LA CITTA' DEL SECONDO RINASCIMENTO

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LA SCRITTURA DELL’IMPRESA TRIMESTRALE - N. 53 - Marzo 2013 - Spedizione in abb. post. 45% - Legge 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1. Filiale di Modena - Tassa pagata - Contiene 3 I. P. - Euro 5,00 LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO BARBIERI BONAFÈ CONTI CORTI CREDALI CUCUMAZZI DALLA VAL GIANNELLI KRYM IMPOSTI MALENA MARACH MOSCATTI MUZZARELLI PANDOLFI PEDRONI SABATINI SHAFIEI SPADAFORA ZAMBELLI

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Trimestrale di psicanalisi, cifrematica, brainworking, impresa, made in italy, scrittura, comunicazione, vendita, arte, scienza e cultura, che promuove dibattiti internazionali e intersettoriali su questioni nodali per dare un contributo alla civiltà e all'avvenire del pianeta.

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LA SCRITTURA DELL’IMPRESA

TRIMESTRALE - N. 53 - Marzo 2013 - Spedizione in abb. post. 45% - Legge 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1.Filiale di Modena - Tassa pagata - Contiene 3 I. P. - Euro 5,00

LA CITTÀDEL SECONDO RINASCIMENTOLA CITTÀDEL SECONDO RINASCIMENTO

BARBIERI

BONAFÈ

CONTI

CORTI

CREDALI

CUCUMAZZI

DALLA VAL

GIANNELLI

KRYM

IMPOSTI

MALENA

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Sergio Dalla Val

Caterina Giannelli

Ines Miriam Marach

Gabriella Imposti

Anna Spadafora

Elena Corti

Anatolij Krym

Panteha Shafiei

Marco Pedroni

Michele Malena

Ornella Cucumazzi

Bruno Conti

Carlo Barbieri

Paolo Moscatti

Stefano Bonafè

Marzia Zambelli

Carlo Sabatini

Lino Antonio Credali

Roberto Pandolfi

Gianni Muzzarelli

Cifratica della vita

Impresa e felicità

In bilico tra realtà e assurdo

L’ebraismo, la Russia, l’Ucraina

Non c’è più vittima

La pietas di Krym

Il nostro continuo andare

Quale cura

Il rischio d’impresa dissipa la paura

Hesperia Hospital: trent’anni di eccellenza nella ricerca e nella cura

La macchina e la crisi

L’industria è la base della civiltà

Il cemento per la vita

Competenza e qualificazione

Il valore del commercio e della produzione

Produzione e innovazione ambientale

Un approccio imprenditoriale alla solidarietà

La tecnologia al servizio della storia

MOG: l’indipendenza energetica

La felicità in cucina

L A S C R I T T U R A D E L L ’ I M P R E S A

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Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo epubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.

Registrazione del Tribunale di Bologna n. 7056 dell’8 novembre 2000TRIMESTRALE, SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALEArt. 2 - comma 20/B - Legge 23/12/96 n. 662Pubblicità inferiore al 45%, a cura dell’Associazione Il secondo rinascimentoIscrizione al Registro Nazionale della Stampa n. 11021 e al ROC n. 6173Numero cinquantatre. Stampato nel mese di marzo 2013, presso Poligrafico Artioli S.p.A., via Emilia Ovest 669 - 41100 Modena

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia RomagnaDIRETTORE RESPONSABILE: Sergio Dalla ValREDAZIONE E ABBONAMENTI:Bologna - via Galliera 62 - 40121, tel. 051 248787; fax 051 247243Modena - via Mascherella 23 - 41100, tel. e fax: 059 237697Sito Internet: www.lacittaoline.com - www.ilsecondorinascimento.it - [email protected] Internet: www.lacittaoline.com - www.ilsecondorinascimento.it - [email protected] DI REDAZIONE:Agnese Agrizzi, Roberto F. da Celano, Ornella Cucumazzi, Caterina Giannelli, Carlo Marchetti, Luca Monterumici, MarcoMoscatti, Anna Maria Palazzolo, Vincenzo Pisani, Simone Serra, Anna Spadafora.EQUIPE ORGANIZZATIVA:Pierluigi Degliesposti, Silvia Pellegrino, Pasquale Petrocelli, Panteha Shafiei, Mirella Sturaro.

In copertina: Mary Palchetti, Timidezza, acrilico su tavola, 1990, cm. 98x145. Opera pubblicata per gentile concessione del Museum ofthe Second Renaissance, Villa San Carlo Borromeo, Milano Senago.

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Come si scrive la felicità? E dove? Inun istante, come crede Francesco

Alberoni, (“La felicità è sempre e soltan-to un istante. La felicità non è una cosache dura”)? Sta nella conoscenza, comein Aristotele, o nella conoscenza e nel-l’amore dei propri limiti, come inRomain Rolland (“La felicità sta nelconoscere i propri limiti e amarli”)? Onel desiderare ciò che si ha, anziché nel-l’avere ciò che si desidera, come nel notoaforisma di Oscar Wilde? O si scrive inmodo circolare, come vorrebbe WolfgangGoethe: “L’uomo più felice è quello che èin grado di collegare la fine della suavita con l’inizio di essa”? Felicità circo-lare, quella di Goethe, il ritorno, il ritor-no all’origine, l’uroboro, la vita presa inun cerchio. Mentre Emil Cioran scrive:“Per alcuni la felicità è una sensazionecosì insolita che, appena la provano, siallontanano e s’interrogano su questonuovo stato; nulla di simile al propriopassato: è la prima volta che si avventu-rano fuori dalla sicurezza del peggio”.

Per Goethe la felicità è restare nel cer-chio del bene, dell’origine; per Cioran èsfuggire a quello del male, il cerchio delpeggio. Così c’è chi cerca la felicità nel-l’abitare la sicurezza del cerchio dell’ori-gine e chi la cerca nello sfuggire dallasicurezza del cerchio del peggio.Geometria della felicità, felicità endoga-mica nel primo caso, algebra della felici-tà, felicità esogamica nel secondo. Inentrambi i casi non c’è quella chepotremmo chiamare felicità secondol’aritmetica, da arithmos, numero, logi-ca particolare. Felicità nella parola,secondo le logiche della parola che lacifrematica formula, ovvero le relazioni,le funzioni, i punti, le dimensioni, leoperazioni. Senza questa logica partico-lare, questo numero inconoscibile, nes-

suna felicità.L’opera letteraria di Anatolij Krym, a

cui è dedicato questo numero della rivi-sta, pone le basi per la definizione dellafelicità. Nei suoi Racconti intorno allafelicità ebraica (Spirali), egli sottolineal’infinito del viaggio, nell’assenza dimeta ultima: “La felicità ebraica,Dvojra, è quando vai tutto il tempo daqualche parte, e vai, vai, ma non arrivimai”. Ma anche le pièce Il testamentodel donnaiolo illibato e La clandesti-na, pubblicate sempre da Spirali, sonoattraversate dalla questione della felici-tà. Nella prima, don Giovanni si propo-ne non come colui che trae felicità dalledonne, secondo l’idea isterica del despo-ta, ma come colui che, seppur impoten-te, la offre: “Allora io, povero menoma-to, ho giurato a me stesso che le avreifatte volare!”, dice, donando loro felici-tà, non erotismo. In questo modo rischiadi non sfuggire a un fantasma di padro-nanza sul godimento dell’Altro; però sitrova anche a evidenziare che l’atto ses-suale è l’atto di parola, che la felicità nonsta nell’erotismo, ma esige l’instaura-zione della speranza, dell’amore, dellascommessa e del rischio di vita. AncheNina, la clandestina, sembra doversioccupare della felicità dell’Altro. Se perdon Giovanni la felicità era apparente-mente una missione, per Nina far felicigli uomini sembra un dovere, costrettacom’è dalle difficoltà della vita a dipen-dere da uomini sempre pronti a sfruttar-la, anche a amarla, ma in ultima analisia non rischiare nulla per lei. Così devedistricarsi tra un mare di proposte e divelleità, una felicità che tutti le promet-tono e che ognuno vorrebbe trarre per sé.Da qui il suo disincanto: Nina nonvuole far felice l’Altro, non s’illude néillude, cerca di costruire dispositivi di

parola per il compito di vivere. Coloroche la vogliono per sé entrano nel suoviaggio, in un dispositivo in cui la ricer-ca della felicità facile diventa una messain questione delle abitudini, dei confor-mismi, del senso comune.

Quando la crisi si rappresenta, comein questa epoca, felicità sembra unaparola proibita, o dev’essere ridotta abenessere o a serenità. Ognuno si acco-moda con ricette facili, modeste, nel cer-chio del bene o del meno peggio. E il cit-tadino italiano viene rappresentatodall’Istat come dedito al ridimensiona-mento, alla rinuncia, al rinvio, al rispar-mio. Trascurando che, pur non sottova-lutando la difficoltà e la crisi, ciascungiorno imprenditori, artigiani, commer-cianti, artisti rischiano e scommettonoin un viaggio che non consente tregua osoluzione, che non ha alternativa allariuscita. Un viaggio che trova in questarivista e nei dispositivi cifrematici perl’impresa un apporto insostituibile, per-ché l’approdo alla felicità esige l’aucto-ritas, l’aumento, la crescita, che solo undispositivo di parola avvia. La decresci-ta non è felice, come nota in questonumero Caterina Giannelli.

Il viaggio, l’approdo. Qual è l’apprododel viaggio? Con la cifrematica, la scien-za della parola, la felicità non è nellostare bene, nell’istante, nella conoscen-za, nel cerchio o nell’uscita dal cerchio.La vita non è facile, le cose sono estreme,ma mai ultime. La felicità è l’apprododelle cose alla qualità, un approdo chenon è la fine, ma il valore, la cifra delviaggio. Questa felicità è distante dalsoggetto felice o infelice, dal binomioottimismo pessimismo, dalla dicotomiabene male: la ricerca e l’impresa non sivalutano con il criterio del bene o delmale, ma per la loro scrittura, con cui illoro viaggio non finisce. L’approdo dellascrittura della ricerca e della scritturadell’impresa, oltre il compimento, oltreil risultato. L’approdo, quando le cose,tante e quante, diventano cifra. La felici-tà: l’approdo alla cifra.

SERGIO DALLA VALpsicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

CIFRATICA DELLA FELICITÀCIFRATICA DELLA FELICITÀ

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L’Italia, il racconto. La bottega,l’impresa e l’industria. I beni cul-

turali, beni insostanziali, più cheimmateriali. L’Italia, paese di viag-giatori e inventori. Marco Polo,Dante Alighieri, Cristoforo Co -lombo, Leonardo da Vinci, NiccolòMachiavelli, Ludovico Ariosto,Giuseppe Peano. Ciascuno, secondola logica particolare, narrando, viag-gia. Com’è accaduto che, a un certopunto, il viaggio dovesse essere pre-ordinato al risultato? Com’è accadu-to che il risultato decidesse il valoredel viaggio?

Errando, narrando, la novità, cheimpedisce di rappresentarsi il risul-tato. Viaggio linguistico, viaggionarrativo. Il viaggio non è ontologi-co. Se lo fosse, non ci sarebbero artee invenzione, non ci sarebbe impre-sa. Il viaggio esige l’esperienza dellaparola originaria e procede dal-l’apertura, dall’ironia. Parola origi-naria ovvero senza ritorno. Ori -ginaria ovvero senza origine, laparola non punta alla restituzione inpristino e non è sottoposta all’assen-za di lucidità introdotta dal ricordo.

Che la parola sia originaria, cheincominci il viaggio, comporta ilrischio di riuscita, proprietà dell’im-presa. Se togliamo la memoria e ilracconto, allora nulla si fa, nulla siscrive, nulla si cifra. “Sempre quelleimprese che con pericolo si comin-ciono si finiscono con premio, e diuno pericolo mai si uscì sanza peri-colo”, nota Machiavelli nelle HistorieFiorentine. Impresa come viaggio,percorso e cammino che non finisco-no, in cui il valore non è solo nel fat-turato, ma è dato anche dall’itinera-rio, dalla direzione che esige per cia-scuno lo statuto di imprenditore.Questo il valore del viaggio dell’im-presa, viaggio narrativo che i buro-crati non riescono a mettere a bilan-cio perché non possono farne lasomma. Che l’impresa sia narrativa,che non sia esente da parola consen-

te che non ci sia sistema, ma semmaistrategia della parola e arte dellapolitica, politica narrativa, politicadell’ascolto e della comunicazione.Il sistema invece è esente dalla paro-la, è sistema delle coperture, dellegaranzie prestabilite che, comedimostrano le cronache italiane, nontengono più. Il sistema si fonda sullapaura della differenza, paura del-l’aumento e dell’abbondanza di cuil’impresa e la sua scrittura non pos-sono fare a meno.

L’imprenditore e scrittore ebreoucraino Anatolij Krym testimoniaproprio questo aspetto dell’impresa,procedendo dall’ironia che si snodanei suoi Racconti intorno alla felicitàebraica e nelle pièces teatrali Il testa-mento del donnaiolo illibato e La clan-destina (Spirali). Krym sottolinea chealla scrittura segue l’approdo allasalute. Questo approdo non è scon-tato, richiede il compito di vivere. Ilcompito di vivere, nonostante tutto.Il compito di vivere che espone cia-scun giorno al rischio di vita.Ciascuno ha la chance di vivere conquesto rischio, dicendo, facendo,scrivendo. La vita prosegue, nono-stante tutto, nonostante non ce nepossiamo privare e non ne possiamoavere il possesso.

La scrittura è la scrittura delle coseche si fanno, scrittura pragmaticadelle cose che, scrivendosi, giungo-no a compimento. Nel viaggio cheabbiamo avviato per la costruzionedella città del secondo rinascimentoconstatiamo come nell’incontro e nelfare le cose non finiscono, le ideenon finiscono, le risorse intellettualinon finiscono, la scrittura non fini-sce. L’impresa che assume la pauradella fine è ricattabile, deve affiliar-si, in alcuni casi perfino svendersi,com’è accaduto a tante imprese dieccellenza del nostro paese. Il siste-ma, guardiano della paura, sorgeper annullare la speranza, lo spiritocostruttivo, l’industria e l’ingegno

che occorrono nella battaglia per lariuscita. È l’offerta che avvia un pro-cesso di ricerca, è un’istanza diaumento e di abbondanza che nonconsente decrescita felice. Le impre-se del secondo rinascimento sonoimprese in viaggio, un viaggio chenon finisce e che si precisa e si quali-fica in ciascun incontro. Fino all’ap-prodo alla cifra. E questo approdonon è mai una volte per tutte.

Il fare esige l’auctoritas (dal latinoaugeo, aumento), l’incremento, lacrescita. Ciascuno che si trova nellaparola, nel fare, nella battaglia quo-tidiana per la riuscita ha da metterein gioco i talenti, industriandosi. “Inogni paese con lo esercizio si fabuoni soldati; perché, dove manca lanatura, sopperisce la ‘ndustria, laquale in questo caso vale più che lanatura”, scrive ancora Machiavelli.Ovvero il processo di valorizzazionedelle cose esige la virtù, che intervie-ne per un esercizio. Questa virtù èsempre artificiale, non naturale.L’industria esige ingegno e intelli-genza, costruzione e produzione.Altro che decrescita felice percostruire la civiltà, la civitas, la città.Non si tratta quindi di contenere lerisorse, di risparmiarsi, sarebbecome contenere i talenti, che non siconoscono e possono constatarsifacendo. Ciascuno vince perché nonrisparmia e non si risparmia lungola strategia della parola, e questoproduce un altro valore e un altroprofitto. Auspicare la decrescitasarebbe desiderare un ritorno all’ori-gine, secondo il fantasma materno,dimenticando che già con il testo diLeonardo la natura è artificiale, nonmaterna. Ambire alla decrescitasignifica condannare le generazionifuture all’infelicità, all’assenza diqualità, all’assenza di impresa nellaparità assoluta dinanzi alla morte,negando il fare, che è nell’atto, e lasua proprietà - il tempo, che qualifi-ca - in modo che la misura del valo-re sia data dal fallimento anzichédall’approdo alla cifra. Anche perquesto il brainworker instauradispositivi di parola, dispositiviorganizzativi, finanziari, direttivi, inmodo che le idee operino alla scrit-tura dell’esperienza fino alla felicità,fino all’approdo al valore assoluto.

CATERINA GIANNELLIavvocato, giornalista, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria”

IMPRESA E FELICITÀIMPRESA E FELICITÀ

Gli articoli di Caterina Giannelli e seguenti (fino a pag. 19) sono tratti dai dibattiti dal titolo La scrittura della felicità, intorno ai libri diAnatolij Krym pubblicati da Spirali, che si sono tenuti il 15 novembre 2012 a Bologna e a Modena.

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L’ADEI-WIZO (Associazione Don -ne Ebree Italiane) è un’asso -

ciazione di promozione sociale cheopera da ottantacinque anni nelcampo del volontariato culturale esociale, promuovendo i diritti delledonne e diffondendo i valori educa-tivi e formativi dell’ebraismo. Contaventi sezioni in tutta Italia nelle cittàche sono sede di Comunità ebraiche.Pur essendo fra quelle medio picco-le, la nostra sezione bolognese contacirca quaranta iscritte.

Uno dei punti di forza della nostraassociazione è il premio letterario,istituito nel 2001, che dal 2008 è inti-tolato a Adelina Della Pergola, figu-ra storica dell’ADEI. Una giuriaprettamente femminile, compostada appassionate lettrici, selezionatre finalisti che vengono poi valutatida una giuria popolare che ne decre-ta il vincitore. Nel corso degli annisono state esaminate circa duecento-cinquanta opere di rilievo di autorifamosi di differenti nazionalità, maanche di molti scrittori israeliani,come Amos Oz, Aharon Appelfeld,Abraham Yehoshua, DavidGrossman e altri. È importante ricor-dare che, dal 2004, il premio si rivol-ge anche ai più giovani e coinvolgein particolare gli studenti delle scuo-le medie superiori. I finalisti del2012 sono stati Vladimir Vertlib,Alison Pick e Anatolij Krym, con ilsuo libro Racconti intorno alla felicitàebraica (Spirali). La cerimonia di pre-miazione si è svolta il 12 novembre aVenezia, nella splendida cornice delConservatorio Benedetto Marcello.Colgo l’occasione per annunciareche l’anno prossimo il premio lette-rario ADEI-WIZO molto probabil-mente si terrà a Bologna.

Ma veniamo al libro di AnatolijKrym, che dà l’occasione per questodibattito (La scrittura della felicità,Bologna, 15 novembre 2012): neparlo non tanto come storica quantocome lettrice. Il libro si compone disette racconti, sette storie a se stanti,con finali a sorpresa, scritti con unostile narrativo molto scorrevole, tal-

volta commovente, talaltra ancheironico e divertente, che offrono unospaccato di vita quotidiana degliebrei ucraini nella seconda metà delsecolo scorso, dal periodo sovieticofino all’odierno periodo d’indipen-denza, caratterizzato dalla massicciaemigrazione degli ebrei in terrad’Israele.

