LA BRUJA

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Jack Castle è un ufficiale di Marina freddo e razionale, ma qualcosa cambierà per sempre la sua vita.

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Di lì a poco il caldo sarebbe diventato eccessivo. Il capitano di corvetta Jack Castle era in un insolito appartamento di una casa di Cartagena; appena entrato aveva messo la legna nell’enorme camino e l’aveva accesa senza difficoltà; ora il calore si stava già gradevolmente diffondendo tra le pareti di quell’enorme unico locale arredato in maniera un po’ fuori moda, ma pulito e accogliente. Anche a Norfolk, dove viveva quelle poche settimane all’anno in cui non era in missione nei mari del mondo, aveva un camino; il rito dell’accensione del fuoco era per lui estremamente piacevole, e il calore sprigionato dai ciocchi scoppiettanti era una delle cose che amava di più: era il conforto di una casa dopo mesi di vita su una nave, da qualche parte, tra le onde degli oceani.Era in piedi, davanti alla finestra. La vecchia casa di pescatori era affacciata sul mare, che quel giorno era grigio e freddo ed era quasi un tutt’uno con un cielo color antracite talmente carico di nuvole da non lasciar passare nemmeno un raggio di sole.Era in anticipo all’appuntamento di quasi un’ora, e poteva permettersi di indugiare nei ricordi dell’ultimo anno della sua vita, un anno che aveva preso una piega che lui non si sarebbe mai aspettato.Era un uomo di quarantotto anni, ancora molto aitante e affascinante, soprattutto quando era in divisa blu navy, impeccabile e scintillante con i gradi e le mostrine delle varie campagne fatte in Somalia, Eritrea, Afghanistan e nelle due

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guerre in Iraq. Era di stanza sulla USS Yorktown, l’incrociatore della Marina statunitense dove era incominciata la sua strana storia proprio circa un anno prima, e proprio in quella caotica città spagnola che era quasi la sua seconda casa. L’ultimo giorno a Cartagena, per celebrare il Natale tutti insieme prima di ripartire per Norfolk e poi per il Sud dell’Atlantico, era stata organizzata una festa a bordo e ognuno poteva portare un ospite……si ricordava perfettamente ogni particolare, ogni momento di quella giornata, che era iniziata di prima mattina quando, come d’abitudine, era entrato al bar ‘Limòn Negro’, nel porto vecchio, per bere il forte e corroborante caffè spagnolo.L’aveva vista subito: stava facendo colazione mentre leggeva un libro, i piccoli occhiali da lettura sul naso e i capelli raccolti che le davano un’aria quasi un po’ da intellettuale, quasi volesse prendere le distanze dal posto non certo lussuoso in cui si trovava. Poi aveva tolto gli occhiali, chiuso il libro e sciolto i capelli: una cascata nero-corvina le era ricaduta sulle spalle; lei aveva alzato gli occhi, i loro sguardi si erano incrociati ed era scoccata la più grossa scintilla che Jack potesse immaginare. Non aveva potuto fare a meno di rivolgerle la parola, offrendole un caffè come scusa per poterle parlare, e subito aveva avuto la strana sensazione di averla già incontrata da qualche parte. Lei non aveva rifiutato, facendogli capire di essere molto disponibile, e alla fine l’aveva invitata alla festa di quella sera sulla nave, invito che lei aveva prontamente accettato.Era una donna misteriosa.

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Nemmeno il suo amico barista Josè, che conosceva vita, morte e miracoli di ogni cliente, aveva saputo dirgli molto di più: da un po’ di tempo si presentava al bar ogni mattina, faceva colazione, leggendo e senza mai rivolgere più di un saluto o un grazie, pagava e usciva. Presumibilmente abitava a Cartagena, ma, beh, non era sicuramente una delle donne che si potevano facilmente rimorchiare nei dintorni, la sua classe e la sua eleganza escludevano categoricamente questa possibilità. Chi era allora? Quella sera, durante il ricevimento, Jack aveva cercato di indagare, ma in realtà lei aveva sempre risposto senza mai dare risposte e indicazioni precise. Si era mossa con decisione, a bordo della nave, e non era sembrata per nulla intimorita. Ma, chiunque fosse, Castle aveva deciso che quella sera doveva essere sua. Marinaio navigato, con occhi blu di ghiaccio che facevano cadere qualsiasi resistenza, difficilmente se ne lasciava scappare una, e tantomeno si sarebbe lasciato scappare questa! Jack l’aveva delicatamente pilotata all’esterno, verso il cannone di poppa, che avrebbe dato loro un po’ di riparo dal forte vento che quella sera arrivava da est. Chissà perché… quella sera aveva sentito il bisogno di emozioni forti e la voleva fare sua là fuori, nel freddo della notte, con il rumore delle onde che si infrangevano con vigore sulla prora, là dove si sentiva più forte il beccheggio della nave, dove gli elementi della natura avrebbero aggiunto forza a quello che era successo quel giorno e che sarebbe accaduto tra di loro quella notte. Lei non aveva detto di no. L’aveva seguito, fasciata nella morbida stoffa del suo lungo abito da sera rosso, senza mai

