La Bellezza Di Essere Capo

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La bellezza di essere capo PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI      I  .      R  . 2008 3

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La bellezza di essere capo

PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI

     I .     R .

20083

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S O M M A R I O

La bellezza di essere capo

Editoriale Giancarlo Lombardi pag. 1

I fondamenti della bellezza di essere capo

1. Il bello della formazione tra visibile e invisibile Saula Sironi pag. 3

2. Fare il capo è bello perché serve ai ragazzi N. Lambiase, E. La Ferla pag. 7

3. Da giovane caposquadriglia a capo adulto nella società Maurizio Crippa pag. 11

4. Il disincanto del capo e le sue qualità Stefano Blanco pag. 15

5. Ci sono capi a zig-zag Roberto Cociancich pag. 19

6. Essere capo secondo il Vangelo Giuseppe Grampa pag. 23

7. Verità e servizio Gian Maria Zanoni pag. 26

Le esperienze e i problemi

1. Una bella route è meglio di una brutta route Ale Alacevich pag. 29

2. Imparare da piccoli a essere capo Piero Gavinelli pag. 32

3. Per la bellezza tra capo e capo Davide Magatti pag. 34

4. Essere capi in questa società: facile o difficile? Laura Galimberti pag. 37

5. Lettera a un capo Gege Ferrario pag. 41

6. Il gusto di far bene le cose Marco Pietripaoli, Saula Sironi pag. 43

Stiamo svuotando l’archivio cartaceo di R-S Servire; chi fosse interessato a ricevere

numeri arretrati li richieda scrivendo alla redazione tramite il sito www.rs-servire.org

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Davanti a un bel dipinto siamo at-tratti da quello che più ci colpisce, sesi è poi supportati da una guida, del-lo stesso quadro si scopre molto dipiù, a volte anche quello che è invi-sibile ai nostri occhi, perché occorreuna conoscenza per interpretarlo operché il nostro sguardo non è statoattirato dal quel particolare; anchesfogliando un album di foto di un an-no intero di attività scout ci si accor-ge di come sia possibile far luce sul-l’invisibile che attraversa e trascendeil visibile.L’invisibile, per me è stato cercare dicogliere, di afferrare il nocciolo dellamia esperienza come capo, il cercare,

quel qualcosa, come il colore che dàforza al dipinto, che abbia segnatopositivamente il mio essere capo.In questo gioco del visibile e dell’in-visibile mi accorgo di come è statoimportante “vedere e contemplare ilvolto dei miei lupetti, dei miei novi-zi”, il riconoscerli come un’altruità euna corporeità che esigono riguardoe rispetto.Quel rispetto che ti porta a conside-rare ogni uomo e donna una personaunica e irrepetibile, libera e autono-ma e che ti forma al saperti metterein relazione con l’altro, a rivelarti al-l’altro con uno stile di fiducia pro-prio di Gesù così come scrive C.M.

Martini “Gesù cerca il modo adatto aTommaso, che è diverso da quello dellaMaddalena, di Pietro e di Giovanni. Per 

tutti c’è una possibilità di aprirsi alla pre-senza del Signore. Non tutti i mezzi so-no adatti a tutti, ma per tutti c’è un mo-do e un tempo, che il Signore conosce. È certo che il Signore a tutti vuole rivelarsi,anche a quelli che sembrano più refratta-ri e che maggiormente lo respingono.”L’avere a che fare con bambini e ra-

gazzi in attività, come quelle della vi-ta scout, significa avere cura e pren-dersi cura dell’altro, imparare cosavuol dire sentirsi responsabili di altri,dare fiducia, avere speranza e sape-re accogliere, ma imparare anchel’importanza della trasmissione delpatrimonio, dell’eredità materialemorale e normativa, il senso dellagiustizia e dell’equità.È imparare a portare pazienza nelsenso di sopportare i limiti dell’altro,come nella parabola del fico sterile,dare tempo,concime e zappa “per ve-dere se porterà frutto per l’avvenire”come dice il servo al padrone.Ho imparato ad ascoltare che comescrive Enzo Bianchi “non è mai at-teggiamento passivo: l’ascolto è attenzio-ne e volontà di una presenza che accoglie,e come tale abbisogna di molte energie e di grande forza di volontà.Ascoltare è fa-re tacere se stessi per dare peso, fiducia al-la parola dell’altro”. Ritornando allemie fotografie non posso non ricor-

Il bello della formazionetra visibile e invisibile

Fare il capo serve per la mia formazione, per la mia

 gratificazione, per vivere la relazione uomo/donna al di

 fuori della sfera affettiva, per la prospettiva della vita adulta,

 per conquistare il Paradiso.