In questo libro, Krym dimostra diconoscere bene il mondo del -l’Europa dell’Est, in particolare ilmondo ebraico, per questo riesce adescrivere tanto minuziosamente,anche in modo un po’ caricaturale, ipersonaggi più disparati, differentil’uno dall’altro per classe sociale,convinzioni ideologiche, carattere etenore di vita. Come BorisAbramovic, “una celebrità di porta-ta mondiale”; o il personaggio chemi è risultato più simpatico, lo scrit-tore Josif Pork, che “si vergognavadel suo cognome non propriamenteKosher”, (“idoneo”, se condo la nor-mativa ebraica); o il piccoloLëvuška, intelligente, geniale e

unico nipote di due nonne, unaebrea e l’altra cristiana, che si dàmolto da fare per trarre profitto daentrambe le situazioni familiari; o ilpazzo Lemares, duramente colpitodalla morte dei figli e della mogliedurante la Shoah; o, infine, il miticoGriša, che cerca di nascondere leproprie origini ebraiche per ottenereil tesseramento nel partito e aspira-re, quindi, a un ruolo di rilievo nellafabbrica in cui lavora, per poi scopri-re, a un tratto, che uno dei figli staper emigrare in Israele con lamoglie. Tutti strani personaggi, figu-re bizzarre, che hanno alle spallevicende altrettanto bizzarre e singo-lari modi di vita, ma comunicano allettore quella felicità ebraica chetutti sanno cos’è ma che, in realtà,nessuno sembra conoscere, nemme-no i diretti interessati. Che cos’è,dunque, questa “felicità ebraica”?Ottimismo e speranza di una vitamigliore? O sapere affrontare le cosecon filosofia e un pizzico di umori-smo? O sapere accontentarsi e averela capacità di adattarsi a eventiimprevisti? Sì, può essere. Pro -babilmente la “felicità ebraica” è uninsieme di tutto questo, è innata inciascuno di noi e si esplica in unaquotidianità sempre in bilico trarealtà e situazioni al limite dell’as-surdo.

INES MIRIAM MARACHstudiosa di storia dell’ebraismo, presidente dell’Ass. ADEI-WIZO, sezione di Bologna

IN BILICO TRA REALTÀIN BILICO TRA REALTÀE ASSURDOE ASSURDO

Mary Palchetti, Complesso cromatico con intrusione di chitarra, 2003

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Lo scrittore Anatolij Krym è statoper me una piacevole scoperta.

Leggendolo, ho sentito subito notefamiliari, che mi hanno ricordatoaltri grandi autori nati in terra ucrai-na, come Bulgakov, Gogol’ e Babel. Aneddoti e barzellette sono fra leprincipali forme di comunicazionesociale dei russi, in particolare degliebrei russi. Krym racconta che quan-do era giovane, nel 1972, andò invacanza con la moglie e il suo bam-bino in una cittadina della Crimea,ma non aveva prenotato. Arrivò aun albergo che si chiamava Krym,che vuol dire proprio Crimea, comeil suo cognome, ma gli risposero chenon c’era posto. Lui siarrabbiò ed esclamò:“Io sono Crimea edevo stare nell’alber-go Cri mea, è miodiritto!”. Così gli die-dero la stanza e potéfare le sue vacanze.Questo episodio facapire un po’ chi èquest’uomo, che èarrivato a dire: “Hosempre cercato di rag-giungere il mio scopo,e ritengo che non cisia niente d’impossi-bile per l’uomo”. E ineffetti Anatolij Krym èun uomo che è riusci-to a ottenere moltonella sua vita e che hacambiato anche molti mestieri.Quando era giovane suonava il vio-lino ed era una promessa dellamusica classica. In seguito ha fatto ilservizio militare, cosa che in UnioneSovietica non era uno scherzo. Neglianni novanta si è dedicato anche albusiness, perché la letteratura, inquel periodo, non offriva più risorsesufficienti per il sostentamento dellafamiglia. Così per una decina dianni ha pensato solo a “fare soldi” e,come afferma con orgoglio, la suaazienda ha creato almeno duecentoposti di lavoro pagando tasse per

più di un milione di grivne (la griv-na è la moneta ucraina). AnatolijKrym è molto fiero di avere sempresaputo adattarsi alle circostanze tra-endo il meglio da quello che gliveniva offerto.

Ma da dove proviene quest’uo-mo? Da Vinnica, città dell’Ucrainaoccidentale tristemente nota perdiversi motivi. Nell’epoca zaristaera tra le zone in cui risiedevanoobbligatoriamente gli ebrei che inquel periodo non potevano, se nonin piccole quote, abitare nelle grandicittà. In seguito, durante il periodostalinista, vi furono uccisi con uncolpo alla nuca almeno quindicimila

cittadini ucraini di cui solo in tempirecenti sono state ritrovate le fossecomuni. Quando poi Vinnica fuoccupata dalle truppe naziste, furo-no uccisi circa venticinquemilaebrei, sterminando quasi tutta lapopolazione ebraica. I nonni diKrym morirono in un lager. Anchela madre, da bambina, fu rinchiusain un lager nazista. Quindi le radiciebraiche di questo scrittore sonomolto sofferte e la memoria dellaShoah è anche sua memoria perso-nale.

Anatolij Krym, nato nel 1946

nell’Ucraina occidentale, scrive inrusso, si è formato ed è a lungo vis-suto in Unione Sovietica, quandol’Ucraina era una delle quindicirepubbliche “sorelle” che compone-vano l’URSS. In sé, dunque, questoscrittore unisce radici molto diffe-renti: quella ebraica, quella ucraina equella russa. Sono radici che si sonofortemente intersecate tra loro ed èmolto difficile districarle e stabiliredove finisca l’una e dove incomincil’altra. Con la dissoluzione del -l’URSS, Krym ha dunque vissutouna triplice frattura. Innanzituttoquella con il glorioso passato dellagrande potenza mondiale, un trau-ma condiviso con la maggior partedei cittadini sovietici. Poi, comescrittore di lingua russa in Ucraina,ha vissuto anche il dilemma di esse-re in un paese che, soprattutto negliultimi anni, si è rifugiato in unavisione e in una politica linguisticanazionalistica, che ha portato nel-l’ultimo decennio a un’azione di “re-

ucrainizzazione” intut te le sfere pubbli-che, stabilendo l’ucrai-no come unica linguaufficiale. Il recente ten-tativo di reinserire ilrusso come secondalingua ufficiale nelpaese ha causato con-flitti e disordini inalcune zone della re -pubblica. Krym si èquindi trovato in unacondizione particolar-mente anomala e diffi-cile: è un ebreo cheparla russo e scrive inrusso in una cittadinadell’Ucraina occiden-tale, in una delle zonein cui maggiore è il

senso di ostilità nei confronti dellaRussia e della lingua russa. Infine,Vinnica è anche una delle zone-cro-cevia della storia del l’Europa cen-tro-orientale, in cui coesistono altreculture, come quelle polacca, litua-na, turca, cosacca, tàtara, solo percitarne alcune. Questa situazione dimescolanza, di complessità e di con-traddizione è condivisa da Krymnon soltanto dunque per le sue radi-ci ebraiche, ma anche perché provie-ne proprio da questa specifica zonadell’Europa, crocevia di tanta storiae di tanti conflitti.

GABRIELLA IMPOSTIdocente di Letteratura russa all’Università di Bologna

L’EBRAISMO, LA RUSSIA,L’EBRAISMO, LA RUSSIA,L’UCRAINAL’UCRAINA

Da sin.: I. M. Marach, G. Imposti, C. Giannelli, S. Dalla Val

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Ma adesso veniamo alla produzio-ne letteraria di Krym. Sono stata col-pita, anche per il mio interesse per laletteratura femminile e di genere,dalla lettura della sua pièce teatrale,Nelegalka, ovvero La clandestina. Miha colpito proprio per la descrizionedella donna ucraina che si trova incondizione di clandestinità in Italia,come altre venute per lavorare, mache talvolta finiscono in brutti giri diprostituzione e schiavitù. So prat -tutto l’Ucraina occidentale è statadevastata da questo fenomeno cheha visto le donne più giovani partirein massa, lasciando a casa gli uomi-ni, i vecchi e i bambini spesso soli.

A proposito di bambini rimastisoli, va detto che Anatolij Krym si èmolto impegnato per alleviare que-sta piaga sociale. In Ucraina ci sonooltre duecentomila bambini senzagenitori, senza adulti che si occupi-no di loro, addirittura più di quantinon ce ne fossero subito dopo la finedella seconda guerra mondiale.Anatolij Krym ha perciò deciso didevolvere tutti i fondi che raccogliedalla messa in scena della sua pièceDa dove vengono i bambini per crearestrutture di sostegno all’educazione,oltre che raccogliere libri da distri-buire alle biblioteche scolastiche.

La tragedia dell’Ucraina occiden-tale, che purtroppo va avanti davent’anni, è questo continuo depre-

dare il bene pubblico e abbandonarele persone al loro destino. E, dun-que, soprattutto le donne sono parti-te, spesso rendendosi schiave permantenere le proprie famiglie, maanche quando ritornano, parados-salmente, si ritrovano in patria nellastessa condizione di marginalità e disfruttamento. Dice Nina, la protago-nista della Clandestina: “Io non esi-sto! Sono stata cancellata! Non sononessuno! Sono la folla! Nessunoviene a chiederci come viviamo, citolgono i figli, il lavoro, la casa, siricordano di noi ogni quattro anniper prendersi i nostri voti… Perchésiamo clandestini. Viviamo inun’unica immensa discarica! Nonpossiamo fermarci, non possiamofare a meno del nostro immondezza-io, per noi il fetore ha sostituito l’ariafresca. Che faremo se nel mondoricompariranno la bontà, l’onestà, lacorrettezza? Moriremo! Perché nonsapremo più cosa farcene”.

Di questo senso di dolore profon-do si fa portavoce Nina, che in Italiavediamo contesa tra due amanti epoi, tornata in Ucraina, alla ricercadisperata della figlia che il destino leha strappato. È una donna che lottaper mantenere un briciolo di dignitàma che è, comunque, capace d’ispi-rare e di provare amore, nonostantetutte le privazioni. Penso che Krymin questa pièce dimostri una sensibi-

lità autentica e profonda per la pro-blematica dell’emigrazione femmi-nile e riesca a esprimere con questadolorosa figura di donna il suo mes-saggio di sofferta e amara speranzain un futuro migliore anche per ilsuo paese, che non riesce a usciredalle sabbie mobili in cui si è venutoa trovare dalla fine dell’URSS, fram-mentato com’è, sia linguisticamentesia culturalmente. È significativo aquesto proposito che Anatolij Krymabbia ricevuto uno dei suoi ultimipremi da una giuria tutta femminile,quella dell’Associazione ADEI-WIZO.

Krym tuttavia non è un ingenuoottimista e vive la situazione attualedell’Ucraina con ironia e sarcasmo,come dimostra anche il suo ultimolibro, Tubà, Il tubo. Un oggetto dalduplice significato: da una parte è lasatira spietata di un’élite politicaincompetente e corrotta che portatutto alla distruzione. Dall’altra,come in Gogol’, attraverso il riso e lasatira spietata, nonostante tutto,s’intravvede la luce alla fine deltubo, del tunnel. E quest’ultimo suolibro, significativamente, si è guada-gnato il giudizio molto positivo diViktor Erofeev, un altro scrittorerusso ferocemente critico della suaepoca, di cui Spirali ha pubblicato inItalia il libro Enciclopedia dell’animarussa.

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Efai pressione sull’organo femmi-nile principale”, consiglia don

Giovanni al frate innamorato, peraffrontare il primo incontro conAnna, nella pièce di Anatolij Krym Iltestamento del donnaiolo illibato(Spirali), la cui pubblicazione ci dàoccasione per questo incontro (Lascrittura della felicità, Modena, 15novembre 2012). “Beh, quel loroorgano principale le donne lo tengo-no nascosto sotto gli abiti, e indossa-no una decina di sottane orlate dimerletti”, si schermisce il frate.“Imbecille!”, tuona don Giovanni,“L’organo femminile principale èl’orecchio! Su questo devi fare pres-sione! Il segreto sta nel fatto che ladonna effettivamente protegge leparti più seducenti del propriocorpo, pensando che il pericolo sinasconda proprio lì. Solo le orecchierimangono allo scoperto. E sono lorola porta segreta per entrare nella for-tezza inespugnabile”.

I colpi di scena si susseguono adarte in questa pièce di uno dei piùimportanti scrittori e drammaturghidi lingua russa, che fa del più gran-

de donnaiolo della storia un uomoaddirittura illibato. Ma è soprattuttol’umorismo, che ha le sue radicinella cultura ebraica dell’Autore, afar sì che niente possa essere presorealisticamente. Anche la sessualitàè intellettuale, non è né sostanzialené genitale, non significa il rapportosessuale, l’erotismo o la procreazio-ne: don Giovanni sottolinea la cen-tralità dell’orecchio quasi a indicareche la sessualità è nella parola.Parola originaria, dove non c’è nes-sun rapporto fra gli umani, né diamore né di odio.

Con la fluidità di una lingua sem-plice, Anatolij Krym pone l’accentosulle cose che si dicono e dicendosisi fanno, senza alcun appello allasostanza come ciò che starebbe sottoe darebbe loro significato. Che cos’èl’amore? Chi ama veramente? Haamato le donne con le quali si èintrattenuto don Giovanni, che inpunto di morte confessa di nonavere mai commesso i peccati di cuilo si è accusato per tutta la vita? Echi ama Nina, la badante “speciale”protagonista della Clandestina, la

seconda pièce contenuta nel libro,contesa fra due uomini mentre è inItalia e fra altri due quando torna inUcraina?

Anatolij Krym non ci consegnapersonaggi con le idee chiare edistinte, tutti d’un pezzo, buoni ocattivi. L’equivoco, la menzognastrutturale e il malinteso sono into-glibili nelle conversazioni dei suoipersonaggi. E il bello della narrazio-ne, in queste due pièce, come neiRacconti intorno alla felicità ebraica(contenuti nel precedente libro editoin Italia da Spirali), sta nella costan-te sorpresa che l’Autore regala al let-tore, attraverso l’imprevedibilitàdelle cose che si dicono e si fanno,nell’assenza di stereotipi di qualsia-si tipo, per cui le cose non sono maio bianche o nere e ciascun personag-gio giunge al caso di qualità.Anatolij Krym dà testimonianzadella cifra di ciascuno dei suoi per-sonaggi, che quindi smettono diessere tali, di essere mere rappresen-tazioni.

Così Nina non è una sempliceclandestina con tutte le doti di alco-va che le vengono attribuite, ma unnome, ingovernabile e impadroneg-giabile, nella parola, per esempioper gli uomini che la corteggiano.Ecco come risponde a Mario, che sidichiara innamorato, anche se nonpotrebbe mai lasciare la famiglia in

ANNA SPADAFORApsicanalista, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

NON C’È PIÙ VITTIMANON C’È PIÙ VITTIMA

SPIRALI EDIZIONII l c r i t e r i o d e l l a q u a l i t à

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Italia per seguirla in Ucraina:“Perché ingannarci, Mario? Tu nonsei mio. Pensi che per una donna siaimportante com’è il suo uomo a lettoe quanto guadagna? Ti sbagli, per leiconta molto di più prenderlo sottobraccio e passeggiare lentamentelungo il corso principale della suacittà. Perché il cuore le balzi in pettoe gridi: guardate, lui è mio! Solomio! È questa la vera felicità!”. Leparole di Nina sembrerebbero rie-cheggiare quelle di don Giovanniquando spiega al frate perché ledonne che aveva fatto “volare” cel’avessero tanto con lui: “Sai chi hainventato la tratta degli schiavi? Ledonne. Ogni donna vuole che coluiche le ha insegnato a volare appar-tenga a lei sola. Ma ogni uomo vuoleinsegnare a volare a quante piùdonne possibile”. Eppure, nessunocrede che Nina voglia rendere unuomo schiavo, se per essere felice lebasta che lui passeggi con lei nelcorso principale della città. Le paro-le di Nina sono graffianti non peruna qualche verità che esprimereb-bero, ma per l’immagine che dipin-gono proprio in quel momento,

quando occorre uno sforzo intellet-tuale per rispondere a Mario, senzaaccettare o ribellarsi alle sue accusedi amante geloso, che si è pentito diaverla portata dall’amico che gliaveva chiesto un aiuto per guariredall’impotenza. Non è facile rispon-dere senza dire sì o no: occorre,come fa Nina, non cedere dinanzialla difficoltà della parola e non pre-tendere di dire ciò che si pensa o dipensare ciò che si dice, come racco-mandava Machiavelli. Nessunocapisce se Nina ami Nesmelyj oKostja o nessuno dei due o entram-bi, li esorta a non parlare d’amore e,quando Nesmelyj non vuole accetta-re che lei, dopo avere scelto di vive-re con Kostja, si trasferisca da lui persalvarlo dalla galera, perché “mancal’amore”, “Oh Signore!”, sbotta, “Miavete stufata col vostro amore dastalloni. (Grida) Ti amo, ti amo! Tiamo più della vita! O sei cieco?”. Equando Nesmelyj obietta: “Alloraperché hai deciso di vivere con lui?”,lei conclude caustica: “Una donnanon vive con chi ama, ma con chi lefa pena!”. Impossibile attribuire ilvero o il falso a ciò che dice Nina,

impossibile situarla rispetto all’amo-re o all’odio, che in questa piècerestano intransitivi e originari, senzaalcun omaggio al sentimentalismodelle canzonette.

Come le donne non si ritenevanovittime di don Giovanni, anzi, cia-scuna voleva che egli appartenessesolo a lei, così Nina non assume maiil ruolo di vittima e, nonostante siaalla ricerca disperata della figlia,non indossa mai l’abito della materdolorosa, non accetta la pena, perquesto trova il mito della madrecome mito del tempo che non fini-sce, il tempo come divisione, anzi-ché lamentarsi perché deve divider-si fra gli uomini che si dichiaranoinnamorati di lei.

Senza l’idea di fine del tempo,allora, tanto don Giovanni quantoNina sono emblemi di una felicitàche non ha nulla a che fare conl’edonismo e con l’ideale del benes-sere, lo stato ideale, ma procededalle cose che si fanno e si concludo-no ciascun giorno, senza i rimandi,le remore e le riserve di chi si rap-presenta e rappresenta l’Altro comevittima.

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Sono felice di avere incontrato unoscrittore come Anatolij Krym,

una persona estremamente gradevo-le, di grande spessore e ricchezzainteriori e di straordinaria correttez-za, nonché conversatore amabile espiritoso, capace di argute battutefulminee.

Ha un fisico mingherlino e duebegli occhi celesti, chiari, perspicacie indagatori, se pure molto benevoli,e questa sua benevolenza nei con-fronti dell’uomo e del mondo tra-spare in ogni sua pagina.

Quando abbiamo deciso di tradur-re il libro Racconti intorno alla felicitàebraica (Spirali), Krym mi ha inviatoqualche pagina del primo racconto,Berl, Berta e altri. Mi hanno divertitae intenerita quelle pagine battute amacchina fitte fitte, proprio comefacevano, e tuttora fanno, i russi perrisparmiare carta: 70 righe per pagi-na, con i margini ridottissimi.

È stato amore a prima vista, unvero piacere scoprirlo e leggerlo,apprezzare all’infinito la sua lingua,molto fluida e classica, un russo bel-lissimo, ricco e scevro da ogni speri-mentalismo, superflue espressionigergali o neologismi fuori luogo, peruna lettura straordinariamente pia-cevole.