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staccare lo sguardo da lui, un po’ tremante forse per il freddo o forse per quello che promettevano i suoi occhi.Il corpo di Jack l’aveva intrappolata contro la paratia della nave, e mentre lui la esplorava con le mani, lei aveva emesso lievi gemiti sotto il suo tocco urgente ed esperto. Ma quando era entrato dentro di lei, Jack aveva capito che forse stava facendo il peggior errore della sua vita: non sapeva nulla di lei, era apparsa dal nulla e molto probabilmente sarebbe scomparsa nel nulla, dopo quella notte di passione. E lui sapeva già che nei giorni a venire (lunghi giorni di missione, fatti soprattutto di lunghe notti solitarie) avrebbe sentito ancora sulle labbra il suo sapore, quel sapore di miele selvatico, un po’ dolce e un po’ amaro, e la visione della sua bocca dischiusa nel piacere l’avrebbe tormentato per molto tempo. Così era stato. Aveva lottato contro queste sensazioni. Era sempre stato un uomo libero, la sua indole lo portava a non avere legami; si era sposato molto giovane, ma si era presto sentito in trappola, tanto da buttare al vento quel matrimonio, senza rimpianti. Si era sempre vantato di essere il classico uomo che non promette niente, che non da niente, che non vuole niente. Viveva per il mare, per la US Navy, per il vento sulla faccia quando usciva sul ponte della nave a guardare l’alba. Nient’altro. Sapeva che molte si erano innamorate di lui, ma non aveva più promesso niente a nessuna, e molto spesso le aveva lasciate col cuore infranto e senza speranze di poterlo rivedere. Ma non si sentiva né egoista né egocentrico: lui era fatto così. Questa era la frase che ai suoi occhi giustificava tutto. E così prendere o lasciare,

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diceva, ben sapendo che una donna difficilmente accettava tali condizioni: loro volevano attenzioni, belle frasi, belle parole che lui non si sognava nemmeno di dare.Ma con Estrella era stato diverso. Alla fine della festa l’aveva riaccompagnata all’auto, le aveva detto che il giorno dopo sarebbe ripartito per Norfolk e per il Sudamerica, dove sarebbe rimasto in navigazione di pattugliamento ed esercitazione per quattro mesi. Si era aspettato le solite lacrimucce lamentose, che tante volte lo avevano fatto scappare a gambe levate, e invece no.Lei l’aveva guardato con un sorriso e gli aveva detto quattro veloci e quasi gelide parole: ‘Allora alla prossima, comandante!’. L’aveva baciato schiacciandosi contro di lui, afferrandogli i capelli sulla nuca, era salita in auto ed era sparita nella notte, nel nulla, così come dal nulla era apparsa quella mattina. Jack era rimasto ammutolito, con vaghi pensieri per la testa: forse gli sarebbe piaciuto chiederle il numero di cellulare, o forse un indirizzo, o forse di rivedersi, o forse non sapeva nemmeno che cosa, lui, che era rimasto là, sferzato dal vento, su un freddo molo spagnolo, quasi incredulo di ciò che stava provando.E per Jack quella donna, Estrella, era diventata un’ossessione.Nei mesi successivi non aveva fatto altro che pensare a lei, sempre, arrivando perfino a dare ordini completamente sbagliati durante un’esercitazione nelle gelide acque dell’Antartico, tanto che se si fossero realmente trovati in un teatro di guerra, il sottomarino contro cui stavano combattendo (per fortuna quella volta solo virtualmente) li avrebbe colpiti duramente. Aveva messo a repentaglio le vite dei suoi uomini,