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dare i capi con cui ho condiviso ilmio servizio e quindi ripensare aimiei staff e alla comunità capi come

luoghi in cui ho sperimentato il si-gnificato della corresponsabilità,il so-stegno reciproco, l’appartenenza e ilsapersi raccontare.Luoghi in cui ho anche sperimenta-to la passione e la dedizione nel farele cose; la passione educativa, ossia ilgusto di risolvere problemi e di vin-cere scommesse “impossibili”, chegenera gioia, scoperta, coinvolgi-mento, gioco.È la passione, che fa si che i proble-mi di tempo vengano superati o me-glio che si trovi il tempo per fare, cheti fa dire che non c’è tempo da per-dere; è un po’ come quando sei inna-morato!Luoghi in cui si sperimenta la faticadel conflitto e la fattibilità del per-dono, perché in ogni comunità coe-sistono buoni e cattivi,peccatori e fe-deli, fratelli in crisi e sbandati, ma at-traverso l’amore, il perdono e la ri-conciliazione diventano prassi.Luoghi in cui in cui sono presentiuomini e donne di età diverse cheimparano a rispettarsi, capaci di pro-gettare e di produrre felicità.Il bello della nostra associazione èche non abbiamo bisogno delle quo-te rosa, ma uomini e donne insiemevivono le stesse esperienze con laconsapevolezza che essere diversi nel

genere non significa fare cose diver-se, ma vivere e interpretare in mododiverso.

Crescere come donne e uomini

Crescere insieme aiuta a scoprire edaccogliere la propria identità di uo-mini e donne, scoprire come ci sipone di fronte all’amore ma anchealle relazioni sociali, scoprire comemi proietto nella società con la miaidentità maschile e femminile, conuna fisicità e un corpo che sono di-versi.Un altro aspetto che mi sembra in-teressante sottolineare della mia for-mazione è come il maschile e il fem-minile si coniugano reciprocamente equindi il condividere insieme una re-sponsabilità educativa diventa un“addomesticamento reciproco”,quindi uno sperimentarsi nella diver-sità; accettare la differenze di genereè il primo passo per sapere stare ac-canto a chi è diverso da me.Mi piace pensare che i miei anni diservizio siano stati un allenamentoalla mia vita prima di coppia e poifamiliare.La passione nel prendersi cura del piùpiccolo, il generare idee, la mentalitàprogettuale, mi hanno accompagnatoanche nella mia vita adulta e mi han-no sempre portato a pensare che lanostra associazione come la nostracomunità sociale e ecclesiale, esiste

perché abitata da noi e dai nostri ra-gazzi e non deve diventare quindi néuna casa in cui ci sentiamo prigio-

nieri né una tana in cui sentirsi si-curi né un dormitorio, ma deve es-sere per noi come il giardino dell’E-den in cui Dio pone l’uomo e ladonna perché lo coltivino e lo cu-stodiscano.Per fare questo occorre aver curadella nostra vita, delle nostre scelte,della nostra persona e accettare che inostri sbagli facciano parte della no-stra vita come i difetti della nostrabellezza.Ho sperimentato come la formazio-ne scout sia diventata per me unaprassi, anche nelle piccole cose dellavita quotidiana, dall’essere presente epartecipare alla crescita della miacittà piuttosto che rivestire il ruolo dirappresentante di classe quando imiei figli frequentavano la scuola, èsentirsi in dovere di esserci e di par-tecipare, secondo l’insegnamento del“Gratuitamente avete ricevuto, gratuita-mente date”.Il primo dono da rendere è quellod’una vita, testimone dell’amore gra-tuito di Dio, è un modo per co-municare il senso pieno della vita,della speranza, dell’amore.È il chiedersi sempre come io possoservire dentro questa storia.

