La cittadinanza ad Arco. Evoluzione della condizione del cittadino in età moderna

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Universit degli Studi di Trento Facolt di Lettere e Filosofia Corso di Laurea Triennale in Scienze Storiche

La cittadinanza ad Arco. Evoluzione della condizione del cittadino nel corso dellet moderna.

Relatori: prof. Marco Bellabarba e dott.sa Cecilia Nubola Correlatore: prof. Andrea Giorgi Laureando: Marcello Orlandi Anno Accademico 2008-2009

A Tommaso

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-La cittadinanza ad Arco. Evoluzione della condizione del cittadino nel corso dellet moderna-

Indice

1. Introduzione

1.1 Percorso di ricerca, archivi visitati e fonti rinvenute 1.2 I comuni rurali trentini e la cittadinanza

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2. Quadro storico-istituzionale di Arco

2.1 Collocazione di Arco allinterno del territorio trentino e imperiale, attivit economiche 2.2 Autorit e giurisdizioni 14 2.3 Geografia amministrativa 2.4 Demografia e linguistica 2.5 Storia politica di Arco. Avvenimenti principali in epoca moderna 2.6 Lo sviluppo statutario della comunit di Arco 26 2.7 Gli organi amministrativi della comunit

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3. La cittadinanza ad Arco

3.1 Privilegi e gravami di un cittadino 3.2 La figura del forestiero 3.3 Il forestiero residente 3.4 Laggregazione a cittadinanza. Passaggi di competenze ed evoluzione normativa 3.5 LIstrumento di aggregazione a cittadinanza. Liter per 51 conseguirlo 3.6 Chi richiedeva i vantaggi della cittadinanza e perch 55 3.7 Tra passato e presente. Il significato di essere cittadino 60 oggi

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4. Appendice documentaria

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5. Fonti darchivio

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6. Bibliografia

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1. Introduzione1.1 Percorso di ricerca, archivi visitati e fonti rinvenuteIl mio lavoro ha preso avvio dallo stage svolto tra aprile e maggio 2008 nellarchivio di stato di Trento. Il tirocinio era incentrato su un notaio di Arco in attivit dagli anni 40 agli anni 90 del XVIII secolo, Carlo Tamburini, uomo molto partecipe alla vita della comunit e ai suoi organi di rappresentanza. Egli svolse, a partire dal 1756, per trentacinque anni, la funzione di cancelliere e per due anni (1757 e 1767) quella di console, la carica di maggior responsabilit allinterno del comune. In partenza la mia attivit era quella di stilare un inventario degli atti da lui redatti, contenuti in due buste; si trattava in prevalenza di contratti di vendita di terreni e immobili, ma anche testamenti, donazioni e moltissimi affitti di appezzamenti di terra da parte della comunit a cittadini arcensi1. Un'altra tipologia documentaria nella quale mi sono talvolta imbattuto sono stati gli Istrumenti di aggregazione a cittadinanza, cio quegli atti che sancivano ufficialmente lingresso di un nuovo membro nella comunit dei cittadini di Arco. Venivano redatti dal Tamburini, cancelliere comunale, durante le sedute del consiglio del 14, uno degli organi decisionali comunitari di maggior peso. Questi Istrumenti ci forniscono molti elementi interessanti per capire la condizione del cittadino e la sua evoluzione nella giurisdizione arcense durante il Settecento. Di riflesso mi stato possibile capire in maniera sommaria le principali caratteristiche dello status di forestiero e di forestiero abitante, pur non avendo un quadro generale, ma dovendo cogliere tra le righe il senso intimo di quegli atti. Mi sono concentrato allora sullinventario e sulla trascrizione degli istrumenti di aggregazione, in modo da avere una base dalla quale potesse partire il mio approfondimento in questa direzione, e in seguito mi sono recato allArchivio storico di Arco. L, tramite lo spoglio sistematico dei libri del comune, in cui venivano raccolti tutti gli atti redatti dagli organi rappresentativi della comunit2, mi stato possibile acquisire un gran numero di informazioni riguardanti non solo la condizione di forestiero, ma anche la normativa riguardo1 2

Archivio di Stato di Trento (dora in poi AST), Atti dei notai,Carlo Tamburini (1743-1793), bb 1, 2, ff. nn. Il consiglio generale, il consiglio del 38 e il consiglio del 14. 6

allammissione di nuovi cittadini e levoluzione che questi procedimenti subirono nel corso di tutta let moderna. La mancanza di alcune annate in riferimento alle delibere del gi citato consiglio del 14, ha limitato solo parzialmente la completezza della ricerca. Il prezioso lavoro svolto da Francesco Santoni, figura insigne della citt di Arco della seconda met del Settecento, ha facilitato enormemente la mia ricerca. Egli infatti, oltre ad aver ricoperto la carica di arciprete della parrocchia di Arco, a partire dal 1774 fino alla morte, e ad aver fondato in citt un importante collegio nel quale venivano istruiti i giovani residenti nel Basso Sarca, dedic il suo tempo libero allo studio dei documenti degli archivi comunali e parrocchiali di Arco. Il Santoni si prodig nella produzione di un catalogo degli arcipreti e uno dei giudici di Arco, che contengono una mole enorme di informazioni utili per capire le caratteristiche della contea. Oltre a questi, compil un inventario per argomento di tutti gli atti contenuti nei libri del comune, che pur con i suoi limiti, mi ha reso possibile risalire immediatamente alle voci contenute negli statuti e nelle delibere dei vari organi comunali riguardanti gli argomenti che interessavano la mia ricerca3. I ritrovamenti in questo senso sono stati piuttosto cospicui. Ai fini del mio lavoro stata utilissima pure un'altra opera del Santoni, cio Lo Stato delle Anime, redatto dallarciprete nel 1787. Egli pass in rassegna tutte le abitazioni del borgo di Arco e alcuni villaggi circostanti, elencandone i possessori e gli abitanti, e fornendo preziose informazioni sulle professioni, sulla composizione delle famiglie, su alcune usanze ed abitudini di Arco. Lanalisi e il confronto dei dati contenuti nel volume, trascritto e pubblicato da Romano Turrini in un numero della rivista Il Sommolago4, consente di farsi unidea abbastanza precisa della composizione sociale del contado e di alcune dinamiche comunitarie altrimenti difficilmente ricostruibili. Lunione di tutti questi elementi mi ha permesso di sviluppare una ricerca sulla cittadinanza arcense e sulla distinzione tra la condizione di vicino e forestiero, contestualizzandola in epoca moderna. Quello che ne esce un piccolo quadro di Arco e della vita comunitaria dei suoi cittadini, i loro diritti e i loro doveri civici.

1.2 I comuni rurali trentini e la cittadinanza3

Archivio storico di Arco (dora in poi ACAR), F. Santoni, Indice alfabetico-cronologico degli atti, R. Turrini (ed), Lo stato delle anime dellarciprete Francesco Santoni, in Il Sommolago, 1995 7

documenti e pergamene, trascrizione di Federico Caproni 1927.4

Lapprofondimento nel campo dello studio delle comunit rurali trentine di antico regime stato reso possibile grazie alla raccolta di gran parte degli statuti e ordinamenti prodotti nel territorio trentino, in un unico corpo5. Precedentemente gli studi rivolti allargomento si collocavano in un ambito prettamente locale e particolaristico6. Lunione in un unico lavoro degli statuti delle comunit trentine ne ha reso la consultazione molto pi agevole: le carte di regola, come spesso venivano denominate il complesso delle norme che regolavano la vita comunitaria nelle valli del Trentino, risultano essere strumento fondamentale per la comprensione dellorganizzazione della societ al livello delle comunit rurali. Inoltre tramite il confronto tra le diverse realt trentine stato possibile delineare un quadro generale, seppure non ancora totalmente compiuto, cogliendo gli aspetti che accomunano le diverse comunit di villaggio, che si ritrovavano a vivere in condizioni ambientali del tutto simili, ma che produssero risultati statutari spesso differenti nonostante lesigua distanza geografica. Un punto focale molto importante derivabile dallapprofondimento di questi studi risulta essere linserimento della storia delle comunit locali nelle dinamiche di un sistema comprendente un pi ampio raggio geografico-amministrativo. Si in questo modo potuto comprendere le interazioni tra i livelli superiori del potere costituiti dal principato vescovile di Trento e dalla contea del Tirolo, compresi nei confini del Sacro Romano Impero, e le piccole realt abitative che caratterizzavano il paesaggio trentino. La situazione giurisdizionale risulta essere piuttosto variegata e frammentaria: alcune parti del territorio trentino dipendevano dallautorit del principe vescovo di Trento, che la esercitava in maniera diretta o la affidava tramite investitura feudale ad una famiglia del luogo, mentre altre porzioni erano sottoposte al capitolo della cattedrale di Trento ed altre ancora facevano parte di enclaves tirolesi allinterno del territorio trentino, per cui dipendenti dallautorit di Innsbruck.

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Carte di regola e statuti delle comunit rurali trentine, a cura di F. Giacomoni, 3 voll., Milano 1991. Esistono in Trentino numerose riviste storiche riferite ad aree locali, ad esempio il Sommolago per la zona

dellAlto Garda, i Quattro vicariati per Rovereto e il circondario e Passato e presente per le valli Giudicarie. 8

Se volessimo tratteggiare le peculiarit delle comunit rurali alpine del Trentino dovremmo tener conto in larga misura, oltre della condizioni ambientali in cui si svilupparono, anche del rapporto tra lautorit e la regola, cio lassemblea degli uomini di un villaggio aventi pari diritti fra loro. Nei casi in cui il principe vescovo o il conte del Tirolo esercitavano direttamente, senza la presenza di intermediari, il potere, si aprivano per le comunit sottoposte ampi spazi di autonomia 7. Volgendosi invece a quelle circostanze in cui lautorit venne affidata a signori feudali regolarmente investiti, si nota un controllo pi stretto che non permise alle comunit di sviluppare un certo grado di emancipazione dal potere superiore e limit la loro volont di autogoverno. Da sottolineare comunque che nonostante le realt di villaggio trentine fossero dotate, a seconda dei casi, di una porzione di autonomia, questa veniva relegata ai campi dellamministrazione locale inerente allultimo livello di governo8, quello pi a contatto con il territorio e con la gestione economica strettamente locale. Tra le figure preponderanti che non permisero lampliarsi di questa tendenza autonomizzante allinterno di molte comunit trentine, vi era il regolano maggiore. Questa carica, detenuta in origine dal principe vescovo di Trento, venne in molti casi concessa in forma di feudo a famiglie nobili locali. Le sue competenze comprendevano la convocazione della regola oltre allamministrazione di alcune cause della comunit. Il regolano minore o vice-regolano, cio il rappresentante eletto dallassemblea degli uomini di un villaggio aventi pari diritti, cio i vicini, si trovava per definizione in una posizione subordinata9. La preminenza del regolano maggiore si tradusse in uninfluenza del signore sulla regola locale, in particolare nel campo dellamministrazione dei beni comuni. La stesura delle carte di regola si collocano, oltre che nellambito della codificazioni delle consuetudini delle comunit, anche nel campo della separazione tra le funzioni e le prerogative del signore investito di un feudo rispetto a quelle della comunit residente nel territorio infeudato. La produzione di uno statuto implicava una situazione spesso conflittuale7

