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1 La composizione chimica del protoplasma; I principali costituenti della materia vivente sono: § Carbonio; § Ossigeno; § Idrogeno; § Azoto; § Zolfo; § Fosforo. Un certo numero di elementi si trova inoltre sotto forma di sali inorganici presenti sotto forma di sali dissociati; ricordiamo tra questi: § I cationi (con carica positiva): K + , NA + , Ca ++ , Mg ++ § Gli anioni (con carica negativa): Cl - , HCO 3 - , H 2 PO 4 - , SO 4 - - Una decina di elementi si trovano in piccolissime dosi ma svolgono funzioni importantissime e vengono detti oligoelementi; si tratta per lo più di metalli che svolgono funzioni di catalizzatori nelle reazioni chimiche, e sono: Magnesio, Ferro e Rame. Il protoplasma è costituito da composti inorganici (acqua e sali minerali) e da composti organici (glucidi, lipidi, acidi nucleici). Nelle cellule animali e vegetali esso è costituito dal 75-85% di acqua, 10-20% di proteine, 2-3% di lipidi, 1-1,5% di acidi nucleici (DNA ed RNA), 1% di glucidi e dall’1% di sali minerali. I Componenti inorganici; L’acqua; L’acqua permette che abbiano luogo buona parte delle funzioni cellulari dato che, in ambiente acquoso, gli scambi si verificano in tempi brevi (sempre se a condizioni chimico-fisiche costanti o quasi). L’acqua è un solvente particolare in quanto le forze presenti tra le sue molecole sono fortemente dipendenti dalla temperatura e ciò influisce inevitabilmente anche sul comportamento dei composti organici ed inorganici in essa disciolti. La molecola d’acqua è costituita da un dipolo magnetico il cui centro di carica negativa è costituito dall’ossigeno (O), mentre i due idrogeni (H) risultano parzialmente positivi. Le forze che si instaurano tra l’ossigeno e l’idrogeno vengono dette legami a idrogeno. Il carattere dipolare dell’acqua le conferisce grandi poteri di solvatazione 1 sia su sali inorganici che su molecole organiche in grado di dissociarsi o di formare legami a idrogeno. E’ inoltre anche un mezzo di stabilizzazione di molte macromolecole e possiede un elevato calore specifico che contribuisce a mantenere costante la temperatura degli organismi. E’ infine un mezzo di trasporto di metaboliti e di prodotti di rifiuto. I componenti minerali; 1 E’ in grado di fungere da ottimo solvente

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La composizione chimica del protoplasma; I principali costituenti della materia vivente sono: § Carbonio; § Ossigeno; § Idrogeno; § Azoto; § Zolfo; § Fosforo. Un certo numero di elementi si trova inoltre sotto forma di sali inorganici presenti sotto forma di sali dissociati; ricordiamo tra questi: § I cationi (con carica positiva): K+, NA+, Ca++, Mg++ § Gli anioni (con carica negativa): Cl -, HCO3

-, H2PO4-, SO4

- - Una decina di elementi si trovano in piccolissime dosi ma svolgono funzioni importantissime e vengono detti oligoelementi; si tratta per lo più di metalli che svolgono funzioni di catalizzatori nelle reazioni chimiche, e sono: Magnesio, Ferro e Rame. Il protoplasma è costituito da composti inorganici (acqua e sali minerali) e da composti organici (glucidi, lipidi, acidi nucleici). Nelle cellule animali e vegetali esso è costituito dal 75-85% di acqua, 10-20% di proteine, 2-3% di lipidi, 1-1,5% di acidi nucleici (DNA ed RNA), 1% di glucidi e dall’1% di sali minerali.

I Componenti inorganici;

L’acqua; L’acqua permette che abbiano luogo buona parte delle funzioni cellulari dato che, in ambiente acquoso, gli scambi si verificano in tempi brevi (sempre se a condizioni chimico-fisiche costanti o quasi). L’acqua è un solvente particolare in quanto le forze presenti tra le sue molecole sono fortemente dipendenti dalla temperatura e ciò influisce inevitabilmente anche sul comportamento dei composti organici ed inorganici in essa disciolti. La molecola d’acqua è costituita da un dipolo magnetico il cui centro di carica negativa è costituito dall’ossigeno (O), mentre i due idrogeni (H) risultano parzialmente positivi. Le forze che si instaurano tra l’ossigeno e l’idrogeno vengono dette legami a idrogeno. Il carattere dipolare dell’acqua le conferisce grandi poteri di solvatazione1 sia su sali inorganici che su molecole organiche in grado di dissociarsi o di formare legami a idrogeno. E’ inoltre anche un mezzo di stabilizzazione di molte macromolecole e possiede un elevato calore specifico che contribuisce a mantenere costante la temperatura degli organismi. E’ infine un mezzo di trasporto di metaboliti e di prodotti di rifiuto.

I componenti minerali;

1 E’ in grado di fungere da ottimo solvente

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Ø Na+, K+, Cl - : questi ioni rappresentano il sistema principale per la regolazione della permeabilità della membrana cellulare.

Ø Ca++, HPO4

- -: il fosfato di calcio si trova nelle ossa, nei denti, nel sangue e nei liquidi tissutali. Lo ione calcio regola la contrattilità muscolare e interviene nel processo di coagulazione del sangue oltre che in diversi altri processi enzimatici. Il fosfato di calcio contribuisce alla stabilità del pH del sangue ed all’accumulo dell’energia nelle molecole di ATP e di GTP2.

Ø Mg+ +: è presente nelle ossa sotto forma di fosfato; in forma ionica attiva molti processi

enzimatici. Ø SO4

- -, HCO3-: fanno parte della composizione di alcune vitamine ed hanno funzioni stabilizzanti.

Ricordiamo poi il ferro (Fe) che rappresenta il veicolo dell’emoglobina e dell’ossigeno e lo iodio (I) che è un costituente delle molecole degli ormoni della tiroide.

Le proprietà delle soluzioni: l’osmosi Considerando due contenitori separati fra loro da una membrana semipermeabile e contenenti ognuno una soluzione ma con diverse concentrazioni, assistiamo al fenomeno dell’osmosi ovvero il passaggio del solvente dalla soluzione meno concentrata a quella a concentrazione maggiore. Questo passaggio continua fino a quando le concentrazioni delle soluzioni nei due contenitori non si equivalgono. Le particelle in sospensione esercitano una pressione sulla membrana detta pressione osmotica che viene determinata non dalle dimensioni delle particelle bensì dal numero delle stesse:

meno particelle = minore pressione

Le due soluzioni saranno definite anche iperosmotica (quella che esercita una pressione maggiore sulla membrana) ed iposmotica (con una pressione minore).

Le proteine;

2 Sono molecole ad alto contenuto energetico che vedremo in seguito

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Le proteine sono costituite da elementi fondamentali chiamati amminoacidi (vedi Figura 1). Ciascun amminoacido è costituito da un atomo di carbonio posto in posizione centrale che prende il nome di carbonio alfa, da un gruppo amminico NH3, da un gruppo carbossilico COOH, da un atomo di carbonio e da un “residuo” R. E’ proprio questo residuo che distingue un amminoacido dall’altro. Gli amminoacidi usati dalla cellula sono 20 anche se in realtà in natura ne esiste un numero superiore. Il legame esistente tra due amminoacidi è detto legame peptidico. Alcuni esempi di amminoacidi sono l’acido aspartico e l’acido glutammico, la valina etc. In genere gli amminoacidi possono essere: • Polari con carica • Polari senza carica • Non polari • Con il residuo R costituito da H o da CH3 Una proteina possiede diverse strutture: primaria, secondaria, terziaria e quaternaria che contribuiscono a rendere funzionale la molecola.

Struttura primaria della proteine;

La semplice sequenza degli amminoacidi che costituiscono una proteina prende il nome di struttura primaria.

Struttura secondaria delle proteine; La configurazione in struttura secondaria di una proteina può essere di due tipi: ♦ Configurazione alfa:

E’ data dall’instaurarsi di legami idrogeno tra l’idrogeno del gruppo peptidico di un amminoacido e l’ossigeno del gruppo carbossilico di un altro amminoacido. La catena si dispone a spirale lungo la superficie di un cilindro immaginario e, naturalmente, la lunghezza della spirale dipende dal numero di amminoacidi che costituiscono la proteina. In questa configurazione la molecola è leggermente estensibile nel senso della lunghezza e, un gruppo di queste molecole poste vicine tra loro, tende ad avvolgersi come i componenti di una fune; ne è un esempio la molecola di cheratina.

♦ Configurazione beta:

La catena polipeptidica in questa configurazione si ripiega su se stessa nello spazio dando luogo a delle lamine con i gruppi R posti (nello spazio) al di sopra e al di sotto della struttura stessa. La struttura ottenuta si presenta da un lato molto rigida, mentre dall’altro è dotata di una certa flessibilità; ne è in questo caso un esempio la proteina della seta.

Struttura terziaria delle proteine; In questo tipo di struttura la proteina si ripiega su se stessa nello spazio originando dei tratti di catena paralleli fra loro che si vengono a creare grazie a delle interazioni di tipo debole.

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La struttura terziaria dipende dalla natura dei gruppi R e da quanto essi siano vicini. In alcuni casi, a mantenere la struttura, intervengono dei legami covalenti al posto delle interazioni deboli, come ad esempio quando vi siano dei gruppi SH.

Una proteina svolge la sua funzione finche la sua struttura terziaria rimane intatta, se viene variata (ovvero denaturata), non è più in grado di adempiere alle proprie funzioni.

Struttura quaternaria delle proteine; Alcune proteine sono caratterizzate da questa struttura che si ottiene quando due o più proteine con struttura terziaria si legano fra loro. Un esempio è rappresentato dalla molecola di emoglobina che è formata da quattro catene (due α e due β) in struttura terziaria collegate fra loro. La proteina è in grado di funzionare solo se le quattro subunità sono collegate correttamente.

Classificazione delle proteine;

La classificazione delle proteine risulta essere varia. Una prima riguarda la loro forma: § Globulari: hanno forma grosso modo sferica (emoglobina) § Fibrose: con forma allungata (proteina della seta, cheratina) Una seconda riguarda le funzioni che esse svolgono: § Strutturali: servono a “costruire” sia dentro che fuori la cellula § Funzionali: con specifiche funzioni (ad es. il trasporto delle sostanze) § Enzimi Alcune proteine sono sia strutturali che funzionali e possono essere costituite completamente da struttura proteica, oppure possono avere una parte prostetica come nel caso delle proteine coniugate3.

Gli enzimi; Gli enzimi sono proteine particolari aventi funzione di catalizzatore di determinate reazioni chimiche che altrimenti non si avrebbero o si svilupperebbero troppo lentamente per le necessità della cellula. Ciascun enzima reagisce con un substrato o con una categoria di essi ed enzima e substrato sono strutture fra loro complementari.

3 Vedi gli Enzimi

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Lungo la superficie di contatto fra enzima e substrato (zona che prende il nome di sito attivo) si stabiliscono delle interazioni deboli (legame idrogeno o forze di Van Der Waals) che permettono all’enzima di trasformare il substrato nel prodotto della reazione. Una volta che questa trasformazione è avvenuta il prodotto si stacca dall’enzima e, quest’ultimo è di nuovo disponibile per catalizzare una nuova reazione chimica. Gli enzimi sono proteine coniugate e la parte non proteica (prostetica) è detta proenzima (se di tipo organico) o cofattore (se inorganica, ad es. Fe). Per inibire l’azione di un enzima si può o denaturare la parte proteica o eliminare quella non proteica.

Classificazione degli enzimi; Gli enzimi si possono classificare distinguendo le reazioni chimiche che essi catalizzano; abbiamo in questo modo: a) Ossidoreduttasi: che catalizzano le reazioni di ossidoriduzione. b) Idrolasi (o enzimi idrolitici): per le reazioni in cui si rompe un legame covalente mediante

l’apporto di acqua. c) Transferasi: catalizzano i trasferimenti di gruppi radicali (amminici, carbossilici).

I carboidrati; Rappresentano fondamentalmente il materiale energetico della cellula anche se oltre a questo ruolo esiste quello strutturale e di riconoscimento. Il numero di atomi di carbonio di un carboidrato varia da 3 a 7 anche se i principali sono i carboidrati con 5 atomi di carbonio (pentosi) o con 6 (esosi). Gli esosi sono i più numerosi in natura ed anche i più importanti per le funzioni che svolgono. In soluzione sia i pentosi che gli esosi si possono presentare con due diverse strutture: • Forma aperta • Forma ciclica I pentosi più importanti sono: il ribosio e il desossiribosio (che formano gli acidi nucleici e i nucleotidi), lo xilosio e l’araminosio. Il principale carboidrato esoso è invece il glucosio che può presentare configurazione alfa o beta a seconda della posizione dell’ossidrile (OH) rispetto al piano su cui giace l’anello della struttura. Gli isomeri del glucosio sono il mannosio ed il galattosio che possono entrambi avere una configurazione diversa come nel caso del glucosio. Glucosio, mannosio e galattosio possono poi essere destrogiri o levogiri ovvero, possono essere strutturalmente uno l’immagine speculare dell’altro. Vi sono alcuni zuccheri che, pur derivando dal glucosio presentano alcune sostituzioni: Ø Con gruppo metilico CH3: fucosio

(CH2O)n Figura 2

Figura 2. Formula generale dei carboidrati

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Ø Con gruppo carbossilico COOH: acido glucoranico Ø Con gruppo ossidrilico CH2OH: sorbitolo Ø Con gruppo amminico CHO: glucosammina Ognuna di queste varietà può poi essere sia levogira che destrogira. Strutturalmente gli esosi e i pentosi oscillano fra catena ed anello, ma quando l’anello interagisce con un altro zucchero rimane bloccato in quella posizione.

I polimeri più importanti del glucosio; Le molecole di glucosio unendosi tra loro danno origine a tre polimeri molto importanti: • L’amido (per le cellule vegetali) ed il glicogeno (per le cellule animali):

Si ottengono se entrambi i monomeri sono in configurazione alfa, abbiamo quindi una catena lineare. La differenza tra amido e glicogeno è data esclusivamente dalla parte finale della loro struttura. Il glicogeno si accumula nel fegato degli animali.

• La cellulosa:

E’ un altro polimero dato dal glucosio in configurazione beta con gli ossidrili che giacciono su parti opposte del piano; la catena è sempre lineare e questo polimero non ha funzione energetica, ma solo strutturale e solo nei vegetali.

Altri zuccheri che svolgono funzioni importanti sono gli oligosaccaridi che sono dei piccoli polimeri con funzioni di riconoscimento cellulare. Spesso gli zuccheri risultano associati a proteine (proteine associate) come nel caso delle glicoproteine e delle mucoproteine. La differenza fra queste due molecole sta nella diversa quantità di zuccheri presente che, è maggiore nelle mucoproteine minore nelle glicoproteine. Le mucoproteine devono questo nome alle secrezioni mucose dove sono state individuate per la prime volta. Le glicoproteine sono numerose e possono sia essere prodotte dalle cellule e poi secrete che essere utilizzate per costruire le strutture cellulari.

I lipidi; I lipidi sono molecole che non formano complessi macromolecolari. Un esempio di lipide è rappresentato dall’acido grasso che è costituito da una catena idrocarburica con all’estremo un gruppo carbossilico (COOH). I lipidi possono essere così classificati: q Fosfolipidi: costituiscono le membrane citoplasmatiche q Sfingolipidi: come i fosfolipidi q Steroli: hanno vari ruoli (costituiscono ad esempio il colesterolo o gli steroidi) q Carotenoidi: hanno vari ruoli

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q Glicolipidi

I fosfolipidi;

Al posto dell’acido grasso abbiamo un acido fosforico (che è la parte polare) ed otteniamo l’acido fosfolipidico che è una molecola anfipatica, ovvero con una parte polare ed una apolare. Questo acido è quindi costituito da una testa idrofila (polare) e da una coda idrofoba (apolare).

Gli sfingolipidi; La più comune è la sfingasina che ha il gruppo fosforico legato alla serina ed all’amminoalcool.

I glicolipidi; Sono dati da un legame covalente con carboidrati o con una catena olisaccaridica (di ridotte dimensioni) e prendono il nome di glicosil-digliceridi. Vi sono poi i glicosfingolipidi presenti nelle cellule nervose (cerebrosili, gangliosili) che possiedono la sfinganina.

Gli steroli; Ne è un esempio il colesterolo che ha solo un ossidrile. Sono molecole anfipatiche e di piccole dimensioni.

I carotenoidi; Vengono sintetizzati dai vegetali.

Gli acidi nucleici; Sono le molecole più grosse presenti negli organismi viventi. Esistono due tipi di acidi nucleici che presentano una composizione chimica molto simile: ♦ Acido desossiribonucleico (DNA) ♦ Acido ribonucleico (RNA) Sono sempre presenti entrambi in ogni forma di vita tranne che nei virus dove ce n’è uno solo (spesso il DNA, mapuò anche essere presente l’RNA). Gli acidi nucleici sono detti anche polinucleotidi perché costituiti da tante unità elementari chiamate nucleotidi. Ciascun nucleotide è a sua volta formato da una base azotata, un pentoso4 e da un radicale fosforico. Il pentoso nel DNA è il desossiribosio mentre nell’RNA è il ribosio. Le basi azotate sono: § Pirimidiniche: costituite da un solo anello (timina, citosina e uracile) § Puriniche: costituite da due anelli fusi insieme (adenina e guanina) Nel DNA le pirimidine sono la timina e la citosina mentre nell’RNA sono la citosina e l’uracile.

Struttura primaria; La struttura primaria è determinata dalla successione dei nucleotidi a formare il polinucleotide e, come abbiamo visto DNA ed RNA differiscono per la natura del pentoso e per una base pirimidinica.

4 Vedi i carboidrati

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Struttura secondaria; E’ molto diversa tra DNA e RNA. Il primo è formato da due filamenti di polinucleotidi paralleli fra loro ed avvolti a formare una doppia elica avvolta in senso destrorso con passo regolare. L’RNA è invece costituito da un singolo filamento disteso in alcuni punti ed avvolto su se stesso in altri.

Il DNA; Nella doppia elica i due filamenti si avvolgono in giri destrorsi. I filamenti sono detti “scheletri” e costituiscono la parte invariabile del DNA. I filamenti paralleli sono tenuti a distanza costante da basi azotate che sporgono verso il centro dell’elica legate da legami idrogeno. Per motivi stereochimici la base A (adenina) si lega solo con T (timina) e, la base C (citosina) solo con G (guanina). Il meccanismo di autoduplicazione del DNA è detto semiconservativo perché il nuovo DNA è per metà costituito da quello originale, e per metà dal filamento sintetizzato ex-novo. Il tratto di DNA che contiene l’informazione per codificare la sintesi di un’intera proteina è detto gene strutturale; esso entra in attività trascrivendo un mRNA (o RNA messaggero) sul quale avviene poi la sintesi della proteina con l’aiuto di altri due RNA: tRNA (o RNA transfer) e l’rRNA (o RNA ribosomiale). Ogni essere vivente contiene nelle sue cellule enormi molecole di DNA che costituiscono il genoma. Le funzioni del DNA sono quindi in sostanza quelle di: 1. Reduplicare se stesso 2. Sovrascrivere le sue informazioni su molecole di RNA, in particolare di mRNA, che a

loro volta vengono tradotte in proteine.

L’RNA; L’RNA è più piccolo del DNA; ha vita limitata ed in genere non è in grado di duplicare se stesso. Le molecole di RNA sono trascritte dal DNA con l’intervento di un enzima: la RNA polimerasi. La trascrizione si attua con l’apertura della doppia elica del DNA di cui un solo filamento funge da stampo (quello in direzione 3’- 5’)5 mentre l’altro resta “silente”. Riassumendo i principali tipi di RNA sono quindi: Ø mRNA: sul quale il DNA trascrive i codoni6 di una proteina Ø tRNA: che serve per il trasporto degli amminoacidi da assemblare in proteina Ø rRNA: che forma insieme ad alcune proteine i ribosomi grazie ai quali viene assemblata la

proteina.

5 Ciascun filamento dello scheletro del DNA possiede un estremo chiamato per convenzione 5’ e l’altro denominato 3’ 6 Il codone è una sequenza di tre basi sul DNA che codifica per un amminoacido.

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Gli aspetti generali della cellula; La materia vivente è un colloide (o soluzione colloidale). La principale differenza tra una soluzione ed un colloide è il numero delle particelle che li compongono: - Per una soluzione: 104 particelle - Per un colloide: 104- 109 particelle Inizialmente si pensava esistessero due tipi di colloidi che vennero chiamati sol e gel; nella realtà questa distinzione si è dimostrata non esatta in quanto esiste solo lo stato di gel; il sol non è altro che un gel molto liquido che si definì quando ancora si conosceva poco questo stato della materia. Quando parliamo di colloide ci riferiamo alle grosse molecole della materia vivente in quanto le piccole molecole di materia vivente si organizzano in soluzioni, così come d'altronde le molecole inorganiche che però rappresentano solo una piccola parte dei costituenti della materia.

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In un colloide l’acqua viene definita: fase disperdente. Le molecole in un colloide, indipendentemente dalla loro forma, stabiliscono fra loro dei legami più o meno forti che creano un gel più o meno vischioso.

Classificazione delle cellule; Una prima grande classificazione delle cellule è quella che le distingue in: ♦ Eucariote7 ♦ Procariote (le più primitive) La principale differenza tra le cellule procariote e le eucariote è che il DNA nelle procariote non è separato in modo netto da tutto ciò che non è patrimonio genetico; mentre nelle eucariote il DNA è avvolto dalla membrana nucleare e la parte restante della cellula è detto citoplasma. La cellula è separata dall’esterno dalla membrana cellulare. Si definisce membrana una struttura molto estesa in superficie e di spessore molto ridotto.

Le cellule procariote; I procarioti hanno un solo cromosoma formato da un solo filamento di DNA che ha la particolarità di essere circolare. Pur non possedendo un nucleo vero e proprio, la zona della cellula dove si trova il DNA è detta nucleoide. Nella cellula procariote è presente un solo tipo di organello: il ribosoma, che si dedica alla sintesi proteica. La membrana plasmatica delle cellule procariote presenta un introflessione detta mesosoma, in corrispondenza della quale si ha un punto di contatto con il DNA. I batteri sono dei tipici organismo procarioti ed hanno un diametro di circa1/2 micron (milionesimi di millimetro), così come lo sono i procarioti fotosintetici erroneamente chiamati alghe azzurre (le alghe sono infatti organismi eucarioti). A rivestire esternamente la membrana cellulare vi è la parete cellulare. Esistono anche alcuni procarioti senza parete cellulare con un diametro di 1/10 di micron che sono considerati le cellule più semplici esistenti in natura e sono chiamati PPLO o micoplasmi.

Le cellule eucariote; Nelle cellule eucariote il DNA è contenuto nel nucleo e ricoperto da una struttura che prende il nome di membrana nucleare. Gli eucarioti vegetali hanno alcune caratteristiche particolari rispetto agli eucarioti di origine animale, presentano infatti una parete cellulare (che non è mai presente negli eucarioti animali), presentano delle strutture che prendono il nome di cloroplasti nei quali avviene la fotosintesi e, possiedono delle grosse lacune delimitate da membrana nel citoplasma chiamate vacuoli.

Gli organelli; Quella parte di citoplasma che apparentemente ad una prima osservazione sembrava privo di un organizzazione o struttura venne chiamato ialoplasma (o citosol o matrice citoplasmatica), ma in realtà in seguito ci si rese conto che conteneva tutta una serie di organelli che sono: 7 Il suffisso –cario indica il termine nucleo

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• I ribosomi: che sintetizzano le proteine • Il reticolo endoplasmatico: cioè una serie di membrane che delimitano degli spazi nel citoplasma,

ve ne sono di diverso tipo e con funzioni diverse. Sono in comunicazione con la membrana cellulare.

• L’apparato di Golgi: ha funzione secretiva • I mitocondri: sono organelli addetti alla produzione di energia chimica • I perossisomi • I lisosomi • I microtubuli e microfilamenti: sono strutture allungate dedicate agli spostamenti della cellula. • I centrioli: sono associati alla produzione dei microtubuli e intervengono nella divisione cellulare

(non esistono nelle cellule vegetali).

I virus; I virus sono delle strutture piuttosto semplici costituite da acidi nucleici (DNA o RNA) rivestiti da un involucro proteico. Essi non possono essere definiti come cellule dato che non hanno tutte le manifestazioni tipiche della materia vivente. Tali manifestazioni sono: Ø Presenza di un metabolismo (i virus si basano infatti sul metabolismo dell’organismo che li

ospita) Ø Capacità di accrescimento (i virus non si accrescono) Ø Elaborazione di sostanze extracellulari (i virus non ne elaborano) Ø Possibilità di movimento (i virus non si possono muovere) Ø Irritabilità cellulare (i virus non ne presentano) Ø Autoregolazione (i virus si regolano in base all’organismo che li ospita)

Le dimensioni delle cellule; Gli estremi che riscontriamo in natura sono: • Il PPLO che è il più piccolo organismo vivente, ha un diametro di 0,1 micron e non possiede

parete cellulare. • L’Acetabularia è una cellula di forma allungata che raggiunge i 10 cm. di lunghezza Un’altra possibile classificazione per ciò che riguarda le dimensioni è questa: • Metazoi: minimo 2 micron di diametro • Mammiferi: 6 - 30 micron di diametro • Anfibi: 80 micron di diametro

Le cellule che hanno rapporti di interscambio con l’ambiente esterno li attuano evidentemente attraverso la superficie cellulare. Considerando che anche se il volume di una cellula cresce di una

certa quantità, la superficie cresce in rapporto minore; da questo si deduce perché è più conveniente per un organismo essere costituito da tante cellule di ridotte dimensioni piuttosto che da poche

cellule di grosse dimensioni.

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Gli strumenti utilizzati nello studio delle cellule; Le unità di misura che vengono utilizzate studiando le cellule sono i millimetri (mm), i micron (µm), i nanometri (nm) e gli angstrom (Å). I rapporti esistenti tra tali grandezze sono: • 1 mm = 1000 micron • 1 micron = 10 -3 mm = 1000 nm = 10.000 Å • 1 mm = 10 Å Le lunghezze d’onda della luce; La lunghezza d’onda della luce si misura in nanometri. L’occhio umano percepisce le diverse ampiezze della radiazione luminosa come variazioni di luminosità, mentre percepisce le variazioni di lunghezza come variazioni di colore.

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Il “visibile” è compreso tra i 400 e 750 nm; al di sotto di 400 nm vi è l’ultravioletto mentre al di sopra dei 750 nm vi è l’infrarosso. La luce bianca è un insieme di onde del visibile cioè non è monocromatica.

Il Microscopio ottico; Il microscopio ottico è detto anche “a luce trasmessa nel campo del visibile”. Ed è costituito da due lenti: obbiettivo ed oculare. L’ingrandimento finale è dato dal prodotto dell’ingrandimento dell’obbiettivo per l’ingrandimento dell’oculare. Il fattore più importante nel microscopio ottico è il limite di risoluzione, che rappresenta la distanza più piccola per cui due punti sono percepibili come distinti e si misura in micron. In questa equazione i vari dati rappresentano: 1. 0,61 = costante di Plank. 2. A.N. = apertura numerica (dipende dall’ottica del microscopio) che è pari ad n · sen µ dove n

rappresenta l’indice di rifrazione del mezzo attraverso il quale viaggia la luce che solitamente è compreso tra 1 e 2, µ rappresenta invece la metà dell’angolo di apertura della lente obbiettivo.

3. λ è invece la lunghezza d’onda della luce utilizzata. Gli obiettivi di un microscopio ottico possono essere: § A secco: con indice di rifrazione al massimo di 0,2 micron . § A immersione: con risoluzione maggiore (0,1 micron). Tra l’obiettivo e l’oggetto è interposto

una goccia di olio con un indice di rifrazione simile a quello del vetro. Per ciò che invece riguarda la luce utilizzabile, i limiti di risoluzione ottenibili sono: § Luce bianca: 0,25 micron § Luce violetta: 0,17 micron § Ultravioletto: 0,1 micron Importante è anche lo spessore del campione da analizzare8; lo spessore ottimale va da 1 a 10 micron mentre a 50 micron la luce non è più in grado di passare efficacemente.

Microscopio a contrasto di fase; Questo microscopio permette l’osservazione delle cellule senza bisogno di colorarle. Questo strumento sfrutta un limite dell’occhio umano: l’uomo infatti riesce a percepire le sfasature delle onde luminose solo quando queste variazioni superano di ¼ la lunghezza dell’onda stessa.

8 Vedi preparazione del campione per l’osservazione in microscopia ottica

..

61,0

NALR

λ⋅=

Figura 3.Formula del limite di risoluzione

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I campioni da analizzare creano delle sfasature diverse a seconda delle molecole che li compongono solo che tali differenze spesso sono troppo piccole per essere percepite dall’occhio umano; per questo il microscopio a contrasto di fase aumenta artificialmente la sfasatura costantemente di 1 / 4 della lunghezza d’onda della luce utilizzata. Con questo sistema si ha un immagine a toni di grigio che consente di non colorare i campioni.

Microscopio a luce polarizzata; La luce polarizzata è costituita da un’onda che vibra su un solo piano (al contrario di ciò che avviene normalmente) perpendicolare alla direzione dell’onda stessa. La luce polarizzata si ottiene facendo passare la radiazione luminosa attraverso il prisma di Nicol che provocando una doppia rifrazione la polarizza Il prisma è costituito da due minerali ci calcite opportunamente lavorati ed accoppiati; il primo prisma è detto polarizzatore e si trova a livello del preparato da osservare, il secondo è detto analizzatore. Oggi al posto del prisma si usano delle lamine di plastica ricoperte di da uno ioduro chiamate polaroid. Un campione è detto isotropo se non fa ruotare la luce mentre è anisotropo se fa ruotare il piano della luce polarizzata.

Microscopio a contrasto interferenziale o Normaski; E’ allo stesso tempo un microscopio a luce polarizzata ed a contrasto di fase.

Microscopio in fluorescenza; Il principio generale della fluorescenza (valido per alcune sostanze) è basato sul salto che compiono gli elettroni verso l’orbitale più esterno se vengono colpiti dalla luce. Il salto viene effettuato sfruttando l’energia fornita dalla radiazione luminosa incidente; dato che però l’elettrone tende a tornare nella condizione iniziale di equilibrio, quando questi ritorna nel suo orbitale originario rilascia questa stessa energia in parte sotto forma di calore ed in parte sotto forma di radiazione luminosa. La luce “di ritorno” (cioè quella che percepiamo come fluorescenza) ha minor contenuto energetico rispetto a quella iniziale e presenta una lunghezza d’onda maggiore. L’intervallo di tempo tra eccitazione ed emissione è molto breve, dell’ordine di 10 -8 secondi per la fluorescenza mentre, se è maggiore di 10 -6 secondi, parliamo di fosforescenza. Questo microscopio ha dei filtri che selezionano la lunghezze d’onda emesse e utilizzando delle particolari molecole che si fanno penetrare nella cellula, è possibile avere un’indicazione indiretta della composizione chimica del campione (queste molecole si fissano infatti in modo specifico a determinati composti chimici).

Preparazione del campione per l’osservazione con microscopio ottico; Per poter osservare una cellula è necessario colorarla. I coloranti possono essere: - vitali: di origine naturale, non uccidono la cellula e vengono usati con il microscopio a a fluorescenza - sopravitali: di origine chimica, uccidono la cellula

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Supponendo anche di avere delle cellule dello spessore adatto per l’osservazione nonostante questo non potrebbero sopravvivere a lungo ad una osservazione visto che il microscopio non è il loro ambiente ideale ed è anche per questo motivo che si usano cellule coltivate in vitro. La morte della cellula rappresenta un problema per l’osservazione in quanto i tessuti vanno incontro ad una rapida degenerazione falsando il risultato dell’osservazione, per questo motivo la cellula deve essere opportunamente preparata. La preparazione avviene attraverso una serie di passaggi che sono: - fissazione: consiste nell’uccidere la cellula con un procedimento che non rovini i tessuti con i cosiddetti cross leganti che stabiliscono legami covalenti fra le molecole. Alcuni esempi di queste sostanze sono: gli aldeidi (formaldeide, formalina e glutoraldeide) e l’alcool etilico, l’alcool metilico, l’acetone e il cloroformio. Generalmente vengono usati in soluzione acquosa. Si usano anche dei procedimenti fisici anche se meno frequentemente che sono: uso di calore e congelamento. - inclusione: per procedere all’affettamento della cellula è necessario renderla rigida e questo si ottiene con l’inclusione. Tale processo consiste nel far penetrare in tutti gli interstizi della cellula la paraffina (bagno di paraffina) che a 50 - 60 °C è liquida mentre a temperatura ambiente solidifica. Non essendo però compatibile con l’acqua è necessario disidratare il campione con soluzioni di alcool a concentrazioni crescenti. La paraffina non interagisce però con l’alcool per cui bisogna usare degli intermediari come il toluolo o il benzolo. Vi è però un problema, molte molecole lipidiche vengono eliminate durante il trattamento così ultimamente al posto della paraffina si usano dei monomeri che vengono in seguito polimerizzati cioè induriti. A questo punto il preparato può essere affettato con l’uso di microtomi. - colorazione: si usano coloranti in soluzioni acquose e, per questo è necessario rimuovere la paraffina con benzolo (sparaffinate) poi, bisogna reidratare progressivamente il campione. Ora si può procedere alla colorazione. I coloranti si legano a diverse componenti della cellula spesso sfruttando le interazioni fra molecole acide e molecole basiche. A questo punto si può “montare” il preparato chiuso tra due vetrini di basso spessore e con l’aggiunta di alcune resine sintetiche che conservano il campione. Microscopio elettronico a trasmissione; Nel microscopio elettronico al posto di radiazioni luminose si utilizzano fasci di elettroni. La risoluzione del microscopio elettronico è dipendente dal voltaggio al quale lavora, la tensione è compresa tra 10.000 e 100.000 Volt. Per l’osservazione biologica si usano regolarmente tensioni intermedie dell’ordine dei 50.000 Volt; con questa tensione si ottiene una risoluzione teorica di 0,2 nm mentre quella reale è leggermente inferiore: 2 - 5 A. Lo spessore dei preparati deve essere inferiore a quello dei preparati per la microscopia ottica, infatti deve essere pari a 70 nm. Il microscopio elettronico è costituito da una colonna di dimensioni considerevoli (altezza di 2 m.) sulla sommità della quale è posto il catodo costituito da un filamento di tungsteno che reso incandescente emette elettroni. Questi stessi elettroni attraversano l’anodo sottostante che serve a focalizzare il fascio.