Ovviamente, per chi deve tradurlonon mancano i problemi, ma sono isoliti problemi: riuscire a rendere igiochi di parole, oppure trovare unequivalente per quello che, purtrop-po, anche in questo caso rimaneintraducibile, come, per esempio, lapronuncia tipica di un ebreo russo,impossibile da rendere in italiano.Ho finito per ricorrere a una formariduttiva e accennare a genericidifetti di pronuncia, dopo aver con-sultato tutti i miei amici ebrei, daMilano alla Sicilia, senza tuttaviatrovare nella nostra lingua un modoper caratterizzare la parlata tipica diun ebreo italiano. Ho anche rilettoPrimo Levi, che ha scritto raccontiesilaranti sulle sue zie, sulla suafamiglia, dove, però, l’uso del dialet-to piemontese rimane incomprensi-bile non dico a un napoletano, ma a

un italiano in generale. In russo,invece, bastano poche parole peridentificare un individuo comeebreo, per la particolare pronunciadelle vocali e sopra tutto per l’im-mancabile erre moscia. In un primotempo ho pensato di usarla anch’io,ma ho desistito, perché in Italia nonè diffusa e se mai caratterizza qual-cuno, si tratta dei radical chic di unavolta o dei parmensi, non certo degliebrei.

Quindi, con mio grande disap-punto, non ho potuto, ahimè, ripro-durre in italiano alcune particolaritàche in russo suonano straordinaria-mente divertenti. A un certo puntomi sono dovuta rassegnare e cederele armi. Al termine di un lavoro fattocon passione, con grande amore,dedizione e impegno, mi è rimastoun pizzico di amaro in bocca e laconsapevolezza che la perfezionenon è di questo mondo.

Tradurre è un lavoro faticoso enon sempre gratificante, richiedemolto amore e molta passione, maanche una profonda conoscenza del-l’atmosfera, della cultura, del terre-no su cui è germogliata la scrittura.

Quando ho iniziato a leggereKrym, sono andata subito a rilegger-mi autori come Shalom Aleichem,gli ebrei americani, fra cui SaulBellow, Philip Roth, a mio avvisograndissimo, e sopra tutto IsaacSinger, che mi ha fatto subito pensa-re a Krym per il tipo di racconto e laprofondità di sentimento. Krym,come Singer, resterà uno scrittoreclassico che non cede al tempo, men-tre Shalom Aleichem può ormaidirsi datato. Singer sarà vivo perl’eternità e mi auguro che succeda lostesso a Krym.

Nella lettera che mi ha pregato dileggervi (si veda articolo del -l’Autore in questo numero) trovia-mo il ricordo personale, il ricordodella sua vita, la ferma aderenza alletradizioni e il destino dell’ebreo, cheè in perenne viaggio, fra diaspora epersecuzioni che lo costringono amuoversi, senza tuttavia togliergli lacertezza che, nonostante tutto,

prima o poi raggiungerà la suameta. In lui c’è sempre un ottimismodi fondo che lo anima.

Le pièce teatrali e i racconti rivela-no sia il sereno ottimismo del -l’Autore, sia l’umorismo benevolorivolto alle debolezze del suo popo-lo. Krym guarda l’umanità con occhicompassionevoli, non giudica, non èun moralista, si limita a descriverel’uomo. Leggiamo pagine splendidededicate al sogno ebraico della TerraPromessa, all’immensa, incredulafelicità di posare il piede su di essa.Noi abbiamo la fortuna di vivere inpatria e anche chi, come me, ha gira-to il mondo tutta la vita, sapeva dipoterci tornare in qualsiasi momen-to desiderasse farlo. Per gli ebreiquesto non è stato possibile per mil-lenni, da cui l’inestinguibile anelitoa Gerusalemme. Settant’anni di regi-me sovietico e di dure repressioninon sono riusciti a strappare né leradici profonde del loro legame conla terra dei padri né l’osservanzadelle tradizioni.

Un altro aspetto che desidero sot-tolineare è la grande pietas umana diKrym, che gli consente di vedere conocchi equanimi il dolore dell’una edell’altra parte: quello dell’ebreo cheassiste allo sterminio della sua fami-glia per mano dei nazisti, ma anchequello dell’altra parte, ovvero delrusso la cui famiglia è stata annien-tata per rappresaglia dai tedeschiche, a causa di un atto di sabotaggioavvenuto nel villaggio, avevanopreso in ostaggio numerosi civili e liavevano fucilati. La descrizione del-l’uno e dell’altro dolore è di un equi-librio straordinario, perché il doloree la sofferenza umana non hannoetichetta, non appartengono a unpopolo solo, non sono esclusive diuna parte o di un’ideologia. Nes -suno può arrogare a sé il vero dolo-re e negarlo a un altro. È molto bellaquesta capacità di riconoscerel’identità della sofferenza da partedi chi ha subito la tragedia dellaShoah, di scorgere il dolore anchenell’occhio altrui, con altrettantapartecipazione umana.

Desidero infine rilevare un ultimoelemento, oltre tutto molto attuale: ilrispetto sia per la propria apparte-nenza religiosa – l’ebraismo – sia perl’ortodossia. Krym ha il dono didimostrarlo con straordinaria graziae levità.

ELENA CORTItraduttrice e studiosa di narrativa russa

LA LA PIETASPIETAS DI KRYMDI KRYM

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La cucina del la fe l ic i tà . . . da Danilo

Di ritorno da Modena, Claire riordina i biglietti da visita di ristoranti elocali che hanno costellato la sua prima settimana con Giulio. Insistono

le immagini più intense, quelle che incorniciano i momenti più importantidel loro incontro, ma anche quelle che hanno contribuito a renderlo memo-rabile. Per esempio, al ristorante da Danilo, dove avevano il loro appunta-mento quotidiano, Giulio le ha raccontato molti particolari della sua storia,complice forse la cucina della tradizione, che sembrava preparata da suanonna, o la serenità che suscitava il sorriso di Danilo e dei suoi collaborato-ri in sala: Brian, Claudio, Giorgia e Paola. È proprio vero che gli italianis’incontrano a tavola, pensava Claire mentre era assorta nel racconto diGiulio: non le era sembrato così loquace la prima volta che si erano incon-trati, a Nizza, durante una vacanza. Per gli italiani la tavola è un palcosceni-co irrinunciabile, dove si esercita il gusto della narrazione. Ma anche il pala-to vuole la sua parte. E Claire deve ammettere che, accanto ai dettagli cheGiulio le regalava, invitandola a entrare nella sua favola, s’insediava unaltro gusto, quello di piatti indimenticabili come i tortelloni di ricotta

all’aceto balsamico, le tagliatelle con i funghi porcini o ilbollito misto con le salse modenesi, frutto di un’artesapiente, che si unisce all’accurata scelta delle materieprime e alla genuinità degli ingredienti fatti in casa. E poi,come dimenticare l’aria di libertà e di gioia che si respirada Danilo: come in una grande piazza, gente da ogni partedel mondo si avvicenda a mezzogiorno e alla sera, a volteaspettando il proprio turno fuori dalla porta per più dimezzora. Così, prima di riporre il bigliettino nel cassettoinsieme agli altri, in alto scrive: “La cucina della felicità”.

Danilo con la guida cinese che lo recensisce

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Cari amici, lo scrittore può esserefelice solo quando sa che da

qualche parte, lontano, in altri paesi,in altre città, ci sarà sempre qualcu-no che in quel preciso momento hascoperto un suo libro. Ma la felicitàpiù grande per lo scrittore è vederegli occhi dei suoi lettori, condurrecon loro dal vivo un dialogo, rispon-dere alle loro infinite domande.Sfortunatamente, oggi non ho lapossibilità di vedere i vostri occhi, diascoltare le vostre domande e diragionare con voi su che cosa mai siala felicità ebraica. Lo scrittore senzail suo lettore è un uomo molto solo,e chi è solo sta male perfino in para-diso.

Ciò nonostante, vi sono sincera-mente grato per esservi riuniti oggiin questa sala. Sono grato a Elenache mi dà la possibilità di chiacchie-rare con voi nella splendida linguaitaliana. Sono grato a tutti voi, per-sone elette, che non hanno ancoraperduto la brutta abitudine di legge-re libri.

Che cosa rende interessante la vitaper uno scrittore? I suoi paradossi.Mi torna in mente la prima di unamia pièce nella città di Černovcy,situata in Bucovina. I miei genitori,poveri, semplici ebrei, in quei giornisembravano gentiluomini di cortedel Re Salomone! La pièce del lorogiovane figlio era stata messa in

scena in un famoso teatro e il suonome faceva bella mostra di sé nellelocandine affisse in ogni angolo. Latradizione vuole che, dopo lo spetta-colo, l’autore organizzi un banchettoper gli attori, e qui i miei genitorisono stati veramente superbi, per-ché più che un banchetto è stata unaspecie di festa nuziale ebraica, conl’immancabile pesce farcito e tutte levarie leccornie che l’accompagnano.Dopo lo spettacolo, quando il ban-chetto era al culmine, mio padre hachiesto timidamente a un letteratopresente: “Allora, che ne dice?”.Costui, pensando che mio padre siriferisse allo spettacolo, ha incomin-ciato a elogiare l’autore e a criticaregli attori, al che mio padre, datogliun’occhiata sbalordita, gli ha detto:“E chi se ne importa dello spettaco-lo, io le ho chiesto se le è piaciuto ilpesce farcito!”.

Ricordando questo episodio dellamia vita, solo adesso ho incomincia-to a capire che l’unica cosa che vera-mente interessa a un uomo è l’ap-prezzamento del suo lavoro. A mepareva che i miei genitori non com-prendessero e non accettassero lamia scelta professionale, secondoloro i libri veri potevano essere scrit-ti solo in cielo e venire trasmessi agliuomini grazie a Mosè. E come si fa aringraziare il cielo per il successoteatrale del proprio figlio? Lo si può

fare anche con il pesce farcito. Ciòche conta è che alla gente piaccianosia il libro sia il pesce farcito.

A noi, purtroppo, manca semprequalcosa: quando siamo bambini, cimanca il tempo per i giochi, quandosiamo giovani, ci mancano i soldiper mantenere la famiglia, poicominciano a mancarci i genitori chese ne sono andati all’altro mondo e,infine, incominci a capire che timanca il tempo per farti perdonare ituoi molti peccati. Tra parentesi, Dioperdona sempre, è questa la sua pro-fessione...

Ho il sospetto che una delledomande che sono state preparateper me in questa sala riguardi il miomodo d’intendere la felicità ebraica.Nell’ultimo racconto del mio libro ione do una definizione, l’eroe infattidice: “La felicità ebraica è quando tuvai, vai e non riesci mai ad arrivare”.Ed ecco che anch’io, a causa di unamalattia, non sono riuscito ad arri-vare qui da voi, ma sono certo chenon mancherà l’occasione e che misarà possibile incontrarvi perché,indipendentemente dal fatto che ilnostro è un continuo andare, e lostiamo facendo ormai da qualchemillennio, fermarci è molto difficile,neppure le malattie ci riescono.

Vi prego di scusarmi per questomio chiamiamolo “incidente” diviaggio, per questa tappa forzata, esiate certi che in questo momento vipenso, v’invio mentalmente auguridi pace e di prosperità e sono certoche avremo ancora modo di incon-trarci in questa vita.

Il vostro Anatolij Krym

ANATOLIJ KRYMscrittore, drammaturgo, segretario dell’Unione degli scrittori dell’Ucraina

IL NOSTRO CONTINUO ANDAREIL NOSTRO CONTINUO ANDARE

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Nel suo libro In direzione dellacifra. La scienza della parola, l’im-

presa, la clinica (Spirali), Sergio DallaVal narra la sua esperienza di trenta-sette anni di ricerca, elaborazioni,battaglie, rischio e riuscita insiemead Armando Verdiglione e altriintellettuali. Leggendo questo libroci rendiamo conto soprattutto delvalore della vita, che nel luogocomune è ridotta a una serie di rap-presentazioni e di giustificazioni,pronte a togliere la difficoltà attra-verso l’assunzione della sostanza ela scelta della via facile, lungoun’economia del fare, ovvero secon-do il principio del risparmio.

Talvolta la vita, l’impresa, i compi-ti ci sembrano impossibili e quando,invece, ci sembrano possibili cifanno sentire vittime. Infatti, creden-do nella possibilità, ci supponiamopadroni delle cose e pensiamo dipotere gestirle, trascurando cheessere padroni delle cose ha un’altrafaccia della medaglia, cioè essereloro servi. La credenza di poterepadroneggiare la vita e i suoi ele-menti, perciò la parola, ci porta allerappresentazioni più comuni e piùassurde, che possono coinvolgereanche la salute. Spesso non conside-riamo che anche il fare apparente-mente più semplice non è cosi facilee diamo per scontato quello che fac-ciamo ciascun giorno, consideran-dolo abitudine, trascurando cheniente è naturale. In ogni atto occor-re investimento intellettuale più cheeconomico. Quando c’illudiamo chela vita abbia un percorso obbligatocon la sua fine naturale, cioè lamorte, il fare viene dato per sconta-to, il rischio negato e la parolarisparmiata. La credenza di esserepadroni della propria vita e quindi,per altro verso, servi della propriavita porta ognuno alla cura di sé edell’Altro, perciò alla cura intesacome lotta contro il tempo, contro lamorte. Ma il fare lungo il risparmiopunta a conservare e a conservarcidalla morte anziché alla battagliaper la riuscita.

C’è poi chi si rappresenta la diffi-coltà, che invece è originaria, è dellaparola, non dando per scontate lecose, ma rappresentando la mancan-za e l’incapacità di svolgere e con-cludere il fare: si tratta ancora di unmodo per gestire il fare e la parola.Enunciati come “non posso”, “nonriesco”, “non sono capace”, “nonso”, “non ho tempo” sottolineano ilsoggetto, sono modi per non occu-parsi di quello che occorre fare, madi preoccuparsi, perdere tempo,ancora scegliendo la via facile.

A pag. 126, nel capitolo L’espe -rienza di cifra, leggiamo: “Talora, irimandi e le riserve nei confronti delprogetto e del programma sononutriti dalla paura che le cose fini-scano. C’è chi non si stacca dal suosintomo? Chi non ha dato l’ultimoesame o la tesi? Chi non ha pagatol’ultima rata? Chi non completa lalettura di un libro? Chi non conclu-de in tempo un articolo o un lavoro?O un contratto? In questi casi èessenziale non cedere all’idea difine, realizzandola: la riuscita nonporta alla fine delle cose, ma allaloro conclusione. Il programma, inparticolare, mira a concludere: nes-suna riuscita senza la conclusione.Concludere esige non la fine, bensìla finanza, che non è quella presente,quella a cui finalizzare il program-ma”.

Il disagio viene rappresentato invari modi, con le malattie o con lapaura, che ci impegnano a occuparcidella nostra salute e a prendersi curadi sé o dell’Altro, a credere nel malee nella pena, cercando di toglierli esostituirli con il bene. Ma quale malee quale pena? Quale riscatto? E senon ci fosse nessuna pena da sconta-re, nessun soggetto alla pena e nes-suna vittima? Occorre uno sforzo indirezione della qualità, lasciandoalle spalle il bene e il male e tutte leloro rappresentazioni e riscatti.Occorrono i dispositivi della cura,intesa non come cura del soggetto,della vittima, non come cura di sé edell’Altro, ma come instaurazione di

dispositivi di ricerca e di battaglia.Nessuna conoscenza: ammettendo

la conoscenza, accettiamo il bene e ilmale, affermiamo il soggetto e la vit-tima, mentre la cura esige l’arte, idispositivi della parola, il progetto eil programma che riguardano cia-scuno, un ambito in cui la psicanali-si e la cifrematica hanno dato ungrande contributo.

Ciascuna volta dinanzi alle diffi-coltà e al disagio, quando ci sentia-mo sconfitti, dobbiamo chiederci seper caso ci troviamo in una situazio-ne che non coincide con la nostraidea di bene, un bene ontologico,un’idea di bene dovuta ai principi ealle regole imposti dalla famiglia odalla società, un’idea generica chetrascura l’individuo. In ciascun attodi parola accade qualcosa di origina-rio. Quante volte ci capita di dire:“Io non volevo dire questo”. Alloraci rendiamo conto che è impossibilecontrollare e gestire la parola, perchéè impossibile controllare l’inconscio.Per lo stesso motivo non potremmomai fissare un’identità che apparten-ga al bene o al male.

Il disagio e l’impossibilità dellecose in cui ci troviamo non sonoaltro che occasioni per mettere inquestione le nostre convinzioni, ilnostro sapere a priori, per poterosare e per rischiare incominciandoun viaggio, lasciando alle spalle idubbi. Se mettiamo dinanzi il dub-bio, l’ossimoro bene male, restiamoparalizzati o ipnotizzati a compatir-ci e a rappresentarci come vittimedel destino, della società, della fami-glia, del lavoro e così via.

Il viaggio non può essere finaliz-zato, perché esiste in ciascun atto diparola. Come instaurare la parolaperché la vita di ciascuno giungaalla qualità, come far sì che ciascunopossa valorizzare il progetto dellasua vita per il quale importa vivere enon morire?

Sergio Dalla Val scrivendo questolibro ha dato un grande contributoalla psicanalisi e alla cifrematica,elaborando i significanti e le que-stioni più importanti della vita cheriguardano ciascuno di noi. Leg -gendo il libro avremo l’occasione diintendere l’importanza di questioniessenziali come l’amore, l’odio, lafamiglia, la comunicazione, l’econo-mia e la finanza.

PANTEHA SHAFIEImedico, cifrematico

QUALE CURAQUALE CURA

Gli articoli di Panteha Shafiei e Marco Pedroni sono tratti dal dibattito La scienza della vita, che si è tenuto a Ferrara il 5 marzo 2013,intorno al libro di Sergio Dalla Val, In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali).

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Ho letto con estremo interesse eallo stesso tempo con difficoltà

il libro di Sergio Dalla Val In direzio-ne della cifra. La scienza della parola,l’impresa, la clinica (Spirali). Ap -parentemente è una difficoltà dicomprensione dei termini, ma inrealtà la lettura di questo testorichiede lo sforzo di uscire daglischemi strutturati a cui siamo abi-tuati, per poter cogliere la sua pro-posta e il suo contenuto innovativo.Aggiungo che si è trattato di diveni-re dispositivo di ricezione, non nelsenso di dover assorbire una rete direlazioni, che è statica, ma di acco-gliere un divenire, un dispositivo dacui è imprescindibile il tempo.

È particolarmente interessante ilcapitolo Machiavelli, questo brainwor-ker, dove emerge una considerazio-ne dell’impresa come viaggio, quin-di come istanza del tempo, che con-trasta con le visioni tradizionali del-l’impresa, come luogo in cui entranomaterie prime ed escono elaborati,ma anche come struttura di tipogerarchico e rete di relazioni cherimane una visione ontologica. Aqueste visioni statiche il libro sosti-tuisce un’idea dinamica dell’impre-sa, intesa come percorso e itinerario.Incredibile la modernità dei brani diMachiavelli citati nel libro, peresempio a proposito del rischiod’impresa: “Sempre quelle impreseche con pericolo si cominciono sifiniscono con premio, e di uno peri-colo mai si uscì sanza pericolo”.Come dire che il concetto stessod’impresa è connaturato al rischio,che deve essere affrontato senzapaura. E quando invece la pauracoglie l’imprenditore – paura dellacrisi, della difficoltà finanziaria odella concorrenza –, tale paura è giàla morte per l’impresa, è una pauradella morte che si frappone alla riu-scita già in partenza.

L’idea dell’impresa come avventu-ra e come viaggio interviene fre-quentemente anche nella letteratura.

