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La Biodiversità del TerminilloAlla scoperta della vegetazione, della fauna e degli habitat dei Monti Reatini

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Regione LazioAmministrazione Provinciale di Rieti

Coordinamento editorialeGiancarlo Cammerini

Testi:Giancarlo CammeriniEnrico CalvarioSilvia SebastiFrancois SalomoneStefano Sarrocco

Cartografia:Giancarlo Cammerini

Foto:Mauro Bernoni: pagg. 83,84,113,114 alto.Fabrizio Bartolucci: pagg. 69, 106.Enrico Calvario: pagg. 95, 112 basso,115.Giuliano Cappelli (panda Photo): pagg. 90,112.Gabriele Casciani: pag. 81.Giancarlo Cammerini: pagg. 10,14,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,31,33, 34, 35, 37, 38,39,40,42,43,45,47,48,51,55,57,58,61,63,65,66,71,73,75,76,77,78,96, 99,100,103,105,118,121,123,124 alto,130,134,145,153,155,159,160,163,164,166,177.Andrea Capponi: pagg. 5,9.Romano Fabi: pag. 13.Roberta Galluzzi: pagg. 135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,145,171.Mariangela Guerrieri: pagg. 146,147,148,149,150,151,152,153,173.Domenico Marchetti: pagg. 5,9.Gianpaolo Montinaro pagg.108,126 alto.Guido Prola: pagg. 89,93,109,110,111,116,117.Stefano Sarrocco: pagg. 126basso, 125 basso.Silvia Sebasti: pag. 127 alto.Francois Salomone: pag. 107.Alberto Venchi: pagg. 109,123 basso .

INDICE

154 La cultura della montagna

168 Buone pratiche e gestione dei fontanili

174 Bibliografia

132 Gli interventi per la tutela e valorizzazione di laghetti e fontanili

124 Gli anfibi presenti nei laghetti e fontanili ripristinati

120 Progetto laghetti e fontanili

80 La fauna

104 Specie di valore europeo

50 Vegetazione e habitat

30 Geografie e paesaggi

16 La Rete Ecologica Natura 2000

8 Scoperta e difesa della biodiversità

4 Presentazione

REGIONE LAZIO

PROVINCIA DI RIETI

Accordo di programma multiregionale in mate-ria di biodiversità nella ZPS Monti Reatini, nei SIC Gruppo Monte Terminillo, Vallone del Rio Fuggio, Valle Avanzana Fuscello e interventi di riqualificazione ambientale a tutela della Batra-cofauna.

LA BIODIVERSITÀ DEL TERMINILLO

Citazione bibliografica consigliata:Cammerini Giancarlo (Ed), 2012. La Biodiversità del Terminillo. Alla scoperta della vegetazione, della fauna e degli habitat dei Monti Reatini. Regione Lazio, Amministrazione Provinciale di Rieti.

Con la collaborazione di

Si ringraziano l’Arch. Roberta Galluzzi e l’Ing. Mariangela Guerrieri.

ALLA ScoPERtA dELLA VEGEtAzioNE, dELLA fAuNA E dEGLi hABitAt dEi MoNti REAtiNi

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Presentazione Michele Beccarini - Assessore alle Politiche Ambientali

Quale è il futuro del Terminillo? Sono molti anni, oramai, che am-ministratori, operatori, ambientalisti e semplici abitanti dei paesi pedemontani dibattono intorno a questa domanda, provando a

trovare soluzioni e proposte interessanti. Una delle risposte che la nostra Amministrazione vuole dare è racchiusa in questo volume, che prova a far emergere l’evidenza scientifica del valore ambientale e naturalistico dei Monti Reatini.

Un patrimonio fino a oggi poco considerato, ma che è parte del mosaico di proposte che vedono la montagna reatina protagonista in tutti i suoi aspetti e in tutte le stagioni. Un progetto ideato per la tutela e la valorizzazione di specie peculiari e poco conosciute, come gli anfibi, ci ha consentito di curare la manutenzione, a volte la ristrutturazione e certamente la valoriz-zazione, di diciotto fontanili e due laghetti ma, soprattutto, ci ha permesso di dimostrare come sia possibile conciliare le esigenze dell’uomo con quelle della natura. I fontanili, per esempio, hanno un ruolo strategico per le spe-cie animali; ma la scelta ha dovuto tenere conto delle esigenze degli alleva-tori che quotidianamente vi fanno riferimento per l’abbeveraggio del be-stiame allevato allo stato brado e anche di offrire ai turisti luoghi di ristoro.

Ecco, nello sviluppo dei Monti Reatini si devono tenere in considerazione molti ambiti di intervento e tra questi, sicuramente, la tutela della biodi-versità deve essere messa al primo posto. La politica ha il dovere di im-pegnarsi nel coniugare le esigenze della tutela ambientale con lo sviluppo economico, magari scoprendo e mostrando, come si fa in questo progetto, che possono viaggiare sullo stesso binario.

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La conservazione è uno stato di armoniafra gli uomini e le terre.Aldo Leopold

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I crocus dipingono di viola i prati nel passaggio tra l’inverno a la primavera.

Parlare della Biodiversità dei Monti Reatini, della ricchezza naturali-stica delle montagne che sovrastano la città di Rieti, è probabilmente una novità rispetto alle decine di pubblicazioni che la celebrano per

la sua storia legata alla costruzione della stazione turistica di Pian dé Valli alle piste da sci, all’urbanizzazione capillare che nel corso di cinquanta anni ha portato il segno tangibile, a volte sconsiderato dell’uomo su queste mon-tagne più che in tutti gli altri gruppi montuosi appenninici.

Certamente questo tipo di sviluppo ha contribuito a dare un largo palco-scenico al Terminillo più per i suoi aspetti mondani che per il suo ambiente naturale. Tuttavia questa è solo una visione parziale, perché su quelle rocce, tra i boschi, nei prati ci sono persone che sono state e sono interessate so-prattutto a osservare boschi e rocce, prati e farfalle, lupi e aquile; scienziati, naturalisti o semplici appassionati che hanno percorso le valli e i versanti dei Monti Reatini, decifrando il grande valore della loro biodiversità.

Fin dal XVI secolo sono iniziate le prime descrizioni cartografiche e rela-zioni scientifiche sul mondo naturale dei Monti Reatini. Nel secolo XVII, il botanico francese Jacques Barrelier fu il primo naturalista a esplorare le pendici del Terminillo. In seguito, considerata anche la vicinanza alla Ca-pitale, decine di scienziati hanno continuato ad approfondire la conoscen-za delle caratteristiche ambientali della montagna. Il botanico ligure Paolo Boccone nel 1682 analizzò molte piante, specialmente quelle in quota, in-dividuando una pianta rara come Potentilla appenninica.

Nel 1818, con grandi capacità escursionistiche, il naturalista danese Joa-kim Frederik Schouw giunse sino in cima dove compì la prima misurazio-

Scoperta e difesa della Biodiversitàdi Giancarlo Cammerini

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ne barometrica della vetta, risultò di 2150 metri e la chiamò Terminillo grande, (R. Marinelli-Il Terminillo, storia di una montagna - Il Velino). Con lui inizia un nuovo sistematico studio della geologia, della flora e della fauna reatina, anche se le scienze naturali ancora non avevano la di-visione disciplinare che avrebbe iniziato a distin-guerle dai primi del Novecento.

Così negli anni venti il geologo Lotti, Presidente della Società Geologica Italiana, avviò lo studio della geologia dei Monti Reatini secondo la con-cezione moderna delle scienze della terra, Giulia-no Montelucci sistematizzò la conoscenza della flora dei Monti Reatini. Sempre nell’immediato dopoguerra fu fondato il Centro Appenninico del Terminillo, per iniziativa dello scienziato rea-tino Carlo Jucci; il primo erbario custodito pres-so il museo di quella che in seguito sarebbe di-ventata la foresteria del Centro di ricerca reatino, conteneva già mille esemplari e, di fatto catalizzò l’interesse di molti studiosi, entomologi, erpeto-logi, ornitologi che cominciarono a riempire le lacune di conoscenza, ma anche a meravigliarsi della varietà di ambienti, a volte rari, presenti su queste montagne. Per quanto concerne lo studio

I costoni della Valle Scura conservano gli ambienti più preziosi del Terminillo

dell’ornitofauna va ricordato il contributo, sia in termini scientifici sia culturali, del Dott. A. Au-gusto Di Carlo che per alcuni anni fu medico condotto a Leonessa.

Arriviamo ai giorni nostri in cui alla consapevo-lezza del valore della biodiversità si unisce il ri-schio della sua scomparsa. Negli anni Ottanta anche a Rieti la parola ecologia comincia a far-si sentire attraverso l’impegno degli ambientalisti. Oltre alla strenua difesa della montagna dagli ul-timi attacchi “cementificatori”, questi cercano di divulgare i valori della biodiversità per far cono-scere alla grande massa di turisti che sarebbe sta-to sufficiente fare capolino dietro i casermoni di Pian dé Valli per scorgere quella natura che or-mai appare solo nei documentari televisivi.

Infatti, già nel 1988 con la pubblicazione del vo-lume Terminillo Anno Zero, da parte di W.W.F e CAI, veniva rilevato come la percezione del Ter-minillo doveva essere più legato agli aspetti natu-rali che a quelli di “Montagna di Roma”.

Tuttavia, a livello planetario, si stava affermando una nuova visione nella gestione dell’ambiente che a breve avrebbe portato a una riformulazio-

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Una delle farfalle diurne più comuni è il Tabacco di Spagna Argynnis paphia, nell’immagine posata su una pianta di cardo rosso Cardus nutans.

ne delle politiche di conservazione e alla reinter-pretazione di una legislazione ormai inadeguata.

Il 5 giugno 1992 a Rio de Janeiro è sottoscritta la Convenzione Internazionale sulla Diversità Biologica, ratificata poi nel 1993 dalla Comuni-tà Europea. Quest’accordo sancisce un concetto fondamentale: la tutela della biodiversità è una parte inscindibile del processo economico e so-ciale di un territorio. L’Unione Europea crea la Rete Natura 2000, un programma per lo studio, la tutela e la valorizzazione delle specie e degli habitat più importanti. Anche nei Monti Reati-ni sono individuati gli elementi naturali più sen-sibili o rari e sulla base di questi create le aree di tutela. Su alcuni di essi sono stati sviluppati Piani di Gestione e progetti di studio e divulga-zione per far conoscere la biodiversità ma anche per promuovere un nuovo e più coinvolgente ap-proccio alla conservazione.

Così oggi, in termini di biodiversità, c’è una vi-sione chiara sia sulla conoscenza degli elementi naturali sia sulle azioni da attuare per la loro tu-tela. Simboli rappresentativi di questa tutela sono le specie d’interesse comunitario e in particola-re quelle che nell’immaginario collettivo rappre-

sentano la natura selvaggia: dai lupi alle faggete monumentali, dai fiori che crescono in alta quota agli anfibi, dalla miriade di farfalle e coleotteri ai rapaci che nidificano tra le pareti di roccia.

Tuttavia ci sono due specie che richiamano più di ogni altro elemento la sensazione di wilderness nei Monti Reatini: nel panorama vegetale la Betul-la, in quello animale l’Aquila reale. La Betulla, spe-cie relitta diffusasi in Italia durante le glaciazioni è presente solo nel versante nord del Terminillo, tra i massi della morena postglaciale (Pleistocene sup.) e la faggeta. Le betulle sopravvivono in for-mazioni arbustive, sotto la parete nord del Termi-nillo e ci riportano ad un periodo in cui i Monti Reatini erano ricoperti dai ghiacci e, tra i boschi di faggio, acero, abete bianco e betulla, ancora si aggiravano orsi, lupi, cavalli selvatici e mammut.

L’Aquila reale invece, ci testimonia ancora oggi un ambiente sano, il suo nido ricavato su pare-ti strapiombanti è il simbolo chiaro di una mon-tagna affascinante e severa, di una natura incon-taminata che in parte oggi è scomparsa, ma che guardando questo superbo rapace volteggiare sulle alte valli è possibile richiamare, consapevoli che per la regina di questi cieli nulla è cambiato.

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La salvezza del mondo sta nella natura selvaggia

Henry David Thoreau

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L’area dei Monti Reatini è oggetto delle Direttive emanate dall’Unione Europea e incardinate nel sistema di tutela da parte della Regione Lazio.

La Rete Natura 2000 è un sistema europeo coordinato e coerente di aree (Siti di Interesse Comunitario – SIC e Zone di Protezione Spe-ciale – ZPS) che devono essere adeguatamente tutelate dagli Sta-

ti membri dell’Unione Europea, per conservare una serie di habitat e di specie animali e vegetali indicate negli allegati della Direttiva 92/43/CEE

“Habitat” e della Direttiva 79/409/CEE “Uccelli” (sostituita dalla Diretti-va 2009/147/CE). Le due direttive non solo hanno colto l’importanza di tutelare gli habitat per proteggere le specie, recependo in pieno i principi dell’ecologia che vedono le specie animali e vegetali strettamente connesse con le componenti biotiche e abiotiche che le circondano ma, per la pri-ma volta, hanno dato rilevanza agli habitat “seminaturali”, la cui presenza e conservazione dipendono strettamente dalle attività umane “sostenibili” che in essi si svolgono.

Per assicurare il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacen-te degli habitat e delle specie di flora e fauna di importanza comunitaria, che sono stati alla base della designazione dei Siti Natura 2000, la Direttiva individua sostanzialmente i seguenti strumenti:• la definizione di misure di conservazione;• l’attuazione della procedura di valutazione d’incidenza per tutti i piani ed i progetti che insistono all’interno dei siti Natura 2000 o che, anche se esterni, possono produrre effetti che si ripercuotono all’interno dei siti;• la conduzione delle attività di monitoraggio;• L’individuazione dei Siti Natura 2000 comporta l’impegno da parte della Regione del mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente degli

La Rete Ecologica Natura 2000di Enrico Calvario SIC

MONTE FAUSOLA

SICVALLE AVANZANA

FUSCELLO

SICRIO FUGGIO

SICVALLONINA

SICMONTE TERMINILLO

ZPSMONTI REATINI

LEGENDASiti di Interesse Comunitario

Zona di Protezione Speciale

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habitat e delle specie per cui essi sono stati indi-viduati, nonché il ripristino di ambienti compro-messi. Nel Lazio la Valutazione di incidenza va effettuata tenendo conto delle Linee Guida ema-nate dalla Regione con DGR 64/2010, pubblicata nel supplemento n°38 al BURL del 27/02/2010, con le quali vengono definiti in modo chiaro gli elaborati tecnici da produrre e le modalità di at-tivazione della procedura.

Per quanto riguarda le Misure di Conservazione, il Ministero dell’Ambiente ha emanato il Decreto del 17 ottobre 2007, recante “Criteri minimi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zo-ne di Protezione Speciale (ZPS)”, pubblicato sul-la Gazzetta Ufficiale n. 258 del 6 novembre 2007, che individua una serie di obblighi, divieti ed azioni wda incentivare all’interno dei siti Natura 2000; esso è stato adottato anche per replicare alla Procedura di Infrazione comunitaria 2131/2006, ove si eccepiscono evidenti carenze di misure di protezione nei confronti delle Zone di Protezio-ne Speciale presenti sul territorio nazionale.

La Regione Lazio ha provveduto all’adeguamen-to della propria normativa al citato DM 17 otto-bre 2007, emanando la DGR 363/2008, succes-sivamente modificata con DGR 928/2008 ed en-trambe sostituite dalla DGR n° 612 del 16 dicem-bre 2011 denominata “Rete Europea Natura 2000:

La Peonia Paeonia officinalis è una specie floristica localizzata nei versanti erbosi occidentali dei Monti Reatini.

Il moscardino è un gliride stabilmente presente sui

Monti Reatini.

misure di conservazione da applicarsi nelle Zo-ne di protezione Speciale e nelle Zone Speciali di Conservazione”. Infine per quanto riguarda il Monitoraggio, La Regione Lazio, per adempiere all’obbligo normativo previsto dalla Direttiva Ha-bitat, si è dotata di una Rete Regionale di Moni-toraggio (DGR n. 497 del 3/07/2007) che consi-ste in una vera e propria rete diffusa sul territo-rio regionale organizzata in un Centro Regiona-le (“Focal Point”), alcuni centri tematici (“Topic Center”) e una rete capillare di laboratori territo-riali (ubicati presso le Aree Protette regionali). La gestione operativa del Focal Point è affidata all’A-genzia Regionale Parchi. L’ARP, con la Direzione Regionale Ambiente e con l’Osservatorio per la Biodiversità del Lazio, dovrà mettere a punto l’ar-chitettura relativa alle banche dati, agli standard e a tutti gli aspetti tecnico scientifici delle attivi-tà di monitoraggio. I Monti Reatini fanno parte della Rete Natura 2000, essendo stati designati co-me ZPS “Monti Reatini”, al cui interno sono stati individuati ben cinque SIC: Vallone del Rio Fug-gio, Gruppo del Monte Terminillo,Valle Avanza-na–Fuscello, Monte Fausola, Bosco Vallonina.

Questo sistema di aree è un riconoscimento al valore “monumentale” della biodiversità delle montagne reatine, anche da considerare come una straordinaria opportunità di studio e pro-mozione turistica.

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La cascata di Malopasso nella Valle Scura.

Il Monte Terminillo visto dalle sponde del Lago di Ventina al confine tra Lazio e Umbria.

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Questo comprensorio montano ospita comunità vegetali e animali tipiche della regione appenninica. Numerose le specie animali a elevato valore zo-ogeografico e le specie vegetali endemiche dell’Appennino centrale; presen-ti anche 12 habitat di interesse comunitario, fra cui 5 prioritari. Gli habitat maggiormente rappresentati sono costituiti da “Faggeti degli Appennini a Taxus e Ilex” e “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, estesi secondo il Formulario Standard rispettivamente sul 25% e sul 14% della superficie della ZPS. L’ambiente naturale è di tipo altomontano, con faggete di quota e forme di vegetazione al di sopra del limite dei boschi. Di note-vole valenza botanica sono le praterie submontane, quelle subalpine e la vegetazione delle rupi e dei brecciai. La composizione floristica rivela una notevole diversificazione e ricchezza, con una elevata residualità e relittua-lità. Presente la specie floristica di interesse comunitario bivonea di Savi Jonopsidium savianum.

I monti Reatini ospitano due specie di anfibi di interesse comunitario, la salamadrina dagli occhiali e l’ululone dal ventre giallo appenninico, e una popolazione estremamente localizzata di Vipera di Orsini. Presente anche il lepidottero Euphydrias aurinia. Di notevole interesse sono i mammiferi di medie e grandi dimensioni, tra cui un nucleo stabile di lupo e alcune segnalazioni recenti di orso bruno. Rilevante il numero di specie ornitiche. Sul gruppo montuoso vi sono 2 coppie nidificanti di aquila reale, alcune decine di coppie di coturnice e di gracchio corallino, e infine 3-4 coppie di falco pellegrino. Nelle faggete d’alto fusto vi sono due specie d’interesse legate alle comunità degli alberi vetusti, come la balia dal collare e il picchio dorsobianco. Nidificano inoltre il biancone, la tottavilla, l’averla piccola e il calandro.

La Valle Avanzana - Fuscello prende origine dai versanti montuosi di Monte Tilia e Collelungo e delimita la parte nord-occidentale dei Monti Reatini.

Si tratta di una valle situata al confine con l’Umbria che si sviluppa da quota 1100 a quota 600 m s.l.m., interamente ricoperta di formazioni forestali montane e submontane, dalle faggete ai boschi di roverella. Nel torrente di fondovalle, fosso di Leonessa, lo scorrimento idrico superficiale, a causa delle captazioni delle sorgenti, è discontinuo ed irregolare e si mantiene più o meno permanente soltanto nella parte alta della valle, lungo il rio Fuscello. A quote elevate è presente una faggeta che verso valle rimane solo a ridosso dell’alveo. I versanti della media valle sono occupati da una foresta mista costituita da aceri, carpini neri e, subordinatamente cerri. Il fondo valle e alcune vallecole laterali ospitano una cospicua popolazione di salamandrina dagli occhiali e alcuni nuclei di ululone a ventre giallo, tra le specie faunistiche di Direttiva. Le scarpate rocciose che bordano i versanti della valle sono occupati da una coppia nidificante di falco pellegrino. Un problema ambientale che presenta la valle è la quasi totale assenza dello scorrimento idrico superficiale, se non nella parte alta di Fuscello, a seguito della captazione quasi integrali delle sorgenti. Infatti il torrente Avanzana ha un regime torrentizio molto pronunciato, nei mesi di maggiore piovosità e scioglimento delle nevi ha una portata che consente la riproduzione di alcune specie di anfibi ma nel resto dell’anno resta asciutto, sfocia nel lago di Piediluco. La valle Avanzana nei secoli ha rappresentato un passaggio importante sia come corridoio faunistico che per la transumanza delle greggi, un collegamento tra le montagne umbre e la pianura reatina certamente utilizzato anche da carovane e pellegrini.

Monti Reatini Valle Avanzana-Fuscello

Monti Reatini ZPS IT6020005

Comuni: Morro Reatino, Rivodutri, Poggio

Bustone, Cantalice, Castel Sant’Angelo, Borgo Velino,

Micigliano, Leonessa, Posta, Rieti

Estensione: 24.446,00 ha.

