

E

FORM

AZIO

NE E

SU

PERVIS

ION

E

CLI

NIC

A A

LLE E

QU

IPE E

DU

CATIV

ECLI

NIC

A A

LLE E

QU

IPE E

DU

CATIV

EN

ELL

E

CO

MU

NIT

AN

ELL

E

CO

MU

NIT

A’’PER M

INO

RI

PER M

INO

RI

Paola

Paola

Bas

tian

oni*

Bas

tian

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Ale

ssan

dro

Tau

rino**

Ale

ssan

dro

Tau

rino**

Feder

ico

Feder

ico

Zullo

*Zullo

**U

niv

ersi

t*U

niv

ersi

t ààdeg

li Stu

di di Fe

rrar

adeg

li Stu

di di Fe

rrar

a**U

niv

ersi

t**U

niv

ersi

t ààdeg

li Stu

di di Bar

ideg

li Stu

di di Bar

i

Dim

en

sio

ni

cost

itu

tive

di

un

o

speci

fico

m

od

ell

o

Dim

en

sio

ni

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itu

tive

di

un

o

speci

fico

m

od

ell

o

inte

gra

to d

i fo

rmazi

on

e e su

perv

isio

ne all

e co

mu

nit

inte

gra

to d

i fo

rmazi

on

e e su

perv

isio

ne all

e co

mu

nit

ààed

uca

tive c

on

un

a p

art

ico

lare

to

rsio

ne:

ed

uca

tive c

on

un

a p

art

ico

lare

to

rsio

ne:

ll ’’an

alisi

dei

pro

cess

i d

inam

ici,

rela

zio

nali e

an

alisi

dei

pro

cess

i d

inam

ici,

rela

zio

nali e

si

mb

oli

ci

che

son

o

att

ivi

nel

con

test

o

sim

bo

lici

ch

e

son

o

att

ivi

nel

con

test

o

qu

oti

dia

no

dell

e c

om

un

itq

uo

tid

ian

o d

ell

e c

om

un

itàà

per

min

ori

p

er

min

ori

Tale

ap

pro

ccio

ri

spo

nd

e

no

n

solo

ad

u

n

Tale

ap

pro

ccio

ri

spo

nd

e

no

n

solo

ad

u

n

pre

ciso

e

dete

rmin

ato

m

od

ello

d

i p

reci

so

e

dete

rmin

ato

m

od

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d

i fo

rmazi

on

e

e

sup

erv

isio

ne

stess

a,

ma

form

azi

on

e

e

sup

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isio

ne

stess

a,

ma

an

che

ad

u

n

pre

ciso

m

od

ello

te

ori

co

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che

ad

u

n

pre

ciso

m

od

ello

te

ori

co

(pra

tico

) d

i co

mu

nit

(pra

tico

) d

i co

mu

nit

àà..

Che

cosa

Che

cosa

èèla

com

unit

la c

om

unit

ààper

min

ori?

per

min

ori?

Qual

i din

amic

he

Qual

i din

amic

he

èèposs

ibile

tro

vare

in

poss

ibile

tro

vare

in

com

unit

com

unit

àà??

Perc

hPe

rchéé

par

liam

o d

i in

tegra

zione

tra

par

liam

o d

i in

tegra

zione

tra

form

azio

ne

e su

per

visi

one?

form

azio

ne

e su

per

visi

one?

Il m

odel

lo d

i co

munit

Il m

odel

lo d

i co

munit

àà

La c

om

unit

La c

om

unit

ààco

me

ambie

nte

ter

apeu

tico

co

me

ambie

nte

ter

apeu

tico

glo

bal

eglo

bal

e

(( Win

nic

ott

Win

nic

ott

, 1965;

, 1965;

Bet

telh

eim

Bet

telh

eim

, 1950;

, 1950;

Red

lRed

lee

Win

eman

Win

eman,

1951)

, 1951)

Am

bie

nte

ter

apeu

tico

glo

bal

eAm

bie

nte

ter

apeu

tico

glo

bal

e

Vita

quo

tidia

naVi

ta q

uotid

iana

Stab

ilità

rela

zion

ale

com

e ba

se s

icur

aSt

abili

tàre

lazi

onal

e co

me

base

sic

ura

Fatt

ore

di

prot

ezio

ne v

s fa

ttor

i di r

isch

io

Fatt

ore

di

prot

ezio

ne v

s fa

ttor

i di r

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ente

fis

ico

cura

to,

rass

icur

ante

e

pers

onal

izza

to

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ico

cura

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rass

icur

ante

e

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onal

izza

to

rout

ine

rout

ine

inte

razi

oni

Stru

ttur

anti

inte

razi

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Stru

ttur

anti

ritua

li co

nnot

ati

in s

enso

“r

elaz

iona

le”

ritua

li co

nnot

ati

in s

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“r

elaz

iona

le”

Sist

ema

rela

zion

ale

Sist

ema

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zion

ale

inte

rsog

gett

ivit

inte

rsog

gett

ivit àà

cond

ivis

ione

di s

tati

inte

rni

cond

ivis

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di s

tati

inte

rni

Gli

esiti

di t

ale

cond

ivis

ione

: G

li es

iti d

i tal

e co

ndiv

isio

ne:

fatt

ori d

i com

pren

sion

e ed

fa

ttor

i di c

ompr

ensi

one

ed

inte

rpre

tazi

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delle

di

nam

iche

re

lazi

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i in

terp

reta

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e de

lle

dina

mic

he

rela

zion

ali

(( int

raco

ntes

tual

iin

trac

onte

stua

li ) e

dei

mec

cani

smi

di si

mbo

lizza

zion

e )

e de

i m

ecca

nism

i di

si

mbo

lizza

zion

e af

fett

iva

del c

onte

sto

di in

tera

zion

e.af

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del c

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sto

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zion

e.

Com

unità

La r

ealiz

zazi

one

del

l'inte

rven

to

La r

ealiz

zazi

one

del

l'inte

rven

to r

ipar

ativ

oripar

ativ

oe

tera

peu

tico

e te

rapeu

tico

conte

nim

ento

em

otivo

conte

nim

ento

em

otivo

rest

ituzi

one

dei

pro

cess

i re

stituzi

one

dei

pro

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i em

otivo

emotivo

-- affet

tivi

affe

ttiv

iin

att

oin

att

o

asco

lto e

mpat

ico

asco

lto e

mpat

ico

corr

etta

anal

isi del

la d

om

anda

corr

etta

anal

isi del

la d

om

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(esp

licita

ma

sopra

ttutt

o lat

ente

/im

plic

ita)

, (e

splic

ita

ma

sopra

ttutt

o lat

ente

/im

plic

ita)

,

Set

ting

Set

ting

inte

rno

inte

rno

Model

li cu

ltura

li,

Model

li cu

ltura

li,

rappre

senta

zioni, e

mozi

oni e

rappre

senta

zioni, e

mozi

oni e

viss

uti d

egli

oper

atori

viss

uti d

egli

oper

atori

Model

li cu

ltura

liM

odel

li cu

ltura

li

Sis

tem

i di

rappre

senta

zione

che

si

connota

no

Sis

tem

i di

rappre

senta

zione

che

si

connota

no

com

e sp

ecific

he

modal

itco

me

spec

ific

he

modal

itàà

attr

aver

so

cui

gli

attr

aver

so

cui

gli

indiv

idui

conce

pis

cono

emotiva

men

te

e

fanno

indiv

idui

conce

pis

cono

emotiva

men

te

e

fanno

esper

ienza

del

pro

prio u

niv

erso

/mondo r

elaz

ional

e es

per

ienza

del

pro

prio u

niv

erso

/mondo r

elaz

ional

e in

tern

o e

d e

ster

no

inte

rno e

d e

ster

no

Prodott

iPr

odott

iso

cio

soci

o-- c

ognitiv

oco

gnitiv

o-- e

motivi

emotivi

che,

sin

tetizz

ando

che,

sin

tetizz

ando

dim

ensi

oni

razi

onal

i/oper

ativ

e e

dim

ensi

oni

razi

onal

i/oper

ativ

e e

sim

bolic

osi

mbolic

o--

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ttiv

eaf

fett

ive,

rappre

senta

no le

diffe

renti m

odal

it,

rappre

senta

no le

diffe

renti m

odal

itàà

con

con

le q

ual

i i

sogget

ti d

i un d

eter

min

ato g

ruppo (

nel

le

qual

i i

sogget

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i un d

eter

min

ato g

ruppo (

nel

ca

so

spec

ific

o,

gli

oper

atori

di

com

unit

caso

sp

ecific

o,

gli

oper

atori

di

com

unitàà))

stru

ttura

no

il pro

prio

pen

sier

o,

le

pro

prie

stru

ttura

no

il pro

prio

pen

sier

o,

le

pro

prie

emozi

oni,

i pro

pri

agiti,

i pro

pri

schem

i em

ozi

oni,

i pro

pri

agiti,

i pro

pri

schem

i co

mport

amen

tali

com

port

amen

tali ..