Non a caso, in un brano successivodel libro leggiamo una frasedell’Ariosto: “Va il cavallier perquella selva immensa/facendo oruna, e or un’altra via/dove più averstrane avventure pensa”. Questocavaliere va a cercare l’avventuraladdove è più strana, non ha pauradel rischio, non ha paura della con-tingenza negativa, anzi va a cercareil rischio perché è la vita e il signifi-cato stesso dell’impresa: l’impresacome atto dinamico, il cui valorenon sta nei beni immobili e negliinvestimenti iniziali, ma è il valoredell’itinerario e della direzione. Eccoperché il bilancio andrebbe redattorispetto all’avvenire e non al passa-to.

A questo proposito, l’elemento piùimportante è il cervello dell’impre-sa, ovvero il modo di porsi dell’im-prenditore nei confronti delle perso-ne che lavorano e collaborano all’in-terno dell’impresa. Alla figura del-l’imprenditore che ha una responsa-bilità totale e da cui deriva l’input aicollaboratori dell’impresa Dalla Valsostituisce la proposta di un’impre-sa come cervello collettivo, cheinventa l’impresa giorno per giorno:ciascuno partecipa attivamente alviaggio dell’impresa dando unapporto al suo valore aggiunto. Uncervello che lavora in maniera com-posita come dispositivo d’impresaper la valorizzazione del contributodi ciascuno.

A pag. 258, leggiamo una fraseestremamente interessante di Ma -chiavelli, che anticipa questa visio-ne: “La prima coniettura che si fa delcervello di uno signore, è vedere gliuomini che lui ha d’intorno; e quan-do e’ sono sufficienti e fideli, si puòsempre reputarlo savio, perché hasaputo conoscerli sufficienti e man-tenerli fedeli”. È importante capireche qui “fedeli” è attribuito a coloroche sono coinvolti e fanno partedella battaglia costante dell’impresae non possono abbandonarla, dal

momento che ne sono protagonisti.Non sono mercenari prezzolati inattesa di istruzioni, ma componentiessi stessi dell’impresa. E qui è inte-ressante anche il concetto di batta-glia costante, che non si può perde-re, nonostante siamo abituati a pen-sare alle imprese che chiudono, falli-scono o abbandonano il campo. Aquesto proposito Machiavelli ricor-da che i soldati veneziani sonoimbattibili sulle navi, mentre vengo-no sconfitti sulla terraferma: questoperché nella battaglia di terra, anchese sconfitti, ci si salva, mentre se inemici affondano la nave è mortecerta. Scrive: “Le necessitadi posso-no essere molte. Ma quella è piùforte che costringe o vincere o per-dere”. L’impresa come viaggio èanche questo, l’impresa come cer-vello collettivo che non dipendesemplicemente dalla volontà del-l’imprenditore, ma deriva dalla“sufficienza” e dalla “fedeltà” deicollaboratori. Sufficienza che non è,come si legge nel testo, il rasoio diOccam per tagliare i rami secchi,coloro che non sono sufficienti.Sufficienza vuol dire autodetermi-nazione, capacità di fare parte del-l’impresa come cervello, comedispositivo di direzione. Proprioquesto dispositivo diventa la forzache permette di superare qualsiasiostacolo e che consente non tanto disconfiggere l’avversario – non c’è unavversario da sconfiggere –, ma lapaura, la paura della sconfitta.

In definitiva, che cosa emerge daqueste considerazioni? Emergeun’impresa che passa da una visionestatica, ontologica, a una visionedinamica, in cui l’impresa è intesacome viaggio. Se è vero che la fisicaserve soprattutto a fornire metaforeal pensiero, mi sembra d’intravederequi il principio d’indeterminazionedi Heisenberg: quell’elettrone di cui,se ne osserviamo la massa, ne per-diamo completamente l’aspettoondulatorio o viceversa. Credo chesia proprio questo il punto: nelmomento in cui fissiamo l’impresain una struttura ontologica, ne per-diamo il movimento, perdiamo ilsenso del suo itinerario e del suoviaggio e quindi il suo vero valore.Forse è proprio su questo punto chepossiamo riscontrare la chiusura daparte delle imprese di fronte a situa-zioni contingenti negative.

MARCO PEDRONIdocente di Informatica all’Università di Ferrara, imprenditore

IL RISCHIO D’IMPRESAIL RISCHIO D’IMPRESA

DISSIPA LA PAURADISSIPA LA PAURA

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Trent’anni di Hesperia Hospital sonotrent’anni di eccellenza nella ricerca enella cura, soprattutto in cardiologiamedico-chirurgica – ricordiamo cheHesperia Hospital è riconosciuto come“Centro di Cardiochirurgia Nazionale”migliore d’Italia da parte del ministerodella Salute –, ortopedia e urologia. Pernon parlare dei collegamenti e riconosci-menti internazionali: la Duke Uni -versity americana ha inserito Hesperiafra i centri mondiali per la chirurgiadello scompenso “Stich” e il centro èrisultato il secondo al mondo per nume-ro di pazienti trattati e risultati ottenu-ti in questa patologia; da diversi anniHesperia collabora con la Humboldt-Universität di Berlino a un progettosulle valvole cardiache biologiche, conl’obiettivo di ridurre i problemi – didegenerazione o rigetto – derivanti dal-l’utilizzo di tessuti provenienti da altrespecie animali; è sede Europeadell’Arizona Heart Institute &Foundation (Phoenix, Arizona,U.S.A.), con presenze mensili in Italiadel Direttore, Edward Diethrich, escambi costanti di professionisti fra ilvostro e il loro centro. Ma occorrerebbe-ro decine di pagine solo per elencarerisultati, collaborazioni, certificazioni ericonoscimenti basati su primati rag-giunti in tanti anni di attività…

Questi trent’anni non sono stati disuccesso fin dall’inizio. Come perciascuna azienda, c’è stato ilmomento della nascita, quello dellacrescita e ora è arrivato il momentodella maturità. Ma il progetto, chepoi è stato portato avanti, c’era giàquando siamo partiti: creare unastruttura di eccellenza. Per definirecosa s’intendesse per eccellenza, cisiamo ispirati anche ai prodotti piùconosciuti del nostro territorio,esportati in tutto il mondo. Noi nonavevamo nulla da esportare, ma daimportare, per diventare un centrodi richiamo per il settore sanitario alivello nazionale, quando gli italianicercavano le novità in altri paesi. Perquesto abbiamo avviato un’indagine

per capire come le attività di eccel-lenza e di richiamo fossero organiz-zate all’estero, in particolare negliStati Uniti, che sono sempre statitrainanti, e capire le differenze fra ledue realtà. Fin da subito, abbiamodovuto constatare che, mentre negliStati Uniti la sanità era recepitacome servizio, in Italia si parlava, esi continua a parlare, di assistenza(magari prestata dalle opere pie,dall’Opus Dei, dalle suore) comeuna concessione e non un serviziocon il quale si potesse fare business.

Negli Stati Uniti invece, fin dal 1985,l’Hospital Corporation of America,dove mi sono recato personalmente,gestiva ottocentomila posti letto nelmondo ed era quotata in borsa.

All’epoca, quindi, gli italianiandavano all’estero per farsi operareal cuore e noi, portando gli speciali-sti in Italia, abbiamo fatto in modoche questo non avvenisse più.Inoltre, abbiamo verificato che inItalia c’erano specialisti di altissimolivello e li abbiamo messi in condi-zione di lavorare. Ma non si è tratta-to di eventi occasionali e sporadici, èstato un processo di programmazio-

ne, sviluppo e organizzazione delleattività. Sono trent’anni di un viag-gio straordinario, il primo dei qualidedicato a studiare gli obiettivi dellastruttura, a elaborare la filosofia del-l’azienda e a dare l’impostazionedella mission che abbiamo portatoavanti negli anni, e ora possiamoconfermare che il successo c’è stato.

Siamo partiti come Nuova Casa diCura Villa Laura, una struttura aconduzione familiare che poi èdiventata hospital, ha cambiatonome e filosofia ed ha acquisito unapproccio manageriale. I soci concui ho fondato l’ospedale eranopetrolieri, per cui sapevano perfetta-mente che cosa fossero il business, ilbudget, il rendiconto e la qualità.Dal primo studio che abbiamo con-dotto per definire il nostro prodotto,è emersa la sua peculiarità: è un pro-dotto che chi ne ha bisogno non sa diaverne necessità. Chi vuole acqui-

stare un’auto ha già un’idea delcolore, della potenza e degli optio-nal che preferisce, ma chi deve risol-vere un problema di salute non sacosa gli serva e il suo problema deveessere capito da altri. La nostra filo-sofia verso i clienti che si rivolgono anoi per un problema, allora, dovevaessere quella di offrire loro tutto ciòche esisteva nel settore, sia le proce-dure più tradizionali con tecnologieevolute, sia le procedure più innova-tive. Grande importanza è stataattribuita alla formazione culturaledei professionisti, abituati alle vec-chie case di cura, che spesso si limi-

MICHELE MALENAdirettore generale di Hesperia Hospital, Modena

HESPERIA HOSPITAL:HESPERIA HOSPITAL:TRENT’ANNI DI ECCELLENZATRENT’ANNI DI ECCELLENZANELLA RICERCA E NELLA CURANELLA RICERCA E NELLA CURA

Da sin.: il Prof. Michele Malena, il Premio Nobel Rita Levi Montalcini e il Pro-Rettoredell’Università di Modena, durante la consegna del Premio Hesperia d’Oro nel 1994.

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tavano al ruolo di “affittacamere”,poiché offrivano stanze, sala opera-toria e attrezzature, demandando alprofessionista la risoluzione di tutti iproblemi con il paziente. Noi abbia-mo iniziato a offrire servizi nel verosenso della parola. Per esempio, peruna delle professionalità critichecome quella di anestesia e rianima-zione, fin da subito, abbiamo dotatola struttura di collaboratori fissi,anziché avvalerci di specialisti cheintervenivano all’occorrenza per

un’operazione. E questo ha rappre-sentato una grande garanzia nonsolo di continuità, ma anche di qua-lità, perché, come diceva il compian-to socio e amico Beppe Calori, pervincere occorre fare qualità. Per noila qualità si riscontra innanzituttonella completezza dei servizi e neirisultati che riusciamo a offrire conefficacia ed efficienza, confrontan-doci sempre con le migliori espe-rienze a livello internazionale ecoinvolgendo specialisti di altripaesi, attraverso uno scambiocostante.

Non mancano però neppure le colla-borazioni con le università italiane…

Infatti, la struttura ha al suo attivocollaborazioni, convenzioni e par-tnership con enti e istituzioni pub-bliche e private sia per fini formati-vi/educativi che di ricerca tecnico-scientifica, fra cui la convenzionecon Alma Mater Studiorum,Università degli Studi di Bologna,Scuola di Specializzazione di

Cardiochirurgia dell’Università de -gli Studi di Bologna dal 1993; la con-venzione con l’Università degliStudi di Ferrara, Cattedra di Chi -rurgia Vascolare dell’Universitàdegli Studi di Ferrara; la convenzio-ne con l’Università degli Studi diModena e Reggio Emilia, Di -partimento Integrato di Emergenza-Urgenza, Scuola di Specializzazionein Cardiologia, per esigenze didatti-che integrative, per la Scuola direttaai fini speciali per Tecnici di

Fisiopatologia Cardiocircolatoria; laconvenzione con il Dipartimento diScienze Igienistiche Microbiologichee Biostatistiche dell’Università degliStudi di Modena e Reggio-Emilia,avente per oggetto prestazioni diconsulenza in materia di Medicinadello Sport.

Inoltre, stiamo partecipando alProgetto Mattone Outcome BPAC3(metodi di risk-adjustment per lavalutazione degli esisti a breve ter-mine di interventi di by-pass aorto-coronarico (tuttora in corso) che èuna delle quattro sperimentazionidel Progetto del Ministero dellaSalute “Mattoni del SSN-MisuraOutcome”. Non è un caso: nel 2004,infatti, il ministero della Salute –all’epoca guidato da GirolamoSirchia – ha avuto la volontà e ilcoraggio di pubblicare i dati dei cen-tri di cardiochirurgia in Italia e lanostra struttura è risultata fra lemigliori del paese.

Dicevamo che negli Stati Uniti la

sanità è un business, mentre in Italia c’èun pregiudizio, che forse è quello chespesso grava in generale sull’impresa esul profitto?

Se il profitto per la sinistra hege-liana era un furto, oggi per la mag-gior parte delle attività imprendito-riali nessuno più lo contesta, manella sanità può resistere ancora ilpregiudizio che l’impresa privatalucri sui disagi delle persone. Nientedi più lontano dalla realtà: si forni-sce un servizio a tutti gli effetti e, seil servizio viene offerto nelle miglio-ri condizioni e senza sprechi, siottengono risultati eccellenti. Il con-fronto con la sanità pubblica nelnostro paese è improponibile: il rim-borso delle prestazioni per gli ospe-dali privati avviene per tipologia diprestazioni, viene rimborsato il ser-vizio in sé, la prestazione, senzatenere conto degli investimenti,della formazione, della manutenzio-ne e delle tasse, mentre il serviziopubblico per ciascuna di queste vocigode di un finanziamento dedicato,non sono remunerate le prestazionie non c’è alcuna imposizione fiscale.Per di più, a fronte di tale concorren-za sleale, l’ospedale privato non puònemmeno modificare l’offerta comefarebbe un’impresa qualsiasi: per unprodotto alimentare, per esempio, ilcliente può passare da una tipologiaa un’altra, cercare il prezzo piùbasso, mentre nel servizio sanitarioil cliente ha esigenze specifiche einderogabili, se ha un problema alcuore non può essere operato alpiede per mancanza di fondi.

L’itinerario di Hesperia ha dato uncontributo importante anche alla cultu-ra della sanità: oltre che costituirsi comeriferimento per l’alta formazione di spe-cialisti che s’incontrano ciascun mese ea volte ciascuna settimana, per discute-re sui problemi più complessi e sullenuove tecnologie, ha istituito il premioHesperia d’Oro, che è stato l’occasioneper invitare scienziati come Rita LeviMontalcini, Umberto Veronesi, MarioCoppo e altri “medici e ricercatori chehanno svolto la loro attività con umanoimpegno e alta professionalità, mirandoal continuo miglioramento della qualitàdella vita”, ai quali è stato assegnato…

Abbiamo lavorato anche per lacomunicazione, abbiamo ottenuto ilriconoscimento di Harvard per pub-blicare in Italia la loro rivista, la“Harvard Health Letter”, inserendo

Da sin.: il Gen. B. Chiesa, il Prof. Edward Dietrich, il Prof. Michele Malena e il Prof. UmbertoVeronesi, durante la consegna del Premio Hesperia d’Oro nel 1997.

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anche nostri articoli che ormai nondobbiamo neppure inviare perrichiedere l’autorizzazione, comeavveniva all’inizio, tale è la stimanei confronti della nostra competen-za.

La comunicazione nell’impresa edell’impresa, che è anche culturad’impresa, c’è sempre stata. All’ini -zio dell’attività tracciavo diagrammia mano su una lavagna luminosa,per introdurre il flow chart e l’orga-nigramma funzionale. Nel 2012 hocalcolato che i cinquantamila contat-ti di Hesperia sono stati mediamen-te di 47 secondi: 47 secondi in cui siè cercato di trasmettere l’eccellenzadella struttura e in cui l’interlocuto-re si è fatto un’immagine diHesperia. Se chi risponde al pubbli-co è informato dell’attività nella suaglobalità e partecipa alla vita del-l’impresa, riesce a dare un contribu-to di immagine molto maggiore. Hosempre pensato che non si possadirigere stando seduti in una stanza,occorre visitare i vari reparti dell’im-presa, parlando con le persone.Anche in un meeting lo scambio diinformazioni più importante avvie-ne forse nei momenti conviviali, acena, quando ci si siede vicini e sidiscutono le questioni con ciascuno,anziché davanti a un pubblico allar-gato. È importante poi che la comu-nicazione sia anche formativa, nonsolo informativa, soprattutto quan-do si parla con i collaboratori.

In questo approccio alla comunicazio-ne, quanto conta la sua formazione?

Il risultato di ciascuno di noi èdato dall’insieme di tanti fattori. Èuna fortuna essere simultaneamenteottimi tecnici e ottimi comunicatori.La mia tesi di laurea era sulla scien-za della comunicazione e sui teore-mi di Shannon.

Oggi la comunicazione è trasferitaanche ai modelli matematici deineuroni e degli embrioni. Ho conse-guito la maturità al liceo classico SanNilo di Rossano, la laurea in fisica,con indirizzo applicativo a orienta-mento nucleare e cibernetico, al -l’Uni versità di Napoli, dove ho fre-quentato la scuola di perfeziona-mento in biocibernetica; subito dopola laurea ho conseguito l’abilitazioneall’insegnamento di Fisica ed elet-trotecnica nelle scuole superiori; poiho ricevuto un incarico universitariodi tecnico laureato presso l’Uni -

Esemplare della scultura (argento 925 e pietre dure, posta su base in radica di Amboina, conlogo Hesperia in oro 18 Kt) simbolo del Premio Hesperia d'Oro. L'opera, eseguita dall'orafoscultore Silvano Bulgari, mediante la tecnica della cera persa, è stata realizzata in esclusivaper il Gruppo Hesperia, quale riconoscimento a medici e ricercatori che hanno svolto la loroattività con umano impegno e alta professionalità, mirando al continuo miglioramento dellaqualità della vita. L'unione fra l'arte medica e la cultura scientifica è rappresentata, nella libe-ra interpretazione dell'Artista, da una tavola anatomica di Leonardo da Vinci e da un siste-ma di coordinate aventi per assi le due realtà culturali, la cui bisettrice genera la ricostruzio-ne tridimensionale della catena del DNA.

Da sin.: il Prof. Mario Coppo e il Prof. Michele Malena, durante la cerimonia di consegna delprimo Premio Hesperia d’Oro nel 1991.

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versità di Perugia, facoltà diMedicina e chirurgia, dove sonodiventato ordinario di Fisica.

Prima di costituire l’Hesperia Hospi -tal, che oggi fa parte del GruppoGarofalo, lei ha ricoperto diversi incari-

chi come presidente di varie società, apartire dal 1969. Come mai ha scelto disvolgere la sua attività nel settore dellamedicina?

La mia storia nella medicina inco-mincia proprio quando, come pro-fessore di Fisica, tenevo le mie lezio-ni a studenti delle Facoltà di Me -dicina e di Scienze dell’Uni ver sità diPerugia. Dal 1973, ho lavorato afianco dei medici, essendo fra iprimi, se non il primo, in Italia a uti-lizzare il sistema computerizzatoper il quale ho elaborato il modellomatematico per la dosimetria nellaradioterapia. Quella esperienza mi èservita a conoscere l’organizzazionesanitaria e a pensare un modelloorganizzativo che si è rivelato moltovalido quando ho costituitoHesperia.

Percorrendo i titoli dei suoi lavoriscientifici e pubblicazioni, comunque,s’intuisce che l’interesse per la medicinaè anche anteriore: Modello matemati-co dell’embrione (Perugia, 1970),Report sull’automazione sanitaria(Perugia, 1973), Modello matematicoe programma in Fortran IV per ladosimetria nei piani di trattamentoin radioterapia interstiziale ed endo-cavitale (Perugia, 1973)…

Ancora prima, nel 1969, ero presi-dente del CdA dell’I.DI.M. (IstitutoDiagnostico Meridionale), ma, dopoaver inventato il modello matemati-co per il dosaggio della radioterapia,avevo chiesto all’Università diacquistare un computer. Poichél’Università aveva demandato l’im-pegno all’ospedale, che a sua voltanon era riuscito a comprare unamacchina, nel 1978 fondai ilC.E.S.CO.T. (Centro ElettronicoServizi e Concessione Terminali) peroffrire i servizi di cui c’era bisogno.

