LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI CON “CODICE SPECCHIO” … · materia di classificazione dei...

40
177 5/2018 LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI CON “CODICE SPECCHIO” Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza di Alberto Galanti SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. La classificazione dei rifiuti. 3. Segue: La tesi della certezza. 4. Segue: quali analisi effettuare. 5. La tesi della probabilità. 6. La tesi della “certezza scientifica”. – 7. La modifica del 2014 all’allegato della parte IV del testo unico dell’ambiente. – 8. La nuova normativa europea. 9. Il diritto europeo armonizzato. 10. La posizione della giurisprudenza di legittimità. 11. La posizione del MATTM e il parere del Consiglio di Stato. 12. Il “decreto Mezzogiorno”. – 13. L’interpretazione della normativa europea fornita da ISPRA. 14. La classificazione dei rifiuti secondo la Commissione europea. 15. Segue: campionamento e analisi. 15.1. Segue: lo scenario realistico più sfavorevole. 15.2. Segue: il principio di precauzione nella giurisprudenza nazionale. 16. Le “voci generiche”. – 17. Segue: la presenza di POP. 18. l’applicazione della normativa sulle discariche come normativa speciale. – 19. Conclusioni. 1. Introduzione. La questione della classificazione dei rifiuti connotati dai c.d. “codici specchio” ha ormai da tempo abbandonato i toni della disputa dottrinale per trasformarsi in una vera e propria “guerra di religione” in cui si contendono il campo due opposte tesi, semplicisticamente denominate “teoria della probabilità” (secondo cui la c.d. caratterizzazione analitica dovrebbe riguardare solo le sostanze ritenute “pertinenti”, selezionate dal produttore) e “teoria della certezza” (secondo cui sarebbe sempre necessaria la conoscenza precisa della composizione del rifiuto per escluderne la natura pericolosa). La vicenda è salita al calor bianco nel preciso momento in cui la Corte di Cassazione, con ordinanza del 27 luglio 2017 n. 37460, ha sollevato questione di pregiudizialità europea dinanzi alla Corte di Giustizia UE, affinché dirimesse i seguenti dubbi interpretativi: Abstract: Il contributo, nell’analizzare le linee guida predisposte dalla Commissione UE in materia di classificazione dei rifiuti, intende fornire un contributo di chiarezza su un tema, quello della corretta classificazione dei rifiuti con “codice specchio”, su cui la dottrina appare fortemente divisa e che attualmente è rimesso alla interpretazione della corte di Giustizia dell’Unione europea.

Transcript of LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI CON “CODICE SPECCHIO” … · materia di classificazione dei...

177

5/2018

LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI CON “CODICE SPECCHIO”

Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza

di Alberto Galanti

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La classificazione dei rifiuti. – 3. Segue: La tesi della certezza. – 4. Segue: quali analisi effettuare. – 5. La tesi della probabilità. – 6. La tesi della “certezza scientifica”. – 7. La modifica del 2014 all’allegato della parte IV del testo unico dell’ambiente. – 8. La nuova normativa europea. – 9. Il diritto europeo armonizzato. – 10. La posizione della giurisprudenza di legittimità. – 11. La posizione del MATTM e il parere del Consiglio di Stato. – 12. Il “decreto Mezzogiorno”. – 13. L’interpretazione della normativa europea fornita da ISPRA. – 14. La classificazione dei rifiuti secondo la Commissione europea. – 15. Segue: campionamento e analisi. – 15.1. Segue: lo scenario realistico più sfavorevole. – 15.2. Segue: il principio di precauzione nella giurisprudenza nazionale. – 16. Le “voci generiche”. – 17. Segue: la presenza di POP. – 18. l’applicazione della normativa sulle discariche come normativa speciale. – 19. Conclusioni. 1. Introduzione.

La questione della classificazione dei rifiuti connotati dai c.d. “codici specchio”

ha ormai da tempo abbandonato i toni della disputa dottrinale per trasformarsi in una vera e propria “guerra di religione” in cui si contendono il campo due opposte tesi, semplicisticamente denominate “teoria della probabilità” (secondo cui la c.d. caratterizzazione analitica dovrebbe riguardare solo le sostanze ritenute “pertinenti”, selezionate dal produttore) e “teoria della certezza” (secondo cui sarebbe sempre necessaria la conoscenza precisa della composizione del rifiuto per escluderne la natura pericolosa).

La vicenda è salita al calor bianco nel preciso momento in cui la Corte di Cassazione, con ordinanza del 27 luglio 2017 n. 37460, ha sollevato questione di pregiudizialità europea dinanzi alla Corte di Giustizia UE, affinché dirimesse i seguenti dubbi interpretativi:

Abstract: Il contributo, nell’analizzare le linee guida predisposte dalla Commissione UE in

materia di classificazione dei rifiuti, intende fornire un contributo di chiarezza su un tema, quello della corretta classificazione dei rifiuti con “codice specchio”, su cui la dottrina appare fortemente divisa e che attualmente è rimesso alla interpretazione della corte di Giustizia dell’Unione europea.

178

5/2018

“a) Se l’allegato alla Decisione 2014/955/UE ed il Regolamento UE n. 1357/2014 vadano o meno

interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti; b) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate; c) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto; d) Se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione”.

Subito dopo la pronuncia, fondata sulla (a parere di chi scrive) condivisibile pretesa di ottenere da parte della Corte di Giustizia delle indicazioni che consentano di superare la ormai decennale disputa che sul tema si fa sempre più accesa, si è scatenata una vera e propria battaglia che ha visto i sostenitori della tesi c.d. “probabilistica” attaccare a testa bassa la Suprema Corte, rea, secondo l’impostazione caldeggiata, di aver fatto esplicito richiamo al principio di precauzione espresso dall’art. 191 del Trattato UE, sostenendo che da ciò discenderebbe l’obbligo di una caratterizzazione analitica dei rifiuti spinta fino al 99,9% dei componenti del rifiuto1 al fine di escluderne la natura pericolosa. Affermazione che detta dottrina reitera nelle conclusioni, quando attribuisce al Supremo Collegio una “preferenza per la tesi (dottrinale) della presunzione assoluta di pericolosità dei rifiuti con voce a specchio, in difetto di prova analitica, da estendere al 99% dei suoi componenti e per tutte le sostanze pericolose”.

In realtà, tale tesi non è in alcun punto della pronuncia sposata dalla Suprema Corte, che si limita a propendere per la tesi che richiede una conoscenza esaustiva del contenuto del rifiuto sulla base delle indicazioni fornite dalla normativa vigente. Si ha piuttosto l’impressione che lo scopo ultimo della diatriba sia piuttosto alzare i toni dello scontro, attribuendo alle parole della Corte di Cassazione un furore draconiano che in realtà non possiede, al fine di forzare la mano alla Corte di Giustizia UE.

Ad ogni buon conto, a fornire un contributo di chiarezza è di recente intervenuta la Commissione UE, emanando una “Comunicazione della Commissione - Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C 124/01)”, pubblicata il 9 aprile 2018 sulla Gazzetta UE (C 124/134), la quale, pur precisando che essa “fornisce chiarimenti in conformità alla normativa UE esistente e tenendo conto degli orientamenti sulla classificazione dei rifiuti messi a disposizione dai vari Stati membri dell'UE” e che “gli orientamenti forniti

1 F. GIAMPIETRO, Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani, pubblicata sul sito Ambiente Sviluppo, n. 1/2018, pag. 6: “non sembra pertinente il richiamo (ritenuto equivalente) al principio comunitario di precauzione, invocato dal Supremo Collegio a fondamento del preteso obbligo probatorio, gravante sul produttore e/o detentore del rifiuto, attraverso la c.d. prova esaustiva ovvero la prova analitica del 99,9% dei componenti del rifiuto, al fine di escluderne la pericolosità”.

179

5/2018

nella presente comunicazione non pregiudicano l'interpretazione che può essere data dalla Corte di giustizia dell'Unione europea”, costituisce comunque un importante contributo ermeneutico e pratico, soprattutto nello specifico tema oggetto di interesse, che potrebbe anche orientare la Corte UE nella sua decisione.

Prima di analizzare i contenuti del documento, occorre effettuare tuttavia una cronistoria della vicenda, che dia contezza delle opposte tesi che si contendono il campo e del complesso iter normativo che ha caratterizzato la materia. 2. La classificazione dei rifiuti.

Come è noto, il D. lgs. 152/2006 (art. 183) definisce come "rifiuto" qualsiasi

sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi". I rifiuti sono classificati (art. 184), in base all'origine, in rifiuti “urbani” e rifiuti “speciali” e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti “non pericolosi” e rifiuti “pericolosi”.

I rifiuti sono classificati sulla base del Catalogo Europeo dei rifiuti (CER). Detto catalogo contiene un elenco esaustivo dei rifiuti. Ad ogni rifiuto è infatti assegnato un codice (codice CER) composto da tre coppie di numeri: 1) la prima coppia di numeri indica il capitolo, ossia la famiglia di attività da cui proviene il rifiuto (p.e., 19: rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché della potabilizzazione dell'acqua e della sua preparazione per uso industriale); 2) la seconda coppia di numeri indica il sottocapitolo, ed individua, all'interno della famiglia di attività del capitolo, una particolare attività produttiva nell'ambito della famiglia (p.e., 1912: rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti (ad esempio selezione, triturazione, compattazione, riduzione in pellet) non specificati altrimenti); 3) la terza coppia di cifre indica una particolare tipologia di rifiuto originata dalla specifica attività industriale individuata con la seconda coppia di cifre (ad esempio 191211* - altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose).

I codici erano inseriti all'interno dell'Elenco dei rifiuti istituito dall'Unione europea con la decisione 2000/532/Ce. L'elenco è stato trasposto in Italia nel D. lgs. n. 152/2006 (recante "Norme in materia ambientale"), in allegato alla parte quarta, allegato D. Si vedrà in appresso come la normativa sia recentemente cambiata, ma il catalogo è rimasto sostanzialmente invariato. La procedura di corretta classificazione dei rifiuti era indicata al punto 3 dell’allegato alla predetta decisione 2000/532/CE, la quale imponeva al produttore del rifiuto l'onere di classificarlo correttamente, e soprattutto l'onere di classificarlo, mediante l'attribuzione del codice CER, come rifiuto pericoloso o non pericoloso.

Nell 'attuale sistema di classificazione sussistono sostanzialmente tre diversi tipi di rifiuti.

Esistono rifiuti pericolosi ai sensi della Direttiva 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi, che sono SEMPRE pericolosi e sono contrassegnati da un asterisco (*). Nella

180

5/2018

nomenclatura europea sono detti “AH” (absolute hazardous). Esistono poi rifiuti che, per loro provenienza, sono sempre NON pericolosi (“ANH”, o absolute non hazardous). In questi due casi si parla di codici "assoluti". Tuttavia, non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalla tesi secondo cui un rifiuto classificato come non pericoloso, come l'urbano indifferenziato, non potrebbe mai, in esito ad un processo di trattamento, essere considerato pericoloso. Tale argomentazione, si risolve infatti in uno pseudo-sillogismo, poiché confonde i due criteri di classificazione, ossia quello basato sull'origine, e quello basato sulla presenza di sostanze pericolose. A tal fine basti ricordare che al termine del trattamento il rifiuto cessa di essere urbano e diventa speciale, la cui pericolosità va valutata ai sensi della Decisione citata, come si vedrà infra.

Esistono infine rifiuti che possono essere SIA pericolosi CHE non pericolosi, a secondo che le sostanze pericolose ivi contenute raggiungano o meno determinate concentrazioni, indicate all'allegato della Dir. 91/689/CEE del Consiglio. Quando in seno al catasto europeo dei rifiuti un rifiuto viene abbinato a due diversi codici, l'uno pericoloso, l'altro non pericoloso, detto codice si dice "specchio" (mirror entry). Ciò significa che in tale ultimo caso il medesimo rifiuto può, a seconda dei casi, ossia delle sostanze contenute, essere qualificato sia come pericoloso sia come non pericoloso.

Classificare un rifiuto come pericoloso o non pericoloso determina riflessi importanti, posto che a seguito della classificazione del rifiuto come pericoloso varia il regime autorizzativo, varia la destinazione finale del rifiuto, varia la sanzione prevista per il caso di gestione abusiva; varia, soprattutto, il costo di smaltimento. 3. Segue: La tesi della certezza.

Secondo la tesi più restrittiva il rifiuto con codice specchio è sempre classificato, ab origine, come pericoloso. Tuttavia, il produttore del medesimo, ha una opportunità, che può decidere o meno di sfruttare, ossia quella di "declassificare" il rifiuto in non pericoloso.

Per fare ciò, il produttore dovrebbe avere una conoscenza completa della composizione del rifiuto, tale da escludere la presenza di sostanze pericolose. Il produttore, quindi, non gli organi di controllo. Tale asserzione non è apodittica, ma si basa su dati testuali, ossia sullo stesso elenco europeo dei rifiuti. Si prenda ad esempio il caso del percolato di discarica: - 190702* - percolato di discarica, contenente sostanze pericolose - 190703 - percolato di discarica, diverso da quello di cui alla voce 19 07 02

Oppure, proprio i rifiuti derivanti dal trattamento di altri rifiuti: - 191211* - altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose; - 191212 - altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 191211.

In questi e in tutti gli altri casi in cui la normativa prevede un codice a specchio, viene indicato per primo il rifiuto contenente sostanze pericolose, e, solo

181

5/2018

immediatamente dopo, quello non pericoloso che, si badi bene, viene definito come "diverso da quello di cui alla voce...”, ossia il pericoloso.

Ma quale rifiuto può essere "diverso" da un rifiuto pericoloso? Solo un rifiuto NON contenente sostanze incluse nelle classi di pericolo, e l'unico modo per stabilire se tale rifiuto NON contiene le sostanze incluse nelle classi di pericolo è conoscerne la composizione e, se essa non è nota né può essere conosciuta (con le modalità che si diranno in appresso), effettuare analisi complete dello stesso.

Qualora il produttore non ritenga conveniente eseguire tutte le batterie analitiche necessarie ad una corretta caratterizzazione del rifiuto, potrebbe scegliere di classificare lo stesso come pericoloso.

Giova sottolineare che quando a seguito di un processo di trattamento o pretrattamento del rifiuto viene prodotto un nuovo rifiuto, incombe sul (nuovo) produttore l’onere di nuova classificazione2. 4. Segue: quali analisi effettuare.