Saula Sironi 

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Quel l i che….

Quelli che… per iniziare direi di pregare un po’

quelli che… stabiliscono i criteri 

quelli che… fissano le priorità 

quelli che… i valori fondamentali 

quelli che… ricordano il passato quelli che… temono per il futuro 

quelli che… pensano al presente 

quelli che… la questione è un’altra 

quelli che… poi i quadri in cinque minuti sono fatti 

quelli che… qui si gioca a bussolotti con le persone 

quelli che… si incazzano perché vedi sopra 

quelli che… si incazzano perché quelli si incazzano perché vedi sopra 

quelli che… qui non stiamo giocando 

quelli che… sono fuori dal gioco 

quelli che… però c’è sua sorella 

quelli che… la mia unità è a posto 

quelli che… quello non si tocca 

quelli diversi dagli altri 

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Fare il capo è bello perché serve ai ragazziIl dialogo surreale che introduce l’articolo è smentito

da un’affermazione perentoria: fare il capo è

una bellezza donata agli altri

Gentile Signora Giudy Corda,nella sua ultima lettera rimarcava ancorauna volta l’inutilità dei capi. Le devo da-re ragione. Ho potuto constatare di perso-na quanto a poco servano.Pensi che r iten- gono di poter esser capi di tutti, non fan-no distinzioni, pensano che i loro schemi obsoleti leggiucchiati su libri vecchi di cent’anni possano adattarsi ai ragazzi di oggi. Si sentono capi sommi ma poi van-no avanti per sommi capi…

Cordialmente,Avv. Ilito Catastrofico.

Stimato Avv. Ilito Catastrofico,ho letto con molto interesse lo studio dalei inviatomi su questi orribili capi scout.L’ho trovato affascinante. Finalmente vie-

ne dimostrato scientificamente il fatto che sono più i danni che i vantaggi che essi   portano alle nostre nuove generazioni.Oggi c’è bisogno di professionisti e questi capi impreparati non fanno che recare danno ai nostri giovani.

Sentitamente, Giudy Corda

Lo scambio epistolare fra la SignoraGiudy e l’Avvocato Ilito andò avantiper quattro mesi.Si erano conosciuti aduno di quei seminari contro i capi scoutorganizzati dalla loro associazione.Ma la corrispondenza,come tutto,ini-ziò a venirgli a noia.Risolsero infine di rivedersi e si die-dero appuntamento a uno di quei

convegni contro l’ottimismo, semprepiù frequenti e frequentati.Tra i rela-tori avrebbe parlato anche uno dei piùeminenti pessimisti, il Dr.Triste Mal-concio, e questo, strano a dirsi, accreb-be la speranza che il loro rapporto nesarebbe uscito più solido.

Il Dr. Triste Malconcio livido dicevache i giovani d’oggi non sono più come quelli d’un tempo.Qualcuno però controbatteva che lacolpa è dei genitori che non sono più quel-li d’un tempo.L’incontro terminò con la frase, che èda tenere ben a mente, tutto ciò che cam-bia, lo fa in peggio.

Terminato il meeting, i due si saluta-rono e ricominciarono a scriversi conrinnovata energia.

“C’è una figura che spesso viene inseritaa metà strada fra genitori e figli: quella del capo scout. Questa visione ottimistica-mente pone come assunto che fra genitori e figli ci sia una strada.E che questa stra-da venga anche percorsa. Da qualche par-te, invero forse un po’ più vicino ai figli,è probabile che i pellegrini di questa rela-zione incontrino l’ignobile personaggio in gonna pantalone o braghette corte [fotodi capo scout]. Con un fazzoletto a in-corniciare il collo e un inutile sorriso a in-corniciare il viso”. Così iniziava la rela-zione del Dr.Triste Malconcio.