Il suo patrimonio intellettuale è statomesso al servizio dell’impresa, interve-nendo dove occorreva apportare unmiglioramento…

È importante fare scommettendoin ciò che si fa, con passione, ma nonbisogna mai improvvisarsi. Nellecose nuove c’è il rischio d’improvvi-sarsi, invece occorre approfondireper formare le basi su cui lavorare:la ricerca e l’impresa non possonomai prescindere l’una dall’altra.

Questo è l’emblema del secondo rina-scimento. Come nelle botteghe il mae-stro faceva ricerca e produceva, cosìoccorre che lavori oggi l’imprenditore.

Da sin.: Ethel Kennedy, ospite di Hesperia Hospital, Adolfo Vannucci, socio fondatore diHesperia Hospital, Cristina Calori, all’Accademia Militare di Modena nel 1992.

Facciata dell’ingresso principale di Hesperia Hospital, Modena.

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Rimettere in moto l’economia, farripartire il paese: sullo sfondo

della crisi si profila la metafora dellamacchina. Metafora interessante, sesi chiariscono, però, alcuni aspettiessenziali, se l’idea non è quella,come sembra, di un funzionamentoinceppato o addirittura a rischio diblocco, da cui prendono forma scena-ri di catastrofe e di rovina. Non cisono ammortizzatori, sociali e non,idonei a parare il colpo di una similevisione; e chi, attraverso i media, silimita a buttare legna sul fuoco, ali-mentando il terrore e il panico, com-pie un’operazione inintellettuale.

Macchina indica funzionamento,lavoro, capacità. La definizione cor-rente ne fa un “complesso di più ele-menti costituenti un tutto unicosapientemente organizzato e regola-to”, dove “complesso” scivola facil-mente nell’impropria equivalenzacon “sistema”, quel “tutto unico” lecui singole parti tendono al medesi-mo fine (alla stregua dell’organismonel celebre apologo di MenenioAgrippa).

Si tratterebbe, quindi, di un fun-zionamento finalizzato alla salva-guardia dell’insieme.

Definire la crisi in atto come crisidi sistema è un abbaglio che meritaattenzione. Nel corso degli ultimianni, la crisi avrebbe travolto, avario titolo, il sistema finanziario, ilsistema bancario e il sistema immo-biliare, poi il sistema economico e,lust but not least, il sistema della poli-tica. Sono semplicemente saltate leregole, come si dice fin dall’iniziodella crisi, o a mostrare la corda èproprio il concetto di sistema?

Per definizione il sistema è uninsieme chiuso e autoreferenziale,con propri codici e canoni. Questocomporta che qualsiasi settore diattività si conformi in questo modopratica la tutela per sé e la prudenzacontro l’Altro, anziché come virtùdell’Altro.

A supportare l’autoreferenzialitàinterviene poi il garantismo con cui

l’antica idea di corporazione si tra-muta in quella odierna di casta(come dire: di bene in meglio!).

Il risultato è la deresponsabilizza-zione, la risposta negata o assurda(in particolare, da parte di istituzio-ni o banche). È assurdo, ad esempio,che, a fronte della richiesta di credi-to, la risposta sia “come stai?” piut-tosto che “da dove vieni e dovevai?”: la prima impone la visione delpregresso e dello statu quo, quindi,la visione del problema con la messain conto del pericolo di morte; laseconda instaura l’interlocuzioneriguardo al progetto e al programmain atto, quindi, l’interlocuzionecome dispositivo di forza, di rigore,di provocazione, di capacità e dicomunicazione in direzione dellariuscita pragmatica.

Non è questione di fine intellettua-lismo o di sofismi linguistici, è que-stione di vita. Differentemente, imigliori o i peggiori pregiudizihanno presa e peso, lasciando dietrodi sé suicidi, fallimenti, terrore epanico.

Nel sistema come insieme chiuso eautoreferenziale non c’è ascolto: pre-vale la visione del problema e non laconsiderazione del programma inatto. A frenare, a deresponsabilizza-re non è il presunto degrado o corru-zione della macchina, per rimanerenella metafora, ma è il realismo delvisionario, che, troppo intento atutelare il proprio orto, non ode néascolta, quindi, non capisce néintende nulla. Nell’autorefe ren -zialità il dialogo mostra la sua fun-zionalità al monologo.

Se, secondo il suo etimo, la crisi ègiudizio, giudizio del tempo il cuiintervento non lascia nulla uguale aprima, allora, la crisi indica che nonc’è bisogno di nuovi sistemi, bensìdi un altro funzionamento o, piùsemplicemente, del funzionamentoesente dall’idea di sistema: questa èl’istanza originaria inscritta nel ter-mine “macchina”, il cui etimo inclu-de significanti essenziali come

“forza”, “sforzo”, “crescita” e“aumento”.

La macchina esige la forza assolu-ta e costante, quella che Freud chia-ma pulsione, non il suo rapportocon l’opposto, la debolezza, quindi,non la sua duplicazione in pressionee depressione, o in oppressione ecompressione, come sta avvenendonel sud dell’Europa.

Ancora, la macchina indica il lavo-ro da cui procede la crescita assolu-ta, senza alternativa nella decrescita.Quello che viene indicato comedecrescita è il segnale dell’esigenzad’invenzione e d’innovazione: ap -punto, un altro funzionamento,un’altra operatività, un altro mododi procedere in direzione della riu-scita.

La stasi non appartiene alla mac-china. Senza riferimento al sistema,la macchina indica il funzionamentoche sfocia nell’invenzione. Con ilconcetto di sistema ciascuna cosa èlocalizzata, fissata e finalizzata allaconferma e alla salvaguardia dell’in-sieme, perdendo lungo la via il glo-bale dell’esperienza. Questo è sem-mai il macchinismo, nemico acerri-mo dell’invenzione, di cui la buro-crazia offre un esempio insuperabi-le.

Globale non è sinonimo di totalità.Certamente, c’è connessione tra set-tori e tra aree del pianeta, ma non sitratta d’interdipendenza da ricon-durre all’unità, magari azzerando ilvecchio sistema per il nuovo.

Pensare di ripartire da zero equi-vale a cancellare la memoria e ainseguire una rinascita del tuttoideale, nel suo inevitabile delinearsientro i confini dell’immaginabile. Lacrisi esige lucidità, non visioni dipalingenesi.

La metafora della macchina rilevacome l’invenzione non spazza via lamemoria ma ne esalta la cultura;mantiene la tradizione, non il tradi-zionalismo. La metafora della tecni-ca rileva la variazione rispetto allatradizione. La struttura delle cosecomporta sia la macchina sia la tec-nica in queste accezioni.

Conta, allora, chiarire che la crisi èuna proprietà del tempo, non com-porta il tempo del punto zero o delpunto morto da cui ripartire, ma iltempo della trasformazione che s’in-staura in virtù della struttura dellecose nel loro rivolgersi alla qualità.

ORNELLA CUCUMAZZIpsicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione culturale “La dissidenza della parola”

LA MACCHINA E LA CRISILA MACCHINA E LA CRISI

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L’acciaio italiano è tra i migliorid’Europa (come si può leggere nelle sueinterviste pubblicate sui numeri prece-denti del giornale e sul sito www.lacitta-online.com), ma attualmente il nostropaese non sembra valorizzare il settoresiderurgico. In che termini oggi si puòsviluppare una cultura dell’acciaio?

Innanzitutto evitando la chiusuradelle industrie che ancora produco-no acciaio, che significherebbe per-dere la storia e la cultura di unpaese, e migliorando gli impiantiesistenti per ridurre l’inquinamentoe l’impatto ambientale. Il paese deveinnovarsi senza dimenticare chel’acciaio ha contribuito alla sua cre-scita, facendolo diventare la settimapotenza economica delmondo. È uno sviluppo cultu-rale che non può essererimandato, soprattutto sepensiamo che l’Italia ha l’80per cento dei beni culturalidel mondo, che possono esse-re consegnati alle generazionifuture restaurati e ristrutturatianche con l’utilizzo dell’accia-io. Anche le scuole e le caseche non sono a norma o che laqualità della vita esige piùefficienti devono essere ris -trut turate. Ma occorre usa regli strumenti e le tecnologie anostra disposizione, anzichécombatterle inneggiando alritorno alla terra, in modo cheognuno possa produrre auto-nomamente i beni primari. Se nonc’è un reddito dal sistema paese sucui lo stato può contare e poi da ridi-stribuire, non c’è futuro. Occorreprodurre nell’ambito di un sistemasociale, di un sistema paese. I talentiche ciascuno ha non può tenerli persé, ma occorre che li metta a disposi-zione della società. L’economia del“piccolo è bello” non funziona,potrà forse funzionare nel dilettanti-smo, ma non regge certo le sorti diun paese.

La politica del singolo che pensa alproprio orticello non funziona,anche perché non contribuisce al

mantenimento del sistema sanitario,scolastico e delle infrastrutture,come invece chiede un paese moder-no. Chi fa la scelta di ritirarsi inmezzo alla natura perché può conta-re su un reddito fisso o una piccolapensione pensa solo a sé e al propriobenessere e, magari dopo avere abi-tato per sessantacinque anni nel cen-tro di Milano, godendo dei beneficiche la società ha offerto, evita di con-frontasi con figli e nipoti in modoche anche loro abbiamo un futuro.

Un paese non può prosperare sesconfessa la propria storia. Se leimprese chiudono, finisce anche lapossibilità di ottenere miglioramenticulturali e sociali. Chi viene dal-

l’estero a fare shopping delle nostreaziende non ha alcun interesse aproporre un diverso stato di vitasociale, che ciascun paese deve inve-ce guadagnarsi.

La logica del mors tua vita meaporta a una nuova forma di guerramondiale. Una guerra economicache si combatte nella credenza che,se chiude una fabbrica, il concorren-te ci guadagna. Questa guerra inco-mincia già quando, per esempio, siemanano leggi secondo cui è piùconveniente non produrre, confron-tando costi e benefici. Non è così chesi favorisce la produzione. Questa

politica è stata praticata molto spes-so nel settore dell’agricoltura, conincentivi di ogni genere da partedell’UE, perché c’è una forte conflit-tualità fra stati e imprese dellacomunità.

Anche la classe imprenditoriale hale sue responsabilità, quando hascelto di fare affari con chi contavapoliticamente. Mi riferisco ad alcuneindustrie italiane e multinazionaliche investono in Italia con la stessavelocità con cui lasciano il paese eche hanno pensato al loro interessepersonale e non a quello della socie-tà, trasferendosi altrove appenahanno trovato occasioni migliori.

Questo è un paese che non haancora capito quali sono le sue risor-se. L’aeronautica, per esempio, è unsettore che avrebbe potuto sostituir-ne altri che non tenevano più, ma siè lasciato tutto all’iniziativa privatasenza una direzione globale. Mancala strategia per il rinascimento diquesto paese, che non si fa in pochi

mesi ma richiede un lungoprocesso culturale, economicoe politico. Quando vienepenalizzato un IstitutoTecnico Industriale comeAldini Valeriani – la scuolabolognese che oggi vienericordata come emblema dieccellenza nella formazionetecnica e imprenditoriale delnostro territorio – creandonuove attività culturali fine ase stesse, che non fanno svi-luppo per il paese, è un indiceche qualcosa non funziona. Inostri giovani sono bravi, mali abbiamo resi disabili insenso culturale, in un paeseche disdegnano, perché nondà loro lavoro e speranza.

Oggi, non ci sono le condizioni percostituire un altro Aldini, nato nellacultura degli anni settanta, in cuic’era l’industria, la voglia di metter-si in gioco, per cui chi aveva un’ideaaveva anche l’entusiasmo di farladivenire operativa. È stata stroncatapersino l’ambizione di avere unacasa di proprietà, con tasse semprepiù esose, e così è avvenuto per leiniziative imprenditoriali. As -sistiamo invece all’apertura di deci-ne di piccole attività, preferibilmen-te stagionali, che sono fine a se stes-se. È un’attività, ad esempio, vende-re film o cover del cellulare. Queste

BRUNO CONTIpresidente di Sefa Holding Group S.p.A., Bologna

L’INDUSTRIA È LA BASEL’INDUSTRIA È LA BASEDELLA CIVILTÀDELLA CIVILTÀ

Bruno Conti

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attività rendono al paese? C’è poi lamoda delle pizzerie, delle gelaterie edei kebab. Con queste attività, se vabene, vive la famiglia che ci lavora,ma difficilmente potranno contri-buire allo sviluppo delle infrastrut-ture del paese. Occorre la cultura,l’arte del fare e del costruire.Basterebbe salvare quello che inostri padri ci hanno trasmesso conle industrie nate negli anni settanta.Però, occorre anche fare in modo chei giovani capiscano le ricchezze cheabbiamo ereditato. Se continuiamo aripetere che l’industria inquina ed èstressante, non c’è futuro né per noiné per loro. Il rapporto cultura eindustria è la base dello sviluppo diuna civiltà, non solo di un paese, maaddirittura di un’intera civiltà.

Anche per questo avete allo studio unprogetto per lo sviluppo dell’acciaio inItalia?

È un progetto di rete d’impresavolto alla valorizzazione delle risor-se imprenditoriali che ancora opera-no nel nostro territorio, le impresepiccole e medie del settore meccani-co, che riconoscono nella materiaprima il loro bene principale. Noisiamo un paese trasformatore equindi è essenziale dotarci dellamateria prima. Questo progettonasce per avviare un dispositivo disviluppo del settore manifatturierodella meccanica nel territorio e peroffrire un punto di riferimento a chivuole trovare in tempi brevi quelloche il mercato chiede, dall’acciaioall’alluminio, all’ottone, ai tubi, ecosì via.

Quando nel 2000 costituimmo laTIG-Titanium International GroupSrl, nella nostra ricca e opulentaEmilia c’erano cinque o sei clientiche adoperavano regolarmente tita-nio. Oggi, abbiamo quasi duecentoclienti solo in Emilia Romagna, per-ché trovano la materia prima in loco,a km 0, e comprano subito quelloche serve loro. L’esperienza dell’uo-mo matura quando vive a contattocon la materia prima, che stimola ainventare nuove lavorazioni e aessere modellata secondo nuove esi-genze. Si avvia così un processo diformazione e d’invenzione di stru-menti che costituisce un incentivo amigliorarsi sempre più. È comelavorare in una grande bottega arti-gianale, in cui si fa innovazione. È lamanualità artigianale della tradizio-

ne manifatturiera che ha fatto la sto-ria dell’Italia.

Chi dovrebbe intervenire per favorirequesta cultura?

Soprattutto le imprese. Nel nostrocaso specifico, per esempio, abbia-mo interesse a far vivere questo set-tore perché non muoia la cultura delmanifatturiero e dell’acciaio in parti-colare. Capita spesso che incontrimiei ex venditori che ancora opera-no nel settore. Questo dimostra chel’impresa crea una cultura che pro-segue anche oltre i suoi confini. Èimportante che le imprese capiscanoche occorre fare questa alleanza,nella prospettiva di una sana e com-petitiva concorrenza che favorisca laproduzione di beni e servizi di qua-lità. Occorre che gli imprenditorisiano più aperti alla collaborazione enon guardino solo al proprio torna-conto. Se non si è disposti a scambia-re con gli altri i propri talenti e leacquisizioni della propria ricerca,non c’è futuro.

Il compito di uno stato è quello dipromuovere questo spirito, anzichéfarlo morire. Se accetta che siaannientata la capacità di fare, di cre-scere e di migliorarsi, se continua atassare questa sana ambizione, con-segna il paese alla miseria. È unostato ideologico, che non è maientrato in una fabbrica e che perprimo non rispetta i patti con i citta-dini, quando lascia che ci sianoimprenditori che stanno costruendoda sé il capannone, senza gli aiutipromessi in seguito al terremotooppure non si attiene ai suoi doveririspetto ai contratti stipulati indiversi settori del paese, come sani-

tà e infrastrutture. È uno stato chepoi arriva anche a schernire l’im-prenditore che lavora in Italia,facendo confronti con quelli cinesi oinglesi, che sono ampiamente soste-nuti e incentivati dai rispettivigoverni. L’imprenditore italianodimostra quanto ha da insegnare,investendo e inventando in condi-zioni sfavorevoli. Non dobbiamoimparare niente da nessuno e moltiimprenditori italiani hanno datoprova più volte che mettendosi ingioco, lavorando nelle condizionipeggiori, riuscivano a produrre qua-lità ed eccellenza. Però devono avereun incentivo per continuare a fare, oalmeno devono sapere che il lorostato non li osteggia.

L’ideologia blocca le aziende,impedisce persino l’uso materialedelle proprie capacità lavorative,vessandole pesantemente su quelloche producono. Nel frattempo,subiamo il ricattato delle multina-zionali, perché sono fonti di movi-mentazione e liquidità. Serve la cul-tura del lavoro e della produzione,dove il lavoro è l’espressione dellacapacità del singolo di mettersi ingioco, come accadeva negli anni set-tanta. Sembrava più facile allora, maoggi possiamo fare altre cose, peresempio nei settori delle energie, deibeni culturali, della medicina, dellaricerca e delle infrastrutture. Oc -corre favorire il mantenimento e lacrescita dei talenti che abbiamo nelterritorio e che sono l’eredità cultu-rale che ci hanno lasciato i nostripadri, lavorando sodo per la propriafamiglia, per la propria città e per ilproprio paese.

Interno di un capannone della Sefa Acciai Srl

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In quasi un secolo di storia, la cavaA.G.E.S ha contribuito allo sviluppodella città e della provincia di Bolognacon la produzione di sabbie, ghiaie ecostruzioni stradali e oggi, con A.G.E.S.S.p.a., è fra le maggiori imprese dellaprovincia di Bologna nella fornitura dicalcestruzzi preconfezionati, conglome-rati bituminosi e costruzioni stradalicon particolare attenzione alle esigenzedelle amministrazioni e degli enti pub-blici locali. Com’è incominciato il vostroviaggio?

L’attività ebbe inizio a Castenaso,fin dagli anni della prima guerramondiale, quando alcuni barocciaisi recavano al vicino fiume Idice pertrarre dal greto ghiaia e sabbia, chetrasportavano poi con il baroccio neicantieri edili di Bologna e provincia.Nel 1931, quest’attività confluì nellaneocostituita società A.G.E.S., Ano -nima Ghiaia e Strade, dove, con laguida di un imprenditore capace elungimirante come Giuseppe Vac -chi, raggiunse un rapido e intensosviluppo. Dopo la seconda guerramondiale, periodo in cui cessò l’atti-vità a causa del bombardamentodegli impianti e della sede, la socie-tà riprese la produzione di sabbie eghiaie, occorrenti in grandi quantitàper le esigenze di ricostruzione postbellica. Nel 1955, in seguito allanecessità di costruzioni stradalirichieste dal tumultuoso sviluppodella motorizzazione, si costituì laA.G.E.S. Strade S.p.a., specializzatain costruzioni e manutenzioni stra-dali con utilizzo, in particolare, deimateriali inerti prodotti dalla cava.Al fine di utilizzare ulteriormente la

materia prima prodotta dallaA.G.E.S, ovvero ghiaia e sabbia, sidecise di costituire una nuova socie-tà per la produzione di calcestruzzipreconfezionati. Era il 1972 quandonasceva la Livabeton S.p.a., che oggiha impianti di lavorazione aCastenaso, a Marzabotto, a Gra -naglione e a Calderara di Reno, conpartecipazioni in altre aziende dicalcestruzzo del ferrarese. Quando,alla fine degli anni duemila, la fami-glia Vacchi decise di cedere la socie-tà, assieme alla società Cave NordS.r.l. ho rilevato tutte le attività dellalavorazione della ghiaia, delle stra-de e del calcestruzzo, facendo tesorodell’esperienza maturata, anche per-ché, quando sono entrato nellaA.G.E.S, nel 1951, avevo soltantodiciassette anni.