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Tutto l’interno della struttura dell’apparecchio è sotto vuoto in modo che gli elettroni possano compiere delle traiettorie pulite. Tra il catodo ed il preparato vi è una prima coppia di “lenti” elettromagnetiche ovvero dei solenoidi, dette condensatore. Il compito di queste lenti è quello di focalizzare il fascio elettronico sul preparato sottostante. Gli elettroni incontrano così il campione e lo attraversano; le parti del preparato che sono più dense creano un fenomeno di diffusione del fascio mentre le altre lo possono lasciare anche invariato. Il fascio è a questo punto intercettato da altre coppie di lenti, prima l’obbiettivo e poi, le lenti intermedie che hanno il compito di focalizzare l’immagine. Si forma a questo punto un’immagine intermedia che può a volte essere usata per avere indicazioni aggiuntive sulla messa a fuoco. L’immagine vera e propria viene invece proiettata o su uno schermo fluorescente o su una lastra fotografica; quest’ultima soluzione viene comunque sempre usata in quanto il preparato si deteriora velocemente a causa del calore sviluppato dagli elettroni quindi, è meglio stampare ogni immagine. Preparazione del campione per l’osservazione con microscopio elettronico; Con questo strumento non è possibile osservare campioni contenenti materiale acquoso quindi tutti i preparati devono essere prima di tutto disidratati. Bisogna a questo punto procedere con la fissazione del campione. Le sostanze usate per questo procedimento sono gli aldeidi fra i quali la più usata è la glutaraldeide (fissatore primario) alla quale si associa il tetrossido di osmio (OsO4) che si lega alla parte lipidica della cellula ed è un elemento che fa aumentare il contrasto del tessuto. Bisogna quindi procedere all’inclusione con una sostanza che indurisca il campione. A questo proposito le sostanze usate sono delle resine epossidiche che a 50 - 60 °C e con l’intervento di alcuni catalizzatori si induriscono ( cioè polimerizzano). A questo punto l’elevata durezza raggiunta dal campione permette con l’ausilio di ultramicrotomi di ottenere delle sezioni ultrasottili (70 nm.) necessarie per osservare il campione al microscopio elettronico. La lama dell’ultramicrotomo è generalmente de vetro o in diamante, le sezioni tagliate si raccolgono sul pelo dell’acqua contenuta in una vaschetta e, da qui possono essere prelevate con delle griglie metalliche circolari (diametro 1 cm.). Prima di iniziare l’osservazione del preparato è necessario farlo asciugare e contrastarlo con dei coloranti che accentuino i toni di bianco e di nero. I coloranti usati sono delle miscele di metalli pesanti che aumentano l’elettrondensità del preparato e sono: il citrato di piombo e l’acetato di uranile. Procedimenti per l’accentuazione del contrasto; Con questi procedimenti posso arrivare ad analizzare le macromolecole come: proteine, frammenti di membrane o di organelli). I tipi di contrasti possono essere: - colorazione negativa: raccolgo le macromolecole su di una griglia ricoperta da una membrana molto sottile e trasparente come la celloidina. Immergo quindi la griglia in una miscela di acido fosfotungstico che ha il potere di rendere elettrondenso il materiale sopra la griglia ad eccezione del campione. - in ombreggiatura: con questo metodo i campioni raccolti sulla griglia vengono messi in ambienti sotto vuoto dove viene reso incandescente un filamento di tungsteno che vaporizza elettroni. Gli elettroni cadono sul preparato con una determinata

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angolazione regolabile creando così delle zone chiare e delle altre scure dando anche un effetto di tridimensionalità al preparato. Microscopio elettronico a scansione; E’ più piccolo di quello a trasmissione, ma usa anch’esso un fascio di elettroni come fonte di energia e, dei solenoidi per focalizzare il fascio. La differenza principale è data dal fatto che questo strumento è dotato di un doppio raggio analizzatore (primario e secondario). Il fascio primario è il primo che si focalizza sul preparato e fornisce ad un computer indicazioni sulle dimensioni del preparato ed inoltre, elimina tutte le bande non adatte all’osservazione di quel particolare preparato. L’osservazione è effettuata dal fascio secondario che, utilizzando le informazioni fornitegli dal primario, agisce con elettroni di energia particolare. L’immagine ottenuta è quella della superficie del preparato ed è tridimensionale, essa è visualizzata su di un monitor e può comunque essere stampata. Il preparato non dovendo essere attraversato dal fascio elettronico può essere di grosse dimensioni. Microscopio elettronico a trasmissione ad alto voltaggio; E’ in grado di dare informazioni di livello elevatissimo però i campioni devono essere ancora più sottili (30 nm.). METODI E MEZZI D’INDAGINE; Antigene: è una macromolecola proteiche, lipidica, glicolipidica specifica di un determinato tessuto e di una determinata specie. Anticorpo: è una macromolecola che riconosce e si lega ad un particolare antigene. Gli anticorpi sono delle particolari proteine (immunoglobuline) sintetizzate nel citoplasma di particolari cellule: i linfociti B. Per individuare un antigene e per poterlo così osserv are posso utilizzare degli anticorpi “marcati” e specifici per l’antigene che vogliamo individuare. La marcatura dell’anticorpo è diversa a seconda che si utilizzi un microscopio ottico o uno elettronico. Per il microscopio ottico a fluorescenza posso usare anticorpi resi fluorescenti con molecole di fluorocromo. Per il microscopio elettronico uso la ferritina che crea delle zone più elettrondense oppure, la perossidasi che è un enzima che, in presenza di acqua ossigenata (H2O2) e di un rilevatore quale la diaminobenzidina, dà luogo ad una precipitazione di sostanze granulari elettrondense che risultano rilevabili anche al microscopio ottico. CITOCHIMICA ENZIMATICA; Gli enzimi si possono studiare utilizzando due metodi: - Biochimicamente: con questo sistema si localizzano gli enzimi e la loro attività enzimatica. Si lavora su omogenati estratti dal tessuto, è un metodo quantitativo ovvero, non permette di individuare il sito esatto dell’enzima. - Citochimicamente: il metodo permette di localizzare i siti degli enzimi determinando così

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l’eterogeneità di distribuzione quantitativa e qualitativa degli enzimi. 1) Autoradiografia: faccio incorporare l’inibitore radioattivo dell’enzima (una coltura cellulare). Lo sviluppo autoradiografico individuerà gli enzimi 2) Immunocitochimica: marco le proteine con anticorpi specifici e verifico solo se l’enzima è presente ma non so qual’è il suo funzionamento. 3) Citochimica enzimatica: localizzo il prodotto dell’enzima ed in base a questo vedo dove è sito e qual’è il suo funzionamento. Processo enzimatico: E + S = ES = E +P PP + catturante = PS S = substrato dell’enzima che deve essere specifico. Solitamente il campione non contiene S che deve essere aggiunto in soluzione acquosa tamponata. ES = prodotto intermedio la cui formazione abbassa l’energia di attivazione della reazione. PP = prodotto primario derivante dalla trasformazione del S operata dall’enzima. Solitamente è una molecola diffusibile e non visibile al microscopio ottico. PS = è il prodotto finale di reazione, insolubile (in modo da non diffondere originando errate localizzazioni) ed è visibile al microscopio ottico. TECNICHE DI FRAZIONAMENTO CELLULARE; Il frazionamento cellulare si rende necessario per poter osservare determinate porzioni di tessuti o per osservare determinate macromolecole (ad es. proteine). Ad ogni fase del frazionamento si associa in parallelo un controllo effettuato con microscopio ottico. Isolamento di macromolecole; Il processo è costituito da diverse fasi: - Omogeneizzazione: si preleva un pezzo di un tessuto di un derminato organo e lo si elabora a 0 °C per evitare surriscaldamenti con gli omogeneizzatori. Ve ne sono di due tipi: a lama rotante e a pestello. Quello a lama rotante provoca la rottura quasi completa senza preservare la struttura cellulare del tessuto mentre quello a pestello rotante la lascia intatta. - Digestione: viene effettuata o con degli enzimi digestivi che distruggono ulteriormente alcuni legami chimici oppure con degli acidi (TCA o acido tricloroacetico al 5%). - Centrifugazione: viene effettuata con delle centrifughe dotate di un rotore metallico e poste sotto vuoto per evitare surriscaldamenti, per lo stesso motivo la centrifugazione è effettuata a basse temperature. La velocità massima di rotazione è di 6000 giri/min. Dalla centrifugazione si ottiene un precipitato ed un supernatante. A questo punto il precipitato viene messo in contatto con una soluzione di alcool ed etere a 50 °C e ricentrifugato ottenendo così un nuovo precipitato ed un supernatante contenente la parte lipidica. Si pone quindi il precipitato in una soluzione di TCA a 90 °C ed il nuovo precipitato ottenuto è costituito dalle proteine (55 - 85 %) mentre, il supernatante dagli acidi nucleici depolimeralizzati (10 - 20%). Isolamento di organelli;

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Se si volessero isolare degli organelli invece che delle macromolecole è necessario procedere con delle centrifugazioni differenziali cioè, con una successione di centrifugazioni con tempi differenti e con velocità di rotazione sempre maggiori. Nei vari passaggi si ottengono: - a 800 giri/min.: si isolano nuclei e cellule intatte perchè sono la parte più pesante e della soluzione postnucleare. - a 12.000 giri/min.: ottengo particelle grandi come mitocondri e lisosomi più supernatante postmitocondriale. - a 120.000 giri/min.: rimangono piccoli frammenti di membrana, ribosomi e supernatante postribosomiale. Centrifugo a 65.000 giri/min. per 2 ore il supernatante con una soluzione di saccarosio a concentrazione stabilita e ottengo la stratificazione del saccarosio in fasce con diverso gradiente. Le particelle in sospensione si sistemano nelle fasce con il gradiente a loro più congeniale ottenendo così una separazione dei componenti; sul fondo del contenitore si raccolgono le macromolecole, salendo troviamo i mitocondri ed in superficie i lisosomi. IL CRIODECAPPAGGIO (FREEZE - ETCHING O FREEZE - FRACTURE); E’ un altro sistema di osservazione dei tessuti. Una volta individuata la cellula da analizzare la si porta ad una temperatura molto bassa (- 140 °C) e la si taglia separando la membrana. La cellula che presenta alcune strutture in rilievo viene posta sotto vuoto facendo si che l’acqua evapori; la struttura rimanente viene ombreggiata con oro e platino. Si prende il tutto e lo si pone in una soluzione in grado di distruggere tutti i tessuti lasciando una sorta di stampo della superficie; questo risultato della tecnica applicata può essere osservato al microscopio elettronico e dà un immagine della superficie sezionata. LE COLTURE IN VITRO; Per allestire una coltura è sufficiente prelevare da un animale o da una pianta piccoli frammenti d’organo o cellule isolate e porle in condizioni controllate. In ambiente opportuno molte popolazioni cellulari si riproducono liberamente anche al di fuori del corpo. Per cellule provenienti da mammiferi le condizioni fisiche di coltura sono date da una temperatura costante di 37 °C e da un mezzo di incubazione (terreno di crescita) che può essere chimicamente definito e contenere fino ad un centinaio di elementi in proporzioni costanti oppure, essere costituito da miscugli biologici eterogenei quali siero fetale, estratto embrionale... Due condizioni molto importanti per le colture sono: il pH e la pressione osmotica del terreno di crescita che devono essere compatibili con quelli della cellula. Il terreno di coltura tipo è costituito da: 1 ) Una componente salina (ioni inorganici) 2 ) Una componente micromolecolare (metaboliti essenziali, amminoacidi, carboidrati e vitamine) 3 ) Una componente macromolecolare (proteine sieriche)

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L’unione dei componenti 1 e 2 costituisce il terreno di mantenimento in grado di mantenere le cellule in una stato di quiescenza per periodi di tempo variabili. Aggiungendo il terzo componente si realizza il terreno di crescita in capace di far proliferare le cellule per lunghi periodi o indefinitamente. LA MEMBRANA PLASMATICA; Separa il citoplasma dall’ambiente esterno ed è la parte attraverso la quale la cellula comunica con l’esterno o con le altre cellule. La struttura della membrana plasmatica è valida anche per tutte le altre membrane cellulari e per questo è detta membrana unitaria. La struttura della membrana è un mosaico fluido; il “collante” o “matrice” è costituito da lipidi nei quale sono immerse le proteine. E’ definito fluido perché sia le proteine che i lipidi si muovono. Dal punto di vista funzionale però i costituenti più importanti sono le proteine. La membrana se osservata al microscopio elettronico appare costituita da uno strato più chiaro centrale e da due più scuri agli estremi; queste fasce più scure sono determinate dal tetrossido di osmio usato come fissatore per la microscopia elettronica che si fissa alla parte polare delle molecole lipidiche. I lipidi della membrana; I lipidi hanno due code idrofobe che in soluzione acquosa tendono a unirsi fra loro in modo assolutamente spontaneo dando luogo ad una struttura a doppio strato (bi-layer lipidico). I movimenti che possono compiere i lipidi sono di diverso tipo: - diffusione (spostamento) laterale - rotazione delle code idrofobe - flessione delle code idrofobe - flip-flop fra uno strato e l’altro dei lipidi (avviene più raramente, 1 volta al mese)

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Quando la temperatura si abbassa i movimenti cessano perché le code dei lipidi tendono ad assumere una struttura paracristallina. La temperatura alla quale cessano i movimenti è detta: temperatura di transizione. La temperatura di transizione è tanto più alta quanto più lunghe sono le code idrofobe e tanto maggiori sono i legami insaturi presenti nelle molecole. Per questo motivo i batteri ed i lieviti che non possono regolare la propria temperatura, se si trovano in situazioni critiche per le proprie strutture, sintetizzano rapidamente molecole lipidiche in grado di resistere a temperature più basse. In tutte le membrane plasmatiche è presente, seppur in proporzioni diverse, il COLESTEROLO. Il colesterolo è una piccola molecola costituita da una piccola parte polare e da una struttura ad anelli molto rigida. La parte polare si lega alle teste polari dei lipidi mentre la parte ad anelli limita la rotazione delle code e impedisce che le code, a temperature più basse, si “impacchettino” fra loro dando luogo ad una struttura paracristallina. In questo modo mantiene i lipidi attivi anche a temperature più basse. I principali lipidi della membrana sono: etanolammina, serina, colina e sfingomielina. La membrana plasmatica è asimmetrica per ciò che riguarda la distribuzione dei lipidi. La colina è presente prevalentemente nello strato della membrana posto verso l’esterno della cellula mentre l’etanolammina in quello rivolto verso l’interno. La serina porta una carica negativa verso l’interno dando luogo ad una grande presenza di cariche negative. I lipidi limitano l’accesso e l’uscita dalla cellula delle molecole ed è il movimento dei lipidi che provoca il movimento delle proteine. Le proteine della membrana; Le proteine della membrana plasmatica si possono rimuovere con dei detergenti chimici. In base alla facilità di estrazione vengono divise in: estrinseche (le più facili da estrarre) ed intrinseche. Proteine intrinseche; Sono transmembrana attraversano cioè per intero la membrana plasmatica. Possiedono una parte idrofoba che viene a coincidere con le code dei lipidi che costituiscono la membrana. Le proteine possono penetrare diverse volte nella struttura lipidica (proteine multi-pass), il tutto dipende da quante parti idrofobe è costituita la proteina in questione. Esistono delle proteine che hanno una molecola lipidica che si aggancia allo strato lipidico e vengono sintetizzate dal citosol ma sono presenti in un numero poco significativo. Altre proteine sono legate sulla parte esterna della membrana per mezzo di una sequenza di carboidrati che si legano con un legame covalente ai lipidi, sono dette GPI e sono importanti per la trasmissione dei segnali. Proteine estrinseche; Interagiscono con la parte polare (idrofila) di proteine intrinseche. Sono presenti in numero minore rispetto alle intrinseche.

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Le funzioni delle proteine di membrana; Le proteine sono notevolmente diversificate in base ai compiti che svolgono per la vita cellulare. Alcuni esempi sono: - proteine recettore: hanno il compito di segnalare degli eventi alla cellula. La parte che da verso l’esterno si lega ad una particolare molecola facendo si che la parte della proteina che da verso il citoplasma dia luogo ad una serie di reazioni. - proteine canale: determinano la presenza di canali nella palizzata lipidica; il canale è attraversato da ioni o molecole particolari che sennò non potrebbero passare attraverso la membrana. Il canale è costituito da minimo due proteine con amminoacidi polari del tipo multi-pass; le porzioni idrofobe vengono messe vicine creando così uno spazio polare (canale). Le proteine sono asimmetriche rispetto alla membrana e le diverse molecole sono inserite nella membrana sempre con lo stesso orientamento. I carboidrati della membrana; Sono quei carboidrati legati alle proteine o ai lipidi della membrana plasmatica. Generalmente sono oligosaccaridi organizzati in brevi catene ma molto ramificate. I carboidrati sono presenti solo sulla faccia extracellulare della membrana plasmatica. I monomeri che costituiscono i carboidrati della membrana sono: glucosio, acetilglucosammina, fucosio, mannosio e acido sialico. Il glicocalice; Le glicoproteine più i glicolipidi costituiscono il glicocalice (o cell coat) che, se osservato al microscopio elettronico, si presenta sotto forma di lanugine sfilacciata con spiccate proprietà adesive. E’ molto importante per gran parte delle interazioni fra cellule così come per il riconoscimento e molto probabilmente per il controllo ordinato della proliferazione cellulare evitando ammucchiamenti disordinati. I globuli rossi; Se pongo dei globuli rossi (che sono cellule prive del nucleo) in una soluzione con pressione osmotica superiore a quella della cellula, la membrana cellulare si rompe disperdendo l’emoglobina. A questo punto la membrana tende a richiudersi per le proprietà dei lipidi ottenendo così l’ombra o il fantasma del globulo rosso. Si può anche fare il modo che quest’ombra si richiuda con la parte interna rivolta verso l’esterno rendendo così immediatamente rilevabile la struttura della parte interna della membrana cellulare. Le proteine presenti sulla membrana plasmatica dei globuli rossi sono: la glicoferina e la banda B. Aspetti funzionali della membrana plasmatica: la fluidità delle proteine; Questo aspetto delle proteine è analizzabile o con metodi fisici quali la risonanza magnetica nucleare o con tecniche immunocitochimiche con microscopio a fluorescenza.

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Per attuare quest’ultima tecnica bisogna prendere due cellule (generalmente linfociti) di animali diversi; queste cellule vengono unite con l’aiuto di agenti chimici (o di virus) dando luogo ad un unica cellula con due nuclei chiamata eterocarium. A questo punto si prendono degli anticorpi specifici per le due cellule iniziali, vengono marcati in fluorescenza con colori diversi e messi in soluzione con l’eterocarium. In questo modo è possibile osservare con un microscopio a fluorescenza che gli anticorpi si sono legati alle proteine della membrana creando una fluorescenza ben distinta sulla superficie della stessa. A distanza di 40 min. e ad una temperatura di 37 °C si può notare che i colori non sono più distinguibili evidenziando il movimento che le proteine hanno compiuto. Certe proteine legate all’anticorpo si avvicinano prima fra loro (patching) poi tendono a portarsi ad una estremità della cellula (capping). E’ possibile inoltre calcolare qual’è la velocità di spostamento delle proteine attraverso un metodo particolare. La cellula immersa in anticorpi marcati in fluorescenza diventa tutta fluorescente, a questo punto con un laser circoscrivo una zona ben delimitata della membrana che perderà la fluorescenza. Dopo qualche tempo osserverò che l’area è tornata fluorescente, a questo punto conoscendo gli opportuni dati è possibile calcolare la velocità di spostamento delle proteine. L’INTERNO DELLA CELLULA; All’interno della membrana plasmatica esistono dei “compartimenti” che a volte sono fra loro in comunicazione (fenomeno di anastomosi), e sono: - nucleo: delimitato da due membrane - reticolo endoplasmatico - apparato di golgi - lisosomi - vescicole (o vacuoli) di endocitosi - mitocondri - perossisomi (detti microbodys) - cloroplasti: solo nelle cellule vegetali

Il reticolo endoplasmatico (o endoplasma reticolare);

E’ costituito da una serie di cavità molto sottili che si allargano in “cisterne” e da altre di conformazione rotondeggiante che vengono dette “vescicole”. Tutte queste parti comunicano fra di loro (anastomosi). Il reticolo endoplasmatico è diviso in: rugoso e liscio.

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La rugosità del primo è dovuta alla presenza dei ribosomi adesi sulla membrana esterna del reticolo (quella verso il citosol). I ribosomi sono di forma rotondeggiante e sono costituiti da due subunità, una più grande ed una più piccola e presiedono la sintesi delle proteine. I polisomi (più ribosomi uniti da una molecola di mRNA) liberi nel citoplasma elaborano le proteine destinate alla cellula stessa mentre i polisomi associati al reticolo producono proteine che verranno estruse ed utilizzate al di fuori della cellula. I microsomi; Sono il risultato di una preparazione della membrana cellulare, sono cioè una frazione ottenuta da un omogenato della cellula. I microsomi non esistono nella cellula: sono infatti una preparazione artificiale ! Per separare le diverse membrane che si mischiano nell’omogenato si pone lo stesso in una soluzione di glucosio con diversi gradienti e si centrifuga il tutto. In questo modo le parti di membrana più pesanti si posizioneranno sul fondo del contenitore mentre le più leggere in superficie dove il gradiente è inferiore. Le funzioni del reticolo endoplasmatico rugoso; Il reticolo endoplasmatico rugoso partecipa alla sintesi delle proteine. Tale processo avviene grazie a particolari organelli detti: ribosomi. I ribosomi si trovano in sospensione del citosol e, solo in alcuni casi si legano alla parete del reticolo. RIBOSOMI Ritenzione CITOSOL RETICOLO ENDOPL. Ritenzione Mitocondri Nucleo Perossisomi Golgi Lisosomi Superficie Vescicole di della cellula secrezione Alcune proteine che passano per il reticolo endoplasmatico rugoso vi restano (proteine residenti) anche se sono la minima parte. Le proteine, una volta sintetizzate, si spostano verso l’obbiettivo da raggiungere con diversi metodi. Le proteine libere sono associate ad altre proteine particolari che permettono alle prime di raggiungere il sito previsto, queste proteine “chiave” sono dette chaperonine.

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Le proteine che devono invece entrare nel nucleo devono passare attraverso delle aperture sulla superficie della membrana nucleare (detti pori) di forma circolare che però possono risultare aperti o chiusi a seconda dei segnali pervenuti. I “segnali” che regolano tutte le attività della cellula per ciò che riguardo la sintesi proteica sono delle catene di amminoacidi idrofobi.

I ribosomi;

Sono organuli citoplasmatici presenti in tutte le cellule; non sono visibili con il microscopio luce date le loro ridotte dimensioni. Possono trovarsi liberi nel citoplasma o adesi al reticolo endoplasmatico rugoso e sia nell’uno che nell’altro caso sono riuniti in gruppi detti polisomi formati da 3 a 30 ribosomi legati fra loro da un filamento di mRNA. I ribosomi singoli sono molto rari, in ogni caso questi organuli vengono sintetizzati dal nucleolo sotto forma di due sub-unità distinte che tendono, per loro natura, ad associarsi a gruppi di polisomi già esistenti. I ribosomi sono indispensabili per il processo di sintesi proteica dato che, solo tra le due sub-unità che li compongono avvengono le necessarie interazioni tra mRNA, tRNA ed amminoacidi.

Il reticolo endoplasmatico liscio; Il reticolo endoplasmatico liscio presenta un’organizzazione costituita da un’intricata rete di tubuli delimitate da membrane e tra loro anastomizzati. Mentre al reticolo rugoso è possibile ricollegare precise funzioni, per quello liscio vi sono dei problemi visto e considerato che le stesse sono decisamente diverse da cellula a cellula. Il REL (ret. endopl. liscio) è responsabile della sintesi dei lipidi ed è in grado di sintetizzare ormoni steroidei a partire dal colesterolo; può essere inoltre sede di alcuni enzimi necessari nei processi di disintossicazione cellulare. Lo sviluppo del REL è notevole nelle cellule corticali delle ghiandole surrenali e nelle cellule del corpo luteo delle ovaie. Nei diversi tipi cellulari la configurazione e la localizzazione di tale apparato variano. Ad esempio negli epatociti (cell. del fegato) gli elementi tubolari e le vescicole del REL occupano spazi in cui si trovano accumuli di glicogeno e di gocciole lipidiche, nel tessuto muscolare il REL forma un sistema tridimensionale di tubuli e cisterne che si pongono in relazione in modo preciso con le miofibrille creando il cosiddetto reticolo sarcoplasmatico, dal quale dipendono i fenomeni contrattili. In altri casi il REL aumenta in particolari momenti funzionali o sotto l’influenza di particolari stimoli come ad esempio la somministrazione di alcool etilico, di barbiturici o di tetracloruro di carbonio (come dimostrato attraverso prove di laboratorio). Sempre nelle fibre muscolari il REL (reticolo sarcoplasmatico) svolge un ruolo importante nella concentrazione di ioni Ca ++. Si è infatti osservato che in condizioni di rilassamento muscolare la concentrazione degli ioni calcio è molto bassa mentre, in seguito ad uno stimolo aumenta repentinamente inducendo una serie di reazioni chimiche che portano alla contrazione della fibra.

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Il complesso o apparato di Golgi;

La struttura di questo apparato, da un punto di vista ultrastrutturale, è costituita da tre tipi di componenti: - cisterne appiattite impilate l’una sull’altra - microvescicole (o vescicole transfer) - macrovescicole (o vacuoli secernenti) Le cisterne appiattite risultano essere impilate le une sulle altre ed a tratti fenestrate; ogni cisterna è formata da membrane assai simili a quelle del REL ma appiattite e circolari. Il numero delle cisterne è variabile ed in genere oscilla tra 3 e 10 anche se in alcuni casi si può arrivare a 30. In ogni cisterna, come nell’intero apparato, si può riconoscere una faccia prossimale (faccia cis) e una faccia distale (faccia trans). La faccia cis rappresenta la “camera d’ingresso” che accoglie le vescicole di trasporto smistate dalle regioni sintetizzatrici del Golgi. Essa è costituita da una serie di microtubuli anastomizzati fra loro e posti in modo da formare grossolanamente dei poligoni. La faccia trans è generalmente orientata verso la periferia cellulare; presenta nella sua porzione più esterna numerose vescicole di gemmazione che distaccandosi portano all’interno dell’apparato materiale più o meno elettrondenso. Lo spessore delle membrane del Golgi è costante ed è lievemente maggiore di quelle del REL e minore di quello della membrana plasmatica. Una pila di cisterne golgiane è costituita da tre compartimenti differenti: cis, mediano e trans. Nell’area del Golgi si riscontrano, come già detto, anche altri componenti: - le microvescicole: diametro di 80-100 nm., localizzate presso la faccia cis, si presentano sotto forme di vescicole indipendenti staccatesi dal RER (ret. end. rugoso). - le macrovescicole: diametro di 1000 nm., rappresentano i vacuoli di secernenti che si staccano dalle estremità dilatate delle cisterne (trans); una volta giunte in contatto con la membrana plasmatica queste vescicole liberano all’esterno il contenuto. Le dimensioni dell’apparato sono notevolmente variabili; risulta essere di dimensioni notevoli nelle cellule costituenti le ghiandole esocrine ed in particolare nel sistema nervoso mentre, è di dimensioni ridotte nei tessuti muscolari dove l’attività secretoria è ridotta. La compartimentazione delle cisterne risulta fondamentale per l’elaborazione contemporanea di almeno tre classi di prodotti glicoproteici, alcuni destinati ai lisosomi, altri ai granuli di secrezione e altri ancora destinati al rinnovo della membrana plasmatica. Le cisterne posseggono compartimentazioni biochimiche ben precise. Mediante centrifugazione in gradiente di saccarosio si sono evidenziate tre compartimentazioni: quella con la mannosidasi I, quella con la galattosiltransferasi e la transferasi dell’acido sialico e quella con i gruppi fosfato delle proteine lisosomiali. Processo di sintesi delle glicoproteine;

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Tenendo conto dei processi biochimici ora elencati, il percorso delle glicoproteine che transitano nel Golgi è il seguente: 1 ) Dal RER si staccano vescicole di trasporto (riconoscibili per il rivestimento proteico) che, si fondono con le cisterne del cis e vi riversano il loro contenuto (alcune delle vescicole sembra che poi possano ritornare indietro). 2 ) Giunte nelle cisterne cis una parte di queste glicoproteine subisce l’aggancio (ai due mannosi terminali) di due fosfati che la preserveranno dall’azione degli altri compartimenti del Golgi. 3 ) Le altre glicoproteine (con quelle lisosomiali) proseguono il viaggio nel compartimento mediano dell’apparato dove subiscono modificazioni nelle catene oligosaccaridiche da parte di altri enzimi: la mannosidasi I che stacca tre unità di mannosio e la N-Acetilglucosammintransferasi aggiunge una molecola di N-Acetilglucosammina. A questo punto la mannosidasi II rimuove altre due unità di mannosio mentre una seconda N-Acetilglucosammintransferasi aggiunge un’altra molecola di zucchero aminato. 4 ) A questo punto, le glicoproteine così ottenute vengono trasferite nel compartimento trans dove subiscono da parte degli enzimi transferasici del galattosio e dell’acido sialico l’aggiunta di due molecole di galattosio e quindi di due molecole di acido sialico. 5 ) Le nuove glicoproteine sono destinate in parte ai granuli di secrezione ed in parte a rinnovare la membrana plasmatica che costituisce il glicocalice. Fino a qualche tempo fa, il modello classico della progressione delle cisterne dal cis al trans era il più accettato. Dopo studi sulla compartimentazione era difficile accettare l’idea che le diverse cisterne potessero modificarsi in altre, così si avvalorò l’ipotesi che le cisterne rimangono fisse mentre sono le glicoproteine che passano da un compartimento all’altro per gemmazione di vescicole. Esperimenti recenti sembrano avvalorare questa ipotesi. Riassumendo possiamo dire che le funzioni del Golgi sono: - quella di rappresentare una stazione intermedia di elaborazione nel trasporto dei prodotti della secrezione proteica dal luogo della sintesi a quello dell’esocitosi. - è il luogo dove avviene l’aggiunta di carboidrati alle proteine per la sintesi di glicoproteine e dei proteoglicani - presiede al rinnovamento della membrana plasmatica - è la sede della formazione dei lisosomi primari e dell’acrosoma degli spermatozoi L’apparato vacuolare interno ed il processo di secrezione (REG, REL e App. Golgi); Il REG, il REL e l’apparato di Golgi formano un sistema collegato strutturalmente e funzionalmente, per questo vengono considerati come elementi dell’apparato vacuolare interno. Il processo di sintesi, trasporto e liberazione dei materiali destinati all’elaborazione è definito di secrezione. Tale meccanismo è stato possibile osservarlo con l’autoradiografia al microscopio elettronico somministrando un amminoacido marcato con tritio, per esempio la leucina 3H. L’amminoacido viene assunto dalla cellula ed incorporato nella nuova catena poliptidica. Con prelievi successivi nel tempo si osserva che, dopo 2-3 minuti la sostanza marcata è esclusivamente nei ribosomi; dopo 5-6 minuti è nelle cisterne del reticolo ergastoplasmatico e nelle vescicole del Golgi. In periodi successivi la marcatura passa nei vacuoli di esocitosi per poi essere secreta.