Valle Avanzana-Fuscello

SIC IT6020004

Comuni: Morro Reatino, Rivodutri, Leonessa,

Labro.Estensione: 1151,3 ha

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Il Vallone del Rio Fuggio corrisponde al bacino idrografico del fosso omo-nimo, un affluente in riva sinistra del fosso Tascino di Leonessa. Il sito è situato ad una altezza media di 1298 m s.l.m. ed è ricoperto per buona par-te da faggete ad alto fusto. Le faggete a tasso che ricoprono i versanti della stretta valle, rappresentano una vegetazione montana relitta, sviluppatasi nel corso della fine del Terziario, ridotta progressivamente dalle crisi gla-ciali quaternarie. Lungo il vallone del Rio Fuggio, sul fondo della stretta valle, si rinvengono anche dei nuclei di foresta mista, da riferire all’habitat prioritario delle “Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion”. Lungo la valle, in corrispondenza delle confluenze di piccoli rii laterali alla valle principale, è presente l’habitat prioritario denominato “Sorgenti pie-trificanti con formazioni di travertino”. Sono inoltre presenti altri 3 habitat di interesse comunitario, quali “Faggeti degli Appennini a Taxus e Ilex” , “Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica” e “Bordure plani-ziali montane e alpine di megaforbie idrofile”. Tra le specie della Direttiva segnalate nel sito vi sono la balia dal collare, nidificante nella faggeta, e la tottavilla, un alaudide presente nelle radure di quota. Il Piano di Gestione ha evidenziato la necessità di migliorare l’utilizzo delle risorse idriche, evi-tando ulteriori captazioni e cementificazioni delle rive e dell’alveo, pre-vedendo, inoltre, un regime speciale di protezione che escluda tutti gli interventi di taglio forestale e di trasformazione territoriale che possano provocare l’alterazione delle condizioni di efficienza del flusso delle sor-genti. Risulta inoltre necessario prevedere un’adeguata regolamentazione del transito carrabile. La risalita di questa valle conduce nei vasti prati in quota verso i monti Tilia e Corno.

Il sito include tutte le principali cime del gruppo del monte Terminillo. Sono presenti molti degli habitat degli orizzonti montano superiore, su-balpino ed alpino, tipici della regione appenninica: faggete, cespuglieti e praterie d’altitudine, ghiaioni e brecciai. Nell’alternarsi delle diverse mor-fologie, si rinvengono alcune tra le cenosi vegetali più tipiche e peculiari dell’Appennino centrale come le brughiere altomontane, corrispondenti all’habitat di interesse comunitario delle “Lande alpine e boreali” con po-polamenti di mirtillo nero, che nel comprensorio si trova al limite meri-dionale del suo areale. Le praterie subalpine, corrispondenti agli habitat delle “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, delle “Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane”, e le comunità vegetali colonizzatrici dei brecciai e dei liscioni calcarei che caratterizzano gli habitat dei “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani ed alpini (Thlaspietea rotundifolii)” e dei “Pavimenti calcarei”. Il sito è l’u-nico del comprensorio montano dove sono distribuite le formazioni arbu-stive a ginepro nano, una specie rara al limite meridionale del suo areale. Ai limiti superiori della faggeta è segnalata la presenza di popolazioni di betulla, specie assai rara nel Lazio. Per quel che riguarda le specie faunisti-che di Direttiva, nel sito sono segnalate le principali aree di alimentazione e di riproduzione del calandro, del gracchio corallino, della coturnice e l’unico nucleo presente nel comprensorio di fringuello alpino. Nell’area è inoltre presente una coppia di aquila reale. Segnalata anche la Vipera di Orsini, un serpente di piccole dimensioni, dalle abitudine schive, che si alimenta di cavallette montane. Questa è la parte sommitale dei monti Reatini che comprende la vetta principale e la cresta Sassetelli che rappre-sentano uno dei paesaggi più suggestivi e di carattere realmente montano.

Vallone del Rio Fuggio SIC IT6020006

Comuni: Leonessa.Estensione: 292,9 ha

Gruppo Monte TerminilloSIC IT20007

Comuni: Leonessa, Cantalice, Micigliano.Estensione: 3185,7 ha

Vallone del Rio Fuggio Gruppo Monte Terminillo

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Situato nel comune di Rivodutri, il sito è localizzato nel settore nord-occidentale dei monti Reatini e include versanti e la parte sommitale di monte Fausola. Il paesaggio del monte Fausola, che raggiunge i 1325 m s.l.m., è caratterizzato da praterie montane ricche di specie endemiche. Da segnalare la presenza di “Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)(*notevole fioritura di orchidee)”, habitat di importanza prioritario esteso sull’80% della superficie. È altresì presente il Jonopsidium savianum, una crucifera anche nota come bivonea di Savi, in genere considerata rara, sebbene negli ultimi anni sia stata segnalata in nuove località. Sarebbe infatti necessaria una gestione controllata del pascolo per evitare sia l’eccesso di pascola-mento, sia l’abbandono totale delle attività pastorali. La specie vegeta pre-valentemente in aree a morfologia dolce, poco inclinate e subpianeggianti, nelle radure boschive su suolo acido dai 300 ai 1300 m s.l.m. Si tratta di un paleoendemismo relitto, molto raro e localizzato, con areale limitato a poche stazioni distribuite nell’Appennino Umbro-Laziale e in Toscana. Le principali cause di minaccia per questa entità risultano essere l’evoluzione della vegetazione rappresentata dall’espansione della macchia che coloniz-za le praterie dove vive la specie, e la presenza di cinghiali che distruggono continuamente le radure dove la specie è preferenzialmente presente. Sulla strada, dal paesino di Cepparo verso Monte Fausola si trova il Faggio di San Francesco, un esemplare monumentale di Fagus sylvatica dall’età di circa 250 anni. La leggenda narra che la rarissima conformazione ad om-brello sia stata assunta, miracolosamente, per proteggere il Santo da un temporale, in realtà si tratta di una mutazione genetica.

Situato a un’altezza media di 1471 m s.l.m., il sito include l’intera valle della Meta e gran parte della Vallonina, nonché l’alta valle del fosso Tascino di Leonessa. I boschi di faggio rappresentano la tipologia vegetazionale più frequente nell’area, rivestendo quasi ininterrottamente le pendici dei monti tra i 1000 e i 1900 m circa. Alle quote più elevate si rinvengono prevalente-mente faggete pure, accompagnate sporadicamente da aceri, sorbi e salici. In alcune località la faggeta si arricchisce anche di tasso e di agrifoglio, co-stituendo l’habitat prioritario “Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex”. Il tasso è presente soprattutto sugli affioramenti di roccia calcarea delle pareti delle forre, in stazioni generalmente più umide, ombreggiate e con scarse oscillazioni termiche. I nuclei di megaforbie idrofile, caratterizzanti l’ha-bitat delle “Bordure planiziali montane e alpine di megaforbie idrofile” si rinvengono nella fascia della faggeta in prossimità di corsi d’acqua, nelle radure e sui margini del bosco. È inoltre presente l’habitat “Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa di Salix eleagnos”. Tra le specie faunistiche, il lupo è presente nell’area della Vallonina in buona parte dell’anno. Tra le specie ornitiche nidificanti, oltre alla balia dal collare, sono state recente-mente segnalate tre ulteriori specie di interesse comunitario. Si tratta di un picide, il picchio dorsobianco, e due passeriformi, il gracchio corallino e la tottavilla. La captazione delle sorgenti del fosso di Tascino di Leonessa e gli interventi idraulici di risistemazione in alveo hanno distrutto parte della fascia di salici preesistente. Sarebbe inoltre necessario mantenere la massima varietà di situazioni qualitative del legno morto in quanto questi elementi forniscono sia cavità disponibili per la nidificazione della balia dal collare e del picchio dorsobianco sia il substrato alle comunità animali saproxiliche di cui queste due specie si alimentano.

Monte Fausola Bosco Vallonina

Monte FausolaSIC IT20008

Comuni: RivodutriEstensione: 143,2 ha

Bosco ValloninaSIC IT6020009

Comuni: Leonessa.Estensione: 1125,3 ha

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Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pe-scato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.

Anonimo

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Quando si parla dei Monti Reatini si ha sempre un piccolo disagio a non riuscire comunicare con completezza a quali montagne ci si riferisce, tanto la loro conoscenza è legata alla sua vetta più alta

e famosa, il monte Terminillo. In effetti, le vette, pur rappresentando una sintesi orografica, quasi mai ci offrono la complessità delle montagne di cui sono il punto culminante. Così è anche per i Monti Reatini, dove i paesaggi talvolta nascondono una geografia articolata, a volte sorprendente che, anche nell’era della carto-grafia satellitare, può riservare piacevoli sorprese al viaggiatore curioso.

Infatti, se la percezione del paesaggio delle montagne reatine normalmente lo fa apparire come familiare, domestico, tanto siamo abituati a osservarlo velocemente tra le strade che lo attraversano, così non è per la visione ge-ografica che ha sempre bisogno di uno sforzo per conquistare una cono-scenza più approfondita, per scoprire il Genius Loci che inevitabilmente si nasconde tra l’evoluzione storica e la natura dei luoghi.

Così, se l’immagine paesaggistica del Mons Tetricus appare già nelle fonti classiche, la sua rappresentazione cartografica ha il proprio battesimo in una pergamena della fine del XIII secolo (anche se con rappresentazioni fantasiose), con caratteristiche che in seguito saranno una costante anche nelle definite carte del XVIII e XIX sec. Queste caratteristiche mostrano il gruppo dei Monti Reatini come una serie di aspri pinnacoli, isolati e rivolti verso sud, verso la Capitale, orientati verso il paesaggio visivo che s’incrocia percorrendo la via consolare Salaria. Ancora oggi, percorren-do l’antica Via del Sale, già dalle colline della Sabina il Terminillo appare

Geografie e paesaggidi Giancarlo Cammerini

A Roma, dalle alture del Gianicolo, nelle giornate con vento di tramontana è possibile ammirare il profilo del Terminillo al fianco del Cupolone.

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imponente rispetto a tutte le altre alture vicine. Così la visione da sud dei tre “coni” di Termi-nilletto, Terminilluccio e Terminillo nel corso dei secoli ha fissato l’icona geografica e menta-le di tutto il gruppo montuoso. Un’immagine cuneiforme che in antichità ha fatto pensare a un vulcano spento: in realtà non è così, infatti, è sufficiente girargli intorno per scoprire i versanti a nord-est e capire immediatamente che la loro conformazione è quella tipica dei massicci calca-rei dell’Appennino.

La vetta del Monte Terminillo è alta 2.217 m.s.l.m., questa quota, rilevata recentemente dalle appa-recchiature satellitari della Facoltà d’Ingegneria dell’Università La Sapienza, è stata misurata in un punto poco più a nord rispetto alla storica vetta dove ancora oggi è ubicata la colonnina dell’Istitu-to Geografico Militare. Ecco dalla vetta, e dalle cir-costanti alture l’orizzonte è sempre quello di altri gruppi montuosi, alcuni più imponenti, altri che degradano verso la pianura e il mare.

A nord, dal sistema montuoso umbro si staglia-no i monti Sibillini fino a giungere nelle marche con il M.te Vettore 2.476 m.s.l.m. Il fiume Tron-to segna lo spartiacque dal quale s’innalzano le montagne abruzzesi che rappresentano certa-mente l’orografia più rappresentativa degli Ap-pennini. I Monti della Laga (M.te Gorzano 2.458 m.s.l.m.) aprono il panorama che tuttavia è rim-picciolito dalla vicinanza del Gran Sasso (Corno

Versante Nord-est dei Monti Reatini in estate

Versante sud Monti dei Reatini in inverno

Grande 2.912 m.s.l.m.), la più alta delle vette de-gli Appennini. Poi lo sguardo si sposta verso le montagne del Velino-Sirente (M.te Velino 2.487 m.s.l.m.). A sud-ovest si apre la grande pianura reatina contornata dai monti Sabini che degra-dano nel sistema collinare della Sabina fino alla pianura fluviale del Tevere. Questi gruppi mon-tuosi hanno altezze e uno sviluppo orografico molto ampio, fanno da quinta teatrale alle mon-tagne più vicine ai Monti Reatini, nella provin-cia di Rieti. Sempre partendo da nord abbiamo monte Pozzoni (1.903 m.s.l.m.) dalle cui pendi-ci nasce il fiume Velino, poi a est monte Giano (1.820 m.s.l.m.) che con i suoi scoscesi versanti da origine alle gole di Antrodoco; al fianco si er-gono il monte Nuria (1.888 m.s.l.m.) e il siste-ma montuoso del Cicolano che si estende fino alle montagne della Duchessa. A sud troviamo i gruppi montuosi che circondano le valli dei fiu-mi Salto e Turano, prima con i rilievi di monte Cervia e Navegna (1.508 m.s.l.m.), più a sud con i monti Lucretili (M.te Pellecchia 1.368 m.s.l.m.). A sud-ovest si apre la pianura reatina, attraversa-ta dal fiume Velino, stretta tra i rilievi dei monti Sabini (M.te Tancia 1.292 m.s.l.m.) e i Monti Re-atini per questo può essere anche definita come conca intramontana.

Il gruppo dei Monti Reatini ha un’estensione ben circoscritta: i crinali, le valli, gli spartiacque de-finiscono nei dettagli la sua forma ed è possibile

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Le caratteristiche climatiche dei Monti Reatini sono spiegate dalla posizione geografica “aperta” verso il Tirreno e pertanto esposta agli influssi dei venti caldo-umidi provenienti dai quadranti occidentali che incontrandosi con le minori temperature determinano copiose precipitazioni. Il rigoglio della vegetazione ne è una conseguenza. Nella foto il Terminilletto visto dalla cresta Sassetelli.

La parete est del Terminillo ricoperta da una copiosa nevicata dalla colorazione marrone. Tali eventi sono dovuti all’influsso dei venti caldo-umidi provenienti da sud-ovest, normalmente dal nord Africa, che hanno caricato di sabbia e polvere le formazioni nuvolose che successivamente si spostano a grande velocità verso nord.

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I crocus dipingo-no di viola i prati

della primavera

compiere il periplo attraverso strade asfaltate in meno di cento chilometri. Da Rieti, si risale la valle del fiume Velino fino ad Antrodoco, poi le gole omonime dominanti a est, da monte Giano fino al paese di Posta, quindi ci si orienta ad ovest percorrendo la strada che, attraverso il paese di Albaneto, giunge a Leonessa. Da qui si gira nuo-vamente a sud verso la Forca del Fuscello, poi la strada costeggia i versanti fino a scoprire di nuo-vo il panorama della pianura reatina per tornare al punto di partenza, Rieti.

Riprendendo il percorso in senso antiorario tro-viamo le principali valli, articolate su un profi-lo altimetrico che va dalla base della montagna (500-1000 metri) fino alle aree sommitali: sono il Vallone di Lisciano, Valle Ravara, Valle Scura, Vallonina e la Valle di Cantalice. Da queste è pos-sibile risalire la montagna fino alle vette maggiori, incontrando le diramazioni di altre valli boscose e circhi glaciali, creste, pratoni scoscesi, pascoli in uno scenario paesaggistico di rilievo che, pur nella limitatezza spaziale del gruppo montuoso, riesce a offrire una bella articolazione di scenari di montagna.

Le vette che superano i 2.000 metri sono in-dividuate nel Terminillo e la Cresta Sassetelli (2.217 m.s.l.m.), il M.te Elefante (2.015 m.s.l.m.) con la cresta dei M.ti Valloni e il M.te Cambio (2.081 m.s.l.m.) che si prolunga con una cresta su M.teCatabio fino alla pianura di Leonessa. Le

dorsali e le creste sommitali descrivono i perime-tri delle valli in quota che sono uno degli elemen-ti più interessanti della geografia, in particolare la Cresta Sassetelli che separa la Valle della Meta dalla Valle degli Angeli, e tra Terminillo e Ter-minilletto la valle dell’Inferno, sopra Leonessa la vall’Organo e numerose altre valli meno cono-sciute, nascoste dai i boschi e dalla morfologia e forse per questo più attraenti da visitare.

Tutte le altre cime non superano gli 1.800 me-tri, le più importanti sono Colle Leprino (1.746 m.s.l.m.), Cima d’Arme (1.678 m.s.l.m.) che in-sieme a Monte Rosato delimitano il versante ovest, poi il settore leonessano con monte Corno e Tilia (1.775 m.s.l.m.) e quello della valle del Ve-lino con Cimata di Castello e Colle delle Porrare (1.603 m.s.l.m.). Tutte queste cime sono inter-vallate da valichi e passi montani alcuni dei quali sono una chiave fondamentale per capire la geo-grafia dei Monti Reatini. Certamente il più famo-so di questi è il passo di Sella di Leonessa (1.900 m.s.l.m.), oggi percorribile in estate da una co-moda strada panoramica, collega i due versanti nell’asse sud-nord, la città di Rieti con il paese di Leonessa. Questa strada (da Rieti S.S. bis Salaria) ha facilitato l’accesso in quota e al fianco della quale sono nate le stazioni turistiche di Pian dé Valli e Campoforogna. Un altro valico strategico per capire la geografia dei Monti Reatini, ma an-che la storia, è il Passo La Fara, tra i comuni di

La città di Rieti si trova alla base dei Monti Reatini sulla pianura reatina. Dal binomio pianura- montagna e acque-boschi deriva la bellezza e la biodiversità di questo territorio.

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Le rocce calcaree sono sottoposte ad una costante erosione sia ad opera degli agenti atmosferici che per l’accentuato fenomeno del carsismo che opera la dissoluzione del carbonato di calcio.

I Monti Reatini comprendono anche una rilevante geodiversità. Da Sella di Leonessa si trovano le imponenti megabrecce, ad elementi di Calcare Massiccio (sulla sinistra della foto), presenti all’interno della formazione della Corniola. Questa formazione denominata Megabrecce nella Corniola è uno dei geositi individuati dalla Regione Lazio nel territorio del Montepiano Reatino.

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Versante nord di Valle Scura con la spaccatura del Fosso dei Cavalli, sovrastati da Monte di Cambio e Monte Iazzo . Questa è una delle aree meglio conservate del comprensorio montano.

Leonessa e Poggio Bustone-Cantalice-Rivodutri, infatti fin dal medioevo è stato uno dei passaggi che collegavano l’Umbria con la pianura reatina. Certamente vi ha camminato San Francesco e oggi sono ancora visibili le tracce di quel passato medievale, in seguito è diventata linea di confine tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie.

La geografia dei luoghi ha comunemente il de-stino che le rocce e la loro formazione gli hanno assegnato. Nel massiccio del Terminillo, analoga-mente a quanto accade in gran parte dell’Appen-nino, le rocce sono di origine sedimentaria.La dorsale montuosa dei Monti Reatini è racchiu-sa tra due ampie depressioni, che molti sostengo-no essere, tuttora in lento abbassamento: il baci-no di Rieti e quello di Leonessa, originatisi tra il Pleistocene e l’Olocene durante una fase tettonica distensiva. Le formazioni rocciose più antiche del gruppo montuoso sono costituite da calcari mas-sicci e da successioni calcaree e calcareo-dolomi-tiche di piattaforma carbonatica sub-tropicale, in-tensamente tagliate da faglie e tra loro accavallate. Stratigraficamente sovrastanti vi sono altre for-mazioni di natura calcarea e marnosa originatesi in un ambiente marino pelagico.

Il modellamento del paesaggio è quello dovuto in parte alla presenza del ghiaccio ed è rilevabile in corrispondenza del massiccio del Terminil-lo, dove sono ancora visibili i segni dell’ultima glaciazione, quella di Würm, risalente a 10.000

anni fa. A quote più elevate sono evidenti i cir-chi glaciali e le piccole valli sospese; scendendo lungo il versante occidentale s’incontrano le Valli degli Angeli e dell’Inferno, mentre su quello set-tentrionale la Vall’Organo e la Valle della Meta che presentano tutte una tipica conformazione a “U”, dovuta all’azione erosiva di lingue glaciali. A quote minori, dove lo scorrimento delle acque superficiali non ha rimodellato completamente il paesaggio, è possibile rintracciare i resti delle an-tiche morene. Anche la Vallonina e la Valle Scura sono di origine glaciale, ma la loro forma attuale è stata fortemente condizionata dalla presenza di corsi d’acqua che, erodendo il fondo, hanno con-ferito loro un profilo a “V”. Altre forme presenti sono connesse per lo più all’erosione operata dal-lo scorrimento delle acque superficiali.

Tuttavia se si vuole capire veramente la storia ge-ologica di queste montagne bisogna andare nelle gole di Antrodoco, lì si trova un’importante strut-tura geologica dell’Appennino centrale: la linea di faglia “Ancona-Anzio”. Si tratta di una profonda frattura che divide gli appennini a metà, e che è alla base di alcune odierne differenze ambientali. Ad esempio l’area di monte Nuria fino alle monta-gne della Duchessa, si è originata in un ambiente marino con acque basse, con clima subtropicale, con vaste aree di barriera corallina (Piattaforma Carbonatica) e oggi ci appare con successioni rocciose calcaree, che lasciano infiltrare gran par-

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Due classiche panoramiche dal Terminillo, la catena dei Monti Sibillini, con la vetta Monte Vettore (2.476 metri) e in basso i Monti della Laga con il Monte Gorzano (2.458 metri) la più alta vetta del Lazio. Questi gruppi montuosi appenninci confinano con la catena dei Monti Reatini.

La vetta del Terminillo non è più di 2216 metri come riporta la cartografia ufficiale. Infatti, nel 2006 il Prof. Mattia Crespi, della Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza ha compiuto il rilevamento altimetrico della montagna con la strumentazione satellitare. Il punto dove è collocato il segnale trigonometrico ha fornito quota 2215,41, vicina al 2.216 ufficiale. In quell’occasione fu verificata anche l’altezza della vicina cima Nord, quella con la piramide di sassi, che risultò quota di 2217,13, di 1 metro più alta.Così, la vetta del Terminillo oltre ad avere cambiato luogo e quota oggi si trova nel Comune di Leonessa.

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te dell’acqua impedendo lo sviluppo di una coltre vegetale arborea diffusa e uniforme.

In quest’area le rocce, per effetto del carsismo si sciolgono, e sviluppano inghiottitoi, grotte e lun-ghi reticoli carsici, per questo motivo la presenza di acquiferi sotterranei in quota è molto scarsa, mentre nel fondovalle c’è una straordinaria con-centrazione di sorgenti, prima fra tutte quelle del Peschiera. Questa sorgente, con una portata di circa 20.000 l/sec e che rifornisce di acque sor-give una metropoli come Roma, ha il suo bacino di alimentazione proprio dalle montagne che si estendono dal Cicolano fino alla Marsica.

Per contro i Monti Reatini, pur essendo un mas-siccio sostanzialmente calcareo, presentano una maggiore diversità sedimentologica dovuta alla presenza di sabbie, marne, selce e argille. Questo si riflette in una minore permeabilità dei suoli e in una maggiore presenza di acqua in prossimità della superficie che consente alla vegetazione di giungere a quote elevate. Per tali caratteristiche il massiccio dei Monti Reatini alimenta, oltre a fal-de sospese che danno origine a piccole sorgenti poste in alta quota contiene anche una potente ed estesa falda basale è una delle più ricche della regione.