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Sono oramai passati alcuni anni, maqueste parole ci sembrano ancoramolto attuali, come anche i dubbiespressi dall’avvocato Catastrofico al-la graziosa signora Corda.Ci pare che lungo il cammino, in-contrare qualcuno che sorride e ac-coglie, sia nonostante tutto ancorauna esperienza gradevole.Questa figura del capo-viandante,meravigliosamente introdotta dal Dr.Malconcio, ci convince. Cercando dinon travisare il senso delle Sue paro-le, tentiamo in questa sede di svilup-parne la riflessione.Il capo è dunque un viandante: inquanto tale l’incontro con lui solita-mente non è per sempre. Ma può es-sere significativo, talvolta addiritturaprovvidenziale.

Il capo ha questa consapevolezza, del-la non casualità della sua relazione. Eallo stesso tempo l’umiltà di ricono-scerne la temporaneità.Trovandosi ad essere un compagno diviaggio dei ragazzi, il capo matura al-cune qualità e comportamenti tipicidel viandante. Innanzitutto il deside-rio e la capacità di ascoltare e osser-vare ciò che lo circonda e le personeche gli sono accanto.Vuole conosce-re, perché è un uomo in cammino,non arrivato. Sa ancora e sempre la-sciarsi stupire, sa imparare.Ma rispet-to ai compagni di strada più giovani,

ha forse un miglior equipaggiamen-to, sa orientarsi con più facilità, halungimiranza: cerca di far guardarepiù in là, indicando e facendo va-gheggiare nuove prospettive e pano-rami belli. Ma sa anche accogliere ilnuovo che gli viene offerto dall’altropellegrino, per quanto più inesperto.All’interno di questo quadro, inveroalquanto bucolico (ci perdoni il Dr.Malconcio), la presenza di un capopuò servire ai ragazzi per aiutarli nelloro percorso di crescita. Nella ricer-ca della loro strada.

Molto di questa relazione si giocasulla dimensione della fiducia, unsenso così difficile da attivare quandos’incontra l’altro. Ma la fiducia si im-para. Come l’accoglienza, quella datae quella ricevuta. È quello che cer-chiamo. Gesti di accoglienza e fidu-cia quando la pioggia si ostina a ri-cordarci che dovevamo portarci lamantellina.Dalla relazione del Dr. Malconcionon si evince tuttavia se davvero ser-va a qualcosa incontrare un caposcout sulla propria strada. E l’Avvoca-to Catastrofico non ha tutti i torti aritenere che in educazione siano ne-cessari i professionisti.

Il ruolo del capo scout, nel testo lo silascia sottinteso, è però quello del fra-tello maggiore e in questo meccani-

smo relazionale, un elemento impor-tante è l’esempio. Non tutti i capi so-no educatori professionali o studentidi Scienze della formazione. Questoè un fatto interessante: i capi possonoessere modelli viventi, vere e proprieincarnazioni di valori e possibili viefuture. In questo senso la presenza deicapi scout come ricchezza educativaha il valore aggiunto di una grandevarietà di prospettiva futura che vie-ne offerta agli occhi dei ragazzi. I ra-gazzi hanno insomma l’opportunitàdi non incontrare solo adulti che sioccupano di educazione professio-nalmente, ma potranno mettere aconfronto esperienze diverse e ancheda quelle partire per dare un’imma-gine al proprio domani.

Su questo punto va però fatta unaprecisazione. Si è modelli nella misu-ra in cui si è coscienti dei propri li-miti. La parola umiltà deriva da hu-mus, e ricorda sempre al capo che de-ve essere terra, fondamento per altri,proprio perché è consapevole di nonessere altro che terra, polvere. Essereterreno fertile per i ragazzi, perchèloro possano crescere, fiorire. Esserefelici.