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Nell’apparato di Golgi il prodotto elaborato dall’ergastoplasma va incontro ad un processo di condensazione e concentrazione con una progressiva perdita d’acqua. Appare quindi evidente il ruolo del Golgi che è quello di condensazione delle proteine sintetizzate nell’ergastoplasma. Durante tutto il processo le proteine acquisiscono le caratteristiche strutturali secondarie, terziarie e quaternarie; inoltre nel reticolo endoplasmatico e nel complesso di Golgi avvengono processi di glicosilazione delle glicoproteine che consiste nella sintesi e nell’attacco all’asse polipeptidico delle catene laterali oligosaccaridiche con l’intervento in sequenza di specifiche glicosiltransferasi associate alle membrane. Tutti questi processi richiedono naturalmente energia ottenuta dai complessi plurienzimatici NADH, NAD e ATP presenti nelle membrane dell’ergastoplasma. Esocitosi ed endocitosi; Le proteine sintetizzate nel Golgi sono guidate nel loro percorso da determinati segnali. Vi sono infatti segnali che le indirizzano verso i lisosomi o altri verso le vescicole di secrezione. In assenza di segnali la proteina si porta direttamente sulla membrana plasmatica. Perchè le vescicole di secrezione si fondano con la membrana nel processo di esocitosi è necessario un apporto di energia ovvero di ATP che poi idrolizzata diventa ADP + P ed inoltre una concentrazione sufficiente di ioni calcio (Ca ++) nel punto dove deve avvenire la fusione.

I lisosomi;

I lisosomi sono formazioni vacuolari contenenti enzimi idrolitici e delimitati da una membrana che ha la funzione di isolare gli enzimi che, se dispersi, potrebbero essere dannosi per la cellula. Se infatti gli enzimi si diffondessero le funzioni cellulari cesserebbero all’istante per la degradazione delle proteine citoplasmatiche digerite dagli enzimi litici. Ogni lisosoma contiene notevoli quantità di enzimi idrolitici attivi quando il pH è acido. La forma, le dimensioni e la struttura dei lisosomi sono variabili. Il lisosoma viene definito primario dal momento in cui si libera dall’apparato dei Golgi fino a quando esso si fonde con un altro vacuolo, a questo punto viene detto secondario. Il lisosoma può fondersi: 1 ) con un vacuolo di fagocitosi (fagosoma) o di pinocitosi (pinosoma) 2 ) con un organulo citoplasmatico, oppure con un granulo secreto. Nel primo caso viene inglobato materiale extracellulare, si parla di eterofagosoma ed il lisosoma viene definito eterolisosoma. Nel secondo caso vengono inglobate parti del citoplasma, si parla di autofagosomi (crinofagia se il fagosoma contiene granuli di secreto) ed il lisosoma viene definito autolisosoma. Se una parte del materiale non viene digerita può essere espulsa dalla cellula o rimanervi

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(corpo residuo). I lisosomi secondari vengono anche chiamati vacuoli digestivi. I lisosomi primari; Ogni cellula contiene un numero variabile di lisosomi primari. Si presentano come delle formazioni sferoidali delimitate da una membrana e contenenti un numero variabile di idrolasi. Presentano un diametro di 0,2-1 micron ed il loro contenuto si presenta discretamente elettrondenso. La membrana del lisosoma primario è trilaminare ed è più complessa delle altre membrane; la faccia più interna è rivestita da un materiale protettivo simile a quello del glicocalice. Il numero dei lisosomi primari appare variabile a seconda delle diverse cellule; sono abbondanti nei macrofagi, nei granulociti neutrofili e acidofili e nei monociti, cioè in tutte quelle popolazioni cellulari impegnate nei meccanismi di difesa attuati per fagocitosi. Questi lisosomi originano per gemmazione dalla faccia trans del Golgi e si ritiene che i lisosomi appena liberati dal Golgi siano molto diversi dai cosiddetti lisosomi primari. Uno dei primi enzimi ad entrare in funzione sembra essere la fosfatasi acida e non è possibile determinare il numero completo degli enzimi contenuti nei lisosomi primari, ogni cellula presenta infatti un numero di enzimi variabile. Schematizzando la situazione si può dire che gli enzimi libosomiali idrolizzano (a pH 5,5) i substrati di quattro principali famiglie di macromolecole: acidi nucleici, proteine, carboidrati e lipidi. La produzione degli enzimi avviene nel RER da dove vengono trasferiti nel Golgi, da qui arrivano alla faccia trans e vengono poi rilasciati nel citoplasma avvolti da una membrana. E’ convinzione che esistano dei “territori” strettamente associati al Golgi in grado di originare solo lisosomi e vengono definiti GERL (Golgi, Endoplasmic reticulum, Lysosome); essi sarebbero costituiti da un’ampia zona di REL situata in prossimità della faccia trans del Golgi dalla quale originerebbero i lisosomi. I lisosomi secondari; I lisosomi secondari sono dei lisosomi primari direttamente impegnati nella digestione cellulare. Essi originano quindi dalla fusione di lisosomi primari con vacuoli che possono avere tre diverse origini: eterofagosoma, autofagosoma, crinofagia. I vacuoli eterofagici; Il fagosoma iniziale si distingue dal citoplasma grazie ad una sottile membrana la cui parete interna è rivestita da una struttura simile al glicocalice. In tempi brevi questo materiale si stacca dalla parete e si concentra nel centro del fagosoma per poi scomparire; questa separazione rende la membrana permeabile con il citoplasma circostante. A questo punto il fagosoma può andare incontro a diversi destini: 1 ) può attraversare tutta la cellula senza fondersi con altri lisosomi primari 2 ) può incontrare durante il suo spostamento dei lisosomi primari e fondersi con essi costituendo un vacuolo eterofagico. I vacuoli autofagici; Costituiscono la sede dove si realizza la demolizione enzimatica di alcune strutture cellulari.

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Ogni cellula rinnova le sue strutture continuamente degradando e rimpiazzando le proteine che le costituiscono. Tale degradazione avviene con tre modalità: - una prima attività catabolica, dovuta a specifiche idrolasi presenti ovunque nella cellula che non sono di origine lisosomiale - una discreta azione catabolica svolta da enzimi lisosomiali che possono diffondere attraverso la membrana dei lisosomi - l’alternativa appunto dell’autofagia I vacuoli autofagici si formano per fusione di un autofagosoma con dei lisosomi primari. Attualmente poco si conosce sull’origine della membrana dell’autofagosoma e si pensa che derivi da porzioni di membrana derivanti dal reticolo endoplasmatico. Il materiale da fagocitare viene prima avvolto da un estensione del reticolo endoplasmatico evidenziando così due membrane attorno alla parte; successivamente quella più interna scompare. Grazie a questo meccanismo si possono rimpiazzare grandi parti di citoplasma comprendenti i relativi organuli quali ad esempio i mitocondri. Oltretutto benché si manifesti in modo poco evidente, l’autofagia è un fenomeno molto esteso nella cellula (ad es. in 1gr. di parenchima epatico in 1 ora vengono distrutti e rinnovati centinaia di milioni di mitocondri). La crinofagia; Nella cellule che presentano un’attività secretoria alcune vescicole di secreto possono essere autodigerite dai lisosomi. Questo sembra essere un di meccanismo controllo del numero di vescicole da mantenere o da eliminare.

I mitocondri;

Sono gli organuli deputati alla produzione di energia chimica. Questa energia chimica consiste nella sintesi di una molecola: l’ATP ottenuta partendo da ADP + P (dove P è acido fosforico). L’ATP (o adenosil trifosfato) è una molecola simile a quella che costituisce i nucleotidi, la principale differenza sta nel fatto che l’ATP ha tre residui di fosfato mentre il nucleotide ne possiede uno solo. I nucleotidi non hanno quindi ATP bensì AMP (o adenosil monofosfato). Un’importante differenza esistente tra queste due molecole è costituita dal diverso contenuto energetico dei due legami che è molto più alto nell’ATP. L’energia necessaria per creare il legame ADP + P è ricavata da una serie di reazioni chimiche di ossido - riduzione e da una sorta di carburante che “brucia” liberando energia chimica. L’energia immagazzinata è usata dalla cellula in diversi modi. Ad esempio la cellula può idrolizzare l’ATP nuovamente in ADP ed adoperare l’energia ottenuta per creare o modificare legami, oppure per far compiere degli spostamenti agli elementi che costituiscono la membrana plasmatica.

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L’ATP è in grado di trasformare l’UDP in UTP che è un nucleotide costruito sulla base dell’uracile oppure, il GDP in GTP altro nucleotide avente come base la guanina. Il mitocondrio, per produrre ATP, segue questo processo: Proteine Polisaccaridi (glicogeno) Grassi (trigliceridi) Amminoacidi Zuccheri semplici e Acidi grassi e glucosio glicerolo glicolisi anaerobica ATP(limitato) Piruvato se c’è O2 Acetil coenzima A Ciclo citrico o di Krebbs (processi di ossido - riduzioni) Formazione di NADH (NAD ridotto)

trasportatori ATP ! di elettroni O2 NH3 H2O CO2 Dal punto di vista energetico, considerando cioè il numero di molecole di ATP prodotte, la resa dei grassi rispetto a quella delle proteine è notevolmente maggiore; tuttavia la sintesi di ATP partendo dai grassi risulta più lenta rispetto a quella ottenibile dai polisaccaridi. Per questo motivo è la cellula, in base alle proprie necessità, a decidere quale fonte utilizzare. Da una molecola di glucosio se ne ottengono due di piruvato. Per tutti i processi di sintesi elencati è fondamentale la presenza di NAD + cioè di nicotin adenin dinucleotide. Morfologia dei mitocondri; Sono strutture che presentano forma allungata o rotondeggiante e risultano lunghi fino a 1,5 micron quindi apprezzabili al microscopio ottico. Il mitocondrio è costituito da due membrane: esterna ed interna. Quest’ultima presenta delle introflessioni dette creste mitocondriali. Più numerose sono le creste e maggiore è la produzione di ATP. Lo spazio esistente fra le due membrane è chiamato camera esterna quando è rivolta verso l’esterno, viceversa la parte interna viene definita camera interna. La membrana esterna presenta delle proteine di membrana dette porine, che delimitano dei canali in grado di far passare molecole piuttosto grandi (fino a 5000 dalton). Questa membrana è semipermeabile. Tutto ciò che sta’ all’interno del mitocondrio è detto matrice mitocondriale. Sempre all’interno di questo organello vi sono degli enzimi che partecipano alle reazioni di

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ossido - riduzione, altri che partecipano all’ossidazione degli acidi grassi ed alla produzione del piruvato; sono detti enzimi solubili. Sono inoltre presenti molecole come l’ATP, l’ADP e l’acido fosforico. Osservando l’interno del mitocondrio si possono osservare delle strutture detti granuli mitocondriali che sono proteine legate a ioni calcio ed a ioni magnesio. E’ infatti proprio nel mitocondrio che si concentrano gli ioni magnesio presenti in eccesso nel citosol. Sono presenti all’interno di questo apparato dei ribosomi detti mitoribosomi che hanno esattamente gli stessi compiti di sintesi proteica degli altri ribosomi. Le creste in alcuni casi possono avere forma tubolare come nei mitocondri delle cellule specializzate nella produzione di ormoni steroidei. I mitocondri possono muoversi oppure restare fermi nel citosol, tutto è comunque dipendente dal citoscheletro. Le particelle elementari o F 1; I mitocondri possono essere posti in una soluzione a diversa concentrazione osmotica, provocando la rottura delle membrane, poi le membrane si possono far richiudere alla rovescia, ovvero con la faccia interna esposta e successivamente colorate negativamente. E’ possibile in questo modo osservare delle particelle globulari dette particelle F 1 o particelle elementari altrimenti non apprezzabili. Tali particelle contengono l’enzima che è in grado di sintetizzare l’ATP e rendono possibile il passaggio di ioni H +. Il DNA mitocondriale; All’interno della matrice vi sono delle strutture allungate che contengono delle molecole di DNA e di mRNA. Questo DNA è più piccolo di quello presente nel nucleo ed è di forma circolare; un’altra differenza è che il DNA mitocondriale non è legato a proteine istoniche (istoni), al contrario di quello presente nel nucleo. Conformazione condensata dei mitocondri; In questa conformazione il mitocondrio presenta uno spazio rilevante fra le due membrane e le creste tendono a scomparire. Questa situazione si viene a creare quando l’ADP è presente in quantità notevolmente maggiore dell’ATP. Il micoplasto; Se si rimuove la membrana esterna attraverso l’uso di soluzioni ipotoniche, si viene ad avere una modificazione della struttura data da delle estroflessioni della membrana interna. Questa struttura è detta micoplasto ed è in grado di espletare tutte le funzioni del normale mitocondrio. La glicolisi anaerobica; E’ un processo che avviene nel citosol ed è data da enzimi che, nel caso si tratti di animali, sono associati al glicogeno mentre se si tratta di cellule vegetali, sono associati all’amido.

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Già in questo processo è presente del NADH, ma per poter entrare nel mitocondrio deve essere comunque ritrasformato. Il piruvato entra nel mitocondrio e si mette in contatto con un complesso enzimatico che lo trasforma in Acetil CoA (Acetil coenzima A). All’Acetil CoA è possibile arrivare anche attraverso un processo di ossido - riduzione degli acidi grassi: una volta messi in contatto gli acidi grassi con il coenzima A, vengono ossidati dei legami e successivamente eliminati degli atomi di carbonio; a questo punto si arriva all’Acetil CoA ottenendo NADH e FADH. Durante tutto il processo vi è produzione di elettroni indispensabili per produrre ATP, inoltre anche NADH e FADH producono a loro volta elettroni; è così evidente il motivo per cui la sintesi dell’ATP dai grassi ha una resa maggiore di quella derivante dai carboidrati. Il ciclo di Krebs; In questo ciclo, in modo schematico, viene rimosso il CoA, viene scartata CO2 e si forma NADH e FADH; a questo punto gli elettroni e i protoni (H +) si separano: i primi vanno ai trasportatori di elettroni mentre i protoni vanno nella camera esterna posta fra le due membrane. In seguito si riuniranno per sintetizzare ATP. Il ciclo vero o proprio è così strutturato: 1 ) Si parte dall’ossalacetato che si unisce all’Acetil CoA dando, insieme con H2O, citrato (con 6 atomi di carbonio). A questo punto il CoA viene rimosso e torna in circolo per essere riutilizzato. 2 ) cominciano una serie di ossido - riduzioni che portano alla formazione di NADH; inoltre, in uno di questo passaggi l’accettore non è il NAD bensì il F AD così si ottiene anche produzione di FADH. Sempre all’interno di questo processo avvengono due successive eliminazioni di CO2 che privano la molecola elaborata complessivamente di quattro atomi di carbonio. Un altro risultato di questa reazione è la produzione di GTP ad alto contenuto energetico che però ben presto cede il gruppo fosforico P e trasforma l’ADP in ATP. Tutte le tappe del ciclo di Krebs sono rese possibili da enzimi posti nella matrice mitocondriale tranne che la succinico deidrogenasi che si trova nelle creste mitocondriali. Le molecole di NAD e di NADH sono in soluzione nella matrice, mentre quelle di FAD e di FADH sono legate alla succinico deidrogenasi legata alle creste. Arrivati a questo punto elettroni e protoni prendono strade diverse. Trasportatori di elettroni; Percorso degli elettroni; Gli elettroni passano attraverso dei complessi prevalentemente proteici (trasportatori) per mezzo dei quali compiono un tragitto obbligato. Questo tragitto deve essere seguito obbligatoriamente dagli elettroni perchè i diversi complessi attraverso cui passano sono caratterizzati da un’affinità elettronica crescente che lega gli elettroni a questo percorso. Durante questo passaggio diminuisce anche il livello energetico degli elettroni in modo che quando arrivano in contatto con l’ossigeno, risulta essere molto basso. Naturalmente la posizione dei trasportatori è tale da favorire tutto il processo. L’energia persa per lo spostamento di livello energetico è utilizzata per spostare i protoni H + dalla matrice alla camera esterna della membrana.

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I passaggi attraverso i vari trasportatori sono questi: 1 ) Gli elettroni giungono al primo dei trasportatori cioè la NAD deidrogenasi che, è in grado di accettare elettroni in quanto è composta da una molecola derivante dalla flamina (FMN) e perché vi sono delle proteine ferro - zolfo che passando dallo stato ferrico a quello ferroso, favoriscono questo processo. 2 ) A questo punto gli elettroni vengono raccolti da una molecola idrofoba detta coenzima Q che è una molecola libera di muoversi nella membrana 3 ) Il coenzima Q passa gli elettroni al secondo trasportatore detto dei citocromi B e C che, in tutta risposta passano da uno stato ossidato ad uno ridotto (Fe 3+ => Fe ++). 4 ) Gli elettroni passano a questo punto su un componente detto citocromo C 1 che è una proteina di membrana messa in posizione asimmetrica cioè è spostata verso le camera esterna. 5 ) Da questa posizione passa sul citocromo A e A3 o citocromo C-ossidasi e da qui giungono in contatto con l’ossigeno atmosferico. Il versante del citocromo che cede gli elettroni è rivolto verso la matrice. Pompa protonica; Percorso dei protoni H +; Nello spazio contrapposto alla matrice si accumulano intanto i protoni; questo porta a creare una parte carica positivamente mentre l’altra negativamente e cioè, un gradiente elettrico diverso ed un gradiente chimico diverso tra la camera esterna della membrana e l’interno del mitocondrio. Questa situazione porta allo sviluppo della cosiddetta pompa protonica. Il complesso che trasporta gli elettroni crea energia che è in grado di modificare la forma dei trasportatori in modo da rilasciare protoni. Il sistema dei trasportatori è multienzimatico ed è associato alla parte dedita alla sintesi di ATP. Nella camera esterna, come si è visto, vi è quindi un accumulo di protoni ed essendoci un gradiente diverso, questa zona tende ad equilibrarsi con la parte interna del mitocondrio. Questo è reso possibile solo attraverso un passaggio obbligato costituito dalle particelle F 1 che al loro interno hanno un canale in grado di far passare protoni. Le particelle F 1, oltre che dal canale, sono costituite da una “testa” dove grazie all’energia rilasciata dal passaggio dei protoni, è possibile la sintesi dell’ATP (ATP sintetasi) e quindi la produzione di energia chimica. La resa energetica dei mitocondri; La loro resa energetica è piuttosto alta, migliore di ogni macchina inventata dall’uomo. Ad esempio circa il 40 % dell’energia fornita da una molecola di glucosio viene utilizzata. La produzione calorica è: - Glicolisi anaerobica: 24.000 K (2ATP + 2NADH) + 32.000 K (calore) + 2 molecole di piruvato - Ciclo di Krebs: 2ATP + 8NADH + 2 FADH - Trasportatori di elettroni: 34 ATP TOTALE: 36 ATP = 268.800 K !!!! (l’acido palmitico, un grasso, fornisce addirittura 129 ATP !)

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Origine dei mitocondri; Il numero dei mitocondri presenti in una cellula può essere variato dalla stessa a seconda delle proprie necessità. Il mitocondrio, come ogni organello della cellula, si origina sempre da un altro organello identico. Il mitocondrio che si deve moltiplicare comincia ad ingrandirsi, ad un certo punto si forma un’introflessione nella membrana che diventa sempre più profonda fino a scindere il mitocondrio iniziale in due parti (fissione mitocondriale). Le proteine necessarie per la sopravvivenza del nuovo organello derivano in parte da quello originario ed in parte dal nucleo; il mitocondrio è detto per questo semiautonomo. Ciò di cui ha bisogno il mitocondrio per sopravvivere sono informazioni genetiche. Il mitocondrio è in grado di sintetizzare 35 / 36 proteine tra cui il citocromo A e B, ma le altre devono essere sintetizzate nel citosol ed entrare in seguito nell’organello. L’entrata è resa possibile grazie a dei segnali costituiti da sequenze di 20 - 25 amminoacidi caricati positivamente. Alcune patologie umane ereditarie sono dovute ad alterazioni del DNA mitocondriale che, ad esempio, portano ad alterazioni dei tessuti muscolari. Origine evolutiva dei mitocondri; I mitocondri sarebbero apparsi quando è comparso l’ossigeno nell’atmosfera. Il mitocondrio in origine sarebbe stato una cellula procariota in grado di utilizzare ossigeno messo in simbiosi con una cellula eucariota che non era in grado di farlo. Il procariote entrò nell’eucariote e diventò l’attuale mitocondrio cedendo il proprio genoma all’eucariote; da questa unione nacquero vantaggi sia per il mitocondrio che poté usare i metaboliti presenti in abbondanza nel citosol, sia per l’eucariote che poté avere ATP in abbondanza. A suffragare questa ipotesi vi è la notevole somiglianza della membrana dei mitocondri con la membrana plasmatica e lo stesso tipo di DNA circolare presente sia nei mitocondri che nelle cellule procariote. Una seconda ipotesi fa derivare il mitocondrio da un componente del nucleo che solo in seguito fu circondato da una doppia membrana, ma è una teoria che trova pochi consensi.

I perossisomi (o microbodies); Sono dei corpuscoli ovali del diametro di 0,6 - 0,7 micron delimitati da una membrana e contenenti del materiale granulare che in alcune cellule tende ad addensarsi in una zona centrale detta centriolo. I microbodies presiedono alla demolizione di acqua ossigenata (o perossido d’idrogeno) e, per questo li si è chiamati perossisomi. Gli enzimi presenti nei perossisomi (uricasi, D-amminoacido-ossidasi e catalasi) utilizzano l’ossigeno molecolare per asportare atomi di idrogeno a vari substrati organici (R) secondo la reazione: RH2 + O2 = R + H2O2. L’acqua ossigenata che si ottiene è tossica per la cellula e viene eliminata dagli stessi perossisomi attraverso l’enzima catalasi spesso ossidando con esso alcuni substrati come l’acido formico, la formaldeide e l’alcool. I perossisomi epatici e renali sono adibiti a neutralizzare la tossicità di molte sostanze come ad esempio l’alcool.

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Origine dei perossisomi; Gli enzimi presenti nei perossisomi vengono sintetizzati dai ribosomi liberi e rimangono in soluzione nel citosol; questi enzimi possiedono tutti un segnale che una molecola presente nei perossisomi è in grado di riconoscere. I lipidi che costituiscono la membrana dei perossisomi vengono sintetizzati dal reticolo endoplasmatico liscio e vengono poi captati da particolari enzimi che li sistemano nel bi-layer lipidico. Le proteine di membrana sembra provengano dai ribosomi ma non si conosce ancora il meccanismo che le porta a far parte della membrana dei perossisomi.

Il citoscheletro; Il citoscheletro è costituito da una serie di strutture molto complesse, di tipo filamentoso e così divisibili: - I microtubuli: con diametro di 25 nm. e di lunghezza indefinita - I microfilamenti: con diametro di 5-8 nm. e di lunghezza indefinita - I filamenti intermedi: con diametro di 7-10 nm. Sono strutture visibili al microscopio elettronico e, attraverso tecniche di immunocitochimica possono essere apprezzate anche al microscopio ottico. Il citoscheletro è presente in tutte le cellule eucariote ed in tutte presenta le medesime caratteristiche fondamentali. Oggi il citoscheletro è studiato nei lieviti e nelle amebe perché sono organismi conservati dal punto di vista evolutivo e perché negli organismi unicellulari è facile indurre delle mutazioni che permettano di studiare meglio il citoscheletro. Tutto il citoscheletro è un sistema in grado di modificarsi grazie a segnali interni o esterni alla cellula. Sintesi delle funzioni del citoscheletro; - Movimento della cellula - Movimento o modificazioni della superficie cellulare - Movimento degli organelli della cellula - Cambiamento di forma della cellula / embrione - Supporto meccanico della cellula - Mantenimento della forma della cellula - Organizzazione spaziale di complessi funzionali proteici e di organelli Proteine presenti nelle diverse strutture del citoscheletro; - Microfilamenti: sono costituiti dall’actina. - Microtubuli: sono costituiti dalle tuboline (alfa e beta). - Filamenti intermedi: sono costituiti da cheratina e da diverse proteine. Caratteristiche generali dei componenti del citoscheletro; I microfilamenti; Sono costituiti da Actina; in particolare sono costituiti da unità globulari associate fra loro per dare i microfilamenti che sono avvolti a spirale a coppie; essi costituiscono una struttura piuttosto dinamica.

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I diversi filamenti si possono disporre poi in diversi modi, possono ad esempio creare delle reti tridimensionali, oppure costituire dei fasci con le fibre più o meno distanti fra loro. I microtubuli; derivano dall’unione di unità globulari di tubolina che si uniscono a formare le pareti dei tubuli. E’ una struttura dinamica e la cellula è in grado di controllarne l’assemblaggio o il disassemblaggio. I microtubuli vengono “montati” dalla cellula in una zona posta vicina al nucleo ed al Golgi detta centrosoma (M.O.C.) all’interno della quale è presente una struttura detta diplosoma costituita da due centrioli. Questa è la situazione per ciò che riguarda le cellule animali mentre per le cellule di origine vegetale il diplosoma non è definito ed è possibile evidenziare solo una zona con struttura granulare in grado di svolgere le medesime funzioni del diplosoma. I microtubuli hanno, grazie alla presenza di Actina, polarità funzionale ovvero le due estremità di ogni tubulo possono essere contrassegnate con un + od un -. La parte negativa è posta nel centrosoma mentre la positiva è rivolta verso la periferia della cellula. Le molecole di tubolina si dividono in alfa, beta e gamma. Nel processo di assemblaggio una molecola alfa si associa ad una beta creando un eterodimero; il 50 % degli amminoacidi che costituiscono le alfa e le beta sono uguali mentre il resto presenta delle differenze. Nella sezione di una parete di un microtubulo vi sono 13 unità globulari ovvero 13 protofilamenti; ogni protofilamento è costituito da una successione di eterodimeri. I filamenti intermedi; Sono costituiti da una famiglia eterogenea di strutture le cui funzioni sono solo in parte note. I filamenti intermedi si dividono in: - Lamine nucleari - Proteine della Vimentina: e sono la Vimentina, la Desmina, la Proteina Gliofibrillare acida. Quest’ultima è così definita perché si trova nelle cellule gliali che insieme ai neuroni costituiscono il tessuto nervoso. - Le cheratine: sono formate dalla sintesi di più di 20 polipeptidi e si dividono in acide e basiche - I filamenti neuronali Le unità costitutive di tutte queste proteine sono molecole con struttura filamentosa con delle porzioni in alfa - elica (conservate dal punto di vista evolutivo) e delle porzioni amminiche e carbossiliche specifiche per ogni proteina. Anche le modalità di assemblaggio sono le stesse perché, le molecole si avvolgono le une sulle altre mantenendo le porzioni amminiche e la porzioni carbossiliche vicine fra loro. L’unità di base è il dimero. A questo punto i vari dimeri si associano formando dei tetrameri (formati da due dimeri) che a loro volta si uniscono fra loro grazie alle parti della loro struttura lasciate libere e predisposte allo scopo. Continuando ad associarsi i tetrameri si avvolgono su se stessi lasciando la parte che li caratterizza all’esterno del filamento, in modo da permettere successive interazioni. La struttura ottenuta è abbastanza stabile anche se non permanente; infatti può essere alterata per esempio fosforilando i gruppi caratteristici che, come già detto, rimangono esposti ed ottenendo così il disassemblamento della parte.

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Si è detto che i filamenti intermedi si possono presentare sotto varie forme: Le lamine nucleari: dove i filamenti si intrecciano a dare una rete che è possibile individuare sulla faccia interna della membrana nucleare. Le cheratine: sono tipiche ad esempio delle cellule epiteliali e si presentano sotto forma di fasci. La cheratina è una proteina che si presenta sempre in configurazione alfa nelle cellule dei mammiferi, mentre è in configurazione beta ad esempio nelle piume degli uccelli. I filamenti di cheratina sono detti tonofilamenti e, si uniscono in desmosomi. La funzione principale della cheratina è meccanica, serve cioè a dare forma e e resistenza alla cellula per, ad esempio, proteggere i tessuti sottostanti. Le Vimentine: si trovano nel mesoderma ed il ruolo dei filamenti di Vimentina è di disporsi intorno al nucleo per fargli mantenere una posizione relativamente costante rispetto alla cellula (se quest’ultima si muove). La Desmina: si trova nelle cellule muscolari dove interviene nel collegare fra loro actina e miosina determinate sedi ed a metterle in contatto con la membrana plasmatica I filamenti neuronali e gliali: le cellule gliali ed i neuroni possiedono dei prolungamenti molto sottili e si pensa che questi filamenti contribuiscano a dare rigidità a tali strutture. I filamenti intermedi vengono usati per riconoscere l’origine di cellule tumorali allontanatesi dal luogo d’origine. Sempre i filamenti intermedi cooperano inoltre con l’actina ed i microtubuli anche se ancora non si sa esattamente con quali modalità. Studio del processo di assemblaggio dei microtubuli; Alcune modalità di assemblaggio dei microtubuli è possibile studiarle in vitro in un sistema acellulare; per far questo è necessario avere delle determinate concentrazioni di tuboline alfa e beta, della GTP, degli ioni Magnesio ed un pH di 6,8. Naturalmente esistendo però delle differenze tra lo studio in vitro e quello in vivo verranno trattati separatamente. Lo studio in vitro; L’estremità + è caratterizzata da una maggior velocità di assemblaggio delle subunità. Sia che il tubulo si stia allungando, sia che si stia accorciando o sia che abbia raggiunto una situazione di equilibrio delle sue dimensioni, ai due estremi del tubulo vi è sempre e comunque un acquisto ed un rilascio di subunità. La mezza vita di un microtubulo è di circa 2 ore; la vita media di una molecola di tubolina è di circa 20 ore. E’ così evidente che le molecole di tubolina restano in circolo prima di essere abbastanza per entrare a far parte della struttura di più microtubuli. Il processo di assemblaggio in vitro è così caratterizzato: 1 ) Una volta superata la fase iniziale dell’assemblaggio che risulta essere più lenta (nucleazione), all’estremità +, dove è più bassa la concentrazione di tubolina, si ha un numero maggiore di unità rimosse rispetto a quelle acquistate così come all’estremità -. 2 ) Aumentando la concentrazione di tuboline si raggiunge una concentrazione tale per cui, dal lato + il numero di unità rilasciate è uguale al numero di quelle acquistate mentre, dalla parte - la situazione rimane invariata. Si raggiunge così il punto della concentrazione critica per

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l’estremità +. 3 ) Si aumenta ancora la concentrazione di tuboline e dal lato + vengono aggiunte più unità di quante ne vengono eliminate, mentre dal lato - la situazione rimane immutata. 4 ) Aumentiamo ancora la concentrazione e osserviamo che ai due estremi il numero di unità acquistate e rimosse è lo stesso; il filamento raggiunge cioè una lunghezza costante. 5 ) Se aumentiamo ancora la concentrazione di tuboline anche all’estremità - se ne aggiungono più di quante se ne eliminano creando un filamento che cresce da ambedue le parti Considerando di aver raggiunto la lunghezza statica del filamento, le unità si spostano in breve tempo dall’estremo + a quello - con un processo detto attività mulinello che è stata dimostrata in vitro ma non in vivo. Si è detto che per poter fare questo esperimento era necessario avere GTP. Questa molecola ad alto contenuto di energia è infatti fondamentale per il processo di acquisto - liberazione di unità. Essa si lega alle tuboline beta sotto forma di GTP poi, dopo poco viene idrolizzata in GDP la quale tende a staccarsi ed a tornare in soluzione. E’ quindi evidente che se vi è tanta tubolina tendono ad aggiungersi tanti monomeri quindi la parte con la GTP è stabile, mentre se sono poche le molecole di tubolina tende a staccarsi. Lo studio in vivo; Questo tipo di studio ha dimostrato che, pur presentando sempre la doppia polarità, i microtubuli siti in un sistema cellulare si accrescono e si accorciano sempre dalla stessa parte +. L’ipotesi è che la parte - rimane protetta dal materiale finemente granulare del centrosoma che quindi ne limita le variazioni di lunghezza. Tutto questo è stato possibile osservarlo iniettando tuboline marcate in fluorescenza nelle cellule da studiare. La tubolina gamma; Questa tubolina della quale non si è ancora parlato, ha un ruolo particolare. Essa infatti risiede nel centrosoma ed è la molecola che da’ l’avvio al processo di costruzione dei microtubuli essendo in grado di interagire con le tuboline beta di ogni eterodimero. Le proteine che entrano a far parte della struttura dei microtubuli; La specializzazione della cellula dipende dai microtubuli. Alcuni microtubuli entrano in contatto con la membrana plasmatica e continuano ad allungarsi senza poter più disassemblarsi perché entrano in contatto con delle proteine non ben identificate dette capping proteins (o proteine cappuccio) che incappucciano la struttura dei microtubuli. Vi sono poi altre proteine, le M.A.P. che, associate ai microtubuli, stabilizzano gli eterodimeri contro il disassemblaggio spontaneo al quale andrebbero incontro; sono presenti in numero variabile. Le M.A.P. sono divise in Tau (con basso peso molecolare) e le M.A.P da 1 a 6 (con PM = 200.000 - 300.000 dalton). Queste proteine sono costituite da una porzione che si inserisce nella parete del microtubulo per stabilizzarne la struttura e da una porzione sporgente che può interagire con altri tubuli oppure interagire con i filamenti di Actina o con in filamenti intermedi. Le funzioni dei microtubuli;

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I microtubuli possono costituire le ciglia o i flagelli di determinate cellule e, in questo caso, presiedono o al movimento delle stesse cellule o alla creazione di “correnti” particolari. I microtubuli che invece si trovano liberi nel citoplasma sono adibiti al movimento degli organelli delimitati da membrana; questo è possibile perché associati ai microtubuli vi sono delle proteine particolari dette proteine motore che interagiscono con il tubulo e con l’organello da trasportare. Il movimento è reso possibile grazie all’idrolisi di ATP. Le proteine motore dette anche motori molecolari, si dividono in: chinesine e dineine citoplasmatiche. Le dineine scorrono lungo il tubulo nella direzione che va dal capo + a quello -; le chinesine compiono il tragitto opposto dall’estremo - a quello +. Le proteine motore; Le proteine motore sono costituite da una porzione divisa in due globi vicini detta testa e, da una parte allungata detta coda. La testa possiede un sito che idrolizza l’ATP usata per modificare la conformazione della coda che è indirettamente legata a ciò che deve trasportare. La coda è legata indirettamente perché, tra la coda e ciò che la proteina motore deve trasportare, vi è un adattatore specifico per ogni sostanza. Una volta modificata la coda si determina uno spostamento del motore lungo il microtubulo inoltre, essendosi l’ATP modificata, viene rilasciata sotto forma di ADP e rientra in circolo. I “carichi” trasportati dai motori molecolari possono essere vescicole provenienti dal Golgi o dalla membrana plasmatica. Non si conosce ancora il motivo per il quale le due diverse proteine compiono tragitti opposti si sa solo che sono le proteine motore a stabilire la direzione delle sostanze da trasportare e non i microtubuli che fungono solo da “binari”. Lo studio delle funzioni dei microtubuli; Le funzioni dei microtubuli sono studiabili con l’aiuto di alcuni composti chimici in grado di modificarne la conformazione. Questi composti, con i relativi effetti, sono: - La colchicina (o la colcemide): che impedisce l’associazione delle tuboline. Per questo viene anche usata per il trattamento di cellule tumorali le quali vanno continuamente in mitosi. E’ però una sostanza piuttosto tossica. - Il nocadazolo: provoca gli stessi effetti della colchicina ed è però molto meno tossico. - La vinblastina e la vincristina: che fanno polimerizzare gli eterodimeri in grossi cristalli. - Il taxol: che stabilizza la struttura labile dei microtubuli. Per questo si usa per lo stesso scopo antitumorale delle precedenti sostanze con in più il lato positivo di essere il meno tossico. L’actina (nelle cellule non muscolari); Nelle cellule eucariotiche esistono diverse isoforme di actina (ne sono state identificate 6) tra cui le alfa - actine (site nelle cellule muscolari) e le beta e gamma - actine (nelle cellule non muscolari). Più si sale nella scala evolutiva dell’organismo a cui appartiene la cellula e più numerose sono le molecole di actina presenti. Il peso molecolare dell’actina è di 42.000 dalton; e nelle cellule non muscolari la singola molecola ha un diametro di circa 5 nm. Esistono due forme di actina, la G e la F. Nelle cellule muscolari è presente solo la F, mentre nelle non muscolari vi è il continuo passaggio dalla forma F a quella G e viceversa anche se esistono dei dispositivi in grado di bloccarla in forma F.

