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LA CHIESA DI MATER MISERICORDIAE LA CHIESA DI VETRO di BARANZATE Raccolta di appunti e documenti a cura di: Dott. Fabio Brandinali, Arch. Elisa Sogni, Giusi M. Bianchini. Si ringraziano per il materiale pubblicato e fornito: Prof.ssa Laura Facchin, Arch. Giulio Barazzetta Arch. Marco Borsotti Dott. Giuseppe Frangi

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LA CHIESA DI MATER MISERICORDIAE

LA CHIESA DI VETRO

di BARANZATE

Raccolta di appunti e documenti a cura di:

Dott. Fabio Brandinali, Arch. Elisa Sogni, Giusi M. Bianchini. Si ringraziano per il materiale pubblicato e fornito:

Prof.ssa Laura Facchin, Arch. Giulio Barazzetta Arch. Marco Borsotti Dott. Giuseppe Frangi

La chiesa di N.S. della Misericordia è stata costruita nel 1958 a cura degli architetti Angelo

Mangiarotti e Bruno Morasutti e dell’ing. Aldo Favini. Venne inaugurata dal cardinale Montini,

divenuto in seguito Papa Paolo VI.

E’ dedicata a Maria, Madre della misericordia poiché nell’anno in cui è stata costruita ricorreva il

centenario dell'apparizione della Madonna a Lourdes.

Siamo nell’epoca del dopoguerra, all'inizio del boom economico, cioè di un processo che in dieci

anni trasformò l'Italia da paese prevalentemente agricolo -sostanzialmente sottosviluppato - in un

moderno paese industrializzato.

Per la costruzione della chiesa vengono utilizzati materiali innovativi che segnano una rottura con la

tradizione del XX secolo come il cemento armato per quattro colonne portanti e le due travi

trasversali che costituiscono insieme le uniche parti gettate in opera, il ferro, il vetro per le pareti

ed elementi prefabbricati a forma di X per il tetto.

E’ un opera d'arte moderna che vanta foto pubblicate nelle riviste di architettura di tutto il mondo ed

è tuttora oggetto di studio da parte di architetti e designer; dal 2002 è sotto la tutela del Ministero

per i Beni e le Attività Culturali.

All’esterno la chiesa è circondata da un muro di

sassi e cemento grezzo e ruvido con una duplice

funzione: di contrasto con le pareti lisce e

vetrate della chiesa e di sostegno ai bassorilievi

raffiguranti le 14 stazioni della Via Crucis,

opera dello scultore Gino Cosentino (1916-2005).

CHIESA PARROCCHIALE DI

N.S. DELLA MISERICORDIA

VIA CONCILIAZIONE 22/24

Tra il muro e la chiesa vi sono zone a prato ad inclinazione variabile.

L'interno è costituito da un'unica aula con le pareti in vetro opacizzato appoggiate al pavimento e

fissate alla struttura portante in soli quattro punti in corrispondenza delle travi trasversali principali.

Le dimensioni del volume vetrato sono di mt. 14,34 x 28,60 con altezza di mt. 10.

Sono entrambi ambienti bui, freddi ed umidi e salendo le scale si nota immediatamente il contrasto

con la luce e la luminosità della chiesa e con la statua sospesa del Cristo, opera lignea di fine

Quattrocento, che rappresenta la salvezza e la redenzione dal peccato.

L’altare in marmo verde di Levanto è di tipo ambrosiano con il celebrante rivolto verso i fedeli.

Il pavimento della chiesa è sopraelevato

di m. 2,20 rispetto al piano di campagna

ed è alla stessa altezza della sommità del

muro esterno.

Entrando in chiesa dall'ingresso principale si trova a

destra, il battistero con un’unica fonte di luce naturale

proveniente dalla vetrata esterna, la cui posizione sta a

simboleggiare il ventre materno e a sinistra, la cripta in

cui si trova una statua cava di legno raffigurante la

Madonna con il Bambino del ‘600.

In fondo c’è l’ingresso per le solennità e le cerimonie costituito da un pannello di vetro montato su

un telaio metallico apribile dall’interno. Sopra di esso, nella cantoria, rialzata rispetto al resto della

chiesa possiamo vedere l’organo costruito dalla ditta Tamburini di Crema nel 1960. E’ uno

strumento a trasmissione elettrica con due tastiere di 60 tasti e pedaliera completa di 30 note, cassa

aperta con canne a vista ed adatto all'interpretazione della musica del '900 e contemporanea.

Il campanile - opera dell'architetto Morassutti - costruito anch'esso pensando alla luce e alla

semplicità, consiste in una struttura che disegna cinque cubi sovrapposti dei quali l'ultimo contiene

le campane e gli altri la scala a chiocciola per mezzo della quale vi si accede.

Nel giugno 1979 alcune vetrate sono state rotte a sassate e in un secondo tempo una bomba carta,

gettata all'interno della chiesa, dà origine ad un incendio che coinvolge parte della cantoria ed

alcuni pannelli di polistirolo espanso collocati tra le lastre in vetro. Nell'anno successivo furono

completati i lavori di restauro tuttora visibili, comprendenti la sostituzione di tutte le vetrate esterne

con lastre infrangibili in plexiglass e l'inserimento di fogli di politene come isolante termico, al

posto del polistirolo espanso.

LEZIONE DI FORMAZIONE Tenuta dalla Prof.ssa Laura Facchin La chiesa di N.S. della Misericordia è stata costruita nel 1958. Si tratta di una chiesa in cui non si ritrova la struttura tradizionale. Questa chiesa, chiamata anche “Chiesa di vetro” è vincolata sotto la tutela della soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici, in quanto è un edificio importante nella storia della diocesi milanese del secondo dopoguerra, ed è un elemento di spicco nella storia delle architetture ecclesiastiche.

La chiesa fu realizzata tra il 1957 e il 1958 da un team composto da due architetti - Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti - da un ingegnere - Aldo Favini - e da un artista - Gino Cosentino, che ne curò sia la progettazione degli esterni sia l’arredo liturgico interno, mentre la costruzione del campanile a cura dell’arch. Morassutti è del 1980. Il team di progettisti lavorò in stretto contatto nella realizzazione della chiesa, affinché tutte le manifestazioni architettoniche e artistiche fossero coerenti.

Per capire la nascita di questo edificio e comprenderne la struttura e la morfologia è fondamentale conoscere il contesto in cui fu costruita. Nel 1943 ci furono i bombardamenti che distrussero interi quartieri milanesi. Al termine del conflitto mondiale, due vescovi di Milano si fecero promotori della campagna di ricostruzione delle chiese: Schüster e Montini. Da questa campagna emergeva la consapevolezza del clero di una crescente laicizzazione e distacco dei cittadini dal luogo di culto, dovuta alla brutale industrializzazione della società. Il particolare l’arcivescovo Montini, colui che poi divenne papa Paolo VI, volle fortemente che nella ricostruzione degli edifici ecclesiastici ci fosse un dialogo tra l’arte sacra e l’arte e architettura contemporanea. L’arte e l’architettura contemporanea infatti, prive di decorazioni ornate, al passo con i tempi, erano più predisposte alla comunicazione del fatto sacro, riuscendo nella loro semplicità a far riaffiorare la simbologia liturgica.

planimetria della chiesa inserita nel contesto

La chiesa di vetro era destinata ad un quartiere di nuova conformazione contemporanea, formato in un periodo in cui Baranzate subì un fortissimo incremento demografico dovuto al benessere economico. Era risentita l’esigenza di una nuova chiesa parrocchiale, in

quanto la chiesa più vicina si trovava a Bollate, ed una chiesa moderna era in grado di rispettare il linguaggio morfologico del nuovo quartiere in cui sarebbe sorta. L’architettura e l’arte contemporanea al tempo stesso, nella loro semplicità, hanno permesso di mettere in evidenza gli elementi più sottili di rimando al luogo di culto, di richiamo alle origini cristiane.

Questi elementi, che richiamano fortemente l’idea della rinascita ed il recupero delle origini cristiane li possiamo vedere:

� nello spazio antistante la chiesa, delimitato dalla recinzione in calcestruzzo e ciottoli di fiume, richiama il nartece paleocristiano, luogo in cui, alle origini della cristianità, i fedeli non ancora battezzati potevano partecipare al culto;

� nelle 14 stazioni della via Crucis, sia quella esterna addossata alla recinzione in muratura (realizzata tra il ‘58 e il ’63), quella interna costituita da formelle in cotto (realizzate negli anni ‘70), opere dell’artista Cosentino, artista che ha partecipato anche al movimento dell’astrattismo, che quindi ha saputo rappresentare l’essenzialità del messaggio stramite la stilizzazione;

La tredicesima stazione della via Crucis esterna: GESU’ E’ DEPOSTO DALLA CROCE

nell’essenzialità dell’opera emergono le espressioni dei pesonaggi

- nella tipologia dell’ingresso, non un ingresso aulico, tramite cui si accede direttamente all’aula dei fedeli, ma attraverso il passaggio accanto al fonte battesimale e alla cripta, rispettivamente simbolo di nascita e morte. Il battesimo è il primo dei sette sacramenti per accedere alla cristianità, attraverso il quale poi si può salire verso la spiritualità;

- nell’aula dei fedeli, dove ci si ritrova in un ambiente insolito a chi è abituato alla prospettiva tradizionale: si tratta di un’unica navata, non vi sono cappelle laterali, è priva di elementi decorativi aggiunti. Gli elementi decorativi sono le stesse strutture semplici e modulari che con il loro ripetersi creano la decorazione, trasmettendo la semplicità del cristianesimo, come ad esempio il vetro bianco che, attraversato dal sole, trasmette i significato della luce, della purezza di Dio Trattasi di elementi prefabbricati, prima sperimentati nei cantieri produttivi e navali, che successivamente cominciano ad essere utilizzati anche per l’edilizia residenziale;

- nell’unico altare, in marmo verde di Levanto, pensato per i fedeli, che porta una valenza innovativa per una chiesa del 1958. Infatti in quel periodo l‘altare era ancora concepito affinché il sacerdote fosse rivolto come i fedeli, verso l’altare, volgendo le spalle all’aula. In questo ambito vi è un significativo rapporto con il passato, in particolare con il culto ambrosiano, dove vi era la possibilità di rivolgere il celebrante verso i fedeli, cosa che fu poi imposta dal Concilio Vaticano Secondo nel 1962;

- nel tabernacolo, che non è posto al di sopra dell’altare, ma qui si trova solato sullo sfondo, richiamando l’antichità, dove era situato in una nicchia alle spalle del presbiterio.