Oggi più che mai non è un fattoscontato avere esempi di persone fe-lici: il capo può essere la testimo-nianza che la vita è ricerca dell’es-

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quelli che… porca martina 

quelli che… vogliono l’anguria 

quelli che… è ora di andare a dormire 

quelli che… in fondo ci vogliamo bene 

quelli che… io domani mi alzo alle sette 

quelli che… aggiorniamo la riunione 

quelli che… in comunità capi non s’era detto 

quelli che… qui è tutto un casino 

quelli che… sono al mare e mandano tanti saluti 

quelli che… tengono su il morale a tutti 

quelli che… qui si fa il processo 

quelli che… per favore non litigate quelli che… tutti abbiamo sbagliato 

quelli che… non vogliono incastrare nessuno 

quelli che… si fanno incastrare 

quelli che… ti incastrano benissimo 

quelli che… per riparare un errore ne fanno un altro quelli che… io di ieri sera mi sono schifata 

quelli che… tu non hai la mia fiducia 

quelli che… noi no 

quelli che… in un’ora hanno girato tutti i posti 

senziale, è bella e val la pena di esse-re vissuta.Dunque il capo sa di essere servoinutile, sa che il suo sarà sempre unesempio incompleto e difettoso, sache per essere un buon capo dovràprepararsi, dare ordine a se stesso,continuando a riprendere il propriocammino, sollecitato anche dallespinte che arrivano costantementedai ragazzi.Ma il capo viandante sa anche che lacosa migliore che può fare come ca-po è di essere se stesso: per questo èbello essere un capo scout. E questoserve ai ragazzi nella misura in cui ilcapo serve i ragazzi e non soltanto ilsuo amor proprio.

Ma c’è ancora un’ultima qualità delviandante che viene messa in risaltodal Malconcio: il saper vivere con se-renità gli addii, l’esser capaci di la-sciare andare.Il capo-viandante sa infatti che lungoil percorso il ragazzo viandante tro-verà altre persone capaci di indicargliquella strada che è solo la sua.E sa che questo percorso è volto alcambiamento, al sognare che cambia-re in meglio è possibile.

Perché tutto ciò che cambia non necessa-riamente lo fa in peggio.

Nadia Lambiase, Emanuele La Ferla

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Alla fine del 2005 ho sostenuto unaserie di colloqui per la selezione deldirettore generale dell’organizzazionenella quale oggi lavoro e mi ricordoche alla domanda “qual è stata la suaesperienza più importante come ca-po”, ho risposto senza esitazione – con un certo stupore da parte degliintervistatori – “…quella di caposqua-driglia nei boy scout…”.

Questo episodio di vita personale miserve per sostenere la tesi che a quin-dici anni l’esperienza di caposquadri-glia è un’occasione formidabile per prepararsi ad affrontare da adulto ilmondo del lavoro e per educarsi allavita sociale.

L’esperienza del capo oggi

Fare il capo,oggi, è una scelta contro-corrente perché nella società italianaprevale l’atteggiamento che privilegiala dimensione paritaria rispetto aquella più strutturata gerarchica in uncontesto in cui i cittadini sono assai ri-luttanti a rispettare le regole e accet-tare la diversità dei ruoli sociali.Innanzitutto si rifugge dalle respon-

sabilità (rendere ragione delle proprieazioni o di quelle altrui) per evitare disbagliare, per ridurre lo stress, ancheper non sentirsi diversi e perciò nonaccettati dagli altri (sono il vostro capoma sono uno di voi, la mia porta è sempre aperta…) dopo un lungo periodo vis-suto nel gruppo e in famiglia.

In secondo luogo, si collega sempre laresponsabilità al potere (attitudine ocapacità di influenzare in modo deter-minante situazioni o persone) e le siattribuisce un significato negativo co-me se influenzare situazioni o perso-ne fosse un’azione inevitabilmentecontro qualcuno o qualcosa.Perciò fa-re il capo, quindi esercitare anche ilpotere diventa è considerato uno stru-mento di oppressione e manipolazio-ne degli altri, senz’altro qualcosa daevitare. Sicché la naturale e compren-sibile preoccupazione si trasforma inideologia e anche le persone più do-tate e con buon potenziale ne restanovittime salvo poi lamentarsi di coloroche lo esercitano magari al loro posto.Terzo, si considera l’ambizione (vivodesiderio di raggiungere o ottenerequalcosa) una caratteristica negativadella persona e si fa di tutto per mor-tificarla, escludendola dall’azione edu-cativa e sociale. Nelle grandi compa-gnie americane di consulenza il neoassunto viene messo nella squadra do-ve il capo è un partner (cioè uno cheè diventato socio dopo una brillante

carriera) per stimolarlo all’emulazionee per fargli vedere fin da subito dovepuò arrivare, se lo vuole e se ha l’am-bizione. Oggi gli adolescenti hannopoche ambizioni poiché, tra l’altro,non trovano modelli da emulare oltrequelli proposti dal mondo dello spet-tacolo e dal possedere molti oggetti.