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e questo non se lo poteva permettere. Loro non gliene avevano fatto una colpa (un po’ di stanchezza, un’umana distrazione…), ma lui non si era certo giustificato: era stato un imperdonabile errore per un O-3 come lui. Quel giorno era tornato nella sua cabina completamente fuori dai gangheri, e aveva tirato un violento pugno alla rigida parete d’acciaio, procurandosi una ferita sulle nocche, di cui portava ancora la cicatrice.Non si era dato pace. Mille domande gli turbinavano nella testa: era sposata? Era libera? Che lavoro faceva? Abitava a Cartagena? L’avrebbe mai più ritrovata? E lei, pensava ancora a quella notte sulla nave?Finalmente i mesi erano passati e la USS Yorktown era rientrata nella baia di Chesapeake, dove sarebbe rimasta per almeno due settimane, per controlli e riparazioni varie.Jack, appena sbarcato e con la prospettiva del lungo periodo di libertà, era rimasto a Norfolk solo un paio di giorni per qualche commissione di routine, il pagamento di alcune fatture e il cambio di valigia.Dopo di che aveva preso il primo volo per la Spagna e si era diretto senza indugio a Cartagena. Passata una notte insonne nel primo albergo in cui aveva trovato una camera libera (era maggio, ormai, e la Spagna brulicava di turisti… e il freddo vento di quella notte di passione era stato sostituito da un sole bollente), aveva poi varcato la soglia del ‘Limòn Negro’. Josè aveva fatto quasi fatica a riconoscerlo, così, senza divisa. Ma, dopo averlo calorosamente salutato e dopo qualche convenevole, gli aveva detto: ‘Capitano… guardi chi c’è là, al solito posto.’

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Josè non lo si poteva prendere in giro, non aveva certo creduto alla storia della vacanza che Castle gli aveva raccontato in modo quasi caotico, arrampicandosi sui vetri e senza spostare lo sguardo dal bancone, quasi per non rimanere deluso se, voltandosi, non l’avesse vista al solito tavolo.Ma lei c’era. Jack si era avvicinato a lei, che aveva alzato lo sguardo e l’aveva guardato un po’ stupita,o almeno così era sembrato a Jack, mormorando un sommesso ‘ciao’.‘Vieni via con me. Adesso’ le aveva detto, così, d’istinto, senza nemmeno salutarla, senza nessuna spiegazione. Si era preparato una montagna di frasi da dire… tutte dimenticate. Poteva avere decine di donne… ma non pensava che a lei, ormai.Il desiderio delle sue labbra e del suo sapore erano un tormento quasi doloroso che doveva essere placato al più presto.E ancora una volta lei aveva detto di sì, così, senza pensare, senza problemi. Le aveva detto che voleva portarla da qualche parte, solo loro due, per qualche giorno. Lei non aveva chiesto perché, non aveva chiesto dove, non aveva chiesto quando. Gli aveva detto che sarebbe andata a preparare una borsa e sarebbe tornata lì nel primo pomeriggio. Dopo di che si era alzata ed era sparita ancora una volta.Quella mattina Jack e Josè ne avevano fatto il loro principale argomento di conversazione.Josè gli aveva raccontato che, dopo che la Yorktown era partita da Cartagena, Estrella aveva continuato ad andare a fare colazione al Limòn Negro per più di una settimana. Solo una

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volta aveva chiesto a Josè se Jack tornava spesso a Cartagena, ma dopo la risposta del barista (‘ogni tanto, ma senza regolarità, a volte solo per un giorno, altre per una settimana, e non sempre negli stessi periodi’), non aveva dimostrato più alcuna curiosità. Anzi, dopo era scomparsa, per riapparire solo qualche giorno prima.A questo punto le supposizioni erano diventate più pesanti: era una spia? Era un agente di qualche non ben precisato paese amico o nemico? Il suo nome era davvero Estrella Ramirez, come lei aveva detto? Era tornata perché sapeva che anche Jack sarebbe tornato?Impossibile. Nessuno sapeva delle intenzioni di Castle di tornare a Cartagena in vesti non ufficiali: l’aveva meditato per molto tempo, ma mai detto a nessuno.‘Allora è una strega!’ aveva infine detto Josè. L’aveva detto in spagnolo, bruja, aspirando più del necessario la j, quasi impaurito dall’idea che potesse esserlo davvero.O una fata, aveva pensato Jack. Con però qualche timore che s’insinuava dentro di lui.Erano andati nel sud dell’Italia, a Stromboli. Era un luogo abbastanza isolato da permettere loro di avere infiniti momenti per sfogare la loro passione, e abbastanza selvaggio per aumentare quella strana voglia di trasgressione estrema che si impossessava di Jack quando era con quella donna.Si ricordava ancora con grandissima lucidità l’escursione notturna che avevano fatto sul versante del vulcano.Era una notte magica (ancora quella parola: magia…): la luna piena, il mare insolitamente mosso sotto di loro, il fuoco del