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L’actina in forma F è costituita da catene aventi un passo di circa 70 nm. (cioè i microfilamenti). Complessivamente l’actina, sia in forma G che F, rappresenta il 20 % delle proteine totali presenti nella cellula. L’actina in forma G è libera di muoversi nel citosol mentre il sito della F (filamentosa) dipende dalle funzioni della cellula anche se è sempre presente come una “corteccia” al di sotto della membrana plasmatica (actina corticale). L’actina corticale, in alcune cellule che presentano fenomeni di endocitosi, quando si introflette insieme alla membrana plasmatica passa dalla forma F alla forma G. Il passaggio dalla forma G alla forma F provoca un aumento della viscosità del citosol mentre, il passaggio inverso lo rende più fluido. La sintesi dei microfilamenti di Actina; Perché sia possibile la sintesi sono necessarie alcune condizioni: bisogna che vi sia una concentrazione critica di actina G, di ioni Mg, di ioni K e dell’ATP. La molecola di actina (G) possiede due siti di legame (anteriore e posteriore). Il sito anteriore reagisce con le molecole già montate nella catena del filamento, mentre il sito posteriore è pronto per ricevere altre molecole. La molecola di actina è in grado di idrolizzare ATP ottenendo ADP e provocando un cambiamento di forma della molecola in quanto, quando l’actina è legata ad ADP non si può legare alle altre molecole, mentre lo può fare se è legata ad ATP. L’inizio del processo di sintesi (nucleazione) è lento, come nel caso delle tuboline poi, procede più rapidamente. Ad un certo punto, come per le tuboline, l’ATP si trasforma in ADP + P perdendo l’affinità elettronica che possedevano e tendendo a staccarsi dal filamento. Anche nei filamenti di actina vi è un estremo + molto attivo nell’acquisto di molecole e, un estremo - che tende a cederle; l’attività del polo - (di depolimerizzazione) è però più lenta rispetto a quella delle tuboline, di conseguenza la vita media di un filamento di actina è maggiore di quella di un filamento di tubolina. Il passaggio tra le due forme G ed F può avvenire in siti di nucleazione posti nella membrana plasmatica. Le proteine associate ai filamenti di Actina; Ve ne sono diverse e con diverse funzioni, e sono: - la Timosina: che impedisce il passaggio dalla forma G alla forma F. Questa molecola si lega all’actina globulare ma non si sa ancora dove interagisce; un’ipotesi è che si leghi alla parte anteriore o a quella posteriore della molecola. - la Profilina: ha un duplice ruolo: se infatti è legata all’actina permette alla molecola di legarsi solo all’estremo + del filamento; in alcuni momenti però l’estremo + di un filamento può essere bloccato da particolari proteine cappuccio che rendono così impossibile la sintesi del filamento decretandone la scomparsa; in altri quando non vi sono questi cappucci e la molecola è legata alla profilina, quest’ultima favorisce la presenza di ATP al posto di ADP accelerando quindi la polimerizzazione. - la Tropomiosina: serve a stabilizzare il filamento di actina. Questa molecola si avvolge sopra all’elica che costituisce il filamento e lo stabilizza; ogni molecola di tropomiosina è lunga come il passo dell’elica di un microfilamento (70 nm.). - la Fimbrina: è una piccola proteina che stabilizza l’actina quando questa è sistemata in fasci con le fibra poco distanti fra loro (10 - 20 nm.) ponendosi trasversalmente rispetto ai filamenti. - l’Alfa - actinina: è di forma allungata e si associa in dimeri; compie lo stesso lavoro della

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fimbrina solo che tiene le fibra ad una distanza maggiore permettendo così un eventuale accesso alle altre molecole che devono interagire con l’actina. - la Filamina: stabilizza i filamenti di actina quando questi si dispongono tridimensionalmente come una rete. E’ una molecola di forma allungata che si unisce in dimeri. - la Gelsolina: favorisce il passaggio dallo stato F allo stato G e viene attivata solo quando aumenta la concentrazione di ioni Calcio. Le funzioni dell’Actina; Per analizzare le funzioni dell’actina si utilizzano delle molecole (alcaloidi) che sono in grado di interagire con essa. Tra queste abbiamo le citochalasine che sono in grado di depolimerizzare i filamenti di actina legandosi al polo + e la falloidina che stabilizza l’actina in forma F e polimerizza le parti globulari bloccando le funzioni della cellula. Le funzioni dell’actina le possiamo suddividere in: statiche e dinamiche. Funzioni statiche; L’actina costituisce, ove presenti, i microvilli. In questo caso il polo + è posto verso l’apice del microvillo mentre il polo - verso il citoplasma. Il polo + risulta inoltre ricoperto da una proteina cappuccio così come il polo -. Una serie di proteine, tra le quali la fimbrina e la villina, creano dei legami trasversali tra i filamenti di actina per stabilizzare la struttura inoltre, sono presenti delle molecole di miosina tipo I che interagiscono all’interno del microtubulo con la membrana ed i filamenti di actina. L’actina che continua nel citoplasma è mantenuta in fasci paralleli da una proteina detta tipo spectrina o fodrina. I filamenti di actina terminano poi in una struttura tridimensionale costituita da filamenti intermedi (cheratina). La fodrina ed i filamenti intermedi costituiscono la rete terminale (o terminal web). I microvilli possono essere come in questo caso permanenti oppure possono scomparire come nel caso delle cellule che costituiscono l’epitelio pavimentoso monostratificato. Funzioni dinamiche; L’actina (associata alla miosina) è responsabile del movimento di alcuni organelli. Ad esempio nella cellula vegetale è possibile osservare un movimento circolare di organelli dovuto all’actina. Infatti a ridosso dei cloroplasti vi sono dei filamenti di actina sovrastati dalla miosina che si muove a gran velocità. Durante la divisione cellulare il solco che si forma e che poi porterà alla scissione nei due citoplasmi, è costituito da anelli di actina antiparalleli associati a miosina tipo II. In questo modo il movimento della miosina porta ad una graduale restrizione del solco fino alla separazione. La miosina; Nelle cellule non muscolari è presente sotto due forme: tipo I e tipo II. TIPO II; E’ la forma molecolare più evoluta ed è presente anche nelle cellule muscolari. Ha una lunghezza di 150 nm. ed un peso molecolare di 500.000 dalton.

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Ha una struttura costituita da una coda con struttura ad alfa elica e da una testa costituita da una doppia porzione globulare; due molecole uguali si avvolgono su se stesse dalla parte delle code. Nella testa, oltre alle due parti globulari, vi sono altre 4 molecole polipeptidiche disposte a due a due. Complessivamente è una molecola costituita da catene polipeptidiche pesanti (testa + coda) e da 4 catene leggere (testa). Attraverso processi di proteolisi, la molecola è così suddivisibile: - Mero miosina leggera - Mero miosina pesante, che a sua volta si divide in S1 (testa) ed S2. Le molecole si associano coda - coda in un’organizzazione detta antiparallela. Nelle cellule non muscolari si associano solo in seguito ad un segnale, mentre nelle cellule muscolari sono sempre associate. TIPO I; Simile al tipo II ma con coda molto più corta; è costituita solo da una catena polipeptidica e non si associa mai in dimeri. La miosina è costituita da una porzione globulare che è in grado di idrolizzare ATP; l’energia ottenuta da questo processo è utilizzata dalla molecola di miosina per spostarsi lungo il filamento di Actina in direzione del polo +. Per questo motivo è catalogata tra le proteine motore. L’interazione tra actina e miosina è utilizzata per capire qual è l’orientamento dei filamenti di actina che infatti, se osservati al microscopio elettronico, sembrano formate da tante frecce successive con la punta rivolta verso il polo - del filamento. Queste interazioni sono di vario tipo e sono così classificabili: - La tipo I si può associare a due filamenti di actina antiparalleli dei quali uno è ancorato, la miosina tende così a spostare di poco l’altro filamento libero. - La tipo I può avere un sito di legame legato ad un organello provvisto di membrana, in questo modo l’organello stesso verrà spostato lungo il filamento di actina. - La tipo I può essere legata da una parte alla membrana plasmatica mentre con l’altro sito sposta un filamento di actina. - Due molecole di tipo II si uniscono fra loro dalla parte delle code e legano le teste a due filamenti di actina antiparalleli; in questo modo, se i filamenti sono ancorati scorrono di poco, in caso contrario sono liberi di scorrere. Tutte queste interazioni sono controllate dalla concentrazione di ioni Calcio. Difatti la calmodulina (una proteina), quando la concentrazione di ioni Calcio sale oltre una concentrazione critica, si lega agli ioni e si unisce a formare dei complessi detti miosina-chinasi in grado di idrolizzare ATP. L’energia ottenuta da questo processo viene usata per fosforilare una delle due coppie di catene leggere poste sulla testa della molecola di miosina. La catena leggera, una volta fosforilata, si trasforma e lascia scoperto un sito in grado di reagire con l’actina così da provocare lo spostamento della mi osina lungo il filamento. Le proteine associate alle molecole di miosina; La filamina preclude ogni interazione tra l’alfa - actinina e la miosina. La tropomiosina può interagire dopo l’alfa - actinina e favorire poi l’inserimento della miosina.

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Il nucleo;

L’involucro nucleare; Il nucleo è rivestito da una doppia membrana. La parte esterna rivolta verso il citoplasma è coperta da ribosomi ed è connessa con le cavità del reticolo endoplasmatico rugoso mentre l’interna è liscia ed è separata dal materiale nucleare da una lamina fibrosa di natura proteica. Ad intervalli regolari sulla superficie delle membrane si presentano dei pori nucleari di 80 nm. di diametro medio. A livello dei pori la lamina fibrosa risulta interrotta e l’area del poro risulta parzialmente chiusa da un sottile diaframma che restringe il diametro a 15 nm. I pori nucleari sono costituiti dalle due membrane; all’interno vi sono delle strutture a colonna (che sono proteine) associate alle quali vi sono delle strutture globulari che sporgono all’interno del poro e, delle altre strutture proteiche che ancorano il poro alle membrane. Tra le proteine che formano le colonne restano delle fessure che sono in grado di lasciar passare per diffusione delle molecole con peso molecolare fino a 5000 dalton. Il nucleoplasma; E’ composto principalmente da cromatina. Con questo termine si intende un insieme di strutture filamentose o granulari costituite da DNA, RNA e diverse classi di proteine. La cromatina si distingue in due porzioni, la eurocromatina fibrillare e debolmente colorabile e l’eterocromatina che si presenta sotto forma granulare o di zolle compatte ed è ben colorabile. Le due componenti della cromatina sono presenti in quantità diverse nel nucleo a seconda dei tessuti, delle varie specie e dei momenti funzionali della cellula. Ad esempio l’eurocromatina rappresenta il materiale genetico in fase di attività mentre l’eterocromatina lo rappresenta nella fase inattiva. La cromatina è costituita da tutto il DNA del nucleo che con le sue molecole filamentose ne forma la parte principale e più facilmente colorabile; il numero di molecole di DNA è costante nelle varie specie ed è facilmente rilevabile quando le molecole si spiralizzano dando luogo ai cromosomi. Sia la cromatina che i cromosomi sono costituiti anche da due classi di proteine, la prima è formata da un piccolo gruppo di molecole basiche dette istoni con ruoli strutturali, la seconda è definita proteine non - istoniche che sono molecole acide o neutre. Il complesso del poro; Il poro è un apertura nella membrana nucleare di 30 - 100 nm. di diametro. Essi sono delimitati da un labbro originato dalla fusione di due membrane; un materiale elettrondenso chiamato annulo ne contorna i margini e ne riempie parzialmente il lume. L’intera struttura è formata da complessi proteici di peso molecolare elevato (50 - 100 milioni di dalton). I pori fungono da complesse vie di scambio di materiale (macromolecole) tra il nucleo ed il citoplasma. Il poro è infatti selettivo a livello delle sostanze che può far entrare nel nucleo. Il lume è occupato da 8 masserelle periferiche disposte intorno ai margini in modo simmetrico e, nel centro esiste un’ulteriore masserella con caratteristiche diverse dalle precedenti. Si pensa che tali masse siano costituite da strutture complesse simili ai microtubuli, formati cioè da masse globulari costituite dall’avvolgimento di filamenti più sottili.

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Lo scheletro nucleare; L’actina è un’elevata costituente del nucleo (il 16 % delle proteine totali) e questo suggerisce che all’interno del nucleo esista una struttura simile a quella del citoscheletro. L’actina è l’unica struttura filamentosa visibile dello scheletro nucleare; circa il 40 % del totale è in forma polimerica (a costituire le fibre), il resto è in forma monomerica. Come nel citoplasma l’actina di tipo G è mantenuta in forma monomerica da un polipeptide alla quale è legata. La cromatina ed i cromosomi; Osservando il nucleo si possono notare delle zone più o meno elettrondense (eurocromatina) e delle zone più o meno colorabili con coloranti basici (eterocromatina). A risoluzione più elevata ambedue i tipi di cromatina risultano costituiti da fibre di materiale impaccato ed irregolare con inframmezzate delle zone di materiale amorfo chiamato carioplasma. Le fibre di cromatina sono le strutture che contengono il DNA e corrispondono ai cromosomi che sono visibili, nella loro forma condensata, durante le fasi della divisione cellulare. L’esame al microscopio elettronico ad alta risoluzione delle singole fibre ha dimostrato che esse sono costituite da singole strutture globulari di 10 nm. di diametro impaccate in sequenze lineari. L’eterocromatina corrisponde a fibre cromatiniche fortemente spiralizzate e geneticamente inattive al momento dell’osservazione; si distinguono due tipi di eterocromatina: a ) l’eterocromatina costitutiva che rimane in forma condensata in ogni cellula b ) l’eterocromatina facoltativa che può invece trasformarsi in eurocromatina in certi tipi di cellule o a seconda degli stadi funzionali. Un esempio di eterocromatina costitutiva è quella della regione del centromero dei cromosomi. Poco prima di dividersi le cellule condensano la cromatina in strutture a bastoncello fortemente colorabili chiamate cromosomi. Negli organismi superiori il corredo cromosomico è diploide e questo vale a dire che ogni cellula prima di replicarsi possiede due coppie di ciascun cromosoma, uno di origine paterna e l’altro di origine materna. I cromosomi di identica morfologia vengono detti omologhi. Ogni specie possiede un numero ben definito di cromosomi, nell’uomo ve ne sono 46, di questi 22 coppie di omologhi vengono chiamati autosomi. Esiste inoltre una coppia di cromosomi X nella femmina ed una coppia XY nel maschio definiti cromosomi sessuali o eterocromosomi. Ciascuno dei cromosomi è in realtà doppio ed è costituito da due lunghe fibre spiralizzate di cromatina esattamente identiche chiamate cromatidi. Ciascun cromatide possiede la serie completa delle informazioni genetiche di quel particolare cromosoma. Al momento della divisione cellulare i due cromatidi sono uniti in un punto chiamato centromero che divide i due cromatidi in due bracci. In base alla posizione del centromero i cromosomi si definiscono: - metacentrici: se il centromero è in mezzo - acrocentrici: quando è ad un estremità - telocentrici: quando il centromero è in uno dei segmenti distali del cromosoma

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- submetacentrici: quando è nel terzo centrale ma non nel mezzo Il centromero è sito in una zona del cromosoma dove il cromatide si assottiglia (costrizione primaria), alcuni cromosomi possono presentare un’altra zone dove il cromatide si assottiglia (costrizioni secondarie) che sono utili per identificare il cromosoma. Nella zona del centromero esiste un tipo di cromatina destinata a mantenere uniti i cromatidi fino al momento della divisione cellulare e, sempre in questa zona, esistono delle strutture in grado di legarsi ai microtubuli quando questi vengono separati e divisi tra le cellule figlie. Le due estremità dei cromosomi sono chiamate telomeri ed in questa regione sono presenti, in alcuni cromosomi, delle masserelle di cromatina chiamate satelliti unite al resto del cromatide da una costrizione secondaria. I cromosomi sono fortemente colorabili ed attraverso dei trattamenti con enzimi e coloranti selettivi è possibile ottenere una colorazione a bande; la posizione delle bande cambia per ogni cromosoma e permette di riconoscere gli omologhi. L’insieme dei caratteri morfologici dei cromosomi di ciascuna specie costituisce il cariotipo. La struttura molecolare della cromatina; Nell’ambito di ciascun cromosoma il filamento di DNA è continuo. Il DNA, che possiede un peso molecolare notevole e un grandissimo numero di informazioni, trova posto nei cromosomi lunghi pochi micrometri grazie al fatto che la doppia elica è spiralizzata all’interno della fibra di cromatina. Responsabili di questa spiralizzazione sono le proteine associate al DNA che sono di due tipi: - Istoni (o proteine basiche) - Proteine non-istoniche (o acide) Oltre al DNA ed alle proteine la cromatina contiene anche una certa quantità di RNA stabilmente legato al DNA e tracce di lipidi. Gli Istoni sono proteine costituite per metà esclusivamente o prevalentemente da amminoacidi con radicali basici e, proprio per mezzo di questa “coda” possono legarsi reversibilmente al DNA; l’altra metà della molecola è invece ricca di amminoacidi apolari e, questa parte è libera di interagire con altri istoni o con proteine non-istoniche. La fibra cromatinica è modellata su una struttura di base costituita da unità modulari ripetute chiamati nucleosomi costituiti da un segmento di DNA spiralizzato lungo circa 200 nucleotidi e arrotolato (come un filo su un rocchetto) attorno ad un ottamero di Istoni. Le proteine acide (o non-istoniche) della cromatina sono molto meno conosciute, sono eterogenee e la loro localizzazione nella fibra cromatinica è nota solo parzialmente. L’RNA associato stabilmente al DNA costituisce una piccola ma significativa frazione della cromatina. Questo RNA chiamato cromatinico possiede un basso peso molecolare. La trascrizione; Nel nucleo una parte del DNA viene ricopiata in singoli filamenti di RNA ad opera di un certo numero di enzimi solubili nel carioplasma chiamati RNA polimerasi. Il processo che è chiamato trascrizione è il primo della serie degli eventi che trasportano dai cromosomi al citoplasma le informazioni codificate per essere tradotte in proteine. Le RNA polimerasi copiano fedelmente uno dei due filamenti di DNA in copie speculari le cui basi sono complementari a quelle che si trovano nella sequenza usata come stampo.

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Le polimerasi si attaccano in punti definiti del filamento di DNA chiamati siti di inizio contenenti sequenze nucleotidiche specifiche, la sintesi dell’RNA procede in direzione 5’ - 3’ ad una velocità di 30 nucleotidi al secondo (a 37° C). Il distacco dal DNA avviene in punti chiamati siti di terminazione alcuni di questi siti hanno bisogno di fattori di terminazione (di natura proteica). Perché la trascrizione cominci è necessario che la polimerasi leghi uno o più fattori d’inizio o fattori di elongazione; questi sono proteine che si legano all’enzima quando è già ancorato al DNA. Muovendosi lungo la doppia catena di RNA la polimerasi dissocia temporaneamente i filamenti per un breve tratto (che corrisponde alle dimensioni del sito attivo), nel segmento aperto i nuovi nucleotidi polimerizzano e si forma una breve doppia elica che si libera rapidamente nel momento in cui il complesso enzimatico si muove, a questo punto per ragioni termodinamiche le due catene di DNA si chiudono. Le molecole di RNA polimerasi sono solubili e si muovono liberamente nel nucleoplasma, in questo modo avvengono continue e casuali collisioni con le eliche di DNA; il legame diventa stabile se il complesso enzimatico incontra un promotore che definisce il sito di inizio e indica alla polimerasi quale filamento trascrivere. Difatti solo una delle due eliche (chiamata stampo) viene ricopiata in modo complementare di conseguenza il nuovo RNA avrà l’identica sequenza della catena opposta, salvo naturalmente la sostituzione delle basi T con le basi U. Legandosi al promotore la polimerasi copre un lungo tratto di DNA comprendente almeno 60 coppie di basi, 40 delle quali prima (upstream) e 20 dopo (downsteam) il sito di inizio della trascrizione. Esoni ed Introni; I geni delle cellule eucariote sono costituiti da “blocchi” non contigui di sequenze nucleotidiche che codificano segmenti di proteine. Questi “blocchi” sono separati da sequenze di DNA “silente” che, almeno apparentemente, non contengono informazioni genetiche; le sequenze di DNA che contengono le informazioni vengono chiamate esoni mentre quelle di DNA silente introni. Il significato funzionale di esoni ed introni; La funzione della frammentazione del gene in esoni ed introni non è ben nota. Gli introni sembra siano sequenze intercalate secondo un ordine casuale all’interno della catena; questa ipotesi poggia sul fatto che le sequenze introniche variano (sia come posizione che come lunghezza) anche in specie animali evolutivamente molto vicine. Il fatto che le sequenze geniche siano invece frammentate in esoni può invece essere utile a livello funzionale. Secondo un ipotesi con l’evoluzione delle specie, solo alternando diversi “blocchi” di esoni, si sarebbero potute sintetizzare un altissimo numero di proteine con funzioni diverse; in pratica si sarebbero utilizzati gli esoni come dei “mattoni” prefabbricati da combinare tra loro in diversi modi per ottenere diverse proteine. La maturazione degli RNA; La biosintesi degli RNA coinvolge una serie complessa di reazioni enzimatiche che trasformano il primitivo prodotto di trascrizione dei geni in molecole mature e funzionanti.

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La maggior parte di queste reazioni avvengono nella parte non organizzata del nucleo, il cosiddetto carioplasma. Conoscendo le strutture di partenza e quelle di arrivo si è quindi in grado di identificare i trascritti primari, i prodotti intermedi detti precursori e di studiare gli enzimi che li producono ed il loro meccanismo d’azione. La presenza di esoni ed introni implica che debba esistere un sistema in grado di rimuovere od omettere le sequenze non utili alla trascrizione, sistema chiamato splicing. L’intero gene, compresi esoni ed introni, è trascritto a dare un precursore; poi le sequenze introniche vengono eliminate da una serie di molecole che riconoscono selettivamente i punti di giunzione tra esoni ed introni; infine le estremità vengono di nuovo saldate fra loro per dare una molecola di RNA maturo. La mappa dei geni; Nel 1911 Morgan dimostrò che i geni sono entità fisiche disposte linearmente lungo i cromosomi. Nell’uomo il numero dei geni è stato calcolato (in modo molto approssimativo) intorno a 50.000; la lunghezza delle catene di DNA presenti nei cromosomi umani basterebbe per contenere un numero almeno cento volte superiore di geni tuttavia, una buona parte di questo DNA è destinato a compiere funzioni di regolazione o è in forma ripetitiva con funzioni strutturali (come per il centromero) oppure codifica RNA ribosomiale e di trasferimento. Il primo gene ad essere stato localizzato su di un cromosoma è quello responsabile della visione colorata localizzato sul cromosoma sessuale X; i principali geni che interessano la medicina sono i geni della visione colorata, quelli che controllano le reazioni di rigetto, quelli responsabili del daltonismo e dell’emofilia ... Il mongolismo si sa che è dovuto alla trisomia (cioè tre copie al posto di due) della parte terminale del braccio lungo del cromosoma 21. Il nucleolo; Osservando al microscopio ottico una sezione del nucleo di una cellula colorata con coloranti basici si notano delle masserelle nel nucleo di struttura molto compatta e di qualche micron di diametro. Questa masserella è il nucleolo che può essere messo particolarmente in evidenza attraverso particolari preparazioni istochimiche che colorino selettivamente le strutture contenenti RNA. Il microscopio elettronico ne distingue una parte interna di aspetto fibrillare ed una esterna di aspetto granulare. La porzione fibrillare è costituita da filamenti di circa 5 nm. che costituiscono il nuclelonema molto simile alla fibre di cromatina; la parte granulare è costituita da granelli tondeggianti di circa 15 nm. di diametro. Molto spesso è visibile una porzione di cromatina nucleare associata al nucleolo, questa porzione è chiamata organizzatore nucleolare. Il nucleolo è costituito da una certa quantità di DNA e da molto RNA legato in gran parte a proteine in complessi di grandi dimensioni. Il nucleolo è dunque il luogo dove avvengono la sintesi e l’assemblaggio dei ribosomi. L’assemblaggio dei ribosomi in sede nucleolare è causa di un intenso traffico di proteine e ribonucleoproteine attraverso i pori della cisterna perinucleare; i ribosomi acquistano la loro struttura definitiva e la loro funzionalità solo nel citoplasma dopo che si sono assemblate le ultime proteine ribosomiali e c’è stato un riarrangiamento generale della struttura spaziale dell’intero complesso.

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I SISTEMI DI REGOLAZIONE DELLE CELLULE; I geni regolatori; Esistono dei geni che, al contrario dei geni strutturali, non codificano direttamente un prodotto attivo bensì servono da “regolatori” del funzionamento dei geni strutturali. Nei procarioti i geni strutturali sono preceduti da una serie di geni regolatori che ne controllano la trascrizione, questo complesso di geni strutturali e regolatori è chiamato operon. Ogni operon ha almeno tre geni regolatori: a ) il gene regolatore propriamente detto b ) il gene promotore c ) il gene operatore I sistemi operon si possono distinguere poi in inducibili dove la sintesi delle proteine avviene solo in presenza dello specifico substrato e reprimibili nei quali gli enzimi cessano di essere fabbricati quando la concentrazione del prodotto si accumula nella cellula. I sistemi regolatori possono essere: - Ad autoregolazione: perché il gene regolatore manca - Negativo: quando la proteina regolatrice è un repressore che legandosi al DNA impedisce la trascrizione del gene strutturale. - Positivo: quando il complesso regolatore è legato al DNA la sintesi può procedere, in questo caso il prodotto del gene regolatore è un attivatore. - Reprimibile a controllo positivo (ipotetico): in questo caso, non ancora identificato, la proteina regolatrice dovrebbe essere un attivatore, ma il legame con il metabolita dovrebbe indurne l’inattivazione. Alcune osservazioni condotte su batteri fanno supporre che, oltre ai sistemi di regolazione della trascrizione, possano esistere altri sistemi rudimentali di regolazione post-trascrizionale. In pratica quando la cellula necessita di dover sintetizzare molte proteine fabbrica molti ribosomi, quando la

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sintesi di proteine deve essere ridotta viene ristretta la produzione di ribosomi attraverso i regolatori post-trascrizionali. Inoltre i procarioti possono esercitare un certo controllo sulla traduzione regolando l’attacco dei ribosomi sui messaggeri attraverso i cosiddetti fattori di inizio. Negli eucarioti la situazione è più complessa. Innanzitutto la quantità di DNA contenuta nei cromosomi è nettamente maggiore di quella contenuta nei procarioti, la quantità di DNA inoltre è ulteriormente aumentata dalla presenza degli introni, dal DNA satellite e dagli spaziatori che sono sequenze relativamente lunghe ripetute più volte a intervalli regolari tra i geni strutturali veri e propri. Inoltre il DNA negli eucarioti è stabilmente associato a delle proteine basiche, acide e con una certa frazione di RNA a dare quella struttura che è la cromatina. Poi i geni degli eucarioti, al contrario di quelli dei procarioti che sono allineati lungo un unico filamento di DNA, sono distribuiti in cromosomi multipli e, con l’eccezione del cromosoma Y, sono duplici. Ad aumentare le differenze vi è infine la struttura stessa dei geni che nei batteri sono collineati con i loro prodotti mentre, negli eucarioti, sono intercalati con introni che all’atto della codifica non vengono considerati. Nei mammiferi fenomeni di induzione o di repressione da parte di metaboliti sono soprattutto evidenziabili a livello delle cellule epiteliali del fegato o dell’intestino. Gli induttori non sono sempre però metaboliti in quanto anche gli ormoni ed altri segnali extracellulari possono indurre la sintesi di specifiche proteine. E’ necessario poi ricordare che nelle eucariote non basta arrestare la sintesi di mRNA per far cessare la sintesi proteica perché la vita media delle molecole di mRNA nelle cellule nucleate è mediamente più lunga. I livelli di regolazione nelle cellule eucariotiche; Il primo dei livelli è, come nelle procariote, la regolazione della trascrizione. Uno specifico gene deve attivato e ricopiato in una molecola di RNA; poi questo RNA deve maturare nel nucleo per dare origine all’mRNA corrispondente quindi, deve attraversare l’involucro nucleare per arrivare al citoplasma dove sono localizzati i ribosomi. Tutti questi processi possono rappresentare altrettanti punti di regolazione. Inoltre, a differenza che nelle procariote, gli mRNA sono stabili perché uniti a proteine e la loro traduzione da parte dei ribosomi non è automatica ma soggetta anch’essa a regolazioni. Infine per essere funzionante la proteina deve assumere la sua conformazione tridimensionale corretta. In genere la regolazione trascrizionale è quel meccanismo che agisce a livello del DNA permettendo o meno la sintesi di RNA nucleare da parte delle RNA polimerasi. La regolazione post-trascrizionale è il controllo effettuato sulle molecole di RNA dopo la trascrizione ma prima della traduzione. Infine la modulazione della traduzione è il controllo della sintesi di una proteina codificata da una quantità definita di messaggero.

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La regolazione trascrizionale; Determinare quali siano le molecole coinvolte nella regolazione della trascrizione e se agiscano da attivatori o da repressori è un problema complesso. E’ chiaro che come attivatori sono coinvolti i fattori trascrizionali e le proteine acide nucleari più in genere; sebbene manchino prove sperimentali è stato proposto come elemento repressore il cRNA o RNA cromatinico. LA DUPLICAZIONE DEL DNA; La duplicazione del DNA consiste nello srotolamento della doppia elica, nella separazione dei due filamenti e nella sintesi dei due nuovi filamenti complementari ai rispettivi filamenti originari. Al termine della duplicazione i quattro filamenti, a due a due complementari, si riassociano e si richiudono in modo che ciascuna delle due eliche possieda un filamento “vecchio” ed uno dei nuovi sintetizzati. Questo processo è chiamato replicazione semiconservativa. La duplicazione di un gene comincia nel sito d’inizio, punto in cui le due eliche, per azione di un enzima, si separano per un breve tratto; nella struttura srotolata si infilano proteine dette unwinding che forzano la struttura delle due eliche esponendo alle DNA polimerasi l’interno dell’elica che prima risultava inaccessibile. La quantità di queste proteine durante la duplicazione del DNA raggiunge percentuali notevoli dell’ordine del 3 - 4% delle proteine totali della cellula. Nell’uomo e nel topo queste proteine hanno peso molecolare di 30 - 35.000 dalton; sono molecole non dotate di attività enzimatica che attuano solo un’azione di origine meccanica resa possibile dalla loro altissima affinità per il DNA a singola elica. Alla despiralizzazione del DNA prendono parte anche proteine untwisting (o proteine del rilasciamento) che invece modificano la struttura spaziale del DNA producendo dei tagli in alcuni punti della doppia spirale (solo però ad un filamento) in modo da permettere la libera rotazione e il rilasciamento della struttura. Gli stessi enzimi presumibilmente sono poi in grado di risaldare la struttura. In un gene esistono più siti d’inizio che vengono attivati in successione, su basi sperimentali si è calcolato che le dimensioni delle unità di replicazione sono di 7 - 100 micron.