Autorevole dottrina3 aderente alla tesi in esame, nel premettere che per stabilire se nel rifiuto sono presenti o meno sostanze pericolose occorre prima determinare la composizione del rifiuto stesso, precisa che la procedura analitica da adottare è facilmente reperibile in tutti i manuali di chimica e prevede non solo i passaggi che devono essere eseguiti, ma anche la loro successione, al fine di individuare i vari composti contenuti sulla base delle specifiche proprietà derivanti dalla loro struttura e dai gruppi funzionali che li caratterizzano. Applicando tale metodica sarà perciò necessario prima separare i gruppi di sostanze costituenti la miscela sulla base dei loro gruppi funzionali per poi identificare, una per una, le singole sostanze che li costituiscono4. 2 A tal proposito, il Consiglio di Stato, sentenza n. 5252/2014, ha stabilito che “gli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio dei rifiuti (STIR) di che trattasi effettuano sui rifiuti urbani indifferenziati un

trattamento meccanico di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, in taluni casi accompagnata dalla stabilizzazione aerobica della frazione umida tritovagliata e in un caso dalla separazione balistica sul sovvallo secondario. In considerazione del trattamento effettuato negli STIR, gli stessi si configurano come nuovi produttori di rifiuti che, per natura e composizione, risultano diversi dal rifiuto urbano in entrata”, con l’ulteriore conseguenza che “il codice 19 può perciò essere legittimamente

assegnato ai rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti della Campania, ma la frazione umida tritovagliata con codice 191212 deve essere sottoposta ad ulteriore trattamento per essere conferita in discarica ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente (Direttiva 1999/31/CE e D.lgs 36/03). Fermo restando che l’assegnazione

del codice 191212, trattandosi di una voce specchio, può essere effettuata solo dopo idonea caratterizzazione del rifiuto che ne escluda la natura pericolosa”. 3 G. AMENDOLA – M. SANNA: Codici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, pubblicato sul sito www.industrieambiente.it, 2017, pag. 5; 4 G. AMENDOLA – M. SANNA: Codici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, cit., pag. 6: “Per la separazione dei diversi gruppi di sostanze, sfruttando le loro differenze di volatilità e solubilità nei diversi solventi, si ricorrerà a metodi chimici e fisici. Su questi criteri si basa appunto la sistematica di Staudinger, messa a punto negli anni ‘30 del

secolo scorso e ripresa successivamente dai vari manuali, che naturalmente potrà essere adattata impiegando le moderne strumentazioni. Separate le diverse classi di sostanze presenti (quali, ad esempio, le ammine, le ammidi, i fenoli, le

182

5/2018

Solo una volta avvenuto il riconoscimento delle sostanze si potrà passare al loro dosaggio quantitativo, utilizzando anche in questo caso i moderni metodi strumentali5. 5. La tesi della probabilità.

Opposta dottrina6e7 e financo l’Ordine di Chimici, in un “parere pro veritate” reso il 12 febbraio 2017, sostengono invece che le analisi andrebbero limitate ad alcuni set analitici ricavati da una verifica della presumibile composizione del rifiuto.

Si legge in particolare dal parere dell’Ordine dei chimici (che riporta in premessa come materiale di studio esclusivamente dottrina e giurisprudenza favorevole alla tesi caldeggiata) che sarebbe sufficiente "prendere in considerazione la ricerca di tutte quelle sostanze pericolose considerate ubiquitarie, o, comunque, molto comuni, oltreché di tutte le eventuali sostanze specifiche, pertinenti con il processo di produzione del rifiuto, risultanti a valle dei processi logici di valutazione che il Chimico deve aver potuto/dovuto effettuare”8.

Tale tesi, inoltre, critica serratamente la c.d. “teoria della certezza” sotto numerosi profili9: “a) la lettera e lo spirito della normativa comunitaria, innanzi citata, sui codici a specchio – direttamente vincolante in Italia - non fa mai riferimento a presunzioni di pericolosità del tipo sopra indicato né tanto meno all’onere di una prova “esaustiva” (a carico del produttore e del

detentore) su tutte le sostanze pericolose, che possono essere presenti in un rifiuto né detta criteri metodologici vincolanti per la ricerca delle sostanze pericolose. b) non risulta scientificamente possibile imporre un onere probatorio (prova esaustiva) sul rifiuto de quo, pur nell’esercizio di elevate competenze del chimico o del Laboratorio riconosciuto, come

è stato sottolineato da più parti; c) sotto il profilo strettamente amministrativo e, soprattutto, penale non è consentito invertire l’onere della prova a carico del gestore del rifiuto, in specie, quando l’obbligo da adempiere (prova

liberatoria “esaustiva”) non sia definito in termini certi e univoci nella norma incriminatrice.

aldeidi, i nitro composti, ecc.), si procederà al loro riconoscimento utilizzando i metodi strumentali attualmente disponibili”. 5 Secondo la stessa dottrina (ibidem, pag. 7), per quanto riguarda i rifiuti di natura inorganica, specie se costituiti da composti contenenti metalli, rilevati inizialmente in modo qualitativo come parametri aspecifici, (ad esempio come composti del rame) da essi sarà possibile poi, ricavare stechiometricamente i singoli composti che possono costituirli, che poi riconosciuti analiticamente, possono essere dosati. 6 S. MAGLIA: I rifiuti pericolosi e le voci a specchio: come classificarli correttamente?, pubblica sulla Rivista on line Lexambiente, 28 febbraio 2014, non impaginato, il quale precisa che "in caso di voci a specchio per verificare la pericolosità di un rifiuto non è ovviamente necessario verificare analiticamente la presenza di tutte le migliaia di sostanze pericolose esistenti e determinarne la concentrazione, ma deve essere indagata la presenza delle sostanze che con più elevato livello di probabilità potrebbero essere presenti nel rifiuto e, con riferimento a quelle, verificare il superamento dei limiti di concentrazione, ove previsti". 7 P. FIMIANI, La classificazione dei rifiuti dopo la novità della legge 125/2015, in Rifiuti n. 231, agosto-settembre 2015; 8 Parere dell’ordine dei Chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise, citato, pag. 6. 9 F. GIAMPIETRO, Classificazione dei rifiuti con i codici “a specchio”: l’ordinanza della Cassazione 27 luglio 2017, n.

37460, sul sito Ambiente & Sviluppo n. 11/2017, pag. 699.

183

5/2018

d) resta, in ogni caso, indiscutibile che, per la nota prevalenza della fonte comunitaria, a partire dal 1° giugno 2015 (data di entrata in vigore del Regolamento (Ue) 1357/2014 e della Decisione 2014/955 Ue, citati) i criteri sullo svolgimento delle analisi e della ricerca sulla natura del rifiuto vanno riferiti al caso specifico, vale a dire, devono essere “opportuni”, “proporzionati” e

“pertinenti” nell’ambito di una “attività a contenuto valutativo”, che costituisce esercizio di discrezionalità tecnica”.

La tesi, che sembrerebbe avvalorata a una prima lettura della nuova disciplina comunitaria (su cui infra) è a sua volta contrastata dai fautori dell’opposta teoria10, secondo cui tale procedura si risolverebbe in una sorta di “lotteria” per quanto concerne la scelta delle sostanze da analizzare, spesso sulla base di kit analitici preconfezionati11.

Come appare evidente, i termini della disputa sono decisamente accesi. 6. La tesi della “certezza scientifica”.

In una sorta di regione intermedia si trova quella che potremmo chiamare tesi della “certezza scientifica”12.

I sostenitori di tale approccio, sottolineano che “alla base dell’orientamento

probabilistico vi deve essere la conoscenza del rifiuto, se questa non ci fosse mancherebbero i presupposti per scegliere logicamente le sostanze pericolose presenti e quindi non sarebbe possibile alcuna scelta razionale” risolvendosi la scelta delle sostanze da ricercare e la conseguente classificazione in una “lotteria” in cui la “probabilità” non sarebbe quella riguardante la presenza o meno delle sostanze ma quella di “indovinarle”, così, almeno prima facie, avvicinandosi alla tesi della certezza.

10 G. AMENDOLA – M. SANNA, Codici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, cit. 11 G. AMENDOLA – M. SANNA, Codici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, cit., pag. 4: “la procedura da utilizzare per determinare la composizione di un rifiuto è mutuata da quella seguita nelle analisi chimico cliniche, ad esempio quelle del sangue o delle urine. L’obiettivo di tali analisi è però solo quello di stabilire la concentrazione di

determinati parametri individuati a priori per pervenire ad una specifica diagnosi; esse non sono quindi finalizzate a conoscere la composizione di un determinato campione di urina o di sangue ma solo alla determinazione di parametri prefissati. Lo scopo di queste analisi è perciò del tutto opposto a quello che si persegue nell’analisi di un rifiuto in cui

non sono prefissate le sostanze da ricercare che rappresentano invece proprio le incognite da rilevare. In altri termini, la metodologia solitamente impiegata nella caratterizzazione di un rifiuto ai fini della sua classificazione è quella di individuare la sua composizione verificando se determinati composti, scelti spesso a caso o sulla base degli standard preconfezionati disponibili nel laboratorio di analisi, siano presenti o meno nel rifiuto. In questo modo, però, una analisi finalizzata a determinare la composizione di un rifiuto di fatto si trasforma in una sorta di lotteria. Infatti la individuazione delle sostanze presenti nel rifiuto, considerato che il numero di quelle impiegate come standard è comunque esiguo rispetto alle sostanze che possono essere presenti e considerata anche la assoluta ignoranza della composizione del rifiuto, con tale metodica risulta abbastanza difficile se non impossibile. Tanto più che i pacchetti preconfezionati di sostanze standard in commercio non sono certo riferibili ad un particolare tipo di rifiuto, anzi costituiscono essi stessi un fattore limitante dell’analisi da eseguire perché spesso possono divenire di fatto la

motivazione dei parametri scelti da dosare”. 12 W. FORMENTON – M. FARINA – G. SALGHINI – L. TONELLO – F. ALBRIZIO, Codici a specchio: fra certezza scientifica e verità, in Lexambiente, 7 luglio 2017, non impaginata. Su una posizione che, seppur vicina agli autori dianzi citati, non è del tutto chiara, è invece M. FRANCO, Codici a specchio: nasce il partito della “incertezza” scientifica, in Lexambiente, 19 luglio 2017, non impaginata.

184

5/2018

E tuttavia criticano i sostenitori della suddetta tesi in quanto la conoscenza della composizione del rifiuto al 100% sarebbe “impossibile da rispettare scientificamente, essendo sottesa a una credenza metafisica come quella del moto perpetuo”, in ragione della inevitabile presenza di incertezze di misura e di possibili incertezze di campionamento.

Concludono gli autori affermando che “se con la parola “certezza” gli autori

dell’articolo intendessero la “certezza scientifica” cioè una certezza che si avvicina alla verità,

senza mai raggiungerla, allora la differenza fra i due orientamenti sarebbe solo una questione nominale, e anche noi, proclamati probabilisti, ma non lo siamo nel senso della lotteria, non avremmo difficoltà a iscriverci al partito della certezza (scientifica). Se con il termine “dimostrare

in concreto” s’intende la dimostrazione con certezza scientifica, allora la dimostrazione della non pericolosità di un rifiuto si può fare dimostrando di avere ben applicato la conoscenza del rifiuto oltre che con le analisi chimiche, che si integrano vicendevolmente. Ovviamente una classificazione effettuata scientificamente ha validità sino a che non si dimostrerà il contrario, cioè, come è prassi nel metodo scientifico, deve essere concessa l’inversione dell’onere della prova”.

In tale visione, “solo nel caso che il rifiuto non sia conosciuto, allora la scelta delle sostanze da controllare sarebbe aleatoria e solo in tal caso si potrebbe parlare di “lotteria” se fossero

controllate solo alcune sostanze e non altre. Infatti, ben diversa è la situazione in cui si deve operare con rifiuti di provenienza ignota. Secondo gli autori menzionati, la caratterizzazione di un rifiuto dovrebbe procedere con una metodologia di separazione delle sostanze organiche. Su questo punto siamo perfettamente d’accordo perché il rifiuto ha una provenienza sconosciuta.

Secondo gli Autori citati in questo caso il detentore del rifiuto, a fronte dei costi elevati per la caratterizzazione del rifiuto sconosciuto, potrà sempre propendere di classificare il rifiuto come pericoloso evitando quindi la costosa caratterizzazione.

Anche i più noti sostenitori della tesi della certezza sembrano convergere verso le medesime posizioni, affermando che “nel caso si abbia perfetta conoscenza delle componenti di un rifiuto e quindi anche delle caratteristiche di pericolo del rifiuto, sarà del tutto superfluo procedere ad una analisi chimica per rilevare sostanze che in base all’origine del rifiuto

è certo che non sono presenti”13. A ben vedere, le distanze tra le varie posizioni potrebbero sembrare, in linea

strettamente teorica, più ideologiche che reali, ma se si va a scendere nel concreto, si capiranno i motivi che sono alla base del contendere, che sono sostanzialmente due:

1) Come classificare i rifiuti (con codice specchio) derivanti dal trattamento dei rifiuti solidi urbani, la cui composizione è sconosciuta;

13 G. AMENDOLA – M. SANNA, Codici a specchio: cresce il partito della certezza (scientifica), in Lexambiente, 11 luglio 2017, non impaginato, i quali precisano: “l’incertezza sia insita in ogni misura è un dato scontato

indipendentemente dalla grandezza misurata, dell’unità di misura impiegata e del valore rilevato, sia esso il 100% o

100 mg/l o 100 g. Questa misura sarà sempre affetta da una incertezza e quindi, quando si esprime in modo astratto un valore, appare del tutto superfluo sottolineare anche la incertezza del medesimo… è però anche evidente che perché

vi sia una incertezza nella misura vi dovrà essere la misura stessa. Perciò se si deve conoscere la composizione di un rifiuto è prima di tutto necessario che si proceda alla individuazione ed alla misura delle sostanze in esso contenute. Se si rinuncia a priori a tale misura e ci si attesta sulla conoscenza del 50 % della sua composizione non si potrà certo sostenere che il residuo 50% è costituito dalla incertezza della misura. Misura che per altro non è stata effettuata, cercando di colmare la mancanza di conoscenza del residuo incognito e delle sostanze che lo potrebbero costituire solo con ipotesi e supposizioni (la famosa “lotteria”)”.

185

5/2018

2) Se, in questo caso, grava in capo all’accusa dimostrarne la pericolosità ovvero al produttore escluderla.