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vulcano sopra di loro. Jack l’aveva guardata camminare davanti a lui per tutta l’ascesa, e la visione del suo corpo sinuoso che si muoveva quasi senza fatica l’aveva eccitato in maniera esasperante. Si erano fermati in un posto dove, guardando a est, avrebbero visto il sole nascere. Lei si era seduta tra le sue gambe, e Jack aveva cominciato a baciarle il collo e le spalle, accarezzandole il seno e sentendo già i suoi capezzoli inturgiditi dal desiderio. A lei piaceva fare l’amore, e lo faceva con una naturalezza che raramente Jack aveva trovato in altre donne: si dava completamente a lui, ricevendo e dando con la stessa passione, a volte con dolcezza, altre con furia ed impetuosità, come era stato quella notte sullo Stromboli, senza inibizioni, senza inutili vergogne.Era successa una cosa molto strana, quella volta. Dopo aver raggiunto un più che appagante piacere, alla luce del sole che stava sorgendo, Jack aveva avuto la sensazione che il corpo di quella donna che stringeva tra le braccia fosse diventato quasi impalpabile. Ma era stato solo un attimo. Un attimo fatale che l’aveva resa ancora più indecifrabile ed enigmatica. E intrigante, tanto da portare il duro capitano di corvetta Jack Castle a dirle ‘mi fai impazzire’.Allora lei si era girata verso di lui e l’aveva guardato con quei suoi occhi penetranti, che quella mattina erano sembrati più chiari e sfuggenti del solito.‘Non devi impazzire per me’ gli aveva risposto.‘Lo so, me l’hai già detto. Ogni volta potrebbe essere l’ultima, con te, e non devo chiederti perché. Ma ogni volta con te è

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diverso, ogni volta è più bello, ogni volta vorrei che durasse più a lungo.’Mai e poi mai Castle aveva detto qualcosa di simile ad una donna.Ma dopo aver fatto l’amore per l’ennesima volta, lì, in quella natura incontaminata, senza pudore, sdraiati sull’erba bagnata dalla rugiada della notte, col vulcano che faceva tremare la terra sotto di loro, Jack si era sentito vulnerabile per la prima volta nella sua vita. Aveva avuto timore di perderla.‘Lo sai cosa sei per me, Jack? Tu sei la mia libertà, tu sei la mia seconda possibilità, tu sei il mio riscatto. Ma non legarti a me. Quando vorrai cercami, chiamami con la mente, urla silenziosamente il mio nome, e mi troverai.’Ma non legarti a me: queste parole che lui tanto spesso aveva detto alle donne che aveva incontrato, lo spiazzarono del tutto. Non ribatté. Non poteva contestare una frase che era sempre stato il suo cavallo di battaglia e la sua arma migliore per affermare la sua indipendenza, ma quella volta il suo orgoglio aveva avuto un grosso smacco. Poi il sole era finalmente sorto. La chiara e delicata pelle di Estrella si era tinta di rosa e i suoi occhi sembravano diventati trasparenti, tanto da incutergli un po’ di timore, se Jack non avesse subito pensato che, a volte, la luce provoca degli strani effetti, e lui lo sapeva bene, dopo anni di mare tra il sole abbagliante e riflessi sull’acqua.Anche quella parentesi di passione si era conclusa. Ci sarebbe stata un’altra missione in mare, e anche questa volta senza il

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beneficio di una telefonata, di un messaggio, di un qualsiasi segno di vita. Lei era stata implacabile: niente contatti, niente sentimentalismi, ancora una volta ‘Alla prossima, comandante!’ questa volta accompagnato da uno scherzoso ma perfetto saluto militare.Strano poi, come sapesse così bene che un ufficiale del suo grado dovesse sempre e comunque essere chiamato comandante… un’altra cosa inspiegabile. Erano passati altri mesi. Questa volta, nell’Oceano Indiano, gli uomini della Yorktown ebbero la fortuna di un comandante sempre rilassato, scherzoso e gioviale. Non potevano sapere che, assurdamente, come uno stupido adolescente, Jack non pensava ad altro se non al fatto che, rispetto alla volta precedente, quel mare era molto più vicino alla Spagna di quanto non lo fosse l’Antartico. Più vicino a lei, quindi. Più vicino a quel canto di sirena che lo attraeva inesorabilmente.E dopo l’Oceano Indiano un’altra breve vacanza con lei, in un caldo fine settembre, sempre in Italia, sempre dove il mare toccava la terra. Ricordava bene le Cinque Terre, Porto Venere, la grotta di Lord Byron, e come lei quella volta era sembrata un po’ diversa dal solito, quasi un po’ più coinvolta, aveva osato pensare Jack. Quando si erano salutati non aveva detto la solita frase, l’aveva stretto a sé e quando l’aveva salutato Jack avrebbe giurato su qualsiasi cosa che i suoi occhi si erano inumiditi di lacrime.