La d

imen

sione

La d

imen

sione

tria

dic

atr

iadic

adel

del

SSèè

LeLe““ d

inam

iche

din

amic

he

tria

dic

he

tria

dic

he””

sim

bolic

he

che

iner

isco

no

la

sim

bolic

he

che

iner

isco

no

la

sogget

tivi

tso

gget

tivi

t ààdel

ldel

l ’’ educa

tore

sono r

elat

ive

nel

lo s

pec

ific

o (

da

educa

tore

sono r

elat

ive

nel

lo s

pec

ific

o (

da

un p

unto

di vi

sta

psi

codin

amic

o)

all

un p

unto

di vi

sta

psi

codin

amic

o)

all ’’ i

nte

rconnes

sione

tra:

inte

rconnes

sione

tra:

ss ééed

uca

tore

educa

tore

(anco

raggio

alle

funzi

oni e

al r

uolo

)(a

nco

raggio

alle

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oni e

al r

uolo

)

ss èèfiglio

figlio

(par

ti d

i s

(par

ti d

i s éé

rico

nosc

iute

nel

min

ore

pre

so in c

aric

o)

rico

nosc

iute

nel

min

ore

pre

so in c

aric

o)

ss éégen

itore

si

mbolic

ogen

itore

si

mbolic

o(r

appre

senta

zione

del

le

figure

(r

appre

senta

zione

del

le

figure

gen

itorial

i in

teriorizz

ate)

gen

itorial

i in

teriorizz

ate)

nucl

einucl

eira

ppre

senta

zional

ira

ppre

senta

zional

ivi

ssuti e

motivi

/em

ozi

onal

ivi

ssuti e

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/em

ozi

onal

i

Dim

ensi

oni si

mbolic

he

legat

e al

Dim

ensi

oni si

mbolic

he

legat

e al

sett

ing

sett

ing

inte

rno

inte

rno

Conf

litti

non

risol

ti tr

a le

diff

eren

ti pa

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i SCo

nflit

ti no

n ris

olti

tra

le d

iffer

enti

part

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éé ..

Anco

ragg

i mot

ivaz

iona

liAn

cora

ggi m

otiv

azio

nali

Rel

azio

ne

tra

sist

emi

di

anco

ragg

io

e

tipol

ogia

di

Rel

azio

ne

tra

sist

emi

di

anco

ragg

io

e

tipol

ogia

di

in

terv

ento

inte

rven

to

Sist

emi d

i alle

anza

Sist

emi d

i alle

anza

Conflitti n

on r

isolti

Conflitti n

on r

isolti --

inte

gra

zione

tra

le d

iffe

renti

inte

gra

zione

tra

le d

iffe

renti

par

ti d

i S

par

ti d

i S

éé

La

form

azio

ne

mira

a so

sten

ere

lLa

fo

rmaz

ione

mira

a so

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ere

l ’’ adulto

educa

tore

ad

ulto

educa

tore

nel

lnel

l ’’ inte

gra

zione

del

le

div

erse

dim

ensi

oni

inte

rne

del

S

inte

gra

zione

del

le

div

erse

dim

ensi

oni

inte

rne

del

S

éébam

bin

o e

del

Sbam

bin

o e

del

Séé

adulto c

he

si a

ttiv

ano n

ell

adulto c

he

si a

ttiv

ano n

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nte

razi

one

con il

inte

razi

one

con il

min

ore

(bam

bin

o r

eale

) m

inore

(bam

bin

o r

eale

)

Se

tale

inte

gra

zione

Se

tale

inte

gra

zione

èèas

sente

o n

on r

ealiz

zata

le

modal

itas

sente

o n

on r

ealiz

zata

le

modal

itàà

inte

ratt

ive

e i

conse

guen

ti

agiti

pongono

il m

inore

nel

la

inte

ratt

ive

e i

conse

guen

ti

agiti

pongono

il m

inore

nel

la

condiz

ione

di

condiz

ione

di

adultiz

zazi

one

adultiz

zazi

one

ripar

atoria

ripar

atoria

vers

o l

vers

o l

’’ adulto c

he

in

adulto c

he

in

lui

ritr

ova

a l

ivel

lo p

roie

ttiv

o i

l su

o s

lui

ritr

ova

a l

ivel

lo p

roie

ttiv

o i

l su

o s

éébam

bin

o i

n c

onflitto

bam

bin

o i

n c

onflitto

co

n il s

con il s éé

adulto.

adulto.

Lavo

ro s

ugli

Lavo

ro s

ugli

““ anco

raggi

anco

raggi ””

motiva

zional

im

otiva

zional

i

Il

lavo

ro

sugli

anco

raggi

conse

nte

di

render

e es

plic

iti

e Il

lavo

ro

sugli

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raggi

conse

nte

di

render

e es

plic

iti

e m

anifes

ti a

gli

educa

tori i s

iste

mi im

plic

iti ch

e ve

icola

no l

man

ifes

ti a

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educa

tori i s

iste

mi im

plic

iti ch

e ve

icola

no l’’ a

zione

azio

ne

e l

e l ’’ i

nte

rven

to e

duca

tivo

.in

terv

ento

educa

tivo

.Le

princi

pal

i tipolo

gie

di an

cora

ggio

sono:

Le p

rinci

pal

i tipolo

gie

di an

cora

ggio

sono:

anco

raggio

al

anco

raggio

al ru

olo

pro

fess

ional

e ru

olo

pro

fess

ional

e in

sen

so ist

ituzi

onal

ein

sen

so ist

ituzi

onal

e;;

anco

raggio

ad

al

tri

ruoli

anco

raggio

ad

al

tri

ruoli

(bam

bin

o/f

iglio

/a,

mat

erno,

(b

ambin

o/f

iglio

/a,

mat

erno,

in

segnan

te/g

uid

a, s

ore

lla p

iin

segnan

te/g

uid

a, s

ore

lla p

i ùùgra

nde,

am

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; sa

lvat

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;gra

nde,

am

ico/a

; sa

lvat

ore

;

Anco

raggio

alle

em

ozi

oni;

Anco

raggio

alle

em

ozi

oni;

Anco

raggio

al

le

esig

enze

del

bam

bin

o

real

e e

alle

su

e Anco

raggio

al

le

esig

enze

del

bam

bin

o

real

e e

alle

su

e em

ozi

oni

emozi

oni

Ese

mpi di sp

ecific

he

tipolo

gie

di an

cora

ggio

Ese

mpi di sp

ecific

he

tipolo

gie

di an

cora

ggio

Sim

met

ria

Sim

met

ria

Confiden

za e

seg

reto

Confiden

za e

seg

reto

Incl

usi

one

Incl

usi

one-- e

sclu

sione

escl

usi

one

Tra

sgre

ssio

ne

Tra

sgre

ssio

ne

Collu

sione

sull

Collu

sione

sull ’’

emozi

one

emozi

one

““ educa

tore

educa

tore

”” : r

ispost

a co

munic

ativ

a as

imm

etrica

e s

e l

: risp

ost

a co

munic

ativ

a as

imm

etrica

e s

e l ’’ e

mozi

one

emozi

one

èè““ a

rrab

bia

toar

rabbia

to””

div

enta

un ra

pport

o di

pote

re ed

at

tiva

la

div

enta

un ra

pport

o di

pote

re ed

at

tiva

la

puniz

ione

(mi ar

rabbio

, ti p

unis

co)

puniz

ione

(mi ar

rabbio

, ti p

unis

co)

““ educa

tore

educa

tore

”” /am

ico

(dim

ensi

oni

che

/am

ico

(dim

ensi

oni

che

conflig

gono

conflig

gono)

la

) la

risp

ost

a può e

sser

e:

risp

ost

a può e

sser

e: ““ m

i uniform

o a

llm

i uniform

o a

ll ’’id

ea d

i dar

e id

ea d

i dar

e re

gole

e

puniz

ioni

regole

e

puniz

ioni ””

ma

poic

hm

a poic

héé

ques

teques

teco

nflig

gono

conflig

gono

con il m

odel

lo d

i co

n il m

odel

lo d

i ““ a

mic

oam

ico”” ,

le

puniz

ioni le

fac

cio d

are

, le

puniz

ioni le

fac

cio d

are

al

mio

co

llega,

per

cu

i rim

ango

emotiva

men

te

al

mio

co

llega,

per

cu

i rim

ango

emotiva

men

te

ader

ente

al

livel

lo d

i am

ico,

ma

riso

lvo i

l co

nflitto

ad

eren

te a

l liv

ello

di

amic

o,

ma

riso

lvo i

l co

nflitto

su

l liv

ello

is

titu

zional

e (f

acci

o

salv

o

quel

pia

no)

sul

livel

lo

istitu

zional

e (f

acci

o

salv

o

quel

pia

no)

chie

den

do a

llch

ieden

do a

ll ’’al

tro d

i punire.

al

tro d

i punire.