Nel breve corso di studi che hoseguito, è stato fondamentale l’inse-gnamento di un bravissimo profes-sore di computisteria, che racco-mandava agli studenti di non cerca-re il cosiddetto posto sicuro perché èessenziale mettersi in gioco nellavita, accettare le sfide e anche irischi.

Conclusi gli studi, nonostanteavessi ricevuto l’offerta del solitoparente che poteva raccomandarmiin banca e con l’assoluta incoscienzatipica dell’adolescenza – conside-rando anche le esigenze economicheche la famiglia aveva in quegli anni–, dissi che non avrei accettato. Oggidirigo l’azienda con l’apporto pre-zioso dei miei figli: Davide è consi-gliere delegato delle attività, Andreasegue gli aspetti commerciali e

Giovanni cura gli aspetti legali.Molto importanti sono state le siner-gie con il socio Cave Nord chegarantisce l’approvvigionamento dimateriali sabbio-ghiaiosi e allo stes-so tempo rappresenta un rilevanteconsumatore dei prodotti e serviziforniti dalla Società.

Attualmente, la nostra è una delleaziende private del settore con ilmaggior numero dei dipendentidella provincia di Bologna. A.G.E.S.S.p.a. ha garantito continuità dilavoro sin dai primissimi anni tren-ta, contribuendo al benessere di que-sto territorio e trasmettendo a piùgenerazioni l’esperienza acquisitanegli anni, che altrimenti sarebbeandata perduta. Nella nostra epoca,il mestiere del muratore non è moltoapprezzato perché è ritenuto umi-liante e faticoso, anche se è retribui-to probabilmente meglio di altreattività. A me piace ricordare la frasedi un anziano ingegnere di cui homolta stima: “Il muratore è l’ultimoartigiano, l’ultimo artista”. Eglinotava: “Quando un muratorecostruisce un muro o un manufattoedile, qualunque esso sia, realizzaun pezzo unico. Ciascuna operacostruita a regola d’arte è firmata.Anche i muratori, da veri artisti,dovrebbero firmare i loro lavori”.

Quali sono i problemi che sta affron-tando il vostro settore?

Nell’ambito della crisi generale dicui soffre la nazione, il settore edile èquello più penalizzato. Buona partedella nostra attività riguarda costru-zioni e manutenzioni stradali perenti pubblici. Purtroppo, le pubbli-che amministrazioni non pagano idebiti. Oggi, si corre il rischio di fal-lire per crediti, non per debiti.Contrariamente a quello che si èsempre pensato, cioè che lavorandoper il pubblico ci fosse la garanzia diincassi, oggi non è più vero. I prov-vedimenti presi per svincolare i cre-

CARLO BARBIERIpresidente di A.G.E.S. S.p.a., Castenaso, Bologna

IL CEMENTO PER LA VITAIL CEMENTO PER LA VITA

Un’immagine dei primi anni del novecento della Cava A.G.E.S. di Castenaso, Bologna

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diti sono inefficaci, sono ulterioripastoie burocratiche che impongonospese che nessuno rimborserà mai eche non liquidano i crediti in tempiutili. C’è perfino una resistenzasorda da parte dell’ente pubblicodebitore a rilasciare le certificazioni,in quanto prescrivono l’indicazionedi date precise entro cui dovrà paga-re.

Ma anche lavorando con le impre-se private le cose non cambiano, operché direttamente o indirettamen-te hanno a che fare con il pubblicooppure perché sono in crisi di liqui-dità, avendo costruito appartamentiche oggi non vendono. Anche legrandi strutture cooperative benstrutturate soffrono di questa situa-zione, come spesso si apprende daimedia. Sempre più di frequente rice-viamo l’avviso di qualche aziendaedile che fallisce.

Perché ancora oggi occorre scommet-tere nell’attività edile?

L’Italia è una nazione dove oltrel’80 per cento degli abitanti godedella proprietà dell’abitazione, casoabbastanza anomalo nel mondo.Pertanto, diventa difficile in termininumerici ipotizzare un ulteriore svi-luppo della proprietà edilizia, salval’esigenza di miglioramento di quel-lo che è stato costruito. L’altro setto-re dell’attività è quello della costru-zione degli edifici industriali.Quando però l’economia non fun-ziona, quando le fabbriche chiudo-no, non c’è bisogno di costruirenuovi capannoni o di ristrutturare ivecchi.

In passato, inoltre, sono stati fattianche interventi sbagliati, come leleggi Tremonti, che hanno indottotante aziende a costruire capannoniindustriali, anche oltre le effettivenecessità, con la lusinga dei beneficifiscali: quando interviene la manopubblica per incentivare i consumi,si droga il mercato e i risultati nonpossono che essere dannosi.

Perché è ancora importante investirenell’impresa?

Io ho lavorato solo in ambito edile,quindi non posso fare paragoni conaltre attività. Sono innamorato delmestiere che faccio e la soddisfazio-ne è grande quando si concludeun’opera ben fatta, come può essereun bel giardino o una lottizzazionecostruita con tutti i criteri della qua-lità.

L’istinto di costruire, l’istinto difare è nato con l’uomo, altrimentisaremmo ancora nelle caverne. Noidobbiamo andare avanti, nonostan-te le difficoltà. Nella mia lunga atti-vità lavorativa ho attraversato molticicli di crisi, ma mai come questo:siamo in guerra, mancano solo lebombe ma il resto c’è tutto. Tuttavia,constato che sono tanti gli imprendi-tori che lottano per la propria azien-da e sono disposti a qualsiasi cosaperché prosegua, perché non siaabbandonata, sarebbe come perdereun pezzo della nostra vita, comeannullare tutto il lavoro eseguito dacoloro che nell’azienda, ciascunocon la sua mansione, si sono impe-gnati a fare in molti casi anche pertutta la vita.

Quali sono i progetti futuri diA.G.E.S?

Dal 2001 al 2008 circa abbiamogoduto di un lungo periodo di ritmolavorativo che non era mai stato cosìintenso, ma che si è rivelato danno-so perché ha indotto a gonfiare oltre-misura la capacità produttiva del-l’edilizia e dei settori a essa collega-ti, anche con l’entrata nel mercato dimolti improvvisati. Era nell’ordinedelle cose che si dovesse rientrarenella normalità con volumi di lavoroinferiori. È ciò che accade quando siconclude una guerra e improvvisa-mente viene dichiarata la pace.Quando una guerra è in corso, tuttele industrie producono materialebellico, ma, quando “scoppia” lapace, l’industria bellica cessa ed è ildramma delle nazioni a causa dellanecessità di convertire la produzio-ne. La storia ci ricorda che in questicasi occorreva che chi, per esempio,costruiva carri armati improvvisa-mente doveva costruire trattori.L’industria edile in che cosa si ricon-verte? Non c’è altra strada perrimettere in sesto il settore se nonquella di riposizionarsi sui quantita-tivi produttivi delle varie specialitàcon volumi di produzione propor-zionati a quello che il mercato richie-de oggi. Si potrebbe costruire di più,per esempio, nell’edilizia popolareperché ci sono persone che non pos-sono acquistare la casa. Nel 1949, fuemanata la legge Tupini, che preve-deva l’esenzione venticinquennaledelle imposte a chi acquistava unappartamento come prima casa.Allo Stato non costava niente perché

dava l’esenzione su qualcosa cheprima non esisteva, per cui non c’erané un esborso né un mancato introi-to. Questa legge contribuì a dare lacasa di proprietà a tanta gente.

Ma il futuro dell’edilizia può esse-re anche quello di recuperare lamaggior parte dell’edilizia costruitanel dopoguerra. Si potrebbero riqua-lificare le periferie costruite con cri-teri errati e con materiali di qualitàdiscutibile, oltre che non configuratisecondo le attuali esigenze, evitandoin questo modo di “consumare” ter-ritorio, benché questo tema siadiventato un tabù. Il territorio vautilizzato quando occorre, sebbenecon giusti criteri. Laddove c’è terri-torio che potrebbe essere recuperato,per esempio dove si può fare agri-coltura, occorre non lasciarlo incol-to. Gestire il territorio esige unapolitica globale priva di tabù.

Per quanto riguarda le costruzionistradali, i ponti e le infrastrutture ingenere, siamo un paese in pesanteritardo rispetto a Francia, Germaniae Inghilterra. Avremmo tanto dafare, ma occorrono politiche mirate efondi pubblici.

L’obiezione che spesso si fa è che ilcemento inquina. Cosa ne pensa?

Spesso, negli interventi in ambitopolitico o culturale, sentiamo parla-re dei “cementificatori” con disprez-zo e questo favorisce la poca atten-zione che c’è in questi ultimi tempiverso l’attività edile. Il cementoviene considerato un elementonegativo che danneggia l’ambiente.L’edilizia soffre di un pregiudizioenorme, come riscontrano anche irappresentanti sindacali con i qualimi confronto spesso.

Ritengo che il settore non sia esen-te da colpe e che dagli stessi opera-tori devono essere inviati i giustimessaggi, partendo da una maggio-re qualità delle opere, in modo dafare comprendere all’opinione pub-blica che il cemento è indispensabileper la realizzazione di opere essen-ziali, come scuole, strade, ponti eospedali. Sono le scelte dell’uomoche determinano il buono o il cattivoutilizzo degli strumenti. L’energiaatomica, per esempio, serve perdistruggere ma anche per costruire.Occorre salvare lavoro e salari, peruna maggiore stabilità e per nonperdere anche il motivo per cui esi-stiamo come impresa.

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Il valore aggiunto di ciò che profes-sionalmente ciascuno di noi sta

facendo oggi decade nel tempo, piùo meno rapidamente, in funzione diciò che sappiamo fare, cioè delnostro attuale livello di competenza.Tuttavia, è indubbio che la compe-tenza vada incontro al logoramento.

Al tempo dei miei genitori nonerano in tantissimi a potersi vantaredi aver conseguito la licenza ele-mentare. Quando ero un bambino(negli anni sessanta), uno dei pro-grammi più seguiti in televisione eraNon è mai troppo tardi, dove il mae-stro Alberto Manzi insegnava a leg-gere e a scrivere. L’Italia era ancoraun paese con un alto tasso di analfa-betismo. Grazie a questo program-ma televisivo, un milione e mezzo dicittadini riuscirono a conseguire lalicenza elementare. Sto parlando dicinquant’anni fa, non del Medioevo.

A mezzo secolo di distanza, chioggi deve confrontarsi con il mondodel lavoro si rende drammaticamen-te conto di come nemmeno una lau-rea offra certezze. Nemmeno un dot-torato di ricerca. Quello che può farel’istruzione è darci competenze e lecompetenze generano opportunità,non certezze. Maggiori competenzeassicurano maggiori opportunità. Ilconcretizzarsi di una o più di questeopportunità dipende in massimaparte da noi stessi, dalle nostre scel-te o dalle nostre non scelte (anchenon scegliere è una scelta).

Non si può dire che non si trovalavoro, quando al World EconomicForum, lo scorso 23 gennaio, sidichiarava che “nel mondo le com-petenze, specialmente in materietecniche, sono oggi così scarse dadeterminare dieci milioni di posti dilavoro vacanti, che non trovanorisposta sul mercato”.

Certo, può darsi che il lavoro siapiuttosto scarso nel comune in cuirisiediamo e che, anche allargando iconfini della ricerca ai comuni diret-tamente confinanti, le cose non cam-bino di tanto. Però, a essere onesti,dobbiamo dire che non c’è lavororelativamente a una certa area geo-grafica e che forse è giunto il

momento, o piuttosto la necessità, diallargare i nostri orizzonti.

In molte nazioni, e sempre piùanche in Italia, ci sono giovani, eanche meno giovani, che si sposta-no, lavorano in altre città, in altrenazioni, in altri continenti, fannonuove conoscenze, imparano e inte-grano culture e lingue, acquisisconocompetenze. Anche loro, come noi,hanno amici, genitori, mogli, figli. Avolte li portano con sé, a volte deci-dono di lavorare in posti che distanouna, due, venti ore di aereo dai pro-pri affetti (ore, non mesi).

I cambiamenti legati alla globaliz-zazione che, di fatto, ha avvicinatoterritori e culture che fino a pochianni fa consideravamo lontanissi-me, determina anche una redistribu-zione del lavoro all’interno dell’eco-nomia di un territorio. Oggi e sem-pre più in futuro, a meno di cambia-menti nelle attuali dinamiche di glo-balizzazione, le possibilità di adat-tarsi, di sopravvivere e possibilmen-te di prosperare, all’interno del“proprio territorio”, sono più chemai legate alle competenze, a ciò chesappiamo fare, a come lo sappiamofare e, si badi bene, a come lo sap-piamo comunicare e a come sappia-mo essere individui e comunità. Leopportunità per l’individuo sonolegate al rapporto tra le sue compe-tenze e le competenze medie (o alladensità di competenze) dell’ambien-te (o dell’insieme) che lo circonda.Se l’individuo cambia “insieme”non cambiano certo le sue compe-tenze personali, ma sicuramentecambia il rapporto tra queste e lecompetenze medie, o la densità dicompetenze, di quell’insieme. Sosti -tuite al termine “insieme” l’indica-zione geografica del luogo dovevivete o vorreste vivere.

Questo determinerà, determinagià, delle scelte. Scelte che deve fareil singolo (scelte volontarie) o scelteche altri faranno per lui (scelte obbli-gate). La storia ci ha già mostratoquesto. Quanto più è elevato il tassodi disoccupazione di un territorio etanto più al singolo servono compe-tenze per avere opportunità di

impiego. Chi non ha competenze,una volta finiti i sostegni pubblici odi famiglia o le fortunate vincite al“Gratta e vinci”, non avrà che unapossibilità per sopravvivere inmodo legale: emigrare, andare inposti dove le sue competenze hannoancora un valore, si tratti delle com-petenze di due braccia che sannosmuovere la terra utilizzando unavanga o il sapere cucinare o il saperfar di calcolo o il forgiare un ogget-to, qualsiasi cosa che altri non sap-piano fare (o che probabilmente nonvogliono più fare!). In questo modosi diventa “schiavi” della propriaincompetenza.

A questo punto la ricetta sarebbesemplice, sarebbe quella del miobuon padre che solo in virtù di note-voli sacrifici ottenne la licenza ele-mentare: “Studia, diventa un dotto-re, ne va della tua libertà”, mi ripete-va. Purtroppo nel nostro paese, que-sto non è più sufficiente. Spessoviviamo l’esperienza di un’emigra-zione alla rovescia: non sono quellicon minori competenze a doverseneandare a cercare luoghi dove mette-re a disposizione il poco che sannofare, sono i laureati a fuggire, sono icervelli migliori che vanno altrove acogliere opportunità che le nostreimprese e il nostro paese non sonopiù in grado di offrire loro. Le ragio-ni? L’umile pensiero di chi scrive èche siano direttamente legate aldeclino politico, culturale e quindisociale dell’ultimo ventennio. LaPolitica, quella con la P maiuscola,non ha saputo, potuto o voluto e, inogni caso, non è stata in grado diguidare la nazione attraverso il cam-biamento che stava avanzando, eche sta proseguendo, su scala plane-taria. Non abbiamo saputo reggere ilconfronto con un mondo che cambiaa una velocità tale che occorre corre-re molto forte per restare fermi, cioèper non arretrare, per non perdereposizioni, ovvero per mantenerelivelli di benessere che forse, a torto,consideravamo raggiunti e acquisitiper sempre. Ma questo è un altrocapitolo. Ciò che mi premeva tra-smettere in questo articolo è che lecompetenze, compreso il modo diagirle e comunicarle, sono elementofondamentale, imprescindibile, nel -la determinazione numerica e quali-tativa delle opportunità che la vita cioffre.

PAOLO MOSCATTIpresidente di Tec Eurolab, Campogalliano (MO)

COMPETENZA E QUALIFICAZIONECOMPETENZA E QUALIFICAZIONE

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In qualità di partner d’eccellenzanella logistica per importanti aziendedelle province di Bologna, Ferrara,Modena, Ravenna e Forlì-Cesena,Global Service Commerciale, dealer uffi-ciale Cat® Lift Trucks, ha riscontratodifferenze rilevanti negli scenari econo-mici dell’Emilia e della Romagna?

La Romagna ha tanti settori trai-nanti: dall’agricoltura al turismo almanifatturiero. Bologna è leadermondiale nel settore delle macchineautomatiche e aveva un polo fieristi-co che funzionava molto bene, maattualmente è in difficoltà anche ilsuo mercato ortofrutticolo. Moltipiccoli artigiani, tornitori, fresatori eterzisti d’industria stanno scompa-rendo. Oggi, i cali di commessehanno riportato il lavoro all’internodelle industrie, che spesso si sonoorientate a produrre fuori dall’Italia.È un problema da non sottovalutare.Spesso, viene criticato l’imprendito-re che produce nei paesi confinanti,ma con i costi che deve sostenerenon si può non dargli ragione.Inoltre, l’aumento della tendenza areclutare manodopera in nero causal’abbassamento del livello di profes-sionalità e la qualità della produzio-ne. Se non cambiano le politiche enon abbiamo un mercato del lavoroflessibile, con una tassazione bilan-ciata con il reddito, è difficile prose-guire. La nostra carta vincente èstata quella di offrire un serviziodinamico e di qualità per risponderealle esigenze dei mercati con unapiù efficiente pianificazione dellerisorse produttive logistiche. At -tualmente, infatti, le imprese hannosempre più l’esigenza di risponderealle richieste di un mercato il cuiandamento non consente regolaritàe prevedibilità nella programmazio-ne.

Occorre rilanciare il tessuto pro-duttivo della piccola e media impre-sa locale – non c’è alternativa –,facendo anche alleanza con le azien-de del territorio. Negli altri paesi, treo quattro aziende si mettono insie-me per acquisire grandi commesse,

noi invece rincorriamo sempre l’er-ba del vicino: se compra un torniogrande, noi dobbiamo comprarloancora più grande. Ma è venuto ilmomento di cambiare questoapproccio.

In che termini sta cambiando invece lageografia delle imprese italiane?

Il ceto medio, che creava benesse-re e ricchezza, sta scomparendo.L’artigiano, con il suo apprendista oil suo operaio, è una categoria inestinzione. Siamo arrivati a unpunto in cui la piccola e mediaimpresa, che ha fatto la fortuna diquesto paese, è stata prima vessata epoi denigrata, fino aessere costretta allachiusura dell’attività. Èun danno che si riper-cuote anche nell’indu-stria, che si avvalevadelle sue risorse. Lageografia dell’impresasta cambiando a talpunto che resterannosul mercato solo lesocietà con fatturatimolto elevati e le deci-ne di piccole attività aconduzione familiare.Anche le attuali politi-che finanziarie, chenon sostengono la pic-cola e media impresa,rischiano di rovinare ilnostro tessuto produt-tivo. L’impresa, inoltre,deve avere la possibili-tà di assumere durantei periodi di maggioreritmo di lavoro, senza il ricatto didover mantenere posti inutili quan-do il lavoro si riduce. Occorrerebbeprovvedere anche alla riforma delsistema pensionistico per favorireun ricambio generazionale dopoquarant’anni di lavoro e consentirela trasmissione dell’esperienza arti-gianale alle nuove generazioni.