F. Giacomoni - M. Stenico, Vicini et forenses. La figura del forestiero nelle comunit rurali trentine di Ibidem., p. 10. M. Nequirito, Le carte di regola delle comunit trentine, Mantova, Gianluigi Arcari Editore, 1988, P. 377. 9

antico regime, in Studi Trentini di Scienze Storiche, LXXXIV, 2005, p. 9.8 9

tra la comunit, tesa a rendere il pi possibile autonoma la gestione dei beni collettivi e delleconomia locale, e lautorit, che al contrario tentava di accrescere la propria influenza sulle decisioni della comunit, tramite bandi e proclami, e con limposizione e la riscossione delle imposte e lesercitazione dei diritti della nobilt, come le regalie, le prestazione personali dei sudditi e le decime, cio la decima parte del raccolto dovuta al signore feudale. Lamministrazione fiscale, congiuntamente a quella della giustizia, si rivel un importante strumento di controllo. La stesura delle carte di regola, segu percorsi talvolta differenti. Alcune volte era il signore stesso a concedere una nuova carta, ma spesso furono le comunit a prendere liniziativa nella redazione dei loro ordinamenti. Non da trascurare tuttavia che prima dellentrata in vigore di un nuovo statuto era necessaria sempre e comunque lapprovazione del principe vescovo o del signore del luogo, che in questo modo mediavano tra suppliche avanzate dalle comunit e la volont di controllo propria dellautorit. Gli ordinamenti della citt di Trento esercitarono sempre una notevole influenza nella stesura dei codici delle piccole comunit rurali, che pi volte si ispirarono, e in rari casi adottarono in toto, gli articoli contenuti negli statuti uldariciani e poi quelli redatti dal vescovo Cles nel 1528 10. Questo a dimostrazione del ruolo preponderante di Trento nei confronti delle realt di villaggio circostanti, molto pi deboli politicamente e economicamente, oltre che socialmente poco sviluppate, rispetto alla citt che ospitava il potere centrale. Le comunit inoltre erano caratterizzate da una forte coesione sociale al loro interno, dovuto probabilmente allesiguo numero di vicini di cui erano composte e alla precariet delle risorse a loro disposizione11. Le famiglie originarie che componevano un nucleo abitativo infatti tutelavano i beni comuni, composti da pascoli, boschi e campi coltivati, oltre che dallautorit competente, anche dai tentativi di intromissione di elementi esterni. Le comunit, regolando rigidamente attraverso le carte di regola lusufrutto delle risorse comunitarie, non mancavano di specificare divieti e restrizioni per quelle persone che non facessero parte dello10

C. Nubola, Comunit rurali del Principato vescovile di Trento, in Archivio Storico Ticinese, XXXIX, F. Giacomoni - M. Stenico, Vicini et forenses, p. 19. 10

2002, pp. 224- 225.11

stretto nucleo dei vicini. Il riferimento ai forenses, cio i forestieri, persone stabilitesi in luoghi diversi dal loro paese dorigine o semplicemente di passaggio, che rischiavano di turbare gli equilibri di villaggio nella pur semplice economia rurale alpina di antico regime. E in questo ambito che viene ad inserirsi il concetto di cittadinanza, o meglio di quel nesso esistente tra i vicini appartenenti alla medesima comunit. Questo legame comprendeva solamente le famiglie che risiedevano originariamente in un determinato luogo, e veniva trasmessa di padre in figlio, nella maggior parte dei casi solamente alla linea maschile. Lammissione di nuovi membri nel numero dei cittadini originari era condizionata dal parere dellassemblea dei vicini stessi, che mettevano ai voti la concessione del godimento dei diritti civici, spesso basandosi sul criterio della suddivisione dei beni comuni. Infatti la cittadinanza includeva, oltre al diritto di partecipazione alle decisioni della comunit, la possibilit di usufruire delle risorse che il territorio sottoposto alla giurisdizione della regola aveva da offrire12. Ne consegue che il numero dei cittadini poteva venire ampliato fintanto che vi fossero state risorse sufficienti per soddisfare i bisogni di tutti i vicini. Per questo le comunit risultavano essere chiuse e diffidenti verso lesterno, e in genere un prerequisito per laccettazione di un nuovo cittadino era costituito dalla residenza nel luogo in questione per lungo tempo, anche se questa condizione non dava in nessun modo la facolt di godere dei diritti comunitari. Spesso a chi desiderava non solo stabilirsi in un villaggio, ma anche acquisire i diritti che gli abitanti originari esercitavano, veniva richiesto di contribuire alle spese della comunit, pur non essendo ancora considerati vicini13. Un altro requisito indispensabile di un aspirante cittadino era appunto costituito da una condizione economica sufficientemente agiata che permettesse di partecipare agli oneri fiscali comunitari. Sono numerosi allinterno delle carte di regola e delle delibere comunali, articoli e bandi rivolti contro vagabondi o nullatenenti che pellegrinavano per le regioni alpine vivendo di elemosina. Al contrario chi dimostrava di poter dare il proprio contributo per il funzionamento delleconomia locale veniva incluso nelle liste fiscali, e poi a seconda dei casi dotato dei diritti civici. La realt trentina nasconde situazioni differenti fino ad ora solo in parte12 13

C. Nubola, Comunit rurali del Principato vescovile di Trento, p. 229. Ibidem, p. 231. 11

approfondite. Il presente contributo prover a documentare come queste dinamiche si svolgessero nella comunit arcense nel corso della tarda et moderna, nei secoli XVII e XVIII.

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2. Quadro storico-istituzionale di Arco2.1 Collocazione di Arco allinterno del territorio trentino e imperiale,

attivit economicheCastello e citt di Arco sono posti in un luogo salubre, bellissimo e ridente, circondati da un magnifico terreno pianeggiante, ricco di cereali, vigne, ulivi, frutteti, assai fertile, ci sono bei prati da fieno e molti alberi di gelso per lallevamento dei bachi da seta. Cos lo storiografo tedesco Marx Sittich von Wolkenstein descriveva Arco verso la fine del XVI secolo14. Queste poche righe fanno trasparire il carattere prettamente rurale del territorio e la grande variet di colture che qui venivano praticate. La zona del Bassosarca infatti, similmente al resto del Trentino, basava la sua economia in prevalenza sullagricoltura, oltre ad una modesta attivit di allevamento. Lo dimostra limportanza che nel corso di tutta lepoca moderna rivest la zona del Linfano, unampia porzione di terra che comprende la parte sud-orientale della Busa, schiacciato tra Torbole, il Monte Brione e la Maza. I suoi pascoli e le sue campagne furono oggetto di cause legali con le citt di Riva e Torbole, ma fu la comunit di Arco, alla quale furono infine assegnati, a beneficiarne, rendendole terre comuni da assegnare ai cittadini originari. Nel corso del XV e del XVI secolo il contado conobbe un certo grado di sviluppo nelle attivit artigianali, soprattutto nel campo della lavorazione del cuoio. Durante il Seicento allinterno del borgo fiorirono le botteghe, per la maggior parte aperte da artigiani forestieri, provenienti dal Veneto, dalle valli del Trentino e dal Tirolo. Arco, di conseguenza, a differenza della maggioranza delle comunit rurali trentine, presentava una composizione sociale in qualche misura stratificata, anche se il grosso della popolazione era comunque occupato nella coltivazione dei campi, di propriet o meno. Infatti chi non aveva la fortuna di possedere un appezzamento di terreno, si ritrovava a coltivare per conto di un padrone, spesso risiedendo in

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G. Rill, Storia dei Conti dArco 1487-1614, Roma, Il Veltro Editrice, 1982, p. 11 13

abitazioni locate sulle terre stesse, in base ad un patto con il proprietario. Era questa la figura del manente, da distinguere da quella del famiglio, semplice bracciante15. La cittadina si stava gradualmente sviluppando, ma questo processo sub un arresto con il passaggio dellesercito francese in Trentino nel 1703, nelle campagne connesse con la guerra di successione spagnola. Le devastazioni che ne seguirono, insieme ad alcune annate sfavorevoli per lagricoltura arrestarono la fioritura del contado, che vers in una condizione piuttosto stagnante nel corso di tutto il XVIII secolo: molti artigiani furono costretti ad abbandonare le loro attivit, e si ritorn a concentrarsi prevalentemente sullagricoltura; difficolt e ristrettezza economica caratterizzarono da qui in poi Arco, fino alla sua rinascita come citt di cura e villeggiatura, e al suo sviluppo turistico durante la seconda met dellOttocento. Lo stato delle anime, redatto dallarciprete Francesco Santoni nel 1787, come abbiamo visto, fornisce una serie di utili informazioni che ci permettono di farci unidea sulla composizione sociale della popolazione del borgo di Arco e delle campagne limitrofe verso la fine del 700. Infatti il Santoni d spesso indicazioni sulla professione svolta dagli abitanti. Il mestiere che ricorre pi di frequente ovviamente il contadino, ma non poche erano le persone occupate in settori estranei al lavoro nei campi. In quegli anni lo sviluppo delle concerie e della lavorazione del pellame rimaneva soltanto un ricordo nella toponomastica di Arco; la localit le Garbarie (oggi via Garberie) aveva assunto nei secoli precedenti questa denominazione proprio per la grande presenza di laboratori in cui lavoravano i garbari, cio i conciatori. Abbondavano invece in Arco nella seconda met del Settecento i sarti e i calzolai. Il Santoni enumera pi di cinquanta persone occupate in questi due settori. Altre professioni che appaiono frequentemente nel suo lavoro sono: il mercante, il bottegaio o il merzaiulo, cio attivit riconducibili al commercio; loperaio, il carpentiere e il muratore e tutti coloro che concorrevano nella costruzione e manutenzione di case, strade e infrastrutture; il tiraseta, cio colui che ricavava la seta dai bachi, il ferraro, ossia il fabbro, e il medico. I vicoli di Arco ospitavano poi molte altre botteghe di15

R. Turrini (ed), Lo stato delle anime dellarciprete Francesco Santoni, in Il Sommolago, 1995, p. 6.

artigiani impiegati nella fabbricazione di tutti quegli utensili o suppellettili di cui la popolazione di Arco poteva necessitare: pentole, ombrelli, armi, tessuti, mobili, botti, ruote, ecc... Nel suo lavoro larciprete nomina una quarantina di professioni differenti, e circa duecento persone occupate in attivit diverse dal lavoro agricolo. Dal punto di vista geopolitico il Sommolago rivestiva una certa importanza strategica come zona di confine. Venezia e Milano rispettivamente a Est e a Ovest, soprattutto nel tardo medioevo e in prima et moderna, erano due vicini piuttosto turbolenti, e lautorit tirolese e quella imperiale si interessarono saltuariamente della sua situazione nei termini appunto della preservazione e della sicurezza dei confini. Il Garda costituiva il naturale collegamento tra lItalia settentrionale e la via atesina, la principale arteria di comunicazione dallItalia verso lImpero. La presenza del dazio a Torbole, dal quale transitavano tutti i mercanti diretti da nord a sud e viceversa, dimostra come larea costituisse il punto di incontro tra gli interessi commerciali padani e quelli tedeschi. Gli stessi signori dArco, a partire dal tardo medioevo, tutelarono gli intensi traffici di granaglie che si svolgevano tra Mantova e il Sommolago, instaurando un saldo e duraturo rapporto di amicizia con la corte dei Gonzaga, in seguito rinsaldato con lo sviluppo di relazione di tipo famigliare. I matrimoni contratti tra i due casati portarono un ramo della famiglia arcense a trasferirsi gradualmente nel mantovano, dove possedeva terreni in seguito alle donazioni dotali conseguenti alle unioni.