Guardando la vegetazione è facile capire anche la geologia della montagna. Ad esempio nelle valli dove l’erosione carsica drena le acque nel sotto-suolo troviamo una vegetazione meno rigogliosa,

certamente non arborea; mentre nei versanti con una stratigrafia meno permeabile si trovano le faggete, talvolta fino a quote considerevoli. Pro-prio in queste aree, le rocce calcaree sono infra-mezzate dalle marne pertanto hanno la capacità di sostenere acquiferi, dando origine a sorgenti puntuali, anche a quote elevate. Tra queste ultime, le più conosciute e frequentate sono quelle di Ac-quasanta, sotto la cresta Sassetelli, e di Capo Scu-ra, nella valle Scura, rispettivamente a 1745 e 1490 metri di quota. È soprattutto a quote meno eleva-te, in prossimità del paesaggio morfologico dal ri-lievo alla Piana Reatina e alla valle del Velino, che le acque emergono in una miriade di sorgenti la cui portata può arrivare anche a qualche migliaio di litri/secondo, come nel caso della sorgente di Santa Susanna, in prossimità di Rivodutri.

Infatti, sui Monti Reatini hanno sede due bacini idrografici che danno origine rispettivamente ai fiumi Corno e Velino entrambi appartenenti al bacino idrografico del fiume Tevere e tributari del fiume Nera. Il Corno, attraversa il paese di Leonessa, poi scorre verso la Valnerina in Um-bria. Il fiume Velino invece circonda quasi com-pletamente i Monti Reatini rappresentandone sia il confine geografico che il corridoio ecologi-co per i territori circostanti e insieme rappresen-tano l’elemento storico-geografico e ambientale più importante. La rete ecologica collega le aree umide della pianura, al sistema collinare, alle

Il versante nord della cresta Sassetelli conserva le tracce più evidenti dell’erosione glaciale. In alto la parete nord del Terminillo, in primo piano la morena residuale del ghiacciaio di epoca quaternaria risalente a circa 20.000 anni fa.

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Nelle giornate particolarmente limpide, da Campoforogna è possibile vedere Roma e fino al mar Tirreno (la striscia chiara che attraversa l’immagine) proprio per l’assenza di montagne nel settore sud-ovest del Lazio

aree di alta montagna, insieme conferiscono a tutto il comprensorio del Montepiano Reatino un alto valore di biodiversità. La Valle del Velino e la Pianura Reatina raccolgono un sistema di acquiferi e di sorgenti stra-ordinarie che insieme ai boschi rappresentano la principale alleanza natu-rale di questo territorio. La diffusione capillare delle acque ci regala una vegetazione rigogliosa anche nelle estati siccitose, il tutto si trasforma in virtù estetica che fa annoverare questo territorio tra i più belli e suggestivi paesaggi d’Italia, certamente meritevole di tutela e valorizzazione.

Certo, alla formazione del paesaggio attuale hanno contribuito molti ele-menti, naturali e generati dalla storia dell’uomo, ma il vero volto di questi luoghi, il Genius loci dei Monti Reatini nonostante il passare dei secoli è rimasto lo stesso.

Forse si può incontrare, osservando il massiccio da lontano, nel silenzio invernale delle valli in quota, percorrendo una delle creste da cui si scopre l’ampio panorama, arrampicandosi sulla gelida parete nord del Terminillo o semplicemente percorrendo i tornanti della strada statale che attraversa tutto il massiccio. Sì, forse l’immagine e la percezione non sono cambiate rispetto a 2000 anni fa, quando poco si sapeva di questa montagna. Così ancora oggi, nelle limpide giornate di tramontana, dal Gianicolo a Roma è possibile intravedere al fianco della cupola di Michelangelo, all’o-rizzonte, il Monte Terminillo; e allora è facile capire che i Tetricae Horren-tes rupes di Virgilio o i Gurgures alti montes narrati di Varrone non poteva-no non corrispondere a quel paesaggio oggi è impresso sui Monti Reatini.

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Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne

(Immanuel Kant)

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La Valle Scura è rimastaintatta per via dei suoi versanti scoscesi.

Il paesaggio vegetale che caratterizza i Monti Reatini è costituito prevalente-mente da formazioni di tipo alto-montano, rappresentate in massima parte da faggete di quota e da forme di vegetazione che si sviluppano al di sopra

del limite della vegetazione forestale; queste ultime, in particolare, rivestono un ruolo chiave soprattutto da un punto di vista fitogeografico, in quanto eviden-ziano come questo sia uno dei territori più conservativi per la flora continenta-le a carattere boreale di tutta l’Italia Centrale.La maggior parte delle informazioni di seguito riportate sono tratte dal volume “Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) e dai Piani di Gestione della ZPS dei Monti Reatini (AA.VV., 2004 a) e del SIC di Vallonina (AA.VV., 2004 b).La relittualità, infatti, è uno degli aspetti che maggiormente caratterizza la flora e la vegetazione di questo comprensorio: recenti indagini sulla distribuzione altitudinale della flora evidenziano come per questo territorio sia presente un generale fenomeno di persistenza di entità floristiche tipiche della vegetazione steppica che durante l’ultima fase glaciale caratterizzava ampi settori dell’Italia peninsulare. Anche la presenza della Bivonea di Savi (Jonopsidium savianum), una specie endemica estremamente rara in Italia, è altamente rappresentativa di una condizione di relittualità, riconducibile a nuclei di conservazione di flora di ambienti semidesertici sopravvissuti al cambiamento climatico postglaciale. Non meno rilevante è il valore della vegetazione forestale e delle sue forme di transizione con la vegetazione delle praterie subalpine. Ampie e compatte sono ancor oggi le faggete di tipo mediterraneo-montano a tasso e agrifoglio, nelle quali si conservano popolazioni di betulla (Betula pendula), come residuo di più complesse forme di vegetazione forestale dell’Olocene medio. Un ulteriore elemento di relittualità e costituito dai nuclei di foresta temperata a tigli (Tilia platyphyllos, T. cordata) e aceri (Acer sp. pl.), diffusi su alcune pendici a clima relativamente caldo umido.

Vegetazione ed habitatdi Francois Salomone

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Carta della Vegetazione e degli habitat di interesse comunitario.

Fonte: Piano di Gestione della ZPS dei Monti Reatini (AA.VV., 2004 a).

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Nel versante nord dei Monti Reatini le faggete giungono alla quota di 1900 metri ricoprendo i versanti fino alle praterie e alle rocce sommitali.

Boschi di faggio

I boschi di faggio (Fagus sylvatica) dominano in assoluto il paesaggio ve-getale del comprensorio, ricoprendo in modo pressoché continuo le pen-dici dei rilievi entro una fascia altimetrica compresa fra 800-1.000 e i 1.900 metri circa. Si possono distinguere due aspetti principali:

Faggeti d’alta quotaAlle quote più elevate l’azione di pascolamento del bestiame domestico ha determinato nel corso dei secoli un abbassamento della distribuzione alti-metrica del faggio. Le faggete più elevate (in quota 1900 – 1600 m s.l.m.) so-no costituite da popolamenti monostratificati a dominanza assoluta di Fa-gus sylvatica, in cui la presenza di aceri (Acer pseudoplatanus, A. obtusatum, A. platanoides) testimonia eventi passati di apertura e chiusura della volta arborea. In corrispondenza di siti rupestri al limite superiore della faggeta tendono ad accantonarsi nuclei di rosacee legnose dominate da sorbi (Sor-bus aria, S. aucuparia), mentre in condizioni di ristagno idrico compaiono occasionalmente popolazioni di salice delle capre (Salix caprea), che, per la capacità di resistenza della specie alle alte concentrazioni di zolfo nel terreno, si sviluppa spesso nei pressi di terreni caratterizzati dai resti della combustione delle carbonaie che per secoli hanno costellato la foresta.

Il sottobosco della faggeta pura è di norma estremamente rarefatto e pove-ro a causa della competitività del faggio. Nello strato erbaceo si rinvengo-no la lattuga montana (Prenathes purpurea), la piroletta pendula (Orthilia secunda), la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la dentaria a nove foglie (Cardamine enneaphyllos) e la moehringia a tre nervi (Moehringia triner-via). La componente arbustiva è costituita dalla madreselva alpina (Loni-cera alpigena), dal rovo ideo (Rubus idaeus), dal ranno alpino (Rhamnus alpinus) e dal ginepro nano (Juniperus nana); quest’ultimo tende spesso ad occupare ampie depressioni, dove pascolo, accumulo di neve, ristagno idrico o inversione termica rendano difficile la affermazione o la riaffer-

Formazioni boschive

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Un esemplare di tasso(Taxus baccata), specie caratteristica dell’habitat di interesse comunitario prioritario Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex

mazione della faggeta. Studi di tipo dendrocronologico effettuati in aree limitrofe hanno evidenziato che le faggete di quote più elevate ospitano individui di faggio che, nonostante le dimensioni normali, hanno rag-giunto età plurisecolari; questo costituisce un dato di estrema importanza scientifica sulle variazioni a scala secolare e millenaria delle condizioni ambientali a queste latitudini.

Faggeti a tasso e agrifoglioA quote più basse, entro una fascia altitudinale compresa fra 800 e 1600 m s.l.m., si rinviene in tutto il comprensorio una faggeta più strutturata ri-spetto alla precedente, nella quale si riconosce uno strato dominato a tasso (Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium) e uno strato erbaceo costitu-ito da numerose specie nemorali, quali l’erba laurella (Daphne laureola), la fusaria maggiore (Euonimus latifiolius), l’euforba delle faggete (Euphorbia amygdaloides), la melica comune (Melica uniflora), la cinquefoglia fragola-secca (Potentilla micrantha), l’erba fragolina (Sanicula europaea), il caglio odoroso (Galium odoratum), l’erba trinità (Hepatica nobilis), l’anemone dell’Appennino (Anemone apennina) e l’iva comune (Ajuga reptans).

Il tasso e l’agrifoglio rappresentano gli ultimi rappresentanti (relitti) di un paesaggio vegetale di tipo subtropicale diffuso nelle ultime fasi del Ter-ziario; questo era dominato da specie sempreverdi di ambiente temperato (laurifille). Progressivamente scomparso in seguito alle crisi glaciali qua-ternarie, i resti di questo paesaggio sono conservati all’interno della vege-tazione forestale diffusasi dall’ultimo postglaciale ad oggi lungo i monti dell’Europa meridionale.

Attualmente in Europa la faggeta a tasso e agrifoglio si presenta poco dif-fusa e prevalentemente disturbata dall’azione dell’uomo: questo è dovuto soprattutto al regime d’uso a cui questa foresta è stata sottoposta nel corso dei secoli (pascolamento e utilizzazione del materiale ligneo e della cor-teccia del tasso).

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Ai Monti Reatini un fattore decisivo è stato il pascolo ovino e bovino, che ha determinato sia la frammentazione delle faggete sia la rarefazione delle po-polazioni di tasso e agrifoglio, riducendo significativamente l’area di diffu-sione potenziale locale di tali consorzi a favore del bosco puro di faggio (im-poverito). La faggeta con tasso e agrifoglio è tutelata dalla Direttiva 92/43/CEE “Habitat” ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario 9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex).

Foreste decidue mesofile

Si tratta di nuclei di foresta mista accantonati su pendii acclivi a suolo rela-tivamente maturo, presenti nei fondovalle del settore centro settentrionale del massiccio e in particolar modo lungo il Vallone del Rio Fuggio e in Val-lonina.

Questi sono costituiti dal tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), dall’acero ric-cio (Acer platanoides), dall’acero di monte (A. pseudoplatanus) ,dall’acero di Ungheria (A. obtusatum), dall’olmo montano (Ulmus glabra), dal frassino comune (Fraxinus excelsior), dal ciliegio selvatico (Prunus avium) e dal cer-ro (Quercus cerris).

Questo tipo di bosco ha una distribuzione prevalentemente centroeuropeo-caucasica e si caratterizza per un’elevata ricchezza floristica: il piano subor-dinato vede la presenza del nocciolo (Corylus avellana) e del carpino nero (Ostrya carpinifolia), mentre nello strato erbaceo, oltre alle specie già citate per faggeta a tasso e agrifoglio, sono presenti la campanula maggiore (Cam-panula latifolia), la campanula di Tanfani (Campanula tanfanii), la billeri chelidonia (Cardamine chelidonia), la digitale appenninica (Digitalis micran-tha), la balsamina minore (Impatiens parvi flora), il laserpizio del meridione (Laserpitium garganicum), il giglio martagone (Lilium martagon), la linajo-la purpurea (Linaria purpurea), la sassifraga alpina (Saxifraga paniculata), il senecione alpino (Senecio cordatus), la lingua di cane appenninica (Solenan-thus apenninus) e la gramigna dell’Appennino (Trisetum villosum).

La cresta Sassettelli e la parete nord del Terminillo sono un vero monumento naturale, sovrastano i luoghi più preziosi della montagna, Prato Sassi, Valle della Meta, Vallonina e rappresen-tano uno scenario di alta montagna unico in provincia di Rieti.

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In primo piano un sempre-vivo maggiore (Sempervi-vum tectorum) sullo sfondo il Monte di Cambio

Anche questa formazione forestale è tutelata dalla normativa comunitaria ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “9180 *-Fore-ste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion”.

Foreste decidue submediterranee

Al di sotto dei 900 m di quota, si rinvengono consorzi di latifoglie deci-due sub-mediterranee distinti nei seguenti tipi:

Boschi dominati dal carpino nero Nel settore settentrionale del comprensorio, alla base dei pendii della bassa Vallonina e bacino di Fosso Ranaro, con esposizione verso i qua-dranti meridionali, si accantonano formazioni dominate dal carpino ne-ro (Ostrya carpinifolia). Questi ostrieti si sviluppano su pendii partico-larmente scoscesi con roccia affiorante, in contesti dominati dalla cerreta mista.

Querceti a cerro e roverella Nel territorio fra Rivodutri e Poggio Bustone e sulle pendici meridionali di M. Calcarone, al di sotto del bosco dominato dal carpino nero, sono dif-fusi querceti dominati da cerro e roverella. Cerrete a carattere zonale sem-brano essere presenti esclusivamente lungo i distretti a NE del comprenso-rio di Cittareale: in alcuni siti, infatti, il cerro si associa ad Acer obtusatum in popolamenti misti che assumono aspetto di comunità durevole. I quer-ceti dominati dalla roverella (Quercus pubescens s.l) costituiscono invece le boscaglie di sostituzione che hanno riconquistato parte dei pascoli ab-bandonati del settore occidentale del comprensorio.

Rimboschimenti di conifere Le aree interessate dai rimboschimenti di conifere (prevalentemente Pinus nigra) ricadono esclusivamente in una fascia altitudinale compresa tra le quote medie e basse. Fenomeni di inselvatichimento sono di portata limi-tata e pertanto facilmente controllabili.

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Ginepreti a ginepro nano Si tratta di comunità arbustive di alta quota dominate dal ginepro nano (Juniperus communis subsp. nana), a cui si accompagnano la codolina al-pina (Phleum alpinum), la festuca dei nardeti (Festuca nigrescens) e il mir-tillo nero (Vaccinium myrtillus). Queste formazioni arbustive in passato dovevano ricoprire gran parte dell’attuale estensione dei pascoli di alta quota, occupando le vette secondarie e lasciando alle praterie subalpine le sommità più elevate. Questo tipo di vegetazione può essere riferito all’ha-bitat di interesse comunitario “5130 Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli”. Nei Monti Reatini questi habitat sono abbsatanza comuni sopra i 1700 metri di quota.

Brughiere altomontane: popolamenti a mirtillo neroDi estremo interesse nel comprensorio sono alcuni lembi residuali di bru-ghiera altomontana a mirtillo nero (Vaccinium myrtillus); questa è presen-te in maniera discontinua in numerose località poste al di sopra del limi-te della vegetazione forestale (Sella di Leonessa); rispetto a testimonianze relative a una sua precedente diffusione locale sembrerebbe in una fase di regresso, cosa che impone urgenti misure di tutela.

I Monti Reatini possono essere considerati il limite meridionale del mir-tillo nero nella nostra penisola, sebbene esistano popolazioni molto ridot-te anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Nel comprensorio reatino questa specie può costituire delle vere e proprie brughiere a Vaccinium myrtillus e può far parte di cespuglieti altomontani nei quali si accompagna al gine-pro nano (Juniperus communis subsp. nana). Alcuni aspetti di questo tipo di vegetazione possono essere riferiti all’habitat di intereresse comunitario “4060 - Lande alpine e boreali”.

Boscaglia alveale a salice ripaioloLungo le sponde del corso superiore dei torrenti si rileva la presenza ab-bastanza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix eleagnos); si tratta di un piccolo alberello, adattato al disturbo meccanico del regime torrentizio dei

Paesaggio altomontano dei Monti Reatini, caratterizzato da estese faggete di quota, praterie montane e praterie subalpine diffuse oltre il limite degli alberi.

Formazioni arbUsTive e cesPUGLieTi

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La Betulla verrucosa (Betula pendula), specie relitta diffusasi in Italia durante le glaciazioni, è presente solo lungo il versante nord del Terminillo, tra i massi della morena postglaciale e la faggeta, (nella foto la vegetazione con il verde più chiaro).

corsi d’acqua in alta quota, comune sui rilievi dell’Europa centrale e meri-dionale. Nel comprensorio questa boscaglia ha andamento lineare paral-lelo al reticolo idrografico e si distribuisce in modo relativamente discon-tinuo su substrati ciottolosi, dove la vegetazione forestale dei pendii circo-stanti non riesce ad insediarsi. Questa formazione è riferibile all’habitat di interesse comunitario “3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa a Salix eleagnos”.

Praterie mesofitiche di alte erbe: i megaforbieti di alta quotaAl limite superiore della vegetazione legnosa su suoli umidi e ricchi di so-stanza organica,si rinvengono lembi di praterie di alte erbe bienni e peren-ni; in corrispondenza di tali consorzi si rileva anche l’importante presen-za di popolazioni di betulla (località Scangive). In questi siti la luminosità elevata, determinata dalla rarefazione della copertura arborea, consente lo sviluppo di numerose specie erbacee: il cavolaccio meridionale (Adeno-styles australis), il geranio a petali reflessi (Geranium reflexum), l’aconito di Lamarck (Aconitum lamarckii), il cerfoglio alpestre (Anthriscus nitida), la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la salvia vischiosa (Salvia glutino-sa), l’alliaria comune (Alliaria petiolata), il garofanino di Dodonaeus (Epi-lobium dodonaei) e la lunaria comune (Lunaria rediviva). Digitazioni di queste comunità possono essere considerati i megaforbieti che colonizzano piccole radure all’interno della faggeta ove si vengano a formare accumuli cospicui di sostanza organica Questa vegetazione rien-tra nell’ambito dell’habitat di interesse comunitario “6430 Bordure plani-ziali, montane e alpine di megaforbie idrofile”.

Praterie subalpineNonostante i Monti Reatini siano tra le montagne più elevate del terri-torio regionale, la fascia altitudinale di pertinenza delle praterie subalpi-ne non è molto sviluppata: gran parte delle praterie sommitali al di sopra

Formazioni PraTive

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Da sinistra verso destra: la genziana maggiore (Gentiana lutea), campanula (Campanula sp.), la pulsatilla alpina (Pulsatilla alpina) e la primula orecchia d’orso (Primula auricula).

del limite superiore dei boschi, infatti, si è originata in seguito all’azione del pascolo su consorzi di arbusti contorti e suffruticeti. Vengono qui di segui-to elencate le principali praterie sommitali presenti nel comprensorio dei Monti Reatini.

Seslerieti Si tratta di comunità prative dominate dalla sesleria tenuifolia (Sesleria tenu-ifolia) presenti lungo le cenge rocciose del comprensorio, dove formano ag-gruppamenti di limitata estensione. Tra le specie più frequentemente asso-ciate compaiono la carice di Kitaibel (Carex kitaibeliana), la fienarola delle Alpi (Poa alpina), la festuca appenninica (Festuca dimorpha), la vulneraria montana (Anthyllis montana), l’eliantemo candido (Helianthemum canum), la campanula graminifolia (Edraianthus graminifolius) e la sassifraga alpina (Saxifraga paniculata); in aree caratterizzate da una elevata acclività e mo-bilità del substrato, compaiono il camedrio alpino (Dryas octopetala) e oc-casionalmente l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi). Queste praterie sono ascrivibili all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose cal-cicole alpine e subalpine”.

Praterie a paleo genovese Lungo i versanti meridionali del Terminillo, tra i 1.600 e i 2.100 metri di quota, su suoli argillosi caratterizzati da una maggiore ritenzione idrica, si formano comunità erbacee dominate dal paleo genovese (Brachypodium ge-nuense). La flora più frequentemente associata a B. genuense annovera la fe-stuca pannocchiuta (Festuca paniculata), la poligala di De Angelis (Polygala angelisii), la festuca rossa (Festuca rubra subsp. commutata), lo spillone bian-

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castro (Armeria canescens subsp. majellensis), la crocettona glabra (Cru-ciata glabra), l’erba lucciola comune (Luzula campestris), il capellini delle praterie (Agrostis tenuis), la margherita digitata (Leucanthemum tridactyli-tes), la genziana maggiore (Gentiana lutea) e la viola di Eugenia (Viola eu-geniae). Scarsamente pabulabile, B. genuense, nella sua attuale tendenza locale all’espansione, potrebbe indicare un processo di rinaturalizzazio-ne in atto nelle praterie cacuminali. Anche queste praterie sono riferibili all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole al-pine e subalpine”.

Nardeti Nei pressi di aree pianeggianti, fra 1700 e 2100 m s.l.m., si rinvengono lembi di praterie dominate dal nardo (Nardus stricta): si tratta di una graminacea a distribuzione boreale tipica di climi freddi; in Europa è diffusa nelle praterie montane e alpine e grazie alla sua inappetibilità da parte del bestiame bovino, estendendosi ampiamente al di fuori da pro-prio contesto ecologico primario; sui Monti Reatini, infatti, una buona parte dei nardeti presenti alle alte quote sembra di origine secondaria. Queste praterie rientrano nell’ambito dell’habitat di interesse comunita-rio prioritario “6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane e delle zone submontane dell’Euro-pa continentale”.