Ese

mpio

anco

raggio

inte

gra

to:

Ese

mpio

anco

raggio

inte

gra

to:

Anco

raggio

sui

viss

uti e

motivi

che

port

a Anco

raggio

sui

viss

uti e

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che

port

a a

veder

e il

bam

bin

o f

erito c

he

a ve

der

e il

bam

bin

o f

erito c

he

èèin

me

in m

e co

n la

risp

ost

a em

otiva

ad

eguat

a al

la

con la

risp

ost

a em

otiva

ad

eguat

a al

la

contingen

za/a

ttual

itco

ntingen

za/a

ttual

itàà

rela

zional

e ch

e re

lazi

onal

e ch

e non d

eve

com

port

are

la

non d

eve

com

port

are

la c

onfu

sivi

tco

nfu

sivi

t ààdei

dei

ruoli

e del

le d

inam

iche

collu

sive

ruoli

e del

le d

inam

iche

collu

sive

Lavo

ro s

ull

Lavo

ro s

ull ’’

inte

gra

zione

tra

sist

emi di

inte

gra

zione

tra

sist

emi di

anco

raggio

e tipolo

gia

di in

terv

ento

anco

raggio

e tipolo

gia

di in

terv

ento

ruolo

pro

fess

ional

e di tipo ist

ituzi

onal

e st

ile n

oru

olo

pro

fess

ional

e di tipo ist

ituzi

onal

e st

ile n

orm

ativ

orm

ativ

o

emozi

one

contingen

te:

inte

rven

to e

stem

pora

neo

ed im

pr

emozi

one

contingen

te:

inte

rven

to e

stem

pora

neo

ed im

pr o

vvis

ato o

ovv

isat

o o

ca

otico

caotico

ruoli:

ruoli:

Inse

gnan

te inte

rven

to d

i tipo s

cola

stic

o/d

idat

tico

/cognitiv

o leg

Inse

gnan

te inte

rven

to d

i tipo s

cola

stic

o/d

idat

tico

/cognitiv

o leg

ato a

gli

ato a

gli

appre

ndim

enti);

appre

ndim

enti);

amic

o in

terv

ento

sim

met

rico

e t

enden

zial

men

te c

ollu

sivo

; am

ico in

terv

ento

sim

met

rico

e t

enden

zial

men

te c

ollu

sivo

;

salv

atore

inte

rven

to n

orm

ativ

o/v

alorial

esa

lvat

ore

inte

rven

to n

orm

ativ

o/v

alorial

e

Sis

tem

i di al

lean

zaSis

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i di al

lean

za

LL ’’al

lean

za e

motiva

equili

bra

taal

lean

za e

motiva

equili

bra

ta(h

old

ing e

(h

old

ing e

re

stituzi

one

dei

pro

cess

i in

at

to

al

rest

ituzi

one

dei

pro

cess

i in

at

to

al

bam

bin

o c

om

e risu

ltat

o d

i un e

quili

brio

bam

bin

o c

om

e risu

ltat

o d

i un e

quili

brio

tra

funzi

one

pro

tett

iva

(tr

a fu

nzi

one

pro

tett

iva

( sséé

educa

tore

educa

tore

),),rico

nosc

imen

to d

ei b

isogni

del

lrico

nosc

imen

to d

ei b

isogni

del

l ’’ altro

(al

tro (

ss éégen

itore

si

mbolic

ogen

itore

si

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o),

ripar

azio

ne

del

le

),

ripar

azio

ne

del

le

pro

prie

ferite

/tra

dim

enti/e

sclu

sioni

(pro

prie

ferite

/tra

dim

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sclu

sioni

( sséé

figlio

figlio

))

Sis

tem

i di al

lean

ze e

motive

dis

funzi

onal

iSis

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i di al

lean

ze e

motive

dis

funzi

onal

i

Alle

anza

non

equili

bra

ta

di

tipo

Alle

anza

non

equili

bra

ta

di

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istitu

zional

izza

nte

(al

lean

za p

reva

lente

con

istitu

zional

izza

nte

(al

lean

za p

reva

lente

con

il s

il s éé

educa

tore

: dis

tanzi

ante

dag

li af

fett

i).

educa

tore

: dis

tanzi

ante

dag

li af

fett

i).

Alle

anza

non

equili

bra

ta

di

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collu

sivo

Alle

anza

non

equili

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ta

di

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collu

sivo

(a

llean

za

pre

vale

nte

co

n

i nucl

ei

emotivi

(a

llean

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pre

vale

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co

n

i nucl

ei

emotivi

non

riel

abora

ti

del

s

non

riel

abora

ti

del

s éé

bam

bin

obam

bin

odel

ldel

l ’’ educa

tore

).ed

uca

tore

).

La s

uper

visi

one

La s

uper

visi

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Pro

get

tare

un inte

rven

to s

ul m

inore

a p

artire

dal

la c

apac

itPro

get

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un inte

rven

to s

ul m

inore

a p

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dal

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apac

itàà

di in

staura

re

di in

staura

re

un

un’’ a

llean

za e

motiva

con lo s

tess

o.

alle

anza

em

otiva

con lo s

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o.

Impar

are

a fa

r rico

nosc

ere

all

Impar

are

a fa

r rico

nosc

ere

all ’’ e

duca

tore

le

tem

atic

he

cruci

ali del

la

educa

tore

le

tem

atic

he

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ali del

la

nar

rativa

rel

azio

nal

e per

sonal

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min

ore

e a

iuta

re l

nar

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rel

azio

nal

e per

sonal

e del

min

ore

e a

iuta

re l’’ e

duca

tore

a

educa

tore

a

sost

ener

e il

min

ore

sost

ener

e il

min

ore

Aiu

tare

lAiu

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l’’ e

duca

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a g

aran

tire

pro

tezi

one

educa

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a g

aran

tire

pro

tezi

one

Aiu

tare

lAiu

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l’’ e

duca

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a s

into

niz

zars

i af

fett

ivam

ente

con le

rich

iest

e em

otiv

educa

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a s

into

niz

zars

i af

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ivam

ente

con le

rich

iest

e em

otivee

del

bam

bin

odel

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bin

oAiu

tare

lAiu

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l’’ e

duca

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a g

aran

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la

nec

essa

ria

regola

zione

al b

ambin

i nel

ed

uca

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a g

aran

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la

nec

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ria

regola

zione

al b

ambin

i nel

risp

etto

del

la s

ua

etrisp

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del

la s

ua

etàà

e del

le s

ue

com

pet

enze

e del

le s

ue

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enze

Aiu

tare

lAiu

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l’’ e

duca

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a d

are

dei

lim

iti (f

orm

at)

educa

tore

a d

are

dei

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iti (f

orm

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Aiu

tare

lAiu

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l’’ e

duca

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a

pre

veder

e il

raggiu

ngim

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di ta

ppe

evolu

tive

del

ed

uca

tore

a

pre

veder

e il

raggiu

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ento

di ta

ppe

evolu

tive

del

bam

bin

o (

funzi

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pre

dittiva

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la f

unzi

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gen

itorial

e an

che

sibam

bin

o (

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pre

dittiva

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unzi

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gen

itorial

e an

che

sim

bolic

a)m

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lAiu

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l’’ e

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a

favo

rire

nel

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bin

o la

cost

ruzi

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di sc

hem

i ed

uca

tore

a

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rire

nel

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bin

o la

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ruzi

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i del

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sere

con

esse

re c

on””

(funzi

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rappre

senta

tiva

del

la

(funzi

one

rappre

senta

tiva

del

la g

enitora

litgen

itora

litààii ))

Aiu

tare

lAiu

tare

l’’ e

duca

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a d

are

un c

onte

nuto

pen

sabile

alle

per

cezi

oni e

alle

ed

uca

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a d

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onte

nuto

pen

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alle

per

cezi

oni e

alle

se

nsa

zioni ch

e al

lse

nsa

zioni ch

e al

l ’’ iniz

io s

ono p

rive

di sp

esso

re p

sich

ico (

funzi

one

iniz

io s

ono p

rive

di sp

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re p

sich

ico (

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signific

ante

del

la g

enitorial

itsi

gnific

ante

del

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enitorial

itàà))

Aiu

tare

lAiu

tare

l’’ e

duca

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a c

ost

ruire

una

storia

condiv

isa

con il m

inore

in c

ui

educa

tore

a c

ost

ruire

una

storia

condiv

isa

con il m

inore

in c

ui ilil

bam

bin

o p

oss

a se

ntirs

i par

te a

ttiv

a in

clusa

e d

inam

icam

ente

pro

ibam

bin

o p

oss

a se

ntirs

i par

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ttiv

a in

clusa

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inam

icam

ente

pro

i ett

ata

alla

et

tata

alla

co

ntinuit

continuit

ààtr

a pas

sato

,pre

sente

e f

utu

rotr

a pas

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,pre

sente

e f

utu

ro

Rifer

imen

ti b

iblio

gra

fici

EM

ILIA

NI

F.,

BASTIA

NO

NI

P. (

1993),

Una

norm

ale

solit

udin

e, C

arocc

i,

Rom

a.Bas

tian

oniP.

(2000),

Inte

razi

oni in

com

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Car

occ

i, R

om

a.BASTIA

NO

NI

P.,

FRU

GG

ERI

L.,

Proce

ssi di sv

iluppo e

rel

azio

ni fa

mili

ari,

Ediz

ioni U

nic

opli,

Mila

no 2

005.

BASTIA

NO

NI

P.,

TAU

RIN

O A

. (2

007)

(a c

ura

di)

, Fa

mig

liee

gen

itorial

ità

oggi. N

uovi

sig

nific

ati e

pro

spet

tive

, Ediz

ioni U

nic

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Mila

no.

CO

DIS

POTI

O.

,BASTIA

NO

NI

P.,

TAU

RIN

O A

. (2

008)

(a c

ura

di)

, D

inam

iche

rela

zional

i e

inte

rven

ti c

linic

i. T

eorie,

conte

sti e

stru

men

ti,

Car

occ

i, R

om

a.ZU

LLO

F.,

BASTIA

NO

NI

P.,

TAU

RIN

O A

. (2

008),

La

dei

stituzi

onal

izza

zione

dei

bam

bin

i e

deg

li ad

ole

scen

ti in u

na

pro

spet

tiva

psi

coso

cial

e e

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codin

amic

a,

in “

Ras

segna

bib

liogra

fica

”, C

entr

o

Naz

ional

e di D

ocu

men

tazi

one

e Anal

isi In

fanzi

a e

Adole

scen

za,

Istitu

to

deg

li In

noce

nti d

i Fi

renze

, n.

3/2

008.

BASTIA

NO

NI

P.,

TAU

RIN

O A

. (a

cura

di)

, Com

unità

per

min

ori.