2.2 Autorit e giurisdizioni.Arco vive, nel corso della prima et moderna, una condizione di estrema frammentazione giurisdizionale: pi soggetti si dividevano il potere, ma succedeva talvolta che le competenze degli uni e degli altri si sovrapponessero generando contrasti. La spiegazione di questi

intrecci di potere sta nella geopolitica trentina: a livello politico una estrema frammentazione del territorio, dalla quale conseguiva a livello amministrativo un complesso mosaico di poteri. Ma cerchiamo di fare un po di chiarezza sulla situazione giurisdizionale del Basso Sarca. I signori dArco, nel corso del medioevo, furono investiti a pi riprese di svariati feudi nellalto Garda, nelle Giudicarie e nella valle del Sarca, prima da parte del principe vescovo di Trento, poi da parte dellImperatore e infine dal conte del Tirolo 16. Inizialmente i dArco gravitarono nellorbita del principato vescovile, vista la contiguit coi territori di questultimo; risale per al 1164 la nomina dei membri della famiglia a nobili liberi e immediati dellImpero, conferita loro da Federico Barbarossa, nel tentativo di guadagnare la loro fedelt e appoggio militare contro le citt venete di Verona, Vicenza, Padova e Venezia. La posizione particolare in cui si veniva a trovare la rocca di Arco caus il ripetuto interesse delle diverse autorit superiori: la zona costituiva un importante cuscinetto tra lImpero e le grandi signorie dellItalia settentrionale. Proprio per questo, nel 1284, approfittando di un momento di debolezza della famiglia arcense, il conte del Tirolo Mainardo non esit ad incorporarli a forza nel sistema feudale della contea principesca tirolese. Nei decenni successivi i dArco restarono in bilico tra la condizione di vassalli trentini, imperiali e tirolesi, nonch alleati, a seconda delle circostanze, con le signorie italiane di Brescia, di Verona, o di Milano. I rapporti col vescovo subirono oscillazioni di rilievo, passando da aperto conflitto, sfociato occasionalmente in scomunica, a vitale alleanza per la sopravvivenza delluno o dellaltro soggetto. Un passo verso la condizione in cui si verranno a trovare i signori dArco in epoca moderna venne fatto nel 1413, quando furono investiti del titolo comitale da parte del re dei Romani Sigismondo di Lussenburgo, futuro imperatore. Questa nomina ribadiva la loro condizione di vassalli immediati dellimpero, sgravandoli di fatto dalla dipendenza dal principato vescovile, ma non chiarendo del tutto la loro relazione con la contea tirolese. Ben presto la situazione venne chiarita, poich gi nel 1440 i signori, ormai investiti del titolo comitale furono costretti, a causa dellimminente assedio di Arco da parte di forze veneziane, a chiedere aiuto militare a re Federico, che rivestiva anche la carica di conte del Tirolo. In cambio di aiuto militare dovettero16

Queste vicende sono esposte in B. Waldstein-Wartenberg, Storia dei Conti dArco nel medioevo, Roma, Il Veltro Editrice, 1979.

riconoscere che tutti i loro possedimenti appartenevano alla contea tirolese, trasferendo il loro giuramento di fedelt dalle mani del principe vescovo di Trento a quelle degli arciduchi dAustria, loro nuovi signori territoriali. La situazione precaria dovuta alle guerre veneziane in atto in quel secolo permisero ai dArco di rientrare nella sfera dinfluenza tirolese. La confusione giurisdizionale tuttavia non fu del tutto dissipata; se, prima dei fatti sopra citati, si verific spesso il caso in cui i dArco erano investiti contemporaneamente dello stesso bene da parte di due autorit distinte, ora i conti erano vassalli tirolesi. Questo non imped che il diritto alla riscossione delle decime della quale erano investiti fosse trasferito a met Seicento alla famiglia Castelbarco, vassalli trentini, ma solo per il distretto di Oltresarca17. Inoltre i conti si appellarono di continuo ai diplomi che sancivano la loro condizione di sudditi immediati dellImpero, rifiutando di pagare i tributi alla dieta tirolese, e non riconoscendo in pratica la sua autorit. Interessante notare come la comunit di Arco, nella causa per il diritto di pascolo nel Linfano, con le comunit di Nago e Torbole allinizio del XVI secolo, si fosse rivolta per ottenere un giudizio alla Sacra Romana Rota, cio il tribunale papale, invece che ad una delle autorit direttamente superiori (i conti dArco, il principato vescovile di Trento , il Tirolo, lImpero), a dimostrazione di come anche per i cittadini di Arco fosse poco chiaro il quadro istituzionale della loro zona 18. Sicuramente si sentivano sudditi dei signori arcensi, in quanto avevano a che fare direttamente con loro per qualsiasi questione inerente il contado. Infatti i conti in epoca moderna risiedevano solitamente nei palazzi di loro propriet nel borgo, partecipando alla vita pubblica. La comunit, rappresentata dagli organi comunali che si erano andati via via sviluppando nel corso dei secoli, si era organizzata cercando di ottenere una certa autonomia di decisione dai signori. Le cariche pi importanti erano spesso affidate dal Consiglio dei 14, uno dei principali organi decisionali cittadini, a personaggi in vista, a cittadini nobili o notabili, di condizione medio-alta, principalmente ricchi artigiani o proprietari terrieri. In questo modo venivano tutelati, per quanto possibile, i diritti di tutte quelle persone che non facevano parte n del clero n della famiglia17 18

M. Grazioli, C. Risatti (eds), Relazione del Contado dArco, e luoghi confinanti, in Il Sommolago, III, 1986, p. 91. G. Rill, Storia dei Conti dArco 1487-1614, p. 83.

comitale, cio le due maggiori potenze economiche e i pi grandi titolari di terre coltivabili e pascoli nel contado, nonch per quanto riguarda i conti anche proprietari di importanti infrastrutture quali i torchi, le fucine e i mulini. I privilegi e le consuetudini della comunit erano spesso messi in discussione da azioni o decisioni dei dArco, come dimostra la storia stessa della citt, costellata di scaramucce tra i signori e i cittadini, per il possesso di un colle, per il diritto di pascolo, per la fruizione del frantoio. La comunit, di volta in volta, doveva reagire ai tentativi dei conti di aumentare il proprio potere, appellandosi alla clemenza dei conti stessi o rivolgendosi allautorit superiore, soprattutto dopo il 1614, lanno della stipulazione delle capitolazioni tra i conti dArco e larciduca tirolese Massimiliano. Con questo atto si arriv ad un ulteriore chiarimento della condizione giurisdizionale della contea: la famiglia comitale arcense riconobbe finalmente lautorit del conte del Tirolo sul suo territorio, prestandogli giuramento di fedelt, e venne inquadrata di fatto nei ceti territoriali tirolesi. Il principe del Tirolo si era inserito come mai prima nellintreccio di poteri gi esistente, comportando una diminuzione delle prerogative dei conti, i quali oramai non detenevano direttamente il potere, ma lo amministravano in nome dellautorit superiore tirolese. Da quel momento in poi il contado fece parte a pieno titolo di quelle enclave tirolesi contenute allinterno dei territori del principato vescovile di Trento, come la contea dei Lodron nelle valli Giudicarie e Rovereto. I paralleli con la citt lagarina sono molti, in particolare nella sfera amministrativa19. Arco e Rovereto infatti, trovandosi ai margini dellimpero, godevano di ampi spazi di autonomia, ma non erano tuttavia sollevate dal rispetto indiscusso verso lautorit asburgica, rappresentata a Rovereto dal capitano del castello, ed in Arco dai conti. Unaltra interessante peculiarit riguarda ladozione del statuto civile e penale di Trento. La contea di Arco faceva parte della giurisdizione tirolese, eppure per un antica consuetudine al suo interno vigevano le norme, in campo civile e criminale, del principato vescovile di Trento, prima il testo uldariciano e in seguito quello clesiano. Quando nel 1645 questultimo fu introdotto anche in Arco, vennero specificate due importante eccezioni: oltre alla esclusione del Libro II dei sindici, che dava disposizioni sullelezione dei19

M. Garbellotti, I privilegi della residenza, in C. Nubola, A, Wurgler, Suppliche e gravamina, Il Mulino, Bologna 2002 p. 228.

rappresentanti pubblici in Trento, non veniva accettato larticolo sul giuramento di fedelt unito al reato-pena di infedelt verso il vescovo, a riprova della dipendenza della contea dal potere tirolese. Lunica autorit che il vescovo ricopriva in Arco era quella spirituale, poich la citt faceva parte della diocesi di Trento.

2.3 Geografia amministrativaLa contea di Arco in epoca moderna comprendeva numerosi territori che oggi esulano dai confini odierni del comune. Numerosi centri abitati erano sottoposti alla giurisdizione dei signori arcensi. Oltre alla comunit di Arco, socialmente pi sviluppata e politicamente e numericamente pi forte, i conti avevano autorit anche sulle due comunit esterne di Oltresarca e Romarzollo, a volte nominati distretti, che in posizione subordinata costituivano insieme ad Arco i centri maggiori, cio le tre comunit del contado che spesso si possono ritrovare nominate nei documenti. Ogni distretto era composto da numerose ville, cio piccoli nuclei abitati. Le ville di San Giorgio e La Grotta erano accorpate alla comunit di Arco. San Martino, Massone, Bolognano e Vignole componevano il distretto di Oltresarca, mentre Romarzollo comprendeva le ville di Varignano, Padaro, Vigne e Chiarano. Le tre comunit si riunivano per dibattere questioni che coinvolgevano la totalit del contado e nel corso dei secoli stipularono numerosi accordi di unione, coalizzandosi nelle cause legali o protestando contro i dazi imposti da Innsbruck. Tuttavia i territori di una o dellaltra comunit erano ben distinti. Ogni comunit aveva i propri organi rappresentativi, che tutelavano gli interessi dei propri cittadini, e propri ordinamenti, anche se Oltresarca e Romarzollo ricalcarono i loro dallo statuto arcense del 1480, chiamato dei Cento capitoli. Arco infatti

rimase sempre preminente sugli altri centri, tanto da godere la prerogativa che le due comunit esteriori fossero tenute ad adunarsi nella di lei casa per trattare gli affari comuni20. Poco pi distanti sorgevano altri borghi: a sud il borgo di Nago, a ridosso del castello di Penede, una rocca molto importante per la salvaguardia dei confini imperiali e per la sorveglianza della via che collegava la Vallagarina al Garda; affacciata sul lago di Garda sorgeva Torbole, rilevante in senso economico oltre che per il dazio anche per i ricchi introiti del pescatico 21. A nord troviamo le comunit di Ceniga e di Dro, che pur mantenendo una certa autonomia erano giuridicamente incorporati nella comunit di Romarzollo22, e Drena col suo castello, ultimo avamposto settentrionale ai confini dei domini vescovili.