7. La modifica del 2014 all’allegato della parte IV del testo unico dell’ambiente. La tematica sembrava risolta con la modifica normativa all’allegato del testo

unico ambientale apportata nell’estate del 2014. La legge 116/2014, di conversione del c.d. "D.L. ambiente" (n. 91/2014), aveva

infatti modificato l’allegato alla parte V del codice dell'ambiente, introducendo una serie di norme sulla classificazione dei rifiuti14; opportunamente, a parere di chi scrive, si

14 L'art. 13, comma 5, lett. b-bis della nuova legge stabiliva, infatti che: "all'allegato D alla parte IV è premessa la seguente disposizione: «Classificazione dei rifiuti: 1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE. 2. Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso "assoluto", esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione. 3. Se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso "assoluto", esso è non pericoloso senza ulteriore specificazione. 4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l'analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo. 5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione. 6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso. 7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione». 5-bis. Le disposizioni di cui alla lettera b-bis) del comma 5 si applicano decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Tale disposizione creava un problema di diritto transitorio. La chiosa della disposizione potrebbe far pensare che la disposizione introdotta abbia un contenuto innovativo. In realtà, così non è, sol che si consideri che il testo introdotto segue in modo praticamente pedissequo le istruzioni operative predisposte dalle Agenzie di protezione dell’ambiente britanniche (che di seguito si vedranno), a testimonianza della natura meramente esplicativa di un obbligo scaturente dalla disciplina europea e segnatamente dall’applicazione del principio di precauzione.

186

5/2018

citava testualmente l'applicazione del principio di precauzione anche in tale campo e si chiariva che nei rifiuti caratterizzati dal c.d. "codice a specchio", quando non è nota la composizione del rifiuto, esso va classificato secondo la peggiore delle ipotesi possibili, e comunque pericoloso.

Tale normativa, subito criticata aspramente dai sostenitori della teoria della probabilità, in realtà non sposava la tesi dell’obbligo di caratterizzazione analitica “spinta”. Anzi, al contrario, indicava al produttore del rifiuto una serie di elementi, oltre a quello dell’analisi chimica, da cui poter ritrarre la composizione dello stesso, quale la scheda tecnica del prodotto e la conoscenza del processo chimico.

Ma allora perché tutto quel clamore? Verosimilmente perché alcuni rifiuti non derivano da processi industriali in cui

sono noti i prodotti di partenza e i processi utilizzati, non esiste una scheda del produttore da cui trarre informazioni sulla composizione del rifiuto e sulle sostanze in esso presenti, sicché, in tali casi, l’unico modo per conoscere la composizione chimica del rifiuto sarebbe quello analitico “spinto”. È il caso, come si è accennato, dei rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti solidi urbani. 8. La nuova normativa europea.

Il Regolamento n. 1357/2014 della Commissione UE del 18 dicembre 2014,

sostituisce l’allegato III della Direttiva 2008/98/CE (c.d. “direttiva rifiuti”) inserendo le nuove classi di pericolo (in linea di massima uguali alle precedenti H1-H15), denominate da HP1 a HP15. Esso non contiene alcuna indicazione in merito alle modalità di classificazione dei rifiuti.

La Decisione 2014/955/CE, che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, riporta in allegato, alla Sezione “valutazione e classificazione”, i seguenti principi.

Ai presenti fini la parte di precipuo interesse è quella per cui “l’iscrizione di una

voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a «sostanze pericolose», è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE.

Precisa altresì la norma comunitaria che la caratteristica di pericolo può essere valutata in due modi:

1) utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti; 2) eseguendo una prova. Dopo la valutazione delle caratteristiche di pericolo di un tipo di rifiuti in base a

questo metodo, si assegnerà l'adeguata voce di pericolosità o non pericolosità dall'elenco dei rifiuti.

187

5/2018

Tutte le altre voci dell'elenco armonizzato di rifiuti sono considerate rifiuti non pericolosi15.

La precedente Decisione 2000/532/CE, al paragrafo 6 dell’allegato (sostituito dalla nuova Decisione) stabiliva solamente che “se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio percentuale rispetto al peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all'allegato III della direttiva 91/689/CEE del Consiglio. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 si applica l'articolo 2 della presente decisione. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14 l'articolo 2 della presente decisione non prevede al momento alcuna specifica”.

I fautori della teoria probabilistica rinverrebbero la conferma della correttezza dell’approccio metodologico seguito sulla presenza dei nuovi aggettivi “opportuno” e “pertinente” che compaiono nella traduzione italiana della Decisione. In particolare, l’aggettivo “pertinente” andrebbe letto nel senso di consentire di limitare le analisi ai (soli) composti “che si presuppone siano presenti nel rifiuto in base al processo produttivo dal quale scaturisce”16.

Come è tuttavia stato analizzato in dottrina17, mentre la versione italiana della decisione stabilisce che “l'iscrizione di una voce nell’elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose”, è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più del/e caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15...”, nella versione originale francese si legge (invece): "Une référence spécifique ou générale à des «substances dangereuses» n'est appropriée pourun déchet marqué comme dangereux figurant sur la liste harmonisée des déchets que si ce déchet contient les substances dangereuses correspondantes qui lui confèrent une ou plusieurs des propriétés dangereuses... ".

"Approprié" è sinonimo di "bien choisi" "convenable", traducibile con "adeguata", "appropriata", "pour un déchet marqué comme dangereux" con "ad un rifiuto contrassegnato come pericoloso".

15 Secondo la norma richiamata, inoltre: — I rifiuti contenenti dibenzo-p-diossine e i dibenzofurani policlorurati (PCDD/PCDF), DDT (1,1,1-tricloro-2,2-bis(4- clorofenil)etano), clordano, esaclorocicloesani (compreso il lindano), dieldrin, endrin, eptacloro, esaclorobenzene, clordecone, aldrin, pentaclorobenzene, mirex, toxafene esabromobifenile e/o PCB in quantità superiori ai limiti di concentrazione di cui all'allegato IV del regolamento (CE) n. 850/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (1) devono essere classificati come pericolosi. — I limiti di concentrazione di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE non sono applicabili alle leghe di metalli puri in forma massiva (non contaminati da sostanze pericolose). I residui di leghe sono considerati rifiuti pericolosi sono specificamente menzionati nel presente elenco e contrassegnati con un asterisco (*). — Se del caso, al momento di stabilire le caratteristiche di pericolo dei rifiuti si possono prendere in considerazione le seguenti note contenute nell'allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008: — 1.1.3.1. Note relative all'identificazione, alla classificazione e all'etichettatura delle sostanze: note B, D, F, J, L, M, P, Q, R, e U. — 1.1.3.2. Note relative alla classificazione e all'etichettatura delle miscele: note 1, 2, 3 e 5. 16 S. MAGLIA, I rifiuti pericolosi e le voci a specchio: come classificarli correttamente?, cit., non impaginato. 17 G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio dell’esaustività delle analisi: dallo scontro in dottrina

alla soluzione del decreto Mezzogiorno, in www.ambientelagaledigesta.it, maggio/giugno 2017, pag. 454 ss.

188

5/2018

Nel testo base inglese si legge: "An entry in the harmonised list of wastes marked as hazardous, having a specific or general reference to hazardous substances, is only appropriate to a waste to display one or more of the hazardous properties HP 1 to HP 8 and/or HP 10 to HP 15... ", cioè "appropriata ad un rifiuto".

La medesima dottrina sottolinea inoltre che in entrambi i testi "appropriée" o "appropriate" sono seguiti da una specificazione ulteriore ("pour un déchet” o "to a waste") ove si utilizza l'articolo indeterminativo (e non l'articolo determinativo, che si riferirebbe al rifiuto specifico del caso concreto), del tutto omessa nella traduzione italiana e che sembra conferire una valenza generica alla locuzione18.

Inoltre, come visto l’aggettivo “pertinente” è stato interpretato, secondo la tesi probabilistica, nel senso di “relativo al processo produttivo da cui vengono generati i rifiuti”19.

Tuttavia20, nel testo francese si legge: “les substances dangereuses correspondantes qui lui confèrent une ou plusieurs des propriétés dangereuses”, cioè: “le sostanze pericolose corrispondenti”, “relative”, che conferiscono al rifiuto una o più caratteristiche di pericolo”. Nel testo inglese ugualmente si legge: “when that waste contains relevant hazardous substances that cause the waste to display one or more of the hazardous properties HP 1 to HP 8 and/or HP l0 to HP 15 as listed in Annex 1II to Directive2008/98”, cioè quando tale rifiuto contenga sostanze pericolose “pertinenti”, “relative”, che “determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo”.

Dalla lettura dei testi originali non emergono, pertanto, i riferimenti né al parametro di opportunità né della pertinenza delle analisi al processo produttivo. Anzi, "pertinenti" (rectius: “rilevanti”) non è affatto riferito al processo produttivo da cui vengono generati i rifiuti ma alle proprietà di pericolo ("corrispondenti") elencate subito appresso dalla disposizione in esame; tanto è vero che il testo inglese elimina addirittura questo aggettivo. Quindi la normativa europea, nei testi fidefacenti, non sembrerebbe attribuire alcuna “discrezionalità tecnica” né al produttore né al chimico che effettua le analisi, al contrario della traduzione italiana della decisione (lingua che come è noto non è fidefacente), ove compaiono i due aggettivi, “opportuno” e “pertinente”.

Insomma, un bel ginepraio in cui, come sovente avviene, gli esegeti italiani sono chiamati a districarsi.

18 Si sottolinea anche come nella traduzione tedesca non troviamo affatto l'aggettivo in questione, ma si dice semplicemente "Bin Abfall wird nur dann in das harmonisierte Verzeichnis der als gefahrlich eingestuften Abfalle mit einem spezifischen oder allgemeìnen Verweis auf gefahrliche Stoffe "aufgenommen Wenn... " ("un rifiuto verrà iscritto nell’elenco armonizzato di sostanze classificate come rifiuti pericolosi solo quando... "). Se tale aggettivo avesse una valenza così decisiva, difficilmente il traduttore tedesco, notoriamente pignolo, lo avrebbe omesso. 19 Cosi S. MAGLIA, cit.: “le analisi per essere ritenute sufficientemente esaustive devono essere effettuate con lo stesso criterio utilizzato per la classificazione, ovvero quello che prende in considerazione il ciclo produttivo”. 20 Così ancora G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio dell’esaustività delle analisi: dallo scontro

in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, pag. cit.

189

5/2018

9. Il diritto europeo armonizzato. Fortunatamente, la normativa europea in materia di classificazione dei rifiuti è

armonizzata, per cui le stesse regole vigono in tutti i Paesi dell'Unione. Non appare pertanto ultroneo verificare come gli altri Paesi UE regolano la materia.

Il vademecum21 ("Rifiuti pericolosi – Interpretazione della definizione e classificazione dei rifiuti pericolosi". 2013) delle Agenzie di Protezione per l'Ambiente del Regno Unito (Inghilterra. Irlanda, Galles e Scozia), che non ha valenza normativa ma contiene delle linee guida esplicative della vigente normativa, costituisce elemento di sicuro spessore a livello ermeneutico, posta l'autorevole provenienza, parla chiaro.

Si riporta fedelmente quanto tradotto. “In caso di voci a specchio, se le sostanze contenute nel rifiuto non sono note o non possono essere determinate, esso deve essere classificato come pericoloso. I gestori di rifiuti hanno il dovere di determinare se un rifiuto avente voce speculare è pericoloso o meno. Al fine di determinare se una voce speculare rappresenta un rifiuto pericoloso o meno, dovete conoscerne la composizione. Esistono tre modi per determinare la composizione di un rifiuto:

• Scheda informativa del produttore come ad esempio il foglio contenente i dati di

sicurezza (FDS). Se la composizione è stata alterata durante lo stoccaggio o l'impiego non sarebbe appropriato affidarsi completamente a tale informazione. È importante che leggiate l'Allegato B prima di usare un FDS per la valutazione del rifiuto.

• Conoscere integralmente la composizione chimica di un processo così che la composizione del rifiuto sia ben compresa, oppure

• Prelevare campioni ed analizzare il rifiuto per determinarne la composizione. Le analisi chimiche (in particolar modo in caso di sostanze inorganiche) non sempre individuano i componenti specifici ma possono individuare solamente singoli anioni e cationi. In detti casi, il gestore dei rifiuti potrebbe aver bisogno di determinare quali esatte sostanze sono presumibilmente presenti, sia mediante ulteriore analisi sia mediante l'applicazione di conoscenza del processo/attività che ha prodotto il rifiuto. In caso di qualsiasi dubbio, la presenza della sostanza peggiore dovrebbe essere presa in considerazione (e ciò, aggiunge chi scrive, in applicazione del principio di precauzione).

Ed ancora: “Se nessuna delle sostanze contenute nel rifiuto ha delle frasi di rischio (o

classi di pericolo. N.d.T.) il rifiuto non è da ritenersi pericoloso e la voce speculare di rifiuto non pericoloso può essere attribuita a tale rifiuto. Se una qualunque sostanza ha delle frasi di rischio (o classi di pericolo. N.d.T.) dovete passare alla fase 5. Qualora il gestore conosce i componenti ma non può decidere quali specifiche sostanze sono presenti, deve identificare il peggior caso di componente(i) per ognuno dei componenti e valutare il rifiuto di conseguenza. Il caso del peggior componente deve essere determinato per ciascuna proprietà pericolosa e la sostanza, o insieme di sostanze, che ragionevolmente potrebbero esistere all'interno del rifiuto e che probabilmente deriverebbero dall'applicazione di tale proprietà pericolosa”.

21 La traduzione è di chi scrive.

190

5/2018

Parimenti, l’INERIS (“Institut national de l'environnement industriel et des risques”, ente pubblico creato nel 1990), nel manuale operativo per la classificazione dei rifiuti pericolosi (“Guide d’application pour la caractérisation en dangerosité”) riproduce il manuale europeo e britannico (pag. 9):

Anche nella sezione relative alle classi di pericolo HP 4, HP5, HP6, HP7, HP 8,

HP 10, HP 11, HP 13 e HP14 si legge che “Cette section regroupe des propriétés de danger dont l’évaluation repose sur la connaissance en substances du déchet”, ossia si richiede la conoscenza della composizione del rifiuto. Segue un grafico che mostra chiaramente come se non è nota la composizione del rifiuto, esso va direttamente classificato come pericoloso:

Non vi è dubbio quindi che gli altri Paesi europei richiedano una precisa

conoscenza della composizione del rifiuto, ricavabile da fonti diverse.