Model

li di fo

rmaz

ione

e su

per

visi

one

clin

ica,

Car

occ

i, R

om

a.

Geno

va –

12/1

3 no

vem

bre

2009

Form

azio

ne a

utun

nale

Con

sult

a D

ioce

sana

La f

unzion

e ripa

rativa

della

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quo

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a in c

omun

ità

Geno

vaGe

nova

––12

/13

nove

mbr

e 20

0912

/13

nove

mbr

e 20

09Fo

rmaz

ione

aut

unna

le C

onsu

lta

Dio

cesa

naFo

rmaz

ione

aut

unna

le C

onsu

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Dio

cesa

na

La f

unzion

e La

fun

zion

e ripa

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ripa

rativa

della

della

vita

quo

tidian

a in c

omun

itvita

quo

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a in c

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itàà

Paol

aPa

ola

Bast

iano

niBa

stia

noni

e Fe

deri

co

e Fe

deri

co Z

ullo

Zullo

Dip

arti

men

to d

i Sci

enze

Um

ane

Dip

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men

to d

i Sci

enze

Um

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Uni

vers

itU

nive

rsit

ààdi

Fer

rara

di F

erra

ra

Intr

oduz

ione

•fu

nzio

ne s

trut

tura

nte

dell’

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sul

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ppo

affe

ttiv

o,

sullo

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lupp

o de

l Sé,

o s

u qu

ello

che

da

Win

nico

ttvi

ene

defi

nito

svilu

ppo

emoz

iona

le p

rim

ario

. •

I co

ncet

ti w

inni

cott

iani

di h

oldi

ng (c

he f

avor

isce

il p

roce

sso

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tegr

azio

ne n

ella

dir

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ne d

ell’I

o so

no),

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andl

ing

(che

favo

risc

e la

per

sona

lizza

zion

e, q

uella

sal

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ra t

ra p

sich

e e

som

a ch

e co

nsen

te lo

svi

lupp

o de

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tim

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che

si h

a de

lla

prop

ria

pers

ona)

, com

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di a

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ter

apeu

tico

gl

obal

edi

Bet

telh

eim

sono

ess

enzi

ali p

er p

rese

ntar

e l’a

ttua

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enti

che

ogg

i si p

ongo

no a

ncor

a l’o

biet

tivo

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inte

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ire

tera

peut

icam

ente

nella

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a qu

otid

iana

.

La c

omun

ità

che

ripa

raRi

para

re d

a:de

priv

azio

ne/m

altr

atta

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toricr

eand

oun

am

bien

te t

erap

euti

co c

he r

ecup

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ri

cost

ruis

ce e

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tual

izza

le

prim

arie

fu

nzio

ni s

trut

tura

nti

falli

te,

ripa

rand

o ai

pre

coci

fal

limen

ti a

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enta

li ca

usa

di p

riva

zion

e o

depr

ivaz

ione

.

Live

llidi

inte

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toda

part

e de

llaco

mun

ità

•di

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sion

e si

mbo

lica

della

com

unit

à

•fu

nzio

ni p

rote

ttiv

e e

stru

ttur

anti

FILO

NI

DI

STU

DIO

RELA

TIVI

ALL

A “C

ARA

TTER

IZZA

ZIO

NE”

DEL

MIN

ORE

IN

CO

MU

NIT

A’

•(K

ey q

uest

ion:

chi

son

o i m

inor

i in

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unit

a’?)

Dep

riva

zion

e(P

sico

pato

logia

Clas

sica

)

•Fi

lone

cen

trat

o es

senz

ialm

ente

sul

l'ide

a de

lla

depr

ivaz

ione

(dep

riva

tion

) sub

ita

in c

aso

di

dist

ruzi

one

dei l

egam

i con

la f

igur

a m

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na o

con

un

suo

sos

titu

to o

add

irit

tura

in c

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anca

nza

tota

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i un

lega

me

affe

ttiv

o (p

riva

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).•

L'ac

cent

o è

post

o su

lla r

elaz

ione

mad

re-b

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no e

su

lle c

onse

guen

ze d

ell'a

ver

amat

o e

perd

uto

l'ogg

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d'a

mor

e o

sul n

on a

ver

mai

avu

to la

po

ssib

ilità

di e

sser

e am

ato

e am

are.

Focu

s ce

ntra

le•

Il t

ema

cent

rale

con

cern

e il

ruol

o fo

ndam

enta

le

assu

nto

dai l

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i di a

ttac

cam

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nel

la p

rim

a in

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ia q

uali

elem

enti

cos

titu

tivi

e in

disp

ensa

bili

per

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resc

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uman

a e

le c

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ella

loro

pe

rdit

a o

della

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com

plet

a as

senz

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Que

sto

filo

ne d

i stu

di d

imos

tra,

in m

anie

ra

indi

scut

ibile

, il p

eso

dell'

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ente

sui p

roce

ssi d

i cr

esci

ta;a

mbi

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inte

so in

pri

mo

luog

o co

me

sist

ema

di r

elaz

ioni

sig

nifi

cati

ve e

str

uttu

rant

i la

real

tàin

tern

a e

la r

appr

esen

tazi

one

della

rea

ltà

este

rna.

Cons

egue

nze

evol

utiv

eLa

dep

riva

zion

epu

ò co

mpo

rtar

e un

distu

rbo

reat

tivo

dell'at

tacc

amen

to i c

ui s

into

mi so

no:

man

canz

a di c

apac

ità

di d

are

e rice

vere

af

fett

o, c

ompo

rtam

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ggre

ssivi, d

istu

rbi ne

l co

ntat

to v

isivo

e ne

l lin

guag

gio,

bug

ie e

fur

ti

(ten

denz

e an

tiso

ciali),

man

canz

a di a

micizie o

ra

ppor

ti s

ignifica

tivi s

tabi

li, c

onsist

enti

prob

lemi di

con

trollo.

Etio

logi

a de

l dis

turb

o•

Il d

istu

rbo

èdo

vuto

alla

man

canz

a di

un

atta

ccam

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pri

mar

io a

seg

uito

del

rif

iuto

e d

ella

se

para

zion

e da

lla m

adre

: un

rifi

uto

che

può

veri

fica

rsi e

per

man

ere

anch

e qu

ando

la m

adre

èfi

sica

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te p

rese

nte,

ma

la r

elaz

ione

con

il f

iglio

è

cara

tter

izza

ta d

al f

allim

ento

iniz

iale

di q

uals

iasi

ca

paci

tàem

pati

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di c

onte

nim

ento

(hol

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).

Cons

egue

nze

evol

utiv

La c

onse

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za m

aggi

ore

della

man

cata

co

stru

zion

e di

lega

mi n

ell'i

nfan

zia

èl'i

ncap

acit

àdi

inst

aura

re r

elaz

ioni

si

gnif

icat

ive

nella

vit

a su

cces

siva

Ciò

si a

ccom

pagn

a ad

una

for

ma

di

psic

opat

olog

ia c

arat

teri

zzat

a da

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canz

a di

af

fett

ivit

à, v

ergo

gna

o se

nso

di

colp

a/re

spon

sabi

lità

e da

lla d

iffi

colt

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ozio

nale

di e

ntra

re in

una

rel

azio

ne

empa

tica

con

gli

altr

i. »

Le d

iffi

coltà

di r

elaz

ione

si c

onfi

gura

no,

dunq

ue, c

ome

i pri

ncip

ali e

siti

dis

adat

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del

quad

ro d

i dep

riva

zion

e so

pra

desc

ritt

o

Il m

altr

atta

men

to

•La

più

rece

nte

lett

erat

ura

sul m

altr

atta

men

to in

fant

ile (D

i Bla

sio,

200

0) è

impo

stat

a se

cond

o l'o

rien

tam

ento

cla

ssic

o de

lla p

sico

pato

logi

a, il

cui

foc

us

èri

volt

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la s

tori

a in

divi

dual

e de

l sog

gett

o e

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anno

sub

ito.

•Ci

ò ch

e di

ffer

enzi

a le

due

pro

spet

tive

èch

e m

entr

e le

ric

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e de

l pri

mo

orie

ntam

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stu

dian

o gr

uppi

di i

ndiv

idui

che

cre

scon

o in

am

bien

ti d

iver

si

con

un'o

ttic

a fo

rtem

ente

cen

trat

a su

lla r

elaz

ione

fra

indi

vidu

o e

cara

tter

isti

che

dei c

onte

sti d

i svi

lupp

o, le

ric

erch

e de

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ondo

, con

un

appr

occi

o pi

ùcl

inic

o, s

i foc

aliz

zano

qua

si e

sclu

siva

men

te s

ulla

per

sona

. •

In q

uest

o se

nso

assu

mon

o ri

lievo

la p

reci

sazi

one

diag

nost

ica

della

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olog

ia

del d

anno

sub

ito

e i f

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ri d

i ris

chio

o d

i pro

tezi

one

che

poss

ono

ampl

ific

are

o ri

durr

e il

dann

o ps

icol

ogic

o, f

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tesi

non

tan

to c

ome

oppo

rtun

ità

o co

ndiz

ioni

di v

ita,

ma

qual

i car

atte

rist

iche

indi

vidu

ali d

ei

sing

oli.

•D

iven

tano

impo

rtan

ti a

llora

la s

ubti

polo

gia

del m

altr

atta

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to, l

'età

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inso

rgen

za, l

a re

lazi

one

che

inte

rcor

re f

ra c

hi lo

ha

mes

so in

att

o e

chi

l'ha

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bito

, la

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icit

à, c

ome

dist

orsi

one

perm

anen

te n

ello

svi

lupp

o, o

ppur

e il

veri

fica

rsi d

ella

vio

lenz

a in

man

iera

impr

ovvi

sa e

acu

ta.