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Basandosi su questi dati si è definita l’unità di replicazione o replicone ciascuno dei quali comprende un segmento di DNA costituito da molte migliaia di giri di elica. La maggior parte dei repliconi cominciano simultaneamente la sintesi del DNA ma terminano in tempi diversi a causa della loro diversa lunghezza. Alcune osservazioni suggeriscono che, come avviene per i procarioti, la replicazione inizia nel punto in cui il gene è a contatto con la membrana interna della cisterna perinucleare; inoltre questo ancoraggio potrebbe essere necessario per aiutare lo srotolamento dell’elica al quale si oppone una forza notevole Lo srotolamento è poi molto rapido infatti il cromosoma di E. Coli si raddoppia in 30 min. il che equivale a dire che i 400.000 giri dell’elica si srotolano a 13.000 giri al minuto !!! La replicazione dei due filamenti della doppia elica avviene in modo bidirezionale, a partire da un sito d’inizio i due filamenti si replicano in direzioni opposte e sempre in direzione 5’ > 3’ per l’intervento di DNA polimerasi. Nei nuclei delle cellula animali sono presenti almeno due polimerasi: alfa (con alto PM) e beta (di minor PM). Una terza polimerasi gamma è stata individuata nei mitocondri è serve per duplicare lo specifico DNA circolare presente in questi organelli. LE ATTIVITÀ’ NUCLEARI; Il periodo che intercorre tra la genesi di una cellula originata da una divisione e la successiva divisione della stessa è detto ciclo vitale della cellula. Il ciclo vitale è costituito da quattro fasi: G1, S, G2, M. La fase G1: è la fase caratterizzata dalle attività trascrizionali. I principali tipi di RNA vengono sintetizzati in questa fase attraverso l’intervento, negli eucarioti, di almeno tre polimerasi mentre, nei procarioti, la polimerasi necessaria è solo una. Inoltre si duplicano i centrioli dell’apparato miotico. La fase S: è la fase nella quale il DNA viene duplicato. La fase G2: in questo periodo si attuano la sintesi di gran parte dei componenti dell’apparato mitotico. In questa fase vengono ad esempio sintetizzate nuove parti di membrana nucleare che serviranno per le membrane nucleari delle cellule figlie. La fase M: è la fase nella quale si verifica la mitosi. LA DIVISIONE MITOTICA (RIPRODUZIONE ASESSUATA); Formazione dell’apparato mitotico;

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Mentre nel nucleo la cromatina si sta spiralizzando per dare i cromosomi, nel citoplasma si evidenziano i componenti dell’apparato mitotico. L’apparato mitotico è costituito, nelle cellule animali, da: - Centrioli: e dalle strutture ad essi circostanti (centrosoma, centrosfera, astrosfera). - Fuso mitotico: che è un complesso di microtubuli tesi tra i centrioli. Nelle cellule delle piante verdi mancano i centrioli ed è presente solo il fuso mitotico. L’apparato mitotico perdura per tutta la divisione cellulare ed il suo compito è quello di guidare i cromosomi in modo ordinato e corretto in modo da fornire alle due cellule figlie lo stesso patrimonio genetico della cellula madre. Il centriolo: è un corpicciolo puntiforme e ben colorabile, per lo più è un corpicciolo duplice ed in questo caso è detto diplosoma. Il centriolo si duplica durante la trascrizione dell’RNA (in G1) quindi, all’inizio della divisione la cellula si presenta con due centrioli (o due diplosomi) che gradualmente si allontanano fra loro. Attorno al centriolo è presente un’area più chiara di forma circolare detta centrosoma ed attorno ad essa un’area più densa chiamata centrosfera. All’inizio della mitosi dalle due centrosfere si vedono irradiare delle strutture fibrillari che prendono il nome di astrosfere; tra le due centrosfere che si vanno separando tra loro si evidenziano delle fibre che costituiscono il fuso mitotico. Le modalità di formazione del fuso mitotico sono due: la prima è detta del fuso metafisico nel quale il fuso si forma dopo che i due centrioli sono arrivati alle estremità del citoplasma; la seconda è detta del fuso centrale e in questo caso le fibra del fuso si formano fin da quando i centrioli cominciano ad allontanarsi. Il fuso fino ad ora descritto è detto fuso citoplasmatico o mantellare. In realtà quest ricopre un secondo fuso che si forma solo quando la membrana nucleare è scomparsa che prende il nome di fuso centrale o cromosomico perché sulle sue fibre si legano i centromeri dei cromosomi. Stadi e significato della mitosi; Nella profase il nucleo spiralizza la cromatina a dare i cromosomi. Verso la fine della profase quando i cromosomi sono praticamente già spiralizzati, i nucleoli si disintegrano, spargono il loro contenuto granulare e condensano la parte fibrillare; infine si disgrega anche la membrana nucleare. La prometafase è quel breve periodo che intercorre tra la scomparsa dell’involucro nucleare (che indica la fine della profase) e la messa in piastra equatoriale dei cromosomi (stadio di metafase). Nella metafase i cromosomi che sono legati alle fibre del fuso mitotico si trovano dislocati sul piano equatoriale (ortogonale rispetto all’asse del fuso) a costituire una figura detta di aster o di piastra equatoriale. A questo punto si nota che il centromero dei cromosomi è fratturato longitudinalmente in due parti ciascuna delle quali contiene un cinetocoro di un cromatide. Segue l’anafase nella quale i cinetocori dei cromatidi vengono “tirati” verso i poli opposti della cellula dalle fibre cromosomiche del fuso suddividendo il materiale genetico in due gruppi fra loro uguali che si allontanano reciprocamente lasciando libera la piastra equatoriale. Non è chiaro se sono le fibre del fuso a “tirare” i cromatidi o se sono questi ultimi a spostarsi lungo il fuso anche se la prima sembra l’ipotesi più probabile.

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La “trazione” inoltre non è esercitata in senso meccanico dai microtubuli delle fibre del fuso bensì è provocata dalla continua depolimerizzazione che si verifica al centro della fibra ed al successivo risaldarsi della stessa. I due gruppi di cromosomi divisi vanno così allontanandosi talvolta assumendo la forma di una figura detta di diaster perché sembra costituita da due aster. La telofase è lo stadio che conclude la divisione mitotica. I cromatidi che sono giunti ormai a metà strada tra i poli della cellula e la piastra equatoriale cominciano a despiralizzarsi; attorno a ciascuno dei due gruppi si va ricostruendo l’involucro nucleare con l’uso dei resti del vecchio e di parti nuove sintetizzate. L’apparato mitotico si va depolimerizzando con l’esclusione dei centrioli, la membrana citoplasmatica si introflette fino a saldarsi provocando la divisione della cellula in due cellule figlie di eguali dimensioni. Nelle cellule vegetali lungo la zona di frattura si accumulano delle vescicole provenienti dal Golgi che creano il fragmoblasto che costituisce il setto divisorio da cui nascerà la parete cellulare. LA DIVISIONE MEIOTICA (RIPRODUZIONE SESSUALE); Diploidia e riproduzione sessuale; La riproduzione sessuale prevede la fusione di due cellule in una con il conseguente rimescolamento dei rispettivi genomi. Le cellule figlie ereditano solo una delle coppie dei geni di ciascuno dei parenti, ne consegue che alcuni discendenti di parenti eterozigoti portatori di una mutazione letale ricevono casualmente due copie del gene mutato; la morte di questi individui abbassa il numero dei geni mutati presenti nella popolazione. Inoltre poiché l’assortimento dei geni è casuale si origineranno individui diversi dai loro progenitori. Il rimescolamento dei geni avviene in concomitanza con la fusione di due cellule aploidi in una diploide. Le nuove cellule aploidi vengono generate periodicamente con un ciclo chiamato meiosi consistente nella formazione di due cellule contenenti un solo corredo di geni originate da una cellula madre con doppio corredo cromosomico. E’ la ricombinazione cromosomica che ha luogo durante la meiosi a fornire a ciascuna delle cellule aploidi un nuovo assortimento di geni che in parte derivano dal corredo di uno dei promotori aploidi della precedente generazione ed in parte dall’altro.

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E’ questo meccanismo di: “aploidia - fusione - diploidia - meiosi” chiamato GOD (Generation of Diversity) che permette alla selezione naturale di espandere le cellule e gli organismi che casualmente hanno sviluppato il migliore assortimento genico. Nella specie umana le cellule aploidi esistono solo per un breve periodo limitato all’espletamento delle funzioni sessuali; sono cellule altamente differenziate e specializzate per la fusione. Vengono chiamate gameti, quello maschile è chiamato spermatozoo, mentre il femminile uovo od oocita. La loro fusione porta alla formazione dello zigote (l’uovo fecondato) diploide dal quale si sviluppano e proliferano tutte le cellule somatiche del nuovo organismo. La meiosi; La meiosi è il processo di divisione cellulare attraverso il quale da una cellula progenitrice diploide vengono generate quattro cellule figlie aploidi. Il processo è costituito da un solo ciclo di duplicazione del DNA seguito da due divisioni cellulari. Ogni cellula diploide somatica possiede due esemplari di ciascun cromosoma eccetto l’XY nel maschio; i due esemplari dello stesso cromosoma sono detti omologhi e derivano dal gamete paterno e da quello materno delle generazione precedente. La meiosi si attua attraverso due distinte divisioni cellulari, nel corso della prima le coppie di omologhi si appaiono formando una complessa struttura chiamata sinaptonema costituita quindi da quattro cromatidi. In questa fase avvengono gli scambi di tratti di DNA tra i cromatidi appartenenti ai due cromosomi omologhi; quindi i cromosomi (e non i cromatidi come nella mitosi) si separano di nuovo e, trascinati dalle fibre del fuso mitotico, si allontanano verso i poli opposti della cellula. In questa fase, al contrario che nella mitosi, i centromeri non si separano perché le fibre del fuso tirano tutte dalla stessa parte. Come risultato della prima divisione meiotica ciascuna cellula figlia è ancora diploide ma ha ereditato due cromatidi appartenenti ad uno solo degli omologhi (il paterno o il materno). Quindi le due cellule figlie sono già diverse tra loro, inoltre gli stessi cromatidi fratelli non sono uguali perché c’è già stato il riassortimento dei geni. Il passaggio del patrimonio genetico da diploide ad aploide ha luogo nella seconda divisione meiotica che non è altro che una semplice mitosi che però non è preceduta da un ciclo di duplicazione del DNA. Il sinaptonema e la ricombinazione; Con la prima divisione meiotica le due cellule figlie ricevono una differente miscela di cromosomi di origine paterna e materna; già solo con questo meccanismo i gameti umani possono ricevere un assortimento di cromosomi pari a 2 23 (cioè 8,4 milioni). Nella realtà questo numero è molto più elevato grazie al processo del crossing - over durante il quale nella lunga profase della prima divisione meiotica vengono scambiati tratti di cromatidi tra i cromosomi omologhi. In media ogni coppia di cromosomi si scambia due o tre segmenti di DNA. Il crossing - over è il risultato della rottura della doppia elica di DNA in uno dei cromatidi di origine paterna e nei punti corrispondenti di uno dei cromatidi di origine materna; la rottura è seguita dalla saldatura delle loro estremità in modo reciproco.

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Il processo avviene quando i quattro cromatidi appartenenti ai due cromosomi omologhi sono appaiati nel sinaptonema. La formazione del sinaptonema è accompagnata da modificazioni morfologiche della cromatina nucleare rilevabili sia in microscopia ottica che in microscopia elettronica. Il processo è articolato in cinque fasi così chiamate: leptotene, zigotene, pachitene, diplotene e diacinesi e così ca ratterizzate: - Leptotene: questa fase ha inizio con la condensazione della cromatina e la formazione dei cromosomi visibili cui segue la formazione di una struttura tubolare di natura proteica che si dispone lungo l’asse di ciascun cromosoma. - Zigotene: i cromosomi omologhi si appaiono a formare il complesso sinaptonemico. L’appaiamento inizia a volte dall’estremità del cromosoma ancorata alla cisterna perinucleare, a volte da un punto più centrale e procede con le stesse modalità della chiusura di una “cerniera lampo”. La responsabile del perfetto appaiamento dei geni dei cromosomi omologhi è la tripla rotaia del complesso sinaptonemico. Questa è formata dalle due strutture tubolari che erano comparse nel leptotene che si dispongono parallelamente ad una distanza di 100 nm. I due tubuli sono uniti tra loro da traversine disposte perpendicolarmente anch’esse di natura proteica. Le traversine a loro volta sono intersecate esattamente nel mezzo da una terza struttura filiforme intermedia. Poiché le eliche di DNA non sono in contatto fisico bisogna dedurre che le strutture responsabili del corretto allineamento siano le traversine anche se il meccanismo che porta all’esatto allineamento è ancora oscuro. - Pachitene: si completa l’appaiamento dei cromosomi omologhi e, nella struttura a tripla rotaia compaiono dei noduli di ricombinazione che, sono particelle proteiche ellissoidali o sferiche di 90 nm. di diametro che corrispondono a complessi multienzimatici responsabili dell’incisione e della successiva saldatura dei tratti di DNA. Il crossing - over ha luogo in questa fase. - Diplotene: il complesso sinaptonemico si rilascia ed i cromosomi omologhi si allontanano rimanendo però agganciati nei due o tre punti dove ha avuto luogo il crossing - over, questi punti vengono chiamati chiasmi. - Diacinesi: il diplotene continua impercettibilmente nella fase di diacinesi attraverso la quale la profase della prima divisione meiotica passa nella metafase. In questa fase i cromosomi si condensano ulteriormente ed i cromatidi, prima troppo addossati, si rendono visibili. I gameti; Le cellule che attraversano fasi cicliche di aploidia sono chiamate gameti. Dopo la fusione di due gameti, tra le cellule che daranno origine al nuovo individuo, le cellule della linea germinale migrano nella gonadi, gli organi riproduttivi. Nelle gonadi i progenitori dei gameti chiamati goni proliferano con ripetuti cicli di mitosi. Nella femmina i goni si differenziano in uova od oociti, nel maschio in spermatozoi. L’oogenesi;

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Nella femmina i goni si localizzano nell’ovaio e, in un primo tempo si differenziano in oogoni. Questo proliferano per un tempo limitato della vita dell’embrione (tra la quinta settimana e il settimo mese). Da questo momento in poi il numero degli oogoni comincia a diminuire per degenerazione spontanea mentre un certo numero di cellule si differenziano in oociti. A questo stadio l’oocita è detto primario ed è ancora diploide; i cromosomi già replicati sono appaiati nel pachitene o nel leptotene. In quest’ultimo caso,che nei mammiferi può durare anni, l’oocita primario sintetizza notevoli quantità di mRNA, tRNA e rRNA oltre ad una riserva di proteine che gli serviranno nel successivo ed eventuale sviluppo. Solo con la maturità sessuale (12°/14° anno di vita) alcuni oociti maturano periodicamente e vengono espulsi dall’ovaio. Per effetto degli ormoni la prima divisione meiotica si completa, i cromosomi si condensano e gli omologhi segregano nelle due cellule figlie. Il citoplasma si divide però in modo disuguale dando origine ad un oocita secondario di grosse dimensioni (100-120 micron) e ad una cellulina abortiva chiamata globulo polare priva di citoplasma. L’oocita secondario è ancora diploide e, si riduce ad aploide solo con il passaggio a uovo maturo che avviene al termine della seconda divisione meiotica; anche in questo caso la ripartizione del citoplasma non è eguale così ne risulta una cellula uovo ed un secondo globulo polare. L’uovo maturo è una cellula particolare in quanto è l’unica in grado di dare origine ad un individuo tutto intero. Per questo motivo ha acquisito delle caratteristiche particolari: prima di tutto le dimensioni (100-150 micron) superiori a quelle medie delle altre cellule somatiche. Le dimensioni sono tali perché l’uovo è pieno di sostanze nutritive (vitello) sotto forma di granuli costituita prevalentemente da proteine. Nei mammiferi l’oocita è rivestito da una struttura periferica chiamata zona pellucida di consistenza gelatinosa costituita da glicoproteine e mucopolisaccaridi, in parte secreti dall’uovo stesso ed in parte dalle cellule periferiche che costituiscono la corona radiata. Al di sotto della membrana plasmatica sollevata da numerosi microvilli sono presenti diverse vescicole di secrezione dette granuli corticali ricche di enzimi che intervengono nel processo di fertilizzazione, difatti dopo che uno spermatozoo è penetrato nell’uovo inducono delle mutazioni che impediscono l’entrata di altri spermatozoi (reazione corticale). Negli oociti di specie animali contenenti un’alta percentuale di vitello (ma non dei mammiferi) la distribuzione degli organelli nel citoplasma è asimmetrica, in questi casi si distingue un’area del citoplasma che contiene il nucleo e gli organelli che è chiamata polo animale ed un’area ricca di vitello detta polo vegetativo; in queste uova l’embrione si sviluppa dal polo animale. Il follicolo ooforo e l’ovulazione; Sin dal loro sviluppo iniziale gli oogoni sono avvolti da uno strato di cellule cubiche che formano il follicolo; queste cellule sono collegate all’oocita attraverso delle giunzioni comunicanti (gap o nexus) che permettono il passaggio di sostanze nutritive di basso peso molecolare e di segnali regolativi. Nella specie umana, alla nascita, è presente nell’ovaio un numero definito di oociti prinari bloccati nella profase della prima divisione meiotica ciascuno dei quali è circondato da uno strato unico di cellule appiattite che costituiscono il follicolo primordiale. A partire dalla nascita un certo numero di follicoli primordiali si evolve, le cellule proliferano formando più strati ed inoltre compare una cavità piena di liquido, il follicolo si è così trasformato da primordiale in follicolo antrale. Prima della pubertà tutti i follicoli antrali vanno incontro ad un processo degenerativo che coinvolge anche gli oociti in essi contenuti.

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Il processo porta alla formazione di un uovo maturo soltanto nella pubertà quando, l’ipofisi (una ghiandola) emette degli ormoni: le gonadotropine. Le principali in questo caso sono: l’ormone stimolante il follicolo o FSH e l’ormone luteinizzante o LH. L’effetto combinato di questi due ormoni porta all’accrescimento delle cellule della parete del follicolo antrale ed al loro differenziamento: lo strato a ridosso dell’oocita forma il cumulo ooforo l’altro periferico tappezza le pareti dell’antro follicolare e crea lo strato della granulosa. In questo stadio il follicolo è maturo (o follicolo di Graaf), l’oocita termina la prima divisione meiotica, genera il primo globulo polare e si trasforma in oocita secondario. Infine per l’aumento della pressione del liquido contenuto nella cavità antrale il follicolo si rompe lasciando libero l’oocita, un certo numero di cellule che costituivano il follicolo resta però collegato all’oocita attraverso un sottile prolungamento e costituisce la corona radiata. L’oocita di secondo ordine terminerà la sua seconda divisione meiotica solo se sarà fecondato da uno spermatozoo. A partire dalla pubertà ogni ventotto giorni matura un follicolo e si libera un oocita, questo processo è chiamato ovulazione ed è strettamente controllato dal rilascio in circolo di ormoni delle gonadotropine dell’ipofisi. L’azione più evidente esercitata dall’ormone LH è quella di separare le cellule follicolari dall’oocita scindendo le giunzioni comunicanti che le tenevano unite. Uno dei processi rimasti senza spiegazione è quello riguardante la selettività delle gonadotropine che fanno il modo che solo un follicolo alla volta possa giungere a maturazione. Gli oociti che maturano verso la fine del periodo fertile della donna, ovvero poco prima della menopausa sono rimasti bloccati nella prima fase della divisione meiotica per quaranta o cinquant’anni e questo spiega l’alta incidenza delle anomalie genetiche negli individui generati da madri in questa fase. Ad esempio la trisomia della parte terminale del braccio lungo del cromosoma 21 che porta al mongolismo è causata dalla non disgiunzione al momento della meiosi ed incide per oltre l’1% nelle madri oltre i quarant’anni. Il ciclo mestruale; Subito dopo l’ovulazione le pareti del follicolo collassano e, per azione dell’LH, proliferano riempiendo lo spazio che in precedenza era occupato dal liquido follicolare e dal cumulo ooforo. Questa struttura chiamata corpo luteo continua a sintetizzare - stimolata dall’LH - a produrre progesterone; inoltre in questa fase il corpo luteo è stimolato anche da un altro ormone la prolattina. Il progesterone agisce sulle pareti dell’utero preparando le condizioni più favorevoli all’annidamento dell’uovo fecondato, se questo però non avviene entro circa un paio di settimane, il corpo luteo degenera trasformandosi in una cicatrice bianca non funzionale detta corpo albicante. Le variazioni periodiche della secrezione ormonale provocano delle modificazioni istologiche nell’utero note come ciclo mestruale. Ogni ciclo dura in media 28 giorni. Inizia con la fase mestruale che dura da tre a sei giorni e, nella quale non essendoci stata fecondazione si ha il distacco e l’eliminazione di tutti gli strati della parete interna dell’utero, con l’eccezione dello strato basale. Nella fase proliferativa aumenta lo spessore della parete uterina per effetto degli estrogeni e nella fase luteinica si verifica l’ovulazione e la comparsa del corpo luteo che può poi trasformarsi in gravidanza se vi è fecondazione oppure in caso contrario si giunge ad una nuova fase mestruale.

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La spermatogenesi; Nei maschi della specie umana la proliferazione degli spermatogoni inizia nella pubertà e procede seppur in minor misura fino alla morte dell’individuo. Il processo avviene nei tubuli seminiferi che sono dei microscopici organi cavi del diametro di 200 - 250 micron e lunghi 40 - 80 cm. che avvolti a gomitolo formano i testicoli. Gli spermatogoni diploidi occupano la parte periferica dei tubuli seminiferi dove si riproduco continuamente per mitosi; in queste cellule un intero ciclo duplicativo dura 8 - 10 giorni. Mentre una parte degli spermatogoni si mantiene in ciclo (spermatogoni staminali o di tipo A), altri (spermatogoni di tipo B) si dividono ancora una volta e si differenziano in spermatociti primari. Gli spermatociti primari, entrano nella profase della prima divisione meiotica, appaiono i cromosomi omologhi, attuano il crossing - over e si dividono dando origine a due spermatociti secondari. Ciascuno di questi prosegue nella seconda divisione meiotica e danno origine a quattro spermatidi aploidi contenenti un cromatide dei ciascuno dei 22 autosomi ed il cromosoma Y o uno dei due X. A partire dallo stadio di spermatogonio di tipo B la divisione dei nuclei delle cellule in corso di maturazione non è accompagnata dalla relativa divisione dei citoplasmi venendosi così a creare un sincizio di cellule tra spermatociti e spermatidi. Questo fenomeno porta ad un doppio risultato: innanzitutto sincronizza la maturazione degli spermatozoi che vengono liberati in onde sincrone, in secondo luogo questa situazione favorisce il libero scambio di macromolecole tra uno spermatide e l’altro. Questo meccanismo permette inoltre la sopravvivenza anche di quegli spermatidi che hanno un allele mutato e non funzionante, il prodotto di quel gene mancante può infatti arrivare attraverso l’unico citoplasma da altri spermatidi funzionanti. La spermioistogenesi; Il processo finale della differenziazione delle cellule germinali maschili chiamato spermioistogenesi porta alla trasformazione degli spermatidi in spermatozoi. Lo spermatide è una cellula relativamente piccola (5-6 micron) costituita prevalentemente da eurocromatina e da una certa quantità di citoplasma. Vicino al nucleo è presente un apparato di Golgi e, a partire da quest’ultimo vengono formati numerosi piccoli granuli contenenti enzimi litici di tipo lisosomiale che confluiscono progressivamente in una vescicola chiamata acrosomica. Questa vescicola aderisce alla cisterna perinucleare in punto che diventerà l’apice del futuro spermatozoo. La vescicola aumenta le sue dimensioni e addossandosi sempre più al nucleo ne riveste i due terzi anteriori come un cappuccio (cappuccio acrosomico o acrosoma); contemporaneamente il nucleo si allunga e si appiattisce e la cromatina si condensa fino a raggiungere una struttura particolare; questa condensazione è dovuta alla sostituzione degli istoni dei nucleosomi con proteine basiche ricche di arginina tipiche degli spermatozoi e chiamate protamine. I centrioli migrano al polo cellulare opposto all’acrosoma disponendosi uno di fila all’altro; dal centriolo distale ha origine un flagello che progressivamente si allunga. Nello stesso periodo compaiono nel citoplasma dei microtubuli che si orientano a formare una struttura cilindrica chiamata manicotto della coda o manchette che contribuisce ad impartire al nucleo la forma definitiva in corrispondenza della zona dove si innesta il flagello ed inoltre orienta i mitocondri a formare una spirale attorno alla prima porzione del flagello. Lo spermatozoo è una delle cellule più differenziate del corpo umano.

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Misura 50 nm. di lunghezza ed è costituito da una testa lunga 5 e larga 3 micron e da una coda lunga 55 micron e di diametro variabile tra 1 e 0,1 micron. Tutto lo spermatozoo privo di citoplasma è rivestito dalla membrana plasmatica. La testa è ovoidale vista dall’alto e piriforme di profilo e contiene il nucleo, tra la cisterna perinucleare (priva di pori) e la membrana plasmatica è posto il cappuccio acrosomale. Tra la parte posteriore della testa ed il flagello è presente un breve segmento chiamato collo che contiene almeno un centriolo e che da’ l’inserzione ai microtubuli dell’assonema; la periferia del collo è occupata dai rigonfiamenti laterali chiamati capitelli originati dalle fibre dense che circondano l’assonema. La coda dello spermatozoo è caratterizzata per i primi 5-7 micron di lunghezza (porzione intermedia) da un rivestimento di mitocondri in grado di fornire l’ATP necessaria per il movimento della coda. La porzione intermedia termina con un anello detto annulus formato da materiale elettrondenso che blocca i mitocondri nella loro posizione impedendogli di slittare in basso. Il tratto tra l’annulus e il fondo della coda detto porzione principale è rivestito da una serie di semi-anelli fibrosi orientati in senso trasversale e tra loro paralleli che sono tenuti in posizione da due colonne longitudinali, una dorsale ed una ventrale. Il movimento della coda è generato dal reciproco slittamento dei doppietti di microtubuli che costituiscono la struttura assonemale. ESOCITOSI ED ENDOCITOSI; Esocitosi; La proprietà di riversare all’esterno macromolecole per esocitosi è tipica di tutte le cellule anche se è particolarmente evidente nelle cellule ghiandolari. Queste cellule periodicamente eliminano notevoli quantità di elaborati citoplasmatici come glicoproteine, collagene etc. Questa attività secretiva inizia nel RER dal quale gemmano delle vescicole che passano per l’apparato di Golgi e vanno poi verso la periferia cellulari sotto forma di vescicole di secrezione che sono convogliate fino alla membrana citoplasmatica dagli elementi contrattili del citoscheletro.

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A questo punto, i microfilamenti che costituiscono la trama periferica sono una barriera che può essere superata dalle vescicole solo grazie a variazioni della concentrazione di ioni Ca o con altre modifiche innescate spesso da segnali di tipo ormonale. Giunte in superficie le vescicole di secrezione si fondono con la membrana citoplasmatica iniziando il processo a partire dallo strato più esterno delle vescicole che si fonde con quello più interno della membrana plasmatica venendo a creare una provvisoria condizione pentalaminare al posto della tradizionale trilaminare. Attraverso tecniche di freeze-etching si è scoperto che nei punti di fusione tra le vescicole e la membrana plasmatica vi è una riorganizzazione delle particelle di membrana che si dispongono a formare rosette. La fusione delle membrane delle vescicole con quella del citoplasma determina un aumento di superficie di quest’ultima. La composizione proteica delle nuove aree è però diversa e si mantiene tale inoltre, sembra che queste aree siano ben presto ricoperte sulla loro faccia interna da molecole di clatrina e diventino le fossette rivestite che hanno un ruolo fondamentale nei processi di endocitosi con recettori. La gemmazione; E’ un processo che prevede l’eliminazione di porzioni di citoplasma e la successiva risaldatura tra gli strati interni della membrana. Al contrario del processo di esocitosi dove la superficie della membrana aumenta, in questo caso diminuisce. I diversi tipi di endocitosi; Con il termine endocitosi si raggruppano tre tipi diversi di assunzione di materiale dall’esterno da parte di una cellula, e sono: - La fagocitosi - La pinocitosi - L’endocitosi mediata da recettori La fagocitosi; E’ stata studiata nelle amebe e nei macrofagi. La fagocitosi è innescata dal contatto fra i grandi aggregati macromolecolari ed i recettori di membrana della cellula che esercita la fagocitosi. I macrofagi in particolare riconoscono solo i microrganismi già ricoperti da anticorpi. Delle osservazioni compiute con anticorpi marcati hanno permesso di stabilire che solo alcuni distretti della membrana plasmatica che sono muniti dei recettori, sono in grado di fagocitare; i recettori possono però spostarsi sulla superficie della membrana e all’occorrenza formare un cappuccio in grado di fagocitare particelle di grandi dimensioni. Una volta stabilito il contatto tra il recettore di membrana e la particella-ligando da digerire, la membrana citoplasmatica inizia ampi movimenti avvolgenti che avvolgono il ligando, gradualmente il citoplasma del fagocita si introflette e la particella viene inglobata. Il destino del materiale fagocitato è quello di essere degradato dai lisosomi. Questo processo richiede un gran dispendio di energia ottenuta sotto forma di idrolisi di ATP. La pinocitosi; E’ l’assorbimento aspecifico di particelle diluite in un fluido e si distingue in macro-pinocitosi e micro-pinocitosi in base al diametro delle goccioline penetrate ed in base all’entità delle modificazioni della membrana cellulare.

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- Nella macropinocitosi che è visibile in microscopia luce, le goccioline hanno una diametro minimo di 0,2 micron e vengono inglobate con un processo simile alla fagocitosi sia pure in scala ridotta e richiede un grande consumo di energia. - Nella micro-pinocitosi che è evidenziabile solo in microscopia elettronica, le goccioline assorbite hanno un diametro medio di 65 nm. e penetrano all’interno della cellula attraverso aperture tubolari dette caveole al cui termine nasce la vescicola pinocitotica che trasporta il liquido all’interno della cellula. Molte delle attività di pinocitosi richiedono la presenza di recettori di membrana che riconoscano e selezionino il materiale da ingerire e per questo rientrano nei meccanismi di endocitosi mediata da recettori. L’endocitosi mediata da recettori; Nella pinocitosi le fossette dalle quali inizia l’assorbimento del materiale da inglobare nella cellula sono chiamate fossette rivestite (coated pits). Nei fibroblasti in coltura, fino al 2 % della superficie della membrana citoplasmatica è costituita da queste fossette (dal lato rivolto verso il citoplasma) e, sono queste stesse strutture che, quando inizia l’assorbimento delle particelle, vengono assorbite nel citoplasma creando le vescicole rivestite (coated vesicles). Il materiale eletterondenso che riveste le fossette e le vescicole è di natura proteica e la più comune tra le proteine che lo costituisce è la clatrina (PM = 180.000 dalton) insieme ad un polipeptide minore (PM = 35.000 dalton). La clatrina forma dei polimeri chiamati trisceli (triskelion) e ciascuno di questi polimeri contiene tre molecole di clatrina e tre molecole del polipeptide minore per un peso molecolare totale di 630.000 dalton. In vitro (e probabilmente anche in vivo) i trisceli si assemblano a loro volta fra loro a formare delle strutture “a paniere” con maglie pentagonali ed esagonali che obbligano la membrana plasmatica delle fossette a ripiegarsi verso il citoplasma formando le vescicole. La polimerizzazione della clatrina ed i successivi fenomeni che ne conseguono sono innescati dal contatto tra i recettori posti sulla membrana cellulare ed i rispettivi ligando; le vescicole rivestite di clatrina vagano nel citoplasma della cellula che ha effettuato l’endocitosi fondendosi poi tra loro per formare gli endosomi e perdendo il rivestimento di clatrina che può poi tornare in superficie per essere riutilizzata. L’endosoma in seguito acquista un aspetto piriforme (a forma di pera !!!) e prende il nome di vescicola CURL (cioè compartimento dove avviene la dissociazione tra recettore e ligando). La porzione tubolare del CURL è ricca di recettori ormai liberi dei ligandi che si trovano dispersi nella fase fluida nella porzione sferica del CURL; ad un certo punto la parte tubolare si stacca dal resto della vescicola e ritorna in superficie riciclando così sia i recettori che una porzione di membrana plasmatica. La porzione rotondeggiante della vescicola CURL resta libera nel citoplasma, si fonde con un lisosoma primario ed origina un lisosoma secondario con la conseguente degradazione dei ligandi da parte degli enzimi lisosomiali.