Praterie montane: i brometiNel comprensorio reatino le praterie continue che prevalgono al di sopra dell’attuale limite superiore degli alberi sono costituite prevalentemente da comunità erbacee dominate dal forasacco eretto Bromus erectus. I brometi sono presenti anche alle quote più basse, al di sotto del limite superiore de-gli alberi, in contiguità sia con la foresta mista decidua sia con la faggeta a tasso e agrifoglio. In tal caso costituiscono praterie secondarie caratterizza-te dalla presenza di specie relativamente esigenti in fatto di umidità edafica (brometi mesofili) e si collocano pertanto sui substrati più ricchi di argilla.

Jonopsidium savianum un paleoendemismo relitto, molto raro e localizzato, con areale limitato a poche stazioni distribuite nell’Appennino centrale, con una conspicua popolazione pre-sente sul Monte Fausola.

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Questi sono spesso caratterizzati dalla presenza del paleo rupestre (Bra-chypodium rupestre), della covetta dei prati (Cynosurus cristatus), del lo-glio comune (Lolium perenne), della sonaglini comuni (Briza media), del paleo odoroso (Anthoxanthum odoratum), dell’erba mazzolina comune (Dactylis glomerata), della codolina comune (Phleum pratense), della fe-stuca dei prati (Festuca pratensis) e della gramigna comune (Agropyron repens).

A quote maggiori, in ambiente decisamente montano, in contatto con la faggeta pura e oltre i suoi limiti altitudinali, compaiono il garofano minore (Dianthus deltoides), la festuca rossa (Festuca rubra),la festuca dei nardeti (Festuca nigrescens) e la cinquefoglia irta (Potentilla hirta). Salendo si ha la graduale scomparsa di Brachypodium rupestre che viene sostituito da Bra-chypodium genuense, specie maggiormente diffusa alle quote più elevate. Lungo le fasce altitudinali superiori, oltre il limite degli alberi, si svilup-pano i brometi a carattere più “xerico” e continentale; questi costituisco-no l’aspetto dominante delle praterie pascolate di alta quota con copertura dello strato erbaceo a carattere discontinuo.

In questi consorzi a Bromus erectus si associano la festuca debole (Festu-ca inops), la codolina meridionale (Phleum ambiguum), il paleo meri-dionale (Koeleria slendens), le vedovelle appenniniche (Globularia meri-dionalis), la peverina a foglie strette (Cerastium arvense), il lino monta-no (Linum tenuifolium), il camedrio comune (Teucrium chamaedrys), il timo con fascetti (Thymus longicaulis), la finocchiella abrotanina (Seseli montanum), la santoreggia montana (Satureja montana) e il citiso spi-

Un esemplare di sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia). Nella foto piccola un particolare delle foglie del sorbo fari-naccio (Sorbus aria).

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Agrifoglio sulle pendici di Monte Fausola, sullo sfondo Cima d’Arme. In quest’area è frequente incontrare raggruppamenti e esemplari arborei di Agrifoglio.

noso (Chamaecytisus spinescens). Queste formazioni prative sono riferi-bili all’habitat di interesse comunitario “6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)”.

In prossimità delle sorgenti del Rio Fuggio, in alcuni tratti dell’alto corso dello stesso fiume e lungo l’alto corso della Valle Scura si verificano venu-te a giorno d’acqua con conseguente deposizione di depositi travertinosi. Questi costituiscono le aree di presenza potenziale per l’erba-unta di Rei-chenbach (Pinguicula reichenbachiana), specie delle sorgenti stillicidiose, già segnalata per i massicci limitrofi e della quale si ipotizza a ragione la presenza nel comprensorio. Questo tipo di vegetazione rientra nell’habi-tat di interesse comunitario prioritario “7220* Sorgenti pietrificanti con formazione di tufi (Cratoneurion)”.

Per quanto riguarda gli ambienti rocciosi del comprensorio dei Monti Re-atini, di seguito se ne descrivono i principali tipi di vegetazione presenti.

Vegetazione dei brecciai Le porzioni sommitali del gruppo di M. Terminillo sono caratterizzate da vaste superfici occupate da brecciai, ghiaioni e pietraie; si tratta di ambien-ti rocciosi instabili in continuo movimento, non adatti all’insediamento di vegetazione arbustiva e arborea e colonizzati in genere da comunità vege-tali altamente specializzate. Nel comprensorio questa vegetazione è rappresentata da popolamenti più o meno radi a festuca appenninica (Festuca dimorpha), dripide comune (Drypis spinosa), glasto di Allioni (Isatis allionii), kummel rupestre (Ca-rum heldreichii) e carice appenninica (Carex macrolepis). Questo tipo di vegetazione è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “8160* ghiaioni dell’Europa centrale calcarei di collina e montagna”.

veGeTazione deGLi ambienTi rocciosi

veGeTazione dei dePosiTi TraverTinosi

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Boscaglia alveale a salice ripaiolo: lungo le sponde del torrente Scura c’è una presenza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix eleagnos); si tratta di un piccolo alberello, adattato al disturbo meccanico del regime torrentizio dei corsi d’acqua in alta quota.

Vegetazione delle rupi sommitali Sulle vette più elevate del gruppo di Monte Terminillo, in condizioni di elevata acclività o su emergenze rocciose d’alta quota, si rinvengono ag-gruppamenti di specie capaci di colonizzare questi ambienti estremi. Si tratta di comunità erbacee costituite dalla campanula maggiore (Cam-panula latifolia), dalla campanula di Tanfanii (C. tanfanii), dalla sassi-fraga meridionale (Saxifraga lingulata), dalla sassifraga alpina (S. pani-colata), dalla primula orecchio d’orso (Primula auricula), dalla cinque-foglia penzola (Potentilla caulescens) e dal ranno spaccasassi (Rhamnus pumilus). Questo tipo di vegetazione, poco diffuso ed estremamente lo-calizzato all’interno del comprensorio, rientra nell’ambito dell’habitat di interesse comunitario “8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica”.

Vegetazione dei liscioni calcarei I liscioni e le spianate calcaree diffusi lungo le vette sommitali si caratte-rizzano per una flora adattata a suoli estremamente superficiali in grado di attecchire nei rari punti dove è possibile il radicamento. Si tratta di specie succulente o a ramificazione strisciante: la peverina di Thomas (Cerastium thomasii), la peverina tomentosa (C. tomentosum), e numerose specie del genere Sedum. Questa forma di vegetazione, piuttosto rara e localizzata, è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “8240* Pavimen-ti calcarei”.

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Faggio di San Francesco.La leggenda vuole che la sua forma così particolare sia dovuta al miracolo che piegò l’albero per riparare il Santo durante un tem-porale. In realtà si tratta di una rarissima mutazione genetica.

I Monti Reatini, esposti a sud-ovest, sono oggetto di pertubazioni temporalesche che possono formare bizzarre formazione di ghiaccio. Nell’immagine un faggio su Cima d’Arme, colpito da una tempesta di neve.

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La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.

M. K. “Mahatma” Gandhi (1869-1948)

Faggetta di Monte Cardito

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Un Lupo attraversa di giorno la faggeta nel Vallone di Lisciano. L’immagine è stata scattata con una foto trappola.

Nel Lazio, la Provincia di Rieti spicca per gli elevati valori di Biodi-versità faunistica e ciò soprattutto a causa della presenza di signi-ficativi gruppi montuosi, di un sistema idrografico di importanza

strategica per l’Italia centrale e di una bassa densità abitativa. In un docu-mento preparato nel 2004 dal gruppo del Prof. Boitani per conto della Re-gione Lazio (Boitani et al., 2004), questo aspetto viene messo fortemente in evidenza, soprattutto in riferimento all’area dei Sabini, dei Monti Rea-tini e del Cicolano che raggiungono tra i più elevati valori dell’indice di biodiversità, riferito ai Vertebrati, del Lazio. Inoltre nel documento citato viene introdotto il concetto di “irreplaceability” (letteralmente “insostitu-ibilità”), una misura legata all’importanza conservazionistica di un’area: se un’area è difficilmente sostituibile per i valori naturalistici che ospita e per il ruolo ecologico-funzionale che svolge, in uno schema di aree da sotto-porre a conservazione, viene classificata con elevati valori di “irreplacea-bility” (cioè non può essere facilmente sostituita da nessun altra area nello schema di conservazione). Al contrario, bassi valori di “irreplaceability” indicano che l’area conside-rata è relativamente non importante (perché facilmente sostituibile da al-tre aree) per raggiungere l’obbiettivo di conservazione che ci si è prefissi. Ebbene, anche in questo caso la zona dei Monti Reatini (dei Sabini e del Cicolano) hanno raggiunto i valori più elevati del Lazio, mettendo in luce la peculiarità di questo comprensorio.

Le prime esplorazioni ed i conseguenti contributi scientifici ragionati sulla fauna a Vertebrati di questo gruppo montano sono riportati in alcuni studi

La Faunadi Stefano Sarrocco e Enrico Calvario

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svolti da Di Carlo negli anni 1954-58 (Di Carlo 1956, 1958); questo autorevole naturalista ci ha lasciato un quadro di riferimento notevolmen-te esauriente sugli uccelli presenti negli anni ’50 su queste montagne, indispensabile per qualsiasi indagine successiva.

In tempi più recenti, le informazioni su queste montagne e più in generale sull’Appennino Cen-trale si possono trovare nel volume pubblicato dalla Società Italiana di Biogeografia (AA.VV., 1971) in cui sono riportati per alcuni gruppi di Artropodi dei contributi organici ed esaurien-ti, quali quelli sugli Oribatei (Acarida) (Bernini, 1971), sui Collemboli (Dallai, 1971) e sui Cole-otteri Cicindelidi e Carabidi (Magistretti, 1965). Alla fine degli anni ’80 il WWF di Rieti ha rac-colto e pubblicato, con l’aiuto di numerosi spe-cialisti di diverse discipline, un articolato dossier sullo stato dell’ambiente del Terminillo (AA.VV., 1988), riportando nei due volumi dell’opera anche una raccolta di informazioni sugli invertebrati e sui Vertebrati presenti sul gruppo montuoso (Au-disio e Vigna Taglianti, 1988; Bagnoli, 1988; Sar-rocco, 1988). Nel 2002 la Provincia di Rieti, con il Patrocinio del CAI e del WWF Rieti, pubblicò una “Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) che riportava tra l’altro una serie di informazioni fau-nistiche sul comprensorio. Il quadro delle cono-

Balia dal collare, un piccolo Passeriforme che nidifica nelle faggete dei Monti Reatini

scenze del gruppo montuoso non sarebbe com-pleto senza citare le numerose indagini settoriali su gruppi animali specifici, svolte nell’ambito di diversi progetti: gli studi sulle comunità ornitiche delle praterie di quota realizzato dall’Università di Roma “La Sapienza” nell’ambito del “Piano Plu-riennale Regionale per la tutela e la difesa della Fauna autoctona in via di estinzione ” (Calvario e Sarrocco, 1989) e le raccolte di dati faunistici per gli atlanti regionali degli uccelli (Brunelli et al., 2011), degli Anfibi e Rettili (Bologna et al., 2000) e dei Mammiferi (in corso di completamento).

E’ inoltre opportuno sottolineare che i Monti Re-atini sono inseriti tra le “Aree Importanti in Euro-pa per gli Uccelli” (Important Birds Areas in Eu-rope) e ritenuti per tale motivo tra i siti europei a priorità di conservazione secondo un censimen-to svolto dall’autorevole associazione internazio-nale BirdLife International (Heat & Evans, 2000).

Successivamente gli studi sono continuati so-prattutto grazie alla presenza della Rete Natura 2000 ed alle politiche messe in campo dalla Re-gione Lazio che ha finanziato una serie di Piani di Gestione di SIC e ZPS che sono stati l’occasio-ne per reperire nuovi dati e mettere a sistema le conoscenze pregresse; e così sono stati realizzati il Piano di Gestione della ZPS di Monti Reatini e

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Il Picchio dorsobianco, un picide associato alle foreste mature di latifoglie montane.

di due SIC inclusi (AA.VV., 2004a) e il Piano di Gestione del SIC Vallonina (AA.VV., 2004b). Da questi documenti citati sono state tratte per lo più le informazioni necessarie a comporre questo capitolo.

Nella descrizione che segue si è fatto esclusivo riferimento ai Vertebrati ed in particolare ad Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, suddividendone la tratta-zione secondo le diverse fasce vegetazionali che si possono incontrare pro-cedendo dagli ambiti collinari e submontani fino all’orizzonte alpino. Gli in-vertebrati sono stati trattati in una sezione separata e le informazioni sono state per lo più desunte dal Piano di Gestione della ZPS dei Monti Reatini (AA.VV., 2004 a).

La fauna dei querceti e dei boschi mistiLasciati i coltivi che ricoprono gran parte della Piana di Rieti, dell’Altopiano di Leonessa o della Valle del Velino si incontrano le fasce arborate a querce caducifoglie ed i boschi misti a carpini ed aceri che bordano gran parte dei versanti del gruppo montuoso. Queste formazioni forestali si estendono in modo continuo dai 500-600 fino agli 800-1000 metri di quota. Le comunità forestali presenti sono quelle tipiche di gran parte dei boschi di caducifoglie dei piani collinare e submontano della Penisola. Tra le specie maggiormente tipiche e visibili possiamo ricordare tra i Rettili la Lucertola muraiola (Po-darcis muralis) che predilige soprattutto i versanti più soleggiati ed il Saetto-ne (Elaphe longissima), un innocuo serpente dai costumi arboricoli.

Gli uccelli comprendono numerose specie, soprattutto quando i boschi so-no maturi e ben conservati (tipici esempi di queste formazioni sono i boschi presenti lungo Valle Avanzana di Morro Reatino e lungo i versanti della Val Carpineto di Leonessa); tra i rapaci diurni possiamo ricordare la Poiana (Bu-teo buteo), frequente un po’ dappertutto e lo Sparviere (Accipiter nisus), diffi-cile da osservare per le sue abitudini schive, ma con una distribuzione forse più vasta di quella che fanno supporre le sue sporadiche apparizioni.

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Spesso, tra la fine dell’inverno e l’inizio della pri-mavera, lo si può osservare mentre svolge le sue parate nuziali, volteggiando al di sopra del bosco.

Gli ambienti dove è più facile incontrarlo sono quel-li di contatto tra il bosco di querce ed i boschi di co-nifere di impianto o tra i questi ed i faggeti; ad esem-pio lungo la Valle di Fuscello e lungo la Val Carpi-neto. I picchi tipici di questi boschi sono il Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), il Picchio ver-de (Picus viridis), il Torcicollo (Jynx torquilla) ed il Picchio rosso minore (Dendrocopos minor).

Le prime tre specie sono molto frequenti, difficili da vedere, ma facili da sentire; mentre il Picchio rosso minore è alquanto localizzato ed ha abi-tudini più elusive. La presenza del Picchio rosso maggiore è spesso rilevata dal tipico tambureg-giare sui tronchi, prodotto soprattutto all’inizio della primavera, prima della comparsa delle fo-glie. Questa specie frequenta soprattutto i boschi maturi, le fustaie ed i cedui composti. Le altre due specie hanno una maggiore diffusione, in quanto occupano anche i boschi aperti, intervallati da ra-dure. Il Picchio verde è riconoscibile dal verso, ca-ratteristico, simile ad una risata, emesso per gran parte dell’anno; il Torcicollo è un migratore estivo che produce un canto ripetuto, sonoro e nasale.

Altre specie caratteristiche di questi boschi sono il Colombaccio (Columba palumbus) e la Tortora

selvatica (Streptopelia turtur), entrambi apparte-nenti alla famiglia dei Columbidi. La comparsa del Biancone (Circaetus gallicus) con 1-2 coppie nidificanti è alquanto recente e nel corso della tarda primavera è alquanto facile vedere, nelle stazioni di presenza, quest’aquila di medie di-mensioni a caccia di serpenti nelle praterie della fascia submontana e montana.

Durante l’inverno nelle radure tra i boschi e nei cespuglieti si possono fare delle interessanti os-servazioni. Infatti la disponibilità di bacche di ginepri rossi e comuni, di biancospini e di rose canine attirano una moltitudine di specie, prime tra tutte quelle appartenenti ai Turdidi; si pos-sono osservare gruppi di Tordi comuni (Turdus philomelos) e sasselli (T. iliacus), Tordele (T. vi-scivorus) e Cesene (T. pilaris); tra i Fringillidi vi sono stormi di Fringuelli (Fringilla coelebs) e di Frosoni (Coccothraustes coccothraustes).

Tra i Mammiferi forestali si può citare la presen-za del Quercino (Elyomis quercinus) e del Mo-scardino (Muscardinus avellanarius), due piccoli roditori, schivi e poco visibili, ma discretamente diffusi. Tra l’altro entrambe le specie sono pre-senti anche nella faggeta, infatti il Quercino è stato rinvenuto fino alla quota di 1700 m nella Vallonina ed il Moscardino fino a circa 1400 m sempre nella stessa località.

Analoga è la distribuzione di un altro roditore arboricolo, il Ghiro (Glis glis), presente in modo regolare nei boschi del piano montano. Un po’ dappertutto è anche visibile lo Scoiattolo (Sciurus vulgaris) con individui dal caratteristico man-tello nero e dal ventre bianco, con una predili-zione per le pinete a Pino nero (Pinus nigra) di impianto artificiale che bordano le medie quote della dorsale montuosa.Nei boschi più termofili, fino ad almeno 700-800 metri, è anche presen-te l’Istrice (Istrix cristata) ed un po’ dappertutto compaiono la Faina (Martes foina), il Cinghiale (Sus scrofa), la Volpe (Vulpes vulpes), più localiz-zata la Puzzola (Mustela putorius). Nei boschi del gruppo è anche segnalata la Mar-tora (Martes martes), un Mustelide forestale dal comportamento schivo, molto difficile da osser-vare in quanto di abitudini crepuscolari e nottur-ne; la specie è presente con un numero di indi-vidui contenuto, ma verosimilmente in continui-tà ecologica con la popolazione appenninica; ciò dovrebbe assicurane il mantenimento nel lungo periodo (AA.VV., 2004).

La fauna delle faggeteLa fauna delle faggete non è particolarmente nu-merosa sia in termini di ricchezza di specie che di abbondanza di individui. Generalmente nel corso di una passeggiata non sempre si riesco-

no ad osservare specie significative; è invece più semplice rilevare la presenza degli onnipresen-ti Scriccioli (Troglodytes troglodytes), Pettirossi (Erithacus rubecula), Cinciarelle (Cyanistes ca-eruleus) ), Cince more (Periparus ater) e Cin-ce bigie (Poecile palustris). Tuttavia il gruppo dei Monti Reatini è un comprensorio che ospita nu-merose specie tipiche dei boschi montani. Nel-le sue faggete è infatti presente il Picchio dorso-bianco (Dendrocopos leucotos), un Picide distri-buito in poche località dell’Appennino centrale e sul Promontorio del Gargano. Si tratta di una specie legata alle faggete mature, con un abbon-dante numero di alberi vestusti e marcescenti. Alcune coppie sono presenti nell’alta Vallonina e in altre comprensori caratterizzati dalla presenza di faggete in buono stato di conservazione .

Di notevole interesse sempre nelle faggete del gruppo è la presenza della Balia dal collare (Fi-cedula albicollis), un Passeriforme di interesse conservazionistico tipico dei boschi montani, che presenta una distribuzione alquanto localiz-zata in Italia. Sempre tra gli uccelli tipicamente montani si possono inoltre ricordare il Luì verde (Phylloscopus sibilatrix) e il Ciuffolotto (Pyrrhu-la pyrrhula, tre Passeriformi frequenti nella fag-geta. Inoltre, Di Carlo negli anni’50 (Di Carlo, 1956) segnalava l’osservazione di Regoli (Regulus

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L’Aquila reale nidifica con due coppie nel comprensorio dei Monti Reatini

regulus) in periodo riproduttivo nel bosco della Vallonina; purtroppo di questo interessante Silvide montano a distribuzione per lo più alpina, non vi sono più notizie di nidificazione sulle nostre montagne.

La specie è comunque molto comune e numerosa durante l’inverno per l’arrivo delle popolazioni settentrionali migratrici; in questa stagione è fa-cilmente visibile all’interno dei rimboschimenti a Pino nero. Altrettan-to significativa la conferma della nidificazione del Rampichino alpestre (Certhia familiaris), un piccolo Passeriforme dal becco rivolto all’ingiù, del peso di circa dieci grammi, con una distribuzione localizzata in po-che aree dell’Appennino che necessita di una gestione forestale sostenibile (non solo produttiva), tale da conservare alberi vetusti e legno morto, tra-mite regolamentazione degli usi civici.

La Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra) è un’altra delle en-tità da ricercare. Infatti le ultime osservazioni di questo raro anfibio si ri-feriscono agli anni’70, in cui Bruno (1973) lo segnalava nella Vallonina, mentre le successive ricerche effettuate hanno sempre dato esito negativo.

Pochi sono i mammiferi tipici della faggeta, ricordiamo, tra questi, il Topo selvatico collogiallo (Apodemus flavicollis), presente sulle monta-gne reatine ed il Lupo (Canis lupus); questo Canide sebbene frequenti un’ampia varietà di habitat, trova nelle zone montane densamente fore-state e ben conservate, delle aree vitali per la sua sopravvivenza. La spe-cie è distribuita con continuità dall’Aspromonte alle Alpi Marittime, con importanti espansioni in corrispondenza del Lazio settentrionale e della Toscana centro-meridionale; la sua popolazione è stimata in circa 400-500 individui.

I Reatini sono interessati dalla presenza stabile del Lupo ed il gruppo è frequentato da alcuni individui (Boitani, Fabbri, 1983; AA.VV., 2004; AA.VV., 2007). Per la Provincia di Rieti è stato pubblicato un volume su questa specie (Cammerini, 1998). L’Autore sottolinea che nel territorio

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La Coturnice è presente nei Monti Reatini con le densità più elevate resgistrate nel Lazio.

provinciale, nel quinquennio 1991-1995, la tendenza all’incremento della popolazione di Lupo si è mantenuta stabile e ne stima la presenza di 10-12 individui: sui Monti Reatini, in particolare, dovrebbe essere presente un nucleo composto da non meno di tre individui.