Le logiche della moderna finanzaci hanno fatto dimenticare il valoredella produzione e del commercio,che hanno consentito al nostro paese

di crescere. Viviamo in una societàche invita a circondarsi di oggetti estili di vita che rappresentano statussociali per un benessere sempre piùvirtuale, con il paradosso che alcunepersone non arrivano a fine mese,ma non rinunciano a tre cellulari atesta. Occorre tornare all’economiareale, impegnando i cassaintegratidel settore edile – il più colpito daquesta logica di decrescita pianifica-ta –, per esempio promuovendol’edilizia sociale per i comuni e leregioni, garantendo gli stipendisulla base della produzione effetti-va.

In questo momento, qual è il ruolodelle banche nel sostegno alle piccoleimprese?

Non si può fare impresa senza ilsistema bancario, che però deve tor-nare a lavorare maggiormente con ilterritorio, perciò è importante chetenga conto dei nuovi scenari in cui

le imprese operano. La storia econo-mica di questo paese insegna che leprime banche sono state costituiteda artigiani e imprenditori delleprovince e delle regioni in cui sorge-vano. Il direttore di banca della tra-dizione incontrava periodicamentel’imprenditore nella sua azienda,partecipando alle vicende di quel-l’impresa. Oggi, il contributo dellebanche rimane essenziale per rilan-ciare il tessuto produttivo della pic-cola e media impresa locale.

STEFANO BONAFÈpresidente di Global Service Commerciale Srl, Bologna

IL VALORE DEL COMMERCIO EIL VALORE DEL COMMERCIO EDELLA PRODUZIONEDELLA PRODUZIONE

Stefano Bonafè

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Se nel 2008 l’Istat certificava l’au-mento dell’investimento nella tutela del-l’ambiente da parte delle aziende italia-ne, con una netta preferenza in “end-of-pipe” – le tecnologie che intervengonosul trattamento dell’inquinamento dopoche è stato prodotto –, solo qualche annopiù tardi, nel 2010, registra invece unaflessione del 7,2 per cento. In particola-re, la spesa maggiore risulta quella delleindustrie della fabbricazione di coke eprodotti derivati dalla raffinazione delpetrolio (circa il 20 per cento),delle industrie della fabbrica-zione dei prodotti chimici(12,09 per cento) e dalla metal-lurgia (10,09 per cento). Emer -ge quindi il dato che le in -dustrie si impegnano a ri -muovere l’inquinamento in ter -venendo alla conclusione delprocesso produttivo, anzichéin tegrando i propri impianticon tecnologie cosiddette “puli-te”...

Nella mia attività ultra-ventennale nei settori del-l’ambiente, della sicurezzasul lavoro e della qualitàaziendale, constato che l’im-presa, la produzione e l’am-biente sono spesso intesicome contrapposti. L’at -tenzione all’ambiente, di cuioggi sentiamo dire in ogniambito, sembra quasi unmonito per la bonifica daglieffetti negativi del processoproduttivo. Credo che sia un grandeequivoco e un grave errore pensareche la produzione industriale sia apriori da considerare come il nuovomale della società. L’effetto è inevita-bilmente poi quello di intenderel’impresa come sinonimo di degra-dazione dell’ambiente. Talvolta èvero che alcune industrie hanno pra-ticato politiche industriali sorde allenuove esigenze ambientali, anche sein questo sono state supportate daaccomodanti politici locali. Più spes-so, invece, e i dati Istat lo dimostra-no, sono state tante le imprese chehanno investito e praticato politichepiù salutari per l’ambiente senza

rinunciare a una produzione semprepiù avanzata. Questo è ancora piùimportante di quello che si possapensare, considerato che fare inno-vazione richiede prim’ancora fareinvestimenti in ricerca. Queste attivi-tà sono le più tassate negli ultimianni e molte imprese, per non chiu-dere, hanno dovuto praticare tagli aicosti essenziali, compresi quelli suambiente e sicurezza. Non è quindiuna questione di cattiva volontà da

parte delle imprese il non avvalersidi tutte le risorse tecnologiche pernon nuocere all’ambiente. Si trattapiuttosto di studiare le condizioniper politiche più attente alla produ-zione, quindi all’esercizio d’impresa.

A cosa si riferisce? Sembra che maicome ora la politica, o addirittura lamagistratura, si interessino alla questio-ne ambientale...

Mi riferisco, in particolare, ai nonrari casi di aziende che, anche quan-do si attivano per predisporre diver-se modalità di produzione piùrispettose dell’ambiente, si trovanoostaggio di burocrazie e rigidità daparte delle istituzioni, che di fatto

sviliscono le risorse, anche economi-che, dell’impresa. Il problema non siaffronta moltiplicando le normative,o intervenendo con sequestri diaziende, ma con un incremento dellaformazione e degli incentivi.

Inoltre, non sono secondari i casidi imprenditori che non conosconole nuove opportunità offerte dallemoderne tecnologie per produrresenza inquinare e le normative piùaggiornate in materia. Non è chel’impresa di per sé inquini e tantomeno sia indifferente verso una pro-duzione più verde. Si tratta, piùspesso, che deve operare con stru-menti non sempre aggiornati allenuove esigenze ambientali, vessatacom’è da decine di adempimenti

burocratici, che la costringo-no necessariamente a rinun-ciare a qualcosa.

Il nostro compito è quindiquello di fare cultura dellasicurezza e dell’ambiente, inmodo da non ridurre la pro-duzione, ma di incentivarlasecondo gli strumenti legi-slativi e amministrativi chesi possono utilizzare, evitan-do anche il rischio di pesantisanzioni che incidono poi inmodo determinante sul pro-seguimento dell’impresa. Equesto sarebbe un dannoaltrettanto grave per l’am-biente che è fatto anche dicultura, invenzione e produ-zione di nuove risorse per lecittà e i loro abitanti.

Mediando fra istituzionipubbliche e imprese private,CSAI mira a consentire chel’impresa continui a produr-re profitto per la città, senza

l’ostacolo di burocrazie, che rischia-no invece di svilire l’attività fino aspegnerla. Se l’impresa non produ-ce, inevitabilmente deve chiudere.Per noi è importante avviare un pro-cesso per l’utilizzo degli strumentianche legislativi utili alla formaliz-zazione della ricerca perché l’impre-sa giunga a un profitto scientifico eambientale. L’ambiente, la sicurezzasul lavoro e la qualità aziendale,sono temi che un imprenditore deveconsiderare come strategici, nonsolo per obblighi normativi, maanche perché rappresentano sempredi più il termine qualitativo dellaproduzione.

MARZIA ZAMBELLIpresidente di CSAI Srl, Bologna

PRODUZIONE E NUOVEPRODUZIONE E NUOVEESIGENZE AMBIENTALIESIGENZE AMBIENTALI

Mary Palchetti, Re-inventare, 1995

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Quello del 20 e 29 maggio 2012 inEmilia per lei è stato un vero e proprioterremoto intellettuale, un approcciopragmatico in direzione della riuscita edella qualità delle cose che occorre fare,anziché accettare i blocchi e le burocra-zie che frenano l’iniziativa. Infatti, dopoaver portato a termine in tempi record(78 giorni) la costruzione del plesso sco-lastico di Corporeno, nel centese – con lasocietà da lei presieduta, Centro EmiliaTerremoto 2012, costituita da Abk,Andalini, Elektrosistem e Itl Con -sulting, oltre che dall’azienda di cui ècofondatore, Cigaimpianti –, lei ha coor-dinato l’organizzazione delle donazionidella fondazione Tzu Chi di Taiwan neiconfronti dei cittadini del cratere mag-giormente colpiti dal sisma…

Nei giorni successivi al terremoto,fui chiamato da un ingegnere diRoma che stava seguendo i contattiin Italia per la fondazione. Dopoaver effettuato alcune verifiche, cirendemmo conto che si trattava diuna realtà di grande interesse, con 70milioni di soci e 50 sedi nel mondo.Da allora, sono stati innumerevoli gliincontri con Rudolf Willi Pfaff e suamoglie Shu Wei Chen, presidentedella Tzu Chi Germany, ma nonsono stati limitati alle occasioni uffi-ciali: oltre a coinvolgere laConfindustria di Modena e leCamere di Commercio di Modena eFerrara, ho affiancato le delegazionidella Tzu Chi mentre visitavano lenostre città per incontrare la gente econoscere da vicino la nostra terra.Ogni volta che Rudolf e sua moglievenivano in Italia li raggiungevo,anche solo per scambiarci un saluto.Poi sono andato in visita a Monaco,dove hanno organizzato un concertodi beneficenza per la popolazionepiù colpita e, quando sono tornato inItalia, arrivato il momento di concre-tizzare i contatti, ho proposto loro diaiutare le persone con i buoni spesa.È stato così che, tra la fine di genna-io e l’inizio di febbraio, hanno conse-gnato direttamente 240.000 euro (100euro a testa a oltre 2000 persone) aBondeno, Finale Emilia, Mirandola eSan Felice.

È nata una vera e propria amicizia…La vita è fatta di relazioni, tutte le

cose procedono dalla relazione. Perquesto non mi sono limitato a fare ildiscorso pubblico per poi, una voltaspento il microfono, tornare alle miesolite occupazioni. È un’esperienzache mi ha arricchito molto, perchého potuto constatare ancora unavolta come non esistano i cinesi, gliindiani, gli africani, gli italiani inquanto tali, ma le persone, che devo-no essere considerate per quello chefanno, non per il paese da cui pro-vengono.

È interessante se, da una vicenda cosìtragica come il terremoto, scaturisceun’occasione di scambio internazionalein modo che le aree colpite non siano piùconsiderate semplici periferie…

Il terremoto è certamente un even-to disastroso, ma ha creato opportu-nità che devono essere colte, perportare le nostre città a esseremigliori di prima. Se e quando isoldi arriveranno, sarà bene inve-stirli per rimettere in sesto le perife-rie colpite, dove c’era il lavoro –Mirandola, per esempio, era unluogo noto per il lavoro –, e dobbia-mo scongiurare l’eventualità chequalcuno ne benefici più di quantodovrebbe e magari qualcun altro,che non ha voce, rimanga senzasostegno.

Con il suo esempio di approccioimprenditoriale anche in un’opera dibeneficenza, lei trasmette il vero sensodella solidarietà…

La cosa straordinaria in Italia inquesto momento è che io stia por-

tando avanti queste operazionisenza un secondo fine. So che nessu-no mi pagherà, quindi posso decide-re come e quando agire, non ho nes-suno da cui prendere direttive. Sonoriuscito a creare un rapporto di fidu-cia con Rudolf e sua moglie: loro miinterpellano, io rispondo organiz-zando i loro interventi e per questomi ringraziano. L’approccio impren-ditoriale è indispensabile, perchéaltrimenti non si ottengono i risulta-ti necessari. Nella confusione inizia-le molte persone avevano dato laloro disponibilità, ma se non ci fossestato chi aveva il compito di orga-nizzare e indicare una direzione sisarebbe creata solo maggiore confu-sione. Quanto alla solidarietà chedovrebbe venire dallo Stato, nondev’essere un’elemosina, ma l’impe-gno per rimettere in funzione i servi-zi. In quanto cittadini che hannosempre pagato le tasse, quello che falo Stato in un momento di difficoltàè il minimo che possa fare, non unaconcessione.

Il tema di questo numero del giornaleè La scrittura dell’impresa. Le coseche diciamo e che facciamo si scrivono,hanno effetti nel tempo. Come lei notavain una precedente intervista (n. 51), ciòche i suoi collaboratori hanno acquisitonell’ambito della sicurezza sul lavoro,per esempio, per loro è diventato ormaiun patrimonio intellettuale incancella-bile e nessuno deve raccomandare loro diseguire le regole in materia…

È come andare in bicicletta: unavolta imparato, non c’è più bisognodi pensarci. E sicuramente l’esempioche dà l’imprenditore ai suoi colla-boratori e all’intera comunità in cuil’impresa opera è importante per farcapire che anche le cose che sembra-no più impensabili possono trovarela loro riuscita, se c’è l’impegno e laserietà nel lavoro.

CLAUDIO SABATINIsocio fondatore del Gruppo Cigaimpianti, Finale Emilia (MO)

UN APPROCCIO IMPRENDITORIALEUN APPROCCIO IMPRENDITORIALEALLA SOLIDARIETÀALLA SOLIDARIETÀ

Da sin.: Claudio Sabatini, Shu Wei Chen e Rudolf Pfaff al Teatro Tenda di Mirandola

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Finalmente, quest’anno è arrivata lanovità che tutti i progettisti aspettavanoper il restauro degli edifici storici el’adeguamento antisismico: le nuoveresine a base acqua BETONTEX® IPNper il primo sistema di rinforzo di mura-ture che impiega matrici a base calce erinforzi in fibra di carbonio. Il frutto dialcuni anni di ricerca che ArdeaProgetti e Sistemi ha condotto in colla-borazione con il Dipartimento diIngegneria “Enzo Ferrari” dell’Uni -versità di Modena e ReggioEmilia (con il particolare con-tributo di Elena Fabbri, ricer-catrice della stessa Università)è stato illustrato nell’interven-to dal titolo Quando la tecno-logia si mette al serviziodella storia. Betontex IPN,la nuova frontiera dei mate-riali compositi per il conso-lidamento strutturale, che leiha tenuto nell’ambito del semi-nario Materiali compositiappropriati per la protezio-ne sismica, promosso dal -l’AICO (Associazione Ita lianaCompositi), al Salone del Res -tauro di Ferrara (21, marzo2013). Può dirci qualcosa dipiù?

Il sistema BETONTEX®

IPN, che utilizza resine abase acqua, è una novitàassoluta sul mercato, unsistema che consente di rin-forzare le murature con ilmeglio delle caratteristiche auspica-te dal progettista: elevate proprietàmeccaniche (comprese tra il 70 e 90per cento del corrispondente com-posito prodotto con resine epossidi-che), grande leggerezza e spessoreridotto, alta traspirabilità, resistenzatermica oltre i 160° C, massima resi-stenza al fuoco (Classe 1), perfettaconformità alle normative per ilrispetto dell’ambiente. Dopo averlotestato nei laboratori delle Uni -versità di Modena, di Bologna e diAtene, su travi in calcestruzzo, conottimi risultati, da diversi mesiabbiamo incominciato a introdurre

il sistema nel mercato, riscontrandoun crescente interesse da parte deglioperatori e delle Sovrintendenze.

A vent’anni dalla sua nascita, possia-mo dire che Ardea Progetti e Sistemi,insieme alla FTS (Fibre Tessuti Speciali)di Torino (che oggi ha grandi capacitàproduttive di tessuti industriali a basedi fibre poliestere, nylon, fibre aramidi-che e fibre speciali, compresi i tessuti peredilizia in fibre di carbonio nati sullabase di ricerche e brevetti sviluppati da

Ardea), ha scritto un capitolo importan-te della storia dei compositi nel nostropaese, sempre al servizio delle esigenzeche emergevano da parte dei costruttori,dei progettisti e degli enti di tutela deibeni culturali, il più delle volte antici-pando soluzioni a problemi di cui anco-ra non c’era neppure la percezione e chesi sarebbero presentati in seguito.Questo è stato possibile grazie all’espe-rienza acquisita dai soci di Ardea e FTSin importanti gruppi internazionali, chegià negli anni ottanta sviluppavanoapplicazioni per diversi settori: navale,aeronautico, automobilistico, sportivo,tessile e altri. Ma anche grazie alla col-

laborazione costante con le università ela ricerca…

A questo proposito, proprio graziealla collaborazione con Angelo DiTommaso, professore dell’Uni -versità di Bologna e presidentedell’AICO, siamo stati i primi aintrodurre in Italia, nel 1993, le tec-nologie dei compositi in edilizia.Successivamente, nel 2004, abbiamocolto l’occasione per il nostro paesedi fare un grande passo avanti inquesto campo, quando il CNR hapubblicato la normativa di riferi-mento per il consolidamento distrutture con queste tecnologie(DT200/2004), coprendo in tempimolto brevi le carenze legislativelegate all’introduzione di questinuovi materiali (normativa che oggi

è di riferimento per nume-rosi paesi europei). Quandonel 1986 il Giappone fudevastato da uno dei piùdisastrosi terremoti dellastoria, si scoprì che le fibredi carbonio, cinque voltepiù resistenti dell’acciaio ein grado di dissipare l’ener-gia di deformazione, pote-vano utilmente essere im -piegate nel recupero del lestrutture danneggiate dalsisma.

Invece da che cosa è natal’idea di sviluppare le nuoveresine IPN (InterpenetratedNetwork), illustrate al semina-rio del Salone del Restauro diFerrara, e come funzionano?

L’esigenza è nata dal fattoche le resine epossidichefinora impiegate, per quan-to estremamente prestanti,hanno scarsa resistenza alfuoco, sono impermeabili

all’aria e all’umidità, con possibiliproblemi se applicate su murature,in particolare con riferimento ainterventi su edifici storici dove lacompatibilità tra materiali troppodiversi fra loro è soggetta a diverseobiezioni da parte degli enti di tute-la.

Le resine IPN sono sistemi di com-ponenti interpenetrati, costituiti dadue o più fasi polimeriche organichee una fase inorganica cristallina atti-va, in cui i componenti s’intreccianofino a creare un unico materiale. Laloro morfologia è stata caratterizzatamediante microscopia elettronica a

LINO ANTONIO CREDALIamministratore di Ardea Progetti e Sistemi Srl, Bologna

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIOLA TECNOLOGIA AL SERVIZIODELLA STORIADELLA STORIA

Lino Antonio Credali al Salone del Restauro di Ferrara 2013

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scansione, che permette di vedere lastruttura dei materiali e capire qualisono le prestazioni che possonooffrire nel prodotto finito (costituitodalla matrice e dal rinforzo fibroso).

Nelle diverse fasi di sperimenta-zione, abbiamo constatato che que-ste resine sono fortemente porose, equesto garantisce una grande traspi-rabilità, diversamente dalle resineepossidiche che sono estremamentecompatte. Per scendere più nel det-taglio, vediamo che il sistema ècaratterizzato dalla formazione dicristalli di dimensioni micrometri-che, con un rapporto di forma parti-colarmente importante ai fini strut-turali, perfettamente interconnessi,saldati l’uno con l’altro e annegatinella matrice, la resina polimericaIPN, che li circonda e li tiene unitifra loro.

Considerando che in questi vent’anniavete contribuito alla ristrutturazionestatica e architettonica di alcuni dei piùimportanti monumenti e palazzi storicidel nostro paese (fra cui la basilica diSan Petronio a Bologna, quella diSant’Antonio a Padova, quelle di Alba eVicoforte, in provincia di Cuneo, e laReggia di Venaria Reale a Torino), non èsecondaria la ricerca di materiali conaltissime performance capaci di mante-nere inalterate le loro caratteristiche neltempo…

Infatti, osservando un termogram-ma delle resine IPN, notiamo la loroeccezionale resistenza termica, che èstabile quasi fino a 160 gradi: supe-rata tale temperatura, il materialeincomincia a perdere peso, con ces-sione di acqua di cristallizzazioneattraverso un processo endotermico,quindi con assorbimento di energia,conferendo al materiale una granderesistenza al fuoco.