2.4 Demografia e linguisticaNon affatto semplice ricostruire loscillazione della popolazione di Arco nel corso dellepoca moderna, a causa della mancanza di dati precisi e spesso discordanti tra loro. Come in tante altre realt, rurali o meno, esistono alcuni elenchi di fuochi, cio dei nuclei familiari originari del contado, compilate con vari scopi, tra i quali la riscossione di tasse, la raccolta di collette o i bandi di arruolamento militare. Le informazioni fornite da queste liste sono comunque limitate, poich venendo censito solo il capofamiglia, risulta assai difficoltoso ricostruire lentit della popolazione.

20 21 22

ACAR, F. Santoni, Indice alfabetico-cronologico degli atti, documenti e pergamene, p. 160. Rill, Storia dei Conti dArco, p. 12. M. Grazioli, C. Risatti (eds), Relazione del Contado dArco, e luoghi confinanti, p. 92.

Lunico dato che ci permette di farci una idea precisa sul numero degli abitanti, risale al 1579. In occasione dei giuramento di fedelt, prestato dai sudditi arcensi allArciduca Ferdinando II, vennero obbligati a partecipare ed elencati tutti i membri delle comunit sottoposte alla giurisdizione arcense23. In un primo momento furono fatti giurare solo gli uomini, enumerati in quasi 500, probabilmente i capifamiglia, ma in un secondo tempo venne richiesto latto di sottomissione a tutta la popolazione, di entrambi i sessi e di ogni et. Da questa lista risulta che gli abitanti del borgo di Arco erano 1377, mentre contando anche le ville circostanti, cio la giurisdizione nella sua totalit, si arrivava ad un numero di 4853 abitanti. Un dato non trascurabile se si pensa che la popolazione della citt di Trento, a met Cinquecento contava tra gli 8000 e i 10000 abitanti24. Il Seicento, tuttavia, vide un drastico calo demografico dovuto alla pestilenza del 1630 1631 che colp il Trentino. Le fonti parlano di circa 3000 morti nel solo contado di Arco, circa i due terzi della totalit degli abitanti25. Se prestiamo fede a questi dati la popolazione avrebbe dovuto aggirarsi intorno alle 4500 unit, trovando un riscontro approssimativo con il dato precedente inerente il giuramento a Ferdinando II. I dati posteriori pervenuti a noi sono limitati ad elenchi di fuochi, ma essendo abbastanza contrastanti risulta difficoltoso ricavarne un andamento demografico che abbia una qualche valenza. Infatti risulta difficile risalire di volta in volta a chi effettivamente si riferiscano le liste redatte, se al solo borgo di Arco, se al contado nella sua interezza, oppure ai sottoposti al pagamento delle tasse senza distinzioni sulla localit di provenienza. Nel 1705, a due anni dallinvasione francese, vengono contati 236 uomini, in occasione della riscossione delle steore da inviare ad Innsbruck26. Con tutta probabilit si tratta delle persone soggette ai contributi residenti nel borgo di Arco. Solo tre anni dopo gli uomini di Arco detentori di un fuoco sarebbero 163, ai quali si aggiungono in una lista23 24 25 26

Rill, Storia dei Conti dArco, p. 16. C. Nubola, Elections and Decision-Making ai confini dellImpero: Il caso di Trento. Archivio Parrcocchiale di Arco, F. Santoni, Codice autentico e cronologico danni seicento di documenti della spettabile Collegiata dArco, Trento, 1780. ACAR, 1.8, Libro XXIV, p. 443.

differenziata 80 abitanti, cio forestieri residenti in citt, per un totale di 243 unit. Il dato conforme a quello del 1705, ed anche questa volta loccasione data dal pagamento di un imposta, questa volta fissata dalla comunit per supplire alle spese causate dal passaggio delle truppe imperiali27. Pi esauriente risulta essere il Cattalogo dei cittadini della spettabile comunit di Arco sotto il consolato delli spettabili Sig. Giovanni Antonio Bornico e Leonardo Carmellini del 1728, anche se contrastante con i dati precedenti. A dispetto del titolo, vengono elencati 314 uomini di tutto il contado, suddivisi per ville; gli uomini del distretto di Arco risultano essere 154, con un vistoso calo rispetto a ventanni prima28. Considerando che il dato successivo, riferito al 1741, enumera 209 uomini di tutto il contado29, viene da chiedersi laffidabilit di questi dati, vista la notevole oscillazione nel giro di pochi decenni. Purtroppo non possibile risalire ai criteri in base ai quali venivano stilate queste liste, ma risulta comunque non verosimile che la popolazione della zona sia aumentata o diminuita con la frequenza indicata dal confronto dei dati ritrovati. Anche perch il solito Santoni nel suo Stato delle anime del 1787 conta in 7654 gli abitanti di tutta la contea arcense. Un dato di molto superiore alle stime ricavabili dagli elenchi di fuochi di 40 anni prima. Lultimo dato che pu avere un certo valore per i nostri scopi si riferisce ad un periodo sensibilmente successivo alle invasioni napoleoniche, anni di profondi sconvolgimenti politici e sociali. Nel 1810 la popolazione del borgo di Arco, congiuntamente alle due comunit esterne, doveva aggirarsi intorno alle 4700 unit, mentre considerando tutto il contado si arriva a 7200 abitanti.30

27 28 29 30

ACAR, 1.8, Libro XXX, p. 207. ACAR, 1.20, Cattalogo dei cittadini della spett. comunit di Arco sotto il consolato delli spett. Sig. Giovanni Antonio Bornico e Leonardo Carmellini. ACAR, 1.20, Ruolo d cittadini della spettabile Comunit di Arco. A. Perini, Statistica del Trentino, Trento, 1852.

Per quanto riguarda la lingua utilizzata nelle scritture pubbliche dai conti dArco in epoca moderna, essa fu sempre litaliano. Con rarissime eccezioni, i signori non conoscevano il tedesco, e dovevano ricorrere a traduttori per la corrispondenza con Innsbruck31. Anche nelle delibere prodotte dagli organi rappresentativi comunali, litaliano la lingua dominante. Con lesclusione degli atti pi antichi, redatti in latino, e di altri provenienti dalla cancelleria tirolese, redatti in tedesco, furono scritti da diversi cancellieri, in un italiano perfettamente comprensibile. Ci dimostra come tale idioma fosse utilizzato nella zona nella produzione di documenti ufficiali fin dal XVI secolo.

2.5 Storia politica di Arco. Avvenimenti principali in epoca moderna

31

Rill, Storia dei Conti dArco, p. 26.

I signori dArco, che controllavano il contado almeno dal XII secolo, come abbiamo gi visto furono investiti della dignit feudale allinizio del XV secolo dallImperatore Sigismondo, che li nomin conti del Sacro Romano Impero32. La seconda met del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo sono densi di avvenimenti nella zona del Basso Sarca. Insieme alle vicine Val dAdige e Vallagarina fu teatro di alcuni non trascurabili scontri militari tra le truppe imperiali e quelle veneziane stanziate a Rovereto e Riva del Garda. In particolare nellestate del 1487, lanno della sconfitta di Sanseverino nella battaglia di Calliano, nelle campagne che separano Arco da Riva avvennero devastazioni di campi, uccisioni di bestiame e combattimenti tra le truppe dei due schieramenti. I veneziani avevano pianificato di conquistare la rocca di Arco, ma il progetto non and mai in porto. Nel lasso di tempo compreso tra le agitazioni nella zona e il ritorno di Riva nelle mani degli Imperiali, in seguito alle decisioni prese a Cambrai nel 1509, la situazione and gradualmente raffreddandosi, lasciando spazio solamente a qualche scaramuccia di confine. Fu da qui in poi che la stirpe dei dArco visse il suo cosiddetto periodo aureo, nel corso del quale alcuni membri della famiglia ricoprirono incarichi diplomatici, amministrativi e militari degni di nota allinterno della corte imperiale33. Gi verso la fine del Cinquecento troviamo una situazione assai mutata. Le liti familiari che coinvolgevano i fratelli e i cugini dei due rami principali della dinastia, iniziate intorno alla met del XV secolo, culminarono con luccisione del Conte Orazio da parte dei bravi del fratello Antonio. Indeboliti e divisi, i dArco, che si circondavano di bande di briganti provenienti dalla vicina Repubblica di Venezia, si lasciarono andare a sanguinose faide familiari. I disordini continui e la notevole destabilizzazione del territorio provocheranno lintervento del conte tirolese. Nel 1579 infatti, un contingente militare inviato dallallora arciduca Ferdinando II, occup la citt che sar governata fino al 1614 da un capitano tirolese. Questo atto di forza, attuato con lapparente scopo di ripristinare lordine e la legalit nel contado, fu in realt causato dal prolungato rifiuto dei signori e della popolazione di prestare il giuramento di fedelt al conte tirolese, quale loro signore legittimo, e di conseguenza di pagare le imposte a lui32 33

B. Waldstein-Wartenberg, Storia dei Conti dArco nel medioevo, p. 317. Ibidem, p. 134.

dovute. Unazione di questo genere potrebbe essere inserita nel quadro della politica espansionistica adottata da Ferdinando II nei confronti dei territori meridionali situati ai confini imperiali. Larciduca tirolese negli anni 60 e 70 del Cinquecento, nel tentativo di impossessarsi del principato vescovile di Trento, coinvolse il vescovo Ludovico Madruzzo in uno scontro di potere, il cosiddetto Temporalienstreit. La citt di Trento rimase occupata dai soldati di Ferdinando dalla fine del 1568 al 1579, anno in cui fu inviato un contingente tirolese nel Basso Sarca. Negli stessi anni vengono coinvolti in episodi simili sia la citt di Rovereto, sia la contea amministrata dai conti Lodron34, nel tentativo da parte degli Asburgo di giungere ad una maggiore centralizzazione del potere, sottoponendo quelle zone ad un controllo pi stretto rispetto al passato. Tornando ad Arco, alla notizia dellimminente occupazione alcuni membri della famiglia comitale si diedero alla fuga, mentre la popolazione, il giorno stesso dellingresso della truppa, fu costretta a prestare il giuramento di sottomissione allautorit tirolese sotto la minaccia delle armi. Da qui inizier un lungo e tortuoso iter giudiziario prolungatosi per decenni, attraverso il quale larciduca Ferdinando II e in seguito il suo successore Massimiliano tenteranno ripetutamente ma inutilmente di acquistare la contea per diventarne signori legittimi e diretti. Lepilogo del procedimento legale avverr solo il 24 marzo 1614 con la stipulazione delle Capitolazioni35. Si tratta di vero e proprio atto di sottomissione dei conti nei confronti del principe del Tirolo, con il beneplacito dellImperatore. Laccordo sancisce ufficialmente la restituzione della giurisdizione del contado ai dArco dopo pi di trentanni di dominazione diretta tirolese. I conti, che da quel momento verranno chiamati non a caso governatori, non avrebbero pi esercitato il potere direttamente, ma solo in quanto rappresentanti della giurisdizione austriaca. La famiglia avrebbe dovuto prestare giuramento di fedelt al principe del Tirolo, con lobbligo di presenziare la dieta tirolese. In questa condizione i conti persero molta della loro autonomia dazione anche nei confronti34

M. Bellabarba, , Il principato vescovile di Trento dagli inizi del XVI secolo alla guerra dei Trentanni, in M. Bellabarba G. Olmi (ed.), Storia del Trentino, Il Mulino, 2000, Rill, Storia dei Conti dArco 1487-1614, p. 398.