Cons

egue

nze

del

mal

trat

tam

ento

Se s

i pre

nde

in c

onsi

dera

zion

e le

des

criz

ioni

di b

ambi

ni e

ad

oles

cent

ich

e ha

nno

subi

to m

altr

atta

men

ti f

isic

i,tr

ascu

rate

zza

e/o

mal

trat

tam

ento

psi

colo

gico

(con

dizi

oni,

ques

t'ul

tim

e, c

he a

ccom

unan

o le

sto

rie

di t

utti

i m

inor

iin

car

ico

ai s

ervi

zi s

ocia

li) t

rovi

amo

l'una

nim

e pr

esen

za d

i pro

blem

i sco

last

ici e

nel

l'app

rend

imen

to

conn

essi

a r

itar

di d

ello

svi

lupp

o in

telle

ttiv

o;

diff

icol

tàso

cial

i ed

emoz

iona

li, c

ompr

ensi

ve d

i ost

ilità

, ag

gres

sivi

tà, p

assi

vità

; bas

sa s

tim

a di

e,

nel l

ungo

per

iodo

, esi

ti n

ella

dev

ianz

a e

nella

psi

copa

tolo

gia

conc

lam

ata.

I ra

gazz

i tra

scur

ati s

ono:

pass

ivi,

senz

a di

fese

, con

sig

nifi

cati

vi

rita

rdi d

ello

svi

lupp

o e

disa

rmat

i in

cond

izio

ni d

i str

ess,

men

tre

quel

li m

altr

atta

ti f

isic

amen

te s

embr

ano

pres

enta

re u

n te

mpe

ram

ento

dif

fici

le e

, so

tto

stre

ss, m

anif

esta

no a

ccen

tuat

a im

puls

ivit

àe

rabb

ia C

ritt

ende

n(1

985)

Cons

egue

nze

del

mal

trat

tam

ento

psi

colo

gico

Nel

l'am

bito

del

mal

trat

tam

ento

psi

colo

gico

veng

ono

rile

vate

mol

te a

ree

com

prom

esse

che

cop

rono

una

va

stit

àdi

sin

tom

i a b

reve

e a

lung

o te

rmin

e qu

ali:

dist

urbi

del

l'alim

enta

zion

e, b

assa

sti

ma

di s

é,

inst

abili

tàe

rido

tta

sens

ibili

tàem

ozio

nale

, m

anca

nza

di f

iduc

ia n

egli

altr

i, di

pend

enza

, for

me

di a

ccen

tuat

a in

com

pete

nza

e di

ffic

oltà

nell'

appr

endi

men

to,

depr

essi

one,

rit

ardi

evo

luti

vi,

uso

di d

roga

ed

altr

i anc

ora.

Are

e de

llo s

vilu

ppo

com

prom

esse

Pur

nella

gra

nde

vari

abili

tàde

lle c

onfi

gura

zion

i in

divi

dual

i, la

cos

tella

zion

e de

lle a

ree

dello

sv

ilupp

o pi

ùfr

eque

ntem

ente

com

prom

essa

si

ripr

esen

ta s

iste

mat

icam

ente

a c

aric

o de

l leg

ame

di a

ttac

cam

ento

e d

ella

cap

acit

àdi

coi

nvol

gim

ento

in

rel

azio

ni a

ffet

tive

, del

l'ada

ttam

ento

e d

elle

co

mpe

tenz

e so

cial

i, de

lle c

ompe

tenz

e co

gnit

ive

e de

ll'ap

pren

dim

ento

.

Com

unit

àSu

lla b

ase

degl

i ele

men

ti d

escr

itti

ne

deri

va

che

qual

unqu

e st

rutt

ura

di a

ccog

lienz

a pe

r ba

mbi

ni, a

dole

scen

ti, g

iova

ni a

dult

i ch

e ha

nno

subi

to u

n da

nno

evol

utiv

o a

segu

ito

della

man

canz

a o

della

dis

tors

ione

del

la

funz

ione

str

uttu

rant

e de

lle r

elaz

ioni

di

atta

ccam

ento

nel

l'inf

anzi

a, d

eve

pors

i il

prob

lem

a di

rip

rodu

rre

tale

fun

zion

e in

re

lazi

one

all'e

tàde

i sog

gett

i e a

l rit

ardo

ev

olut

ivo

pres

enta

to.

Org

aniz

zazi

one

della

co

mun

ità

La c

omun

ità

deve

ess

ere

orga

nizz

ata

su s

peci

fici

cr

iter

i qua

li l'et

àde

i minor

i e,

in f

unzi

one

di

ques

to a

spet

to, la

valuta

zion

e de

i te

mpi

dipe

rman

enza

,il nu

mer

o de

gli ad

ulti

in r

appo

rto

ai

sogg

etti

osp

iti e

la lo

ro s

tabi

lità

per

la for

maz

ione

di leg

ami sign

ificat

ivi,l’int

egra

zion

e fr

a un

mod

ello t

eorico

di rife

rimen

toe

la pro

gett

azione

orga

nizz

ativa

stes

sa d

ella s

trut

tura

sul s

ingo

lo

e su

l dist

urbo

spe

cifico

man

ifes

tato

.

La p

rosp

ettiva

co

ntes

tualista

Le p

robl

emat

iche

di d

isad

atta

men

to p

rese

ntat

e da

i so

gget

ti d

epri

vati

/mal

trat

tati

(m

inor

i/ad

oles

cent

i/gi

ovan

i adu

lti)

poss

ono

esse

re

meg

lio a

ffro

ntat

e se

si a

dott

a un

a pr

ospe

ttiv

a ra

dica

lmen

teco

ntes

tual

ista

che

oltr

e al

la q

ualit

àde

lle r

elaz

ioni

, ten

ga p

rese

nte

la f

unzi

one

supp

orti

vach

e la

str

uttu

ra d

ella

vit

a qu

otid

iana

fo

rnis

ce, n

ei d

iver

si c

onte

sti d

i vit

a, in

cui

i m

inor

i cr

esco

no.

Mod

elli

teor

ici d

i ri

feri

men

toQ

uest

o m

odel

lo d

i rif

erim

ento

con

iuga

i co

ntri

buti

-de

ll’ap

proc

cio

Inte

ratt

ivo-

Cost

ruzi

onis

ta-

della

Mic

roso

ciol

ogia

del

la V

ita

Quo

tidi

ana

-de

ll’ap

proc

cio

Ecol

ogic

o/Co

ntes

tual

ista

- del

laPs

icop

atol

ogia

Evo

luti

va

App

rocc

io int

erat

tivo

-co

stru

zion

ista

e micos

ociologia

della

vita

quot

idiana

•Ta

li ap

proc

ci v

edon

o i s

ogge

tti q

uali

atto

ri d

el p

roce

sso

di

cost

ruzi

one

del S

ée

della

rea

ltà

attr

aver

so le

inte

razi

oni.

•Se

cond

o ta

li ap

proc

ci la

rea

ltà

indi

vidu

ale

e so

cial

e si

con

figu

ra

com

e un

ince

ssan

te p

roce

sso

dial

etti

co, e

la v

ita

quot

idia

na s

i pr

esen

ta c

ome

una

real

tàso

gget

tiva

men

te s

igni

fica

tiva

, ma

nello

st

esso

tem

po r

icon

osci

uta

e ri

cono

scib

ile in

mod

o co

eren

te e

og

gett

ivo

(Bes

t, 1

995)

. •

Risp

etto

al p

robl

ema

della

cos

truz

ione

e d

ella

con

osce

nza

della

re

altà

inte

rna

ed e

ster

na, l

’appr

occi

o in

tera

ttiv

o-co

stru

zion

ista

riti

ene

che

la r

ealt

àso

cial

e, c

osìc

ome

i sig

nifi

cati

da

attr

ibui

re

agli

even

ti c

he la

cos

titu

isco

no o

la c

arat

teri

zzan

o, s

orgo

no e

ve

ngon

o co

stru

iti p

ropr

io n

ell’a

mbi

to d

ell’i

nter

azio

ne (B

erge

r,

Luck

man

n, 1

966;

Gof

fman

n, 1

967)

.

Mod

ello

ecolog

ico/

cont

estu

alista

(Bro

nfen

bren

ner

1992

).•

Il m

odel

lo e

colo

gico

si p

uò d

efin

ire

com

e lo

stu

dio

della

re

lazi

one

dell’

esse

re u

man

o in

svi

lupp

o co

n le

sit

uazi

oni e

il

cont

esto

nei

qua

li è

atti

vam

ente

coi

nvol

to.

•L’

uom

o è

al c

entr

o di

una

ser

ie d

i ane

lli c

once

ntri

ci,

ovve

rosi

a, d

i sit

uazi

oni c

he e

serc

itan

o un

’infl

uenz

a bi

dire

zion

ale

su d

i ess

o.•

I ce

rchi

con

cent

rici

più

este

rni s

ono

quel

li ch

e ra

ppre

sent

ano

i val

ori d

ella

soc

ietà

e de

lla c

ultu

ra, m

entr

e qu

elli

più

inte

rni i

ndic

ano

le s

itua

zion

i più

vici

ne a

lla p

erso

na

com

e, a

d es

empi

o, la

fam

iglia

, i v

icin

i e la

scu

ola.