Circondato dall’essenza della modernità si trova l’elemento più antico costituito dal cristo in croce risalente al ‘400, scultura lignea policroma. Privo di vita, con gli occhi chiusi, la testa inclinata, un chiodo per mano, un solo chiodo sui piedi sovrapposti sono caratteristiche tipiche del basso medioevo. La scultura è lievemente sproporzionata, la testa e il busto sono più grandi rispetto il resto del corpo, perché concepita per essere vista dal basso. Il volto è più curato, perché particolarmente rifinito nella lavorazione, ma risulta anche la parte più curata negli anni.

Questa scultura è opera di un artista lombardo perché vi si denotano le caratteristiche influenze fiamminghe del periodo, influenze dovute al flusso commerciale del periodo e che si possono rincontrare nel tipo di resa dell’anatomia: il busto scavato, le costole sporgenti sono elementi tipici dell’iperealismo dell’arte delle Fiandre.

Sull’architrave dell’ingresso è incisa la scritta MATER MISERICORDIAE: Madonna della misericordia. E’ dedicata a Maria, Madre della misericordia poiché nell’anno in cui è stata costruita ricorreva il centenario dell'apparizione della Madonna a Lourdes.

La scultura presente nella cripta è una scultura lignea policroma (legno dipinto), rappresentante le madonna col bambino o madonna del latte, in quanto raffigurata con il bambino in braccio, di spalle, nell’atto di allattarlo, risalente alla prima metà del ‘600 e probabilmente proveniente dall’ex-chiesetta. La devozione alla madonna del latte era molto sentita nel territorio attorno a Baranzate, nella post riforma fine ‘500/inizio ‘600, come si può constatare anche dal santuario dedicato alla Madonna presente a Cesate. La scultura è cava su retro, per risultare più leggera e lavorabile, e quindi concepita per essere ammirata frontalmente. La delicatezza dei lineamenti del viso, il raffinato nodo della cuffia e il panneggio delle vesti hanno un rimando alla classicità romana. Quest’opera si inserisce nella cultura dei Prestinari, famiglia di scultori che lavoravano prevalentemente su pietra e legno, e che hanno partecipato attivamente alla fabbrica del Duomo di Milano, ma l’espressione de viso richiama direttamente la cultura leonardesca. Durante la sua permanenza a Milano, Leonardo da Vinci fu affiancato da numerosi collaboratori che assimilarono le doti pittoriche del Genio e contribuirono a diffondere e perpetuarne le caratteristiche.

La torre campanaria, realizzata nel 1980, è composta da una maglia di ferro divisa in sei blocchi (un basamento, un reticolo di quattro elementi ed infine il campanile), all’interno dei quali si snoda una scala elicoidale in ferro. Fu conclusa dall’arch.Morassutti quando ormai lavorava solo, ed è una struttura autonoma e indipendente.

Nel giugno 1979 alcune vetrate sono state rotte a sassate e in un secondo tempo una bomba carta, gettata all'interno della chiesa, dà origine ad un incendio che coinvolge parte della cantoria ed alcuni pannelli di polistirolo espanso collocati tra le lastre in vetro. Nell'anno successivo furono completati i lavori di restauro tuttora visibili, comprendenti la sostituzione di tutte le vetrate esterne con lastre infrangibili in plexiglass e l'inserimento di fogli di politene come isolante termico, al posto del polistirolo espanso. La Chiesa di Vetro è sotto vincolo artistico dal 2002. Qualunque modifica deve essere autorizzata dalla soprintendenza, al fine di mantenerne l’autenticità e il rispetto dello spirito originario del progetto. Lo stato di degrado degli elementi è dovuto ai nuovi materiali utilizzati, innovativi sperimentali durante il periodo di costruzione e di cui non si conoscevano ancora le modalità di deperimento negli anni. Il progetto di restauro della chiesa risulta lungo e dispendioso in quanto dovrà tener conto della linea di pensiero con cui è stato concepito il progetto, comprensivo degli aspetti cromatici, per non andare ad alterare la purezza che l’edificio trasmette quando il suo involucro bianco latte viene attraversato dai raggi del sole.

GLOSSARIO:

Tabernacolo: arredo - edicola chiusa ed elevata posta nel centro dell’altare ove si conservano le ostie consacrate.

TABERNACOLO SEMPLICE TABERNACOLO GOTICO

Presbiterio: parte terminale della chiesa, in corrispondenza della navata centrale, spesso sopraelevata, riservata al clero per le funzioni religiose. Cripta: ambiente ipogeo (sotterraneo) che di solito si trova sotto al presbiterio, dove solitamente vengono conservate le reliquie dei santi.

Cappella: piccolo edificio isolato con finalità di sepoltura o

oratorio privato nei palazzi e nelle chiese. All’interno delle chiese è in vano annesso ai fianchi dell’edificio o nel capocroce della chiesa.

Nartece: vestibolo trasversale posto innanzi alla chiesa.

Transetto: in una chiesa a pianta basilicale è la navata trasversale che taglia il corpo longitudinale inserito tra le navate e l’abside.

Abside: spazio estremo della chiesa cristiana, che conclude il corpo architettonico, con fini religiosi e liturgici. E’ l’elemento fondamentale nell’architettura religiosa cristiana.

Navata/e: porzione longitudinale dell’edificio ecclesiastico, delimitata da sostegni tratta dell’impianto basilicale, che conduce dalla porta d’entrata verso la parte absidale. La chiesa a più navate possiede: o una navata principale che marca l’asse mediano dell’edificio;

o due, quattro, navate laterali o navatelle, disposte ai lati di quella centrale.

LA VIA CRUCIS

Originariamente la vera Via Crucis comportava la necessità di recarsi materialmente in

visita presso i luoghi dove Gesù aveva sofferto ed era stato messo a morte. Dal momento

che un tale pellegrinaggio era impossibile per molti, la rappresentazione delle stazioni

nelle chiese rappresentò un modo di portare idealmente a Gerusalemme

ciascun credente. Le rappresentazioni dei vari episodi dolorosi accaduti lungo il percorso

contribuivano a coinvolgere gli spettatori con una forte carica emotiva.

La Via Crucis, o Via della Croce, è nata dal desiderio di ripercorrere spiritualmente insieme

a Gesù la via che l'ha condotto dal pretorio di Pilato al sepolcro.

Le «14 Stazioni» corrispondono a 14 episodi presi dal Vangelo, di cui è qui riportata la

citazione dei testi biblici.

Prima Stazione:

Gesù è condannato a morte.

Tutto il popolo disse: «Il Suo Sangue ricada sopra noi e sopra i nostri figli!». Allora Pilato liberò

Barabba e consegnò Gesù ai soldati perché fosse croci. fisso (Mt. 27,, 2526).

Seconda Stazione:

Gesù è caricato della Croce

Presero dunque Gesù e lo condussero via. Ed Egli, portando la Croce, uscì verso il luogo chiamato

Calvario, in ebraico Golgota (Gv. 19,16-17).

Terza Stazione:

La prima caduta.

Il Signore fece ricadere su di Lui l'iniquità di noi tutti ed Egli ha portato il peccato della moltitudine

(Isaia 15, 6 e 12).

Quarta Stazione:

Gesù incontra sua Madre.

Guardate e vedete se c'è un dolore simile al mio! (Lam. 1, 12).

Quinta Stazione:

Gesù aiutato da Simone di Cirene.

Nell'uscire trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e i soldati lo costrinsero a portare la

Croce di Lui (Mt. 27,1-32).

Sesta Stazione:

La Veronica asciuga il Volto di Gesù.

Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, familiare con il patire, come uno davanti al

quale ci si copre la faccia (Isaia, 53, 2-3).

Settima Stazione:

La seconda caduta.

Io sono prostrato nella polvere; dammi vita secondo la tua parola! (Sal 118, 25).

Ottava Stazione:

Gesù incontra le pie donne.

Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di

lui. Ma Gesù, voltatosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma

su voi stesse e sui vostri figli» (Lc. 23, 27-29):

Nona Stazione:

La terza caduta.

Gesù Cristo. pur essendo di natura divina umiliò se stesso, rendendosi obbediente fino alla morte

e alla morte di croce: per questo Dio lo ha esaltato (Fil. 21 5-9).

Decima Stazione:

Gesù spogliato delle vesti.

Io sono un verme e non un uomo, infamia degli uomini e rifiuto del mio popolo. Quelli che mi

vedono mi scherniscono. mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti e sulla mia tunica

hanno gettato la sorte (Sal 21).

Undecima Stazione:

Gesù è inchiodato alla Croce.

E giunsero al luogo detto Golgota, che tradotto significa luogo del teschio. Gli offersero del vino

con mirra, ma Egli non ne prese. Poi lo crocifissero. Era l'ora terza quando lo crocifissero. Gesù

diceva. «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!» (Mc. 15, 22-25; Lc. 23, 34).

Dodicesima Stazione:

Gesù muore in Croce.

Era verso mezzogiorno quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del

pomeriggio. Gesù. gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!». E,

detto questo, spirò (Lc. 23, 45-46).

Tredicesima Stazione:

Gesù è deposto dalla Croce.

Uno dei soldati gli trafisse il costato con la lancia: e subito ne uscì sangue e acqua... Poi Giuseppe

d’ Arimatea, comprato un lenzuolo, calò Gesù dalla Croce (Gv. 19, 34; Mc. 15, 46).

Quattordicesima Stazione:

Gesù è sepolto.

Giuseppe d'Arimatea, avvolse Gesù nel lenzuolo e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia.

Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro (Mc. 15,46).

APPROFONDIMENTI

APPROFONDIMENTI PER LA STORIA DELLA CHIESA DELLA MADONNA DELLA

MISERICORDIA DI BARANZATE

Stralci dal discorso pronunciato dal cardinale e arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI) in occasione dell’inaugurazione della chiesa della Madonna della Misericordia di Baranzate: “È possibile che il Vescovo benedica una chiesa così? È possibile perché io scorgo nella nuova costruzione un profondo simbolismo [...] Anche il vetro, che per la sua luminosità significa la luce di Dio e il calore dell’amore divino, può ben essere usato nella costruzione di un edificio sacro. [...] La religione, quando è viva, non solo non esclude la novità, ma la vuole, la esige, la ricerca, la sa ricavare nell’anima. [...] Io sono qui a tendere le braccia a tutte le novità, purché la novità non sia capriccio o frutto d’ignoranza”. (Tratto da: Cecilia De Carli, 1945-1963 Il tema architettonico della chiesa negli episcopati di Schuster e Montini, in Le nuove chiese della diocesi di Milano 1945-1993, a cura di Cecilia De Carli, Vita e Pensiero, Milano 1994, p. 64, con rimando a G. B. Montini, Tra le pareti di cristallo, in Le sue chiese, a cura del Comitato Nuove Chiese di Milano, Milano 1964, p. 57) BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI ATTIVI PER LA CHIESA DELLA MADONNA DELLA

MISERICORDIA DI BARANZATE

Gino Cosentino

Gino Cosentino nacque nel 1916 a Catania, dove trascorse l'infanzia e compì gli studi. Adolescente, iniziò a dipingere da autodidatta, manifestando una vocazione che la famiglia non incoraggiò. Nel 1937 iniziò il sevizio militare e al termine della ferma fu trattenuto a causa dell'approssimarsi del conflitto mondiale. Intanto conseguì la laurea in Scienze economiche. L'8 settembre 1943 lo colse a Novara, in convalescenza per un'ulcera gastrica. Si rifugiò ad Alba e quindi a Casale Monferrato, dove viveva la famiglia di Eugenia Lupano, la sua prima compagna, che di li a poco sposerà. A Casale frequentò lo scultore Capra, allievo di Bistolfi. Eugenia lo sostenne e lo incoraggiò nella determinazione di iscriversi all'Accademia di Belle Arti di Venezia, dove conobbe e apprezzò Arturo Martini, che ne seguì la formazione e ne indirizzò lo studio. Conseguì il diploma accademico nel 1946, l'anno della sua prima mostra personale a Milano, con presentazione di Beniamino Joppolo, città dove poi si trasferì. Qui si stabilì in una baracca che si costruì da sé nel cortile di una caserma diroccata in via Olona. Il pittore Aligi Sassu lo aiutò a realizzare un forno per la cottura della ceramica, con cui iniziò la produzione di oggetti di vario genere. Nel 1949 nasce la figlia Isabella. Nel 1951 la capanna venne distrutta da un incendio sviluppatosi in un vicino deposito di stracci. Nell'incidente furono perdute quasi tutte le opere, ma Cosentino ricordò l'episodio quasi con soddisfazione: "Finalmente mi sono liberato e posso iniziare qualche cosa di nuovo...". Quindi tornò provvisoriamente a Casale Monferrato. Gli anni che seguirono appaiono decisivi per la vita dell'artista. Nel 1956 comparse un primo album monografico sulla sua opera. Nel 1958 realizzò la Via Crucis per la chiesa di Baranzate, progettata dagli architetti Mangiarotti e Morassutti. In questo periodo lavorò in uno studio affittato in una grande villa a Intra, sul lago Maggiore. Sempre in questi anni si consumò il distacco dalla moglie e nacque un'affettuosa amicizia tra Gino e Maria Teresa, la giovane figlia dei proprietari della villa di Intra, dal curioso soprannome "Pim". Quando si trasferì a Milano, Pim lo seguì, divenendo la compagna della sua vita per tutti gli anni a venire. Nei primi anni Settanta Cosentino intensificò la collaborazione con vari architetti (Invernizzi, Farina Morez, Nelly Kraus) e realizzò diverse decorazioni per pilastri, facciate e recinzioni, sia in pietra che in calcestruzzo, a Milano e a Bergamo. Nel 1970 trasferì lo studio in via Watt 5, sempre a Milano, in un capannone industriale dove lavorò per il resto dei suoi giorni.

Le mostre si fecero frequenti e culminarono nella personale del 1975 alla Rotonda di via Besana, organizzata dal Comune di Milano e ordinata dall'architetto Fragapane. Con questa mostra, che gli valse lusinghieri consensi, si ruppe il silenzio della critica attorno alla sua opera. La produzione astratta toccò il culmine con la realizzazione del grande monumento ai caduti di Lodivecchio nel 1981. La presenza di temi figurativi nella pittura, già all'inizio degli anni Settanta, fu il preludio per il ritorno della figura anche in scultura, di cui si avvertirono chiaramente i sintomi alla fine dello stesso decennio. L'ultima mostra di opere astratte è del 1984. Da allora si dedicò soprattutto alla pietra, realizzando sculture di notevole impegno, come quelle per la chiesa di San Pier Giuliani a Baggio (1987) o quelle esposte nell'importante mostra di scultura contemporanea alla Permanente di Milano nel 1990 e le grandi sculture in travertino realizzate per la mostra "Trent'anni da Sem" a Marina di Pietrasanta. Nel 1998 tre grandi sculture vengono installate nella nuova facoltà milanese di Ingegneria Aereonautica. Due anni più tardi, nel 2000, viene istituita la Fondazione "Gino e Isabella Cosentino" di cui resterà presidente fino alla fine dei suoi giorni. Nel 2002, in occasione della grande mostra antologica alla Basilica romanica di S. Celso, la Fondazione ricevette un riconoscimento dalla regione Lombardia. Negli ultimi tempi si accentuò l'interesse per la pittura, anche a causa della età e degli acciacchi fisici. Continuò a dipingere fino a due giorni prima della sua morte, che lo colse nella sua casa a Milano il 19 giugno 2005. Per dettagliate indicazioni sulle sue opere: www.ginocosentino.com Angelo Mangiarotti

Nasce a Milano il 26 Febbraio 1921. Nel 1948 si laurea in architettura al Politecnico della stessa città. Negli anni 1953-1954 svolge attività professionale negli Stati Uniti partecipando, tra l’altro, al concorso per il “LOOP” di Chicago. Durante questo periodo di permanenza all’estero conosce Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Mies van der Rohe e Konrad Wachsmann. Nel 1955 di ritorno dagli Stati Uniti, apre uno studio a Milano con Bruno Morassutti fino al 1960. Nel 1989 dà vita al Mangiarotti & Associates Office con sede a Tokyo. Dal 1986 al 1992 è art director della Colle Cristalleria. Mangiarotti affianca all’attività professionale, le cui opere sono pubblicate su libri, riviste specializzate e quotidiani, una intensa attività didattica svolta nelle Università italiane ed estere. Nel 1953-1954 è visiting professor all’Institute of Design dell’Illinois Institute of Tecnology a Chicago; nel 1963-1964 tiene un corso all’Istituto Superiore di Disegno Industriale di Venezia; nel 1970 è visiting professor all’University of Hawaii; nel 1974 all’Ecole Politecnique Fédérale di Losanna, nel 1976 all’Univesity of Adelaide e al South Australian Institute of Technology di Adelaide; nel 1982 è professore a contratto presso la Facoltà di architettura di Palermo; nel 1983 è professore supplente presso la cattedra di Composizione alla Facoltà di Architettura di Firenze, nel 1989-90 è professore a contratto presso la Facoltà di Architettura di Milano; nel 1997 è professore a contratto presso il corso di laurea in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Tiene numerosi seminari e conferenze a livello internazionale. L’attività progettuale di Mangiarotti, i cui fondamenti teorici sono stati espressi nel libro intitolato “In nome dell’architettura” e pubblicato nel 1987, tende ad evidenziare le caratteristiche intrinseche di ogni oggetto, in quanto solo una progettazione “oggettiva” è in grado di evitare prevaricazioni nei confronti della propria utenza per diventare invece riconoscibile collettivamente. Il linguaggio architettonico diventa l’espressione di un nuovo rapporto tra uomo e ambiente, mentre nell’attività di designer Mangiarotti riserva un ruolo molto importante alla ricerca plastica. Obiettivo della sua ricerca, condotta sempre nel rigoroso rispetto delle caratteristiche della materia, è la definizione della forma dell’oggetto come qualità della materia. L’attività progettuale è contrassegnata da numerosi riconoscimenti sia nel campo del design che in