pp. 50-59.35

della comunit di Arco, la quale negli anni successivi si rivolse spesso allautorit superiore, cio il sovrano territoriale tirolese, per la soluzione di controversie o per lamentele nei confronti dei loro governatori. I conti comunque non si arresero, e tentarono a pi riprese di riacquistare terreno nei confronti della comunit; in particolare il conte Vinciguerra tra la fine del Seicento e linizio del Settecento si distinse per i suoi comportamenti dispotici e per le violazioni delle convenzioni precedentemente stipulate coi suoi sudditi. Pi di una volta con dei proclami dinastiali tent di imporre il suo volere alla comunit: proib ai consoli di convocare assemblee senza il suo permesso e adott tutta una serie di provvedimenti per limitare il campo dazione dei rappresentanti comunali e degli organi comunitari, annullando di fatto gli statuti vigenti. Ne nacque un procedimento legale tra la comunit e il conte governatore che si trascin per trentanni fino alla conclusione nel 1713: lautorit austriaca intim al conte di confermare ai cittadini di Arco le loro antiche consuetudini, statuti e convenzioni, ribadendo la propria competenza in simili questioni36. Nel frattempo la citt si trovava, suo malgrado, coinvolta nelle operazioni militari inerenti la guerra di successione spagnola37. Basta varcare di pochissimo la soglia del Settecento per essere catapultati nel pieno del conflitto che vede contrapposti Francia e Impero. I movimenti di truppe che attraversavano tutta lEuropa arrivarono a toccare anche il Trentino. Lesercito francese comandato dal generale Vendme, inizialmente schierato in pianura padana, nel tentativo di ricongiungersi a nord con lalleato Principe Massimiliano di Baviera, risal il lago di Garda e invase il Bassosarca, occupandone uno dopo l'altro tutti i paesi: Nago e Torbole, seguiti da Riva, precedono l'ultima e pi difficoltosa presa di Arco. L'ostacolo non consisteva tanto nel borgo, quanto piuttosto nella rocca, che a causa della sua particolare posizione geografica risultava difficilmente espugnabile. Circa seicento uomini stavano asserragliati al suo interno, ben attrezzati per resistere ad un lungo assedio. In realt la resistenza dur una settimana e si concluse con la resa del contingente austriaco il 17 agosto 1703, a causa dellesaurimento delle palle di cannone (lultimo giorno spararono pietre!). La conquista di Arco non36 37

G. Riccadonna, Statuti della citt di Arco, Arco, 1990, p.163. M. Turrini, A ferro e fuoco, in Il Sommolago, XX, 2003, n3.

lasciava ai francesi nessun altro ostacolo sulla strada verso Trento, loro prossimo obbiettivo. Nel frattempo Arco rimarr controllata dal Medavy, un luogotenente di Vendme, fino al 12 ottobre 1703, giorno della partenza dei francesi. Le tre comunit del contado verranno costrette a pagare un pesante riscatto per evitare lincendio e il saccheggio delle case. Per la prima volta la popolazione subiva uninvasione da parte di un esercito straniero numeroso e ben organizzato. Le conseguenze furono pesantissime: alcune case furono bruciate nonostante le pesanti contribuzione richieste dai Francesi, la rocca venne incendiata, i ponti sul fiume Sarca subirono ingenti danni, le chiese vennero spogliate e le campane portate via. Difficile calcolare le perdite umane tra gli abitanti di Arco: il Libro dei Morti della parrocchia segnala nel solo 9 agosto 1703, giorno dellentrata delle truppe gallispane nel borgo, sette vittime, ma unannotazione del cappellano chiarisce che altre sarebbero state seppellite di nascosto, senza rito religioso. Approssimativamente il numero dei morti sale circa fino ad una ventina nel corso di tutta loccupazione. Dopo la partenza dei francesi la situazione torn lentamente alla normalit. Vennero celebrati alcuni processi contro esponenti dei dArco, sospettati di tradimento e contro la comunit di Dro per non avere contribuito al pagamento del riscatto. Ne usc un contado molto indebolito economicamente e lacerato dalla violenza dellinvasione. Il Settecento, come abbiamo gi detto, sar per Arco un secolo di decadenza, caratterizzato da ristrettezza economica, carestia e dal graduale allontanamento dei conti dalla citt. La maggior parte dei dArco si trasferirono altrove, chi in Baviera, chi a Mantova, lasciando ai pochi rimasti lamministrazione dei beni della famiglia e il governo della citt. Dellautorit signorile a fine secolo rimanevano gli imponenti palazzi e le rovine del castello. Negli anni 90 il contado subir una nuova invasione, sempre di un esercito francese, questa volta al comando di Napoleone38.

38

M. Grazioli (ed), Cronaca di Arco 1771-1879 , in Il Sommolago, 1991, n 1, p. 83.

2.6 Lo sviluppo statutario della comunit di ArcoLa comunit gi in epoca medievale si diede unorganizzazione, in principio mirata quasi esclusivamente a regolare il lavoro nei campi e lo sfruttamento dei beni comuni. Con il mutare delle condizioni del contado, anche le norme che la comunit stabiliva per s andarono articolandosi sempre pi, toccando campi che esulavano dalla vita agreste. Furono redatti articoli concernenti il civile e il criminale, ed altre riguardanti le attivit artigianali che andavano sviluppandosi proprio allalba dellet moderna. Un borgo con una struttura sociale in divenire necessitava di uno statuto adeguato alle sue condizioni. E infatti risalente al 1481 lo statuto pi importante redatto dai rappresentanti della Comunit, cosiddetto dei cento capitoli39. Esso, pur non essendo il primo episodio statutario arcense (esiste unembrionale carta di regola del XIII secolo40), costituisce la base per tutta la legislazione successiva, sia per quanto riguarda il borgo di Arco, sia per le comunit esterne di Oltresarca e Romarzollo. Da questo strumento possiamo desumere lorganizzazione che i cittadini di Arco si erano dati: a chi spettava il potere decisionale a seconda delle occasioni, quali erano gli organi di controllo nel borgo e nelle campagne, alcune norme in campo economico e sociale a tutela del territorio. Proprio questo ultimo elemento risulta essere molto importante e ricorre spesso negli articoli dello statuto. La comunit era conscia delle risorse che aveva a sua disposizione ed era determinata a conservarle in modo che ne rimanessero a sufficienza per soddisfare i bisogni di tutti i cittadini. Proprio questa necessit spingeva i rappresentanti a redigere una serie di norme che regolavano lusufrutto dei beni comuni da parte degli abitanti e imponevano divieti per i forestieri, come spiegheremo pi avanti.G. Riccadonna, Statuti della citt di Arco, Arco, 1990, p.72-123. Ibidem , p. 51.

39 40

La parte introduttiva dello statuto spiega chiaramente il processo formativo e i motivi che spinsero i cittadini a redigerlo. In una riunione del consiglio generale, cio la regola di tutti gli uomini del borgo di Arco, del 1480, venne decisa lelezione di ventinove di loro, con il compito di ordinare ed aggiornare tutti i precedenti ordinamenti, statuti, decreti e regole in un unico volume, e inserire articoli riguardanti le nuove condizioni che si erano venute a creare in citt (i nuovi casi che sono emersi hanno bisogno di nuove regolamentazioni41). Tra gli eletti i primi nominati erano due figli illegittimi del conte Antonio e un nobile uomo di Campo, abitante in Arco. Emerge dunque un quesito sul contributo che i signori dArco diedero alla stesura dello statuto. Nei primi paragrafi venne chiarito come prima, durante e dopo questa deliberazione fosse necessario informare il conte Francesco del processo in atto. Alla conclusione della stesura, il codice fu sottoposto ad un dottore in legge incaricato dal conte, che insieme a lui apport alcune correzioni prima di approvarlo in via ufficiale. Non ci possibile stabilire con precisione quanto dei Cento capitoli sia da attribuire al conte Francesco, ma sicuramente liniziativa della redazione di un nuovo statuto part dalla comunit. E fu la comunit stessa, certamente con lapprovazione del conte, a specificare la propria esclusiva prerogativa diaggiungere, togliere, mutare, e di creare nuove e altre disposizioni, statuti, decreti e ordinamenti42. La storia statutaria di Arco ci regala episodi posteriori che modificano solo marginalmente il corpo principale dei Cento Capitoli; spesso si tratta di semplici riconferme dei privilegi sanciti dalla carta. Altre volte il crearsi di condizioni nuove mai prima affrontate dagli organi decisionali di Arco, porta alla stesura di codici minori che compendiano i precedenti. Vale la pena citarli: nel 1506 troviamo una prima riconferma dello statuto, con laggiunta di due articoli43. Il firmatario era il conte Andrea dArco, che lo stesso anno aveva vietato ai41 42 43

Riccadonna, Statuti, p.73. Ibidem, p. 117. Le aggiunte riguardano due norme in campo criminale: il divieto di confisca dei beni dellautore di un delitto e le pene da applicare in caso di strumenti di misurazione truccati.

Ibidem, p.129.

consoli, tramite un proclama, di convocare il consiglio generale senza il suo permesso. Il documento dimostra la pronta reazione di questi ultimi nei confronti di una violazione dellautonomia gradualmente e faticosamente conquistata. Lanno successivo, alla morte del conte, i rappresentanti comunali sentirono la necessit di farsi riconfermare nuovamente il codice dai figli. Si tratta degli Statuti dati dai Conti agli archesi, denominata anche I convenzione, fra i conti e la comunit. Questa volta vengono aggiunti tredici articoli44, tra cui uninteressante precisazione su una consuetudine ormai assodata in Arco: si confermava losservanza dello statuto della citt di Trento per quanto riguardava il civile e il criminale, con la clausola che i conti si sarebbero impegnati a meglio interpretare e punire per il vantaggio, lutilit e il favore dei predetti sudditi45. Quasi centocinquanta anni trascorrono prima della riconferma successiva, ma nel frattempo si era compiuto un cambiamento dal punto di vista giurisdizionale non trascurabile: i cittadini di Arco avevano giurato, con un vero e proprio atto di sottomissione, fedelt a Ferdinando II, arciduca tirolese, dopo loccupazione militare della contea del 1579. Lo Statuto concesso al Foro dArco dal conte Gerardo46 del 1645 risente in pieno di questo nuovo clima: meno di cinquantanni dopo la restituzione della contea ai dArco, lo statuto sancisce a pieno la trasformazione della loro condizione giurisdizionale: governeranno il contado in rappresentanza del potere del conte del Tirolo. Nel testo del 1645 si richiama nuovamente uno statuto trentino, questa volta quello clesiano del 1527; viene precisato quali parti di questo ultimo sono da tenere in considerazione e quali da tralasciare. Da osservare nella sua totalit solo la parte riguardante il civile, mentre per quanto riguarda lelezione delle cariche comunali si rimanda ai soliti Cento capitoli. Sar proprio questa precisazione a far nascere negli anni e decenni successivi alluscita dello Statuto concesso al Foro dArco, una causa legale tra conti e comunit che

44 45 46

Qui le integrazioni di un certo rilievo riguardano i torchi, i mulini e la raccolta della fojarolla, cio le foglie di scotano, usate per la conciatura del cuoio. Ibidem, p. 140. Ibidem, p. 145. Ibidem, p. 158.