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Impossibile. Questo aveva continuato a dirsi nei mesi successivi… ma il dubbio gli era rimasto.Ed ora eccolo là, ad aspettarla.Il giorno prima, appena arrivato a Cartagena, si era diretto come il solito al ‘Limòn Negro’.Lei non c’era, ma Josè, insieme alla consueta tazza di caffè bollente, gli aveva allungato una busta:‘E’ venuta ieri, capitano. Ha lasciato questa per lei.’Castle, questa volta, era ancora più stupito delle altre. Cominciò davvero a chiedersi come potesse sapere che lui era arrivato. S’insinuò davvero il dubbio che fosse un agente di qualche servizio segreto, o comunque che lavorasse in un ambiente in cui potesse avere la possibilità di sapere gli spostamenti della sua nave o, peggio ancora, i suoi. Aprì la busta: all’interno c’erano una chiave e un foglietto con un indirizzo e l’ora per il loro appuntamento. Josè confermò subito che era un indirizzo di Cartagena, e nemmeno troppo lontano da lì.

L’incontro avrebbe dovuto essere per le sette di quella sera, ma Jack era là da prima delle sei.Voleva valutare l’ambiente, voleva cercare di capirne di più. Appena entrato e acceso il fuoco, capì subito che non poteva essere la casa in cui lei viveva: pulita, ordinata, ma non ‘vissuta’. Aveva aperto il frigorifero: non c’era nulla oltre ad un paio di bottiglie di acqua. I mobili erano in stile un po’ antiquato: gli ricordavano molto l’arredamento dei suoi nonni nel Maryland, dove lui trascorreva le vacanze da bambino.

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Aveva indugiato in ogni angolo: gli armadi erano vuoti, nel bagno solo degli asciugamani puliti, un flacone di doccia schiuma e un paio di spazzolini da denti ancora confezionati, assieme a un tubetto di dentifricio.Così, con più nulla da scoprire, si era seduto sul divano ricoperto di pesante broccato damascato e si era lasciato andare ai ricordi, cercando di capire se gli fosse mai sfuggito qualche particolare che avrebbe potuto portargli delle risposte su quella donna misteriosa che l’aveva completamente intrappolato. Prese però una decisione: quella sera avrebbe voluto sapere di più, così non si poteva andare avanti, che Estrella lo volesse o no.Puntuale, alle sette lei varcò la soglia, con delle birre in una borsa di plastica e delle pizze ancora calde nel cartone. Si salutarono con il solito calore, ma, mentre mangiavano, Jack notò subito qualcosa di insolito. Estrella sembrava diversa: un po’ dimagrita, vestita con un’ampia felpa che nascondeva le sue provocanti forme, lo sguardo un po’ spento, come un’ombra sul viso.‘C’è qualcosa che non va, Estrèl?’ le chiese.‘No, va tutto bene…’Ma non era stata convincente.‘Non ci credo’ ribatté lui ‘sei strana, stasera.’‘Beh sì, forse un po’ di stanchezza. Forse il Natale che si avvicina, che mi rende un po’ triste, questa volta.’Mancava una settimana al Natale, e Jack aveva proprio avuto l’intenzione di proporle di passarlo insieme.Prese la palla al balzo.

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‘Potremmo stare insieme a Natale, che ne dici? Io rimango a terra fino all’inizio di gennaio, e potresti venire con me a Norfolk. Nel mio giardino c’è un abete che aspetta solo di essere decorato!’ cercò di essere allegro e spiritoso come d’abitudine, ma l’ombra che si era insinuata tra di loro era sempre più pesante.‘Non posso, Jack. Mi spiace.’ E dalla voce un po’ sofferente si capì che era sincera.‘Perché, Estrèl? Dimmi perché, ti prego. Dimmi cosa fai. Dimmi chi sei. Dimmi qualcosa. Io non posso più rimanere con questi dubbi e queste domande che mi sono precluse. Non posso più farcela. Io sono felice ogni volta che ci incontriamo, ma non posso fare a meno di pormi delle domande. Potresti rispondere, per una volta?’Estrella abbassò gli occhi.‘No Jack. Non ancora. Ma non passerà molto tempo e lo saprai. Puoi continuare a fidarti di me? Per favore.’Lo guardò con una tristezza talmente profonda, che Castle non poté fare a meno di lasciar perdere anche quella volta.‘Va bene’ le disse con un sospiro. ‘Di cosa vuoi parlare, allora?’‘Parlami di te. Parlami del tuo passato. Ti prometto che la prossima volta che mi vedrai potrò farlo anche io di me.’E così Jack Castle si mise a raccontarle della sua vita, delle sue missioni di guerra, dei suoi molti successi e anche di quell’episodio di cui raramente parlava, ma che si sentì di raccontarle.Era stato durante la seconda Guerra del Golfo, la USS Yorktown era nella formazione alleata durante la missione