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Da giovane caposquadrigliaa capo adulto nella societàChi ha fatto bene il caposquadriglia da giovane, se vuole,

 può farlo anche nella società da adulto: ha l’esperienza, la

 passione e la competenza che servono.

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La disponibilità dei genitori a com-prarli, per esempio, impedisce di ac-quisire la consapevolezza che per ot-tenere ciò che si vuole (o si vuole di-ventare) occorre sempre l’impegno, lafatica e soprattutto la motivazioneprofonda.Il modo di pensare nella nostra societàha influenzato ovviamente anchel’ambiente scout e non c’è più, diconseguenza, quella legittimazioneforte della figura del capo che la ren-deva unica e straordinaria. Oggi fare ilcaposquadriglia è troppo spesso diven-tato il mero passaggio dal reparto alnoviziato: capita che non si scelganopiù i ragazzi e le ragazze migliori equindi più dotati ma i più quieti, chenon danno problemi, che non sonocritici… Quando questo avviene nonc’è trapasso di esperienze perché nonc’è l’ambizione a far bene e nemme-no c’è quel minimo di sana r ivalità trale squadriglie: far bene o far male leuscite di squadriglia non cambia nul-la, allora perché impegnarsi di più conil rischio di essere sbeffeggiati…Una figura di capo un po’ sbiadita

dunque,che influenza in misura deci-siva anche le successive esperienze dicapo unità: un peccato, perché mai co-me oggi sarebbe necessario preservaree aumentare i luoghi di formazione al-la vita sociale dalla parte di chi deve (evuole) assumersi responsabilità in po-sizioni di vertice, qualunque vertice

delle migliaia di articolazioni della so-cietà.

Il paese ha bisogno

di un ceto dirigente

Oggi tutti sono consapevoli della as-soluta necessità che il nostro paese rie-sca a favorire la nascita di un ceto di-

rigente che lo porti fuori dalla crisieconomica, politica e morale in cui èfinito da molto tempo.L’Italia fa molto fatica a far avanzareuomini e donne che “si facciano cari-co” dei problemi, in qualsiasi ambito,e nello stesso tempo siano persone “ingamba”: le persone migliori troppospesso se ne stanno in disparte e c’èspazio per l’improvvisazione e la me-diocrità.Anche qui si confonde spesso l’eserci-zio del potere con l’esercizio della re-sponsabilità. Il concetto di ceto diri-gente non solo sta evaporando ma as-sume un connotato elitario, come se ilpotere fosse solo questione di pochi,diuna “cupola” invece che essere una“cattedrale” ossia questione di molti,una rete diffusa di cui voler far parte

considerandolo un dovere civico irri-nunciabile. Il ceto dirigente infattinon è solo formato da chi coman-da(politici, imprenditori, magistrati,sindacalisti, banchieri, ecc.) ma ancheda chi lavora responsabilmente per ilbene comune e per gli obiettivi con-divisi di un’organizzazione: il caposa-

la dell’ospedale, il preside della scuolamedia, il capo ufficio, il capo repartodi uno stabilimento, il parroco di unacomunità religiosa, il sindaco del pic-colo comune e così via…La scala dei valori di chi assume del-le responsabilità deve essere più alta epiù ricca perché oggi si assiste impo-tenti alla continua riduzione e sempli-ficazione dei “principi e valori” chedovrebbero ancora guidare l’eserciziodella professione e del ruolo sociale insenso lato. Si preferisce soprattutto il“fare”, considerando il dinamismo unvalore in sé, ciò rende spesso le sceltecasuali, di corto respiro, talvolta irre-versibili e perciò rischiose. Il pragma-tismo prende il posto del progetto(cioè…l’impresa di squadriglia, ap-punto!). Sicché l’azione si contrappo-ne alla visione d’insieme, si agisce pri-ma d’interrogarsi sul fine ultimo e sul-le conseguenze.Queste caratteristichesono tipiche dell’attività politica: ilParlamento considera tuttora la pro-duzione legislativa il metro di valuta-zione della propria attività. Il tran tranè lo stile che ormai connota il nostro