191

5/2018

10. La posizione della giurisprudenza di legittimità. Con riferimento al soggetto gravato dell'onere di caratterizzare i rifiuti, è chiara

Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37559 del 07/05/2008, a mente della quale "in tema di gestione dei rifiuti, è configurabile la responsabilità del gestore della discarica per l'accettazione e la ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d'ammissibilità previsti dal D.M. 3 agosto 2005 (recante "Definizione dei criteri d'ammissibilità dei rifiuti in discarica "), in quanto grava su costui l'obbligo di verificare la caratterizzazione dei rifiuti effettuata dai produttori o dai detentori che li conferiscono al fine di determinare l'ammissibilità dei rifiuti stessi".

Analogamente, una nota dell'ISPRA, il massimo organo di controllo in materia ambientale, dettata in materia di trattamento a calce dei fanghi di depurazione, espressamente afferma quanto segue: "Ulteriore punto di criticità è rappresentato dalla assenza di indagini atte ad escludere la pericolosità del rifiuto. Si sottolinea che la normativa pone in capo al produttore del rifiuto la responsabilità della corretta classificazione dello stesso. Nel caso in esame, ai fini della valutazione della pericolosità si impone una doppia verifica. In primo luogo, essendo il codice CER proposto dalla società ... per il rifiuto in uscita dal trattamento una voce "a specchio", è necessario determinare analiticamente la concentrazione di sostanze pericolose nel rifiuto stesso".

La nota sentenza della Cassazione, Sez. III, n. 46897 del 9 novembre 2016 (in proc. Arduini) ha affrontato il tema con dovizia argomentativa, affermando che: “la classificazione di un rifiuto identificato da un "codice a specchio", e la conseguente attribuzione del codice (pericoloso/non pericoloso) compete al produttore/detentore del rifiuto; ne consegue che, dinanzi ad un rifiuto con codice "a specchio", il detentore sarà obbligato ad eseguire le analisi (chimiche, microbiologiche, ecc.) necessarie per accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose, e l'eventuale superamento delle soglie di concentrazione; solo allorquando venga accertato, in concreto, l'assenza, o il mancato superamento delle soglie, di sostanze pericolose, il rifiuto con codice "a specchio" potrà essere classificato come non pericoloso. Aderendo alla diversa prospettiva dedotta dal ricorrente, invece, ne deriverebbe che il detentore di un rifiuto con codice "a specchio" potrebbe classificarlo come non pericoloso, e di conseguenza gestirlo come tale, in assenza di analisi adeguate; ma tale interpretazione, oltre ad essere in contrasto con gli obblighi di legge, è evidentemente eccentrica rispetto all'intero sistema normativo che disciplina la gestione del ciclo dei rifiuti, ed al principio di precauzione ad esso sotteso”. Conclude, la Corte, affermando che “pertanto, compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra i due codici "a specchio", il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso (art 1, comma 6, Alleg. D)”.

La Cassazione, pertanto, sembrava aver sposato la tesi della “certezza”, imponendo sul produttore un onere di caratterizzazione completa per poter “declassificare” il rifiuto come non pericoloso.

192

5/2018

11. La posizione del MATTM e il parere del Consiglio di Stato. Con nota n. 11845 del 28/09/2015 il Ministero dell’Ambiente ha fornito

chiarimenti interpretativi sul nuovo regime di classificazione dei rifiuti introdotto dalla Decisione e dal Regolamento, confermandone la “piena ed integrale applicazione nel nostro ordinamento giuridico”, specificando altresì che dal 1° giugno 2015 gli allegati D ed I del D. Lgs 152/2006 (cfr. allegati II e III) sono inapplicabili - se in contrasto con le suddette disposizioni dell’UE - ed è necessario provvedere ad una riclassificazione dei rifiuti con cosiddetto “codice a specchio”, i quali potrebbero passare quindi da pericolosi a non pericolosi o viceversa, e che per quanto riguarda l’allegato D del D. Lgs 152/2006 continuano ad essere applicati i punti 6 e 7 del paragrafo “Introduzione”, in quanto recepimento di una disposizione comunitaria introdotta con l’articolo 7, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2008/98/CE, ancora vigente nel quadro normativo comunitario e non modificata dalle suddette disposizioni.

Tuttavia, non veniva in alcun modo chiarito in cosa la nuova normativa avrebbe differito da quella ritenuta incompatibile, sì da ritenersi implicitamente abrogata per nuova disciplina dell’intera materia.

Sembra quindi che il Ministero si sia affidato ai fautori della teoria probabilistica senza dubbio né spiegazione alcuna22. E, purtuttavia, alla luce dell’analisi comparata con

22 Va dato cenno anche al parere reso dal Consiglio di Stato in sede consultiva all’adunanza del 7 maggio 2015 (proc. N. 1480/2015); si tratta del parere preventivo sullo “Schema di decreto ministeriale recante modifica agli allegati D e I alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, riguardanti rispettivamente “Classificazione dei rifiuti” e “Caratteristiche di pericolo per i rifiuti”. Sembra opportuno riportare il passo di interesse. “Occorre, però, tener conto del fatto che, con la lett. b-bis) del co. 5 dell’art. 13 del d.l.

24 giugno 2014, n. 91, è stato di nuovo riportato alla fonte di rango primario l’intero preambolo, intitolato

“Classificazione dei rifiuti”, dall’all. D alla parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, sicché risulta assai dubbio che tale evento consenta, poi, di ricondurre alla materia delegificata quanto è stato introdotto con la suddetta lett. b-bis) dell’art. 13,

co. 5, d.lgs. n. 91 del 2014, che si configura, cioè, come una disposizione introdotta con legge (o atto equiparato) successiva ad una precedente delegificazione. Su questo punto l’Amministrazione non fornisce adeguate spiegazioni, limitandosi ad affermare, nell’analisi tecnico-normativa, che “non sono previste rilegificazioni delle norme

delegificate”; essa non tiene conto, però, delle rilegificazioni già intervenute. Ma, in realtà, nel caso di specie, non sembra essersi verificata una sostituzione con regolamento, sia pure in delegificazione, di norme rilegificate – il che appare di assai dubbia legittimità -, quanto piuttosto il mero accertamento che nella normativa nazionale il testo dell’allegato D e dell’allegato I della IV parte non è più quello risultante dalla vecchia formulazione del d.lgs. n. 152 del

2006, ma quello risultante dalla normativa comunitaria direttamente efficace nel nostro ordinamento…[omissis]… il

decreto ministeriale in oggetto, per la parte in cui incide sulla materia rilegificata con il suddetto d.l. n. 91 del 2014 appare come meramente ricognitivo dello stato della normazione, vista ormai l’avvenuta abrogazione ad opera della

normativa dell’U.E. immediatamente efficace all’interno dell’ordinamento italiano. Del resto, la prossima entrata in

vigore della normativa europea succitata, modificativa, peraltro, della direttiva n. 2008/98/CE, giustifica che l’Amministrazione si dia carico di correggere con efficacia di mero accertamento, il complesso delle norme vigenti, cui operatori e cittadini devono dare applicazione, senza con ciò introdurvi modificazioni. Sicché la parte codificata della normativa italiana, il cui contrasto con i recenti provvedimenti normativi dell’Unione potrebbe indurre in pericolose confusioni quanti sono chiamati ad applicarla, ben può essere modificato a fini di certezza e migliore conoscenza del diritto vigente. Conseguentemente il d.m. non può contenere – come si vedrà in seguito – norme che si discostino anche minimamente da quelle che in sede europea sono state varate con il regolamento n. 1357/2014 e con la Decisione n. 2014/955/UE. Solo seguendo tale ragionamento ed in questi ristretti limiti può eccezionalmente consentirsi sulla legittimità del d.m., sul quale è stato richiesto il parere di competenza. Di qui la particolare valenza delle osservazioni

193

5/2018

la normativa tecnica vigente in altri Paesi dell’Unione, la normativa italiana appariva ictu oculi perfettamente ad essa sovrapponibile. Se pertanto poteva in linea astratta convenirsi con l’opportunità di abrogare l’allegato alla parte IV del TUA inserito nel 2014, è semmai non già per contrarietà alla normativa europea, ma per una sua sopravvenuta superfluità.

Se infatti può condividersi il pensiero di chi sostiene 23che “per una corretta valutazione analitica devono essere disponibili tutte le possibili informazioni utili a descrivere le condizioni e le caratteristiche del rifiuto da cui ha avuto origine il campione (luogo, tipo di stoccaggio, contenitore, quantità, stato fisico, caratteristiche organolettiche, distribuzione-rifiuto monolitico o granulare, granulometria, grado di omogeneità)” … inoltre altrettanto importante

avere tutte le informazioni disponibili sull’origine del rifiuto, per indirizzare la scelta dei

parametri da ricercare, individuando, quando possibile, protocolli analitici minimi, ma significativi”, va altresì sottolineato, in uno con la più accorta dottrina24, che “spesso i rifiuti non derivano da un processo produttivo in senso proprio ma da processi di combustione o di trattamento termico, da processi di degradazione e lisciviazione o comunque per alterazione incontrollata di un materiale. In questi casi, le sostanze che li costituiscono sono del tutto ignote e non ipotizzabili”.

In tutti questi casi, è la stessa normativa europea a pretendere una precisa conoscenza della composizione del rifiuto, e su tale assunto anche i sostenitori della c.d. “tesi della certezza scientifica” sembrano convenire. 12. Il “decreto Mezzogiorno”.

L’art. 9 del decreto legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la

crescita economica nel Mezzogiorno, entrata in vigore il 21/06/2017, rubricato “Misure urgenti ambientali in materia di classificazione dei rifiuti”, ha sostituito i numeri da 1 a 7 della premessa dell'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con la frase seguente: «1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014».

che seguono, nelle parti in cui esprimono dubbi sulla conformità delle disposizioni proposte a quelle introdotte con i due atti normativi dell’U.E.”. Il parere, pertanto, fonda la legittimità dell’intervento abrogativo alla luce di una presunta incompatibilità della normativa italiana previgente con la nuova disciplina europea. Incompatibilità che come si è visto non è in alcun modo spiegata. 23 C. GRAMELLINI – L. BILLI – A. BOTTI, Arpa Emilia-Romagna, L’estrema variabilità dei campioni e delle matrici

oggetto di verifica, una normativa in molti casi incoerente e incompleta rendono spesso l’analisi dei rifiuti

particolarmente complessa. Le criticità da affrontare per l’ente di controllo possono essere risolte avendo a disposizione

informazioni esaustive e campioni mirati”, pubblicato su Ecoscienza, 5-6/2011, pag. 87. 24 G. AMENDOLA, Voci a specchio: l'Ordine dei Chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge, pubblicato sul sito Industrieambiente, 2017, pag. 9.

194

5/2018

Tale disposizione, in realtà, sarebbe perfettamente inutile in quanto sia i Regolamenti che le Decisioni dell’Unione europea sono direttamente e immediatamente applicabili negli ordinamenti nazionali senza bisogno alcuno di recepimento.

Evidentemente, il vero scopo della legge era un altro: quello di abrogare, sulla spinta dei fautori della “tesi probabilistica” (già ispiratori del regolamento di delegificazione), la disciplina entrata a regime nel 2014, come emerge chiaramente dalla relazione illustrativa del provvedimento: “La norma presenta carattere di necessità e urgenza in quanto interviene su alcune disposizioni della disciplina nazionale in materia di classificazione dei rifiuti che presentano profili di criticità tali da compromettere l’intero funzionamento del

sistema di gestione dei rifiuti a livello nazionale e, in particolare, nel Mezzogiorno d Italia”. In realtà tale disposizione, inserita in un decreto legge ad oggetto specifico,

trovava applicazione in tutto il Paese, e l’inciso “in particolare nel Mezzogiorno d’Italia” appare totalmente fuori luogo e volto esclusivamente a dare una parvenza di costituzionalità ad una norma che, al contrario, appare decisamente “intrusa” nel corpo del provvedimento25, in quanto concernente una disciplina, quella della classificazione dei rifiuti, del tutto avulsa dal tema del rilancio del Mezzogiorno.

Inoltre, la sostanziale abrogazione della norma, a regime ormai da tre anni, non poteva certo rivestire quei requisiti di “straordinaria necessità ed urgenza” richiesti dall’articolo 77 Cost.

Emergono quindi seri dubbi sulla costituzionalità dell’intervento normativo. Ma tant’è. 13. L’interpretazione della normativa europea fornita da ISPRA.

Per concludere l’esposizione delle opinioni espresse sul punto da Enti istituzionali, con nota 5 giugno 2015 n. 24707, l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha fornito un parere in ordine alla corretta classificazione dei rifiuti prodotti all’interno di uno stabilimento rifiuti del Lazio, identificati con il codice 191212 (rifiuti derivanti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui al codice 191211*).

Secondo ISPRA, “La norma pone in capo al produttore la responsabilità della corretta classificazione del rifiuto prodotto sulla base dell'origine e della composizione dello stesso. ... [omissis] … Per effettuare la classificazione dei propri rifiuti il produttore deve quindi selezionare i parametri da analizzare, partendo dalla conoscenza del processo che ha generato il rifiuto ed individuare le sostanze pericolose pertinenti la cui concentrazione deve essere valutata al fine di escludere la pericolosità del proprio rifiuto.

La parte più interessante del parere è quella secondo cui i referti analitici relativi ai rifiuti devono necessariamente essere accompagnati da “una relazione tecnica esaustiva

25 Nell’accezione fornita dalla Corte Costituzionale con sentenza 32/2014 (che riguardava in realtà la legge di conversione di una decreto legge, ma esprime un principio generale).

195

5/2018

che consenta di conoscere le caratteristiche del rifiuto in ingresso all’impianto, le fasi di processo,

i flussi e le caratteristiche dei rifiuti e/o materiali prodotti” Detta relazione, secondo ISPRA, “risulta indispensabile per escludere eventuali

elementi di pericolosità del rifiuto qualora lo stesso sia identificato da una voce specchio dell’elenco

europeo dei rifiuti. Pertanto, classificare il rifiuto utilizzando solo i risultati di referti analitici, riferiti chiaramente ad un numero parziale di parametri non costituisce un approccio metodologico corretto”.

ISPRA, quindi, adotta una soluzione interpretativa intermedia, e per certi versi pilatesca, ma che, pur non risolvendo i nodi della questione, non va totalmente nella direzione sbagliata. 14. La classificazione dei rifiuti secondo la Commissione europea.