Il m

odel

lo e

colo

gico

rap

pres

enta

un

alla

rgam

ento

del

la p

rosp

etti

va

sist

emic

a, a

ttra

vers

o le

seg

uent

i is

tanz

e:

•-

il ri

cono

scim

ento

del

l’inf

luen

za d

i pen

sier

i ed

emoz

ioni

su

gli e

lem

enti

del

sis

tem

a o

sui s

iste

mi s

tess

i;•

-il

recu

pero

del

la d

imen

sion

e st

oric

o-te

mpo

rale

, che

si

man

ifes

ta n

ella

con

side

razi

one

evol

utiv

a de

lla p

erso

na e

ne

ll’at

tenz

ione

al c

osti

tuir

si e

d ev

olve

rsi n

el t

empo

de

ll’es

peri

enza

;•

-l’i

ntro

duzi

one

delle

var

iabi

li so

cial

i, cu

ltur

ali e

d ed

ucat

ive;

•-

la r

isco

pert

a de

ll’in

divi

duo

con

i suo

i pen

sier

i, se

ntim

enti

, sc

opi,

inte

nzio

ni e

bis

ogni

.

Rapp

orto

svilu

ppo/

ambi

ente

•Br

onfe

nbre

nner

defi

nisc

e lo

svi

lupp

o co

me

"una

mod

ific

azio

ne p

erm

anen

te d

el m

odo

in c

ui u

n in

divi

duo

perc

epis

ce e

aff

ront

a il

suo

ambi

ente

"•

"Lo

stes

so a

utor

e de

fini

sce

l'am

bien

te "e

colo

gico

" "co

me

un

insi

eme

di s

trut

ture

incl

use

l'una

nel

l'altr

a, s

imili

ad

una

seri

e di

bam

bole

rus

se e

nvir

onm

enta

lsys

tem

s: m

icro

syst

em,

mes

osys

tem

, exo

syst

em,

mac

rosy

stem

).•

"Lo

svilu

ppo

di u

n in

divi

duo

èpr

ofon

dam

ente

det

erm

inat

o da

ev

enti

che

si v

erif

ican

o in

sit

uazi

oni a

mbi

enta

li in

cui

l'i

ndiv

iduo

ste

sso

non

ène

ppur

e pr

esen

te"

Psicop

atolog

ia E

volutiva

La P

sico

pato

logi

a so

ttol

inea

l’im

port

anza

del

le c

ondi

zion

i, in

tese

qua

li fa

ttor

i di r

isch

io e

di p

rote

zion

e, c

he s

oste

ngon

o le

for

me

dell’

adat

tam

ento

e d

el d

isad

atta

men

to.

Ass

unti d

i ba

se•

Ogn

i for

ma

di p

sico

pato

logi

a si

pre

sent

a in

un

sogg

etto

in v

ia d

i svi

lupp

o e

la f

ase

evol

utiv

a de

l sog

gett

o è

dete

rmin

ante

per

com

pren

dere

le

orig

ini e

le m

anif

esta

zion

i del

dis

turb

o.•

Ogn

i for

ma

di p

sico

pato

logi

a è

defi

nita

in r

ifer

imen

to a

sta

ndar

d no

rmat

ivi d

eriv

ati d

ai s

iste

mi d

i nor

me

prop

rie

ai d

iver

si a

mbi

enti

soc

io-

cult

ural

i.•

Ogn

i for

ma

di p

sico

pato

logi

a è

infl

uenz

ata

da c

ompl

esse

inte

razi

oni

gene

-cul

tura

.•

poic

héla

mag

gior

par

te d

ei q

uadr

i psi

copa

tolo

gici

ric

onos

ce u

na

mol

tepl

icit

àdi

cau

se, è

utile

des

criv

ere

il qu

adro

in t

erm

ini d

i per

cors

i de

vian

ti o

di t

raie

ttor

ie d

i svi

lupp

o.•

lo s

tudi

o de

ll’ad

atta

men

to è

impo

rtan

te p

er c

ompr

ende

re la

ps

icop

atol

ogia

.

Ambi

ente

ter

apeu

tico

glob

ale

L’id

ea d

i"a

mbi

ente

ter

apeu

tico

globa

le"

(Win

nico

tt, 1

965;

Bet

telh

eim

, 195

0; R

edle

W

inem

an, 1

951)

sot

tolin

eal’i

mpo

rtan

za d

ella

vita

quot

idiana

com

e luog

o "p

ensa

to"

nella

sua

gl

obal

ità

per

real

izza

re l'

inte

rven

to r

ipar

ativ

oe

tera

peut

ico,

rifiut

ando

la s

epar

azio

ne f

ra u

n se

ttin

g"a

par

te"

depu

tato

all'

inte

rven

to

psic

oter

apic

o.

La r

egre

ssio

neLa

for

mul

azio

ne p

iùes

aust

iva

di q

uest

o co

ncet

to

ripr

ende

pro

prio

i te

mi d

i Win

nico

ttre

lati

vi a

lla

regr

essi

one

com

e el

emen

to d

i aut

ocur

a e

sost

iene

la

nec

essi

tàdi

pro

cura

re a

l bam

bino

dep

riva

to o

m

altr

atta

to u

n am

bien

te a

degu

ato

a pe

rmet

terg

li di

per

dere

le a

cqui

sizi

oni f

atte

per

cos

triz

ione

e

sott

omis

sion

e e

per

ritr

ovar

e la

spo

ntan

eità

dello

sv

ilupp

o e

della

fid

ucia

nel

mon

do e

ster

no.

Funz

ione

rip

arat

oria

dell’

ambi

ente

•Se

cond

o W

inni

cott

le p

sico

si s

ono

capa

ci d

i au

togu

arig

ione

se in

un

succ

essi

vo m

omen

to d

ello

sv

ilupp

o l’a

mbi

ente

for

nisc

e al

bam

bino

ciò

che

gli

èm

anca

to n

ei p

rim

i mom

enti

del

la v

ita.

•“L

a re

gres

sion

e ra

ppre

sent

a la

spe

ranz

a de

ll’in

divi

duo

psic

otic

o ch

e ce

rti a

spet

ti

dell’

ambi

ente

che

in o

rigi

ne f

allir

ono

poss

ano

esse

re r

ivis

suti

e c

he q

uest

a vo

lta

l’am

bien

te

ries

ca, i

nvec

e di

fal

lire,

nel

la s

ua f

unzi

one

di

favo

rire

la t

ende

nza

natu

rale

del

l’ind

ivid

uo a

sv

ilupp

arsi

e a

mat

urar

e”.

Acc

ezioni d

el t

ermine

“ter

apeu

tico

”•

Il c

once

tto

di “t

erap

euti

co”v

uole

sott

olin

eare

, in

man

iera

spe

cifi

ca, l

a po

ssib

ilità

dell’

ambi

ente

di p

rom

uove

re r

ileva

nti p

roce

ssi d

i cam

biam

ento

.•

Alc

une

acce

zion

i che

in t

ale

pros

pett

iva

il te

rmin

e te

rape

utic

ovi

ene

ad

assu

mer

e:•

1) l'

adat

tam

ento

alla

fas

e ev

olut

iva

e al

ret

rote

rra

cult

ural

e de

i min

ori

ospi

ti;

•2)

l’el

asti

cità

che

perm

ette

la r

egre

ssio

ne e

gar

anti

sce

quel

le m

odif

iche

or

gani

zzat

ive

e re

lazi

onal

i nec

essa

rie

ad o

ttem

pera

re a

lle e

sige

nze

mut

evol

i dei

gio

vani

osp

iti d

uran

te le

div

erse

fas

i del

pro

cess

odi

ca

mbi

amen

to;

•3)

il fa

tto

che

tutt

o lo

spa

zio

soci

ale

della

vit

a di

com

unit

à, in

teso

sia

com

e re

lazi

oni s

ia c

ome

atti

vità

, as

sum

a un

pos

sibi

le r

uolo

“r

ipar

ativ

o/ri

para

tori

o”;

•4)

il r

icon

osci

men

to a

ll'am

bien

te d

i com

pone

nti p

rote

ttiv

e in

gra

do d

i so

sten

ere

uno

svilu

ppo

ed u

n m

utam

ento

che

sup

erin

o il

livel

lo d

i pr

oget

tazi

one

orie

ntat

o al

la p

atol

ogia

. La

funz

ione

pro

tett

iva

deve

m

ostr

arsi

in g

rado

di m

odif

icar

e la

tra

iett

oria

di v

ita

intr

apre

sa d

al

sogg

etto

nel

la c

ondi

zion

e di

ris

chio

.

Vita

quo

tidi

ana

e st

rutt

uraz

ione

del

l’IO

Att

rave

rso

il co

ncet

to d

i am

bien

te

tera

peut

ico

si f

ocalizza

l’att

enzion

e (a

ll’inte

rno

di u

n’inte

rpre

tazion

e ps

icod

inam

ica)

sulla r

egolam

enta

zion

e de

lla v

ita

quot

idiana

per

cos

truire

oc

casion

i di s

uppo

rto

alle c

aren

ti f

unzion

i de

ll’Io

.

Key

ques

tion

s•

Come

si c

arat

terizz

a un

ambi

ente

te

rape

utico?

•Q

uali

sono

le

sue

dimen

sion

i fo

ndam

enta

li?•

-Ch

i so

no g

li at

tori c

he f

ungo

no d

a figu

re s

trut

tura

nti de

ll’inte

rven

to s

ui

minor

i co

n fu

nzioni “te

rape

utiche

”?

Cara

tter

isti

che

tera

peut

iche

del

quo

tidi

ano

•N

ell’a

mbi

ente

ter

apeu

tico

tut

ti i

mom

enti

del

la g

iorn

ata

hann

o ri

leva

nza

tera

peut

ica.