sfocer nella sentenza dellarciduca Sigismondo Francesco del 1665 a favore della comunit 47. La vicenda si riassume in poche parole ma esemplifica appieno la ridotta sovranit di cui disponevano i conti dArco. Nel 1648, e in un secondo maldestro tentativo nel 1653, il conte Gerardo fece pubblicare a Sal una traduzione in italiano dello statuto arcense apportandovi alcune leggere modifiche, omettendo losservanza delle leggi del principato vescovile di Trento. La comunit non rimase a guardare e subito si rivolse allautorit austriaca, che per due volte annull le versioni modificate e riconferm lo statuto in latino della citt e le sue antiche consuetudini, diffidando i conti da nuovi simili tentativi48. Pi di una volta nella storia arcense possibile riscontrare la tendenza della comunit a concentrare lattivit legislativa proprio negli attimi successivi alla morte del conte, quasi a voler approfittare della volont del nuovo governatore di imbonire la popolazione e guadagnare la sua fedelt49. Fu infatti in seguito al passaggio di governo dalle mani del conte Gerardo, deceduto nel 1655, a quelle conte Prospero, che si apr per la comunit la possibilit di un ennesima riconferma dei codici e delle consuetudini cittadine. Proprio quellanno venne stipulata la II convenzione tra conti e comunit. Il testo oltre a ribadire la legittimit dei codici gi osservati, precisava la nullit di qualsiasi proclama dinastiale che avesse modificato in qualsiasi misura i privilegi, le esenzioni, le immunit e le consuetudini dei cittadini di Arco. In questo modo i conti limitavano ulteriormente il loro campo dazione anche se nei decenni successivi dimostreranno di non essersi ancora arresi a un ruolo di governo puramente rappresentativo.

47 48 49

ACAR, 1.8, Libro E, pp. 303-305. Riccadonna, Statuti, p. 160. Nellintroduzione alla I convenzione del 1507 i conti chiariscono questo aspetto: i quali fratelli e novelli signori e Conti con sommo desiderio desiderano talmente attirare la

benevolenza dei loro sudditi della contea di Arco, da voler essere da loro stessi amati meritatamente nellintimit del cuore e nella profondit delle viscere: Ibidem, p. 141.

La stipulazione della III convenzione del 168250 dar il via allultimo grande scontro tra i conti e la comunit. Infatti gli anni che vanno dal 1683 al 1713 sono segnati dallennesimo tentativo di un membro della famiglia comitale, in questo caso Vinciguerra, di annullare le consuetudini e i codici vigenti. La vertenza, che avr vicende alterne nel corso dei trentanni del suo svolgimento, si chiuder con la riconferma da parte dellImperatore degli statuti della comunit51. La quarta Convenzione riguardante il civile e il criminale del 1743 chiude in pratica levoluzione statutaria arcense (in quanto la quinta convenzione del 1764 riconferma sostanzialmente le precedenti), aggiungendo alcuni punti ad integrazione del codice trentino52. A pi riprese lImperatore, negli anni successivi alla quarta convenzione, ordiner ai conti, su sollecitazione della comunit, di attenersi scrupolosamente ai testi nellamministrazione della giustizia e nel governo della citt,.

2.6 Gli organi amministrativi della comunitPassiamo ora ad analizzare la cornice amministrativa che si era delineata in Arco in et moderna. I primi articoli dei Cento capitoli integrati da tutte le riconferme e modifiche successive, oltre alle delibere comunali, ci forniscono informazioni e ci danno un quadro esaustivo sulla divisione dei ruoli che la comunit si era data e continuava ad utilizzare nel corso del Settecento:

Le carica di maggior responsabilit e rappresentanza era quella del console. In numero di due, i consoli si occupavano di fare linteresse di tutta la comunit, di convocare e presiedere i consigli e lassemblea di tutti gli uomini delle tre comunit di Arco

50 51 52

ACAR, 1.8, Libro XXV p.371. Riccadonna, Statuti, p.163. Le integrazioni riguardano le tasse per lapparato giudiziario cittadino e alcune precisazioni sul criminale. Ibidem, p.166 .

(Arco, Oltresarca e Romarzollo), di preservare annualmente i confini con le comunit confinanti, in particolare Riva, di interagire con i conti, di nominare dodici consiglieri fidati, scelti tra i cittadini, con funzione consultiva con i quali avrebbero costituito il Consiglio Ordinario, detto anche del 14.

i Saltari, che avevano la funzione di sorvegliare le coltivazioni e i pascoli della comunit per impedirne furti o danneggiamenti. Venivano pagati in natura ma rispondevano personalmente dei danneggiamenti subiti, ad esclusione del caso in cui questi fossero stati effettuati durante le ore notturne;

i Massari, anche loro nel numero di due (almeno fino al 1768), erano i tesorieri della Comunit. Amministravano i beni annotando tutte le entrate e le uscite, riscuotevano le tasse comunali e le multe, ed anche loro rispondevano personalmente in caso di deficit causati da eventuali mancate riscossioni.

il Notaio, aveva la funzione di redigere e sottoscrivere tutti gli atti comunali. Data la fondamentale importanza del compito (era lunico in grado di dare un valore giuridico alle emanazioni della comunit) doveva essere confermato dal conte governatore e doveva risiedere nel borgo.

Questi erano gli incarichi principali, ma ne esistevano alcuni altri di non minore importanza, come il maestro verificatore degli strumenti di misura, i misuratori, gli esattori straordinari, i preposti alle malghe, i degani. Interessante notare come in Arco non esistesse, in rapporto alla maggioranza delle comunit rurali trentine, la figura del regolano maggiore. Questa carica, che spesso veniva affidata dallautorit superiore competente, ad una famiglia nobile sulla base di una concessione feudale, era in grado di limitare notevolmente lautonomia e lo sviluppo degli organi comunitari, avendo voce in capitolo proprio riguardo alle occasioni di riunione e le emanazioni della comunit53. Nel nostro caso, i signori del luogo, pur esercitando uninfluenza non trascurabile allinterno della comunit, anche se53

M. Nequirito, Le carte di regola delle comunit trentine, Mantova, Gianluigi Arcari Editore, 1988.

non codificata negli statuti, non rivestivano questo ruolo e le prerogative che lo accompagnavano, con leccezione dellamministrazione della giustizia: in Arco veniva esercitata da un vicario di nomina comitale. La comunit di Arco si era dotata nel tempo di svariati organi rappresentativi, cio i consigli. E interessante capire il loro funzionamento e come interagissero fra loro. Il consiglio del 14, come abbiamo visto, era lespressione del volere dei consoli, in quanto era composto dalla coppia di magistrati affiancata da dodici consiglieri nominati dai consoli stessi. Il consiglio inoltre, aveva il compito di scegliere i consoli per lanno successivo. Questa sorta di chiusura potrebbe far pensare che il potere nelle decisioni della comunit fosse detenuto a ciclo continuo dallo stesso gruppo di famiglie; in realt la situazione era pi complessa. Infatti al consiglio del 14 competevano delle funzioni molto pratiche54 di ordinaria amministrazione, poich le decisioni di un certo rilievo passavano sempre al vaglio del consiglio generale. Il ruolo di maggior responsabilit nella gestione degli affari della comunit era ricoperto appunto dalla regola generale, cio lassemblea dei vicini, chiamata nei documenti consiglio generale. Nonostante dalla lettura dei Cento capitoli non emerga chiaramente tutta la sua importanza, il consiglio generale deve aver rivestito per gran parte dellepoca moderna un ruolo preminente rispetto alle altre assemblee. Fu proprio questo organo a prendere la decisione nel 1514 di creare un altro consiglio, detto del 38, dal numero degli uomini che lo componevano: i due consoli con i loro dodici consiglieri, affiancati da ventiquattro giurati nominati dalla regola generale55. In questo modo, a detta del consiglio generale, veniva snellito e velocizzato il processo decisionale, poich spesso questultimo risultava lento e macchinoso nei suoi provvedimenti.

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ACAR, 1.4, 1.5. I fondi contengono le delibere del consiglio del 14 divise per anno a partire dal 1695 fino al 1810. Tuttavia sono molte le annete che risultano mancanti. ACAR, 1.8, Libro XVI, p. 255. Libro XXV, p. 85.

Nel corso del Seicento, nelle decisioni riguardanti laggregazione di nuovi cittadini ma non solo, si pu riscontrare un grado di inequivocabile superiorit della regola rispetto al consiglio del 38. Lassemblea dei capifamiglia, a quanto pare, aveva lautorit di emendare o cancellare le delibere del consiglio del 38, e di privare i consoli della cittadinanza se non si fossero attenuti alle sue decisioni. Nel 1649 li minacci di attuare questultimo provvedimento se non avessero obbedito ai decreti comunali 56. Neanche dieci anni dopo, nel 1658, non esit a togliere la cittadinanza al console in carica, proprio per aver contraffatto ai decreti comunali57. Probabilmente nella seconda met del Seicento si verific uno scontro di potere tra i due organi decisionali, nel quale il consiglio del 38 tent di sottrarsi alla ingombrante tutela della regola. Un processo a lungo termine che con tutta probabilit si concluse proprio in questo senso. Il consiglio generale nel 700 venne convocato sempre meno, delegando di fatto agli altri consigli molti dei suoi compiti. Una tendenza diffusa non soltanto nelle comunit rurali trentine. Basti pensare che tra il 1744 e il 1751, nel corso di otto anni, la regola venne convocato quindici volte, delle quali sette nel 1746 e quattro nel 1747, ed unicamente per questioni inerenti le steore, cio le tasse da pagare al governo tirolese e le lamentele a riguardo. La documentazione della seconda met del Settecento del comune di Arco non attesta altre riunioni del consiglio generale, mentre pi numerose furono quelle del consiglio del 38 e ancora pi frequenti quelle del 14. Per fare un confronto, nel medesimo periodo, cio tra il 1744 e il 1751, il primo fu convocato pi di cinquanta volte58, incluse le occasioni in cui il consiglio diventava itinerante, cio si spostava sui confini con le comunit vicine per la revisione dei termini, trequattro volte allanno. Nei decenni successivi si riun mediamente meno di una decina di volte allanno. Ad esso competeva oltre alla preservazione del territorio, laffitto del macello e del forno pubblico, la cura delle cause legali della comunit, il rapporto con le autorit superiori, la vendita della legna, lassegnazione delle terre comunitarie in locazione. Il consiglio del 14 invece si riun mediamente una56 57 58

ACAR, 1.3, Libro DD pag. 791. ACAR, 1.3, Libro CC, p. 127. ACAR, 1.3, Libro EE, Libro GG.