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LE PROPRIETA’ ELETTRICHE DELLE MEMBRANE E L’IMPULSO NERVOSO; Le membrane sono eccitabili; Come si è già detto le cellule sono in grado di scambiarsi informazioni per contiguità attraverso particolari canali o a distanza attraverso segnali di natura ormonale.

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Esiste inoltre un sistema di cellule la cui funzione è il coordinamento delle altre cellule: il sistema nervoso. Le cellule coinvolte sono le cellule nervose o neuroni la cui proprietà principale è quella dell’eccitabilità della loro membrana citoplasmatica. Tale proprietà è basata sulla distribuzione asimmetrica delle cariche elettriche tra la superficie interna e quella esterna della membrana. La modificazione localizzata di questo stato fisico detto di riposo “eccita” la membrana in una zona limitata traducendosi poi in una serie di eventi molecolari localizzati capaci di propagarsi a distanza ovvero generando un impulso. L’eccitabilità della membrana citoplasmatica è presente in tutte le cellule solo che viene utilizzata in modo diverso, ad esempio per la creazione di risposte intracellulari come possono essere la generazione di movimento o la secrezione. La morfologia del neurone; Il neurone è costituito da una parte centrale chiamata corpo cellulare o soma o pericarion che contiene il nucleo e, da una serie di prolungamenti di lunghezza variabile. I più brevi che generalmente sono i più ramificati sono chiamati dendriti mentre il più lungo che è sempre unico è chiamato assone o neurite. Il neurone riceve dei segnali attraverso i dendriti ed il corpo cellulare e li ritrasmette lungo l’assone fino alla periferia; qui il lungo prolungamento termina con una minuscola espansione a forma di clava chiamata bottone terminale che entra in contatto con un dendrite o con un corpo cellulare di un altra cellula di varia natura. I bottoni terminali che prendono contatto con un altro neurone o con una cellula della muscolatura striata creano una struttura che controlla la trasmissione dell’impulso chiamata sinapsi. La struttura del neurone è molto polarizzata cosicché l’impulso viene propagato in un’unica direzione: dai dendriti al corpo cellulare e da questo all’assone. Le cellule nervose vengono classificate secondo la loro forma in neuroni: - Multipolari: quando hanno un assone e molti dendriti brevi e molto ramificati. - Bipolari: con un unico dendrite che emerge dal corpo cellulare dalla parte opposta a quella dove emerge l’assone. - Pseudo-unipolari: apparentemente privi di dendrite, hanno un unico prolungamento che si biforca nelle vicinanze del corpo cellulare in una parte destinata ad assone ed una a dendrite. Esiste poi anche la classificazione del Golgi che è così suddivisa: - Tipo I: con assone molto lungo. - Tipo II: con assone breve. I multipolari / tipo I comprendono i cosiddetti motoneuroni che conducono l’impulso dal sistema nervoso centrale ai muscoli e controllano il movimento. I bipolari sono situati prevalentemente negli organi di senso periferici: occhio, orecchio etc. Gli pseudo-unipolari sono i neuroni sensitivi che portano gli impulsi delle sensazioni tattili, termiche e dolorifiche dai recettori periferici al centro tramite il lungo dendrite e li fanno arrivare tramite l’assone al sistema nervoso centrale. Il corpo cellulare e i dendriti;

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Il corpo cellulare (o pirenoforo) nella maggior parte delle cellule nervose è molto voluminoso, è infatti nel citoplasma dove hanno luogo la sintesi della maggior parte delle proteine contenute nei prolungamenti. Si calcola che il volume dei prolungamenti possa superare di centinaia di volte quello del corpo cellulare, ad esempio l’assone di alcuni motoneuroni del midollo spinale hanno una lunghezza che può superare il metro !!! Proprio per la sintesi delle proteine il citoplasma è pieno di ribosomi e di cisterne di reticolo endoplasmatico ed è proprio l’alta concentrazione di rRNA a creare il cosiddetto corpo di Nissl ovvero a creare la cosiddetta sostanza cromofila o tigroide. I dendriti sono generalmente multipli ed emergono da vari punti del corpo cellulare, sono relativamente brevi e si ramificano più volte proprio in vicinanza del pirenoforo. La loro superficie è rivestita da una serie di appendici tozze chiamate spine sulle quali formano sinapsi. Il citoplasma contenuto nei dendriti è identico a quello del corpo cellulare e, contiene tutti gli organelli escluso però l’apparato di Golgi. La funzione principale dei dendriti è quella di incrementare enormemente la superficie disponibile per ricevere contatti sinaptici. L’assone; L’assone è di solito unico. Origina da una protuberanza chiamata cono di emergenza e, oltre per la lunghezza si distingue dai dendriti per la mancanza di spine. Il citoplasma dell’assone è molto diverso da quello del pirenoforo e dei dendriti in quanto contiene i neurofilamenti, polimeri di 10 nm. di spessore formati da almeno tre subunità proteiche di 200.000, 150.000 e 68.000 dalton. I neurofilamenti collegati tra loro da sottili appendici laterali, formano con i microtubuli qui particolarmente abbondanti una struttura in grado di mantenere la struttura cilindrica all’assone. Neurofilamenti e microtubuli vengono impropriamente chiamati anche neurotubuli e sono presenti in tutto il citoplasma compreso quello del pirenoforo (da dove originano) e nei dendriti. Abbondanti sono anche i mitocondri mentre sono assenti mRNA, ribosomi e REG; infatti la maggior parte delle molecole presenti nell’assone vengono sintetizzate nel pirenoforo e riescono a raggiungere anche le parti più lontane dell’assone grazie al flusso assonico o attraverso il trasporto assonico. Il flusso assonico è un processo unidirezionale che sospinge molto lentamente lungo l’assone le macromolecole con un meccanismo detto di vis a tergo (è paragonabile alla spremitura di una pasta da un tubetto). Le molecole così spostate, che sono prevalentemente le strutture del citoscheletro, viaggiano alla velocità di 1-5 mm. al giorno. Il trasporto assonico è invece un processo bidirezionale molto più veloce del flusso assonico e compiuto attraverso l’utilizzo di piccole vescicole. Dentro a queste vescicole o incorporate nelle pareti delle stesse vengono trasportate, ad una velocità di 200-250 mm. al giorno, le proteine della membrana plasmatica e gli enzimi per la sintesi delle molecole coinvolte nella trasmissione dell’impulso attraverso la sinapsi. Il flusso di “ritorno” verso il corpo cellulare riporta allo stesso sostanze da eliminare o da riutilizzare e sostanze assunte per endocitosi dallo spazio extracellulare posto intorno al bottone terminale.

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Il meccanismo che permette il trasporto nei due sensi di queste vescicole sembra sia reso possibile dalla sorta di rotaia che i neurotubuli o i neurofilamenti formano subito al di sotto della membrana plasmatica dell’assone. Le vescicole sono trascinate lungo queste rotaie dall’azione antagonista di molecole di dineina (che “tirano”) e di kinesina (che “spingono”). Le sinapsi; Il punto di contatto funzionale dove avviene la trasmissione del segnale nervoso è la sinapsi. La prima funzione della sinapsi è quella di conferire una direzione all’impulso nervoso, infatti il segnale di per sé potrebbe viaggiare in qualunque direzione lungo la rete di prolungamenti nervosi. Questo però non avviene perché le sinapsi sono strutture estremamente polarizzate ed architettate in modo da permettere il passaggio del segnale solo in un senso: dal bottone terminale dell’assone del primo neurone detto neurone presinaptico ad un punto prospiciente sul dendrite o sul pirenoforo del secondo neurone detto postsinaptico. La seconda funzione della sinapsi è quella di controllare l’intensità e la progressione dei segnali nervosi che si propagano lungo i circuiti nervosi. Esistono a questo scopo sinapsi eccitatorie che trasmettono l’impulso da un neurone al successivo e sinapsi inibitorie che rendono il neurone “bersaglio” o parte di esso insensibile agli stimoli nervosi. Il numero delle sinapsi di cui è dotato un neurone è in genere molto alto, ad esempio i motoneuroni della corteccia cerebrale ne hanno migliaia, altre grosse cellule del cervelletto (cellule di Purkinje) ne hanno decine di migliaia. La sede delle sinapsi può essere il corpo cellulare (sinapsi asso-somatiche), i dendriti (sinapsi asso-dendritiche) oppure si possono trovare tra il bottone terminale di un assone e la parete di un altro assone (sinapsi asso-assoniche). Le sinapsi asso-somatiche e le asso-dendritiche sono prevalentemente di tipo eccitatorio mentre le asso-assoniche sono di tipo inibitorio. L’architettura generale è però comune a tutte le sinapsi. Il bottone terminale del neurone presinaptico si avvicina alla membrana plasmatica del neurone postsinaptico fino alla distanza limite di 20-30 nm. Lo spazio libero presente tre queste due parti prende il nome di camera sinaptica e, da un lato è delimitata dalla membrana del bottone detta presinaptica e dall’altro dalla membrana del pirenoforo o di un dendrite detta postsinaptica. La camera sinaptica è sigillata all’interno da cellula gliali. All’interno del bottone terminale il citoplasma è privo di neurofilamenti che si sono arrestati bruscamente o si sono richiusi su se stessi ad anello nella zona di passaggio tra assone e bottone terminale. Sono invece molto abbondanti i mitocondri. Caratteristica è la presenza di numerose piccole vescicole di 20-65 nm. di diametro che si affollano in corrispondenza della faccia interna della membrana presinaptica. La trasmissione avviene nel momento in cui la membrana delle vescicole si fonde con quella presinaptica con la conseguente liberazione del contenuto di neuromediatori. Il neuromediatore agisce sulla membrana postsinaptica rigenerando l’impulso se si tratta di sinapsi eccitatorie o, prevenendone lo stimolo se sono sinapsi inibitorie. Dal punto di vista strutturale le sinapsi eccitatorie hanno una membrana postsinaptica molto spessa ed una grande camera sinaptica a volte piena di un materiale scarsamente elettrondenso, le sinapsi inibitorie hanno caratteristiche opposte.

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Questo non è però vero in assoluto. Le sinapsi che si instaurano tra gli assoni dei motoneuroni e le fibre muscolari striate assumono una struttura particolare e vengono chiamate placche motrici. In questo caso gli assoni, venuti in contatto con la superficie delle cellule muscolari, perdono il rivestimento che li aveva accompagnati in tutto il loro tragitto sotto forma di nervi e, si ramificano in sottili prolungamenti ognuno terminante con un rigonfiamento “a clava” dando una struttura detta arborizzazione terminale. Al di sotto di ognuno di questi rigonfiamenti la membrana plasmatica della cellula muscolare si introflette numerose volte per aumentare la superficie. In questo modo lo spazio occupato dalla camera sinaptica è particolarmente ampio ed inoltre è occupata da uno strato continuo di materiale finemente granulare debolmente elettrondenso. Questo materiale ha una composizione simile a quella delle membrane basali e contiene molecole di collagene polimerizzate in maniera particolare ed associate con legami covalenti a molecole di acetil-colinesterasi, un enzima in grado di attivare il neuromediatore acetilcolina. In corrispondenza dei punti apicali delle invaginazioni della membrana postsinaptica sono contenute numerose particelle intramembranose evidenziabili con tecniche di criodecappaggio. Sono in numero piuttosto abbondante (4-6000 per micron 2) e sono costituite da un complesso di proteine capaci di legare specificamente l’acetilcolina e di essere attraversate da cationi. La membrana plasmatica nel neurone ed il potenziale di riposo; La membrana dei neuroni non ha una struttura diversa dalle membrane delle altre cellule ma ha un numero particolarmente abbondante di pompe e di canali per gli ioni sodio, potassio ed altri. La membrana plasmatica di tutte le cellule contiene una permeasi che pompa attivamente ioni sodio all’esterno della cellula e ioni potassio all’interno. Questa permeasi è un grossa proteina (PM = 275.000 dalton) dotata di attività ATPasica e per questo chiamata Na-K-ATPasi o pompa del sodio. Misura 6 x 8 nm. ed attraversa le strutture fosfolipidiche da parte a parte; le cellule nervose ne contengono 200 o 300 per micron quadrato. Si calcola che un neurone di piccole dimensioni abbia non meno di un milione di ATPasi in grado di trasferire attraverso la membrana circa 300 milioni di ioni al secondo; conseguenza di tale attività è che la concentrazione di sodio al di fuori della cellula è 10 volte più alta di quella interna mentre la concentrazione interna di potassio è 27 volte superiore a quella extracellulare. Oltre alla pompa del sodio esistono nella membrana dei neuroni anche dei canali per il sodio e per il potassio la cui esatta natura molecolare è ancora ignota. Il canale per il sodio è formato da una proteina di peso molecolare superiore ai 250.000 dalton; il diametro del canale è di 0,4 x 0,6 nm. e attraverso questa apertura può passare solo uno ione alla volta associato ad una molecola d’acqua. Il canale per il potassio è un po’ più piccolo con un diametro di 0,3 nm. attraverso il quale lo ione è in grado di passare solo se allo stato non idratato. Questi canali sono forniti di porte che aprendosi e chiudendosi regolano il passaggio degli ioni.

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Il meccanismo che controlla l’apertura di queste porte non è ben chiaro ma è probabile che si tratti di un piccolo movimento dei radicali polari degli amminoacidi prospicienti verso il lume. La porta può aprirsi o chiudersi per effetto di variazioni di un campo elettrico locale e in questo caso si ha una porta elettrica o per effetto del legame con una molecola specifica e si ha una porta chimica. I canali a porta elettrica sono distribuiti lungo tutta la membrana del neurone, dei dendriti e dell’assone mentre, i canali a porta chimica si trovano esclusivamente nelle zone di membrana postsinaptiche. In condizioni di riposo i canali per gli ioni sodio sono chiusi mentre quelli per gli ioni potassio sono parzialmente aperti infatti, per effetto del gradiente creato dalla Na-K-ATPasi gli ioni potassio tendono ad uscire all’esterno attraverso i loro canali selettivi. La fuoriuscita degli ioni potassio che hanno carica positiva crea un gradiente negativo all’interno della cellula che si oppone all’uscita dello stesso potassio fino a quando il gradiente di concentrazione e quello elettrico si equilibrano seconda la Legge di Nerst. In tali condizioni di equilibrio si genera una prevalenza di cariche positive non compensate all’esterno del neurone che origina un potenziale elettrico detto di riposo. L’impulso nervoso: generazione e propagazione del potenziale d’azione; Gli impulsi nervosi sono segnali elettrici generati da improvvise e brusche variazioni di permeabilità agli ioni sodio in aree ristrette della membrana. Gli stimoli che generano gli impulsi possono essere di natura elettrica o chimica ed operano sui canali selettivi dello ione sodio. Come si è detto questi canali in condizioni di riposo sono chiusi, solo in seguito ad uno stimolo (elettrico o chimico), le porte (elettriche o chimiche) di un tratto limitato di membrana si aprono permettendo un rapido e massiccio ingresso di sodio sotto la spinta del gradiente elettrochimico. Nel tratto interessato la permeabilità al sodio aumenta circa 600 volte e questo porta ad una inversione della polarità del gradiente elettrico tra le due superfici della membrana plasmatica nella zona interessata al fenomeno, creando quello che viene definito potenziale d’azione. La durata del potenziale d’azione nella ristretta zona interessata al fenomeno è molto ridotta, pari ad un millesimo di secondo, in questo breve intervallo di tempo la permeabilità al sodio decresce rapidamente mentre quella al potassio aumenta altrettanto rapidamente. In questo modo lo stesso stimolo che aveva provocato la permeabilità al sodio determina con un leggero ritardo la chiusura delle permeasi per questo stesso ione. Dopo poco più di un millesimo di secondo i canali del sodio tornano ad essere chiusi !!! I canali del potassio sono anch’essi sensibili alle variazioni di un campo elettrico, per questo motivo quando la membrana viene depolarizzata dall’ingresso del sodio, i canali del potassio che in posizione di riposo sono semiaperti, si aprono del tutto. In questo modo, fuoriuscendo, gli ioni potassio possono rapidamente bilanciare l’entrata degli ioni sodio riportando la membrana al suo potenziale di riposo. In ogni caso però la generazione dell’impulso è resa possibile dal ritardo della risposta dei canali potassio. Durante la generazione del potenziale d’azione entrano nella zona limitata di membrana 8500 ioni sodio che invertono la polarità e, un millisecondo dopo 8000 ioni potassio fuoriescono per riequilibrare il potenziale.

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Il meccanismo della propagazione del potenziale d’azione è così schematizzabile: nel punto dove si è verificata l’iniziale inversione di polarità, un tratto di membrana citoplasmatica presenta un accumulo di cariche positive all’interno e di cariche negative all’esterno. Si crea quindi una differenza di potenziale tra questa zona della membrana e quelle limitrofe dove la situazione delle cariche è quella opposta; tra questi punti si generano delle correnti elettriche che agiscono sui canali ionici a porta elettrica posti nelle zone vicine ricreando la situazione che si era avuta all’atto del primo stimolo. L’impulso nervoso viaggia sempre in una sola direzione perché la membrana che è refrattaria per un certo periodo di tempo a nuovi stimoli, non permette il processo inverso. La trasmissione chimica dell’impulso attraverso la sinapsi; Propagandosi come fino ad ora si è spiegato, l’impulso corre lungo l’assone fino a giungere ai bottoni terminali caratterizzati da terminazioni globose a forma di clava. In questa zona le espansioni globose contengono numerose vescicole addossate alla membrana presinaptica, contenenti un mediatore chimico. La membrana presinaptica contiene un gran numero di canali selettivi per gli ioni calcio che in condizioni di riposo risultano chiusi dalle loro porte elettriche; la concentrazione degli ioni calcio anche in questa zona è molto bassa per effetto di una pompa del calcio metabolica che pompa gli ioni all’esterno. L’arrivo di un potenziale d’azione agisce da stimolo e provoca l’apertura dei canali del calcio e l’entrata dello ione all’interno della cellula spino da un gradiente chimico ed elettrico. Attraverso meccanismi ancora non completamente chiari lo ione calcio provoca la fusione della membrana delle vescicole con la membrana presinaptica e la conseguente apertura delle prime nella camera sinaptica. Il mediatore chimico contenuto nelle vescicole si riversa così sulla superficie esterna della membrana postsinaptica de neurone successivo. La vescicola vuota si richiude e viene respinta all’interno della cellula per essere di nuovo riempita di mediatore chimico. Quando il potenziale d’azione della membrana presinaptica si esaurisce, i canali del calcio si chiudono e lo ione viene rapidamente pompato fuori. Nella giunzione neuromuscolare (placca motrice) il canale permette il passaggio sia degli ioni sodio che degli ioni potassio, in questo modo due molecole di mediatore attivando un singolo canale, sono in grado di permettere l’ingresso di 20.000 ioni sodio e l’uscita di altrettanti ioni potassio spostando il potenziale della membrana postsinaptica ad un valore medio tra quelli del sodio e del potassio pari a - 15 mV. Il mediatore chimico nella sinapsi neuro muscolare è l’acetilcolina e il suo recettore è una proteina oligomerica formata da quattro subunità (alfa, beta, gamma e delta) con pesi molecolari di 40.000, 50.000, 60.000 e 65.000 dalton. Il recettore completo è formato da due subunità alfa e da una ciascuna delle altre unità; è di forma ovoidale e misura 11 nm. di lunghezza e 8,5 nm. di diametro, al suo interno è presente un canale di 0,8 nm. di diametro. All’apertura delle vescicole circa 10 4 molecole di acetilcolina vengono rilasciate nella camera sinaptica, l’80 % di queste molecole si lega ai recettori e provoca l’apertura dei canali. Le sinapsi eccitatorie tra neuroni funzionano nello stesso modo solo che vengono coinvolti anche altri ioni come lo ione cloro.

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Nelle sinapsi inibitorie il neurotrasmettitore si lega sempre a dei recettori presenti nella membrana postsinaptica ma il recettore in questo caso è un canale per il potassio ed il cloro. L’apertura del canale comporta perciò che gli ioni potassio possono uscire dalla cellula senza però far entrare sodio. In questo modo il potenziale sale ancor di più fino ad arrivare a - 90 mV anche se poi si assesta a - 80 mV grazie all’uscita del cloro (negativo) ed inibisce la trasmissione. Struttura e proprietà della permeasi a porta elettrica; Attraverso tecniche di cromatografia di affinità è stato possibile isolare i canali a porta elettrica del sodio e del calcio mentre, la struttura del canale potassio è stata dedotta dalla codificazione del relativo gene della Drosophila. Il Canale del Na+ è formato da una singola catena polipeptidica di 1800-2000 amminoacidi del peso molecolare di 250-270.000 dalton. Contiene quattro “dominii” omologhi che si ripetono uniti da altrettanti segmenti non omologhi; ognuno dei quattro segmenti maggiori è formato da 300 amminoacidi e contiene sei eliche che attraversano la membrana altrettante volte. Il Canale del Ca++ ha una struttura analoga; la struttura è molto simile a quella del canale sodio con un 30 % di identità in posizioni definite. Il Canale del K+ è formato da quattro catene polipeptidiche separate ed identiche fra loro. Ognuna è formata da 600 amminoacidi e presenta analogie strutturali ed omologie di sequenza con ciascuno dei quattro dominii che formano i canali del sodio e del calcio. Anche le subunità di questo canale contengono le sei eliche transmembrana. Nel caso dei canali sodio e calcio si ritiene che l’apertura sia ottenuta dalla disposizione concentrica nel piano dei quattro gruppi di sei eliche contenuti in una singola catena polipeptidica. Il canale potassio si crede sia creato invece dalla giustapposizione di quattro catene polipeptidiche identiche. In tutti e tre i canali la porta elettrica che regola il transito degli ioni è costituita dalla quarta delle sei eliche che attraversano la membrana citoplasmatica; in questa elica in ogni terza posizione è presente un residuo di Lisina o di Arginina carico positivamente che sporge all’interno del canale, il movimento di questi residui carichi genera un cambiamento di forma dell’intera proteina che si traduce nell’apertura del canale. Le analogie strutturali dei tre canali fanno si che li si possa ricondurre ad un unico gene evolutivo. I mediatori chimici; Le cellule nervose di natura diversa usano neurotrasmettitori differenti. Fino ad oggi i neuromediatori sicuramente identificati sono meno di una decina. Nei motoneuroni l’acetilcolina è il mediatore più noto ed è localizzato nei bottoni terminali che innescano la contrazione della cellula muscolare striata. L’acetilcolina viene sintetizzata all’estremità dell’assone a partire da acido acetico p molecole di colina per l’azione di un singolo enzima detto colino-acetil-transferasi. Questo enzima viene invece sintetizzato nel corpo cellulare e viene trasportato fino al bottone terminale attraverso il flusso assonico. Una volta riversata nella camera sinaptica l’acetilcolina viene rapidamente distrutta dall’enzima

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acetilcolina-esterasi e la colina residua viene assorbita per pinocitosi dalla membrana presinaptica per essere poi riutilizzata. Nelle sinapsi eccitatorie poste tra i neuroni del sistema nervoso centrale sono invece differenti dalla acetilcolina. Due di questi sono gli amminoacidi acido glutammico e acido aspartico. Nelle sinapsi inibitorie i mediatori più comuni sono invece l’acido gamma-amino-butirrico (o GABA) e la glicina. Il GABA viene sintetizzato nella terminazione dell’assone a partire dalla glutamina che viene trasformata in acido glutamico dall’enzima glutaminasi e quindi in GABA da una glutamato-decarbossilasi (GAD). La distruzione del GABA dopo che è stato riversato all’interno della camera sinaptica non avviene ad opera di uno specifico enzima come nel caso dell’acetilcolinesterasi bensì in parte viene riassorbito dalla membrana presinaptica ed in parte dalla cellula gliali. Queste ultime assorbono il GABA, lo trasformano prima in acido glutamico poi in glutamina e lo restituiscono al bottone terminale dell’assone per essere riciclato nuovamente in GABA. Tutti i neurotrasmettitori fin qui elencati sono chiamati ionotropi in quanto agiscono direttamente o indirettamente su un canale ionico della membrana postsinaptica. Esistono però anche neurotrasmettitori detti metabotropi che danno risposte di tipo diverso nella cellula bersaglio. Questi trasmettitori si legano anch’essi ad uno specifico recettore posto sulla membrana postsinaptica ma inducono reazioni nella seconda cellula che vengono controllate da secondi messaggeri intracellulari come nucleotidi ciclici (cAMP), diacilglicerolo e Inositolo-3-fosfato. Le tre molecole agiscono attivando altrettanti enzimi citoplasmatici, rispettivamente: la proteina cinasi-A, proteina cinasi-B e Calcio-Calmodulina dipendente. E’ evidente che la risposta ai neurotrasmettitori metabotropi è più lenta rispetto a quella degli ionotropi, ma è anche vero che è più duratura ed ampia. Un trasmettitore metabotropo è la noradrenalina molto utilizzata dai neuroni del sistema nervoso autonomo (o sistema neurovegetativo). La noradrenalina viene sintetizzata a partire dalla tirosina (un aminoacido) che si converte in idrossi-fenilalanina (DOPA) per azione dell’enzima tirosina-idrossilasi. La DOPA viene decarbossilata a dopamina ed infine trasformata in noradrenalina dall’enzima dopamina-B-idrossilasi. Alla superficie della membrana postsinaptica la noradrenalina si lega ad un recettore specifico detto adrenergico, il complesso formato da noradrenalina e recettore attiva una proteina G, l’enzima adenilatociclasi e la conseguente creazione di cAMP intracellulare. L’azione della noradrenalina è interrotta è interrotta dall’enzima catecol-O-metiltransferasi (COMT) che inattiva il trasmettitore. La parte di noradrenalina inutilizzata viene riassorbita dal bottone terminale per essere poi riutilizzata. Tra i neuromediatori poco conosciuti vi sono i neuropeptidi. Un neuropeptide è la cosiddetta sostanza-P che sembra sia coinvolto nella trasmissione sinaptica tra i neuroni che conducono il dolore. Altri due neuropeptidi noti sono le encefaline: met-encefalina e leu-encefalina, la prima contiene metionina e la seconda leucina. Questo trasmettitori controllano le sensazioni del dolore con effetti inibitori ed agiscono con un meccanismo di azione analogo a quello di altri neuropeptidi ad azione analgesica come le endorfine.

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IL MOVIMENTO AMEBOIDE; E’ una caratteristica posseduta, oltre che dalle amebe, dai fibroblasti (del tessuto connettivo) e dai leucociti quando abbandonano il sangue. Il movimento è dato da continue modificazioni del citoscheletro e, la direzione dello spostamento è stabilita da segnali chimici. Il movimento ameboide si può dividere in tre fasi: 1 ) Si forma lo pseudopodio (di forma rotondeggiante) o il lamellipodio (di forma piatta) che stabilisce la direzione di spostamento. 2 ) Fase di adesione del prolungamento alla superficie sulla quale si muove la cellula. 3 ) Traslocazione della massa cellulare. Formazione del prolungamento (pseudopodio o lamellipodio); Questa formazione è dovuta a polimerizzazione di filamenti di actina. L’actina utilizzata deriva da una zona posteriore rispetto alla direzione di marcia della cellula, detta uropodio. Questa actina, in parte in forma G ed in parte in forma F segmentata, avanza verso il prolungamento. E’ la trasduzione del segnale chimico a dare il via alla sintesi di actina. Naturalmente, a mano a mano che i filamenti vengono sintetizzati, l’actina (per l’effetto mulinello) scorre dal polo + a quello -; ad un certo punto viene liberata e ritorna nell’uropodio per essere riutilizzata. Questi spostamenti di actina nel citoplasma vengono definite correnti citoplasmatiche. Fase di adesione dei prolungamenti sulla superficie di appoggio; Questa fase si è studiata in vitro su dei fibroblasti (del tessuto connettivo). Si è osservato che nella membrana plasmatica vi sono delle proteine dette integrine che dopo aver interagito con molecole poste all’esterno della cellula, trasducono dei segnali. Queste molecole sono costituite dalla fibronectina che, dopo che ha interagito con le integrine, porta alla sintesi di filamenti di actina nel punto dove si verifica l’adesione (placca di adesione); i filamenti ottenuti sono paralleli e tenuti vicini da ponti di alfa - actinina. All’interno di questo processo vi sono una serie di molecole che fingono da intermediario. Abbiamo la talina che interagisce con la vinculina che a sua volta interagisce con l’alfa - actinina. L’alfa - actinina interagisce infine con l’actina F dando luogo alla sintesi dei filamenti. L’estremità + di tali filamenti è mascherata da proteine cappuccio. Tutto questo insieme di fibra parallele è definito fibra da tensione o da stress. A volte tra i filamenti di actina è presente della miosina tipo II che aumenta la tensione del sistema. Quando la cellula si rimette in movimento vi è il distacco dei punti di adesione a partire dal punto iniziale che forma il prolungamento.

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Traslocazione della massa cellulare; Vi sono due ipotesi che probabilmente si realizzano contemporaneamente. Secondo la prima è l’actina corticale ad interagire con la miosina provocando lo scorrimento dei filamenti e dando quindi una spinta alla massa cellulare. L’altra ipotesi è che vi sia una trazione da parte del citoscheletro del prolungamento sempre grazie a delle interazioni tra actina e miosina. I fillopodi; Sulla superficie della membrana che costituisce il prolungamento (pseudopodio o lamellipodio) sono presenti delle piccole estroflessioni lunghe e sottili chiamate fillopodi dove l’actina è organizzata in fasci paralleli che però, non hanno il compito di spostare la cellula. Sembra che la loro funzione sia di raccolta di segnali dall’ambiente esterno. L’osservazione in vivo del movimento ameboide; In vivo non si sa se il meccanismo di aggancio alla superficie è così complicato come nel caso dei fibroblasti; inoltre in vivo ed in altre cellule, le fibre da stress non sono così evidenti come nei fibroblasti. Osservando la cellula al microscopio ottico (anche se fissata), è possibile capire se si sta muovendo osservando la disposizione dell’actina. Infatti se la cellula è ferma vediamo chiaramente l’actina organizzata in fasci (fibre da stress) mentre se è in movimento non sono evidenti. Il particolare tipo di movimento delle cellule nervose; Durante il differenziamento della cellula nervosa, si ha l’allungamento dell’assone che cessa di allungarsi solo quando ha raggiunto la cellula obbiettivo. Durante questo allungamento non mantiene sempre la stessa direzione proprio perché cerca la cellula bersaglio. Man mano che avanza l’assone forma alla sue estremità un lamellipodio dalla forma molto irregolare (detto cono d’accrescimento) che emette dei prolungamenti che hanno lo scopo di determinare dov’è l’obbiettivo. Il lamellipodio è costituito da uno scheletro tridimensionale di actina in forma F che si muove grazie ad un segnale chimico proveniente dalla cellula bersaglio. IL CITOSCHELETRO DEI GLOBULI ROSSI; Sulla membrana dei globuli rossi sono presenti diverse proteine tra le quali la banda 3 che trasporta anioni all’interno della cellula, e la glicoforina. Il citoscheletro dei globuli rossi è molto semplice ed è costituito dalla spectrina assemblata in tetrameri che si associano tra loro per dare una rete con maglie triangolari o quadrangolari. Nei punti nodali di ogni maglia è presente un breve filamento di actina. La spectrina interagisce poi con l’anchirina che si lega alla banda 3, mentre nei punti nodali è presente un’interazione con una proteina detta banda 4.

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I DISPOSITIVI DI GIUNZIONE (ATTRAVERSO I QUALI LE CELLULE INTERAGISCONO TRA LORO); Questo tipo di dispositivi sono molto sviluppati nelle cellule che formano i tessuti epiteliali, ma sono presenti anche in altre cellule. Questi dispositivi si possono classificare sulla base della loro attività funzionale: 1 ) Giunzioni occludenti (o giunzioni tight) 2 ) Giunzioni aderenti: divise in zone aderenti (per l’ancoraggio tra cellule) e desmosomi (per l’ancoraggio tra cellule e molecole) 3 ) Giunzioni comunicanti (o giunzioni GAP o Nexus) Le giunzioni occludenti; Limitano la mobilità delle proteine transmembrana a certi settori della cellula. Si trovano nel punto di contatto tra le cellule epiteliali ed in prossimità della superficie libera. Queste giunzioni creano due settori a diversa composizione chimica uno dei quali (quello al di sotto della membrana basale) è controllabile dalla cellula. Determinano in sostanza una polarità funzionale della cellula. Un altro compito delle giunzioni occludenti è quello di impedire l’accesso a piccole molecole od a ioni attraverso lo spazio intercellulare. Osservando i punti di giunzione al microscopio elettronico si dovrebbero osservare 6 strati distinti corrispondenti all’adesione delle due membrane, invece se ne osservano solo 5. Questo fenomeno, inizialmente attribuito alla fusione delle membrane, è invece dovuto alla presenza di proteine transmembrana unite a due a due ed a una particolare conformazione della parete lipidica che favorisce il fenomeno. Si viene in questo modo ad avere una sorta di struttura a rete (o a cerniera). Questo tipo di giunzioni sono sensibili alle variazioni di concentrazione di ioni Calcio cioè, se la concentrazione dovesse scendere al di sotto di una soglia critica, le giunzioni scomparirebbero. Per individuare queste giunzioni si utilizzano dei traccianti che fanno risultare più elettrondensa la zona raggiungibile dal tracciante stesso e mettono così in evidenza i punti dove non riesce a passare (i punti di giunzione). Le giunzioni aderenti: desmosomi e zone aderenti; I desmosomi sono tra i dispositivi di giunzione più complessi e più comuni soprattutto tra le cellule del tessuto epiteliale. Si possono osservare a forte ingrandimento anche in microscopia luce hanno infatti dimensioni comprese tra 0,1 - 0,2 micron di spessore e 1 micron di lunghezza.