Ogn

i asp

etto

del

lo s

pazi

o fi

sico

e o

gni s

ua m

odal

ità

di f

unzi

onam

ento

èfi

naliz

zata

a

far

sent

ire

il so

gget

to “a

cas

a su

a.”

•U

n am

bien

te t

erap

euti

co c

erca

di r

icos

trui

re le

dim

ensi

oni

port

anti

del

la v

ita

quot

idia

na (s

pazi

e t

empi

) all’

inte

rno

della

qua

le s

i str

uttu

rano

rou

tine

e r

egol

e.•

L'az

ione

str

uttu

rant

e de

lla v

ita

quot

idia

narico

nosc

iuta

e pr

eved

ibile

ren

de p

ossi

bile

laco

ordina

zion

e de

lle

inte

razion

itr

amiteaz

ioni a

bitu

dina

rie,

oss

ia a

zion

i:•

dota

te d

i sen

so p

er t

utti

i pa

rtec

ipan

ti•

rile

vant

i sul

pia

no p

sico

logi

co p

er la

loro

fun

zion

e di

su

ppor

to a

lla c

ostr

uzio

ne

La p

rote

zion

e es

erci

tata

da

l quo

tidi

ano

Una

com

unità

prot

ettiva

riv

olge

la s

ua

atte

nzio

ne p

ropr

io alla

vita

quot

idiana

perc

hé“la

quot

idianità

prot

etta

”im

plica

ripe

titi

vità

, pre

vedi

bilit

à, f

amili

arit

àe

rass

icur

azio

ne; è

faci

lmen

te r

icon

osci

bile

ed

èra

ppre

sent

abile

a li

vello

men

tale

.

Rego

le,

rout

ine,

ritua

li

•I ritu

ali

sono

inte

razi

oni s

ocia

li s

chem

atiz

zate

che

incl

udon

o un

a pr

escr

izione

di r

uoli,

un’at

trib

uzione

di s

igni

fica

ti; r

icor

rono

inte

mpi

e lu

oghi

pre

vedi

bili,

for

nisc

ono

all’i

ndiv

iduo

un

sens

o di

id

enti

tàal

l’int

erno

di u

n pi

ùam

pio

grup

po.

•Le

rou

tine

div

enta

no r

itua

li qu

ando

oltr

e al

la f

unzi

one

prat

ica

di

elem

ento

org

aniz

zato

re d

ello

sti

le d

i vit

a fa

mili

are

forn

isco

noun

ara

ppre

sent

azio

ne s

imbo

lica

dell’

iden

tità

fam

iliar

e.•

Tutt

e le

com

unit

àsi

dan

no r

egol

e, t

utte

str

uttu

rano

la q

uoti

dian

ità

in r

outi

ne (i

l pra

nzo,

la c

ena,

i te

mpi

dei

com

piti

, and

are

a le

tto,

al

zars

i, et

c.)ma

occo

rre

valu

tare

qua

nto

ques

ti m

omen

ti d

ell’a

zion

e ri

petu

ta e

rit

ualiz

zata

div

enta

no il

luog

o de

lla n

egoz

iazi

one

e de

lla

cond

ivis

ione

di s

igni

fica

ti.

•Re

gole, ro

utine

e ritu

ali

poss

ono

esse

re i

punt

i for

ti d

i una

rea

ltà

impo

sta

o vi

ceve

rsa

i tas

selli

di u

na c

ostr

uzio

ne c

ondi

visa

.

Esem

pio:

Seq

uenz

ein

tera

ttiv

ein

com

unit

à•

L'ad

oles

cent

e la

ncia

una

pro

voca

zion

e ag

gres

siva

all’a

dulto

e

il ri

chia

mo

di q

uest

’ulti

mo

al r

ispe

tto

di n

orm

e di

ord

ine

gene

rale

che

reg

olan

o il

vive

re c

ivile

, il r

ispe

tto

fra

si f

a rife

rimen

toad

un

livel

lo c

odif

icat

o e

form

ale

della

co

nosc

enza

con

divi

sa c

he, p

er e

sser

e ac

cett

ato

e re

so

salie

nte

sul p

iano

sog

gett

ivo

ha b

isog

no d

i ess

ere

sper

imen

tato

nella

cos

truz

ione

inte

rsog

gett

iva

di ’

“ess

ere

con”

, in

una

rela

zion

e.•

Si p

uò c

hied

ere

di r

ispe

ttar

e qu

alco

sa c

he è

stat

o co

stru

itoinsiem

e in u

na r

elaz

ione

che

ha

valore

per

entr

ambi

i pa

rtne

r men

tre

il so

lo r

ichiam

o ad

asp

etti

form

ali

non

può

che

esse

re v

issu

to c

ome

un’ul

teri

ore

prov

ocaz

ione

per

chi

non

si è

mai

sen

tito

acc

olto

e

risp

etta

to.

Funz

iona

men

to d

ell’a

mbi

ente

te

rape

utic

o qu

otid

iano

Un

ambi

ente

ter

apeu

tico

foc

aliz

za

l’att

enzi

one

sull’

acqu

isiz

ione

da

part

e de

i m

inor

i o

giov

ani a

dult

i di c

ompe

tenz

eso

cialic

he s

i anc

oran

o ad

una

com

ples

sa

stru

ttur

a in

tera

ttiv

a in

cui

reg

ole

e ro

utin

e fu

nzio

nano

com

e lu

oghi

con

solid

ati

della

con

divi

sion

e di

sig

nifi

cati

e d

i re

cipr

oche

azi

oni.

Rego

lazi

one

del

quot

idia

no•

Il q

uoti

dian

o è

il m

ondo

del

le a

bitu

dini

, del

fam

iliar

e, d

ella

co

ntin

ua n

egoz

iazi

one

di s

igni

fica

ti, o

biet

tivi

e r

elaz

ioni

.•

Per

gli a

dult

i il q

uoti

dian

o è

il lu

ogo

del r

ipet

itiv

o, d

ell’o

vvio

, de

l ban

ale,

di a

tti c

ompi

uti s

enza

ren

ders

i con

to, m

a pe

r i

bam

bini

l’ov

vio

non

èan

cora

sed

imen

tato

, e r

ipet

izio

ne,

fam

iliar

ità

sem

bran

o es

sere

le d

imen

sion

i che

reg

olan

o i

proc

essi

di a

ppre

ndim

ento

.•

L’ac

quis

izio

ne d

i que

lle c

ompe

tenz

e ch

e co

nsen

tono

ai

bam

bini

di c

apir

e i s

enti

men

ti e

i co

mpo

rtam

enti

deg

li al

tri,

il co

mpr

ende

re il

fun

zion

amen

to d

elle

reg

ole

soci

ali e

la

sodd

isfa

zion

e de

i bis

ogni

em

otiv

i ad

esse

con

ness

i si

real

izza

no n

elle

inte

razi

oni q

uoti

dian

e co

n pa

rtne

rsfa

mili

ari.

Adu

lti sign

ificat

ivi

•Il

ter

min

e “a

ltro

sig

nifi

cati

vo”u

tiliz

zato

ori

gina

riam

ente

dal

la

teor

ia in

terp

erso

nale

del

la p

sich

iatr

ia in

dica

que

lle p

erso

ne

impo

rtan

ti p

er il

bam

bino

in q

uant

o in

flue

nzan

o pr

ofon

dam

ente

losv

ilupp

o de

l Sé,

pot

endo

pro

muo

vere

o r

idur

re il

suo

sta

to d

i be

ness

ere

(Sul

livan

, 195

3).

•Tu

tta

l’esp

erie

nza

infa

ntile

èor

gani

zzat

a in

mod

elli

rela

zion

ali

che,

al p

ari d

elle

str

uttu

re c

ogni

tive

dei

mod

elli

oper

ativ

i int

erni

, ve

ngon

o co

nser

vati

nel

sis

tem

a Sé

sott

o fo

rma

di m

emor

ia o

pr

evis

ione

che

gui

dano

la p

erce

zion

e de

lle r

elaz

ioni

pre

sent

i e

futu

re in

tut

to l’

arco

del

la v

ita.

Que

sta

defi

nizi

one

di “A

ltro

sig

nifi

cati

vo”m

olto

pro

ssim

a se

non

pr

opri

o co

inci

dent

e a

quel

la d

i “fi

gura

di a

ttac

cam

ento

”va

com

plet

ata

attr

aver

so il

ric

hiam

o, in

una

pro

spet

tiva

inte

ratt

ivo-

cost

ruzi

onis

ta, a

lle f

unzi

oni d

i tut

oring,

sca

ffolding

e fr

ame.

Scaf

folding

•L'

azio

ne t

utor

ia, s

trut

tura

nte

e su

ppor

tiva

degl

i ad

ulti

riv

olta

a m

ette

re in

gra

do c

olor

o ch

e ne

so

no c

oinv

olti

, di s

volg

ere

com

piti

, sup

erar

e di

ffic

oltà

, acq

uisi

re c

onos

cenz

e e

com

pete

nze

che

non

sare

bber

o in

gra

do d

i rea

lizza

re d

a so

li.

•Fu

nzio

ni d

i str

uttu

razi

one

che

l’adu

lto

com

pie

nei

conf

ront

i del

pro

cess

i di c

ostr

uzio

ne d

ella

co

nosc

enza

da

part

e de

l bam

bino

e s

i rif

eris

cono

al

l’esp

erie

nza

dire

tta

e co

ncre

ta c

he q

uest

’ulti

mo

fa d

ell’i

nter

azio

ne c

on l’

adul

to.