Terminato questo lungo ma necessario excursus, è il momento di analizzare i

contenuti del documento in oggetto. Sullo specifico punto della classificazione dei rifiuti, la Comunicazione precisa che:

“L'assegnazione di una voce specifica è effettuata seguendo la procedura per l'uso dell'elenco dei rifiuti. Tale procedura stabilisce un ordine di precedenza per i capitoli. Una versione commentata dell'elenco dei rifiuti e la procedura per il suo uso sono riportate nell'allegato 1. Qualsiasi rifiuto che può essere identificato da una voce contrassegnata da un asterisco (*) va considerato pericoloso. I rifiuti definiti da tutte le altre voci sono considerati non pericolosi. Al fine di completare la fase 2 e identificare la voce o le voci applicabili dell'elenco dei rifiuti, — è necessario valutare la voce o le voci appropriate dell'elenco dei rifiuti per i rifiuti in questione, tenendo conto che potrebbero essere state introdotte nella legislazione nazionale voci specifiche a livello di Stati membri sulla base dell'articolo 7, paragrafi 2 o 3, della direttiva quadro sui rifiuti; — successivamente è necessario valutare a quale delle seguenti tipologie di voci debbano essere assegnati i rifiuti in esame: — voce di pericolo assoluto (AH, Absolute Hazardous, contrassegnata da un asterisco (*)): i rifiuti assegnati a voci AH non possono essere assegnati a voci di non pericolo e sono considerati pericolosi senza ulteriore valutazione. Qualora un rifiuto sia assegnato a una voce AH, è classificato come pericoloso e non occorrono ulteriori valutazioni per decidere se debba essere classificato come pericoloso. Tuttavia, sarà necessario procedere con le fasi 3-5 (cfr. capitolo 3.2) al fine di determinare quali siano le caratteristiche di pericolo presentate dal rifiuto in questione, in quanto tali informazioni possono essere necessarie per adempiere le disposizioni di cui all'articolo 19, della direttiva quadro relativa ai rifiuti,

196

5/2018

concernente la corretta etichettatura dei rifiuti pericolosi (ad esempio per compilare un documento di accompagnamento per i movimenti di rifiuti). Per informazioni sulle voci AH che non presentano caratteristiche di pericolo, cfr. il riquadro 1 dell'allegato 1, della sezione 1.1; — voce di non pericolo assoluto (ANH) i rifiuti assegnati a voci ANH non possono essere assegnati a voci di pericolo e devono essere classificati come non pericolosi senza ulteriore valutazione. Qualora un rifiuto sia assegnato a una voce ANH, lo stesso è classificato come non pericoloso e non occorrono ulteriori valutazioni per decidere se detto rifiuto debba essere classificato come non pericoloso. Per informazioni sulle voci ANH che presentano caratteristiche di pericolo, cfr. il riquadro 1 dell'allegato 1, della sezione 1.1; — voce specchio Le «voci specchio» possono essere definite come due o più voci correlate, una delle quali è pericolosa e l'altra no. A differenza delle voci AH o ANH, se un rifiuto viene assegnato a un gruppo di voci alternative, occorre intraprendere una valutazione più approfondita ai fini dell'assegnazione. Le voci alternative sono costituite almeno dalle voci riportate in appresso. — voce specchio di pericolo (MH) (contrassegnata da un asterisco (*)); — voce specchio di non pericolo (MNH) Qualora sia possibile scegliere tra assegnare una voce MH o una voce MNH, è necessario procedere con le fasi da 3 a 5 (cfr. capitolo 3.2) del processo di classificazione in maniera da determinare, sulla base dei risultati di tali indagini, se assegnare una voce MH o una voce MNH”.

La tabella 2 dell’Allegato I contiene una descrizione più precisa:

Le «voci specchio» possono essere definite come due o più voci correlate, una delle quali è pericolosa e l'altra no. Talvolta un membro di una voce specchio può corrispondere a diverse possibili voci alternative correlate. A differenza delle voci AH o ANH, se un rifiuto viene assegnato a un gruppo di voci alternative, occorre intraprendere una valutazione più approfondita ai fini dell'assegnazione. Le voci alternative sono costituite almeno dalle voci riportate in appresso. — Voce specchio di pericolo (MH) Le voci MH sono contrassegnate in arancione nell'elenco dei rifiuti commentato (cfr. Tabella 3 nella sezione 1.2.1). — Voce specchio di non pericolo (MNH) Le voci MNH sono contrassegnate in blu scuro nell'elenco dei rifiuti commentato (cfr. Tabella 3 nella sezione 1.2.1). Le voci specchio possono essere suddivise nelle seguenti sottocategorie. — La decisione tra voce alternativa MH o MNH è determinata da un riferimento generale a sostanze pericolose, ad esempio: 10 12 09* rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose MH

197

5/2018

10 12 10 rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 12 09 MNH — La decisione tra voce alternativa MH o MNH è determinata da un riferimento specifico a sostanze pericolose particolari, ad esempio: 16 01 11* pastiglie per freni, contenenti amianto MH 16 01 12 pastiglie per freni, diverse da quelle di cui alla voce 16 01 11 MNH — Per voci che fanno riferimento a più voci, l'assegnazione di una voce specifica può dipendere dall'origine o da talune proprietà dei rifiuti in questione e dalle sostanze pericolose potenzialmente contenute, ad esempio: 17 06 01* materiali isolanti, contenenti amianto MH 17 06 03* altri materiali isolanti contenenti o costituiti da sostanze pericolose MH 17 06 04 materiali isolanti, diversi da quelli di cui alle voci 17 06 01 e 17 06 03 MNH Spesso, ma non necessariamente, voci specchio corrispondenti tra di loro possono essere riconosciute tramite la presenza nella loro descrizione della formulazione «diversi/e da quelli/e di cui alla voce...» tra voci MH e MNH. Qualora sia possibile assegnare un rifiuto a una voce MH o a una voce MNH, è necessario procedere con le fasi da 3 a 5 (cfr. capitolo 3.2) del processo di classificazione al fine di determinare presenza e tenore di sostanze pericolose in concentrazioni significative oppure al fine di determinare se il rifiuto in questione presenta direttamente le caratteristiche di pericolo, in maniera da assegnare correttamente la voce MH o la voce MNH al flusso di rifiuti in esame”. È evidente che quando la caratteristica di pericolo è indicata con riferimento ad

una sostanza o un composto specifico, per escludere la classificazione del rifiuto come MH sarà sufficiente escludere la presenza di quella sostanza o composto; laddove, al contrario, il riferimento è generico a “sostanze pericolose”, la soluzione del problema diventa più ardua.

Il documento quindi procede con l’enucleazione del procedimento di corretta classificazione del rifiuto, che viene poi esemplificato in diagrammi di flusso. Il primo si arresta in limine ai codici specchio:

198

5/2018

Quanto ai codici specchio, lo studio non si cura di stabilire se un rifiuto è presuntivamente pericoloso o non pericoloso, ma si limita ad indicare l’obbligo di rispettare precisi passaggi procedimentali:

“Assegnazione di una voce MH o MNH Per scegliere una voce specchio appropriata, fare riferimento ai capitoli che seguono. Si possono utilizzare questi capitoli anche per stabilire le caratteristiche di pericolo di un rifiuto associate a una voce AH, in quanto tali informazioni possono essere necessarie per adempiere le disposizioni di cui all'articolo 19 della direttiva sui rifiuti, concernente la corretta etichettatura dei rifiuti pericolosi (ad esempio per compilare un documento di accompagnamento per i movimenti di rifiuti). Dopo aver completato le fasi da 3 a 5, si saprà infine se i rifiuti in esame contengono componenti pericolosi e presentano una o più caratteristiche di pericolo (da HP1 a HP15) e/o contengono eventuali POP pertinenti. Di conseguenza sarà possibile decidere se i rifiuti sono pericolosi o meno. Il diagramma di flusso che segue illustra le fasi necessarie e rimanda ai capitoli successivi (e ai rispettivi allegati per ulteriori dettagli).

199

5/2018

L’impostazione è chiara: se non sono disponibili conoscenze sufficienti sulla composizione dei rifiuti per sapere se i rifiuti possiedono le caratteristiche di pericolo da HP1 a HP15 il rifiuto va classificato come pericoloso, altrimenti si passa alla fase successiva.

Se nella fase successiva si accerta che il rifiuto possiede le caratteristiche di pericolo suddette il rifiuto va classificato come pericoloso, altrimenti si passa alla fase successiva, ossia la verifica della presenza di POP.

Il diagramma di flusso dianzi evidenziato viene successivamente spiegato al par. 3.2.1:

“3.2.1. Fase 3: Sono disponibili conoscenze sufficienti sulla composizione dei rifiuti per stabilire se gli stessi presentano caratteristiche di pericolo effettuando calcoli o prove in linea con la fase 4? L'ottenimento di informazioni sufficienti sulla presenza e sul tenore di sostanze pericolose nei rifiuti costituisce una fase importante della classificazione dei rifiuti al fine di poter stabilire se gli stessi possono presentare caratteristiche di pericolo da HP1 a HP15. A tale fine sono necessarie talune informazioni sulla composizione dei rifiuti, indipendentemente dal metodo scelto per assegnare le caratteristiche di pericolo (calcolo o prove) come descritto nella fase 4. Esistono modi diversi per raccogliere informazioni sulla composizione pertinente dei rifiuti, sulle sostanze pericolose presenti e sulle potenziali caratteristiche di pericolo presentate dagli stessi: — informazioni sulla chimica/sul processo di fabbricazione che «generano rifiuti» e sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti (fonti utili possono essere relazioni BREF, manuali dei processi industriali, descrizioni dei processi ed elenchi di materiali di ingresso forniti dal produttore, ecc.26); — informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell'oggetto prima che questi diventassero rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichetta del prodotto o schede di prodotto (per maggiori dettagli cfr. allegato 2); — banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri; — campionamento e analisi chimica dei rifiuti (cfr. allegato 4).

26 A pag. 86 del documento viene specificato che tali fonti informative supplementari possono essere costituite da: — documenti «BREF»; — manuali dei processi industriali; — quaderni di settore (Sector notebook) dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti; — informazioni su processi e sostanze fornite dal produttore del rifiuto (descrizioni dei processi); — banche dati sulla composizione tipica di taluni rifiuti. Ad esempio, per i rifiuti solidi urbani potrebbero costituire utile fonte informative le analisi merceologiche dei rifiuti su base regionale e provinciale, ove eseguite con cadenza sufficiente e svolte in maniera esaustiva.

200

5/2018

Una volta raccolte le informazioni sulla composizione dei rifiuti, è possibile valutare se le sostanze identificate sono classificate come pericolose, ossia se alle stesse è assegnato un codice di indicazione di pericolo (cfr. Riquadro 12). Al fine di determinare se le sostanze contenute sono classificate come pericolose e per saperne di più sulle classi e sulle categorie di pericolo specifiche attribuite alle sostanze a norma del regolamento CLP27, fare riferimento agli orientamenti forniti nell'allegato 2.

Codici di indicazione di pericolo Si noti che qualora si prenda in considerazione lo svolgimento di prove dirette sulle caratteristiche di pericolo (come avviene solitamente per le caratteristiche di pericolo fisico, cfr. fase 4), potrebbe non essere necessario effettuare l'analisi chimica dei rifiuti in esame. Infatti altre fonti di informazione menzionate in precedenza possono già indicare se sia ragionevole svolgere una prova diretta mirata su determinate caratteristiche di pericolo.

27 Il regolamento CLP (Classification, Labelling and Packaging) è il regolamento europeo n. 1272/2008, grazie al quale il sistema di classificazione europeo relativo alla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche (e delle loro miscele) è stato allineato al sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche, al fine di armonizzare i criteri per la classificazione delle sostanze e delle miscele e le norme relative all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose. Il Regolamento conosce quattro tipi diversi di pericolosità:

1) pericolo chimico-fisico 2) pericolo per la salute umana 3) pericolo per l'ambiente 4) ulteriori pericoli.

201

5/2018

Se si prende in considerazione la possibilità di realizzare un campionamento e un'analisi chimica dei rifiuti in esame al fine di determinarne la composizione chimica (ad esempio per applicare l'approccio di calcolo nella valutazione delle caratteristiche di pericolo come descritto nella fase 4), fare riferimento all'allegato 4. Coloro che classificano i rifiuti sono tenuti ad adottare tutte le misure ragionevoli per determinare la composizione e le caratteristiche di pericolo dei rifiuti prima di raggiungere questo punto. Infine, se le informazioni raccolte sulla composizione dei rifiuti (tenendo conto di tutte le opzioni di cui sopra) non consentono di trarre conclusioni o valutare le caratteristiche di pericolo presentate dai rifiuti, né mediante calcolo, né mediante l'esecuzione di prove sui rifiuti in linea con la seguente fase 4, l'operatore prende in considerazione la possibilità di classificare i rifiuti come pericolosi (se necessario previa consultazione con l'autorità competente)”. Pertanto, secondo il procedimento indicato nel documento, nel caso di rifiuti

connotati da codice specchio il primo gradino è costituito dall’ottenere informazioni sulla composizione del rifiuto e sulla presenza di sostanze pericolose al suo interno, informazioni che possono essere desunte, esattamente come prevedeva la L. 116/2014, dalla scheda tecnica del rifiuto, dal suo processo produttivo, da prove dirette o da analisi chimiche. Se, proceduto a svolgere tutte le operazioni di cui sopra, non è possibile “valutare le caratteristiche di pericolo presentate dai rifiuti”, il rifiuto va classificato come pericoloso.

Se, invece, le operazioni di cui sopra consentono di valutare la pericolosità dei suoi componenti, il passo successivo è costituto dal verificare se per effetto della presenza di tali sostanze il rifiuto presenti una delle caratteristiche di pericolo da HP1 a HP15.

Ad esempio, per valutare la sussistenza della caratteristica di pericolo HP1, potranno essere presi in considerazione i CLP da H200 a H241 (pag. 87 del documento).

Per capire se in relazione alle sostanze pericolose presenti il rifiuto presenti taluna delle classi di pericolo, il documento indica due metodi: analisi o prove dirette:

“Una volta completata la fase 3, si dovrebbe disporre di informazioni sufficienti sulla composizione pertinente dei rifiuti in esame. Ciò significa che si dispone di conoscenze sufficienti in merito alle sostanze pericolose contenute nei rifiuti e alla loro classificazione (ad esempio se alle stesse sono attribuiti codici di indicazione di pericolo pertinenti a norma del regolamento CLP) tali per cui sia possibile applicare almeno uno dei seguenti metodi atti a determinare se i rifiuti presentano caratteristiche di pericolo: — calcolo per stabilire se le sostanze presenti nei rifiuti in esame presentano valori uguali o superiori ai limiti di soglia basati sui codici di indicazione di pericolo (che dipendono individualmente dalle proprietà da HP4 a HP14, cfr. allegato 3);

202

5/2018

— prove atte a stabilire se i rifiuti presentano caratteristiche di pericolo o no. L'allegato 3 fornisce una descrizione dettagliata e orientamenti sulle modalità di valutazione delle singole caratteristiche di pericolo da HP1 a HP15, tramite calcolo o prove.”