quello delle costruzioni. Nel 2009, ancora in piena attività, riceve il Premio Architetti Verona, dopo una lunga serie di riconoscimenti che vede anche per un Compasso d’Oro ADI alla carriera. Nello stesso anno la Casa del Mantenga a Mantova ospita un’importante retrospettiva a lui dedicata dal titolo Scolpire/Costruire. www.studiomangiarotti.com (per l’elencazione di tutte le sue opere). Bruno Morassutti

È nato a Padova nel 1920; dopo la laurea a Venezia (1946), completa la sua formazione con un’esperienza di un anno a Taliesin nella comunità studio di F. L. Wright e si afferma come professionista negli anni cinquanta aprendo uno studio a Milano (1955) con Mangiarotti con cui ha lavorato sino al 1962. A lungo intreccia l’attività professionale, caratterizzata da un inesauribile spirito di sperimentazione e ricerca sui temi della prefabbricazione e studio di moduli e componenti edilizi, anche con gli architetti Memoli, Gussoni e Favini, spaziando dalla progettazione architettonica all’urbanistica e al design. Tra le sue opere si ricordano il progetto per il grattacielo cilindrico per uffici nel porto di Genova (1955), le case per vacanze di San Martino di Castrozza (1957 e 1964-65), la Chiesa Mater Misericordiae di Baranzate, Milano (1957), il condominio di Via Quadronno (1959-60), la ‘casa senza pareti’ di Termini Sorrento, Napoli (1963-64), il centro Istruzione IBM di Novedrate (1970-74) e il premio In/Arch Domosich per la ricerca su un’unità di abitazione prefabbricata per 315 alloggi del 1963 (con Enzo Mari). Particolarmente significativa è la presenza di opere dell’architetto realizzate in Veneto, a Padova (edifici industriali, residenziali e universitari), a Longarone e a Belluno. Nel corso della sua carriera, Morassutti ha scritto articoli sulle principali riviste di architettura. Tra questi si segnalano in particolare quelli usciti su “Domus” nel 1955 e nel 1959 sull’opera di Frank Lloyd Wright. Muore nel 2008. L’archivio, ceduto all’Archivio Progetti su iniziativa dello stesso architetto e, dopo la sua morte, per volere della moglie e dei figli, documenta l’attività professionale di Morassutti a partire dal 1950. Esso comprende disegni, modelli, documenti, fotografie e una raccolta di riviste e articoli nei quali sono state pubblicate le opere dell’architetto. La documentazione è stata recentemente trasferita presso l’Archivio Progetti, dove prossimamente sarà sottoposta alle necessarie operazioni di ordinamento, inventariazione e schedatura, prima di essere resa disponibile alla consultazione degli studiosi e fatta conoscere al pubblico. La figura e l'opera di Morassutti hanno acquisito negli ultimi anni un apprezzato rilievo critico, imponendosi all'attenzione della cultura architettonica contemporanea. La particolarità della sua formazione, gli esordi della carriera professionale, le opere realizzate con Mangiarotti e Favini, le sue architetture costruite e progettate dagli anni sessanta ad oggi e infine lo stesso modo di condurre la progettazione sono i motivi di un interesse che ha coinvolto architetti e ricercatori ad occuparsene. Il volume Bruno Morassutti 1920-2008 opere e progetti è uscito alla fine del 2009 per le edizioni Mondadori Electa, raccoglie i punti di vista e gli studi, avviati assieme a Bruno Morassutti attorno all’ordinamento dell’archivio, i testi e le schede delle opere di Giulio Barazzetta, Roberto Dulio, Nicola Agazzi, Claudio Camponogara, Elena Demartini, Federico Ferrari, Adriana Filieri, Roberta Martinis, Stefano Poli, Augusto Rossari, Francesco Scullica. Aldo Favini Nato nel 1916 a Varallo Pombia (NO), formatosi a Roma e attivo a Milano dal dopoguerra, Aldo Favini è una figura importante dell’ingegneria italiana contemporanea; insieme a Silvano Zorzi e Riccardo Morandi ha introdotto la cultura e la pratica del cemento armato precompresso, contribuendo in modo determinante allo sviluppo della prefabbricazione in Italia. Nel suo lavoro forma e struttura, architettura e ingegneria, progetto e costruzione sono intesi come parti fortemente complementari di una medesima concezione. Il rapporto formativo con alcuni dei protagonisti dell’architettura e dell’ingegneria italiane, Rogers e Colonnetti, lo ha condotto a esperienze di progettazione in stretta collaborazione con architetti come Mangiarotti e Morassutti, Nizzoli e

Oliveri, Portoghesi ed altri, oltre che a praticare la propria attività di progettista e di costruttore. Nel 2006, la Facoltà di Architettura "Aldo Rossi" di Cesena, nell’ambito di una più vasta operazione di scambi culturali con le altre Facoltà italiane di Architettura, ha ospita - presso la sede espositiva della cesenate Chiesa dello Spirito Santo - la mostra Aldo Favini, architettura e ingegneria in opera, organizzata dal Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile, Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura.

MILANO. Centotrentacinque cantieri per le nuove chiese

Libere e semplici. Le chiese secondo Montini

Erano gli anni della grande immigrazione. Appena nominato arcivescovo di Milano, Montini chiamò i maggiori architetti del tempo per la costruzione delle nuove chiese. Con coraggio e con devozione di Giuseppe Frangi

Giovanni Battista Montini durante la posa della prima pietra della chiesa di San Michele Arcangelo in Mater Dei, in zona viale Monza, Milano, nel 1961

Quel 6 gennaio 1955 era una giornata fredda e piovosa. Era la data fissata per l’ingresso del nuovo arcivescovo di Milano in città. Nonostante le condizioni del tempo, Giovanni Battista Montini volle fare il tragitto che lo attendeva verso il Duomo a macchina scoperta, per raccogliere il saluto dei suoi fedeli. Un frangente che l’arcivescovo avrebbe ricordato con precisione molto tempo dopo: «Quando, or sono quasi sette anni, varcando il confine della diocesi, mettevamo piede su questa terra benedetta, ci curvammo – era fredda e bagnata – a baciarla; ancor oggi la carità di quel bacio vuole essere nella nostra fatica». Sette anni dopo. Era il 12 novembre 1961 e Montini chiudeva così il discorso con cui lanciava la sua diocesi nell’impresa di costruire in pochi anni altre 22 chiese nuove. «Milano cresce, cresce; continuamente, rapidamente, oltre ogni previsione, oltre la nostra già tesa e già sofferente possibilità di pareggiare con la dovuta proporzione l’assistenza pastorale ai bisogni dei nuovi quartieri…», spiegava ai fedeli. Solo l’anno prima erano arrivate dalle regioni del sud 60mila persone, che si erano andate sistemando «in nuove e dilaganti zone abitate». Crescevano e si moltiplicavano i palazzi, si allungavano le strade, ma agli occhi del vescovo quella nuova Milano rischiava di restare un deserto in cui gli uomini erano abbandonati a sé stessi. La premura di Montini è semplicemente quella del pastore verso i suoi fedeli, non c’è nessuna ansia di garantirsi un’egemonia “culturale” nei nuovi quartieri: «Sentiamo il dovere di concorrere senza stanchezza e senza lamento, con civile e cristiana solidarietà, allo sviluppo eccezionale della nostra metropoli, offrendole l’assistenza religiosa e