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L’osservazione al microscopio elettronico ha dimostrato che a livello dei desmosomi le membrane citoplasmatiche delle cellule contigue appaiono fortemente ispessite per la presenza di sostanza citoplasmatica elettrondensa, tutta questa struttura costituisce le placche di attacco ellittiche alte 0,3 - 0,7 micron e con uno spessore superiore ai 10 micron. A livello di tali placche tendono a convergere dei fasci di tonofilamenti di natura proteica (filamenti intermedi) che si ripiegano ad ansa; tra le membrane che sono separate da uno spazio di 20 - 25 nm. è presente un materiale filamentoso di natura glicoproteica (cemento) che si addensa nella zona centrale a dare la linea intermedia e che ha il compito di far aderire le membrane. La funzione dei desmosomi sembra essere solo meccanica infatti, pur essendo tra i meccanismi di giunzione più forti, sono permeabili ai liquidi che possono circolare liberamente negli spazi intercellulari. Gli emidesmosomi sono strutture costituite dall’esatta metà di quella che costituisce un desmosoma e sono individuabili sulla superficie basale delle cellule che poggiano sulla membrana basale. Le fasce aderenti sono zone nelle quali le membrane plasmatiche di cellule adiacenti sono separate da uno spazio di 15 - 20 nm. mentre fasci di microfilamenti convergono verso le membrane adiacenti. In queste zone l’ispessimento delle membrane è minore che nei desmosomi per la mancanza della linea intermedia e, il lieve ispessimento è dato dalla presenza di rari microfilamenti che fanno parte del terminal web. Le giunzioni comunicanti (o gap o nexus); Sono particolari zone dove il passaggio di ioni o piccole molecole tra due cellule contigue è particolarmente facilitato. A livello di queste strutture le membrane citoplasmatiche delle cellule vicine sono quasi aderenti in quanto vi è fra loro solo uno spazio di 1 - 2 nm. Ciascuna giunzione è costituita da un aggregato di particelle proteiche disposte con un organizzazione poligonale (esagonale) di forma omogenea e regolare nella parte rivolta verso il citoplasma e, con incavi sul versante extracellulare. Tale giunzione si presenta come una placca di superficie pianeggiante nella quale sono disperse le particelle giunzionali. Le particelle globulari sono fra loro ravvicinate e disposte regolarmente ad intervalli di 10 nm. Hanno un diametro di 7 - 8 nm. ed una forma esagonale che appare evidente sul versante extracellulare. Le particelle esagonali sono costituite da subunità proteiche (connessina) che protundono dalla membrana cellulare creando dei canali idrofili ininterrotti e di 1 - 2 nm. di diametro. Presumibilmente visto che le porzioni costitutive vi sono in entrambe le membrane e che il canale è creato dalla perfetta sovrapposizione delle due parti, ciascuna delle due cellule elabora le proteine necessarie per la costruzione della metà del canale che viene chiamato connessone. Le giunzioni comunicanti nono sono stabili, ma vengono costruite dalle cellule in funzione delle loro esigenze. Per ciò che riguarda la permeabilità dei canali, un ruolo molto importante è rivestito dagli ioni Ca ++ visto che quando la concentrazione di questo ione è alta le giunzioni comunicanti cessano di funzionare. Le giunzioni comunicanti, attraverso la loro permeabilità selettiva, sono in grado di assicurare, tra le cellule eccitabili, la migliore propagazione di uno stimolo e, tra le cellule non eccitabili, una uniformità di concentrazione di ioni e metaboliti.

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LA STRUTTURA DI CIGLIA, FLAGELLI E CENTRIOLI; Il centriolo; E’ costituito da una struttura di microfilamenti disposti in triplette attorno ad una cavità centrale. Le ciglia; Sono strutture che si possono associare alle membrane di alcune cellule epiteliali che devono entrare in contatto con liquidi oppure, possono essere associate a singole cellule poste in ambiente liquido. Nel primo caso le ciglia hanno la funzione di smuovere le sostanze poste in soluzione nel liquido, mentre nel secondo caso sono deputate al movimento della cellula. Le ciglia sono strutture di dimensioni ridotte: diametro di 0,2 - 0,3 micron e lunghezza di 2 - 10 micron e sono disposte in modo molto compatto sulla superficie della membrana. Se osservati in sezione trasversale al microscopio elettronico le ciglia appaiono costituite da una struttura composta da diversi microtubuli. La struttura delle ciglia; E’ necessario anzitutto distinguere una parte “libera” del ciglio composta da microtubuli ed una parte “infissa” detta corpuscolo basale con struttura simile a quello di un centriolo. Osservando la parte libera, essa è composta da 9 doppietti di filamenti di microtubuli che attorniano un doppietto centrale dando luogo alla cosiddetta struttura assonemiale. I 9 microtubuli periferici sono costituiti da due tipi di subfibre, la A e la B. La A è un microtubulo completo (13 protofilamenti) mentre la B non lo è (10 - 11 protofilamenti); per questo si completa sulla fibra A. I due microtubuli centrali sono invece completi. Il doppietto centrale è inoltre rivestito da una guaina fibrosa avvolta sui filamenti a spirale che, serve per conferire stabilità al sistema. All’interno dell’assonema le 9 coppie sono collegate tra loro da ponti di nexina (una proteina) che risulta essere importante per il movimento del ciglio. Dalla subfibra A di ogni doppietto si diparte una struttura (raggio) diretto verso la coppia centrale che però termina prima di questa coppia con un ingrossamento (testa). Tali raggi servono per dare stabilità alla struttura assonemiale.

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Sempre dalla subfibra A di ogni doppietto parte una struttura costituita da dineina che si divide in due parti (o braccia) dette interna ed esterna che presentano struttura diversa. La dineina presenta un’importante attività catalitica di dissociazione di ATP in ADP + P che produce energia utilizzata per il movimento del ciglio. Le braccia di dineina quando idrolizzano l’ATP si allungano ed entrano in contatto con le subfibre B del doppietto successivo provocando il movimento ondulatorio del ciglio. La struttura assonemale (detta anche 9 + 2) cambia a seconda del punto del ciglio che viene osservato. La coppia centrale termina prima del vertice del ciglio e prima della zona centriolare. La subfibra A termina per ultima. Se osservato in sezione longitudinale il ciglio appare costituito da una struttura periodica di ponti di dineina e, se la sezione è periferica si può osservare una struttura tipo “scala a pioli” dovuta anche ai raggi. Quando il ciglio incontra la membrana plasmatica si passa dalla struttura assonemale alla struttura centriolare; il passaggio avviene in modo graduale. Alla base della porzione libera si interrompe il doppietto centrale di microfilamenti, poi le subfibre A e B di ogni doppietto si continuano con le fibra del centriolo alle quali si associa un altro microfilamento detto C costituendo la tipica struttura del centriolo. Anche la subfibra C non è completa e, si completa sulla subfibra B. Le triplette del centriolo sono collegate da ponti di nexina che si instaurano tra la subfibra A di una trippletta e la C della successiva. Nella zona prossimale (più vicina all’assonema) troviamo i raggi che si collegano con una zona centrale detto “piede”; quando si scende nelle zone più distali i raggi ed il piede scompaiono lasciando solo le triplette periferiche ed i ponti di nexina. La porzione distale termina con un sistema di “radichette” ovvero, una successione periodica di filamenti paralleli che stabilizzano il ciglio. Il movimento delle ciglia; Il movimento è di tipo ondulatorio; è costituito da una fase di “andata” veloce (movimento attivo) e da un “ritorno” lento (passivo) che avviene a partire dalla parte più basale del ciglio. Il movimento è reso possibile dal processo di idrolisi dell’ATP in ADP + P che fornisce energia. Il movimento dei cigli non è sincronizzato (movimento metacronale). Il flagello; La stessa struttura del ciglio è presente nel flagello. Il flagello è presente nelle cellule spermatozoo e negli organismi definiti flagellati. Il flagello presenta dimensioni maggiori del ciglio avendo ad esempio una lunghezza di 100 - 150 micron. Nello spermatozoo il flagello, nella zona più vicina alla testa, è circondato da mitocondri e, la struttura assonemale è associata ad un sistema di fibre accessorie. Negli altri organismi (cioè non i Mammiferi) i flagelli sono costituiti da un numero variabile di filamenti ed ogni filamento è costituito da un solo tipo di proteina detta flagellina i cui monomeri globulari si dispongono l’uno dietro l’altro a formare un filamento. In questo caso il flagello non è avvolto da membrana.

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Il flagello al contrario dei cigli che sono in grado di muoversi su un solo piano, è in grado di compiere movimenti ondulatori, oscillatori o elicoidali. PRINCIPALI DIVISIONI DEL REGNO VEGETALE; Procarioti ed eucarioti; I procarioti comprendono due gruppi di organismi particolarmente semplici: batteri ed alghe azzurre. Gli eucarioti comprendono tutte gli altri esseri viventi. Batteri ed alghe azzurre sono di solito organismi unicellulari di dimensioni inferiori rispetto ad una cellula di un eucariote e di costituzione molto semplice. Piante a tallo, piante a cormo: Nelle piante a tallo tutte le funzioni vitali vengono svolte da cellule tutte uguali tra loro e che svolgono tutte gli stessi compiti. Nelle piante a cormo invece vi è una notevole specializzazione dei tessuti e di ciascun organo; gli organi fondamentali delle piante a cormo sono: radice, fusto e foglie. Una foglia è ad esempio formata da questi tessuti: 1 ) Epidermide: che riveste esternamente la foglia e la protegge dal disseccamento 2 ) Parenchima clorofilliano: che attua la fotosintesi 3 ) Vasi legnosi: che fanno arrivare alla foglia acqua e sali minerali 4 ) Libro: che trasporta dalla foglia alle altre parti della pianta i prodotti della foglia 5 ) Tessuti meccanici: che contribuiscono a sostenere la foglia. Tutte le piante terrestri che superano qualche centimetro di altezza sono piante a cormo !!! Le piante a tallo: alghe e funghi L’alga è una pianta a tallo capace di fotosintesi; le alghe sono tutte piante che vivono in acqua od in ambienti umidi. La struttura a tallo, la capacità di fotosintetizzare e la vita acquatica sono caratteri comuni a tutte le alghe mentre, le altre caratteristiche sono molto variabili. Ad esempio esistono alghe di qualche micron di dimensione o di alcuni metri, inoltre può essere diverso il pigmento utilizzato per catturare la luce: alghe rosse, brune, verdi, dorate ...

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I funghi sono tutti eterotrofi; alcune specie sono saprofite (cioè si nutrono dei resti animali e vegetali in decomposizione) mentre altre sono parassite. Alcuni funghi sono unicellulari (come i lieviti) ma la maggior parte ha il tallo formato da sottili filamenti chiamati ife. Tutti i funghi si riproducono per spore che, sono singole cellule protette da una robusta parete che ne impedisce il disseccamento, la diversità sta’ nel come queste spore vengono prodotte. I licheni sono il risultato di una simbiosi tra una specie di alga unicellulare ed una specie di fungo. Le cellule dell’alga annidate nel micelio del fungo lo riforniscono di sostanze organiche mentre il fungo rifornisce l’alga di sali minerali e di acqua. Le briofite, una via di mezzo tra piante a tallo e piante a cormo; I più noti sono i muschi; in una piantina di muschio si distinguono delle parti simili a radici, fusti e foglie anche se il tutto è molto piccolo e la specializzazione delle cellule che li compongono è appena abbozzata. Le briofite riescono a vivere sulla terraferma, ma solo nei luoghi più umidi. La mancanza di veri tessuti conduttori limita le dimensioni di questi organismi a pochi centimetri. Le briofite si riproducono come i funghi, con spore. Le piante a cormo: pteridofite, gimnosperme, angiosperme; Le pteridofite sono le più antiche e comprendono le felci, gli equisedi, i licopodi ... Queste piante hanno radici, fusto e foglie ma si riproducono per spore. queste piante non hanno quindi ne’ fiori, ne’ frutti, ne’ semi. A parte le felci arboree le dimensioni delle pteridofite oggi viventi non superano il metro. Le gimnosperme sono quasi tutti alberi ed i più noti rappresentanti di questo gruppo sono le conifere (abete, larice, pino, cipresso ...). Le gimnosperme non hanno veri e propri fiori ma sono il primo grande gruppo comparso sulla terra ad avere i semi; questi semi non sono racchiusi in un frutto ma sono esposti liberamente all’esterno. Le angiosperme sono le piante più “recenti” evolutivamente parlando e le più complicate come struttura; possiedono fiori, frutti e semi. Le angiosperme vengono così divise: - Monocotiledoni: hanno un solo cotiledone (prima foglia embrionale), hanno foglie lunghe ed appuntite con numerose nervature parallele tra loro, le parti del fiore sono generalmente tre o multipli di tre, comprendono (escluse le palme) solo piante erbacee. I monocotiledoni coltivati sono: il frumento, il mais, il riso ... e la canna da zucchero. - Dicotiledoni: hanno due cotiledoni, hanno foglie con un’unica nervatura centrale da cui si dipartono delle nervature laterali, le parti del fiore sono 4 o 5 o loro multipli, comprendono sia piante erbacee che legnose. Quasi tutte le altre piante coltivate sono dicotiledoni.

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LA CELLULA VEGETALE; Stessa struttura della cellula animale ma con qualcosa in più; Il rivestimento esterno delle cellule vegetali prende il nome di parete cellulare, essa è costituita in prevalenza di polisaccaridi ed il suo spessore arriva ad essere in alcune cellule di alcuni micron. La parete cellulare fa si che la cellula vegetale una volta adulta non possa più cambiare la sua forma ed inoltre inibisce le possibilità di movimento della cellula. La faccia interna della parete cellulare è rivestita da una membrana detta plasmalemma che ha una struttura estremamente simile a quella della membrana plasmatica. All’interno del plasmalemma vi è il citoplasma e gli organelli, ma al contrario delle cellula animali, nelle vegetali la maggior parte dello spazio è occupato dai vacuoli che sono delle cavità piene di liquido chiamato succo cellulare. Ogni vacuolo è circondato da una membrana detta tonoplasto che lo separa dal citoplasma. In una cellula vegetale il vacuolo può occupare fino al 90 % del volume interno riducendo il citoplasma ad un sottile strato periferico. Oltre agli organuli presenti anche nelle cellule animali, le cellule vegetali contengono i plastidi che sono un’intera famiglia di organuli che non esiste nelle cellule animali. I plastidi possono servire per la sintesi fotosintetica e vengono chiamati cloroplasti oppure, come depositi di amido e vengono chiamati leucoplasti.

I plastidi: una grande famiglia di organuli specializzati per diverse funzioni; Questi organelli cellulari sono presenti in tre varianti: - Cloroplasti: con funzione fotosintetica (verdi) - Protoplastidi: sono i precursori dei plastidi

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- Leucoplasti: con funzioni di riserva (incolori) - Cromoplasti: danno il colore a molti frutti e fiori (gialli e arancioni) I cloroplasti; A piccolo ingrandimento (50 - 100 volte) appaiono come palline di colore verde brillante mentre a medio ingrandimento (200 - 500 volte) appaiono di forma ellissoidale con una faccia piana ed una convessa (guscio di tartaruga !). A ingrandimenti più forti (500 - 1000 volte) appaiono all’interno dei cloroplasti dei granuli. Al microscopio elettronico il cloroplasto appare circondato da una doppia membrana e quei grani apprezzabili in microscopia ottica appaiono come pile di membrane sovrapposte. Ogni pila appare come un sacco appiattito se visto di profilo o come un disco se visto dall’alto, queste strutture sono chiamate tilacoidi. Decine di tilacoidi impilati formano uno di quei grani mentre altri connettono i vari “grani” tra loro e vengono chiamati tilacoidi intergrana. Lo spazio non occupato da queste strutture è detto stroma ed è pieno di ribosomi. Lo stroma; Nello stroma del cloroplasto sono contenuti gli enzimi che catalizzano la cosiddetta “fase oscura” della fotosintesi cioè, quella serie di reazioni non direttamente dipendenti dalla presenza della luce attraverso le quali la CO2 viene trasformata in carboidrati. L’enzima che catalizza la prima reazione della serie viene chiamato ribulosio difosfato carbossilasi ed è così abbondante da costituire il 50 % delle proteine del cloroplasto ed il 15 - 25 % delle proteine dell’intera foglia; è probabilmente la proteina più abbondante sulla terra !!! Sempre nello stroma è contenuto del DNA, in misura maggiore rispetto ai mitocondri ma in misura minore rispetto al nucleo. Protoplastidi; In una cellula vegetale ancora non differenziata i plastidi sono presenti sotto forma di protoplastidi. I protoplastidi sono più piccoli degli altri plastidi ed il sistema interno di membrane è poco sviluppato. Il processo di differenziazione che li porta a trasformarsi in leucoplasti o cloroplasti è fondamentalmente basato sulla presenza o meno di luce all’atto della trasformazione; i cloroplasti sono infatti ottenuti in presenza di luce mentre, quando questa è scarsa si ottengono dei leucoplasti. Oltre alla luce vi sono altri fattori che influenzano la differenziazione dei protoplastidi come la concentrazione di zuccheri e di ormoni (specialmente citochinine). I cloroplasti non derivano però solo dai protoplasti, possono infatti derivare: 1 ) dalla differenziazione di un protoplastidio 2 ) dalla differenziazione di leucoplasto 3 ) dalla differenziazione di un cloroplasto esistente Tutti e tre i casi hanno una caratteristica in comune: ogni plastidio deriva da un altro plastidio e quindi non viene mai sintetizzato ex novo dal citoplasma. Cromoplasti; I cromoplasti non sono altro che dei cloroplasti “invecchiati”; la clorofilla se ne è andata e si sono accumulati in gran quantità dei pigmenti di colore giallo - arancione spesso sciolti in gocce di grasso chiamati carotinoidi. Inoltre il sistema di membrane del cloroplasto è andato quasi completamente distrutto.

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Un esempio significativo di questo processo degenerativo è il cambio di colore dei pomodori da verde a rosso quando giungono a maturazione. Leucoplasti; I leucoplasti sono il deposito di amido della pianta. Anche nei cloroplasti può immagazzinarsi dell’amido sotto forma di granuli ma solo per il periodo di luce. Nei leucoplasti invece l’amido si accumula stabilmente ed è un amido che non deriva dalla fotosintesi bensì dall’esterno. Per questo motivo si usa distinguere l’amido primario (quello dei cloroplasti) e l’amido secondario (quello dei leucoplasti). I leucoplasti sono presenti in tutte le parti non verdi delle piante, si trovano abbondanti nei tessuti sotterranei (radici, tuberi, rizomi). All’interno dei leucoplasti l’amido si accumula progressivamente tanto che ad un certo punto, del leucoplasto iniziale non rimane che la membrana, a queste strutture si da il nome di granuli d’amido.

La parete cellulare; Tutte le cellule sono delimitate da una membrana e, ancora più esternamente può esserci una secondo rivestimento nella cui composizione entrano in gioco in proporzione più o meno grande i carboidrati. La parete cellulare rigida della cellula vegetale e batterica funziona essenzialmente come protezione contro l’eccessivo assorbimento di acqua da parte della cellula. Negli organismi vegetali manca infatti un meccanismo che controlli il gradiente dei liquidi esterni alla cellula creando una situazione che sarebbe pericolosa per la sopravvivenza della cellula. Nel caso delle piante la presenza della parete può essere giustificata anche per un secondo motivo infatti, negli alberi non esiste una struttura di sostegno così questo compito è delegato alle pareti cellulari. Differenze tra parete e membrana; a ) La parete ha uno spessore che può arrivare a parecchi micron mentre la membrana si misura in millesimi di micron. b ) La parete è fatta in gran parte da polisaccaridi, la membrana da lipidi e proteine complesse. c ) La parete ha una notevole resistenza meccanica ma non è una valida barriera chimica, la membrana ha il comportamento opposto. La crescita della parete cellulare; Innanzitutto la parete cellulare non si fa da sola in quanto non contiene gli enzimi necessari per la costruzione dei polisaccaridi che la compongono; i materiali per la costruzione arrivano dal citoplasma. Questo porta come conseguenza che l’ispessimento della parete cellulare avviene sempre

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dall’esterno verso l’interno; man mano che la parete cresce la cavità interna della cellula diminuisce di dimensioni. La lamella mediana; Durante la fase di mitosi si ha la formazione del primo setto divisorio che separerà le due cellule figlie, il setto è chiamato piastra cellulare e si accresce dal centro della cellula verso la periferia. Il primo setto che forma dopo la divisione della due cellule è sottile ed è chiamato lamella mediana costituito per buona parte da polisaccaridi. In un tessuto adulto la lamella mediana conserva l’importante funzione di tenere incollate insieme le cellule grazie alle proprietà adesive dei polisaccaridi che la compongono. La parete primaria; Terminato il periodo delle divisioni la cellula vegetale passa attraverso altre due fasi dello sviluppo: la distensione e la differenziazione. La parete cellulare presente nella fase di distensione è detta parete primaria la quale ha la principale caratteristica di crescere in superficie adattandosi alla crescita della cellula; la crescita della parete primaria è caratteristica in quanto cresce come la superficie di un pallone gonfiato ma non diminuendo il proprio spessore. Nella parete primaria è presente la cellulosa che invece mancava nella lamella mediana. Le molecole di cellulosa sono immaginabili come barrette rigide riunite in fascetti chiamati microfibrille che intrecciandosi danno luogo ad una specie di “gabbia”. Tutto questo materiale celluloso è immerso in una “matrice” molto densa costituita da polisaccaridi e da proteine. Per spiegare l’accrescimento della parete primaria le teorie proposte erano due: a ) le nuove microfibrille di cellulosa vengono inserite fra quelle preesistenti (intussuscepzione) b ) le nuove microfibrille vengono addossate alla superficie interna della parete già costruita (apposizione) Oggi la teoria più accettata è quella dell’apposizione (versione di Roelofsen e Houwink) secondo la quale le microfibrille vengono depositate con orientamento perpendicolare all’asse maggiore della cellula; l’orientamento è determinato da una serie di microtubuli disposti lungo il plasmalemma. La parete secondaria e le sue modificazioni chimiche; Quando la fase di distensione è quasi terminata, l’accrescimento in spessore della parete prevale su quello in superficie dando luogo alla parete secondaria. Nelle cellule vegetali che hanno una parete secondaria molto spessa è evidente una sua disposizione a strati concentrici; rispetto alla parete primaria, la parete secondaria è più ricca di cellulosa e più povera di polisaccaridi. Oltre ai componenti già citati, nella parete secondaria possono essere presenti anche altri composti chimici in grado di conferire particolari proprietà alla parete; le sostanze sono ad esempio: - La cutina: le molecole di questa sostanza creano un reticolo che conferisce alla parete doti di impermeabilità all’acqua ed in minor grado anche ai gas atmosferici. - La suberina: è molto simile alla cutina e conferisce le medesime doti di impermeabilità alla parete. - I sali minerali: si tratta di solito di silicati che rendono la parete molto dura facendole assumere proprietà simili al vetro, oppure da carbonati. - La lignina: conferisce alla parete doti di resistenza meccanica soprattutto nei confronti di sforzi di compressione. E’ una sostanza altamente polimera che si trova abbondantemente

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nel legno secondario (il legno vero e proprio) e nei tessuti di sostegno. Punteggiature, porocanali, plasmodesmi; La parete cellulare ha delle zone di minor spessore attraverso le quali due cellule contigue comunicano tra loro. In queste zone la parete secondaria non si forma e si vengono a creare delle vere e proprie gallerie che si corrispondono tra le due cellule. Questi “corridoi” prendono il nome di punteggiature o porocanali. Attraverso i porocanali passano dei prolungamenti del citoplasma chiamati plasmodesmi che stabiliscono la comunicazione tra le cellule vicine. Per una cellula vegetale l’ambiente esterno è la parete cellulare; La parete cellulare può influire sui movimenti di molecole cariche difatti le pectine che sono un componente fondamentale delle pareti, hanno come monomero più abbondante l’acido galatturonico che possiede un gruppo carbossilico (- COOH). Quando il gruppo carbossilico è dissociato, le pectine possono legare ioni positivi; mentre invece, quando i gruppi di riassociano si ha la liberazione di ioni che potranno essere assorbiti dalla stessa cellula oppure diffondere. Altra funzione importantissima della parete è quella di essere una riserva d’acqua per la cellula inoltre, questa acqua potrà essere ceduta all’esterno di solito sotto forma di vapore. Anche in questo caso la funzione mediatrice della parete fra la cellula e l’ambiente esterno è molto importante. Le funzioni mediatrici della parete non riguardano però solo la singola cellula, ma l’intero tessuto. Difatti in un tessuto vegetale le pareti cellulari di due cellule adiacenti sono tra loro cementate (almeno in alcuni punti), di conseguenza tutte le pareti cellulari di un tessuto sono fra loro unite, anche se indirettamente. Questo spazio continuo occupato dalle pareti è chiamato apoplasto o spazio libero. La parete cellulare è difficile da demolire; Tutte le cellule vegetali sono in grado di costruirsi una parete ma ben poche sono capaci di demolirla. La cellulasi è un enzima in grado di “smontare” la parete ma è presente solo in particolari tessuti come lo strato di abscissione delle fogli (dove si staccano le foglie dal ramo). La demolizione è resa ancora più difficile se la parete è lignificata; difatti la lignina è una delle sostanze più difficilmente degradabili esistente in natura.

I vacuoli; Un vacuolo si può considerare come una raccolta d’acqua con disciolti vari soluti. Nelle cellula fotosintetiche la loro presenza fa si che i cloroplasti siano addossati alla parete, nella posizione più favorevole per catturare la luce.

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Altra funzione importantissima è quella di permettere alla cellula di assorbire acqua dall’esterno infatti, il vacuolo è pieno di acqua con disciolti dei soluti il che aumenta la concentrazione del succo cellulare; questo fa si che sia possibile alla cellula di assorbire i liquidi esterni che presentano una concentrazione inferiore. Altre funzioni sono dovute al particolare tipo di soluti presenti nel succo cellulare. Alcuni vacuoli sono difatti pieni di grassi (che escludono l’acqua) e di proteine di riserva. In altri casi il vacuolo sembra avere funzioni di “deposito” per le sostanze tossiche come i nitrati (quando siano in eccesso). Un’altra possibile funzione del vacuolo è quella digestiva simile a quella dei lisosomi; sono stati individuati infatti nel succo cellulare degli enzimi in grado di idrolizzare proteine, RNA ... Tra i soluti del vacuolo sembrano avere molta importanza gli acidi organici come l’acido citrico e l’acido malico. I componenti del succo cellulare; - Ioni inorganici: K +, Na +, Ca ++, Cl -, NO3

-, SO4=, HCO3

-, H2PO4- ...

- Acidi organici: Acido malico, citrico, tartarico ... Molti di questi acidi sono composti intermedi del ciclo di Krebs. L’acido ossalico non deriva da questo ciclo ma è comunque presente. - Zuccheri: le cellule della polpa dei frutti contengono prevalentemente glucosio e fruttosio nei vacuoli. Sono molto comuni. - Glucosidi: sono molecole organiche dei tipi più svariati che si legano ad una o più molecole di zucchero (spesso glucosio). - Tannini: sono composti organici derivati dal fenolo con proprietà antisettiche ed astringenti. - Antociani: sono una famiglia di pigmenti di colore rosso-rosa-viola. Sono molto solubili in acqua e danno il colore a fiori ed a frutti. - Terpeni: sono profumati e non sono colorati, solubili nei grassi, infiammabili e molto volatili. - Alcaloidi: sono molecole molto complicate e per la maggior parte sono molto tossici per gli animali.

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L’ASSORBIMENTO DEI SOLUTI;

L’assorbimento dell’acqua; L’assorbimento dell’acqua da parte di una cellula è fondato sul fenomeno dell’osmosi. Con l’osmosi non si raggiunge mai la parità di concentrazione nei due scomparti, a differenza di quanto avviene per il fenomeno di diffusione. Il comportamento osmotico della cellula vegetale; Quando si parla di una cellula vegetale bisogna tenere conto di alcuni fattori aggiuntivi rispetto alla cellula animale; vi è difatti la parete cellulare che è permeabile a qualsiasi tipo di soluto, ma possiede una notevole rigidità meccanica che tende ad opporsi a qualsiasi dilatazione; un’altra complicazione è data dalla presenza del vacuolo che è pieno di una soluzione con concentrazione maggiore rispetto a quella dei liquidi posti all’esterno della cellula. Questa somma di fattori porta a dover considerare, per la cellula vegetale, la presenza di due membrane: il tonoplasto (del vacuolo) e il plasmalemma.

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Immergendo una cellula vegetale in una soluzione ipotonica rispetto all’interno, come può essere l’acqua distillata, la cellula comincia a riempirsi d’acqua ma non si dilata per la presenza della parete; l’acqua continua ad entrare ma la parete opponendosi crea una pressione interna che tende a ricacciare l’acqua fuori. In questo modo si arriva ad una situazione di equilibrio nella quale non si ha più passaggio di acqua; la cellula è quindi in uno stato di turgore cellulare e la pressione esercitata dalla parete è definita pressione di turgore. Se immergiamo la cellula vegetale in una soluzione isotonica la situazione che si presenta è di equilibrio fra gli scambi mentre, più interessante è il comportamento se la soluzione è ipertonica. La soluzione tende infatti a richiamare all’esterno i liquidi interni della cellula la quale tende a diminuire di volume; inizialmente la parete asseconda questa situazione poi però giunge ad un punto limite in corrispondenza del quale la rigidità prevale. Nonostante questo la soluzione ipertonica continua a produrre il suo effetto “aspirante” ed il resto della cellula continua a rimpicciolirsi; questa contrazione causa il distacco del citoplasma dalla parete cellulare con un fenomeno detto di plasmalisi e la soluzione ipertonica penetra nello spazio lasciato libero. La plasmalisi è una processo reversibile sempre che non sia stato troppo violento. Il turgore cellulare: un meccanismo per il sostegno ed il movimento; Una cellula vegetale turgida ha raggiunto l’equilibrio e per la maggior parte delle cellule vegetali lo stato di turgore rappresenta la condizione migliore per tutte le attività vitali. La situazione opposta al turgore è detta di appassimento. Il turgore cellulare è molto importante per sostenere molti organi vegetali costituiti per buona parte da cellule con delle sottili pareti. Attraverso il turgore e le sue variazioni sono possibili anche dei movimenti delle piante. Il potenziale d’acqua: una misura degli scambi idrici; Il potenziale d’acqua misura la capacità dell’acqua di compiere lavoro spostandosi da una parte all’altra di un sistema. Per convenzione si è stabilito di prendere come potenziale zero quello dell’acqua distillata sottoposta ad una atmosfera di pressione (circa quella atmosferica). L’acqua distillata sottoposta ad una pressione maggiore ha un potenziale positivo e viceversa; la presenza di un soluto tende ad abbassare il potenziale (> è la concentrazione > è l’abbassamento). L’acqua tende sempre a muoversi dai punti a potenziale più alto a quelli a potenziale più basso. Il potenziale d’acqua di una cellula vegetale è determinato da due fattori: a ) la concentrazione di soluti nel vacuolo b ) le proprietà meccaniche della parete La presenza di soluti rende il valore del potenziale negativo mentre la pressione di turgore della parete tende a farlo diventare positivo.

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In una cellula appassita il potenziale è zero, così come per una cellula turgida !!! (perché il potenziale osmotico e quello di parete si bilanciano). I valori più comuni del potenziale osmotico per una cellula vegetale vanno da - 2 a - 10 bar. Il potenziale matricale; Un fattore che può essere determinante per il potenziale d’acqua è l’eventuale presenza di colloidi che possono richiamare o trattenere l’acqua con grandissima forza. Il componente del potenziale d’acqua dovuto ai colloidi è chiamato potenziale matricale, ha sempre valore negativo e può arrivare a molte centinaia di bar. CRESCITA E SVILUPPO DELLA CELLULA VEGETALE; La principale attività delle cellule meristematiche è la divisione; Per descrivere la crescita di una cellula vegetale conviene partire dalle cellule meristematiche che stanno all’apice dei fusti e delle radici. In ogni organo capace di crescita continuata si trova sempre una zona di cellule meristematiche. Queste cellule sono piccole rispetto alla media delle altre cellule vegetali ed anche il loro aspetto è molto diverso; infatti sono poco sviluppato i caratteri che distinguono una cellula vegetale da una animale: parete cellulare, vacuoli e plastidi. La parete è molto sottile (manca la parete secondaria), i vacuoli sono riconoscibili a stento in microscopia elettronica e i plastidi sono presenti sotto forma di protoplastidi non ancora differenziati.