La Commissione aggiunge anche che: “Va notato che, sebbene siano disponibili metodi di prova diretti per alcune caratteristiche di pericolo come descritto nella fase 4, detti metodi non sono disponibili per tutte le caratteristiche di pericolo. Di conseguenza le prove dirette non possono essere utilizzate per classificare con assoluta certezza come non pericoloso un rifiuto di composizione sconosciuta”. Pertanto, in caso di rifiuto di composizione sconosciuta, non potrà essere

utilizzato lo strumento della “prova diretta”, ma solo quello della determinazione analitica.

Appare quindi evidente che la ricerca della composizione del rifiuto e delle sostanze pericolose eventualmente presenti costituisce un primo gradino, in cui si può fare riferimento a tutti i fattori anzidetti, mentre, una volta conosciuta la composizione del rifiuto, si procederà ad analisi o prove al fine di valutare la presenza delle classi di pericolo. 15. Segue: campionamento e analisi.

L’allegato 4 (Campionamento e analisi chimica dei rifiuti) precisa che “in molti

casi, saranno disponibili informazioni sufficienti sui rifiuti in questione tali da non rendere necessario svolgere un campionamento, analisi chimiche e test (cfr. allegato 2 per altre fonti di informazione rispetto al campionamento e alle analisi chimiche dei rifiuti)”.

Ciò significa che, caso per caso, occorrerà valutare se la c.d. “analisi tecnica” del rifiuto da parte del produttore sia sufficiente per la sua classificazione, ovvero sia necessario procedere ad analisi. Il punto 4.1. dell’Allegato contiene indicazioni precise sulle metodiche di campionamento.

Una volta completata la procedura descritta, si dovrebbe disporre di informazioni sufficienti sulla composizione pertinente dei rifiuti in esame.

In presenza di talune delle classi di pericolo da HP1 a HP15, sarà quindi possibile applicare almeno uno dei seguenti metodi atti a determinare se i rifiuti presentano caratteristiche di pericolo, ossia “calcolo” (sulla base di analisi) o “prove”, con la precisazione che laddove una caratteristica di pericolo di un rifiuto è stata valutata sia mediante una prova che utilizzando le concentrazioni di sostanze pericolose come indicato nell'allegato III della direttiva 2008/98/CE, prevalgono i risultati della prova.

Il punto 4.2. dell’allegato 4, dedicato alle analisi, precisa in proposito che

203

5/2018

“4.2. Analisi chimiche dei rifiuti. Come già indicato nel capitolo 3.2.1 («Fase 3»), in taluni casi le informazioni derivate ad esempio da una scheda di dati di sicurezza di un prodotto che diventa un rifiuto, da etichette conformi al sistema globale armonizzato, dalla conoscenza del processo di «generazione del rifiuto» e da altre banche dati non sono sufficienti per consentire una valutazione delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti in questione. Dato che disporre di conoscenze sufficienti sulla composizione dei rifiuti è un presupposto per poter utilizzare l'approccio di calcolo descritto nel capitolo 3.2.2 («Fase 4»), può essere necessaria un'analisi chimica dei rifiuti in questione”. Il paragrafo, dopo avere accennato ad alcune metodologie analitiche, prosegue

affermando che: “Le informazioni desunte dalle analisi chimiche dei rifiuti che possono essere utilizzate per la classificazione dei rifiuti dovrebbero essere dati relativi alla composizione. Solitamente i risultati delle prove di lisciviazione – come vengono spesso ottenuti dai risultati di laboratorio nel quadro della verifica del rispetto dei criteri di ammissione dei rifiuti fissati dalla direttiva sulle discariche di rifiuti – non sono utili per la classificazione dei pericoli presentati dai rifiuti. L'unica deroga a questo principio può essere il caso della valutazione della caratteristica HP 15. In particolare, ciò significa che, ad esempio se un rifiuto non soddisfa i criteri di ammissione per i rifiuti inerti di cui alla direttiva sulle discariche di rifiuti, non sarà automaticamente pericoloso o rispettivamente non pericoloso. I risultati dei criteri di ammissione dei rifiuti non dovrebbero essere utilizzati come unica fonte di informazioni per la classificazione dei rifiuti pericolosi. In effetti un'analisi dei criteri di ammissione dei rifiuti è necessaria soltanto se: 1) il trattamento scelto è lo smaltimento in una discarica; e: 2) la categoria di discarica precedentemente definita tramite una classificazione come pericoloso o non pericoloso richiede una verifica numerica dei criteri di ammissione dei rifiuti. Tuttavia, le sostanze presenti in un percolato possono offrire qualche spunto in merito ai componenti dei rifiuti originari. Quanto sopra richiamato rende evidente che, secondo l’approccio seguito dalla

commissione, al di là di posizioni di “arrocco dogmatico” tipiche della dottrina italiana, ciò che davvero conta è la reale conoscenza della composizione del rifiuto: non importa se sia desumibile dalla analisi tecnica o chimica, ciò che conta è che si conosca la composizione del rifiuto prima della sua classificazione, tanto che il documento precisa che “le informazioni desunte dalle analisi chimiche dei rifiuti che possono essere utilizzate per la classificazione dei rifiuti dovrebbero essere dati relativi alla composizione”.

204

5/2018

Solitamente, secondo la Commissione, i risultati delle prove di lisciviazione – come vengono spesso ottenuti dai risultati di laboratorio nel quadro della verifica del rispetto dei criteri di ammissione dei rifiuti fissati dalla direttiva sulle discariche di rifiuti – non sono utili per la classificazione dei pericoli presentati dai rifiuti. L'unica deroga a questo principio può essere il caso della valutazione della caratteristica HP 15. In particolare, ciò significa che, ad esempio se un rifiuto non soddisfa i criteri di ammissione per i rifiuti inerti di cui alla direttiva sulle discariche di rifiuti, non sarà automaticamente pericoloso o rispettivamente non pericoloso. 15.1. Segue: lo scenario realistico più sfavorevole.

Una particolare attenzione viene riservata anche alle sostanze inorganiche, con

riferimento alle quali solitamente le analisi chimiche non forniscono informazioni sui composti chimici specifici presenti all'interno di un rifiuto, bensì consentono soltanto l'identificazione di cationi e anioni.

Rileva la Commissione al punto 4.2.1. dell’Allegato IV che solitamente utilizzando tecniche analitiche convenzionali non è possibile né definire la composizione molecolare né trarre altre considerazioni, quali l'identificazione di forme mineralogiche. Si illustrano in appresso alcuni metodi possibili che si possono applicare per superare questo ostacolo:

“Sostanze relative allo «scenario realistico più sfavorevole Nel probabile caso in cui il detentore del rifiuto disponga di qualche conoscenza in merito agli elementi del rifiuto ma non alle sostanze presenti nello stesso, si suggerisce di utilizzare il concetto di determinazione delle sostanze secondo uno scenario realistico corrispondente allo «scenario realistico più sfavorevole» per ciascun elemento identificato. Tali sostanze relative allo scenario realistico più sfavorevole dovrebbero essere determinate per ciascuna caratteristica di pericolo e successivamente dovrebbero essere utilizzate per la valutazione delle caratteristiche di pericolo. Le sostanze relative allo scenario realistico più sfavorevole dovrebbero essere determinate tenendo conto delle sostanze che potrebbero essere ragionevolmente presenti nei rifiuti (ad esempio in base alle sostanze utilizzate nel processo di generazione dei rifiuti in esame e alla chimica associata)”. Il documento precisa anche che l’accezione del termine «ragionevolmente» è

spiegata nel documento di orientamento del Regno Unito come segue: «ragionevolmente significa che le sostanze non possono essere presenti all'interno dei rifiuti perché, ad esempio, possono essere escluse le loro proprietà fisiche e chimiche».

205

5/2018

15.2. Segue: il principio di precauzione nella giurisprudenza nazionale. Il criterio dello «scenario realistico più sfavorevole»28 costituisce diretta

esplicazione del “principio di precauzione”, espresso all’art. 191 del Trattato UE29, il quale trae ispirazione dal principio elaborato dal filosofo statunitense John Rawls, secondo il quale “ogni scelta da compiersi in condizioni di incertezza va valutata in base alla peggiore delle sue possibili applicazioni” (c.d. "maximin rule"30).

Come è stato rilevato in dottrina31, una definizione precisa del principio può essere ricavata dalle considerazioni svolte nella Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, COM (2000) 1 febbraio 200232la quale precisa che il principio «comprende quelle specifiche circostanze in cui le prove scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni, ricavate da una preliminare valutazione scientifica obiettiva, che esistono ragionevoli motivi di temere che gli effetti potenzialmente pericolosi sull’ambiente e sulla salute umana, animale o vegetale possono essere incompatibili con il livello di protezione prescelto». La stessa dottrina sottolinea come la consacrazione del principio a livello internazionale viene di solito individuata nell’art. 15 della Dichiarazione approvata a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, in base alla quale «al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il metodo precauzionale.

In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve

servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai

costi, dirette a prevenire il degrado ambientale»33.

28 Tale disposizione era espressamente prevista dal comma 5 dell’Allegato D alla parte IV del D. lgs. 152/2006, come inserito dalla L. 116/2014 (“Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione”), come visto dianzi abrogato dal decreto legge 20 giugno 2017 n. 91. 29 Il comma 2 della norma, già articolo 174 nella precedente versione, stabilisce che “la politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga"”. 30 Cfr. J. RAWLS, A Theory of Justice, 1971, tr. it.: Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 2008, citato anche da D. CASTRONUOVO, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza. La logica precauzionale come fattore espansivo del “penale” nella giurisprudenza della cassazione, in questa Rivista, 21 luglio 2011, pag. 10. In senso critico rispetto alla interpretazione qui fornita del principio di precauzione anche A. MASSARO Principio di precauzione e diritto penale: nihil novi sub sole? Funzioni e limiti del principio di precauzione de iure condito e condendo in questa Rivista, 9 maggio 2011, nonché C. RUGA RIVA: “Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica”, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini – Paliero, Milano, 2006, pag. 1749, il quale dubita “che la realtà normativa (comunitaria e nazionale) ispirata al principio di precauzione possa legittimamente produrre una qualche influenza sul giudizio penale”. 31 A. MASSARO, cit., pag. 1 in nota 2. 32 Consultabile su http://europa.eu/legislation_summaries/consumers/consumer_safety/l32042_it.htm 33 L’Autore, sul punto, rinvia a T. TREVES, Il diritto dell’ambiente a Rio e dopo Rio, in Riv. giur. amb., 1993, p. 578-579.

206

5/2018

Esso è anche codificato in varie legislazioni speciali di derivazione comunitaria34, tra cui il D. Lgs. N. 152/2006 (testo unico ambientale), 3-ter. (Principio dell'azione ambientale), secondo cui "la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee [attuale 191, NDR], regolano la politica della comunità in materia ambientale", nonché dall'art. 301 (Attuazione del principio di precauzione).

L’art. 3-ter, come visto, si indirizza agli enti pubblici e privati, nonché alle persone fisiche e giuridiche. La diretta applicabilità del principio di precauzione nell'ordinamento nazionale, con portata “bidirezionale” (ossia proiettata sia verso la pubblica amministrazione che verso il privato) sembra confermata da una granitica giurisprudenza amministrativa e penale.

Sul versante della giustizia amministrativa (che, sindacando gli atti della p.a., si incentra ovviamente sull’operato di quest’ultima), numerose pronunce ne hanno affermato la natura di canone che deve ispirare l’azione dell’autorità amministrativa35. 34 Tra cui si segnalano: - l’art. 1 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; - l’art. 1 del D. lgs. 24 aprile 2001, n. 212, emanato in attuazione delle Direttive 98/95/CE e 98/96/CE, in materia di “commercializzazione dei prodotti sementieri, catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e relativi controlli”; - l’art. 1 del D. lgs. 8 luglio 2003, n. 224, emanato in attuazione della direttiva comunitaria 2001/18/CE in materia di emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati; - L’art. 107, comma 4, del Decreto legislativo, 06/09/2005 n° 206, G.U. 08/10/2005, recante il “codice del consumo”. 35 Sul punto si richiamano: - TAR Campania, Napoli, Sez. V - 14 luglio 2011, n. 3825: "Il principio di precauzione può essere definito come un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente e, se si pone come complementare al principio di prevenzione, si caratterizza anche per una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche previste, una tutela dunque che non impone un monitoraggio dell'attività a farsi al fine di prevenire i danni, ma esige di verificare preventivamente che l'attività non danneggia l'uomo o l'ambiente. Tale principio trova attuazione facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici (TAR. Lombardia, Brescia, n. 304 del 2005 nonché, da ultimo, TRGA Trentino-Alto Adige, TN, 8 luglio 2010 n.I7I) e riceve applicazione in tutti quei settori ad elevato livello di protezione, ciò indipendentemente dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano (Corte di Giustizia CE, 26.10.2002 TI32; sentenza 14 luglio 1998, causa C-248/95; sentenza 3 dicembre 1998, causa C-67/97, Bluhme; Cons. Stato, VI, 5.12.2002, n.6657; TAR. Lombardia, Brescia, II.4.2005, n.304. Preso Fiorentino, Est. Nunziata -E.C. (avv. Cacciapuoti) C. ASL Caserta (avv. Barone) e altro (n. c.). - TAR Puglia, Lecce, Sez. I - 14 luglio 2011, n. 1341 "L'applicazione del principio di precauzione comporta, in concreto, che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche. E' evidente, peraltro, che la portata del principio in esame può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l'adozione di atti generali ovvero, ancora, l'adozione di misure cautelari, ossia tutti i casi in cui l'ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l'ambiente dai danni poco conosciuti, anche solo potenziali (cfr. sul punto, ex ultimis, T.A.R Piemonte, I, 3.5.2010 n.2294 : "Dal principio di precauzione (art. 3 ter

207

5/2018

Ma la giurisprudenza penale (che si occupa della responsabilità penale “personale” e di quella degli “enti” ex d. lgs. 231/2001) ha anche stabilito che ciò che vale "a monte", ossia sul versante dell'amministratore pubblico, vale anche a valle, sul versante del privato. Ovviamente, nel settore penale l'evoluzione è più lenta, anche se la giurisprudenza sta estendendo sempre più l'area del penalmente rilevante alla luce proprio del principio in esame in funzione di un più elevato livello di tutela ambientale.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4675 del 17/5/2006 (relativa al polo petrolchimico di Porto Marghera) ha chiarito che l'agente gravato da una posizione di garanzia ha un obbligo "di informazione in relazione alle più recenti acquisizioni scientifiche, anche se non ancora patrimonio comune ed anche se non applicate nel circolo di riferimento, a meno che si tratti di studi isolati ancora privi di conferma" e che nel contenuto di prevedibilità di siffatti rischi e dei potenziali sviluppi lesivi" ... rientri anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni, sia pure indistinta ma potenzialmente derivante dal suo agire, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare più sicure regole di prevenzione".