morale di tante nuove parrocchie». Poi una sottolineatura amara: «Avremmo, sì, sperato che Milano, dalle sue storiche e grandi parrocchie e dal suo cuore cristiano e sensibile, apprestasse più impegno e copioso soccorso; e avremmo anche creduto che Milano, grande e ricca, favorita ora da una felice congiuntura economica, rendesse più spedito e lieto il nostro cammino». Invece non era andata così: la fatica di trovare le risorse e di mettere a punto quel vasto piano era caduta tutta sulle sue spalle: «Ma non ci dispiacerà di lavorare facendo della nostra povertà argomento di fiducia nella Provvidenza e negli uomini suoi ministri». Nell’arco dei suoi otto anni e mezzo a Milano, Montini mise in cantiere, e in gran parte portò a termine, ben 135 chiese in tutta la diocesi. Una strategia lanciata dal suo predecessore, il cardinale Schuster, e che il futuro Papa perseguì sentendo tutta l’urgenza di quel momento storico. La Chiesa apriva una nuova terra di missione in questi nuovi immensi agglomerati che sorgevano ai margini delle città. Era un percorso duro perché, prima di trovare i mezzi per costruire le nuove chiese, i parroci vivevano accampati, a volte in condizioni peggiori dei loro fedeli. «Io sono fiero di voi», disse loro Montini nel 1962, «fiero di avere sacerdoti che accettano la vita pastorale nelle vostre condizioni, che prendono come onore l’essere posti allo sbaraglio, con responsabilità formidabili, senza mezzi, quasi mendicanti in alloggi provvisori e disagiati. Questi giorni li ricorderete quando avrete la vostra chiesa e la parrocchia sarà formata… questa è la vostra fortuna: potrete creare liberamente la vostra parrocchia, dando importanza a quello che è essenziale nella vita religiosa: il dogma». In quell’avverbio “liberamente” c’è tutto l’approccio di Montini alla sfida delle nuove chiese. Nella Milano che in quegli anni vedeva in azione alcuni tra i più grandi talenti dell’architettura europea, l’arcivescovo decide di dar loro credito e di affidare loro alcuni importanti progetti. Montini insomma, a differenza del suo predecessore, sceglieva di aprire alla modernità. Le sue aspettative erano alte: «L’arte si appresta ai cantieri. Questo affacciarsi dell’arte sulle soglie dei nostri lavori è pieno di emozioni». Ma erano anche chiare le sue raccomandazioni: «Vogliamo presentare un’architettura libera nell’ispirazione moderna, ma contenuta in una sana democrazia edilizia: non è tempo di fare monumenti, mosaici, decorazioni costose. È tempo di salvare con costruzione semplice la fede del nostro popolo» (1961). Il primo edificio consacrato da Montini un anno dopo il suo ingresso in città sembra proporsi come incarnazione di queste sue raccomandazioni. La chiesa della Madonna dei Poveri, nel cuore di un nuovo quartiere operaio nei pressi di Baggio, venne affidata alla coppia di architetti Luigi Figini e Gino Pollini che si erano resi famosi nel mondo per gli stabilimenti Olivetti a Ivrea e per tutti gli insediamenti connessi, dalle case per i dipendenti agli asili. Figini e Pollini erano eredi del razionalismo italiano e per la Madonna dei Poveri realizzarono, nel cuore di quel quartiere di “case minime”, una chiesa di una semplicità estrema, a costi ridotti, con una struttura in cemento armato. Ma sulla facciata a capanna, con un frontone appena accennato, i due architetti aprirono dei grandi inserti di laterizio lombardo, come elemento semplicissimo di decorazione.

La chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi al Fopponino, Milano, eretta nei primi anni Sessanta su progetto di Gio Ponti

L’edificio era stato dedicato a una Madonna apparsa nel 1933 a Banneux, in Belgio, a una ragazzina, Mariette Beco. La Chiesa nel 1942, con successive riconferme nel 1947 e nel 1949, aveva riconosciuto l’apparizione. Nel 1949 i minatori del Limbourg vollero fare omaggio “ai lavoratori di Baggio” di una copia della statua della Madonna di Banneux, che ancora oggi viene venerata nella navata sinistra della chiesa. L’edificio di Figini e Pollini è straordinario nei suoi equilibri, ma non si concede nessun fronzolo. È quasi rude nella sua nudità, ma commuove per quell’accensione improvvisa di luce che piove dall’alto sul presbiterio: un tiburio quadrato, chiuso nella parte superiore da una griglia di vetri anch’essi quadrati, è l’unica semplicissima concessione che gli architetti si permettono, per richiamare, senza enfasi, la centralità dell’altare e del tabernacolo. Una soluzione a cui i due architetti fecero ricorso anche per l’altra chiesa da loro progettata, quella dei Santi Giovanni e Paolo ad Affori. Ed è commovente anche la scelta di fasciare lo stesso presbiterio con un muro esagonale dipinto di rosa, quasi a riecheggiare la preziosità di ciò a cui quel luogo è destinato. L’anno successivo Montini si trova subito a consacrare la chiesa più azzardata e più discussa. A Baranzate, paese in grande crescita subito a nord di Milano, un’altra coppia di architetti famosi, Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, affidandosi all’esperienza di un grande ingegnere strutturista come Aldo Favini, avevano progettato una “chiesa di vetro”. Quattro agili pilastri all’interno reggono un grande, semplice tetto piatto prefabbricato che appare leggero e sospeso. Attorno, le pareti sono superfici ininterrotte di vetri schermati da fogli bianchissimi di polistirolo espanso. «È possibile che il vostro vescovo benedica una chiesa così?», disse Montini durante la predica della messa per la consacrazione della chiesa, nel 1957. «È possibile perché io scorgo nella nuova costruzione un profondo simbolismo, che richiama all’essenza della casa del Signore, cioè luogo di riunione dove gli uomini elevano la loro mente a Dio e si ritrovano fratelli. Questa chiesa di vetro ha infatti un suo linguaggio che può essere ricavato dall’Apocalisse, dove è detto: “Vidi civitatem sanctam descendentem de coelo”; le sue pareti – continua l’Apocalisse – erano di cristallo». Ma Montini si sporge anche oltre e difende il criterio che ha portato ad affidare ad architetti d’avanguardia la nuova parrocchia dedicata alla Madonna della Misericordia: «La chiesa poi presenta una novità e la novità rientra nel novero delle cose sacre: la religione quando è viva, non solo non esclude la novità, ma la vuole, la esige, la cerca, la sa ricavare dall’anima. “Cantate Domino canticum novum”, dice la Scrittura. E io sono qui a tendere le braccia a tutte le novità che l’arte mi dà. Non ho nessuna prevenzione contro le novità, purché la novità non sia capriccio». Non ci sono solo gli architetti razionalisti nella squadra chiamata al lavoro da Montini. Ci sono anche quelli di cultura novecentista, che hanno in sé una più forte vocazione monumentale. Ma che

con Montini accettano di fare i conti con una necessaria semplicità. C’è Giovanni Muzio, architetto che aveva conosciuto una grande fortuna sotto il fascismo, e che tra il 1956 e il 1958 lavora al cantiere della chiesa di San Giovanni Battista della Creta, al Giambellino: un edificio basso, con una facciata tutta in laterizio, con i mattoni che compongono delle greche, delicatissimi motivi decorativi. Sopra, una tettoia libera e sorprendentemente slanciata verso l’alto protegge l’ingresso dei fedeli.

La chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Misericordia, a Baranzate, Milano, detta anche “la chiesa di vetro”, eretta nel 1957 su progetto degli architetti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti e dell’ingegnere Aldo Favini [© Armin Linke]

Ma più di Muzio nei cantieri di Montini ebbe un ruolo importante Gio Ponti, architetto e designer consacrato a livello mondiale, che a Milano realizzò nell’arco di dieci anni tre chiese. La prima, quella di San Luca, tra 1955 e 1960, è ai margini di Lambrate. Una chiesa semplicissima, incassata tra i nuovi palazzi, e con pochissimo spazio attorno. Per questo Ponti decise di sollevarla di qualche metro rispetto al livello della strada e progettò una facciata concava, protetta da una grande tettoia che dà l’idea di una grande capanna aperta sulla città. La facciata è coperta da piastrelle in gres ceramico, elemento povero impreziosito semplicemente dalla forma a diamante che Ponti aveva disegnato. Bellissimo e luminoso l’interno con la vasta parete di fondo dipinta a fasce bianche e azzurre come a richiamare la memoria del romanico lombardo. Ponti qualche anno dopo venne chiamato al cantiere di una parrocchia, che era la sua parrocchia, situata in zona più centrale, zona Magenta: San Francesco al Fopponino è un progetto più ambizioso, con misure più dilatate, in particolare nell’altezza della navata. Il motivo del diamante si rinnova ovunque, dalle piccole piastrelle, alle grandi finestre (alcune aperte semplicemente sul cielo), al portale. Ma il tutto sempre dentro i binari di una sobrietà francescana. Era un cantiere a cui Montini tenne moltissimo e che visitò tre volte, a partire dalla cerimonia di posa della prima pietra, il 4 maggio 1961 («Affinché qui regni la vera fede, il timore di Dio e l’amore dei fratelli», fece scrivere sulla pergamena, messa nel cavo di quella prima pietra). Gio Ponti successivamente realizzerà un’altra bellissima chiesa, quella dell’ospedale San Carlo, dedicata a Santa Maria Annunciata: un edificio suggestivo, dall’andamento lungo e inclinato proprio di una nave. Nel grande sforzo per dotare Milano delle chiese di cui aveva bisogno, Montini affidò un compito strategico al Comitato delle nuove chiese, alla cui presidenza aveva chiamato Enrico Mattei che proprio in quegli anni stava costruendo a San Donato, alle porte di Milano, il quartier generale dell’Eni. Quando nel 1962 Mattei morì in circostanze tragiche e ancora misteriose, Montini prese la presidenza del Comitato e chiamò Ignazio Gardella, altro grande nome dell’architettura milanese, a progettare la chiesa “del villaggio” di San Donato. Nella dedica della chiesa a sant’Enrico, Montini aveva voluto rendere un omaggio a Mattei. Da vera chiesa del villaggio, Gardella concepì un edificio di un’umiltà estrema, a navata unica e a forma di grande capanna protetta da un tetto basso

e molto sporgente. I muri di cemento armato sono abbelliti da un semplice motivo decorativo lineare di pietra bianca che percorre la chiesa in tutto il suo perimetro, all’esterno come all’interno. E all’interno la luce piove dall’alto da due finestrate contigue, che garantiscono armonia, ritmo e leggerezza. Il 23 maggio 1963 Montini presenziava all’ennesima cerimonia di posa della prima pietra per una nuova chiesa, quella di San Gregorio Barbarigo alla Barona. Sarebbe stata l’ultima, perché di lì a poche settimane, il 21 giugno, veniva eletto Papa. Siamo qui, disse, «commossi dalla fortuna che ci è data di regalare alla nostra città un tempio nuovo, di creare nel suo seno, entro i suoi margini, una famiglia spirituale di un popolo buono».