Lo stesso test, effettuato a distanzadi due anni su una resina invecchia-ta e sottoposta a invecchiamento(weathering: cicli di gelo, disgelo,pioggia, umido, secco, sole, intem-perie), ha dimostrato che le caratte-ristiche rimangono perfettamenteinalterate.

Come avete illustrato al convegno Laforza della leggerezza (Mirandola, 18settembre 2012), oltre ad avere messo insicurezza gran parte del patrimonioartistico danneggiato in seguito al terre-moto in Abruzzo, gli interventi effettua-ti con i vostri sistemi su monumentidell’Emilia (come il campanile di

Ganaceto, per esempio), negli anni pre-cedenti al sisma, hanno dato prova dellacapacità delle fibre di carbonio di confe-rire resistenza alle strutture, conside-rando che sono rimaste intatte, diversa-mente da quelle che erano state rinforza-te con sistemi tradizionali e che hannoriportato gravi danni, se non sono crol-late completamente. È stato un collaudoinvolontario, che ci auguriamo non siripeta mai più. Mentre, tornando ai testda voi effettuati sul nuovo sistemaBETONTEX con le nuove resine IPN,quali sono stati gli altri risultati impor-tanti?

In un campione rotto apposita-mente per essere analizzato almicroscopio elettronico, abbiamovisto che la resina riesce a penetrarebene all’interno del filo formato damigliaia di singoli filamenti moltosottili (7-8 micron di diametro), con-sentendo a ciascun filamento di con-tribuire a sostenere i carichi. Nonsolo, ma la matrice risulta moltobene adesa alla fibra, tant’è che,anche nel cuore del campione visibi-le in seguito alla rottura, la fibrarisulta ancora sporca della matriceutilizzata.

In una prova di applicazione di unlaminato su una trave di cementoarmato, sottoposta a flessione inquattro punti, fino a completa frat-tura e delaminazione, abbiamo con-statato che il laminato si è staccatodalla trave strappando il calcestruz-zo, per rottura a taglio del calce-struzzo, indice di un altissimo gradodi adesione.

Nelle prove a cicli umido-secco,con metodi d’invecchiamento acce-lerato, abbiamo visto che, a distanza

di diverse settimane, modificandoogni dodici ore le condizioni diesposizione (40 gradi con 100 percento di umidità relativa o 60 gradicon 10 per cento di umidità relativa),i compositi ottenuti con le resineIPN hanno dimostrato una grandestabilità da un punto di vista siaestetico sia strutturale; inoltre eranoassenti macchie o variazione di colo-re e non si sono riscontrati fessura-zioni o distacchi dal supporto.

Infine, in prove di trazione perverificare l’adesione di tessuti infibra di carbonio o di vetro in maltecementizie, abbiamo visto che l’uti-lizzo della resina IPN porta a unnotevole aumento del carico di rot-tura delle fibre rispetto a fibre nontrattate con queste resine; per di più,il materiale composito in questocaso non cede tutto in un colpo, mapermette tramite segnali visivi esonori di programmare l’interventonecessario.

Dopo questi risultati eccellenti, non cisorprende che il Salone del Restauroabbia dedicato allo stand di Ardea unaposizione di prestigio, accanto a quellodel Ministero dei Beni culturali, chepotrà prendere atto dell’impegno da voiprofuso nella ricerca incessante di “tec-nologie al servizio della storia”.

Sicuramente i nuovi ritrovati diArdea Progetti e Sistemi darannouna svolta alle tecnologie dei com-positi, in particolare alle nuove tec-niche che prevedono l’impiego dimalte quali matrici al posto delleresine epossidiche, rendendo questetecnologie più compatibili con le esi-genze specifiche dei monumenti sto-rici.

Lo stand di Ardea Progetti e Sistemi al Salone del Restauro di Ferrara 2013

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Da diversi anni Apigor, azienda atti-va nel settore delle rinnovabili, compieaudit energetici degli edifici in una pro-spettiva di ottimizzazione dei consumielettrici e termici. Attualmente, sta ulti-mando la realizzazione di un prototipoinnovativo nella gestione dei flussi dienergia. Di cosa si tratta esattamente?

Da sempre riteniamo che l’indi-pendenza economica derivi anchedall’indipendenza energetica, chenon si raggiunge solo attraversol’autoproduzione dell’energia, maanche svincolandosi dalle dinami-che tradizionali di distribuzione econsumo energetico. Il MOG (acro-nimo di “my own grid”) è il risulta-to di una ricerca basata su questafilosofia. In particolare, il MOG èprogettato per realizzare una reteelettrica che gestisce i flussi di ener-

gia in modo autonomo e personaliz-zato senza l’obbligo di appoggiarsialla rete elettrica pubblica. È undispositivo che fornisce un sistemadi accumulo di energia autoprodot-ta, che può essere alimentato dadiverse fonti rinnovabili, come ilfotovoltaico, l’eolico o il minidroe-lettrico. Questo flusso di energia inentrata viene gestito dalla macchinae convogliato o verso le utenze chein un determinato momento delgiorno richiedono energia o stoccatoin un cosiddetto “banco di accumu-lo”, costituito dalle classiche batte-rie; oppure, se il flusso di energianon viene utilizzato, viene convo-gliato verso la rete elettrica in moda-

lità di “scambio sul posto”. In que-sto modo non ci sono sprechi el’energia in eccesso non accumulabi-le nelle batterie già cariche (sovra-produzione estiva) viene ceduta allarete pubblica per essere consumatanei periodi in cui la produzione el’energia stoccata sono insufficientialla copertura del fabbisogno (mesiinvernali).

Il MOG non ha bisogno di essereconnesso stabilmente alla rete pub-blica perché è progettato per creareuna rete autonoma. Questo non vuoldire che non utilizza la rete pubbli-ca, ma la considera un’ulteriore sor-gente energetica a bassa priorità dausare solo in caso di emergenza. Peresempio, nei mesi invernali, quandol’energia irradiata dal sole è minoree quella accumulata nelle batterie si

esaurisce più velocemente, con-sente il prelievo dalla rete pub-blica fino a quando non ritornain attivo l’energia solare, nelqual caso sono immediati laproduzione e il rifornimento dienergia. Il MOG tende ad azze-rare lo scambio di energia con larete elettrica pubblica; cosìfacendo riduce anche l’impattoche il proliferare di sistemidistribuiti per la produzione dienergia elettrica sta avendosulla stabilità di una rete nataper utilizzare flussi di energia

monodirezionali, che partivano cioèdalle centrali per arrivare alle perife-rie, in attesa che le cosiddette“Smart grid” risolvano il problema epermettano di integrare impianti diproduzione da fontirinnovabili nel sistemadi distribuzione nazio-nale senza rischi.

Un’altra caratteristicadel MOG è che non pri-vilegia una tipologia diproduzione: utilizzamaggiormente quellasolare, la cui fruibilitàdipende in minimaparte dalle caratteristi-che fisiche e geomorfo-

logiche del sito di installazione, ma èin grado di gestire anche quella pro-dotta dall’eolico, dal minidroelettri-co o da altre che interverranno infuturo, poiché non gestisce la con-versione ma il flusso dell’energia, daqualunque fonte provenga.

Occorre anche dire che il collega-mento alla rete pubblica non è indi-spensabile, poiché può essere sosti-tuita da un gruppo elettrogeno o dauna qualsiasi altra fonte che garanti-sca un back up rispetto all’aleatorie-tà delle fonti rinnovabili.

Tuttavia, i generatori nella mag-gior parte dei casi sono poco ecolo-gici, in quanto azionati da motoridiesel o a benzina, ma hanno il van-taggio di poter essere utilizzati neicasi di assoluta mancanza di energiaelettrica. Case isolate in campagna oin montagna, siti con un pozzo dacui periodicamente estrarre acquamediante una pompa per l’irrigazio-ne, una seconda casa abitata solo perpochi giorni l’anno e specialmented’estate, sono tutte situazioni in cuigrazie al MOG è possibile raggiun-gere la completa indipendenza dallarete elettrica nazionale.

Crediamo che l’indipendenzaener getica sia un diritto di tutti e cheogni sforzo debba essere fatto affin-ché questo diritto possa esseregarantito.

Il MOG rappresenta un passoimportante in questa direzione dalmomento che permette di ottimizza-re l’uso dell’energia autoprodottasvincolandosi dagli inevitabili au -menti futuri del costo dell’energia edal ricatto degli incentivi economiciche, se da un lato hanno contribuitoal diffondersi degli impianti di pro-duzione da fonti rinnovabili, dall’al-tro hanno distorto la percezione del-l’utilità degli stessi, ingabbiandonele potenzialità in un ambito esclusi-vamente economico.

ROBERTO PANDOLFIamministratore delegato di Apigor energia Srl, Bologna

MOG: L’INDIPENDENZAMOG: L’INDIPENDENZAENERGETICAENERGETICA

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In piena crisi, in ottobre del 2010, ilGruppo Muzzarelli inaugurava ilnuovo ristorante prêt-à-porter, all’inter-no del Leon d’Oro di Sassuolo, nato nel1984 come uno dei primi self service inItalia a offrire una cucina con materie

prime di alta qualità, dove ciascuningrediente è fatto in casa, ereditando latradizione del rinomato locale di fami-glia che risaliva agli inizi del novecento.In che modo possiamo dire che voi trova-te la felicità in cucina?

Il nostro Gruppo (che comprende,oltre al Leon d’Oro, il Ristorantedelle Terme della Salvarola e lasocietà di catering e organizzazionedi eventi aziendali e matrimoniMuz zarelli Ricevimenti) lavora perla gioia di circa 170.000 personeall’anno. E sicuramente, se noi stessinon trovassimo la felicità nel nostromestiere, sarebbe difficile, o forseimpossibile, ottenere questi risultati,soprattutto in tempi di crisi. Ilnostro Gruppo eredita la passioneper la cucina da una tradizione nellaristorazione che risale almeno allafine dell’ottocento, quando il miobisnonno Francesco rilevò la gestio-ne dell’albergo-osteria del 1700 LaNoce, a Montagnana. Ma oggi que-sta passione non basta, occorre unosforzo d’invenzione costante, occor-re accorgersi immediatamente deicambiamenti e anticiparli, se possi-bile, non aspettare che si producanocali di fatturato irrecuperabili. In

questo periodo, per esempio, con lacrisi del settore edile, noi abbiamoperso circa cento clienti al giorno nelself service: operai del settore, che siaggiungono a quelli delle aziendedella ceramica che erano state

costrette già neglianni precedenti a eli-minare gli esuberi.Questo è sta to il moti-vo per cui abbiamopensato di far viveremaggiormente il loca-le anche di sera (inparticolare il venerdìe il sabato), con un’of-ferta a prezzo fissoche attiri anche unpubblico giovane,oltre ai classici fre-quentatori che prefe-riscono essere ser vitià la carte.

Che cosa proponete ai vostri ospiti?Incominciamo con un primo piat-

to di pasta, sempre rigorosamentefatta in casa; poi serviamo le cre-scentine, accompagnate con assaggidi ricotta di tre tipi (gli stessi che sipossono gustare nel ripieno dei tor-telloni e che ormai sono diventati

tipici del nostro locale): ricotta dicapra, ricotta di pecora e ricotta dimucca prodotta da un caseificio dimontagna e particolarmente pasto-sa; oltre a tutti gli accompagnamentidella tradizione modenese chevanno dal tagliere dei salumi affetta-ti al momento al pinzimonio con leverdure fresche a diversi tipi diumido; infine, il carrello dei dolci alcucchiaio, nonché una scelta di dolcisecchi della tradizione come la cro-stata e il bensone.

Considerando l’eccellenza della vostracucina, anche la varietà può contribuirea fare felici i palati più esigenti...L’incontro con il cliente ciascun gior-no è ciò che dà le più grandi soddi-sfazioni. Proprio per questo, è moltoimportante offrire quanto di megliopossiamo ottenere dalla combina-zione fra ciò che le tradizioni fami-liari ci hanno tramandato e le novitàche, per di più, ci aiutano a valoriz-zare proprio tali tradizioni. Inoltre, ilnostro impegno e la nostra ricercanon vengono mai meno, neppurequando il numero di persone da ser-vire diventa veramente alto, comenei catering per le aziende, peresempio, dove tuttavia, manteniamolo stile del nostro servizio: basti pen-sare che la carne è tagliata e cotta almomento, cosa piuttosto rara neicatering. Naturalmente, offrire que-sto livello qualitativo comporta unaselezione degli impegni in calenda-rio, per raggiungere sempre i risul-tati che i clienti si aspettano da noi.

GIANNI MUZZARELLIpresidente del Gruppo Muzzarelli Ricevimenti, Sassuolo (MO)

LA FELICITÀ IN CUCINALA FELICITÀ IN CUCINA

Gianni Muzzarelli

Uno scorcio del Ristorante Leon d’Oro di Sassuolo

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Il trimestrale

LA CITTÀLA CITTÀ

DEL SECONDODEL SECONDO

RINASCIMENTORINASCIMENTO

è in venditapresso le librerie di:

BolognaFeltrinelli

v. dei Mille 12/A/B/CTel. 051 240302

Il secondo rinascimentovia Porta Nova 1/a

Tel. 051 228800

CarpiLa Fenice

via Mazzini 15Tel. 059 641900

ForlìMondadori

c.so della Repubblica 63Tel. 0543 35920

MilanoFeltrinelli

v. Manzoni 12Tel. 02 76000386

ModenaFeltrinelli

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PadovaFeltrinelli

v. San Francesco 7Tel. 049 8754630

ParmaFeltrinelli

v. della Repubblica 2Tel. 0521 237492

RavennaFeltrinelli

v. IV novembre 5/7Tel. 0544 34535

Reggio EmiliaLibreria del Teatro

v. Crispi 6Tel. 0522 438865

RovigoLibreria Spazio LibriCorso del Popolo 142

Tel. 0425 422527

UdineLa Tarantola

v. Vittorio Veneto 20Tel. 0432 502459

UrbinoLa Goliardica

P.zza Rinascimento 7Tel. 0722 2588

Sono intervenuti nei precedenti numeri: Nabil Al Mureden, Felice Accame, Francesco Amato, GiorgioAntonucci, Fernando Arrabal, Alessandro Atti, Giovanni Azzaroni, Antonio Baldassarre, Bachisio Bandinu,Anna Barbolini, Renato Barilli, Francesca Baroni, Fausto Battini, Gary S. Becker, Stefano Benassi, MaurizioBendandi, Francesco Benvenuti, Joseph Berke, Claudio Bertolazzi, Stefano Betti, John Bloch, Pietro Blondi,Simona Bonciani, Mario Boetti, Marco Bongiovanni, Alberto Borghi, Filippo Borghi, Stefano Borghi,Giovanni Bracchetti, Cesare Breveglieri, Gino Buccella, Vladimir Bukovskij, Marco Buriani, Roberto Busa S.J., Enzo Busatta, Marco Cammelli, Ruggero Campagnoli, Ivonne Capelli, Paolo Capuzzi, Massimo Casolari,Ennio Cavalli, Roberto Cecchi, Leonardo Celestra, Roberto Cestari, Ruggero Chinaglia, Aldo Cicinelli,Michael Cimino, Ferdinando Cionti, Luigi Coghi, Elisabetta Costa, Ornella Cucumazzi, Antonio Curti,Roberto F. da Celano, Enrico Corsini, Cristina Dallacasa, Sergio Dalla Val, Roberto De Caro, Flavio Delbono,Alfredo De Paz, Giuseppe Di Federico, Assia Djebar, Dong Chun, Peter Duesberg, Shirin Ebadi, VincenzoEusebi, Paolo Fabbri, Franchino Falsetti, Luciano Fecondini, Giovanni Ferrari, Vittorio Fini, Rita Fiore,Emilio Fontela, Piero Formica, Stefano Frascari, Carlo Frateschi, Cristina Frua De Angeli, Claudio Galli,Francesco Gandolfi, Giuliano Gardi, Leonardo Giacobazzi, Claudio Gibertoni, Sara Giordano, AndréGlucksmann, Iader Gollini, Marcella Gollini, Enrico Grani, Rolando Gualerzi, Isabella Gualtieri, BenitoGuerra, Guidalberto Guidi, Otto Hieronymi, Noam Hirsch, Aleksandr Jakovlev, Abbas Kiarostami, EvgenijKiselëv, Boris Kurakin, Ettore Lariani, Domenico Lavermicocca, Giancarlo Lehner, Simona Lembi, MirellaLeonardi Giacobazzi, Zwi Lothane, Claudio Lucchese, Lisa Lucchini, Mauro Lugli, Giulia Luppi, MarcoMacciantelli, Luigi Mai, Marco Maiocchi, Anna Majani, Arturo Malagoli, Michele Malena, AlbertoMantovani, Manuele Marazzi, Carlo Marchetti, Leonardo Marchetti, Vincenzo Martino, Paolo Mascagni,Vittorio Mascalchi, Marcello Masi, Mauro Masi, Vittorio Mathieu, Sergio Mattia, Angelo Mazza, AntonioMazza, Giancarlo Mengoli, Virginio Merola, Lanfranco Messori, Sam Mhlongo, Massimo Michelini, RaduMihaileanu, Aurelio Misiti, Massimo Mola, Carlo Monaco, Giampaolo Montaletti, Francesco Montanari,Ruggero Montanari, Antonio Monti, Roberto Mori, Gianfranco Morra, Paolo Moscatti, Gian Luca Muratori,Marcello Napoleone, Marina Nemat, Giuliano Negrini, Silvia Noè, Michael Novak, Lara Oliveti, FedericoOlivi, Averardo Orta, Maria Donata Panforti, Davide Passoni, Luciano Passoni, Marcello Pecchioli, LuigiPellegrini, Shimon Peres, Stefania Persico, Riccardo Petrella, Alessandro Pezzoli, Jean-Marc Philippe, DinoPiacentini, Giorgio Pighi, Domenico Pilolli, Graziano Pini, Elserino Piol, Paolo Pontiggia, Giuseppe Pozzi,Francesco Rampichini, David Rasnick, Piero Ravaglia, Jeremy Rifkin, Gianni Rigamonti, Marco Righetti,Alain Robbe-Grillet, Davide Rondoni, Roberto Ruozi, Mina Salieri, Roberto Salimbeni, Mariella Sandri,Marco Sàssoli, Gregorio Scalise, Epaminonda Scaltriti, Valerio Scianti, Martin Scorsese, Giovanni Semprini,Alberto Sermoneta, Alessandra Servidori, Maria Grazia Severi, Angelo Sferrazza, Lucien Sfez, Shen Dali,Nadine Shenkar, Annalisa Signorile, Antonella Silvestrini, Carlo Sini, Robert Sirico, Carlo Alberto Sitta,Daniele Sitta, Barbara Sofer, Manuela Solci, Anna Spadafora, Joseph Stiglitz, Simone Storci, Mirella Sturaro,Donald Sull, Viktor Suvorov, Thomas Szasz, Ferdinando Tacconi, Enzo Tardino, Francesco Terrano, VitoTotire, Aldo Trione, Matteo Scaglietti, Michele Ugliola, Masaomi Unagami, Armando Valladares, MilviaVarani, Armando Verdiglione, Gianni Verga, Luigi Giuseppe Villani, Adam Zagajewski, Giovanni Zanasi,Guido Sante Zanella, Aldo Zechini D’Aulerio, Stefano Zecchi, Sandra Zinelli, Carlo Zucchini.

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