Un altro mammifero forestale presente è il Gatto selvatico (Felis sylvestris); di questo interessante Felide, minacciato di scomparsa in molti compren-sori italiani, si hanno alcune notizie per il gruppo montuoso tra cui una segnalazione relativa ad una femmina catturata a Cantalice e conservata in pelle (Ragni,1974) ed una osservazione alle pendici di Monte Cambio all’inizio degli anni duemila (F.M. Angelici, com.pers.).

Un’altra presenza estremamente significativa anche se saltuaria e irregolare è quella dell’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). La presenza per l’area del Reatino è documentata fin dal secolo scorso con segnalazio-ni continue per l’area della Laga, del Turano e della Duchessa, registrate fino al febbraio 2003. La frequentazione è limitata, ma caratterizzata da continuità temporale, dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo, data la continuità territoriale ed ambientale con le porzioni centrali dell’areale distributivo nei monti del PN d’Abruzzo, Lazio e Molise. Recentemente la specie è stata segnalata specificatamente per i Monti Reatini, nell’ambito delle ricerche effettuate per il Progetto PATOM (Piano d’Azione Nazionale per la tutela dell’Orso Bruno Marsicano). La fauna delle praterie montane e dei cespuglieti subalpiniLe praterie montane sono costituite da radure più o meno ampie situa-te in aree dove originariamente erano presenti boschi montani. Ne sono un esempio tutte quelle aree che si trovano al di sopra dei 1000 metri di quota, come i versanti di Monte Tilia, le praterie di Monte Rosato e di Collelungo e i pascoli di Costa Piana, sopra Micigliano. Attualmente queste praterie, originatesi in seguito al taglio dei boschi per ricavarne

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L’Orso bruno marsicano è una specie dal forte valore simbolico che frequenta irregolarmente le montagne reatine.

legname, per farne pascoli o prati da fienagione, tendono a richiudersi, in quanto le attività agrosilvopastorali tradizionali stanno rapidamente scomparendo.

Queste praterie seminaturali sono di grande interesse faunistico ed attrag-gono nel corso della migrazione autunnale e durante l’inverno numerose specie di uccelli. In praterie quelle più cespugliate compaiono alcuni Alau-didi, Turdidi e Fringillidi; tra questi la Tottavilla (Lullula arborea), un Alau-dide in decremento in tutta Europa, e salendo di quota, il Prispolone (An-thus trivialis), un piccolo uccello dalle tonalità marroni, tipico delle zone di margine tra il bosco e la prateria. I rettili che vivono in questi ambienti non sono particolarmente numerosi, un po’ dappertutto la solita Lucertola muraiola, il Ramarro (Lacerta bilineata) ed il Colubro liscio (Coronella au-striaca); quest’ultima insieme alla Vipera comune (Vipera aspis) frequenta le praterie meglio esposte e con una discreta copertura di rocce.

In queste praterie sono anche frequenti i piccoli cumuli di terra smossa dagli scavi della Talpa romana (Talpa romana), un insettivoro localizzato in Italia centro meridionale. Particolarmente significativa inoltre appare la presenza della Lepre italica (Lepus corsicanus) sul Monte Cambio, registra-ta nel corso dello studio per la redazione Piano di Azione della specie (Gu-glielmi et. al., 2011); una specie che presenta una distribuzione ristretta alla sola Italia centro meridionale e Sicilia, ritenuta estinta e riscoperta recente-mente negli anni’90 del secolo scorso.

Salendo di quota, oltre il limite degli alberi, compare una stretta fascia di pra-terie cespugliate, in gran parte ricoperte da Ginepro nano (Juniperus nana); un arbusto prostrato e dalle foglie poco coriacee, a cui si associano il Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) ed il Ranno alpi-no (Rhamnus alpinus). Nell’insieme queste praterie cespugliate hanno dei line-amenti simili a quelli dei prati cespugliati descritti nella fascia dei querceti e dei boschi misti, ma occupano una fascia altitudinale superiore , intorno ai 1800-1900 metri di quota. Sono arbusteti originari delle montagne appenniniche in

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quanto in equilibrio con le condizioni climatiche ed edafiche di questi territori.

Come per la faggeta, le specie animali non sono numerose, ma in questo caso ciò è dovuto an-che alle limitate estensioni di questi ambienti. Nonostante queste dimensioni ristrette, alcune specie presenti sono di notevole interesse zoolo-gico, prima fra tutte la Vipera di Orsini (Vipera ursinii), un serpente di piccole dimensioni, dal-le abitudine schive, scarsamente velenoso, che si alimenta di cavallette montane.

La specie è stata segnalata solo recentemente sui Reatini (Capula, & Luiselli, 1992 in Bologna et al., 2000; Corti et. al, 2010), ma la segnalazione riveste un’indubbia significatività in quanto que-sto piccolo Viperide è minacciato in quasi tut-to il suo areale europeo. In Italia è ritenuto ra-ro, presente soltanto in pochi massicci montuosi dell’Appennino centrale.

Nei cespuglieti subalpini è anche presente la Co-turnice (Alectoris graeca), uno dei tipici Fasiani-di delle aree di media ed alta montagna; frequen-ta le praterie acclivi, ricche di rocce e con pre-senza di arbusti di ginepro e mirtilli. Nel corso dell’inverno la specie diventa gregaria e forma dei gruppi composti di alcune decine di indivi-dui. Sui Reatini è ben rappresentata, grazie an-che al vincolo venatorio vigente nel comprenso-rio (l’area rientra in un’Oasi di Protezione e Ri-fugio per la Fauna), e nel corso della predisposi-

Il Fringuello alpino presenta una colororazione criptica che maschera la sua silouhette tra le rocce dei brecciai

zione del piano di azione regionale della specie (Sorace et al., 2011), si è avuto modo di accerta-re che sui Monti Reatini sono state registrate le densità più elevate del Lazio (2,53 cp/kmq DS + - 2,02); tra l’altro uno dei motivi per l’istituzione dell’Oasi del Monte Terminillo è legata proprio alla conservazione di questa specie vulnerabile.

La fauna delle praterie d’altitudineTra gli ambienti che si possono visitare su queste montagne sicuramente le praterie di quota o d’al-titudine sono gli ambiti di maggior pregio e va-lore, quelli che meglio esprimono i caratteri delle montagne appenniniche. Sulle cime più elevate, al di sopra del limite degli alberi e degli arbuste-ti subalpini, si estendono delle praterie naturali o primarie costituite per lo più da graminacee, composite, ombrellifere e orchideacee. Si tratta di estese praterie interrotte nella loro continui-tà morfologica da vallette nivali, brecciai, pareti rocciose, macigni e rocce. Una buona parte del-le specie animali presenti sulle montagne reatine sono osservabili in questi ambienti aperti. Infatti le praterie costituiscono habitat riproduttivi per alcune specie e habitat trofici per gran parte de-gli animali, anche per quelli che si riproducono nei boschi e nei cespuglieti sottostanti.

Durante la bella stagione, tra giugno ed agosto, la passeggiata potrà essere molto fruttuosa. In que-sto periodo è possibile osservare i Gracchi coral-lini (Pyrrhocorax pyrrhocorax), i Gheppi (Falco

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tinnunculus), le Aquile reali (Aquila chrysaetos), le Tordele (Turdus viscivorus), le Coturnici (Alec-toris graeca) e le lepri (Lepus sp.), intenti a cerca-re cibo in questi spazi aperti. Inoltre si possono incontrare numerose altre specie simbolo delle alte quote delle montagne mediterranee, quali il Fringuello alpino (Montifringilla nivalis), un Passeridae a distribuzione ristretta, limitata al-le Alpi ed all’Appennino centrale. Il maschio e la femmina sono facilmente riconoscibili in quanto presentano gran parte delle ali bianche. E’ pos-sibile osservarli passando nel tratto di strada che collega la Sella di Leonessa con il Rifugio Seba-stiani anche se la sua presenza in questo settore del Lazio si è estremamente ridotta. Sempre tra le specie caratteristiche è poi da segnalare, la pre-senza numerosa dello Spioncello (Anthus spino-letta) e nelle cime più elevate del Sordone (Pru-nella collaris), un Passeriforme dal becco sottile e dalla gola lunettata di bianco e nero.

Nelle aree in cui le praterie vengono interrotte da rocce e macigni è facile inoltre osservare i Cul-bianchi (Oenanthe oenanthe) ed i Codirossi spaz-zacamini (Phoenichurus ochruros), entrambi Tur-didi di medio-piccole dimensioni. Il primo deve il suo nome al sopraccoda bianco ed il secondo alla sua abitudine di frequentare anche i tetti delle abi-tazioni. Se si è fortunati, è anche possibile osser-vare uno degli uccelli più colorati della montagna, il Codirossone (Monticola saxatilis), un Turdidae delle dimensione di un merlo; il maschio presenta

dei colori netti e sgargianti, con il capo grigio-az-zurro e il petto e la pancia intensamente aranciati. Quasi assenti i mammiferi o almeno quelli carat-teristici, le uniche specie discretamente frequenti sono il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), pre-sente con popolazioni abbondanti, recente rileva-te (2011) nel corso di trappolamenti svolti dall’A-genzia regionale per i Parchi (Capizzi D., com.pers.) e le lepri. Come già accennato in prece-denza, in Italia peninsulare esistono due specie di Leporidi: nel settore centro-settentrionale è pre-sente la Lepre europea (Lepus europaeus), spe-cie eurasiatica ad ampia distribuzione, autoctona solo nelle regioni settentrionali; mentre in Italia centrale e Sicilia è presente la Lepre italica anche se probabilmente in forte declino. Quando in sin-topia la Lepre italica adotta abitudini più monta-ne della sua congenere. Nel complesso montuoso la prima delle due specie è con molta probabile stata introdotta a seguito di immissioni venatorie. Alle specie sopra richiamate se ne potrebbe ag-giungere una ulteriore, tipica di questi ambienti cacuminali oromediterranei, l’Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), un roditore dalla folta pellic-cia grigia, di cui si hanno alcune generiche segna-lazioni che necessitano conferma.

La fauna degli ambienti rupestriLe scarpate e le balze rocciose sono luoghi inac-cessibili e di spettacolare bellezza, presenti un po’ dappertutto su queste montagne.

Le radure svolgono un ruolo ecologico-funzionale molto importante, il loro mantenimento risulta vitale per molte specie animali.

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Vi sono tuttavia alcune valli che racchiudono complessi rupestri particolarmente estesi, ne so-no un esempio la Valle Scura, il Vallone di Li-sciano, il Vallone di Cantalice, la Valle di Poggio Bustone, l’alta Vallonina ed i versanti delle go-le del Velino. Sono questi ambiti estremamente sensibili in cui si concentrano gran parte dei siti riproduttivi delle specie rupicole. Sui Reatini in-fatti sono presenti ben due coppie nidificanti di Aquila reale (Aquila chrysaetos), una specie sim-bolo dei comprensori montani. Anche il Falco pellegrino (Falco peregrinus), nidifica nel grup-po con almeno due-tre coppie.

Tra le specie rupicole vi è poi il Gracchio coralli-no (Pyrrhocorax pyrrhocorax), un Corvide d’alta quota, gregario, che forma degli stormi costituiti da decine di individui. Generalmente la matti-na i gruppi abbandonano i dormitori situati sul-le pareti rocciose e si dirigono verso le praterie, dove pascolano a caccia di insetti. Il nero lucente del piumaggio ed il lungo becco arcuato arancio-ne, lo rendono inconfondibile.

Queste caratteristiche si associano anche ad un comportamento poco elusivo che ne permette facilmente l’osservazione. La Sella di Leonessa e la cresta di Sassetelli nonché le praterie che ri-coprono i versanti di Monti Porcini sono locali-tà ideali per osservarlo. Almeno altre tre specie rupicole sono presenti sulle montagne reatine, la Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), lo-

calizzata in pochi siti, il Picchio muraiolo (Ticho-droma muraria) ed il Rondone maggiore (Apus melba); queste ultime due specie, tra l’altro, non sono state rilevate negli ultimi anni.

Gli invertebrati di particolare interesseIl Massiccio del Terminillo rappresenta uno dei comprensori montani più rilevanti sotto il pro-filo faunistico e naturalistico dell’intera area la-ziale-abruzzese sia a causa di fattori bioclimatici sia a seguito del suo relativo isolamento geogra-fico essendo collocato in posizione marginale ri-spetto alla dorsale che include gli altri principa-li gruppi montuosi dell’Appennino Centrale. Un primo dato emergente è la ricchezza in specie di molti gruppi faunistici, che si manifesta soprat-tutto tra gli Insetti fitofagi (Ortotteri, Coleotte-ri Nitidulidi, Lepidotteri), come d’altronde era prevedibile in funzione della notevole ricchezza e diversificazione floristica e vegetazionale del comprensorio.

Tra l’entomofauna fitofaga, vi sono un cospicuo contingente di specie orofile a distribuzione per lo più medio-sud-europea nelle fasce vegetazio-nali caratteristiche delle quote maggiori (oltre i 1100-1300 m s.l.m.), a fianco di una notevole componente di elementi schiettamente mediter-ranei, xerotermofili o perfino caratteristici della vegetazione mediterranea costiera, che coloniz-zano i settori di media e bassa quota, e che rag-

Le faggete in quota, con alberi di notevoli dimensioni, sono un ambiente di grande valore ambientale perchè ospitano specie animali caratteristiche e poco diffuse.

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giungono in queste località altezze del tutto inconsuete. Relativamente mo-desto appare invece il numero di elementi più tipicamente settentrionali (al-pini o centro-nordeuropei s.l.), che raggiungono il Terminillo solo nei suoi settori più elevati; per questa sola categoria di specie il comprensorio appare distintamente più povero rispetto ai più elevati massicci montuosi dell’ Ap-pennino centrale (Gran Sasso e Monti della Laga, in particolare).

Per quanto riguarda i Lepidotteri, i dati sono stati estratti dai cataloghi di Pro-la, Provera, Racheli e Sbordoni (1978 a, 1978 b) e di Prola e Racheli (1979, 1980), relativi ai Macrolepidotteri dell’ Appennino centrale; un primo dato rilevante è rappresentato dalla numerosità delle specie presenti; 580 specie si-curamente note nell’ambito del Massiccio del Terminillo su un totale di 1259 entità presenti complessivamente in Italia centrale (Audisio & Vigna Taglianti, 1988). In particolare, tra i ropaloceri, che sono certamente i meglio conosciuti sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su 153, ossia oltre i due terzi dell’intera fauna dell’Italia centrale.

Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti, 1988) sono note circa 100 specie per il Terminillo, non poche delle quali caratteristi-che ed endemiche delle aree centro-appenniniche e più o meno strettamente localizzate in stazioni montane di media e alta quota.

Di grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel, ele-mento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo super-ficiale del Terminillo alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite dei piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m di quota (Vi-gna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).Tra i Coleotteri Scarabeoidei, sono significative le presenze del Melolonti-de Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appen-ninici di alta quota, del raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e del Gla-firide Anthypna carceli (Cast.). Di grande rilievo è senza dubbio la fauna ortotterologica, attentamente studiata da Baccetti (1971); questo Autore

Il Massiccio dei Monti Reatini visto da ovest.

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segnala ben 66 specie di Ortotteroidei nell’ambito del comprensorio dei Monti Reatini, tra le quali alcune specie di Ortotteri orofili endemici di questo massiccio montuoso.

Da rilevare l’interessante presenza del Crostaceo Anostraco Chirocepha-lus diaphanus (Prev.) nel Lago Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e al-quanto cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw). mente i meglio conosciuti sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su 153, ossia oltre i due terzi dell’intera fauna dell’Italia centrale.

Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti, 1988) sono note circa 100 specie per il Terminillo, non poche delle quali caratteristiche ed endemiche delle aree centroappenniniche e più o me-no strettamente localizzate in stazioni montane di media e alta quota. Di grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel, elemento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo superficiale del Terminillo alle quote più elevate, sia nelle faggete che al li-mite dei piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m di quota (Vigna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).Tra i Coleotteri Scarabeoidei, è da rilevare la presenza del Melolontide Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenni-nici di alta quota, del raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e del Gla-firide Anthypna carceli (Cast.).

Di grande rilievo è senza dubbio la fauna ortotterologica, attentamente studiata da Baccetti (1971); questo Autore segnala ben 66 specie di Ortot-teroidei nell’ambito del comprensorio dei Monti Reatini, tra le quali le spe-cie di Ortotteri orofili endemici di questo massiccio montuosoDa rilevare l’interessante presenza del Crostaceo Anostraco Chirocepha-lus diaphanus (Prev.) nel Lago Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e al-quanto cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw).

Le pareti scoscese sono il luogo preferito per la nidificazione dei falco pellegrino Falco peregrinus.

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Specie di valore europeodi Enrico Calvario e Stefano Sarrocco

I Monti Reatini ospitano diverse specie di flora e di fauna di interesse co-munitario. I Formulari Standard dei siti Natura 2000 del comprensorio elencano la presenza di 17 specie di rilevanza europea, cui si devono ag-

giungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ed il coleottero Rosalia alpina Rosalia alpina, per un totale di 19 specie di valore conservazionistico. Tra gli Uccelli sono presenti e nidificanti, l’Aquila reale Aquila chrysaetos, il Biancone Circaetus gallicus, il Falco pellegrino Falco peregrinus, la Coturni-ce Alectoris greca, il Picchio dorsobianco Dendrocopos leucotos, la Tottavilla Lullula arborea, il Calandro Anthus campestris, la Balia dal collare Ficedula albicollis, l’Averla piccola Lanius collurio ed il Gracchio corallino Pyrrhoco-rax pyrrhocorax. Tra i Mammiferi sono segnalate due specie emblematiche, il Lupo Canis lupus e l’Orso bruno marsicano Ursus arctos. Passando agli Anfibi e Rettili il Formulario Standard riporta la presenza di Ululone ven-tre giallo Bombina variegata (ora pachypus), Salamandrina dagli occhiiali Salamandrina terdigitata, Vipera di Orsini Vipera ursinii ai quali si deve aggiungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ritrovato nel corso del Progetto di ripristino dei fontanili. Tra gli invertebrati sono segnalati il Lepidottero Euphydryas aurinia, una farfalla le cui larve si nutrono all’in-terno di una coppia di foglie, unite con la seta, e, successivamente, costru-iscono nidi di seta collettivi dove svernano e il coleottero Rosalia alpina, la cui presenza nel comprensorio è stata messa in luce nel corso della stesura del Piano di Gestione del SIC di Vallonina (Biscaccianti in verbis). Occorre infine ricordare la presenza di una rara pianta montana, la Bivo-nea di Savi Jonopsidium savianum che vede sul Monte Fausola, la popo-lazione più significativa del Lazio. Tra queste “19 perle”, abbiamo scelto di decrivere quelle che hanno anche un forte valore simbolico.

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Jonopsidium savianum è una rara pianta erbacea a ciclo annuale apparte-nente alla famiglia delle Crucifere, con distribuzione mediterraneo-occi-dentale e a fioritura primaverile (marzo-aprile). In Italia è segnalata per Toscana, Umbria e Lazio, dove è stata indicata in tre stazioni in provincia di Rieti,(Colle i Tre Confini, Monte Fausola e Monte Tancia). In Umbria e Lazio è stata rinvenuta in prati aridi e sassosi, fenditure rocciose e mar-gini di sentieri a quote comprese fra i 900 e i 1300 m. In Toscana è stata ritrovata in radure boschive e della macchia mediterranea su suolo acido, a quote comprese fra i 300 e i 650 m. Nel territorio dei Monti Reatini, va considerata, come una estrema propaggine delle popolazioni della Tosca-na metallifera, livornese e campigliese, là accantonate in siti su rocce in-trusive, vulcaniche, e, quindi, coda di una lenta erosione di un precedente margine orientale dell’areale, avvenuta negli ultimi millenni di migliora-mento climatico postglaciale a favore di foreste montane. La stazione di Monte Fausola, che rientra nell’omonimo SIC, raccoglie una popolazione che costituisce più del 15% dell’intera popolazione nazionale. Presso la stazione di Colle i Tre Confini la specie risulta essere molto rara, mentre sul Monte Tancia si presenta localmente abbondante. Le principali minac-ce per questa specie sono costituite dal pascolo eccessivo, dai cambiamen-ti di uso del suolo e dalle raccolte botaniche. Considerata la ristrettezza dell’areale della specie e la sua endemicità, occorre assicurare la protezione attiva delle stazioni attualmente note. Sarebbe utile, inoltre, programmare una campagna di raccolta dei semi da donare a differenti banche del ger-moplasma italiane.

Bivonea di Savi

Coleottero Cerambicide di aspetto inconfondibile e particolarmente visto-so, per le dimensioni medio-grandi (tra 20 e 38 mm di lunghezza), il colore azzurro cenere, con nette macchie nere su pronoto ed elitre, le antenne lun-ghe, azzurre, con un folto ciuffo di peli neri all’apice di ciascun segmento. Specie montano subalpina, legata al faggio, da 500 a 1800 m di quota.

Le uova vengono deposte su faggi morti o deperienti, parti morte di piante sane, ceppi e tronchi caduti, di preferenza esposti al sole. Occasionalmente è stata rinvenuta su altre latifoglie (noce, castagno, quercia, salice, tiglio, acero, olmo, frassino). Lo sviluppo larvale dura di solito tre anni, l’impupa-mento avviene in primavera, l’adulto compare in giugno-agosto ed è attivo di giorno. Si osserva su piante morte o su tronchi abbattuti di recente, spes-so in pieno sole. Al contrario di altre specie di Cerambicidi, gli adulti non si rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o legnose. Dopo l’ac-coppiamento le femmine depongono le uova nel legno delle piante ospiti.

La conservazione di questa “specie bandiera” dipende dalla tutela delle faggete mature e dal ripristino della loro complessità strutturale, soprat-tutto con la conservazione dei vecchi alberi, del legno morto, con il man-tenimento delle radure e con la istituzione di riserve integrali ed orientate, che possano ridurre la ceduazione, la “pulizia” del bosco e la eccessiva fruizione antropica, con i conseguenti rischi di incendi, calpestio e prelie-vo di esemplari. Dati inediti (A.B. Biscaccianti), segnalano la specie per il Monte Terminillo, Bosco Vallonina e Vallescura.