Bh.142 /itinerari

Chiesa di Nostra Signora della Misericordia / 1956-1957 / Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti con Aldo Favini

FONDAZIONE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI,PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORIDELLA PROVINCIA DI MILANO

via Della Conciliazione 22-24, Baranzate

CHIESE E MODERNITÀ

Chiesa di Nostra Signora della Misericordia / 1956-1957 / A. Mangiarotti, B. Morassutti

CHIESE E MODERNITÀ

cemento che rivelano un raffi nato studio

delle strutture dell’edifi cio. Le pareti di

vetro perimetrali e non portanti, rendono

l’edifi cio quasi astratto nel suo rigore

geometrico essenziale, mentre la luce, vero

“materiale da costruzione” del progetto,

lo fa vibrare, di giorno in un candore

diffuso e di notte in una luminescenza

irregolare e quasi irreale. Il basamento

che s’innalza all’interno di un recinto

murario in calcestruzzo e ciottoli dove

è posta la Via Crucis realizzata da Gino

Cosentino e che ospita una cripta accessibile

direttamente dall’esterno, isola questa

scatola cangiante preannunciata da una

semplice croce. All’interno tutto è riportato

ad un’essenzialità che dialoga con i rifl essi

delle pareti perimetrali: il fonte battesimale,

la doppia sequenza di panche parallele e

l’altare. Tutto è lineare, quasi senza gravità,

mentre ogni accenno di ornamento risulta

assente, per lasciare spazio alla rilevanza

estetizzante delle trame strutturali . «Un

edifi cio in cui la trasfi gurazione inattesa

dello spazio è concessa dal rigore assoluto

della struttura. Una architettura in cui

la tecnica della costruzione viene assunta

come fondamento…»(2).

Una chiesa unica e radicale, il cui

restauro, ormai necessario, ha recentemente

aperto un lungo dibattito circa gli strumenti

più opportuni per conciliare l’adeguamento

della sua funzionalità alla logica di una

corretta e doverosa conservazione ed

il cui valore assoluto nel panorama

dell’architettura moderna italiana ha

indotto la Soprintendenza di Milano e

la DARC a porla sotto tutela di vincolo

architettonico.

MARCO BORSOTTI

«La cella, posata sul basamento, si

presenta come un solido di 28 per 14 metri

alto 10, interamente rivestito in pannelli

di vetro resi traslucidi dall’inserimento

di fogli di polistirolo (…) all’interno,

il tetto è sorretto da quattro colonne

rastremate, alte otto metri, che portano

trasversalmente le due travi principali e

le sei secondarie, rivolte verso l’ingresso.

L’ossatura di ciascuna trave è formata

da trenta conci di calcestruzzo a forma

di X reversibile, uniti e precompressi in

opera»(1).

Un linguaggio essenziale che riporta

l’architettura alle sue origini: un basamento,

delle colonne ed una copertura. Nelle

foto di cantiere, quando ancora il corpo

vetrato dell’aula assembleare, diafano e

traslucido, non è stato realizzato, la chiesa

di Nostra Signora della Misericordia

sembra un tempio classico dove al frontone

si è sostituita una sequenza di croci in

VISTA DELL’INTERNO DELLA CHIESA (FOTO DI STEFANO SURIANO)

(1) G. Barazzetta, Milano anni ‘50: tecnica e architettura. Morassutti, Mangiarotti, Favini, in “Casabella” 721, LXVIII, aprile 2004.(2) Idem.

IL CAMPANILE (FOTO DI STEFANO SURIANO)

LA STRUTTURA PORTANTE

La struttura portante la copertura è costituita da quattro sostegni in C.A. di forma conica, che sorreggono due travi anch’esse in C.A., gettate in opera e poste trasversalmente, le quali a loro volta portano sei travi longitudinali prefabbricate e precompresse con sezione a X.

La forma a X delle travi secondarie non è affatto dovuta al capriccio ma è nata dalla necessità di avere una sezione leggera – e quindi cava – che fosse reversibile, cioè atta a resistere ai momenti negativi e positivi, e che avesse una buona capacità di resistenza agli sforzi trasversali dovuti alla pressione del vento sulle pareti.

ARMATURA E POSA DI UN CONCIO PREFABBRICATO DELLE

TRAVI DI COPERTURA

Infatti, come risulta dalle fotografie, la soletta che unisce i piani obliqui del X, in mezzaria delle travi e posta superiormente; mentre in corrispondenza degli appoggi è rovesciata.

Cemento Armato (C.A. – meglio definito Calcestruzzo Armato):

è un materiale usato per la costruzione di strutture di edifici, ponti, viadotti, gallerie, acquedotti, ecc. composto da calcestruzzo (una miscela di cemento, acqua, sabbia e ghiaia) e barre di acciaio annegate al suo interno ed opportunamente sagomate, poste ed collegate fra di loro. È un materiale utilizzato sia per la realizzazione dello scheletro degli edifici, la parte strutturale (ovverossia dell'ossatura portante), al posto del più costoso acciaio, che dei solai o di manufatti come ad esempio, ma non solo, i muri di sostegno dei terrapieni. Come l'acciaio, anche il cemento armato può essere realizzato in officina per produrre elementi prefabbricati (in genere travi e pilastri, soprattutto per grandi opere viarie). La produzione in officina permette di avere un miglior controllo sulla qualità del calcestruzzo, ma, essendo più costosa, viene utilizzata con regolarità quando le condizioni climatiche del cantiere sono proibitive (non a caso la prefabbricazione si è sviluppata moltissimo in Russia), o quando gli elementi da produrre richiedono dei controlli rigorosi, come può essere il caso di alcune tecnologie con le quali viene realizzato il cemento armato precompresso. In cantiere, la tecnologia del calcestruzzo gettato in opera ha il vantaggio di creare meno problemi nei nodi tra gli elementi, cioè in quei punti in cui si uniscono travi e pilastri.

Elemento Gettato in Opera:

quando il calcestruzzo viene gettato (colato) direttamente in cantiere

Restauro della Chiesa Mater Misericordiae di Baranzate (1957-1958) Relazione Storica Descrizione/Carattere

Un muro a scarpa curva di calcestruzzo e ciottoli alto due metri delimita lo spazio esterno della chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate, definendone il perimetro sacro. Il recinto1 porta all’interno le formelle della Via Crucis scolpite da Cosentino che circondano il piccolo volume2 bianco dell’aula liturgica, una cappella o un oratorio piuttosto che una parrocchiale, appoggiato su un rilievo raccordato con il piano di campagna da un pendio erboso. La chiesa è posta anch’essa a due metri dal suolo e la coincidenza fra l’altezza del recinto e la quota zero della chiesa fa si che, da fuori e da lontano, il recinto sembra il suo largo basamento. Vi si accede da una larga cancellata in corrispondenza della facciata sud. Di fronte si trovano due scalinate affiancate, una larga ascendente alla scatola chiara dell’aula e una discendente a un ingresso all’ombra a fianco dell’acqua del fonte battesimale. L’entrata dovrebbe avvenire dal basso tramite la scalinata discendente, solo in questo modo si transita un percorso mistico che porta dalla penombra degli ambienti seminterrati inferiori3, tramite lo scalone, alla sovrastante luce dell’aula vetrata opalescente. L’uscita dovrebbe avvenire dal largo portone scorrevole della chiesa aperto a funzioni terminate, di fronte al piccolo sagrato, discendendo poi dalla larga scalinata verso la campagna. All’interno il tetto è retto da quattro colonne alte otto metri che portano trasversalmente due travi principali gettate in opera e sei travi secondarie longitudinali la cui ossatura è formata da trenta conci prefabbricati di calcestruzzo uniti e precompressi in opera. Lo spazio è coperto da centottanta pannelli prefabbricati posti fra le travi, trentasei per campata. L’ordine architettonico della copertura corona le facciate mostrando sui lati corti la sua configurazione nella decorazione delle testate ad X delle travi. L’involucro di ferro e vetro è una orditura di carpenteria metallica composta di profili aperti saldati che regga pannelli4 composti all’origine da due lastre traslucide di vetro rigato a prismi rivolti all’interno, resi