sessantina di volte allanno durante il Settecento, anche se verso fine secolo venne ridotto il numero dei partecipanti. Francesco Santoni nel Lo stato delle anime del 1787 ci d una breve descrizione delle istituzioni comunali del suo tempo59: cita un consiglio dei 10, cio una versione meno numerosa del consiglio del 14. Nella documentazione darchivio ho riscontrato negli anni successivi una nuova riduzione dei membri del consiglio al numero di otto. Lopera del Santoni nomina anche il consiglio maggiore, detto del 38, ma non fa menzione del consiglio generale, che in effetti non veniva convocato dalla met del secolo. Si pu ipotizzare che il consiglio del 38 sostitu gradualmente il consiglio generale nel suo ruolo di organo guida della comunit, risultando pi rapido ed efficiente nelle decisioni oltre che pi semplice da riunire. La regola, che non risulta sia mai stata del tutto esautorata, conserv con tutte le probabilit il diritto di veto sulle decisioni degli altri consigli, anche se, non venendo mai convocata, perse di fatto il suo potere . Un altro consiglio di cui possibile trovare riscontro nei documenti riguardanti il periodo 1768 - 1769 il consiglio del 20. Nel 1767 ad imposizione del vice capitano Cristani di Rovereto venne introdotto un nuovo metodo per la nomina dei rappresentanti pubblici: avrebbero dovuto essere eletti nel numero di venti dalla Regola generale, che avrebbe conferito loro lautorit su tutte le decisione comunitarie, sostituendo di fatto i due consigli del 14 e del 38 60. Questa forma fu abbandonata gi nel 1769, a seguito delle lamentele del nuovo consiglio, e si torn alla vecchia usanza di nomina delle cariche comunali. Lultimo consiglio da citare per avere un quadro completo degli organi rappresentativi della citt di Arco in epoca moderna, lassemblea delle tre comunit di Arco, Romarzollo e Oltresarca, lorgano pi ampio in termine numerici, che riuniva tutti i capifamiglia

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R. Turrini (a cura di), Lo stato delle anime dellarciprete Francesco Santoni, in Il Sommolago, 1995, p. 93. ACAR, 1.3, Libro GG, pp. 188, 189.

del contado; veniva convocato in casi eccezionali, per questioni riguardanti le comunit esterne o fatti di estrema gravit. Nel Settecento fu convocato solamente negli ultimi anni del secolo, allimminenza dellinvasione napoleonica del Trentino61.

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ACAR, 1.6, Sessioni 1795-1810. Libro per i Consigli alla generalle con le communit esteriori et cetera et cetera.

3. La cittadinanza di Arco3.1 Privilegi e gravami di un cittadino. Mantenimento o perdita della cittadinanzaTramite la documentazione presente nellarchivio storico di Arco ci possibile avere un quadro generale della condizione di cittadino e della sua evoluzione nel corso dellepoca moderna. Vi sono alcuni articoli specifici contenuti negli statuti, nelle convenzioni, nelle ordinanze e nelle delibere degli organi amministrativi comunali, inerenti i diritti e i doveri dei cittadini arcensi. Lacunosa risulta essere invece la documentazione riguardante chi avesse accesso a questi diritti e in base a quale criterio potessero godere della cittadinanza. Indicativamente erano annoverati nel numero dei vicini tutti gli abitanti maschi originari del borgo detentori di un fuoco, cio i capifamiglia. Nel tentativo di definire pi precisamente quali fossero le caratteristiche che la condizione di cives incorporava, si nota come i testi legislativi contengano soprattutto divieti e in misura minore doveri. I divieti riguardano in maggioranza argomenti come la preservazione delle risorse. La conservazione dei pascoli, dei boschi, delle campagne, della fauna sono alcune delle maggiori preoccupazioni dei rappresentanti della comunit. La carta di regola duecentesca in gran parte composta di norme a tutela del territorio 62, e cos anche i Cento capitoli63, ai quali si aggiungono tutta una serie di proibizioni sulla vendita delle carni.

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G. Riccadonna, Statuti della citt di Arco, p. 57. Solo per fare un esempio, il primo articolo degli Statuti datisi dagli uomini dArco riguarda il divieto per chiunque di fare

legna nella zona del Linfano, il secondo proibisce di pascolare e falciare erba in un prato della comunit; lo statuto prosegue con questo tenore per tutta la durata dei suoi 42 capitoli.63

Ibidem, p. 101. I capitoli dal 46 in poi sono tutti concernenti la preservazione dei beni comunitari.

Discorso differente per i doveri che i cittadini di Arco avevano nei confronti della comunit. Uno dei pi importanti era ovviamente lobbligo della prestazione di opere pubbliche su ordine del consiglio. I cittadini dovevano sempre essere disponibili per eseguire servizi per la comunit, pena una multa pecuniaria64. Stesso discorso nel momento dellassegnazione delle cariche: non era possibile rifiutare un ufficio una volta assegnato dai consoli, a meno che non si fosse ricoperta la carica di massaro o console nei dieci anni precedenti. Pi di una volta ci furono casi in cui la comunit non esit a privare della cittadinanza chi rifiutava di assumere un ufficio al quale era stato designato, come vedremo pi avanti. Certo che ricoprire una carica, oltre ad un compenso, dava anche dei diritti che i semplici cittadini non avevano, cio lesenzione dalla prestazione delle opere per la comunit sopra citate, ma comportava spesso una serie di rischi economici non indifferenti. Questo elemento dovrebbe darci un dato importante sulla condizione dei cittadini che ricoprivano il ruolo di funzionari comunali, di certo sufficientemente agiati per permettersi di coprire alcune spese, che, a seconda dei casi, venivano o meno rimborsate dal comune. Questa ipotesi avvalorata dal fatto che i nominativi dei consoli e dei consiglieri che sottofirmavano le delibere e le ordinanze comunali erano spesso preceduti da titoli nobiliari o professionali che presupponevano lappartenenza ad un ceto sociale medio-alto, almeno per quanto riguarda la seconda met del Settecento. Sempre in campo di doveri civici, vi era lobbligo di partecipare alle riunioni del consiglio generale del borgo di Arco, per prendere parte alle decisioni della comunit, e di recarsi sul confine tra Arco e Riva il 23 Aprile, giorno di San Giorgio, per potare le siepi e gli arbusti65. La linea di separazione tra le due cittadine andava dal Monte Brione alla chiesetta di San Tomaso, collocata nelle campagne tra Arco e Riva, sullattuale strada statale 45bis, e ogni anno in quella data tutti i rappresentanti comunali e i cittadini dovevano l recarsi per la cerimonia di preservazione del loro territorio e riconferma del limen esistente. La radice dellusanza risaliva alle vicende storiche

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Ibidem, p.103, capitolo 56 intitolato De debentibus ire ad laborandum in Communi Riccadonna, Statuti, p.83.

che avevano interessato Arco e Riva fino ai primi anni del XVI secolo. Riva infatti stava vivendo il suo periodo di occupazione veneziana; di conseguenza Arco poteva considerarsi a pieno titolo lultimo avamposto meridionale dellImpero. Nelle sue campagne si svolsero scontri pi o meno di rilievo tra truppe veneziane e imperiali66. Fu probabilmente per questo che si decise di inserire 3 articoli riguardanti questo argomento nello stauto dei Cento Capitoli67, redatti nel 1480, anno in cui la repubblica di Venezia era ancora in possesso della sponda settentrionale del lago di Garda. Dopo il 1509 e il ritorno delle forze vescovili in Riva la norma continu ad essere osservata, tant che nel redigere linventario del notaio Carlo Tamburini che, come gi detto, svolse a pi riprese la funzione di cancelliere per la comunit nella seconda met del Settecento, mi sono imbattuto nel documento che testimoniava questo atto ripetuto annualmente68. La revisione dei termini rimase sempre un compito molto importante dei rappresentanti comunali, poich spesso questo argomento era motivo di lite, causa la mancanza di mezzi per eseguire delle rilevazioni topografiche precise. Se gli statuti cittadini non ci forniscono molti elementi sui diritti che i cittadini arcensi potevano rivendicare, possiamo desumerli, oltre che da alcuni decreti dei consigli, dagli strumenti di aggregazione a cittadinanza69. Nellatto di incorporare un nuovo cittadino nel numero dei cittadini originari, oltre ai doveri gli venivano elencati a grandi linee i diritti che questa nuova condizione gli dava. Al neo-aggregato veniva concesso un nuovo status giuridico e laccesso alle risorse comunitarie: avrebbe potuto servirsi di tutte le prerogative immunit, esenzioni, onori, cariche utili, emolumenti, e libert che godono e si servono possono godere, e servirsi gli altri Cittadini tutti originarj dessa Comunit, e di andare a monti, piani, boschi, selve, pascoli, ed ogni

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G. Rill, Storia dei Conti dArco 1487-1614, p. 43. Ibidem, pag. 81 seg., articoli 7, 8, 9. AST, Atti dei notai,Carlo Tamburini (1743-1793), bb. 1, 2 14 documenti di questo tipo, AST, Atti dei notai,Carlo Tamburini (1743-1793), bb. 1, 2

altro luogo della medesima Comunit; far legne, fratare, tagliare, segare, e conseguire tutto quello, che li Cittadini originary possono godere e servirsi70. Queste prerogative erano legate al mantenimento della residenza in Arco. Infatti a partire da met 600 iniziano ad apparire una serie di delibere del consiglio del 38 e di quello generale, che vietavano ai possessori della cittadinanza, ma ormai non pi domiciliati in Arco, di godere dei diritti dei cittadini abitanti, equiparandoli di fatto alla condizione dei forestieri abitanti nel borgo. Nel 1672 il consiglio del 38 stabiliva inequivocabilmente che quelli delli Comunit dArco non habbitino n habbiteranno nella Conte dArco non possino godere le prerogative che godono quelli che habbitino nella suddetta terra dArco71, specificando la proibizione di far pascolare pecore nei territori della giurisdizione arcense. Ancora nel 172272 e nel 174973 i cittadini non abitanti vengono accomunati ai forestieri abitanti nei divieto di pascolo e di fare legna sui monti comunali. Si sarebbero visti sospendere i diritti dati dalla cittadinanza fintanto che avrebbero abitato fuori dalla contea. Lultimo episodio simile si concretizz in un lungo processo tra una famiglia nobile di Riva del Garda, i Formenti, e la comunit di Arco, suscitata dal diritto di caccia nei territori comunali, tra il 1762 e il 1770. La famiglia rivana era in possesso della cittadinanza di Arco ma risultava domiciliata a Riva. Per questo le fu intimato a pi riprese da parte dei rappresentanti comunali di non cacciare nelle terre appartenenti ad Arco. La vertenza si chiuse inizialmente con la rinuncia della comunit a procedere, sicura di essersi avventurata in una causa persa in partenza74. Ma nel 1770, il consiglio del 38 prese coraggio e fece analizzare i documenti inerenti alla controversia ad

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AST, Atti dei notai,Carlo Tamburini (1743-1793), b. 2, Istrumento daggregazione a Cittadinanza del Sig. Francesco Fabber Scultore, 1768. Cfr. Appendice documentario, 4.1. ACAR, 1.3, Libro CC pag. 495. ACAR, 1.8, Libro XIV, pag. 319. ACAR, 1.8, Libro XX, pag. 487. ACAR, 1.3, Libro GG, p. 209.