Rosalia alpina

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Si tratta di un anuro raro e localizzato in forte decremento, nel Lazio, as-sieme alla Salamandra giallo nera, è la specie di anfibio maggiormente mi-nacciata di estinzione. Numerose popolazioni note fino agli anni ’70 del XX secolo non sono più state confermate soprattutto nelle aree planiziali in cui l’intervento antropico è risultato più intenso. La vulnerabilità di gran parte delle popolazioni del Lazio, come ad esempio di alcune del Reatino, è det-tata, inoltre, dal modesto numero di individui adulti di cui sono costituite.

Specie diurna, eliofila e termofila, attiva da marzo ad ottobre con un picco di attività, nel Lazio, concentrato nel bimestre maggio-giugno. I siti ripro-duttivi consistono prevalentemente in piccole raccolte d’acque poco pro-fonde, spesso soleggiate e caratterizzate da prosciugamenti estivi. Si rinvie-ne anche nell’alto corso di ruscelli ed in abbeveratoi. Le uova sono deposte in gruppi di qualche decina di unità e lo sviluppo larvale può eccezional-mente completarsi in poco più di un mese. La colorazione addominale par-ticolarmente vistosa della specie costituisce un segnale di avvertimento per i suoi potenziali predatori; infatti, qualora disturbato o attaccato, assume una strana posizione difensiva, coprendo gli occhi con gli arti anteriori, inarcando la schiena e sollevando gli arti anteriori verso l’alto e rendendo visibile quindi la colorazione ventrale giallo-nera. Inizia quindi a secernere dalle ghiandole cutanee una secrezione bianca vischiosa, dal vago odore di aglio, che per contatto, può causare ulcerazioni e irritazioni alla pelle e alle mucose del momentaneo “nemico”, facendolo desistere dall’attacco. Nei Monti Reatini, è stato segnalato presso Valle Avanzana e Pian de’Valli (AA.VV., 2004a). Le piccole e frammentate popolazioni laziali sono sottoposte a potenziali fenomeni di inbreeding e di isolamento riproduttivo.

Ululone appenninico

E’ una delle specie di serpenti maggiormente minacciata di estinzione in Italia. Esclusiva dei pascoli di alta quota, ove vive intorno ai pulvini pro-strati di ginepro. In particolare, predilige le aree dove i cespugli di ginepro sono molto aggregati, di ampio diametro (> 6 m), e interconnessi tra loro (Filippi & Luiselli, 2004). Esclusivamente diurna, esce di rado dai pulvini di ginepro ed è pertanto di solito difficile da osservare anche in aree dove è ancora abbondante. Il ciclo riproduttivo è biennale, e le femmine par-toriscono in agosto 3-4 piccoli vivi. L’accoppiamento avviene in maggio, e i maschi lottano per il possesso delle femmine mediante ‘danze rituali’ piuttosto spettacolari. Il ciclo trofico è costituito da due fasi (Agrimi & Luiselli, 1992): in primavera si nutrono solo le femmine, che catturano lucertole e arvicole neonate mentre in estate si nutrono sia i maschi che le femmine e le prede principali sono gli ortotteri atteri. La specie è rarissima nel Lazio, dove sono conosciute solo tre popolazioni (Luiselli 2004). La popolazione delle Montagne della Duchessa è costituita da poche decine di individui adulti; quella del Terminillo è quasi estinta (non sono stati catturati esemplari vivi negli ultimi cinque anni) e quella del versante la-ziale del Parco Nazionale d’ Abruzzo è a status sconosciuto, essendo stato catturato un solo esemplare a circa 2000 m di altitudine. Tutte le misure tese a salvaguardare le aree di pascolo d’alta quota ove la specie vive sono direttamente utili alla tutela di questo viperide. Particolare attenzione deve essere posta al contenimento del sovrappascolo e del traffico veicolare in alta quota. La popolazione presente sul Terminillo vive in un’area attra-versata da una strada d’alta quota abbastanza trafficata e uno degli ultimi esemplari raccolti fu trovato investito nel luglio del 1997 (Luiselli, 2008).

Vipera di Orsini

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L’ Aquila reale occupa nel Lazio gli ambienti montani a scarsa antropizza-zione con orografia movimentata e versanti fortemente acclivi. Ogni cop-pia nidificante possiede un territorio che può arrivare a 250 km2 e com-prende vari tipi di habitat quali le formazioni rupestri per lo più calcaree, le praterie cacuminali, i boschi e le aree con vegetazione arbustiva rada. Prevalentemente il periodo riproduttivo inizia nel mese di marzo e si con-clude in quello di luglio. La specie preda elettiva è la Lepre (Lepus sp.) che può arrivare a coprire il 70% in biomassa dell’alimentazione del rapace (Borlenghi, 2008). Più in generale preda mammiferi di piccole e medie dimensioni, compresi alcuni ungulati domestici quali agnelli e capretti; la dieta comprende anche uccelli e rettili. Nella stagione invernale la specie è moderatamente necrofaga. Considerata minacciata nella Lista Rossa re-gionale (Calvario et al., 2011), nel Lazio la consistenza della specie è sti-mata in otto coppie nidificanti stabili e 2 di nuova formazione ed i Monti Reatini con le loro due coppie di adulti e la presenza di alcuni individui immaturi ne ospitano una consistente porzione della popolazione regio-nale (Borlenghi, 2011). Una criticità rilevante per la specie è dovuta alla realizzazione di impianti eolici in vicinanza dei siti riproduttivi come an-che importante è il mantenimento di significative estensioni di zone aperte in quota, utilizzate a scopi trofici dalla specie, libere da qualsiasi disturbo e/o attività sportiva. Per quanto riguarda il disturbo indiretto e gli abbat-timenti illegali si deve operare verso un miglior controllo del territorio da parte degli organismi preposti. Infine, il rischio di elettrocuzione con gli elettrodotti deve trovare mitigazione in opere di modifica di alcune infra-strutture impiantistiche.

Grande falcone dalla struttura compatta e robusta che nel Lazio nidifica in vari ambienti: dalle falesie costiere alle pareti rocciose in zone montane, dalle scarpate tufacee a quelle di arenaria, nonché su edifici in aree urbane e in-dustriali. La distribuzione altimetrica dei siti di nidificazione evidenzia una preferenza per le aree poste fino a 250 m s.l.m. e comunque entro i 1000 m s.l.m., oltre questa quota le segnalazioni subiscono un netto decremento, fino ad arrivare alla quota massima registrata nel Lazio di 1300 metri s.l.m. Il nido è costituito da cavità o cenge poste nelle zone sommitali o mediane delle pareti rocciose, direttamente sul terreno o all’interno di nidi abbando-nati di Aquila reale e Corvo imperiale. Gli adulti occupano il sito gia in gen-naio-febbraio e la deposizione avviene in marzo-aprile. Le covate sono for-mate da 3-4 uova che vengono incubate principalmente dalla femmina per un periodo di 28-33 giorni. L’allevamento della prole dura 40 giorni dopo i quali avviene l’involo, evento che si verifica generalmente nei mesi di maggio e giu-gno. Il successo riproduttivo medio è di 2,3 giovani involati per coppia che ha allevato giovani (Brunelli, 2007, 2008). La dieta è costituita quasi esclusiva-mente da uccelli, che cattura in volo, anche di taglia medio-grande. In passato i principali fattori di minaccia erano costituiti dalla persecuzione diretta e dal furto di piccoli e uova. Altri fattori limitanti sono costituiti dal disturbo pro-vocato dall’attività venatoria presso i siti di nidificazione, dall’impatto con le linee elettriche, dall’arrampicata sportiva. Un ulteriore fattore di rischio può essere rappresentato dagli impianti eolici. Anche in termini di consistenza numerica vi è stato un forte incremento, passando dalle 25-30 coppie stimate negli anni’80 alle attuali 92-106 (Brunelli et al., 2007), sui Monti Reatini sono presenti 4 coppie nidificanti.

Aquila reale Falco pellegrino

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La Coturnice è un Galliforme della famiglia dei Fasianidi appartenente al gruppo delle “pernici dalle zampe rosse”. Nidifica nei soli paesi del Medi-terraneo centrale e orientale, con popolazioni cospicue in Italia. Nel Lazio alla specie è stato dedicato un Piano di Azione (Sorace et al., 2011) che ha consentito di fare chiarezza sul suo stato di conservazione: sono state stimate 171-342 coppie e sui Monti Reatini sono state registrate le densità più elevate del Lazio (2,53 cp/km2). L’altitudine media delle osservazioni è risultata di 1.663 m con solo l’11,1% delle osservazioni sotto i 1.300 m s.l.m. Si alimenta principalmente di parti vegetali (foglie, germogli, semi e frutti) e di invertebrati, in particolare insetti.

Le attività territoriali della Coturnice iniziano già alla fine dell’inverno; per esempio, il 10 marzo 2008 nelle Mainarde, due maschi hanno rispo-sto all’emissione del canto territoriale mentre sui Monti Reatini, il canto territoriale della specie era udibile già il 6 febbraio dello stesso anno. Spe-cie monogama, con alcune coppie che formano legami di lunga durata, occasionalmente bigama. Il nido, costituito da un’incavatura naturale del suolo viene rivestito con materiale vegetale, Il periodo della deposizione delle uova è compreso tra aprile e giugno e viene effettuata una sola covata annua (8-14 uova), con eventuale covata di sostituzione. La cova inizia dalla deposizione dell’ultimo uovo ed è effettuata dalla sola femmina per 24-26 giorni. I pulli sono nidifughi e vengono accuditi da entrambi i genitori. L’involo avviene a circa 21 giorni e le dimensioni dell’adulto vengono raggiunte a 50-60 giorni. I giovani sono in grado di riprodursi a un anno di età.

La Coturnice

Nonostante il nome, la sottospecie lilfordi non presenta il dorso bianco ma fittamente barrato. Il becco è lungo e scuro, il vertice è rosso nel maschio e nero nella femmina, la parte ventrale è bianca finemente barrata di scuro. I principali caratteri diagnostici sono quindi costituiti dalla barratura bian-ca e nera del dorso e dal vertice rosso del maschio. In considerazione della frequenza della specie, il principale rischio di confusione è con il comune Picchio rosso maggiore Dendrocopos major, frequente in tutti i tipi di bo-sco, ma leggermente più piccolo, provvisto di due ampie spalline bianche facilmente visibili anche in volo. Il tipico tambureggiare con la fase finale accelerata ed il verso, simile a quello di un Merlo, costituiscono utili carat-teri di riconoscimento, dal momento che le osservazioni nel bosco risul-tano spesso difficoltose. Si tratta di una specie strettamente associata alle foreste mature di latifoglie montane dove si riproduce, scavando il nido nel tronco di piante di grandi dimensioni, solitamente morte od in forte stato di deperimento; in tal senso assume molta importanza la gestione del legno morto nell’ambito delle pratiche forestali. La distribuzione della specie riguarda due ambiti geografici principali: l’area dei Monti Ernici-Simbruini-P.N. d’Abruzzo, Lazio e Molise, che costituisce il più importante settore occupato dalla specie in Italia ed è collocato soprattutto in Abruzzo e l’area del Monte Terminillo-Monte Nuria-Monte Giano. Queste due aree rappresentano i soli territori sicuramente occupati dalla specie in Italia, dove complessivamente sono stimate 240-300 coppie nidificanti, 60-80 delle quali nella regione Lazio (Bernoni & De Sanctis, 2011) ed una decina nei Monti Reatini (Bernoni, 2004). In questo comprensorio montano oc-cupa esclusivamente le faggete, tra i 1000 ed 1800 metri di quota.

Picchio dalmatino o dorsobianco

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È il più raro Corvide europeo ed è in declino in buona parte del suo areale ove il decremento interessa circa il 90% delle popolazioni europee cono-sciute. È una specie tipica d’alta montagna che occupa le praterie montane e d’altitudine, utilizzate per la ricerca del cibo e le pareti rocciose sulle quali nidifica, in anfratti o cenge.

È una specie dal comportamento gregario e, dove numerosa, tende a ni-dificare in forma coloniale. Nel Lazio è nidificante, con una distribuzione ristretta, concentrata esclusivamente lungo l’Appennino. Frequenta le pra-terie montane e d’altitudine, dai 1000 m s.l.m. sino alle massime quote. La specie è sedentaria, con erratismi durante il periodo invernale che la portano a frequentare le pianure intramontane ed anche i gruppi montuo-si più costieri (Antiappennino) dove non nidifica. Attualmente nel Lazio la specie nidifica lungo la dorsale appenninica, occupando i monti della Laga e i Reatini, la Duchessa, i monti Simbruini, Ernici e della Meta e le Mainarde. In un recente lavoro sono state censite nella regione 65 coppie di cui 34 nidificanti certe e 31 probabili, 18 delle 65 coppie sono state rin-venute entro una fascia di 2 km dal confine regionale. Sui Monti Reatini sono state stimate dalle 11 alle 24 coppie nidificanti (Bernoni et al., 2009).

Oltre a cause di livello globale (cambiamenti climatici), la specie potrebbe essere sottoposta anche a fattori limitanti di scala regionale, come la ri-forestazione naturale dei pascoli montani, in corso nelle aree sommatali delle montagne appenniniche e la diminuzione dell’intensità di pascola-mento che sembra interferire con l’alimentazione della specie.

Gracchio corallino

E’ un piccolo Passeriforme migratore, nidificante nei boschi di caducifoglie (principalmente faggete), con predilezione per quelli in buono stato di con-servazione, maturi e ricchi di cavità naturali. Nel Lazio la specie presenta una distribuzione ristretta al piano montano; nidifica lungo l’Appennino, nel settore nord-orientale e meridionale, e su parte delle dorsali dell’An-tiappennino (Monti Lepini), tra i 1100 ed i 1800 metri di quota.

Nel corso degli studi effettuati per la redazione del Piano di Gestione del SIC “Bosco di Vallonina IT6020009” sono state effettuate delle stime della specie nel sito che hanno consentito di valutare la consistenza della popo-lazione nidificante tra le 157 e le 219 coppie, con densità di 0,28-0,30 coppie per ettaro (Sarrocco e Calvario, 2004).

Nel Lazio la popolazione nidificante è probabile che superi le 1.000 coppie riproduttive (Brunelli et al., 2011). La ridotta disponibilità di cavità natu-rali può rappresentare un fattore limitante per la specie; a tal riguardo la Regione Lazio ha finanziato al Comune di Leonessa uno specifico progetto finalizzato all’installazione di nidi artificiali con l’obiettivo di rendere di-sponibili delle cavità artificiali in particelle forestali da sottoporre a tagli di utilizzo, quale misura di conservazione attiva prevista nel Piano di Gestio-ne del sito. Nel corso del mese di novembre 2008 nella faggeta del SIC “Bo-sco Vallonina ” sono stati installati 300 nidi artificiali, collocati tra 1.100 e 1.600 m di quota, ad una altezza di 3-5 metri dal suolo. Il controllo dei nidi ha evidenziato l’occupazione del 12,5% dei nidi. Le covate controllate erano costituite da un numero medio di 5,9 uova ed hanno prodotto una media di 4,6 giovani all’involo(Sarrocco et al., 2009).

Balia dal collare

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Specie con abitudini prevalentemente notturne, vive in unità sociali sta-bili (branchi), fortemente gerarchizzate, che cacciano, allevano la prole e difendono un territorio di dimensioni variabili (in Italia 150-250 km2), in maniera integrata e coordinata. Il branco corrisponde ad una unità fami-liare che si forma quando due individui di sesso opposto si incontrano e si riproducono su un territorio idoneo. In Italia la dimensione del branco è di 2-7 individui. La dieta è costituita prevalentemente da ungulati sel-vatici ma anche da ungulati domestici, rifiuti organici e materia vegetale (Boitani, 2008).

Complessivamente in Italia si stima la presenza di 500-800 lupi ma que-sto valore è puramente indicativo (Boitani, 2008). Nel Lazio comunque la specie sembra discretamente ben conservata, come testimoniato dagli avvistamenti regolari e dai danni causati al bestiame domestico. Sui Monti Reatini la specie è presente stabilmente: nel periodo 1992-1995 nove lupi sono stati uccisi nell’area, 4 di questi tra Leonessa, Poggio Bustone e Rivodutri. Un esemplare è morto per un laccio, due esemplari sono stati investiti, tre sono morti avvelenati. Tra gli esemplari morti, due esemplari giovani di 6 e 12 mesi. La presenza nell’area viene stimata in non meno di 3 esemplari (Cammerini 1998). La principale misura di conservazione da attuare con urgenza è una credibile lotta all’uso dei bocconi avvelenati e una graduale modifica dei sistemi di caccia al cinghiale. Inoltre si deve espandere l’uso dei cani da guardia per le greggi e migliorare la gestione ed il controllo del pascolo brado per equini e bovini.

Lupo

L’Orso bruno è presente in Italia con due popolazioni disgiunte, quella Alpina e quella dell’Appennino centrale (geneticamente separate). Negli anni ‘70 la popolazione appenninica di Orso bruno era oramai confinata al territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo ed alle aree montane imme-diatamente circostanti. Attualmente l’areale della popolazione si estende all’interno del Parco Nazionale Abruzzo Lazio Molise (PNALM) che, con le aree contigue, comprende una superficie di 1.500–2.500 km2 mentre, nelle zone periferiche a tale area, solo periodicamente si registra la pre-senza di individui erratici che presentano quindi densità estremamente contenute. Sui Monti Reatini, i Monti della Laga ed i Monti della Duchessa la sua presenza è limitata, ma caratterizzata da continuità temporale, ed è dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo data la continuità terri-toriale ed ambientale con le porzioni centrali dell’areale distributivo del PNALM (Bologna e Vigna Taglianti, 1992). Le informazioni disponibi-li sulla dimensione della popolazione hanno portato ad una prima stima (2004) di 43 orsi (min. 35 - max. 67) all’interno dell’area centrale di pre-senza, mentre una seconda stima (osservazioni dirette, catture) ha ridotto a 40 gli orsi presenti nell’area centrale, con una densità di 3,3 orsi/100 km2. La specie per il rifugio predilige aree con copertura forestale, ma frequenta anche praterie, zone rocciose e coltivi. L’alimentazione onnivora è basata su risorse trofiche vegetali (erba, frutti carnosi e secchi) e animali (insetti, carcasse). Un fattore limitante è la disponibilità di siti di svernamento su aree impervie e indisturbate. Il dato più recente di presenza della specie riferito ai Monti Reatini è quello relativo al 2010 sul Monte Terminillo (Banca Dati Progetto PATOM).

Orso

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Laudato si’, mi Signore, per sor’acqua, la qua-le è molto utile et hùmele et pretiosa et casta

San Francesco

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Progetto laghetti e fontanili

Sui Monti Reatini, come in numerose altre località appenniniche i “fontanili”, ossia gli abbeveratoi costruiti dall’uomo per dissetare il bestiame domestico al pascolo, rivestono una notevole importanza

anche dal punto di vista ecologico per le comunità di Anfibi, che trovano in queste strutture un habitat ideale per l’approvvigionamento trofico di larve e adulti e per completare il loro ciclo riproduttivo. Ciascun fontani-le è di solito composto da una o più vasche di raccolta dell’acqua, da un’ opera di presa che ne garantisce l’adduzione idrica da pozzi o falde, da un

“troppo pieno” che ne mantiene stabile il livello.

Nel tempo però queste strutture, laddove non adeguatamente mantenute e restaurate, essendo soggette ai danni causati dalle gelate e all’usura da parte del bestiame, appaiono spesso deteriorate, fatiscenti, in alcuni casi dirute. Divengono così inadeguate sia all’abbeveraggio che alla riprodu-zione degli Anfibi, perdendo completamente il loro ruolo funzionale. In questo contesto, la Provincia di Rieti, mettendo in atto alcune azioni di conservazione previste dal Piano di Gestione relativo alla ZPS dei Monti Reatini ha ultimato i 2 progetti di seguito indicati, destinati a ripristinare la funzionalità di fontanili e laghetti montani per renderli di nuovo idonei per l’abbeveraggio del bestiame e, con l’aggiunta di piccoli accorgimenti tecnici e di migliorarne l’idoneità per l’utilizzo da parte degli Anfibi:

• Interventi Urgenti per la conservazione dei siti Natura 2000 Monti Reatini, Vallone di Rio Fuggio e Gruppo Monte Terminillo - “Interventi Urgenti per la Riqualificazione dei Laghetti Montani” e “Interventi Urgenti per la Riqualificazione Ambientale a tutela della batracofauna”. Docup 2000-2006.

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti

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• Accordo di programma multiregionale in materia di biodiversità (APQ) nella ZPS “Monti Reatini”, nel SIC“Vallone del Rio Fuggio”, nel SIC “Grup-po Monte Terminillo” e nel SIC “Valle Avanzana - Fuscello”; interventi di riqualificazione ambientale a tutela della batracofauna.

Le opere realizzate sono finalizzate al mantenimento in buono stato di conservazione e alla ristrutturazione dei fontanili montani presenti nel comprensorio dei Monti Reatini, per preservarli dal naturale degrado e ripristinarne la totale funzionalità.Il progetto ha apportato migliorie ecologiche e funzionali mediante:• interventi per il miglioramento della capacità idrica dei fontanili (risiste-mazione delle opere di presa e delle tubature, impermeabilizzazione inter-na delle vasche);• interventi sulle strutture murarie danneggiate (rimozioni di vasche dirute o crollate e di vasche non idonee, ripresa di pareti in cemento armato);• interventi per permettere la fruizione delle strutture da parte dell’erpeto-fauna (creazione di piccole zone umide recintate a valle dei fontanili stessi e di rampe di risalita interne alle vasche);• interventi di miglioramento della naturalità complessiva dei siti (risi-stemazione della pavimentazione perimetrale, copertura in pietra locale dell’esterno delle vasche e delle spallette, consolidamento di argini tramite viminate);• monitoraggio dell’habitat e delle specie.

Il progetto nel suo complesso ha agito nel pieno rispetto delle caratteristi-che naturali del contesto territoriale in cui si inserivano i singoli interventi e utilizzando materiali locali. Si è operato secondo criteri che hanno tenu-to in considerazione la biologia delle specie di Anfibi presenti o potenzial-mente presenti nella zona.La direzione lavori si è avvalsa del supporto di un erpetologo al fine di evitare qualsiasi danneggiamento o disturbo alle specie di Anfibi presenti nell’area durante i lavori di ripristino.

Sotto la cresta Sassetelli si trova la sorgente più alta di tutti i Monti Reatini, si tratta del fontanile di Acquasanta che nella foto si trova nella radura tra i due lembi di faggeta.