isolanti da un foglio di polistirolo interposto. Le fotografie dell’opera appena compiuta documentano come il materiale isolante garantiva di giorno il carattere opalescente del rivestimento rendendo all’esterno abbagliante il volume bianco della chiesa, mentre diffondeva all’interno la parte di luce solare filtrata dalla materia biancastra. Così all’opposto la sera il volume dell’aula illuminato dall’interno si trasformava in una lanterna diafana che irradiava lo spazio del recinto sacro. Il rivestimento della cella, furiosamente demolito da un attentato e sostituito nel 1979 con una lastra di vetro retinato e una di policarbonato alveolare con interposto un sottile materassino poliuretanico, è ora talmente degradato e inadeguato all’uso dell’edificio da non consentire altro che una attenta sostituzione. L’aspetto del calcestruzzo all’interno appare annerito ma lo stato della copertura precompressa prefabbricata è ottimo, confermato da un collaudo statico del 2002. Si notano pochi punti di affioramento dei ferri nelle due travi principali. Se lo stato attuale della chiesa è il risultato del degrado dei materiali nel tempo e dei cambiamenti imposti dall’uso, nonostante tutto quello che è avvenuto nella materia, il carattere della parrocchiale di Baranzate è tuttora segnato dal percorso di accesso all’aula dal basamento sottostante, dal contrasto tra l’involucro luminoso opalescente con la penombra di calcestruzzo del seminterrato e infine dal volume della chiesa con il recinto che include l’area che lo contiene. La campagna a nord di Milano degli anni cinquanta è ora trasformata nella conurbazione metropolitana milanese, ma proprio il recinto ha fatto sì che lo spazio sacro si sia conservato al mutare del circostanze.

Edificio/Progetto

La storia della chiesa di Baranzate inizia nel 1956 con la donazione della famiglia Peduzzi per la costruzione e il progetto dell’edificio di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti con Aldo Favini. Il cantiere seguì la licenza edilizia del 1957 e si concluse l’anno successivo. Il cardinal Montini inaugurò la chiesa al culto il 7 novembre 1958. Poco più di vent’anni dopo si rifece la facciata di vetro con materiali diversi, su disegno degli stessi autori. Nel 1980 venne costruito il campanile progettato da Morassutti e Favini. In seguito vi sono state le richieste di ampliamento e adeguamento della parrocchia, le aggiunte impiantistiche e di arredo anche agli spazi esterni. Dagli anni novanta il degrado del rivestimento sollecita un intervento di rinnovamento, che si è avviato con polemiche fra progettisti e la parrocchia sulla inadeguatezza funzionale dell’edificio e il valore

dell’opera. L’apposizione del vincolo per “diritto d’autore” nel 2003, riconoscendo l’importanza artistica della Chiesa di Baranzate, le attribuisce il carattere monumentale di identificazione religiosa e sociale e lega il restauro al progetto degli autori5. Il vincolo ha coinciso con la ripresa dell’interesse con studi e pubblicazioni sull’edificio, di cui si segnalano il lavoro di ricerca a Ginevra di Cristiana Chiorino e il progetto del 2005 di Bruno Morassutti con Frank Mayer e docenti e studenti della ZHW di Winterthur e infine il progetto in corso promosso e condotto dagli autori su incarico della parrocchia di Baranzate. Grazie all'iniziativa di Bruno Morassutti nel 2006 si è formato un gruppo di progettazione composto dai tre autori affiancati da altri progettisti da loro indicati: Anna Mangiarotti con Ingrid Paoletti, Giulio Barazzetta, Tito Negri, integrati da Giancarlo Chiesa per la progettazione degli impianti. In questa composizione sono assicurati sia l’autorialità del progetto richiesto dalla Soprintendenza che il profilo richiesto dal compito, la continuità di progettazione e le competenze necessarie, tecnologiche, architettoniche, strutturali e impiantistiche per la sua elaborazione durata dal 2007 al 2009. Il progetto di restauro è stato presentato alla Amministrazione Comunale nel 2008 per le autorizzazioni ed è divenuto esecutivo nel 2009, si è concluso con i dettagli costruttivi e le campionature nel 2010 per poter essere appaltabile nei primi mesi del 2011. Questo progetto riflette una situazione particolare del restauro che consiste nella riscrittura di una stessa opera. Una circostanza che si è realizzata poche volte coincidendo con la manifestazione di una necessità civile, come è stato per la ricostruzione del Padiglione d'Arte Contemporanea ricostruito da Ignazio Gardella con il figlio Jacopo a Milano nel 1996. È questo anche il caso di Baranzate, che potrà cogliere in questo modo la riaffermazione della comunità parrocchiale assieme alla rappresentazione della identità civica definitivamente sancita con la costituzione di Baranzate in comune autonomo pochi anni fa.

Testi a cura di Giulio Barazzetta 1 perimetro del recinto misura 30 x 60 metri 2 volume della cella misura 28 x 14 metri alto circa 10 3 il battistero, la cappella della vergine, la sacrestia e i locali di servizio 4 dimensioni modulari del pannello originale 90 x 270 x 4,5 cm

5 dal vincolo 13.1.2003 Ministero Beni e Attività Culturali L. 22.04.1941 n°633 e D.L. 03.02.1993 n°29 “…l'opera (è) rappresentativa di ricerca strutturale e spaziale che sperimenta le più innovative tecniche costruttive dell'epoca, unite alla scelta di un linguaggio formale essenziale e fondato sull'uso della luce, con esito di grande interesse per la definizione dello spazio sacro… …L’edificio si configura come il primo modello di chiesa su cui è stato sperimentato l’uso di strutture in c.a. prefabbricate … la particolarità risiede nella qualità spaziale generata dalla tecnica costruttiva con cui è stata realizzata la struttura portante… …che ha consentito di realizzare uno spazio fortemente suggestivo e di grande luminosità … con una particolare valenza spaziale e architettonica che dà alla costruzione un carattere di unicum… …il valore dell’originale edificio detto anche “chiesa di vetro”, è esaltato anche dal contesto entro cui tale opera è inserita: la chiesa sorge rialzata rispetto al piano di campagna ed è circondata da un muro in c.a. rivestito con pietre a vista che delimita la zona sacra. Lungo tale muro è collocata una via crucis di grande suggestione eseguita contemporaneamente alla costruzione e in armonia con essa dallo scultore Cosentino… …negli anni Ottanta è stata aggiunta su progetto degli stessi autori la torre campanaria, realizzata sul fianco destro del prospetto e in posizione distaccata, consistente in una leggera struttura in ferro a pianta quadrata … e in piena sintonia con il carattere della Chiesa…”

Restauro della Chiesa Mater Misericordiae di Baranzate (1957-1958) Relazione Tecnica Restauro/ Adeguamento/Conservazione

Il progetto del restauro della chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate si pone l’obbiettivo di ripristinare il complesso architettonico, adeguandolo alle esigenze e allo standard di comfort richiesti dalle condizioni d'uso attuali, avendo come riferimento sia l'edificio inaugurato il 7 novembre 1958 che il progetto di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti con Aldo Favini del 1956-1957. Abbiamo detto sopra che il restauro in questo caso comporta la condizione particolare di una cosiddetta riscrittura degli stessi artefici del medesimo edificio, in cui il “rifare” pone la questione della “imitazione” dell’originale da riprodurre con diverse tecnologie, così come pone la questione della distinzione delle parti, dello scarto fra “nuovo” ed “originale” laddove vi è differenza o aggiunta di elementi. Con gli stessi autori si è individuato il diaframma delle murature e della facciata, lo spazio ricavato nel limite fra interno ed esterno negli strati della materia, come luogo delle nuove installazioni e dei nuovi elementi costruttivi, evidenziando lo scarto fra vecchio e nuovo nell’interpretazione di un restauro che sta tutto nella differenza “fra” i materiali “dentro” la costruzione. Per la facciata da sostituire ciò ha significato un lungo lavoro di campionamento per l’individuazione attenta del grado di imitazione, alla ricerca dell’aspetto necessario ad evocare il gioco della luce riflessa e rifratta dalla facciata originale, che si deve attentamente bilanciare fra la effettiva possibilità materiale dell’effetto opalescente predisposto dalle stratigrafie e dalla grafica dei vetri e l’assenza della materia dell’isolante da attraversare. Per ottenere il più possibile nel restauro la conservazione della chiesa di Baranzate, come è già stato a suo tempo per il campanile nel 1980. Per i nuovi componenti ciò è avvenuto nel progetto praticando l’individuazione delle differenze per posizione e carattere tra gli elementi progettati e il “testo” della costruzione originaria. È stata la discussione condotta sulle varie proposte ad evidenziare1 che nel caso di Baranzate si tratta di non consentire

l’adozione di un adeguamento a “tutti i costi” agli standard degli edifici nuovi, per altro non effettivamente necessario stante il vincolo e viste le caratteristiche dell’edificio, le sue necessità d’uso la normativa particolare per gli edifici di culto. Ciò rischiava di comportare tra l’altro lo slittamento del carattere dell’edificio verso una costruzione ad alta tecnologia, con la sua idea di un’architettura risultante dal trasferimento integrale di tecnologie avanzate. Un procedere simile ne avrebbe alterato la forma costruita, ottenuta mediante la composizione di materiali correnti assieme a materiali nuovi, formati in un cantiere artigianale con tecniche fortemente innovative, tratto sostanziale di questa costruzione così rispondente alla sua architettura essenziale.