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d’appoggio alle incursioni aeree che avrebbero dovuto piegare per sempre il regime di Saddam Hussein.Era successo tutto con troppa velocità. Era una notte buia, senza luna. Gli aerei delle forze alleate si erano appena alzati in volo dalla portaerei americana, diretti a Baghdad, quando, all’improvviso, dalla fregata USS Michigan si erano verificati strani movimenti. Tutte le unità navali erano collegate, in modo che tutto fosse coordinato nel migliore dei modi. Jack aveva sentito degli strani ordini partire dalla Michigan: l’allora capitano di corvetta Sean Harris, prossimo alla pensione e molto incline, in quegli ultimi tempi, alla bottiglia, credeva di aver avvistato sul radar un aereo non identificato. Impossibile. Questo non era ciò che risultava dal suo radar e da quello delle altre navi in formazione, e difficilmente l’AEGIS sbagliava. Sentì nel collegamento radio del trambusto a bordo della Michigan: gli uomini e il secondo in comando cercavano di far capire a Harris, quella sera chiaramente non abbastanza lucido, che ciò che stava vedendo era un aereo alleato. Ma Harris non aveva voluto sentire storie: aveva ordinato il lancio di un missile Tomahawk, armamento di serie su un incrociatore classe Burke quale era la USS Michigan. Sarebbe stato devastante. Il panico si era scatenato tra le navi alleate e, come ultima risorsa possibile per evitare una tragedia, appena aveva capito che l’ordine era purtroppo stato eseguito, Jack aveva ordinato a sua volta il lancio di un missile intercettore, che andasse a distruggere il Tomahawk lanciato dalla Michigan. Era stato il primo ad agire con freddezza e prontezza, essendo tutti gli altri troppo allibiti per quello che stava per succedere. Ma non era servito a nulla: il Tomahawk aveva colpito il

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Tornado della RAF, che si era disintegrato in cielo assieme al pilota.Quel pilota era una donna. Sean Harris era finito sotto corte marziale, condannato per omicidio colposo e mandato a passare la fine dei suoi giorni a Fort Leavenworth. Jack aveva avuto una menzione d’onore per il tentativo fatto per salvare l’aereo alleato, ma non se ne era mai sentito degno: era comunque stato troppo tardi, aveva comunque impiegato una frazione di tempo di troppo a prendere quella decisione e una vita era andata perduta inutilmente. Non aveva mai nemmeno voluto conoscere il nome del pilota morto, e nemmeno aveva voluto vederne la foto: si era sentito responsabile tanto quanto lo era stato Harris. Non ne aveva più parlato. Aveva semplicemente continuato la sua missione, con un pezzo di anima in meno.Estrella aveva ascoltato il racconto con molta partecipazione, quasi volendo condividere il dolore che ancora provava Jack.‘Ci hai provato. E’ stato più di quanto potessi fare, Jack. Non te ne devi fare una colpa. Non sarà certo l’unico incidente di guerra che hai avuto’ gli disse.‘Certo che no. Ma sono state tutte morti inevitabili. Ma non quella. Non quella. Io non sono riuscito a salvarla, questa è l’unica cosa che conta per me.’Il silenzio calò tra di loro. Quando finalmente Jack alzò lo sguardo su Estrella, vide che gli stava sorridendo.‘Sei un bravo soldato, Jack. E una brava persona. Perdonati.’Castle sentì che, dopo quelle parole, qualcosa gli si sciolse nel petto. Provò riconoscenza per quello che le aveva detto quella

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donna, l’unica che era riuscito davvero a smuovere qualcosa dentro di lui. Non amore, non promesse di eternità, ma qualcosa di più tangibile di parole vuote, di sicuro qualcosa di veramente importante.Ora faceva davvero caldo, in quella casa, tanto da intontirlo. O forse non era il caldo, forse era sentirsi così bene tra le braccia di Estrella. Si rilassò abbracciato a lei e si addormentò, avvolto dalla luce rossastra del fuoco del camino.Quando si svegliò il fuoco era spento, faceva di nuovo freddo, ed Estrella non c’era più.Cosa era successo? Quanto aveva dormito? Guardò l’orologio: erano le sette del mattino.Non aveva cognizione di quanto era successo quella notte, ma ben poco, si disse ironicamente: era ancora sul divano, in camicia e jeans.E solo.Lei se n’era andata ancora una volta.Si alzò a fatica, con la mente ancora un po’ intorpidita, e vide un biglietto sul tavolo dove non c’era più traccia dell’informale cena fatta la sera prima.Un altro indirizzo, questa volta senza orario, ma con un ‘quando vuoi’.Riuscì a rilassarsi: almeno l’avrebbe rivista, avrebbe potuto spiegare, si sarebbe scusato con lei.Andò in bagno, si buttò dell’acqua gelata sulla faccia e si sentì di nuovo lucido.Si rimise un po’ in sesto, uscì, chiuse la porta e mise la chiave nella tasca della giacca.