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GLI ANFIBI PRESENTI NEL COMPRENSORIO DEI LAGHETTI E DEI FONTANILI RIPRISTINATI

Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)*

Tritone crestato italiano Triturus carnifex (Laurenti, 1768)

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Sulla base delle segnalazioni bibliografiche disponibili e delle presen-ze accertate durante il procedere dei lavori dei progetti, le specie di Anfibi che frequentano o possono potenzialmente frequentare i fon-

tanili e i laghetti dei Monti Reatini sono le seguenti:- URODELI• Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)*• Tritone crestato italiano Triturus carnifex (Laurenti, 1768)- ANURI• Ululone dal ventre giallo appenninico Bombina pachypus (Bonaparte, 1838)• Rospo comune Bufo bufo (Linnaeus, 1758)• Rane verdi Pelophylax bergeri Günther, 1985 e Pelophylax kl. hispanica Bonaparte, 1839• Rana appenninica Rana italica Doubois, 1987

Riportiamo di seguito qualche cenno sulla biologia di questo gruppo ani-male con l’obiettivo di contribuire a farne meglio comprendere le esigen-ze ecologiche. Di origine greca, la parola “Anfibio” significa letteralmente “doppia vita”. Il ciclo vitale degli Anfibi è infatti solo parzialmente adatta-to alla vita nell’ambiente subaereo; la dipendenza dall’acqua rimane più o meno marcata per la riproduzione, per lo sviluppo larvale e, in alcuni casi, anche per la sopravvivenza degli stessi adulti: in queste specie più netta-mente acquatiche infatti la cute, che svolge anche un’importante funzione respiratoria, è ricoperta solo da un sottile strato corneo, che deve essere mantenuto umido per evitare la disidratazione.

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti

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Ululone dal ventre giallo appenninico Bombina pachypus (Bo-naparte, 1838)

Rane verdi Pelophylax bergeri Gün-ther, 1985 e Pelophylax kl. hispanica Bonaparte, 1839

Rospo comune Bufo bufo(Linnaeus, 1758)

Rana appenninica Rana italica Doubois, 1987

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Le uova degli Anfibi possono essere deposte: - in grosse masse globulari flottanti sulla superfi-cie dell’acqua o sul fondo (rane rosse e rane verdi),- in cordoni, in piccoli gruppi o anche singolar-mente adesi alla vegetazione acquatica, alle pa-reti dei pozzi o dei fontanili, a sassi (Ululone ap-penninico, Rospo comune, Salamandrina dagli occhiali).- singolarmente chiuse in foglie di vegetazione acquatica (tritoni).

Dopo la schiusa, le larve hanno bisogno, a secon-da della specie, della tipologia di raccolta d’acqua e delle condizioni atmosferiche stagionali, di un periodo di tempo abbastanza lungo (cfr. tabella 1) per raggiungere la metamorfosi (per metamorfosi si intende il processo graduale attraverso il quale, sotto il controllo degli ormoni tiroidei, le larve si trasformano in individui adulti). Negli Anfibi Urodeli (salamandrine e tritoni) sono presenti casi di “neotenia”, in cui gli indi-vidui mantengono la morfologia larvale (e con-tinuano quindi a respirare in acqua attraverso le branchie) ma sono in grado di riprodursi come adulti veri e propri. In questi casi, il prolungarsi dello stadio larvale consente alle specie neote-niche di raggiungere dimensioni corporee mag-giori e di sfruttare meglio l’ambiente acquatico, almeno finché le condizioni ambientali riman-gono favorevoli. In caso di presenza di indivi-dui neotenici, che non possono sopravvivere

TABELLA n.1 Periodi di presenza e fasi biologiche delle specie di Anfibi pre-senti nel comprensorio dei Monti Reatini (secondo Bologna et al., 2000). I dati sotto riportati sono da intendersi puramente indicativi perché la fenologia subisce variazioni profonde a seconda dell’altitudine, dell’esposizione al sole e del clima dell’anno. La verifica da parte di un erpetologo è sempre auspi-cabile prima di qualunque intervento sulle raccolte d’acqua.

fuori dall’acqua, è necessario porre particolare attenzione durante eventuali lavori di restauro a lasciare sempre sufficiente disponibilità idrica nell’invaso. Fra le specie sopra elencate, talune (Salamandri-na dagli occhiali, Rospo comune, Rana appen-ninica), una volta raggiunta l’età adulta, sono svincolate dall’ambiente acquatico e tornano all’acqua solo nel periodo riproduttivo, a volte attardandosi anche dopo la riproduzione (Rane appenninica). L’Ululone appenninico è anch’esso svincolato dall’ambiente acquatico al di fuori del periodo riproduttivo, che però può durare diver-si mesi (da aprile a ottobre), durante i quali gli animali permangono in acqua o nelle immediate vicinanze. I tritoni invece sono gli anfibi che re-stano maggiormente legati all’ambiente acquati-co durante il loro ciclo vitale, permanendo spes-so per tutto l’anno, con escursioni terrestri nei periodi estivi, quando i corpi idrici si possono prosciugare.A seconda poi delle caratteristiche climatiche di ogni area, è possibile che talune specie possano essere presenti in acqua in stagioni differenti, a seconda della disponibilità di acqua, come per esempio la Salamandrina dagli occhiali, che può riprodursi anche in autunno o in inverno (vedi Tab. 1).

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LEGENDA: A:Adulti, U:Uova, L:Larve, N:Neometamorfosati

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Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli.

Proverbio Indiano

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Di seguito si riporta una descrizione sintetica dei 2 laghetti e dei 18 fontanili ripristinati a seguito della realizzazione dei progetti, la loro localizzazione, la potenzialità per le specie di Anfibi di interesse comu-nitario segnalate nei Siti Natura 2000 interessati. I fontanili e i laghetti interessati si trovavano, nel complesso, in uno stato di conservazione mediocre, presentavano alcuni difetti e/o cedimenti strutturali che si è ritenuto opportuno sistemare prima che ne venisse ulteriormente e definitivamente pregiudicata l’integrità ecologica. La presenza in quota di numerose risorgive sui Monti Reatini ha permesso la costruzione di molti fontanili alcuni dei quali presenti già in epoca medioevale, anche se la loro diffusione in tutto il territorio risale al “900. Inizialmente erano costruiti in legno, i trocchi, poi convertiti in pietra quindi in mu-ratura. Dagli anni “80 con l’abbandono progressivo da parte di greg-gi e più in generale delle attività dell’uomo in montagna hanno perso di importanza e anno dopo anno si sono deteriorati, talvolta distrutti. Per questo il progetto di ristrutturazione dei fontanili, funzionale alla presenza di anfibi si è ampiamente guadagnato il merito di restituirci anche dei monumenti della vita in montagna. La loro individuazio-ne, avvenuta in collaborazione con i Comuni, si è anche basata sulla potenzialità della presenza di anfibi segnalate. Tuttavia bisogna con-siderare, al fine della conservazione di queste specie, che la rete dei fontanili presenti nei Monti Reatini supera le cento unità e quasi tutti sono collegati o raggiungibili dalla rete di sentieri del CAI. Il progetto si è occupato di quei fontanili particolarmente strategici in condizioni non ottimali sia da un punto di vista strutturale che per la necessaria funzionalità alla riproduzione degli Anfibi.

GLI INTERVENTI PER LA TUTELA E VALORIZAZIONE DI FONTANILI E LAGHETTI

LAGHETTI:

1- LAGO DI MONTE TILIA

2- LAGO DELLA CROCE

FONTANILI:

3- FONTE DELLA ROCCA 1200 m.

4- FONTE FORCELLA 1200 m.

5- FONTE MIGLIONICO 1.315 m .

6- FONTE PORCINI 1482 m.

7- FONTE DEL PERO 1300 m.

8- FONTE CASALE D’ANTONI 1264 m.

9- FONTE DEI CAVALLI 1580 m.

10- FONTE PORCINI 1564 m.

11- FONTE DI CAMBIO 1779 m.

12- FONTE PORANA 1372 m.

13- FONTE PACCE-GROTTA 600 m.

14- FONTE DEL FAGGIO 990 m.

15- FONTE TRONCHETTO 1200 m.

16- GALAFONTE 1.153 m.

17- FONTE DEL BOBB0 954 m.

18- FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.

19- FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.

20- FONTE ARACUCCA 1089 m.

LEGENDA

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LAGO DEL TILIA 1.600 m (Comune di Leonessa)

La riqualificazione del laghet-to e dei fontanili presenti su Monte Tilia (Fonte Forcella e Fonte della Rocca) risponde alla strategia di realizzare una rete di raccolte d’acqua tale da supportare la diffusione de-gli individui nel territorio, of-frendo loro la possibilità di raggiungere altre popolazioni già presenti oppure di rappre-sentare propaguli potenzial-mente capaci di colonizzare nuovi siti riproduttivi.

Il sentiero che parte da Leo-nessa (970 m.) è di facile per-correnza, sale attraversando la faggeta fino a giungere ai prati in quota, il lago di Monte Tilia si trova nel naturale catino for-mato dai versanti.

Quello che giunge al Colle La Croce (1.626 m.) e all’ omo-nimo laghetto, per i Leones-sani, è molto più di un sen-tiero. Infatti rappresenta una sorta di pellegrinaggio che ogni anno, in agosto, com-piono per onorare il loro pa-trono, San Giuseppe da Leo-nessa. Dal laghetto inizia una lunga dorsale che conduce ai Monti Catabio e Cambio.

LAGO DELLA CROCE 1.550 m (Comune di Leonessa)

Il laghetto della Croce o del-la Guardia è situato nel mez-zo di un pascolo in quota, circondato da una faggeta. Come tutti i laghetti mon-tani, è un habitat in rarefa-zione. L’importanza del re-cupero di queste tipologie di raccolte d’acqua, ormai sem-pre più rare, non è solo fin lizzata a mantenere siti ri-produttivi di Anfibi, ma so-prattutto a costituire una ri-serva idrica utilizzabile in quota, dalla fauna domestica e selvatica.

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FONTE FORCELLA 1551 m. (Comune di Leonessa)

Proprio per la sua collocazio-ne, all’interno di un matri-ce forestale ricca di arbusti, il fontanile costituisce un buon sito riproduttivo e di rifugio per gli Anfibi.

Il fontanile insieme al La-ghetto del Tilia ed alla Fon-te della Rocca forma una re-te di raccolte d’aqua. Questo aspetto insieme alla presen-za di vegetazione acquatica al suo interno e alla vicinan-zacon il bosco lo rendono fortemente idoneo quale sito riproduttivo per Anfibi.

FONTE DELLA ROCCA 1200 m. (Comune di Leonessa)

Il sentiero è lo stesso che par-te da Leonessa e attraversa i prati intorno al laghetto di Monte Tilia, infatti il fonta-nile si trova poco più a valle del lago. Il percorso continua verso Monte Corno e Colle-lungo, sullo storico confine tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli, segnalato dai cippi di confine, il sentiero scende alla Forca del Fuscello.

Il fontanile si incrocia proprio su un tornante del sentiero che collega Leonessa (969 m.) a Monte Tilia (1.775 m.). Vale la pena percorrere la variante del sentiero che giunge alla Rocca di Leonessa, una forti-ficazione nata nel XIII sec. per volontà di re Carlo d’Angiò. Dalla rocca si gode una vista molto ampia su Leonessa e al-topiano.

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FONTE MIGLIONICO 1.315 m(Comune di Rieti)

La fonte, situata all’interno di una faggeta, presenta eleva-te potenziali biologiche per la riproduzione degli Anfibi. Lo stato di degrado in cui versava però la muratura del fontanile non consentiva la permanen-za di adeguati livelli di acqua all’interno delle vasche.

FONTE PORCINI 1482 m. (Comune di Borgovelino)

Il fontanile, privo di acqua a causa della perdita dell’im-permeabilità dellevasche, si trovava in forte stato di de-grado. La sua collocazione prossima ad un vasto siste-ma forestale lo rendeva ido-neo quale sito riproduttivo di Anfibi e quindi meritevole di ristrutturazione.

Al fontanile di Monte Porci-ni si può giungere attraverso una strada sterrata dalla lo-calità Cinque Confini. In in-verno quest’area è percorsa da un’ottima rete di piste per lo sci di fondo.

Il fontanile Miglionico si tro-va sull’omonimo fosso e si può raggiungere su un comodo sen-tiero che congiunge due del-le località più frequentate dei Monti Reatini, Pian dé Valli e Pian dé Rosce.

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FONTE DEL PERO 1300 m. (Comune di Cittaducale)

Il fontanile denotava segni di rottura in alcuni punti del muretto di contenimento, sia a monte che a valle; ciò avreb-be potuto, nel tempo, pregiu-dicarne la stabilità e la fun-zionalità ecologica, quale sito riproduttivo di Anfibi.

Anche in questo caso il fon-tanile mostrava segni di ce-dimento in alcuni punti del muretto di contenimen-to con significativa perdita d’acqua che non lo rendeva idoneo ad ospitare popola-zioni di Anfibi.

FONTE CASALE D’ANTONI 1265 m. (Comune di Cittaducale)

Il fontanile si trova al fianco dell’omonimo casale. Si rag-giunge da Cittaducale attra-verso una comoda strada.

Al fontanile di Monte Porci-ni si può giungere attraverso una strada dalla località Cin-que Confini.

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FONTE DEI CAVALLI 1580 m.(Comune di Posta)

Il fontanile, prima del ripri-stino, non presentava carat-teristiche idonee a svolgere il ruolo di sito riproduttivo per Anfibi.

Il fontanile, prima dei lavori completamente dismesso, pre-sentava, per la sua collocazio-ne, caratteristiche idonee al-la colonizzazione da parte di Anfibi. Quest’area è infatti una delle più interne e intatte dei Monti Reatini.

FONTE PORCINI 1564 m.(Comune di Posta)

A fianco del fontanile si trova un rifugio montano un tem-po utilizzato dai pastori. In-fatti quest’area è stata sempre frequentata da greggi per la ricchezza dei pascoli e dispo-nibilità di acqua.

Quest’area è una delle più in-terne e intatte dei Monti Re-atini. Si raggiunge attraverso un sentiero panoramico che parte dalla Sella di Jaccio Cru-dele, scende al rifugio Porcini per poi risalire i costoni di Valle Scura.

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FONTE DI CAMBIO 1779 m.(Comune di Leonessa)

Il fontanile si trova sul versan-te ovest del Monte di Cambio, al limite della vegetazione bo-schiva. Sullo stesso gruppo montuoso sono presenti ulte-riori raccolte d’acqua artificiali. La più vicina si trova nei pressi del vicino Rifugio di Vallebo-na, mentre, sul versante nord del Monte di Cambio, si trova la Fonte Porana e, a sud-est, la Fonte dei Cavalli. Vicino Mon-te Porcini è inoltre posiziona-ta l’omonima fonte. La strate-gia di riqualificare un sistema di punti d’acqua spazialmen-te tra loro in relazione, tende a facilitare i contatti riprodut-tivi tra le popolazioni di Anfibi presenti sul territorio.

Fontanile particolare e sug-gestivo, formato da una serie di vasche posizionate all’in-terno di un vasto sistema fo-restale. La naturalità dell’a-rea e la presenza di numerosi nascondigli caratterizza que-sta raccolta d’acqua, lascian-do presupporre una elevata potenzialità quale sito ripro-duttivo per Anfibi.

FONTE PORANA 1372 m.(Comune di Leonessa)

Questa fonte è raggiungibi-le sia dal paese di Albane-to, per un percorso più lun-go, che attraversando i Mon-ti Reatini partendo dalla Sel-la di Leonessa, salendo su Monte di Cambio per ridi-scendere a Albaneto.

Il fontanile si raggiunge per-correndo uno dei sentieri che conducono al Monte Cam-bio. Si trova dopao la faggeta prima dei pendii che condu-cono sulla vetta.

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FONTE PACCE-GROTTA 600 m. (Comune di Morro Reatino )

FONTE DEL FAGGIO 990 m. (Comune di Morro Reatino )

Il fontanile, composto da 5 vasche, si trovava in un di-screto stato di conservazio-ne e presentava buone po-tenzialità per gli Anfibi.

Il fontanile, composto da 3 vasche e una grotticina artifi-ciale, si trovava in un discreto stato di conservazione ed ha necessitato di limitati inter-venti di ristrutturazione. Pre-senti Characee e numerose specie di Invertebrati acquati-ci: è stata inoltre accertata la presenza della Salamandrina dagli occhiali.

Questo fontanile si trova sulla strada provinciale che collega Morro Reatino a Le-onessa. Si raggiunge dal-la strada attraverso un faci-le sentiero.

Il fontanile si trova in un con-testo paesaggestico di grande bellezza, si può raggiungere attraverso una strada carrabi-le dal paese di Morro Reatino. Dal fontanile è possibile per-correre la valle sia verso Leo-nessa, attraverso il Passo del Fuscello, che verso valle rag-giungendo il lago di Piediluco.

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FONTE TRONCHETTO 1200 m. (Comune di Rivodutri )

Il fontanile, composto da 11 vasche, si trovava in un discre-to stato di conservazione. L’ap-porto d’acqua era abbondante in tutte le vasche anche se era presente una forte perdita idri-ca. E’ stata accertata la presen-za della Salamandrina dagli occhiali

FONTE ARACUCCA 1089 m. (Comune di Cantalice )

Il fontanile, composto da una lunga vasca, si trovava in un discreto stato di con-servazione ed è stata accerta-ta la presenza della Salaman-drina dagli occhiali. Fonte molto frequentata da bestia-me domestico.

Il fontanile si trova sulla strada sterrata che collega Cantalice al Rifugio Casti-glioni.

L’interessante percorso che conduce al fontanile parte dal paese di Rivodutri, la strada sale alla località il Cepparo, poi continua verso l’area in cui si trova il Faggio di San Francesco.

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GALAFONTE 1.153 m. (Comune di Poggio Bustone )

FONTE DEL BOBBO 954 m. (Comune di Poggio Bustone )

Il fontanile, composto da una sola vasca, si trovava in un discreto stato di conser-vazione.

Il fontanile, composto da 3 va-sche in cemento, si trovava in cattivo stato di conservazione. L’apporto d’acqua era scarso e discontinuo, le vasche presen-tavano crepe e discontinui-tà che non permettevano una costante presenza dell’acqua all’interno.

Questa fonte è raggiungibile sempre da Poggio Bustone. Il toponimo “Bobbo” sta a si-gnificare spauracchio. Que-sti nomi erano tipici nelle aree di confine, come questa tra Rivodutri e Poggio Bu-stone.

La strada per giungere aque-sto fontanile è quella che da Poggio Bustone conduce qua-si in cima a Monte Rosato. Il fontanile si trova sulla strada.

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FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m. (Comune di Poggio Bustone)

Il fontanile, composto da 5 vasche in cemento e 1 vasca finale aggiunta, formata da una vasca da bagno casalinga (!), si trovava in uno stato di conservazione discreto. L’ap-porto d’acqua era molto ab-bondante ed era presente un cospicuo sversamento all’e-sterno. Un leggero dissesto del terreno a monte causava inoltre ingresso di terriccio e fango all’interno delle vasche.

FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m. (Comune di Poggio Bustone)

Il fontanile è composto da 3 vasche di cui la finale era com-pletamente diruta. Buona la potenzialità per gli Anfibi.

Per raggiungerlo si percorre la strada sterrata che sale su Monte Rosato fino a giungere ai Prati di San Giacomo. Da qui si osserva uno dei pano-rami più suggestivi sulla pia-nura reatina. Quest’area è an-che frequentata come base di lancio per deltaplani e para-pendio.

Questo itinerario può avere il suo inizio dal santuario fran-cescano di Poggio Bustone, da dove una strada sterrata risale e attraversa la Valle Petrinara fino a giungere in un piano-ro dove si trova il fontanile. Anche da qui vi sono ottimi panorami sia sulla pianura re-atina che verso il Terminillo.

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Chi è stato il primo uomo a salire sul Terminillo, cima più alta dei Monti Reatini? La prima ascesa documentata risale al 1818, prota-gonista un botanico danese. Ma se pensiamo che la vetta del Gran

Sasso – la più alpina di tutte le vette appenniniche – sia stata scalata nel 1573, è facile supporre che i prati erbosi di Terminilletto e poi le rocce di Sassetelli siano stati scalati molti anni o secoli prima.

Forse a salire per primo è stato un uomo delle popolazioni sabine che, nel celebrare il rito della primavera sacra, offrendo sacrifici agli déi, ha pen-sato di violare la loro casa giungendo fino in cima. O forse è stato qualche uomo delle legioni romane, dopo aver disboscato i pendii boscosi, o qual-che pellegrino medievale che nell’intento di trovare spiritualità, espiazione ha voluto toccare la vetta per sentirsi redento; o magari qualche viaggiato-re rinascimentale desideroso di ammirare la bellezza del panorama nella sua massima ampiezza.

A me piace credere che sia stato un semplice montanaro, di qualche epoca passata – non è importante quale – a valicare uno dei tanti passi che con-ducono alla vetta del Terminillo e che abbia avuto, per scelta o per destino, la volontà di salire fino in cima; e vista la consuetudine di questi uomini nel valicare i passi e attraversare valli, può anche darsi che non gli abbia dato nemmeno importanza. Del resto, quello che noi chiamiamo escur-sionismo, per loro era soltanto la vita quotidiana. In questa, come in altre pubblicazioni, con dovizia di particolari, si cerca di fare una descrizione delle valli e delle cime dei nostri monti, descrizioni che non sarebbero ser-vite ai montanari di allora, perché la montagna era il loro luogo nativo, dove vivere e lavorare.

La cultura della montagna

La scomparsa dei montanari ha portato via tremila anni di storia, ovvero da quando l’uomo inizio a valicare queste valli con greggi e mandrie.

di Giancarlo Cammerini

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Così se ci si domanda a chi appartiene la cultura delle montagne reatine, la risposta è semplice: senza dubbio alla gente che nei secoli ha popolato la co-rona di paesi che circonda i monti reatini. Gioielli che al viaggiatore restitu-iscono la lentezza e la saggezza della cultura della montagna, di quel modus vivendi che fino agli anni Sessanta ancora sussisteva incontrastato le valli e i boschi di questi monti.