Facciata/Rivestimento I componenti portanti della facciata in origine sono costituiti da elementi a disegno semplice di carpenteria metallica saldata e verniciata, progettati come assemblaggio di profili di produzione e commercio corrente. Non essendo possibile il recupero degli elementi strutturali originari della parete, di difficile manutenzione, degradati e successivamente rivestiti in alluminio, la nuova carpenteria in ferro portante è il più possibile simile a quella originaria ma verrà prodotta con tecniche che permettono la fornitura degli elementi con profili in acciaio zincati e verniciati montati a secco, garanzia di durata e affidabilità fra le prime richieste della committenza. Questa linea di progetto proposta dagli autori e condivisa dal gruppo di progettazione, ha voluto dire limitare necessariamente le caratteristiche di taglio termico solo al vetro e al telaio secondario del pannelli e non poterla estendere, viste le caratteristiche meccaniche ed estetiche, ai profili portanti. Vari studi di progetto hanno evidenziato i problemi relativi al taglio termico della facciata. Tuttavia spesso questi studi hanno tralasciato la globalità dell’edificio da conservare e il suo uso peculiare, non hanno considerato gli aspetti strutturali assieme al carattere architettonico specifico del rivestimento della chiesa di Baranzate e al ruolo che il profilo montante vi svolge. La effettiva parte che gioca il montante nell’esercizio energetico dell’edificio va valutata esaminandola assieme ad altri ponti termici non eliminabili e di ben maggiore dimensione, come tutto il coronamento della facciata in precompresso. Va considerata la sua ricorrenza puntuale2, la sua bassa percentuale nell’insieme della facciata, in confronto alla grande superficie vetrata, che rappresenta il problema principale in termini energetici e di

irraggiamento. Infine, se necessario, andrebbe verificata la casistica delle possibilità reale di formazione di condensa, la sua localizzazione di nuovo puntuale, la sua incidenza effettiva nelle condizioni ambientali della chiesa e con i mezzi per porvi rimedio previsti dal restauro architettonico e dai nuovi impianti. Il pannello di tamponamento documentato dal progetto del 1957 e nelle riprese dell’edificio finito del 1958, era il risultato dell’assemblaggio di elementi semplici nella giustapposizione di due lastre di vetro industriale colato “rigato” con sezione a prismi, inframmezzate da un pannello di polistirene espanso a bassa densità di colore bianco per uno spessore totale di 4,5 cm. Questa messa in opera risultava dalla sperimentazione di diverse soluzioni scartate: uno stato di fibra di vetro non tessuta fra due lastre di vetro, successivamente sostituita per problemi di sicurezza da vetri retinati e con isolamento di polistirolo interposto fra i vetri. Quest’ultima soluzione venne ulteriormente scartata in cantiere per la rottura delle lastre di vetro retinato poste in opera, sostituite dal vetro industriale rigato rimasto con lacune e sostituzioni fino al 1979. Nel processo di definizione sperimentale del progetto si sono dovute superare diverse del tecnologie del vetro e dei materiali isolanti interposti che sono stati esaminati, studiati e prodotti in campioni dal 2004 al 2007, infine non ritenute soddisfacenti e affidabili, portando a concludere che si doveva produrre un pannello di facciata composto solo di vetro a più strati con alto rendimento energetico e raffinate caratteristiche percettive che è stato elaborato dal 2008 al 2009 attraverso campionamenti successivi per l’individuazione di materiali e caratteristiche. Quello che è stato progettato e posato in opera il 14 gennaio scorso come campione esemplare per la produzione, è un pannello composito basato sulla tecnologia dei filtri basso-emissivi, della giustapposizione di camere e dalla sommatoria degli strati e trattamenti superficiali, a cui è affidata la qualità di isolamento termico e di protezione dall'irraggiamento. Ai trattamenti delle superfici mediante acidatura e stampa serigrafica è affidata invece una possibile riproduzione dell’aspetto dell’edificio originale o perlomeno della sua idea, sostituendo per così dire alla verità materiale dell’originale distrutto la copia verosimile della sua immagine e della sua qualità opalescente.3

Modificazioni/Aggiunte

Con il restauro del complesso di Baranzate si intendono anche fissare i termini della conservazione del netto rapporto fra il recinto e edificio.

Questa relazione è espressa nella individuazione univoca degli elementi architettonici, dell'arredo esterno e dei materiali. È dunque necessario che i nuovi elementi che vengono introdotti, non solo non si oppongano a questa percezione, ma che questi valori vengano attuati nel mantenimento e nel ripristino degli utilizzi previsti all'esterno dell'aula nel recinto, nei percorsi di avvicinamento e nelle manifestazioni liturgiche esterne come l'officio della “via crucis”. La soluzione delle nuove aperture progettata per la nuova aula seminterrata e per la cappella della Vergine/penitenzieria sul lato occidentale, ridisegna lo spazio fra il recinto e la cella confermando gli andamenti originali della scarpa di terreno e del muro del basamento. La soluzione per la nuova rampa di accesso all’aula è il risultato di un attento bilanciamento fra esigenze di adeguamento per l’accessibilità4 e necessità di separazione: il miglioramento dell'accessibilità dell'aula significa anche che chiara collocazione del manufatto nuovo e sua disposizione allineata al campanile, distaccata dall’edificio, sistemata fra le alberature esistenti, ne individua la natura di corpo nuovo, differente dalla chiesa ma incluso nel recinto.

Esigenze /Richieste

Le richieste dalla parrocchia committente alle quali il progetto deve rispondere sono sostanzialmente: il restauro dell'edificio e del complesso; il recupero tutti gli spazi disponibili nell'aula e nel seminterrato per rispondere alla necessità dell'ampliamento, rendendo possibile sia una maggiore presenza di fedeli alle funzioni che diversificando l'uso invernale ed estivo di locali seminterrati ed aula; il rinnovamento degli impianti per fornire l’adeguato comfort ambientale agli spazi; il miglioramento delle condizioni di accessibilità dei fedeli; e infine, successivamente, l'adeguamento gli interni ad una migliore percezione ed esecuzione delle liturgie. Come è noto l’esigenza di opere di restauro è una necessità presente da tempo nella coscienza dei frequentatori della Chiesa di Nostra Signora della Misericordia, siano essi la comunità dei fedeli che i visitatori che giungono da vari paesi e dalle scuole di architettura del mondo. Questa esigenza è improcrastinabile e si aggiunge a diverse necessità di adeguamento. In questi ultimi anni il programma della committenza e l'elenco delle opere si sono precisati. Ciò è avvenuto grazie agli studi di progetto che si sono succeduti nel tempo, a partire dall'iniziativa della parrocchia di produrre un progetto completo e dalla successiva messa a fuoco delle necessità e delle cose possibili nel

restauro dell'opera. La proposta si è venuta determinando sulla base di precedenti progetti e negli ultimi due anni nel confronto serrato fra committenti e progettisti. Questi punti sono articolati per esteso in un elenco dei lavori che corrisponde al quadro delle esigenze e ai contenuti architettonici, tecnologici e impiantistici del progetto che presentiamo. Energia/Impianti

Rimandando per i dettagli degli aspetti energetici e degli impianti al progetto5 specifico, occorre sottolineare qui la loro forte integrazione con il restauro. La conformazione dell'edificio esistente ha imposto di considerare come vincoli il rifacimento del rivestimento vetrato e il mantenimento dei caratteri della struttura in ferro dell’aula, assieme alla conservazione della copertura in cemento armato precompresso prefabbricato e alla muratura del seminterrato. Ambiente e aspetti energetici di uno spazio di culto sono stati esaminati assieme alle problematiche della gestione e della migliore sostenibilità ambientale. La produzione di energia con fonti energetiche rinnovabili è dimensionata per il consumo e l’accumulo di energia necessaria all’uso attuale rilevato e a quello previsto. I nuovi impianti di riscaldamento/raffrescamento sono stati progettati con particolare riguardo al comfort, considerando come fattore di dimensionamento le condizioni d’uso di un edificio simile, verificando con gli utenti il suo esercizio6 e l’utilizzo dei suoi spazi.

Testi a cura di Giulio Barazzetta 1 nel seminario di Winterthur del 2004 2 diagramma delle percentuali del rivestimento 3 caratteristiche del campione a tre stati e due camere posato il 14 gennaio 2011 come da certifica della Stazione Sperimentale del Vetro di Murano:

dimensioni 90 x 270 x5 cm 2,43 mq pannello peso 65 kg/m2 160 kg pannello costo 320 €/m2 780 €/pannello caratteristiche luminose ed energetiche test 13 12 2010 riflessione luminosa RL: 35,6 % trasmissione luminosa TL: 5,6 % riflessione energetica RE: 28% assorbimento energetico AE: 60 %

trasmissione energetica diretta TED: 3,2 % fattore solare FS: 9,7 % termotrasmittanza vetro Ug: 0,7 W/m2K

4 si rimanda al progetto e alla relazione dell’arch. Giovanni Del Zanna 5 si rimanda al progetto e alla relazione del prof. ing. Giancarlo Chiesa 6 diagramma d’uso SBG architetti /parrocchia di Baranzate