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Si fermò in un bar a fare colazione e guardò più volte il biglietto con l’indirizzo. Aveva avuto la tentazione di tornare al ‘Limòn Negro’ da Josè: non aveva idea di che indirizzo fosse, e se l’avesse chiesto a Josè, avrebbe sicuramente avuto subito qualche informazione precisa; ma quella mattina non aveva voglia dello sguardo indagatore e delle battute da camerata dell’amico barista sulla ‘bruja’, come ormai la chiamava sempre scherzosamente lui. Non aveva voglia di vantarsi ancora di quest’avventura, sentiva che qualcosa era cambiato.Indugiò nel bar una mezz’ora leggendo un quotidiano spagnolo, se la cavava bene ormai con quella lingua.Poi si decise.Si diresse al porto, dove avrebbe trovato con facilità un taxi che l’avrebbe portato all’indirizzo lasciatogli da Estrella.Quando il taxi si fermò dopo un buon quarto d’ora di viaggio nel traffico caotico, Jack rimase perplesso.‘E’ sicuro che sia questo, il posto?’ chiese all’autista.‘Sì, señor’ gli rispose quello, alquanto sicuro.Jack scese. Era davanti all’entrata di un cimitero. Incredulo. Perplesso. Confuso e pieno di domande.Perché Estrella gli aveva lasciato quell’indirizzo? A che gioco stava giocando, quella donna?Disse al tassista di aspettarlo ed entrò. Non doveva essere certo il cimitero principale di Cartagena: era piuttosto piccolo, ma molto ordinato, pulito, le lapidi erano ben tenute, molto semplici ma curate.Non sapendo assolutamente cosa aspettarsi cominciò a vagare tra le tombe, soffermandosi sui volti e sui nomi.

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E poi vide qualcosa che gli gelò il sangue nelle vene.Su una lapide c’era la foto di una donna che lui conosceva molto bene, non poteva sbagliare. I lunghi capelli corvini le incorniciavano il volto e il suo sorriso era disarmante, anche in foto.E, accanto, un’altra foto. Una donna in divisa, il volto serio, lo sguardo duro… ma era la stessa donna.Lesse il nome, che era accompagnato da un grado militare: Dolores May Estrella Ramirez, tenente di squadriglia R.A.F. Una data di nascita: 18 dicembre 1968. Oggi era il 18 dicembre.Una data di morte: 29 marzo 2003.29 marzo 2003. Quella maledetta nera notte in Iraq.Jack era impietrito. Nella sua mente si era spezzato qualcosa, come un puzzle che cadeva per terra e tornava in mille pezzi.Poi una voce alle sue spalle lo fece sussultare.‘Conosceva mia figlia, signore?’Una frase pronunciata in un perfetto inglese, dai toni bassi e caldi. Castle si voltò e si trovò davanti una donna molto elegante e distinta, alta, con i capelli spruzzati di grigio e molte rughe sul volto, che non nascondevano però la bellezza abbagliante che doveva aver avuto molti anni prima. La stessa bellezza della figlia.‘Io … sì …. No.’Non sapeva cosa dire, incespicava nelle parole.‘No, signora, non la conoscevo.’Poi si sentì in dovere di presentarsi, di dire qualcosa.

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‘Sono il capitano Jack Castle, signora, della Marina degli Stati Uniti’ iniziò, senza poter finire. Negli occhi della donna apparve un velo di comprensione.‘Il capitano di corvetta Jack Castle? Lo stesso Jack Castle che aveva tentato di salvare mia figlia durante quel tragico incidente?’ Non c’erano accuse nel suo tono di voce, anzi, c’era una nota di dolcezza e riconoscenza che misero ancora più in imbarazzo Jack.‘Io… sì, credo di sì.’Era una bella giornata di sole, dopo le nuvole del giorno prima, ma la schiena di Castle era percorsa da brividi freddi.‘Mi fa piacere conoscerla, capitano. Sono Margareth Holden, la madre di Dolores. Avrei voluto incontrarla prima, per dirle grazie. Grazie di aver tentato di salvarla. Ma il destino è stato beffardo, con mia figlia.’‘In realtà non ho fatto nulla, signora’ disse Jack, ritraendosi dalla lapide.Sentiva il bisogno di scappare via.‘Devo andare, signora. Mi ha fatto piacere incontrarla, sua figlia è … era… una donna valorosa, e certe cose non dovrebbero mai succedere.’‘E’ vero, capitano. Ma quando si ha una figlia pilota di caccia, bisogna metterle in conto, purtroppo, anche se il conto è molto salato, a volte. Oggi sarebbe stato il suo compleanno… La ringrazio di essere venuto a trovarla.’Si strinsero la mano. Jack si voltò un’ultima volta verso la tomba, fece un veloce saluto militare e se ne andò.