Fin dall’età del bronzo sono state rilevate tracce dell’uomo, almeno sulle pen-dici della montagna. Con il passare del tempo la presenza umana è aumenta-ta, grazie alla romanizzazione della Sabina ad esempio, ma è con l’incastella-mento medioevale che si evolve in una vera e propria occupazione di tutti i versanti dei Monti Reatini, le cui vestigia è possibile vedere ancora oggi. Dai paesi pedemontani, ci si spostava in alto con eremi, chiesette, stazzi, terraz-zamenti, roccaforti, vedette e si attraversavano valichi fino ai 1900 metri, la presenza umana era paradossalmente più viva allora di quella di oggi.

Poi, nel Settecento inizia una nuova frequentazione, c’è il Gran Tour, i ram-polli delle nobili famiglie viaggiano cercando le bellezze artistiche ma anche avventure tra le montagne appenniniche. I Monti Reatini rimanevano fuori dai grandi circuiti più famosi, tuttavia anche qui giungono le pulsioni del ro-manticismo che vede nei paesaggi montani un’inesauribile fonte d’ispirazio-ne, portò tra queste montagne viaggiatori, artisti, letterati e scienziati.

Una delle figure che ci ha lasciato, con i suoi disegni e scritti, una testimo-nianza preziosa del tempo è l’inglese Edward Lear, fa un bellissimo raccon-to di queste montagne le descrive impervie, però guardandole da lontano, senza addentrarsi, altrimenti avrebbe scoperto che sui passi, nelle valli era un pullulare di attività e quei luoghi erano molto familiari alle popolazioni dei paesi pedemontani. Invece un uomo che farà una conoscenza più appro-fondita, e giungendo sino alla vetta più alta è il naturalista olandese Joakim Frederik Schouw, un autorevole botanico che farà una ricognizione natura-listica dell’area, di fatto iniziando l’esplorazione naturalistica dei Monti Re-atini. Nell’Ottocento e poi in maniera più decisa nel Novecento inizia una frequentazione della montagna completamente slegata dalle esigenze ma-

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teriali, la montagna diviene luogo di ardimento, di svago, di studio e di contemplazione, inizia l’epoca delle salite alpinistiche, una forma di cono-scenza e di cultura dello stare in montagna incomprensibile per chi viveva di montagna. Per i montanari era già talmente dura la vita che non vi era motivazione di prendere altri rischi e fatiche, tuttavia i più validi e intra-prendenti trasformarono in un lavoro extra quello di fare da guida a chi veniva dalla città offrendogli riparo, cibo e indicazioni per esplorare quelle valli e crinali che loro già conoscevano bene. Nel paese di Lisciano, la gui-da Giuseppe Munalli era una delle più rinomate. Questa attrazione per le vette e la voglia di conquista provenivano da chi le montagne le guardava da lontano, come sfida, gioco, rigenerazione per la stanca routine della cit-tà, certamente un altro percorso culturale. (R. Marinelli, Terminillo. Storia di una montagna, cit.).

Dal dopoguerra inzia un rapporto con la montagna sempre più funziona-le al divertimento, inizia il turismo di massa. La montagna viene spogliata dei molti valori culturali e ambientali e viene allegerita la sua severità sem-plicemente ricostruendo un parco giochi cittadino sulla neve. Tutto inizia con una gita di Benito Mussolini che, aiutato dai valligiani, a dorso di mu-lo, giunse fino all’attuale Pian de Valli. Era il 22 gennaio 1933, una salita in-vernale che cambiò la storia del Terminillo. Il Duce alla fine dell’escursione pronunciò la famosa frase: “La prossima volta tornerò in automobile”.

Da quel momento nascono i progetti di urbanizzazione del Terminillo; i reatini si sforzano di dare un nuovo volto alla montagna, di farla conoscere a coloro che avrebbero talmente fuorviato la cultura di quei luoghi da farla chiamare “Montagna di Roma”. Di seguito, la costruzione di alberghi e piste da sci ha dato il via al turismo, prima borghese, poi di massa della Capitale.

Probabilmente la montagna non è dei Romani ed è poco dei Reatini, da sempre legati più alla nebbiosa pianura che alle cime assolate del Termi-nillo. Per questo hanno imparato a conoscere questa montagna insieme ai turisti romani e riconducono la sua storia principalmente agli eventi che hanno portato alla costituzione della stazione sciistica e al conseguente svi-

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luppo; a quei processi cioè che hanno definitivamente portato all’emargina-zione delle genti di montagna e della loro cultura. Certo, anche a Rieti si for-mò un gruppo di forti scalatori del CAI che nel corso degli anni sono stati protagonisti della storia dell’alpinismo locale.

Tuttavia, ancora oggi si tende a concepire lo spazio montano come un luogo privo di storia naturale e umana, a uso di un popolo di pendolari provenienti dalla città. Questi però ignorano i sentieri che attraversavano le valli, gli an-tichi ripari e la lentezza di una vita certamente più dura, ma soprattutto non comprendono la natura e il valore scientifico e culturale che essa contiene.

Eppure il matrimonio tra uomo e montagna in tutte le culture ha rappresen-tato un elemento costante e vivo. Fin dall’antichità, con la loro bellezza, le montagne hanno conquistato artisti, filosofi e mistici, diventando simbolo di ascesi in senso fisico, morale e spirituale. Certo, anche altri ambienti offro-no scenari “fantastici”, come i mari, le foreste, le pianure e i deserti che sono uno spettacolo della natura. Come dice Dino Buzzati: La montagna ha due dimensioni eccezionali, la ripidezza e l’immobilità: la prima moltiplica la sen-sazione di lontananza e accresce il senso del mistero; la seconda crea una fatale tendenza dell’uomo a uno stato di tranquillità.

Tuttavia l’idea dell’ascesa-ascesi, della montagna come dimora degli dèi cele-sti o luogo eletto per l’iniziazione al mistero divino, della congiunzione terra-cielo nella sublimità delle altezze, è costante in tutte le culture. È il Sinai di Mosè e, nel Nuovo Testamento, il Monte degli Olivi e il Golgota. Ma è anche l’Olimpo dei Greci, nella tradizione Indù, il monte Meru nella catena dell’Hi-malaya, è il luogo dove Shiva medita e si realizza spiritualmente; gli antichi ariani dell’India non avevano templi, era sulle cime dei monti che compivano i loro rituali. Nelle più antiche tradizioni elleniche, l’eroe sparisce tra le cime delle montagne; in quelle buddhiste si parla di una montagna, dove scompaio-no gli uomini giunti al risveglio spirituale; in quelle taoiste c’è l’immagine del monte Kuen-Lun, dove esseri regali bevono la bevanda dell’immortalità. Nelle civiltà precolombiane, gli imperatori, sacralizzati, si occultavano sui monti do-po la morte che, anche qui, non è vista come dissoluzione ma come apertura

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verso l’aldilà. La montagna, che si configura come luogo di ascesa spirituale ma anche arena di azione e ardimento (l’uomo che si arrampica), secondo il filosofo René Dumal mette in opera una sorta di metafisica pratica, l’ascen-sione: quando diviene ascesi affranca i muscoli dalla fatica e si giunge alla conquista contemplativa della vetta e di se stessi.Nel XII secolo San Bonaventura, autore di un Itinerarium mentis in Deum, notava Ascender in montem, id est in eminentiam mentis. Salire dunque vo-leva dire saggiare il corpo e lo spirito. Anche Dante dopo essersi tuffato nell’abisso infernale per conoscere il male e superarlo, opera la propria pu-rificazione salendo, di grado in grado, su per il monte Purgatorio, verso il Paradiso terrestre che gli schiuderà la vista dei cieli; anch’egli cresce in sa-lita, libero e leggero, tanto da avvertire sempre meno il fardello del proprio corpo. La montagna è il passaggio verso l’alto, della rilevazione e del dono: sopra Poggio Bustone, San Francesco riceve da Dio conferme della propria conversione, come Petrarca giungerà al momento risolutivo della propria crisi spirituale ascendendo al monte Ventoso, in Provenza. Lo sguardo di-viene puro di fronte al paesaggio montano, corre libero dalle stagnazio-ni e incrostazioni che la pianura ha creato. Il Discorso della Montagna, il sermone rivolto da Gesù ai suoi discepoli, riportato nel Vangelo secondo Matteo 5,1-7,28 è uno dei messaggi più forti del Cristianesimo.Nel libro, Il Monte Analogo di Daumal, la montagna ha una cima inacces-sibile ma una base accessibile. Questo incontro tra azione e contemplazio-ne è uno dei principi guida di uno dei più grandi alpinisti, l’italiano Walter Bonatti. Recentemente scomparso, faceva la cronaca delle sue prodigiose scalate descrivendo la sintesi tra sforzo fisico e tensione morale, un infini-to che è dentro e che utilizza le vette e l’ascesa per venire a galla. Sempre Daumal scriveva: Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscende-re... A che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto: salendo, devi prendere nota delle difficoltà del tuo cammino; finché sali, puoi vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai osservate bene. Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto. Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello

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che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, al-meno è possibile sapere.Questa filosofia della montagna, forse si sposa più con una visione cittadina, meno con il duro lavoro del montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto efficace della vita e un aspetto della cultura alpinistica molto profondo.Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi simboli possono vivere anche attraverso la Natura, la montagna non solo co-me ascesa-ascesi ma anche come giardino dell’Eden popolato da migliaia di specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa, che della caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lot-ta che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare l’ambiente in cui si nasce e si vive. La millenaria cultura della montagna ha interpretato la difficile sfida del vivere in un ambiente tanto magnifico quan-to severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il man-tenimento di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa. Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica del montanaro o del buon selvaggio, ma di costruire una cultura della montagna che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”, gli uomini delle montagne che mossero i primi passi attraversando queste catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza di cercare, attraverso la montagna, l’armonia della vita.

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Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli.

Proverbio Indiano

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BUONE PRATICHE E GESTIONE DEI FONTANILI

Nel Lazio, in particolar modo sulla dorsale appenninica e antiappennini-ca, è particolarmente importante sostenere con ogni mezzo possibile le attività di pascolo, oltre che per il profondo e radicato significato socio-economico che rivestono e per le economie che possono indurre, anche in quanto esse contribuiscono in modo diretto e significativo a contrastare il fenomeno della chiusura delle aree aperte e delle radure così importanti per il mantenimento di importanti elementi di biodiversità.In tale contesto e soprattutto se ci si trova in zone carsiche con limitata di-sponibilità di risorse idriche superficiali, i fontanili, le pozze e le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, rappresentano manufatti insostituibili necessari per l’abbeveraggio ed il ristoro del bestiame allevato. Essi inol-tre rappresentano spesso una valida ed efficiente alternativa agli ambienti umidi naturali (sempre più rari) anche per la riproduzione, l’alimentazio-ne e lo svernamento di diverse specie di Anfibi.

Il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle raccol-te d’acqua naturali e artificiali appare perciò di fondamentale importanza sia per soddisfare le esigenze di abbeveraggio e ristoro per il bestiame domestico sia per la conservazione degli Anfibi. Occorre quindi trovare un necessario punto di equilibrio affinché le necessarie azioni di manu-tenzione di tali raccolte d’acqua (pulizia delle vasche, lavori di restauro) vengano condotte con modalità tali da garantirne la piena funzionalità per entrambe le componenti (bestiame ed anfibi) ed in modo da non cau-sare danni diretti agli Anfibi che, lo ricordiamo, sono anche protetti da specifiche norme di tutela sia di carattere comunitario che regionale.

normativa di riferimento sulla tutela degli anfibi. Alcune specie di Anfibi presenti nel Reatino (Salamandrina perspicillata, Triturus carnifex, Bombina pachypus, Rana dal-matina, Rana italica) sono incluse nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE come “specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa”. Bombina pachypus, Salamandrina perspicillata e Triturus carnifex sono inclusi anche nell’Allegato II della stessa Direttiva, come “specie animali d’interesse comunitario la cui con-servazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione. La Direttiva sancisce che: “Gli Stati membri adot-tano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all’allegato IV, lettera a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:

a) qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale;b) perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;c) distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell’ambiente naturale;d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo.”

Hyla intermedia e Rana dalmatina sono anche segnalate come specie “vulnerabili” sia nella Lista Rossa degli Anfibi e dei Rettili del Lazio (Bologna et al., 2000) sia nel “Libro Rosso degli animali d’Italia” (Bulgarini et al., 1998). Tre specie figurano inoltre nell’Annesso II della Convenzione di Berna: Triturus carnifex, Hyla intermedia e Rana dalmatina.

Nella Regione Lazio tutte le specie di Anfibi, escluse le “rane verdi” (P. bergeri/hispanica), Rana temporaria e Ichthyosaura alpestris, sono protette dalla L.R. 18, 5/IV/1988 “Tutela della fauna minore”, che vieta:a) qualsiasi forma di cattura, di detenzione e di uccisione;b) il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione e di riposo;c) il molestare la fauna selvatica minore, specie nel periodo della riproduzione, dell’allevamento e dell’ibernazione, nella misura in cui tali molestie siano significative in relazione al raggiungimento delle finalità di cui al precedente articolo 1;d) la distruzione o la raccolta di uova dell’ ambiente naturale o la loro detenzione quand’anche vuote;e) la detenzione, il trasporto ed il commercio di tali animali, vivi o morti, come pure imbalsamati, nonché di parti o pro-dotti facilmente identificabili ottenuti dall’animale, nella misura in cui ciò contribuisce a dare efficacia alle disposizioni del presente articolo.”

Per la conservazione di queste specie è fondamentale quindi la gestione appropriata delle raccolte d’acqua ristrutturate. Alcune di queste, principalmente quelle artificiali, assolvendo alla funzione di abbeveraggio del bestiame al pascolo, hanno bisogno di manutenzione regolare, non solo strutturale ma anche per ciò che concerne la pulizia interna.

APPENDICE

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti

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Il fontanile dei Cavalli, posto in un’area di particolare pregio natu-ralistico è stato il fontanile che ha richiesto più lavoro sia nella ri-strutturazione che per la collocazione difficilmente raggiungibile.

Di seguito si riportano gli aspetti salienti su cui porre l’attenzione per far sì che le raccolte ristrutturate assolvano alla funzione di sito riproduttivo per Anfibi e di punto di abbeveraggio per il bestiame.

1) MANTENIMENTO DEI MANUFATTII manufatti esistenti che versano in buone condizioni strutturali e funzionali vanno preservati dal naturale degrado e da ulteriori ed accidentali ammaloramenti controllando periodicamente che:

- non vi siano captazioni che alterino significativamente il livello dell’acqua nella vasca,- l’afflusso idrico sia garantito, monitorando eventuali ostruzioni alla sorgente, nei tubi di afflusso e/o nelle canaline di adduzione,- il pietrame (o altro materiale) che costituisce le pareti sia integro e non vi siano consistenti perdite d’acqua,- funzioni un sistema di “troppo pieno” verso una piccola zona umida,In siti ricadenti su sentieristica è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica informativa per la divulgazione di tematiche relative alla conservazione degli habitat e delle specie.

2) OPERE DI RESTAURO DEI MANUFATTINella realizzazione delle vasche di raccolta delle acque si dovranno tenere in conto i criteri che prendano in considerazione la biologia delle spe-cie di Anfibi (Scoccianti, 2001; Carpaneto et al., 2004), utilizzando materiali che permettano la fruizione del fontanile da parte dell’erpetofauna (principalmente pietra), assicurandosi che le superfici esterne abbiano una scabrosità idonea all’accesso e quelle interne siano adeguate all’ovode-posizione (ovvero non siano cementate e presentino uno strato adeso di vegetazione acquatica spontanea). Come nel caso precedente, qualora l’opera di restauro interessi fontanili/pozzi adiacenti a sentieristica, è possibile prevedere l’istallazione di car-tellonistica informativa.

3) COSTRUZIONE DI STRUTTURE ATTE A MIGLIORARE LA FUNZIONALITÀ DELLE RACCOLTE D’ACQUA COME SITI DI RIPRO-DUZIONE PER GLI ANFIBI• a. Rampe di risalitaIn alcune condizioni (ad es. repentino abbassamento del livello delle acque) i fontanili possono costituire vere e proprie “trappole ecologiche” per Anfibi e per altre specie animali (Scoccianti, 2001). Una semplice quanto efficace “rampa di risalita” potrà essere costruita, anche a fontanile funzionante, mediante una lastra in pietra ancorata sul bordo, larga circa 20 cm e inclinata di 45°. In alternativa, qualora si stia lavorando in un fontanile asciutto, la rampa può essere costruita anche mediante pietrame posto direttamente nella vasca, eventualmente stabilizzato con malta per rendere più solida la struttura.Per evitare che manufatti di tipologia differente dal fontanile (pozzi o cisterne) si trasformino in trappole ecologiche è possibile prevedere misure di salvaguardia quali la copertura dell’imbocco con una grata metallica a maglie sottili (ø < 1 cm) o la realizzazione di una rampa di risalita a gradoni lungo la parete interna del pozzo stesso.• b. Zone umide derivanti da “troppo pieno”Nell’area circostante i fontanili, antistante o laterale, nei casi in cui l’intervento sia ritenuto attuabile, si dovrà prevedere il mantenimento o il ripri-stino di una piccola zona umida idonea alla riproduzione di specie quali l’Ululone dal ventre giallo. La piccola zona umida potrà essere realizzata in un’area depressa mediante un piccolo canaletto per il deflusso delle acque del “troppo pieno” provenienti dal fontanile stesso. È importante che tale zona umida sia collocata in una zona franca dal calpestio o dal transito del bestiame; in tal senso si suggerisce, quale intervento migliorativo, la sua recinzione con una staccionata in legno (vedi punto successivo).

Indicazioni sui criteri progettuali da seguire nella ristrutturazione dei fontanili e suggerimenti per la loro manutenzione e gestione

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• c. RecinzioniPer preservare la zona umida derivante dal troppo pieno dal calpestio di bestiame domestico o da altri ungulati selvatici è opportuna una recin-zione in legno (staccionata) dell’area umida. Tale recizione dovrà essere realizzata in legname locale, resistente e alta almeno 1,50 m.In alcuni casi, qualora il fontanile non sia utilizzato dal bestiame, è consigliabile apporre una recinzione attorno alla vasca, in modo da evidenziare che l’area è sottoposta a manutenzione e tutela.• d. Fasce di rispetto e creazione di microrifugiIn previsione di una corretta ripresa dell’attività riproduttiva da parte della comunità di Anfibi, è utile ricordare che questi necessitano non solo di un habitat acquatico (nel quale svolgono la fase trofica e riproduttiva) ma anche di un habitat terrestre dove adulti, giovani e metamorfosati possono trovare rifugio durante le fasi di prosciugamento degli invasi. Per aumentare l’idoneità della raccolta d’acqua per scopi riproduttivi è bene prevedere una fascia di rispetto intorno al bacino, intesa come una zona lasciata libera di evolvere in modo spontaneo o parzialmente gestita secondo criteri coerenti con la conservazione delle specie animali e degli habitat. Per gli anfibi si dovrebbe prevedere una zona larga almeno 20 metri (Scoccianti, 2001). Inoltre, qualora l’area ne sia sprovvista, è utile realizzare nelle immediate vicinanze della raccolta d’acqua un’opera che comprenda dei microrifugi per anfibi, ad es. cataste di legna, vecchie ceppaie estirpate, piccoli tratti di muretto a secco, di dimensioni minime 5 x 2 metri (altezza 1 metro). Il legno deve essere lasciato allo stato naturale e non deve essere stato precedentemente trattato. I rifugi devono essere esposti al sole, riparati dai venti ed elevati quanto basta perché non siano soggetti ad allagamento.

4) TEMPI E MODALITÀ DI PULIZIA DI FONTANILI E POZZI• a. Periodo per la puliziaLa pulizia deve essere effettuata nei mesi autunnali (fine ottobre-novembre). Si ritiene comunque sempre opportuno verificare l’effettiva assenza di anfibi: nel caso siano ancora presenti stadi larvali o adulti la pulizia deve essere rimandata di qualche settimana.• b. Modalità di pulizia:

- le operazioni devono avvenire manualmente e non con mezzi meccanici; - non è consentito l’utilizzo di sostanze chimiche erbicide, corrosive o tossiche (inclusi candeggina e acidi), ricordiamoci che tali sostanze sono nocive anche per il bestiame domestico;

- solo la vegetazione in eccesso deve essere rimossa, è opportuno infatti lasciarne una parte che costituirà la base della ricrescita primaverile e il nascondiglio per gli esemplari che rimangono nella raccolta d’acqua; la rimozione non deve avvenire mediante raschiatura delle pareti;

- si raccomanda di lasciare a lato dell’invaso il materiale asportato, in modo che eventuali individui, prelevati accidentalmente assieme alla vegeta-zione o al fango, possano uscire indenni e tornare nella zona umida.

- è opportuno lasciare, durante le operazioni di pulizia, uno strato di almeno 10 cm di acqua sul fondo del fontanile; il rispetto di questa regola è fondamentale in quanto la mancanza d’acqua potrebbe lasciare all’asciutto le uova e/o le larve eventualmente presenti,condizionandone irrever-sibilmente la schiusa e lo sviluppo.

5) NORME DI BUON SENSO • a. È vietata l’introduzione di ittiofauna e di altre specie di animali acquatici Alcune specie esotiche di Invertebrati (Gamberi di fiume americano e turco), di Anfibi (Rana toro), nonché numerose specie autoctone ed eso-tiche di Pesci sono potenziali predatori e competitori per le risorse trofiche per gli Anfibi. La loro introduzione va evitata al fine di non arrecare disturbo alle popolazioni locali (SHI, 2007).• b. Si sconsiglia il lavaggio di stoviglie, biancheria, automezzi ed il risciacquo di utensili da lavoro che possono compromettere la qualità delle acque con seri danni al bestiame domestico ed agli Anfibi. Si sconsigliano fortemente tutte quelle attività che possono determinare lo sversamen-to di detersivi, olii, solventi, vernici, polveri e altre sostanze inquinanti che possono alterare l’habitat acquatico con conseguenze anche letali per il bestiame domestico e la fauna selvatica.

Fonte di Pacce, si trova nella Valle Avanzana, a lato un particolare costruttivo della rampa di risalita, per permettere agli Anfibi di uscire dal fontanile, anche con livelli idrici molto bassi.

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