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Nelle cellule meristematiche sono abbondanti i ribosomi, sicuro segnale di un’abbondante sintesi di proteine. Moltiplicazione e ingrandimento cellulare; Il tipico modo di crescere di una cellula meristematica è la divisione cellulare. Al termine di una mitosi la cellula si ritrova divisa in due cellule figlie grandi la metà di quella iniziale che si accrescono fino a diventare grandi come la “madre” e poi si dividono; un tale modo di crescere è definito: accrescimento per divisione. Nell’accrescimento per divisione sono distinguibili due fasi: 1 ) La divisione vera e propria (dove aumenta il numero delle cellule senza aumentare la massa della materia vivente. 2 ) L’accrescimento che riporta la cellula figlia alle dimensioni della madre (detto accrescimento embrionale). Il ciclo “dividersi-crescere-ridividersi-ricrescere” è molto simile a quello di un organismo unicellulare solo che la frequenza delle divisioni è molto più bassa infatti, tra una divisione e l’altra di una cellula meristematica trascorrono 10 - 20 ore. Osservando un tessuto meristematico ci si rende conto che, pur dividendosi velocemente, il numero delle cellule rimane circa costante, questo perché continuamente un certo numero di cellule esce dallo stato meristematico per diventare cellule adulte. Accade infatti spesso che due cellule gemelle (originate dalla stessa cellula madre) prendano vie di sviluppo diverse. Il passaggio da cellula meristematica a cellula adulta implica tre avvenimenti: 1 ) Un forte aumento delle dimensioni chiamato accrescimento per distensione 2 ) L’accentuazione dei caratteri peculiari delle cellule vegetali (vacuoli, plastidi e parete) 3 ) La specializzazione della cellula per determinati compiti 4 ) La perdita della capacità di dividersi (che potrà essere riacquistata in casi particolari) L’aumento delle dimensioni durante la distensione è molto intenso (il volume aumenta di 1000 volte) e molto veloce (gli stami dei fiori del frumento crescono ad una velocità di 2 mm. al minuto !!!). Durante l’accrescimento per distensione si ha una fortissima introduzione di acqua nella cellula che porta all’espansione dei vacuoli. E’ soprattutto questo assorbimento di acqua a dare “il tono” all’accrescimento per distensione. Divisione e distensione cellulare collaborano all’accrescimento dell’intera pianta; Gli effetti visibili dell’accrescimento per distensione sono immediatamente visibili, ma questo tipo di accrescimento non potrebbe procedere se alle spalle non vi fosse l’accrescimento embrionale che fornisce nuove cellule. Il controllo dell’accrescimento cellulare; L’accrescimento cellulare, sia per divisione che per distensione, è influenzato da numerosi fattori interni ed esterni.

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Tra i fattori interni sono molto importanti gli ormoni (auxina, citochinine, gibbellerine) che, a seconda del tessuto in cui si trovano hanno un’azione stimolante, inibente o nulla. L’auxina è l’ormone studiato da più tempo ed ha un’azione stimolante sulla crescita per distensione; l’azione di questo ormone è stata a lungo studiata e, si doveva tenere conto di due fatti: a ) l’ingrandimento della superficie della parete b ) la formazione dei vacuoli La formazione dei vacuoli è legata all’entrata di acqua all’interno della cellula attraverso un ingresso graduale in modo che la cellula non si allontani dallo stato di turgore. L’auxina poteva agire, per permettere all’acqua di entrare, in due modi: 1 ) aumentando la concentrazione dei soluti nel succo cellulare 2 ) indebolendo la parete cellulare cioè rendendola più plastica I risultati delle ricerche più recenti indicano che l’auxina agisce prevalentemente attraverso il secondo meccanismo. E’ quindi evidente che la crescita della parete e la formazione dei vacuoli sono avvenimenti fra loro strettamente correlati: per poter crescere in superficie la parete deve diventare più elastica e, l’aumento di plasticità sposta l’equilibrio idrico in direzione di una maggiore quantità di acqua nella cellula. Tra i fattori esterni vi sono la temperatura e la luce che inibisce la crescita per distensione del fusto ma favorisce quella delle foglie. Distendendosi le cellule si allontanano l’una dall’altra; Non sempre l’accrescimento cellulare è ugualmente intenso in ogni direzione, difatti la maggioranza delle cellule cresce di preferenza in una sola direzione. Le cellule di un tessuto meristematico sono tutte a stretto contatto fra loro e questo è reso possibile dalla loro forma poliedrica; durante la distensione molte cellule si arrotondano e per questo si formano degli spazi intercellulari. Gli spazi intercellulari che caratterizzano la maggior parte dei tessuti adulti sono costantemente pieni d’aria (invece nei tessuti animali sono pieni di liquido). Nelle piante questi spazi formano una fitta rete di canali comunicanti permettendo così dei rapidi scambi gassosi anche alle cellule lontane dalla superficie esterna. Se gli spazi intercellulari dei tessuti vegetali fossero pieni di liquidi gli scambi gassosi sarebbero molto più lenti ed è probabile che questo fattore abbia influenzato l’evoluzione delle piante terrestri. IL TESSUTO EPITELIALE; Vetrini: 1-2-3-4-5-8 La sua principale funzione è quella di rivestimento; delimita cioè gli organi interni dall’esterno, oppure le superfici che fronteggiano cavità interne che sboccano all’esterno (ad es. il canale digerente). Le cellule dei tessuti epiteliali sono molto vicine fra loro e manca la sostanza posta normalmente tra le cellule (matrice extracellulare); per questo motivo è detto tessuto “tipicamente cellulare”.

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Sulla superficie delle membrane di queste cellule sono presenti delle strutture non osservabili al microscopio ottico, che favoriscono la coesione tra le cellule del tessuto. Le cellule che costituiscono il tessuto epiteliale poggiano su uno strato detto membrana basale che fornisce sostegno meccanico e trofico. La membrana basale fornisce cioè le sostanze nutritive che provengono dai tessuti connettivi funzionando quasi come un filtro. La forma delle cellule epiteliali deve naturalmente favorire l’adesione; per questo si hanno forme piatte (a mattonella), a forma di piccoli cubi o forme prismatiche. Le cellule si dispongono lungo strati successivi e paralleli per meglio compiere la loro funzione di rivestimento. Da queste caratteristiche: forma delle cellule e numero di strati, scaturiscono dei criteri di classificazione dei tessuti epiteliali di rivestimento: - monostratificati: se lo strato di cellule è uno solo - pluristratificati: se lo strato è più di uno - piatti: se le cellule hanno forma piatta - cilindrici (o batiprismatici) - cubici - cheratinizzati: se è presente uno strato di cheratina - molli: se non vi è la cheratina N.B. Per riconoscere la forma è più facile osservare la posizione e la forma del nucleo perché è spesso più evidente e perché, le membrane anche se adiacenti non sono distinguibili al microscopio ottico. Un caso particolare è costituito da un tessuto che può sembrare stratificato ma non lo è; è detto pseudostratificato e, tutte le cellule che lo compongono, essendo di forma diversa, poggiano sullo strato basale. Epitelio di transizione; E’ un tessuto epiteliale costituito da cellula piuttosto tonde che tendono a scivolare le une sulle altre (ad es. il tessuto della vescica che si deve dilatare). Il tessuto che si dilata può ad esempio passare da 5-6 strati a 2. In questo particolare tipo di tessuto, lo strato basale è meno importante perché non vi sono forti legami fra le cellule. In questo tessuto sono spesso presenti delle particolari cellule a forma di cupola che spesso sono binucleate. EPITELIO DI SECREZIONE; Vetrini: 2-6-7-9-10 Come secrezione si intende quel processo basato sull’elaborazione, l’immagazzinamento e l’espulsione di sostanze varie.

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Ogni strato di cellule presenta una “polarità” cioè una parte è sempre rivolta verso le parti cave e l’altra verso il tessuto connettivo. A volte una lamina di cellule epiteliali “sprofonda” del connettivo e, una massa all’inizio compatta di cellule, si trasforma in cavità. La massa di cellule può subire una “cavitazione” o può rimanere compatta e, può rimanere in contatto con la cavità oppure no (ghiandole esocrine ed endocrine). Le ghiandole esocrine; Sono quelle che rimangono in comunicazione con la cavità. Una ghiandola è costituita da una porzione detta dotto escretore costituita da epitelio di rivestimento e, dall’adenomero. Il citoplasma delle cellule secernenti è particolarmente basofilo (reagisce cioè molto con gli acidi) in quanto sono cellule ricche di reticolo endoplasmatico rugoso quindi di ribosomi e, di conseguenza di RNA (acido). Le ghiandole esocrine si dividono in: - tubolari semplici: a forma di tubulo, sono senza dotto e se c’è è unico - tubolari ramificate: dove l’adenomero è biforcato ma il dotto è unico - globulari: se è a forma di globulo Se l’adenomero ha forma globulare si dividono in: - acinoso: ha forma di sfera cava con cavità molto piccola - alveolare: stessa forma dell’acinoso ma la cavità è più grande Da queste suddivisioni si hanno una serie di casi: se il dotto è ramificato e gli adenomeri sono acinosi si hanno ghiandole acinose ramificate; vi sono poi le tubolari ramificate e le alveolari ramificate (della ghiandola mammaria). Gli adenomeri sono poi distinguibili per il tipo di secreto che producono: - mucoso: con più carboidrati e non particolarmente colorabile per l’osservazione - sieroso: con più proteine Nelle cellule secretive, il nucleo rimane schiacciato nella periferia della cellula a causa della grande quantità di secreto presente nel citoplasma mentre, nelle cellule che costituiscono le pareti dei dotti di secrezione hanno il nucleo posto nel mezzo (utile per l’osservazione in sezione dei dotti). Le ghiandole sono dette miste se la secrezione prodotta è in parte sierosa ed in parte mucosa. Se la cellula risultasse sfrangiata da un lato, vorrebbe dire che la cellula sta facendo fuoriuscire il secreto ed insieme ad esso una parte di citoplasma (ghiandole ipocrine). I TESSUTI CONNETTIVI; Vetrini: 2-3-4-11-12-13 Sono tessuti sempre associati a quelli epiteliali e sono in grado di connettere altri tessuti od organi.

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Sono tessuti molto vascolarizzati ed hanno ampi spazi occupati da sostanza extracellulare con all’interno le cellule sparse. Oltre alla funzione trofica (di nutrimento) svolgono anche un’importante funzione di difesa consistente nella fagocitosi di detriti cellulari e nella produzione di anticorpi. I tessuti connettivi svolgono naturalmente anche una funzione di sostegno meccanico. La sostanza extracellulare che per la maggior parte costituisce questi tessuti, è costituita da una parte detta amorfa composta prevalentemente da acqua che è considerabile come una soluzione colloidale con in soluzione aggregati proteici e, dalle fibre. Le fibre si dividono in: - Collagene: sono piuttosto grandi (diametro di 1 - 2 micron) e, non è possibile colorarle per l’osservazione al microscopio. - Fibre reticolari: sono molto piccole ma possono essere evidenziate con particolari colorazioni - Fibre elastiche: costituite dall’elastina (una proteina), sono facilmente estensibili All’interno delle fibre sono poste le cellule che caratterizzano il tessuto connettivo: - Il fibroblasta (o fibrocita): si trova in ogni connettivo, sintetizza il tropocollagene; ha forma stellata con dei prolungamenti orientati come le fibre ed ha un nucleo molto assottigliato. - Il cromatoforo: è in grado di accumulare particolari colorazioni. - Il macrofago: non è presente in tutti i connettivi, ha un ampio citoplasma riempito di granuli che sono poi lisosomi, questo fa si che il macrofago sia in grado di inglobare materiale e digerirlo. - Il granulocita: non è propriamente del connettivo in quanto proviene dal sangue, è in grado di fagocitare ed interviene in caso di infezioni. - Il mastocita: non è evidente all’osservazione ma contiene granuli di eparina che sono facilmente colorabili, l’eparina e l’istamina che libera il mastocita hanno funzioni coagulanti. Classificazione dei connettivi: La classificazione è possibile farla sulla base del tipo di fibre presenti nel tessuto, sul tipo di cellule e, di conseguenza sul tipo di funzioni svolte. - Connettivi propriamente detti: si dividono in quelli con forma propria e quelli senza forma propria. - Connettivi di sostegno. I connettivi con forma propria e senza sono così suddivisi: - Connettivi senza forma propria: si dividono in lasso e reticolare. - Connettivi con forma propria: si dividono in denso (o compatto) ed elastico. Questi ultimi connettivi hanno queste funzioni:

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- Lasso: è presente sotto l’epitelio dell’intestino e della vescica - Reticolare: è il più diffuso e costituisce lo stroma di sostegno di rene e milza - Denso: si divide in a fasci paralleli (nei tendini) e a fasci intrecciati (sotto l’epitelio della cute) - Elastico: serve come sostegno alle pareti dei grossi vasi come l’aorta N.B. Generalmente quando l’epitelio è monostratificato o pseudostratificato, il connettivo sottostante è lasso; quando invece è pluristratificato è denso

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I TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO; Vetrini: 3-15-16-17 Il tessuto cartilagineo (cartilagine ialina); Le cellule presenti in questo tipo di tessuto sono i condrociti (o condroblasti) che sono organizzati in ordine sparso all’interno di una matrice resa molto viscosa dalla presenza di aggregati proteoglicani (di notevoli dimensioni) e di due zuccheri (i condrointinsolfati e l’acido ialuronico). Vi è poi una parte fibrosa costituita da tropocollagene che intrappola i condrociti. Nel tessuto cartilagineo parliamo di lacune (o nicchie) nelle quali sono intrappolate le cellule che sono osservabili se preparate con particolari colorazioni. Si dice che ogni condrocita è ospitato all’interno di territori. Le cellule che sono site nella cartilagine non riescono ad essere facilmente raggiunte dalle sostanze nutritive ed è per questo motivo che esiste un ciclo di rinnovamento che coinvolge le cellule poste negli strati più profondi dove tendono a degenerare velocemente. Le cartilagini sono avvolte da tessuti pericondriali costituiti da cellule simili a quelle connettivali che però sono in grado di trasformarsi in cartilaginee. Le cellule del pericondrio presentano forma allungata mentre le altre cellule del tessuto cartilagineo hanno forma tondeggiante. Essendo il tessuto cartilagineo un tessuto particolarmente ricco d’acqua, all’atto dell’osservazione al microscopio ottico, le lacune possono risultare vuote o con cellule molto contratte, quando invece nella realtà le cellule occupano per intero il loro spazio nella lacuna. Oltre alla cartilagine ialina esistono anche la cartilagine elastica (ad es. quella dell’orecchio) e la cartilagine fibrosa che è presente nelle cartilagini intervertebrali che sono in grado di sopportare grandi sforzi meccanici.

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IL TESSUTO OSSEO; E’ un tessuto che ha dovuto aumentare al massimo le capacità di sostegno e di resistenza meccanica. Le cellule di questo tessuto sono uguali ai condrociti presenti nelle cartilagini ma prendono il nome di osteociti (o osteoblasti). Il resto della sostanza è composta da precipitati di sali e carbonati; vi è una parte fibrosa ed una lamellare fra le quali rimangono imprigionati gli osteociti Anche per questo tipo di tessuto esiste lo stesso problema di diffusione di sostanze nutritive che era presente anche nelle cartilagini e, in questo caso viene risolto grazie agli spazi lasciati liberi tra una lamella ed un’altra che permettono il passaggio di vasi e nervi. I sistemi concentrici di lamelle (osteoni) sono posti in modo da avere gli osteociti distribuiti uniformemente all’interno della struttura e sono “costruiti” in modo da permettere il collegamento tra una cellula ed un’altra attraverso dei prolungamenti citoplasmatici. Al centro di ogni osteone è presente una cavità (canale di Havers) che contiene i vasi ed i nervi e, anche questa cavità è in comunicazione con ogni cellula. Nelle ossa lunghe il tessuto lamellare costituisce sia la testa (epifisi) che le parti lunghe (diafisi), ma il tessuto dell’epifisi è particolare perché di tipo spugnoso che è sempre costituito da lamelle ma molto sottili ed è quasi privo di osteoni. La cartilagine di coniugazione è una cartilagine in via di calcificazione.

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IL TESSUTO ADIPOSO; Vetrini: 14 E’ presente in due tipi: 1 ) Primario (o pluriloculare): è il primo che sviluppa. 2 ) Secondario (o multiloculare) Tessuto adiposo primario (o multiloculare); Gli adipociti hanno forma poligonale e sono molto addossati fra loro, all’interno del citoplasma di ogni cellula sono presenti tante goccioline lipidiche, il nucleo è in posizione centrale. E’ un tipo di tessuto poco presente nei mammiferi adulti e non viene mai metabolizzato; ha funzioni meccaniche di sostegno e di protezione. Nella variante grasso bruno costituisce il grasso di riserva degli animali che vanno in letargo. Tessuto adiposo secondario (o uniloculare); Le cellule hanno forma sferoidale, il corpo cellulare è occupato da una singola e grossa goccia lipidica che schiaccia il citoplasma alla periferia della cellula, il nucleo è schiacciato ad un estremo della cellula.

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IL TESSUTO MUSCOLARE; Vetrini: 2-18-19 E’ un tessuto che si è differenziato per acquistare la capacità di contrarsi; nelle cellule che lo compongono è presente un citoplasma (alloplasma) finalizzato alla contrazione grazie alla presenza di due proteine: actina e miosina. Si divide in: - Liscio - Striato: che a sua volta si divide in scheletrico e miocardico Il tessuto muscolare liscio; E’ presente negli organi viscerali (tubo digerente) dove può formare delle lamine oppure nell’iride dove è sotto forma di piccoli muscoli; è presente inoltre nelle cellule mioepiteliali negli acini secretori delle ghiandole salivari. Le cellula che compongono il tessuto muscolare liscio hanno forma fusiforme con il nucleo di forma allungata posto nella zona centrale. Il citoplasma contiene i miofilamenti costituiti da actina e da miosina mente gli organelli sono posti in due zone attorno al nucleo (sarcoplasma). Le cellule sono affiancate molto vicine le une alle altre ed attorno ad ogni cellula vi è una lamina basale di natura granulare. Il complesso formato dalla lamina basale e dalla membrana cellulare costituisce il sarcolemma. In sezione trasversale si presentano come tanti tondini molto vicini gli uni agli altri e, dove è visibile, il nucleo appare come un punto più scuro posto al centro della cellula. Tessuto muscolare striato scheletrico; Presenta delle striature trasversali dovuta alla particolare disposizione di actina e miosina. In questo tipo di tessuto abbiamo a che fare non con delle singole cellule bensì con dei sincizi di cellule che costituiscono le fibre muscolari. La fibra muscolare è una struttura cilindrica di diametro e lunghezza variabili ed i nuclei delle singole cellule sono posti in posizione periferica lungo la fibra; tutto il resto della fibra e delle cellule è occupata dalle miofibrille. In sezione trasversale si presentano con forma quadrilatera ed i nuclei sono posti alla periferia delle fibre. Tessuto muscolare striato miocardico; In questo caso non si ha più un sincizio di cellule ma sono singole cellule di forma cilindrica che tendono a formare delle biforcazioni alle estremità. Presentano sempre delle striature ed il nucleo è in posizione centrale.

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Nei punti dove le cellule si congiungono sono presenti delle zone di maggior spessore chiamate dischi intercalari; a volte, in corrispondenza di questi punti, è possibile osservare delle strutture ad andamento seghettato chiamate strie scalariformi. In sezione trasversale appaiono come delle strutture circolari meno ravvicinate delle cellule del tessuto liscio e con i nuclei posti nel centro. IL TESSUTO NERVOSO; Vetrini: 20 c. cerebrale/ 21 cerebellare 22 ganglio spinale/ 23 midollo 24 nervo E’ un tessuto ad altissimo grado di differenziamento ed è costituito da cellule nervose e da cellule gliali. Le cellule sono fra loro molto vicine in quanto posseggono delle giunzioni che permettono il passaggio di impulsi nervosi (impulsi elettrici) tra una cellula ed un’altra. Morfologia del neurone; Un neurone è costituito da un corpo centrale chiamato pirenoforo dal quale si dipartono una serie di prolungamenti chiamati dendriti e, da un ulteriore prolungamento molto lungo detto assone che termina con delle ramificazioni. Il citoplasma dei neuroni è pieno di reticolo endoplasmatico mentre i dendriti sono ricchi di strutture citoscheletriche. Per mettere in evidenza il citoscheletro e quindi i prolungamenti si utilizza il metodo dell’impregnazione argentica mentre per evidenziare il corpo cellulare si usano coloranti che evidenziano la grande quantità di reticolo endoplasmatico. Il reticolo endoplasmatico si presenta in ammassi risolvibili solo al microscopio elettronico. Il nucleo si presenta chiaro, vescicoloso e molto grande. Classificazione dei neuroni (che si basa sui prolungamenti): - Multipolari: con molti dendriti ed un solo assone. - Bipolare: con un dendrite ed un assone. - Pseudounipolari: c’è solo un prolungamento che si diparte dalla cellula che poi a sua volta divide in dendrite ed assone. Classificazione dei neuroni (del Golgi): - Tipo I: le ramificazioni dell’assone sono molto lontane dal corpo cellulare. - Tipo II: il dendrite si ramifica molto vicino al pirenoforo. Le cellule gliali; L’assone è spesso rivestito da cellule satelliti (della glia: cellule gliali) che hanno funzioni trofiche e di protezione. Le cellule gliali si dividono in: oligodendrociti (del sistema nervoso centrale) e cellule di Schwann (del sistema nervoso periferico). La guaina che queste cellule costituiscono attorno all’assone può essere singola (fibra amielinica) oppure costituita da una serie di avvolgimenti della membrana citoplasmatica della cellula gliale (fibra mielinica).

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La guaina è quindi costituita fondamentalmente da lipidi ed è per questo facilmente riconoscibile in microscopia ottica perché i lipidi scompaiono e lasciano degli spazi vuoti attorno agli assoni. Quando i fasci di assoni sono molto lontani dai pirenofori dai quali si dipartono e si trovano in tessuto connettivo abbiamo delle fibre nervose. IL SANGUE; Vetrini: 25 striscio/ 26 linfonodo Il sangue si può considerare un connettivo per la sua architettura. Ha funzioni di trasporto di cellule, metaboliti, prodotti di scarto ecc. e funzioni di regolazione di scambi ionici. Il sangue è composto da una parte fluida e da una parte corpuscolare. La parte fluida; E’ chiamata plasma e la si può considerare una soluzione acquosa o colloidale perché in forma di micelle sono presenti degli aggregati proteici quali alfa/ beta/ gamma globuline, albumina e fibrinogeno. Il plasma si può separare in due componenti: coagulo e siero (con tutte le proteine escluse quelle di coagulazione). La parte corpuscolare; E’ costituita da globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. I globuli rossi sono cellule prive di nucleo ed altamente specializzate nella funzione di trasporto di ossigeno grazie alla loro ricchezza di emoglobina. Hanno forma di disco biconcavo ed una dimensione media di 7 - 8 micron. Sono cellule molto sensibili alle variazioni di concentrazione dell’ambiente che le circonda. Le piastrine sono dei derivati cellulari ovvero dei frammenti di citoplasma di una particolare cellula chiamata megacariocita che si trova nel midollo osseo. Le piastrine intervengono nei processi di coagulazione. I globuli bianchi si dividono in: - Granulociti: che presentano dei granuli (lisosomi)nel citoplasma - Linfociti: senza granuli - Monociti I granulociti si classificano per la colorazione dei loro granuli in questo modo: - Neutrofili: i grani non si colorano in modo particolare in quanto rimangono grigiastri, hanno nuclei polilobati. - Eusinofili: i loro granuli possiedono una particolare affinità per i coloranti acidi e per questo si presentano rossicci (per l’eosina); sono presenti per lo 0,3 % del totale dei globuli bianchi.

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- Basofili: i loro grani presentano affinità per i coloranti basici come l’ematossilina, per questo si presentano di colore scuro tanto che spesso rendono impossibile vedere il nucleo della cellula, ma si può solo osservare una “pallina” di colore scuro. I linfociti sono di piccolo diametro (circa lo stesso dei globuli rossi) e provengono dagli organi linfoidi infatti dal sangue vengono solo trasportati. Hanno un grosso nucleo ed un piccolo citoplasma che spesso si riduce ad essere solo un piccolo anello attorno al nucleo. Sono cellule adibite alla produzione di anticorpi. I monociti sono anch’essi senza granuli con un grosso nucleo a forma di U ed una grande quantità di citoplasma. Presentano dimensioni maggiori rispetto ai globuli rossi e sono cellule in grado di fagocitare Il linfonodo; Il linfonodo è un aggregato di linfociti dove gli stessi risiedono per giungere a maturazione. E’ una struttura di tipo parenchimatoso con uno stroma di sostegno; il parenchima è organizzato in noduli presenti nella zona periferica del linfonodo mentre nella parte centrale vi sono dei cordoni di cellule. I linfociti presenti nella corona più esterna sono piccoli e presenti in gran numero quindi la zona risulta essere più scura all’osservazione, mentre nella zona centrale vi sono dei linfociti già trasformati in plasmacellule con un citoplasma più grande che rendono la zona più chiara. Sempre la zona centrale è piena di dotti linfatici che trasportano i linfociti in circolo.

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INDICE; CITOLOGIA ANIMALE; - LA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PROTOPLASMA Pag. 1 - I COMPONENTI INORGANICI: acqua, sali minerali Pag. 1, 2 - PROPRIETA’ DELLE SOLUZIONI: l’osmosi Pag. 2 - I COMPONENTI ORGANICI: Proteine Pag. 2 Gli enzimi Pag. 3 I carboidrati Pag. 4 I lipidi Pag. 5 Gli acidi nucleici Pag. 6 - GLI ASPETTI GENERALI DELLA CELLULA: I colloidi: sol e gel Pag. 8 - CLASSIFICAZIONE DELLE CELLULE: Cellule procariote Pag. 8 Cellule eucariote Pag. 9 - I VIRUS: Caratteristiche Pag. 9

- LA FORMA DELLE CELLULE; Caratteristiche Pag. 9 - LE DIMENSIONI DELLE CELLULE: Estremi in natura Pag. 10 Sincidi e plasmodi Pag. 10 - STRUMENTI PER LO STUDIO DELLE CELLULE: Le unità di misura Pag. 10 Microscopio ottico Pag. 11 Microscopio a contrasto di fase Pag. 11 Microscopio a luce polarizzata Pag. 11 Microscopio a contrasto interferenziale (Normaski) Pag. 12

Microscopio in fluorescenza Pag. 12 Preparazione del campione per l’osservazione con microscopio ottico Pag. 12 Microscopio elettronico a trasmissione Pag. 13 Preparazione del campione per l’osservazione con microscopio elettronico Pag. 14 Metodi per l’accentuazione del contrasto Pag. 14

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Microscopio elettronico a scansione Pag. 14 Microscopio elettronico a trasmissione ad alto voltaggio Pag. 15 - METODI E MEZZI D’INDAGINE: Antigene ed anticorpo Pag. 15 - CITOCHIMICA ENZIMATICA: Autoradiografia, Immunocitochimica e Citochimica enzimatica Pag. 15 - TECNICHE DI FRAZIONAMENTO CELLULARE: Isolamento di macromolecole Pag. 16 Isolamento di organelli Pag. 16 - IL CRIODECAPPAGGIO Pag. 17 - LE COLTURE IN VITRO Pag. 17 - LA MEMBRANA PLASMATICA: I lipidi della membrana Pag. 18 Le proteine della membrana Pag. 19 Le funzioni delle proteine della membrana Pag. 19 I carboidrati della membrana Pag. 19 Il glicocalice Pag. 20 La fluidità delle proteine Pag. 20 - IL RETICOLO ENDOPLASMATICO: Il reticolo rugoso Pag. 21 I ribosomi Pag. 22 Il reticolo liscio Pag. 22 - L’APPARATO DI GOLGI: Morfologia Pag. 23 Processo di sintesi delle glicoproteine Pag. 24 - L’APPARATO VACUOLARE INTERNO ED IL PROCESSO DI SECREZIONE (REG, REL, GOLGI) Pag. 25 - I LISOSOMI: Lisosomi primari Pag. 26 Lisosomi secondari Pag. 26

- I MITOCONDRI: Morfologia Pag. 28 Le particelle elementari o F1 Pag. 29 Il DNA mitocondriale Pag. 29 Il micoplasto Pag. 29 La glicolisi anaerobica Pag. 30 Il ciclo di Krebs Pag. 30 I trasportatori di elettroni Pag. 30 La pompa protonica Pag. 31 La resa energetica Pag. 31 Origine dei mitocondri Pag. 32 Origine evolutiva dei mitocondri Pag. 32 - I PEROSSISOMI (O MICROBODIES): Morfologia e caratteristiche Pag. 32 - IL CITOSCHELETRO: Funzioni del citoscheletro Pag. 33 I microfilamenti Pag. 33 I microtubuli Pag. 34 I filamenti intermedi Pag. 34 Studio del processo di assemblaggio dei microtubuli Pag. 35 Le proteine che entrano nella struttura dei microtubuli Pag. 36 Le funzioni dei microtubuli Pag. 36 Lo studio delle funzioni dei microtubuli Pag. 37 L’actina (nelle cellula non muscolari) Pag. 37 Le proteine associate ai microfilamenti di actina Pag. 38 Le funzioni dell’actina Pag. 39 La miosina Pag. 39 Le proteine associate alle molecole di miosina Pag. 40 - IL NUCLEO: L’involucro nucleare Pag. 40 Il nucleoplasma Pag. 41 Il complesso del poro Pag. 41 Lo scheletro nucleare Pag. 41 La cromatina ed i cromosomi Pag. 42 La struttura molecolare della cromatina Pag. 43 La trascrizione Pag. 43 Esoni ed Introni Pag. 44 Il significato funzionale di esoni ed introni Pag. 44 La maturazione degli RNA Pag. 44

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La mappa dei geni Pag. 44 Il nucleolo Pag. 45 - I SISTEMI DI REGOLAZIONE DELLE CELLULE Pag. 46 - LA DUPLICAZIONE DEL DNA Pag. 48 - LE ATTIVITA’ CELLULARI Pag. 49 - LA DIVISIONE MITOTICA (RIPRODUZIONE ASESSUATA): Apparato mitotico Pag. 49 Stadi della mitosi Pag. 50 - LA DIVISIONE MEIOTICA (RIPRODUZIONE SESSUALE): Diploidia e riproduzione sessuale Pag. 51 La meiosi Pag. 51 Il sinaptonema e la ricombinazione Pag. 52 I gameti Pag. 53 L’oogenesi Pag. 53 Il follicolo ooforo e l’ovulazione Pag. 54 Il ciclo mestruale Pag. 54 La spermatogenesi Pag. 55 La spermioistogenesi Pag. 55 - ESOCITOSI ED ENDOCITOSI: Esocitosi Pag. 57 Endocitosi Pag. 57 - LE PROPRIETA’ ELETTRICHE DELLE MEMBRANE E L’IMPULSO NERVOSO: Le membrane sono eccitabili Pag. 60 Morfologia del neurone Pag. 60 Il corpo cellulare ed i dendriti Pag. 61 L’assone Pag. 61 Le sinapsi Pag. 62 La membrana plasmatica nel neurone ed il potenziale di riposo Pag. 63 L’impulso nervoso Pag. 64 La trasmissione chimica dell’impulso attraverso le sinapsi Pag. 65 Struttura e proprietà delle permeasi a porta elettrica Pag. 66 I neurotrasmettitori Pag. 66 - IL MOVIMENTO AMEBOIDE Pag. 68 - IL CITOSCHELETRO DEI GLOBULI ROSSI Pag. 69

- I DISPOSITIVI DI GIUNZIONE CELLULARE: Le giunzioni occludenti Pag. 70 Le giunzioni aderenti: desmosomi e fasce aderenti Pag. 70 Le giunzioni comunicanti Pag. 71 - LA STRUTTURA DI CIGLIA, FLAGELLI E CENTRIOLI Pag. 72 CITOLOGIA VEGETALE; - PRINCIPALI DIVISIONI DEL REGNO VEGETALE: Procarioti ed eucarioti Pag. 74 Piante a tallo, piante a cormo Pag. 74 Le briofite Pag. 74 Le piante a cormo Pag. 75 - LA CELLULA VEGETALE: I plastidi Pag. 76 La parete cellulare Pag. 78 I vacuoli Pag. 80 I componenti del succo cellulare Pag. 81 - L’ASSORBIMENTO DEI SOLUTI: L’assorbimento dell’acqua Pag. 82 Il potenziale d’acqua Pag. 83 Il potenziale matricale Pag. 83 - CRESCITA E SVILUPPO DELLA CELLULA VEGETALE: Il tessuto meristematico Pag. 84 Moltiplicazione ed ingrandimento cellulare Pag. 84 Il controllo dell’accrescimento cellulare Pag. 85 ESERCITAZIONI DI ISTOLOGIA;

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- IL TESSUTO EPITELIALE Pag. 86 - L’EPITELIO DI SECREZIONE: Le ghiandole esocrine Pag. 87 - I TESSUTI CONNETIVI Pag. 88 - I TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO: La cartilagine ialina Pag. 90 - IL TESSUTO OSSEO Pag. 91 - IL TESSUTO ADIPOSO Pag. 92 - IL TESSUTO MUSCOLARE Pag. 93 - IL TESSUTO NERVOSO Pag. 94 - IL SANGUE Pag. 95