Secondo Cassazione, sentenza n. 40330/2006, "giova inoltre segnalare l'irrilevanza, per integrare il delitto in contestazione, dell'eventuale coesistenza di altri fattori inquinanti, insistenti nella medesima località, affermando esplicitamente la Corte come tale evenienza imponga una cautela maggiore della previsione: "A fronte di ciò il fatto, evidenziato in ricorso, che nella piana di Acerra insistessero "centinaia" di altre "industrie insalubri", non è argomento escludente nè attenuante la responsabilità. Da tale circostanza assertivamente notoria sarebbe disceso, al contrario, in ragione del principio di precauzione36, un obbligo d'ancora maggiore cautela e di più rigorosa osservanza in termini di legalità delle prescrizioni in materia di raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento dei rifiuti ".

In terzo luogo, la sentenza sul caso del Sarno (Cassazione Penale, Sez. 4, 3 maggio 2010, n. 16761), che sembrerebbe avere fatto una applicazione interessante del principio di precauzione, nell’accezione anzidetta dello “scenario più sfavorevole”: “il giudizio di prevedibilità andava compiuto tenendo certamente conto dell'esperienza del passato ma senza ignorare l'esistenza di una possibilità di evoluzione dei fenomeno e ipotizzando quindi la più distruttiva ipotesi che potesse verificarsi o che il fenomeno disastroso poteva comportare. Non è conforme alla condotta esigibile dall'agente modello il comportamento di chi dà per scontata (in mancanza di alcun elemento di conferma) l'ipotesi che un fenomeno ripetitivo si verifichi nelle stesse dimensioni e con le stesse caratteristiche di gravità di quelli già verificatisi negli anni

d.lgs. n. 152/2006) deriva l'esigenza di un'azione ambientale consapevole e capace di svolgere un ruolo teso alla salvaguardia dell'ecosistema in funzione preventiva, anche quando non sussistono evidenze scientifiche conclamate che illustrino la certa riconducibilità di un effetto devastante per l'ambiente ad una determinata causa umana". 36 È stato rilevato in dottrina a proposito dei reati di disastro (E. ROSI, Brevi note in tema di ''dis-astro'' ambientale. Per una effettiva tutela dell'ambiente è necessaria la sincronia degli strumenti giuridici vigenti, in questa Rivista, 16 aprile 2015, pag. 1), che il significato linguistico del termine “disastro” “include, quindi, eventi della natura che siano “prodotti” o siano “causati” dall’uomo, dovendosi tale endiadi considerare non solo in riferimento ad

una condotta attiva, ossia in riferimento alla produzione di un fatto considerevolmente dannoso o pericoloso, ma anche ad una condotta omissiva, ossia al mancato impedimento di tale fatto, posto in essere dal titolare della c.d. posizione di garanzia, figura che in materia ambientale deve essere declinata quale posizione specifica del soggetto, tenuto normativamente al rispetto del principio di precauzione rispetto a quel determinato fatto inquinante”.

208

5/2018

precedenti. tanto più che anche il livello di gravità di questi precedenti fenomeni non era stato identico”.

Come è evidente, le indicazioni fornite dalla più recente giurisprudenza di legittimità sono nel senso di intendere il principio di precauzione come una sorta di Giano bifronte, proiettato da un lato verso i pubblici poteri, tenuti ad applicarlo sia in via amministrativa che legislativa, dall'altro verso il privato, che nello svolgere il suo lavoro di libero imprenditore deve comunque calibrare la sua attività, sia pur nel rispetto del principio di proporzionalità, in modo da escludere il pericolo potenziale insito nella sua azione. Nel concreto ciò significherebbe che il produttore del rifiuto, anche solo a fronte di un potenziale dubbio in ordine all'interpretazione di una norma posta a tutela dell'ambiente, in ossequio al principio di precauzione dovrebbe indirizzare la sua scelta consapevole nella direzione più rigorosa.

Si evidenzia da ultimo che molta dottrina critica l'utilizzo nel settore penale del principio di precauzione, sostenendo che lo stesso sarebbe contrario ai principi di legalità e tassatività della norma penale37. Va peraltro evidenziato che tali critiche si riferiscono all'utilizzazione del principio di precauzione in seno alla tematica del nesso di causalità38, ovvero della prevedibilità dell'evento (analisi tipica dell'accertamento della colpa), che effettivamente determina un passaggio dal diritto penale del "pericolo" al diritto penale del "rischio", laddove il caso che qui occupa concerne esclusivamente l'utilizzo del principio in esame quale canone ermeneutico da applicare laddove si debba scegliere tra due possibili interpretazioni della legge (nazionale di derivazione) comunitaria, a tutto vantaggio di quella più restrittiva. 16. Le “voci generiche”.

Tornando al testo in esame, la Commissione parla anche delle c.d. “voci

generiche”, precisando quanto segue: “Voci generiche Non è necessaria alcuna ulteriore speciazione in relazione agli elementi individuati per quegli elementi che presentano una «voce generica» nell'elenco delle classificazioni armonizzate di cui alla tabella 3 della parte 3 dell'allegato VI del regolamento CLP. Tuttavia le note relative alla classificazione e all'etichettatura delle miscele di cui al capitolo 1.1.3.2 dell'allegato VI del regolamento CLP possono essere prese in

37 D. CASTRONUOVO, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza. La logica precauzionale come fattore espansivo del “penale” nella giurisprudenza della cassazione, in questa Rivista, 2011, pag. 7, il quale afferma che “le categorie della causalità, della colpa e dello stesso pericolo concreto sono ritenute generalmente irriducibili alla logica precauzionale”. 38 In tal senso anche C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, cit., 1749, secondo cui il principio di precauzione “non gioca alcun ruolo nell'interpretazione del nesso di causalità e del pericolo concreto”.

209

5/2018

considerazione qualora si tratti di stabilire le caratteristiche di pericolo dei rifiuti sulla base di «voci generiche».”. Segue un elenco delle voci, tra cui le più rilevanti concernono i composti del

piombo, dell’arsenico, del mercurio, del cadmio e altre sostanze pericolose. 17. Segue: la presenza di POP.

L’ultimo step della procedura di classificazione consiste nel determinare se i

rifiuti contengano uno qualsiasi dei POP indicati nell'allegato dell'elenco dei rifiuti e in particolare se il tenore specifico di POP superi i valori limite pertinenti del regolamento POP. Nel caso in cui i rifiuti non contengano POP pertinenti o il loro tenore di POP sia inferiore ai limiti di concentrazione, viene attribuita la voce MNH; altrimenti viene attribuita la voce MH.

Ma cosa sono i POP? Il termine è l’acronimo della locuzione inglese di “inquinanti organici

persistenti”, o “persistent organic pollutant”. Essi sono disciplinati dal Regolamento (CE) 850/2004 (c.d. “Regolamento POP”), il quale ha tra i suoi obiettivi quello di proteggere l'ambiente e la salute umana da talune sostanze specifiche che vengono trasportate attraverso le frontiere internazionali e depositate lontano dal luogo di emissione, persistono nell'ambiente e possono essere soggette a bioaccumulo negli organismi viventi.

L'ambito di applicazione del regolamento è limitato alle sostanze elencate negli allegati del regolamento. A norma dell'articolo 7 del regolamento POP, i rifiuti costituiti da POP, contenenti o contaminati con gli stessi in concentrazioni superiori a determinati valori limite (limite di concentrazione di cui all'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), ossia un «basso tenore di POP»), devono essere smaltiti o recuperati con tempestività e conformemente alle disposizioni del regolamento POP in modo da garantire che il contenuto di inquinanti organici persistenti sia distrutto o trasformato irreversibilmente affinché i rifiuti residui e i rilasci non presentino alcuna caratteristica degli inquinanti organici persistenti.

Secondo la Commissione le operazioni di smaltimento o recupero che possono portare al recupero, al riciclaggio, alla rigenerazione o al reimpiego dei POP sono vietate.

Al punto 2.1.8 il documento precisa che: La classificazione delle voci specchio, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, deve tener conto dell'esistenza di taluni POP. I rifiuti contenenti taluni POP (come indicato nell'allegato dell'elenco dei rifiuti (punto 2, terzo trattino), in quantità superiori alle soglie pertinenti del regolamento sui POP, sono considerati pericolosi senza ulteriori considerazioni (cfr. l'esempio di cui all'allegato 1, sezione 1.4.2010). Si noti che:

210

5/2018

—la presenza dei POP elencati negli allegati del regolamento POP, diversi da quelli specificamente menzionati nell'allegato dell'elenco dei rifiuti (punto 2, terzo trattino), anche in concentrazioni superiori ai valori limite stabiliti nell'allegato IV del regolamento POP, non portano automaticamente alla classificazione di un rifiuto come pericoloso. La classificazione dipende infatti dalla classificazione del pericolo della sostanza e deve essere valutata applicando le norme generali di cui all'allegato III della direttiva quadro sui rifiuti applicabile ai codici da HP1 a HP15; — questo impatto sulla classificazione è indipendente e prescinde da tutti gli obblighi previsti per i produttori e i detentori di rifiuti POP a norma del regolamento POP39. Osserva da ultimo il documento che per i rifiuti classificati soltanto come

pericolosi in ragione del loro tenore di POP può essere difficile compilare documenti di accompagnamento, in quanto normalmente devono essere registrate e comunicate le caratteristiche di pericolo HP da 1 a 15. Ciò potrebbe creare problemi operativi nella compilazione dei FIR (formulari di identificazione dei rifiuti che debbono sempre accompagnare gli stessi)

L’Allegato I contiene numerose informazioni sui POP. 1.4.10. Rifiuti contenenti inquinanti organici persistenti L'esempio seguente fornisce orientamenti generali sulla classificazione dei rifiuti contenenti inquinanti organici persistenti. Informazioni generali Gli inquinanti organici persistenti (POP) sono sostanze chimiche organiche. Possiedono una particolare combinazione di proprietà fisiche e chimiche tali che, una volta rilasciati nell'ambiente, vi persistono a lungo, si diffondono ampiamente in tutto l'ambiente, si accumulano nel tessuto adiposo degli organismi viventi compresi gli esseri umani e sono tossici sia per gli esseri umani sia per la fauna selvatica. Origine principale I POP sono un gruppo di sostanze diverse o gruppi di sostanze aventi origine diversa. Molti POP sono o sono stati intenzionalmente prodotti come pesticidi o prodotti chimici industriali utilizzati per molteplici

39 La Commissione, sui POP, rappresenta anche che “I rifiuti che rientrano negli obblighi di cui all'articolo 7 del regolamento POP poiché contengono inquinanti organici persistenti in concentrazioni superiori al valore limite non costituiscono necessariamente un rifiuto pericoloso. Ad esempio un rifiuto contenente pentaBDE (principale utilizzo storico in schiume PUR flessibili per applicazioni automobilistiche e di tappezzeria) in una concentrazione pari al 5 % dovrebbe essere trattato in conformità con l'articolo 7 del regolamento POP (limite di concentrazione per la somma di POP-BDE pari a 0,1 %), tuttavia non si tratta di un rifiuto pericoloso (valore limite per il pentaBDE 10 %). Si noti che tutti gli obblighi in capo ai produttori o ai detentori di rifiuti derivanti dal regolamento POP devono essere soddisfatti indipendentemente dal fatto che la classificazione dei rifiuti in linea con l'elenco dei rifiuti faccia sì che detti rifiuti siano considerati essere pericolosi o meno”.

211

5/2018

applicazioni tecniche o agricole. Altri POP sono prodotti involontariamente come sottoprodotto, ad esempio durante i processi di fabbricazione o di incenerimento. Aspetti da considerare per la classificazione dei rifiuti La convenzione di Stoccolma sui POP e il protocollo sugli inquinanti organici persistenti della convenzione regionale dell'UNECE sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (CLRTAP) sono strumenti internazionali, i cui elenchi di sostanze POP vengono modificati di continuo. Non appena nuove sostanze/nuovi gruppi di sostanze sono classificati nel contesto della convenzione come POP, gli stessi vengono successivamente inclusi nel regolamento POP. Le disposizioni specifiche relative ai rifiuti in materia di POP sono stabilite nel suddetto regolamento POP. A norma dell'articolo 7, i rifiuti costituiti da POP, contenenti o contaminati con gli stessi in concentrazioni superiori a determinati valori limite (limite di concentrazione di cui all'articolo 7, paragrafo 4, lettera a): il valore limite di un «basso tenore di POP»), devono essere smaltiti o recuperati con tempestività e conformemente alle disposizioni del regolamento POP in modo da garantire che il contenuto di inquinanti organici persistenti sia distrutto o trasformato irreversibilmente affinché i rifiuti residui e i rilasci non presentino alcuna caratteristica degli inquinanti organici persistenti.

Secondo la Commissione, le operazioni di smaltimento o recupero che

possono portare al recupero, al riciclaggio, alla rigenerazione o al reimpiego dei POP sono vietate. Nel caso delle voci specchio, precisa quanto segue:

«I rifiuti contenenti dibenzo-p-diossine e i dibenzofurani policlorurati (PCDD/PCDF), DDT (1,1,1-tricloro-2,2-bis(4-clorofenil) etano), clordano, esaclorocicloesani (compreso il lindano), dieldrin, endrin, eptacloro, esaclorobenzene, clordecone, aldrin, pentaclorobenzene, mirex, toxafene esabromobifenile e/o PCB in quantità superiori ai limiti di concentrazione di cui all'allegato IV del regolamento (CE) n. 850/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio devono essere classificati come pericolosi». Di conseguenza i rifiuti contenenti POP citati nell'elenco dei rifiuti (punto 2, terzo

trattino) in concentrazioni superiori ai valori limite stabiliti nel regolamento POP (cfr. Tabella 7) sono classificati come pericolosi. Per i rifiuti contenenti altri POP, la pericolosità dovrebbe essere valutata applicando i limiti di concentrazione inclusi nell'allegato III della direttiva quadro sui rifiuti.

Pertanto, in occasione della classificazione del rifiuto, oltre alle classi di pericolo dovrà essere anche esclusa la presenza dei POP in concentrazioni superiori a quelle previste dal relativo Regolamento.