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In realtà avrebbe voluto fuggire come un pazzo. Perché era quello che sentiva: come una vena di pazzia che si stava insinuando dentro alla sua testa.Il taxi lo stava ancora aspettando. Si fece riportare in albergo il più velocemente possibile e, appena in camera, accese il suo portatile e andò a cercare gli articoli di giornale che parlavano del ‘tragico incidente di ‘fuoco amico’ del 29 marzo 2003: così era stato spiegato alla stampa… per salvare la faccia del capitano Harris e, insieme alla sua, quella della Marina Statunitense, colpevole di essersi ancora fidata di un uomo a cui da tempo sarebbe stato meglio togliere il comando di qualsiasi tipo di nave.Doveva sapere tutto, ora.Cercò sulla stampa inglese e finalmente trovò un articolo del Times del 30 marzo 2003. Lesse le baggianate raccontate ai giornalisti sui dettagli dell’incidente e poi si soffermò sulla foto e sulla descrizione del pilota:

- Il tenente di squadriglia Dolores May Estrella Ramirez era uno dei più promettenti piloti della RAF e un militare molto accreditato, tanto da far pensare ad una luminosa carriera nei vertici della Difesa Britannica. Nata a Cartagena nel 1968, era figlia dell’ambasciatore spagnolo Juan Pedro Ramirez e di Margareth Holden, la donna inglese sposata da Ramirez durante il suo mandato in Inghilterra. Molto stimato negli ambienti dell’alta società inglese, Ramirez aveva poi scelto di stabilirsi definitivamente a Londra, dove la figlia Dolores, affascinata dalla vita militare, aveva deciso di diventare pilota

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di caccia. Entrata all’Accademia Militare della RAF a Cranwell a 18 anni, era stata addestrata sotto il periodo di comando del famoso Maresciallo dell’Aria Reginald Wood, da noi intervistato ieri.‘Una brillante carriera troncata dal destino’ ci ha detto il maresciallo Wood. ‘Il tenente Ramirez era entrata in Accademia molto giovane e aveva dimostrato subito doti e qualità eccezionali. Dopo solo due anni era arrivata a pilotare aerei militari da trasporto. Era poi diventata una qualificatissima istruttrice di volo, ed era stata una delle prime donne a pilotare i Tornado. Per noi è una grave perdita, soprattutto a livello umano: Dolores era ammirata e apprezzata da tutti i suoi colleghi e stimata da ogni suo allievo.’‘Una collega preziosa, e una donna fantastica’, questi i commenti dei piloti della RAF intervistati.Il corpo del tenente di squadriglia Ramirez è disperso in mare, e poche sono le probabilità di trovarlo.Una prima veglia funebre si terrà questa sera nella cappella dell’Accademia militare di Cranwell, con colleghi e ufficiali in alta uniforme che renderanno omaggio a un pilota, ma soprattutto a una donna…-

Jack Castle smise di leggere e fermò lo sguardo sulla foto di Dolores… di Estrella.Un turbinio di emozioni gli affollavano la mente e il corpo: come poteva essere la donna appassionata che aveva amato sulla Yorktown un anno prima? Che aveva portato in quelle

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brevi e intense fughe di passione in Italia? Che aveva tenuto tra le braccia solo la sera prima?Quando alzò gli occhi si accorse che fuori era già buio.Spense il computer e si alzò.Prese il giaccone che aveva buttato in malo modo sul letto e mise la mano in tasca: la chiave della casa di pescatori di Cartagena non c’era più. Frugò in tutte le tasche, anche quelle dei pantaloni. Non c’era. Recuperò però il biglietto che le aveva lasciato quella mattina, e dovette strabuzzare gli occhi un paio di volte, prima di capire che non c’era più scritto l’indirizzo e la breve frase ‘quando vuoi’, ma un’unica parola, la stessa, l’ultima che aveva sentito uscire dalle sue labbra la sera precedente, prima di addormentarsi: perdonati.Lottò contro l’incredulità e lo scetticismo. Lottò contro la realtà che vedeva nelle sue mani e l’irrazionalità di quello che gli era successo.Poi piegò il foglietto, lo mise nel portafoglio e iniziò a preparare la valigia, con i soliti gesti, meccanicamente: doveva tornare a Norfolk.Forse quell’anno avrebbe passato il Natale nel Maryland, dai suoi genitori, come non faceva da tempo.Forse avrebbe fatto una telefonata alla ex-moglie Sharon, che ora era felicemente sposata e madre di due bambine.Forse avrebbe chiesto un lungo periodo di congedo.Forse avrebbe fatto richiesta di essere assegnato ad una nuova nave.Forse avrebbe potuto imbarcarsi al più presto e tornare alla sicurezza che gli dava il mare.

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Mille forse.Una sola certezza: niente sarebbe più stato lo stesso.

Grace Freeman27 luglio 2011Dedicato a tutti coloro che credono che nulla è mai veramente perduto.

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