Form

at•

form

a st

anda

rdiz

zata

di a

zion

e co

ngiu

nta

in u

n co

ntes

to c

omun

icat

ivo.

•N

on è

lo s

cam

bio

in s

ém

a la

sua

str

uttu

ra d

i bas

e.•

Que

sti co

ncet

ti ind

ividua

no c

ome

indisp

ensa

bile

la f

unzion

e di s

uppo

rto

ed “im

palcat

ura”

che

l’adu

lto

deve

for

nire

al ba

mbi

no p

erch

équ

esti

sia

in g

rado

di elab

orar

e un

a co

nosc

enza

di sé

e de

l mon

do.

Funz

ioni c

he g

li ad

ulti s

ignifica

tivi

(edu

cato

ri d

i co

mun

ità)

dev

ono

asso

lver

e•

Per

i ba

mbi

ni p

iùpicc

oli

èqu

ello

di b

isog

no d

i relaz

ione

che,

insiem

e a

quello d

i co

mpe

tenz

a e

auto

nomia r

appr

esen

ta il

pri

mo

tra

i tre

bis

ogni

ps

icol

ogic

i fon

dam

enta

li de

l sis

tem

a de

l Sé

(Con

nell,

199

0).

• •N

ell’i

mpo

staz

ione

teo

rica

di C

onne

llil

sist

ema

del S

éè

un s

et d

i pro

cess

i di

valu

tazi

one

attr

aver

so c

ui il

valu

ta il

gra

do in

cui

i bi

sogn

i psi

colo

gici

ve

ngon

o so

ddis

fatt

i dal

l’am

bien

te c

irco

stan

te.

•Se

alla

bas

e dl

bis

ogno

di r

elaz

ione

si p

one

il pr

oces

so d

i att

acca

men

to, t

ale

biso

gno

rifl

ette

la n

eces

sità

di s

enti

rsi l

egat

o co

n si

cure

zza

agli

altr

i e d

i sp

erim

enta

re s

e st

esso

com

e m

erit

evol

e d’

amor

e e

capa

ce d

i am

are.

Dal

mom

ento

che

, sec

ondo

il p

roce

sso

di a

ttac

cam

ento

, que

sto

tipo

di

info

rmaz

ioni

èin

corp

orat

o ne

i mod

elli

del S

ée

dell’

altr

o ch

e l’i

ndiv

iduo

co

stru

isce

nel

cor

so d

elle

rel

azio

ni, i

l rap

port

o ch

e eg

li in

stau

ra c

on a

ltre

fi

gure

att

iva

tali

mod

elli

e le

per

cezi

oni r

ifer

ite

dai b

ambi

ni p

otre

bber

o pe

rmet

tere

di v

alut

are

in q

uale

mod

o i b

isog

ni p

sico

logi

ci d

el b

ambi

no s

iano

so

ddis

fatt

i.

Proc

esso

di f

unzion

amen

to p

rote

ttivo

della

com

unità

il ca

mbi

amen

to n

ella d

efinizione

di s

ée

del

sign

ificat

o at

trib

uito

alla

pro

pria c

ondizion

e di

svan

tagg

io

•La

com

unit

àsi

con

figu

ra c

ome

fatt

ore

prot

etti

vo n

ella

m

isur

a in

cui

svo

lge

una

funz

ione

str

uttu

rant

e ne

i con

fron

ti

del S

èe

delle

com

pete

nze

soci

ali e

cog

niti

ve d

el s

ogge

tto.

•D

ato

che

la b

assa

aut

osti

ma,

il s

enti

men

to d

i ver

gogn

a e

di

colp

a so

no u

na c

osta

nte

dei b

ambi

ni d

epri

vati

e m

altr

atta

ti,

l’org

aniz

zazi

one

del q

uoti

dian

o do

vreb

be e

sser

e ri

volt

a al

l'aum

enta

re il

sen

tim

ento

di e

ffic

acia

e d

i val

ore

pers

onal

e.

Pert

urba

re•

Tra

le f

unzi

oni d

ella

com

unit

àsp

icca

, in

man

iera

in

equi

voca

bile

, que

lla t

erap

euti

ca c

he c

onti

ene,

fin

da

ll’et

imol

ogia

del

ter

min

e, u

n si

gnif

icat

o di

cam

biam

ento

ch

e co

rris

pond

e ad

una

per

turb

azio

ne d

elle

asp

etta

tive

e

della

rea

ltà

rela

zion

ale

viss

uta

dal s

ogge

tto.

“Per

turb

are”

, in

ques

to c

aso,

sig

nifi

ca d

isco

nfer

mar

eun

a pe

rcez

ione

neg

ativ

a di

sé,

inga

bbia

ta e

ntro

ruo

li e

codi

ci

ster

eoti

pati

, avv

erti

ti c

ome

imm

utab

ili, e

cre

are

le

cond

izio

ni p

er u

n ap

proc

cio

alla

rel

azio

ne e

, qui

ndi a

l pro

prio

, cap

ace

di s

pezz

are

anti

chi c

liché

attr

aver

so la

tr

asm

issi

one

di a

spet

tati

ve p

osit

ive

che

favo

risc

ono

un

rito

rno

di f

iduc

ia e

con

teni

men

to r

ispe

tto

alla

pro

pria

pe

rcez

ione

di s

ée

in r

elaz

ione

all’

altr

o.

Proc

essi

pro

tett

ivi

La c

omun

ità

atti

va u

n pr

oces

so d

i pro

tezi

one

quan

do è

in g

rado

di

:a)

ridur

re l’im

patt

o de

l fa

ttor

e risc

hio

tram

ite

la r

iduz

ione

de

l te

mpo

di es

posizion

e de

l minor

e a

situ

azioni c

he

implican

o st

ress

e d

isag

io e

mot

ivo.

In q

uest

o se

nso,

la c

omun

ità

deve

acc

oglie

re a

tten

tam

ente

il

man

dato

del

Ser

vizi

o so

cial

e o

del T

ribu

nale

che

ha

pred

ispo

sto

l’allo

ntan

amen

to d

el m

inor

e da

l suo

am

bien

te

fam

iliar

e, t

ram

ite

un d

osag

gio

mol

to o

cula

to n

ella

fre

quen

za

dei r

appo

rti c

on la

fam

iglia

e c

osti

tuen

dosi

com

e pr

esen

za

med

iatr

ice

nei m

omen

ti d

i pas

sagg

io t

ra c

omun

ità

e fa

mig

lia,

attr

aver

so la

pre

senz

a st

abili

zzan

te d

egli

educ

ator

i

Ciò

non

sign

ific

aim

pedi

re la

libe

rtà

della

com

unic

azio

ne

geni

tore

-fig

li o

allo

ntan

arli

defi

niti

vam

ente

l’u

no d

all’a

ltro

, ma,

reg

olar

e i t

empi

del

la

dist

anza

e d

el r

iavv

icin

amen

to, n

el r

ispe

tto

dei b

isog

ni d

i pro

tezi

one

man

ifes

tati

dal

m

inor

e, d

ei s

uoi t

empi

di e

labo

razi

one

del

dann

o su

bito

nec

essa

ri a

lla r

idef

iniz

ione

di

sée

della

pro

pria

sto

ria.

b) r

idur

re l’im

patt

o de

l fa

ttor

e risc

hio

tram

ite

un c

ambi

amen

to d

el

sign

ificat

o ch

e il

minor

e st

esso

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ioni

di d

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io in

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ità

di in

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ale,

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i alt

ri in

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fam

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fi

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que

lle c

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rasm

issi

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e è

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ella

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edi

sto

rie

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ttiv

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e e

solid

e,

rich

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unit

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ll’am

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ffin

ché

la r

elaz

ione

con

l’e

duca

tore

si c

arat

teri

zzi c

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e si

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gra

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vere

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gni r

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na p

erso

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cap

acit

àpr

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crem

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ndo

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ua s

icur

ezza

nel

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uro

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nden

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anif

esti

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cces

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i con

l’a

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vazi

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e l’a

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tivi

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ità

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alie

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ione

al c

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amen

to•

A t

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prop

osit

o, v

a ri

badi

ta la

nov

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rela

zion

ale

dell’

inte

rven

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i com

unit

à, in

net

ta d

isco

ntin

uità

con

l’am

bien

te d

’ori

gine

e in

ten

sion

e ve

rso

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efin

izio

ne d

i un

futu

ro d

iver

so.

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ente

del

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che

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re e

spre

ssio

ne d

i qu

esta

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cam

biam

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, res

a vi

sibi

le d

alla

cur

a de

gli

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enti

, dal

la q

ualit

àe

dall’

atte

nzio

ne a

lla c

ura

pers

onal

e e

alla

cuc

ina,

dal

ben

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re d

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vit

a qu

otid

iana

, dal

la

poss

ibili

tàdi

fre

quen

tare

nuo

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mic

i e n

uove

sit

uazi

oni e

di

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re im

pegn

ati i

n at

tivi

tàdi

vers

e e

stim

olan

ti in

gra

do d

i at

tiva

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uovi

can

ali d

i esp

ress

ione

per

sona

le e

di e

licit

are

viss

uti e

moz

iona

li di

vers

i.

Bibl

iogr

afia

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enzi

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Bast

iano

niP.

Tau

rino

A. (

2009

) Le

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Finito di stampare nel mese di marzo 2010 presso la Divisione di Stampa Digitale

Associazione Padre Monti info: [email protected]

Consulta Diocesana per le attività a favore

dei minori e delle famiglie

Stampato in proprio - Marzo [email protected]