212

5/2018

18. l’applicazione della normativa sulle discariche come normativa speciale. L’ultima tesi elaborata da coloro che resistono strenuamente all’idea che la

composizione dei rifiuti debba essere conosciuta è quella secondo cui la normativa relativa ai requisiti che i rifiuti debbono possedere per il conferimento in discarica costituirebbe normativa speciale rispetto a quella relativa alla classificazione dei rifiuti. Commentando l’ordinanza con cui la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia UE, la precitata dottrina40 (non certo disinteressata alle sorti del giudizio in quanto rappresentante di uno degli indagati), ha infatti affermato che “nei quesiti, sottoposti alla decisione del Giudice comunitario, la Cassazione ha omesso qualunque riferimento alla normativa nazionale e comunitaria speciale, in tema di smaltimento in discarica di rifiuti urbani, previo trattamento dei medesimi”.

In particolare, si sostiene che il D.M. 27 settembre 2010 relativo ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, in attuazione dell’art. 7, comma 5 del D.Lgs. n. 36/2003, e in particolare l’art. 6, comma 1, lett. a) del D.M. 27 settembre 2010, come modificato dal D.M. 24 giugno 2015 (21), sarebbe “stato interpretato, in dottrina41, nel senso che esso: 1) consentirebbe lo smaltimento nelle discariche per rifiuti non pericolosi dei rifiuti urbani “senza caratterizzazione analitica”, in quanto inclusi nel codice 20; 2) i medesimi rifiuti sono ammessi in discariche dello stesso tipo “se risultano conformi a quanto previsto dall’art. 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003”; vale a dire: se sono stati preventivamente trattati”.

La tesi, a sommesso avviso di chi scrive, è errata per due ordini di ragioni, la prima di ordine logico, la seconda di diritto positivo.

Quanto al primo aspetto, occorre rilevare che il D.M. 27 settembre 2010, all’articolo 1, espressamente stabilisce che “i rifiuti sono ammessi in discarica, esclusivamente, se risultano conformi ai criteri di ammissibilità della corrispondente categoria di discarica secondo quanto stabilito dal presente decreto”, precisando che “per accertare l'ammissibilità dei rifiuti nelle discariche sono impiegati i metodi di campionamento e analisi di cui all'allegato 3 del presente decreto”.

L’articolo 2 precisa che “al fine di determinare l'ammissibilità dei rifiuti in ciascuna categoria di discarica, così come definite dall'art. 4 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, il produttore dei rifiuti è tenuto ad effettuare la caratterizzazione di base di ciascun tipologia di rifiuti conferiti in discarica”, la quale determina le caratteristiche dei rifiuti attraverso la raccolta di tutte le informazioni necessarie per lo smaltimento finale in condizioni di sicurezza. Essa è obbligatoria per qualsiasi tipo di rifiuto ed è effettuata nel rispetto delle prescrizioni stabilite nell'allegato 1 del medesimo decreto.

40 F. GIAMPIETRO, Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani, cit., pag. 5; 41 Si tratta di L. GIAMPIETRO – A. POERIO, L’applicazione della normativa sui codici a specchio ai rifiuti da trattamento di rifiuti: il salomonico D.L. n. 91/2017, in RivistaDGA, 2017, 7, p. 495 ss., e, degli stessi Autori, Rifiuti con voce a specchio: esclusa la presunzione di pericolosità, in nota a Corte d’Appello di Roma n. 6682/2011 e a Tribunale di Tivoli n. 652/2012”, nella medesima Rivista, 2012, 10, p. 829 ss.

213

5/2018

Di particolare interesse è il comma 5 dell’articolo 2, secondo il quale “al produttore dei rifiuti o, in caso di non determinabilità del produttore, al gestore ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera o) del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, spetta la responsabilità di garantire che le informazioni fornite per la caratterizzazione siano corrette”.

Tale disposizione è particolarmente significativa in quanto la classificazione dei rifiuti (e il conseguente obbligo di conoscenza della composizione degli stessi) viene effettuata dal produttore, mentre la caratterizzazione di base può essere eseguita da colui che deve eseguire lo smaltimento in discarica.

Ed infatti, dopo la caratterizzazione di base (art. 3), i rifiuti sono successivamente sottoposti alla “verifica di conformità”, volta a stabilire se essi possiedono le caratteristiche della relativa categoria e se soddisfano i criteri di ammissibilità previsti dal presente decreto. La verifica è effettuata dal gestore sulla base dei dati forniti dal produttore in esito alla fase di caratterizzazione.

L’articolo 6 stabilisce quali rifiuti possano essere smaltiti in discariche per rifiuti non pericolosi senza obbligo di caratterizzazione. Tra essi spiccano quelli indicati alla lettera a), ossia i “i rifiuti urbani di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 classificati come non pericolosi nel capitolo 20 dell'elenco europeo dei rifiuti”.

Tale parte della disposizione deve ritenersi, ad oggi, non più vigente. Ed infatti, da un lato, occorre ricordare che l’articolo 2 del decreto legislativo n.

36/2003 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) definisce invece “trattamento” come “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza” e che il successivo articolo 7 del D. lgs. 36/2003 precisa in modo chiaro che “i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento”.

Secondo quello che era il testo originario della direttiva, pertanto, soddisfacevano all’obbligo di trattamento prima dell’abbancamento in discarica sia impianti che effettuassero un trattamento di tipo meccanico, ossia fisico, che impianti che effettuassero un trattamento di tipo meccanico-biologico, ossia fisico e chimico.

Tuttavia, a seguito della procedura di infrazione avviata contro l’Italia proprio con riferimento alla mancata stabilizzazione della frazione organica o sottovaglio, il Ministero dell’ambiente, con la c.d. “circolare Orlando” del 6 agosto del 2013 (prot. n. 0042442/GAB), anticipando le conclusioni della procedura di infrazione comunitaria avviata nei confronti della discarica di Malagrotta e delle altre discariche del Lazio42, ha previsto l’obbligo, ulteriore rispetto a quello sancito dal decreto 36/2003, di effettuare una c.d. “stabilizzazione” del sottovaglio, ossia della frazione umida.

Parallelamente, sul versante della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato (sentenza n. 5252/2014) ha affermato che quando dal trattamento di un rifiuto scaturisca un nuovo rifiuto, la classificazione di quest’ultimo va effettuata dall’ultimo produttore43.

42 sentenza Corte di Giustizia UE 15 ottobre 2014 in proc. C-323/13. 43 Si legge in particolare che “gli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio dei rifiuti (STIR) di che trattasi effettuano sui rifiuti urbani indifferenziati un trattamento meccanico di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, in taluni casi accompagnata dalla

214

5/2018

L’assetto normativo quindi prevede che i rifiuti solidi urbani non possano essere conferiti in discarica se non dopo previo trattamento e stabilizzazione della frazione organica; se per effetto del trattamento essi diventano un nuovo rifiuto speciale, assumendo il codice della famiglia 19 del CER, essi ovviamente non saranno più rifiuti urbani ma speciali, e quindi alla disciplina ad essi relativa.

È di tutta evidenza che, in questo caso, il soggetto che ha effettuato il trattamento sarà anche il nuovo produttore del rifiuto, tenuto alla sua classificazione. E infatti, la classificazione di un rifiuto e la conseguente attribuzione del codice sono effettuate dal produttore/detentore del rifiuto, il quale va identificato (183 comma 1 lett. F) del D. lgs. 152/2006) nel “soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”.

La pronuncia parla anche dei codici speculari, affermando che “l’assegnazione del

codice 191212, trattandosi di una voce specchio, può essere effettuata solo dopo idonea caratterizzazione del rifiuto che ne escluda la natura pericolosa”. Anche i giudici di Palazzo Spada, pertanto, si collocano sulla medesima linea della Corte di Cassazione.

Tirando le fila, l’attribuzione del codice CER ad un rifiuto, e quindi la sua classificazione, costituisce una sorta di “anagrafe” dello stesso, che gli attribuisce una identità al momento della “nascita”: tale attività non può che competere al produttore del rifiuto medesimo, che ne conosce caratteristiche e processo di produzione.

Viceversa, il conferimento a discarica è una sorta di “certificato di morte” del rifiuto, ossia concerne il suo destino finale.

Appare quindi evidente che, sia cronologicamente che logicamente, si tratta di due fasi diverse e successive, e di obblighi che incombono eventualmente su soggetti giuridici diversi.

Addurre quindi una valenza “speciale” e derogatoria alle norme contenute nel D.M. 27.09.2010 rispetto alla normativa generale sulla classificazione dei rifiuti non appare corretto, in quanto le due discipline hanno oggetto e finalità diverse.

Né, del resto, si potrebbe ritenere che il termine “caratterizzazione”, utilizzato dalla S.C. nell’ordinanza di rimessione, possa essere confuso con la “caratterizzazione di base” di cui al D.M. 29 settembre 2010, in quanto chiaramente utilizzato dal Supremo Collegio in senso generico come sinonimo di “mappatura analitica” del rifiuto.

Il diritto positivo conferma quanto sopra esposto. Ed infatti, la Comunicazione della Commissione in parola, espressamente

stabilisce al punto 1.2.4. che “la direttiva sulle discariche contiene norme in materia di gestione,

stabilizzazione aerobica della frazione umida tritovagliata e in un caso dalla separazione balistica sul sovvallo secondario. In considerazione del trattamento effettuato negli STIR, gli stessi si configurano come nuovi produttori di rifiuti che, per natura e composizione, risultano diversi dal rifiuto urbano in entrata”, con l’ulteriore conseguenza che

“il codice 19 può perciò essere legittimamente assegnato ai rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti della

Campania, ma la frazione umida tritovagliata con codice 191212 deve essere sottoposta ad ulteriore trattamento per essere conferita in discarica ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente (Direttiva 1999/31/CE e DLgs 36/03).

215

5/2018

condizioni di autorizzazione, chiusura e gestione successiva alla chiusura di discariche. La decisione 2003/33/CE del Consiglio specifica i criteri di ammissibilità dei rifiuti per le diverse categorie di discarica riconosciute dalla direttiva sulle discariche. Le analisi effettuate nel quadro dei criteri di ammissione dei rifiuti non possono in genere essere utilizzate per la classificazione dei rifiuti a norma dell'elenco dei rifiuti”, precisando ancora che “la classificazione dei rifiuti come pericolosi o meno, in conformità con i principi stabiliti dalla direttiva quadro sui rifiuti e dall'elenco dei rifiuti, non deve essere confusa con la valutazione dei rifiuti al fine di determinarne la conformità rispetto ai criteri di ammissione dei rifiuti di cui all'allegato II della direttiva sulle discariche e alle disposizioni della decisione 2003/33/CE del Consiglio (decisione sui criteri di ammissione dei rifiuti)”.

Nell’allegato IV si precisa infine che “i risultati dei criteri di ammissione dei rifiuti non dovrebbero essere utilizzati come unica fonte di informazioni per la classificazione dei rifiuti pericolosi. In effetti un'analisi dei criteri di ammissione dei rifiuti è necessaria soltanto se 1) il trattamento scelto è lo smaltimento in una discarica e 2) la categoria di discarica precedentemente definita tramite una classificazione come pericoloso o non pericoloso richiede una verifica numerica dei criteri di ammissione dei rifiuti. Tuttavia, le sostanze presenti in un percolato possono offrire qualche spunto in merito ai componenti dei rifiuti originari”.

Ciò a conferma della posizione dottrinale dianzi esposta. 19. Conclusioni.

Dalla lettura del testo della Commissione appare evidente che, al di là delle prese

di posizione ideologiche, ciò che davvero conta ai fini della corretta classificazione del rifiuto, è che sia conosciuta la sua composizione.

Ed infatti la normativa europea affronta il tema in esame con un approccio molto più concreto che dogmatico, richiedendo che prima di procedere alla classificazione di un rifiuto il produttore sia in condizione, attraverso tutta una serie di step, di farlo causa cognita, ossia conoscendo la composizione dello stesso in relazione al tipo di rifiuto e al processo produttivo, al fine di conoscere le sostanze pericolose in esso contenuto e quindi verificare, attraverso analisi o prove dirette, la presenza della classi di pericolo previste dalla normativa e infine escludere la presenza di POP.

Nel primo gradino, il produttore del rifiuto potrà escludere tutte quelle sostanze e quei composti che, “ragionevolmente”, non dovrebbero essere presenti nel rifiuto stesso, sulla base della conoscenza dell’origine del rifiuto e del processo che lo ha prodotto.

Occorre tuttavia che il procedimento di selezione delle sostanze analizzate, e il percorso logico e tecnico a tal fine utilizzato, risulti da una esaustiva relazione, contenente il percorso seguito e il motivo delle scelte operate, e che deve costituire una sorta di “linea guida” per il laboratorio di analisi, e che potrà ovviamente essere oggetto di censura nelle sedi competenti ove risulti falso o incompleto. A tal fine giova rammentare che il documento della Commissione UE precisa che “l’identificazione della

voce più appropriata è una fase importante nella classificazione dei rifiuti e richiede una solida e onesta capacità di giudizio da parte dell'operatore, basata sulla sua conoscenza dell'origine del

216

5/2018

rifiuto e del processo che l'ha generato, nonché della sua composizione potenziale”, in ciò responsabilizzando il produttore nella fase di classificazione del rifiuto.

Ma se la composizione del rifiuto è sconosciuta, e non vi sono elementi in grado di supplire a questo deficit di conoscenza, non vi è alternativa alla mappatura analitica completa o alla classificazione del rifiuto come pericoloso44.

Va da sé che ad analoghe conclusioni si debba pervenire nel caso in cui il produttore, surrettiziamente, utilizzi strumenti o metodologie inidonei alla conoscenza della composizione del rifiuto, al fine di assolvere solo formalmente all’obbligo prescritto dalla legge.

In tali casi non di “inversione dell’onere” della prova deve parlarsi, ma di corretta applicazione dei principi stabiliti dall’Unione europea.

Tra la “teoria della certezza” e la “teoria della probabilità”, per usare un lessico caro ai commentatori, si può dire che il normatore europeo abbia scelto una terza via, che potremmo definire “teoria della certezza attenuata”.

44 Il problema maggiore si porrà, in concreto, proprio in riferimento ai rifiuti che derivano dal trattamento di rifiuti urbani, in quanto: 1) Trattasi di un nuovo rifiuto speciale diverso da quello urbano, per cui il criterio dell’origine non può essere applicato; 2) Non si posseggono notizie in ordine alla sua composizione; 3) La c.d. “analisi tecnica” non consente, da sola, di classificare il rifiuto.