un giusperito75. Lo stesso anno una sorta di petizione di numerosi cittadini sottoposta dal dottor Gianantonio Bornico al conte governatore port questultimo ad ordinare il divieto di caccia a qualunque cittadino non abitante76. Ci sono altri casi in cui i diritti di un cittadino vennero limitati: ad esempio nel 1655 venne stabilito di non affidare cariche comunali a cittadini che erano al servizio dei conti, in modo da non generale un conflitto di interessi, e ci per attestazione dei conti stessi 77. In altre circostanze la cittadinanza poteva essere tolta: a quei cittadini che tradivano la comunit in tempo di guerra, come i fratelli Franzini, che durante loccupazione francese del 1703 si erano schierati apertamente dalla parte dellinvasore. Successivamente vennero processati e nel 1707 vennero banditi dalla contea78. A volte bastava molto meno per perdere lo status di cittadino: nel 1633 per decreto del consiglio generale quei cittadini che avviavano una causa legale contro la comunit, rifiutavano di svolgere uffici ed offendevano in fatti come in parole gli ufficiali comunali, dovevano essere privati dei diritti79. Questo avvenne puntualmente per ben tre volte nel corso del Settecento. Nel 1756 venne tolta la cittadinanza al nobile Giuseppe Bornico, che aveva rifiutato lufficio di edile80, lanno seguente a Gasparo Carmelini, per essersi rifiutato di assumere la carica di saltaro delle feste81,e ancora nel 1775 ne venne privato Giambattista Andreotti, che non volle svolgere il ruolo di massaro per quellanno82. Queste disposizioni, confermate da atti notarili di privazione di

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ACAR, 1.3, Libro GG, pp. 244, 245. ACAR, 1.8, Libro II, pp. 164 e seguenti. ACAR, 1.8, Libro G, pag. 529. M. Turrini, A ferro e fuoco, in Il Sommolago, XX, 2003, n3, p. 184. ACAR, 1.3, Libro DD, pag. 480. ACAR, 1.3, Libro GG, pp. 7-9. ACAR, 1.3, Libro GG, p. 31. ACAR, 1.3, Libro GG, p. 316.

cittadinanza, spesso venivano ritirate dietro il pagamento di una sanzione, come avvenne per Bornico e Andreotti lanno successivo alla perdita dei diritti civici.

3.2 La figura del forestieroAndiamo ora ad analizzare quali erano le conseguenze della mancanza della cittadinanza, cio le caratteristiche che contraddistinguevano la condizione di forestiero. Gi negli Statuti datisi dagli uomini dArco del XIII secolo, cio il testo legislativo pi antico arrivato a noi, si fa menzione in alcuni articoli dei forenses, persone di condizione giuridica inferiore poich non cittadini originari arcensi. La comunit, cos impegnata a proteggere le risorse che la valle del Sarca aveva da offrire, specific in pi occasioni in questo testo come chi non godesse dello status di cittadino non potesse avere accesso ai beni comuni83. Ugualmente negli statuti e convenzioni successive troviamo un distinguo molto preciso nello specificare a quali risorse i foresti non potessero legalmente attingere. Vi era fatto divieto per i forestieri di poter pescare nel fiume Sarca, di poter pascolare, fare legna e cacciare sui monti del comune; queste disposizioni vennero poi confermate a pi riprese da proclami dei conti dArco, nel 1512 84 e nel 155185. Alla violazione di queste disposizione corrispondevano delle condanne verso i trasgressori che si traducevano in multe o addirittura espulsioni. Per decreto del consiglio generale , nel 1630, per il diritto di pascolo, i forestieri vennero condannati a pagare 4 troni per ogni bestia grossa e 1 trono

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Riccadonna, Statuti, p. 61. Gli articoli 23, 24, 25 e 26 riguardano il divieto per i forestieri di fare legna e pascolare nelle terre comunali. ACAR, 1.8, Libro VIII, p. 130; Libro AA, p. 107. ACAR, 1.3, Libro AA, pp. 337, 368, 387.

per ogni bestia minuta86; nel 1656 si parla di 27 troni per ogni paio di buoi, 8 troni per ogni bestia grossa e uno per ogni bestia minuta87. Anche per quanto riguarda il pagamento della saltaria, cio la tassa per la sorveglianza delle campagne, i forestieri risultavano penalizzati rispetto ai cittadini. I cento capitoli stabilivano che i saltari, vale a dire i guardiani delle campagne, non dovessero risarcire i danni che fossero stati provocati a beni appartenenti a persone che non facessero parte del comune88. Probabilmente questa specificazione venne inserita nel capitolo perch spesso i forestieri, possessori di beni nel contado, si sottraevano al pagamento della tassa, a giudicare dai due proclami, che intimavano loro di soddisfare le richieste degli ufficiali comunali, prima nel 172789 e poi ancora nel 174590. Spesso si cerc, con ladozione di provvedimenti decisi, di impedire che nuove persone si stabilissero in Arco, o per lo meno di limitare la loro presenza. Altre volte si decret semplicemente la loro cacciata dai territori del contado. Nel 1510 la comunit viet ai cittadini di affittare case ai forestieri sotto pena pecuniaria di 10 lire91, nel 1588 si rinnov questo divieto, con unimportante specificazione: se un cittadino avesse affittato un bene stabile ad un forestiero, questultimo non avrebbe potuto usufruire dei beni comuni, ad eccezione del caso in cui esso non fosse il conduttore di un maso, cio fosse esso un manente. Solo in questa circostanza avrebbe potuto attingere alle risorse riservate alla comunit, al posto per del locatore del bene92. Insomma si tentava di non allargare numericamente il diritto di86 87 88 89 90 91 92

ACAR, 1.3, Libro DD, pp. 510, 512. ACAR, 1.3, Libro CC, p. 87. G. Riccadonna, Statuti della citt di Arco, p. 97. ACAR, 1.8, Libro XXVII, p. 421. ACAR, 1.8, Libro LIV, p. 180. ACAR, 1.8, Libro VIII, p. 237. ACAR, 1.3, Libro BB, p. 83.

usufrutto dei beni comunitari. Ancora nel 1604 si limitava il numero di manenti forestieri ad uno per ogni cittadino93. Nel 1649 il consiglio generale intimava nuovamente ai cittadini il divieto di affittare case o campi ai forestieri94 e lo stesso anno ribadiva il concetto nel tentativo di scacciare i forestieri inutili95. Nei casi in cui il contado versasse in condizioni di grave difficolt, dovute a carestie, guerre o calamit naturali, la comunit non esitava ad allontanare forzosamente i forestieri. Nel 1633, a soli due anni dallepidemia di peste che colp il contado di Arco, il conte autorizzava la comunit a cacciar via i forestieri inutili96. Ancora nel 1703, durante loccupazione francese, la regola generale stabil che tutti li Forestieri che abitano in Arco e suo regolare, che non hanno beni per mantenersi, debbano absentarsi da questa patria e ritirarsi alla propria loro Patria sino ad altra deliberatione e tempo pi propitio97. Il passaggio dellesercito francese segn profondamente la citt, tanto che il Settecento arcense si contraddistinse per larresto delleconomia e i problemi finanziari della comunit, che portarono ad una chiusura verso lesterno, anche nelle norme riguardanti i forestieri o il diritto di cittadinanza.

3.3 Il forestiero residente

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ACAR, 1.3, Libro BB, p. 439. ACAR, 1.3, Libro DD, p. 783. ACAR, 1.3, Libro C, p. 248. ACAR, 1.8, Libro XI, pp. 453, 467. M. Turrini, A ferro e fuoco, p. 154.

Tuttavia attestata la presenza di persone che pur abitando nel borgo non erano accorpate nel numero dei cittadini: questi erano i forestieri abitanti. La loro presenza and regolandosi nel tempo con linserimento di norme statutarie o mediante le delibere degli organi comunali, che distingueva la loro particolare condizione da quella dei semplici forestieri. Ci si preoccupava molto del comportamento delle persone estranee al corpo dei cittadini; spesso vengono citate nelle ordinanze come danneggiatori dei beni comuni98 e visti con sospetto. Per questo per ottenere il permesso di stabilire il proprio domicilio allinterno del contado veniva richiesta una cauzione, la cui entit vari nel tempo, in modo da coprire eventuali spese causate dai loro comportamenti. Questa era una clausola imprescindibile che permetteva laccesso alla condizione di forestiero abitante. Il trentasettesimo punto dei Cento capitoli intitolato De forensibus non debentibus venire habitatum in communi Archi, a dispetto del titolo conteneva le indicazioni necessarie perch un forestiero potesse stabilirsi in Arco. Il signore di Arco e il comune (indicazione vaga, poich non viene specificato a quale organo competesse la funzione, ma presumibilmente si tratta del consiglio generale) dovevano dare il loro consenso, ma soprattutto il richiedente doveva pagare cinquanta libbre di denari entro un anno o due 99 e anticipare una cauzione, a seconda della decisione dei rappresentarti comunali. Questa condizione avrebbe dovuto evitare laffollarsi in citt di mendicanti, nullatenenti e vagabondi. Tuttavia la concessione di un periodo di tempo di due anni per pagare la cifra richiesta sembra abbia causato non pochi problemi alla comunit, che periodicamente deliberava contro coloro che si ostinavano a non versare la cauzione. Nel 1659 un decreto del consiglio maggiore intim ai consoli di far pagare ai forestieri la cauzione, altrimenti sarebbero stati costretti a coprire loro stessi le spese. Lo stesso testo ci fornisce importanti informazioni sulle differenze che correvano tra lo status di forestiero residente o meno. La comunit, attraverso il versamento della somma, concedeva al nuovo abitante nel borgo, oltre al diritto di

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ACAR, 1.8, Libro XX, p. 487. G. Riccadonna, Statuti della citt di Arco, p. 95.

residenza, la licenza di pescare, di fare legna e di pascolare, distinguendolo nettamente dai comuni stranieri100, ma allo stesso tempo gli chiedeva di contribuire alle spese collettive che erano da affrontare di volta in volta. Per questo gli organi comunitari a pi riprese rivolsero la loro attenzione alla riscossione della sigurt dovuta dai forenses e alla richiesta di denaro per le collette o per le steore, cio le tasse. Gli esempi sono numerosi: il consiglio generale prima nel 1644101 e poi nel 1676102 pretese il loro contributo alle spese comunitarie. Nel 1663103 il consiglio generale di tutte le comunit rinnov listanza di pagamento della cauzione e nel 1695 104 pubblic nuovamente lordine perentorio, chiarendo che sarebbe toccato ai rappresentanti della villa in cui il forestiero risiedeva il compito di fissare lentit della somma e di incassarla. Inoltre vietava ai cittadini di affittare case o campi ai foresti residenti, ma ancora morosi. Se avesse contravvenuto alla norma, il locatore avrebbe dovuto pagare i danni eventualmente causati dallaffittuario. Gli anni a met del Settecento sono densi di episodi legislativi che miravano ad una regolarizzazione della condizione dei forestieri gi insediati nel borgo. Nel 1740, venne intimato ai forestieri residenti da meno di dieci anni nel contado di andarsene se ancora non avessero pagato la cauzione, che venne fissata in 200 fiorini, da versare questa volta al comune 105. La gi citata quarta convenzione del 1743, allarticolo nono intitolato appunto per li foresti, cambiava leggermente le regole: volendo venir ad abbitare in questo contado qualche forestiero debba quello nel termine di giorni tre presentarsi alli consoli, o sindici nel regolare de quali intender fissare il suo domicilio, e dare a medesimi sincera, e distinta informacione del di lui nome, cognome, patria, ed esercizio, affine tutto ci100 101 102 103 104 105

ACAR, 1.3, Libro CC, p. 155. ACAR, 1.3, Libro DD, p. 696. ACAR, 1.8, Libro LX, p. 112. ACAR, 1.