ceto dirigente, mortificando i molte-plici tentativi di innovazione e allon-tanando di conseguenza quelle perso-ne che avrebbero le capacità e le atti-tudini per attuare il cambiamento ne-cessario in tutti i settori della società,sia pubblici sia privati.Mancano, infatti, i luoghi di prepa-

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scout.Ogni settimana e un paio di volte almese bisogna preparare le riunioni e leuscite di squadriglia: la competenza,fatta di nozioni di topografia, pionie-ristica, botanica, escursionismo, sensodell’avventura imparato dai capi pre-

cedenti;quella base necessaria per ca-varsela da soli nell’inventare proposteinteressanti e sfidanti. Il caposquadri-glia quando esprime la sua leadershiplo fa con autorevolezza perché i ra-gazzi e le ragazze riconoscono i lorocapi per la fiducia ricevuta dagli adul-ti e per le loro capacità superiori chederivano da una pratica maggiore divita scout; ciò li spinge ad emularli e avoler fare anche loro la stessa espe-rienza, magari anche meglio. Quandoc’è da decidere tuttavia il capo è solo

e l’esperienza della solitudine è unadelle specificità che la rendono unica;è sempre più raro – da adulti – trovar-si in questa condizione, purtroppo si èsoli spesso per mancanza di relazioni enon perché si deve prendere una de-

cisione le cui conseguenze ricadonosugli altri. Caposquadriglia è l’espe-rienza del fare con un progetto: iden-tificare gli obiettivi dell’impresa, per esempio,significa avere in testa dove sivuole andare e come, di quali risorseoccorre disporre e come sono distri-buiti i compiti affinché ciascuno lasenta come propria: la progettualità

permette alla squadriglia di liberaretutte le energie personali e collettive edi favorire la creatività e la fantasianecessarie per rendere attraente ogniattività settimanale.Nelle relazioni interpersonali fare ilcaposquadriglia significa fare espe-rienza di ascolto: rapporto con tuttinel superamento dei ruoli gerarchiciprecostituiti e nella attribuzione a cia-scuno del tempo e del sostegno che

gli servono.L’ascolto è la premessa ne-cessaria al passaggio alla condivisio-

ne, quel “tirar dentro, per tirar fuori”da ciascuno il meglio di sé stessi e por-lo a servizio di tutto il gruppo. Ciòrappresenta una delle prime esperien-

ze dirette di ricerca dell’equità e delsenso della giustizia, per imparare aconiugare il bisogno con il merito, lasfida con sé stessi con la solidarietà, ledoti naturali con il miglioramentocontinuo. In questo clima è più facileper i giovani capi esprimere entusia-

smo e passione, far bene le cose di-vertendosi, come se fossero le cose piùimportanti da fare in quel momentodella propria vita perché riescono acoinvolgere tutta la persona.Al termine del periodo di caposqua-driglia, i ragazzi e le ragazzi sanno cheper continuare a crescere lo scautismooffre loro, come passo successivo, l’e-sperienza del farsi nuovo tipica del no-viziato, l’ambiente nel quale riparti-ranno per iniziare,nel clan, a far partedal basso di un nuovo gruppo di cui,

se vorranno, potranno un domani di-ventare capi e, magari, dopodomani,diventarlo nella vita.

Maurizio Crippa

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Le qualità del capo…e fino qui sem-

brerebbe tutto,non direi facile,ma al-meno dentro una serie di paletti defi-niti. I molti articoli di questo quader-no descrivono con acutezza e lividez-za ciò che può e deve accadere all’in-terno delle attività scout…ma puoifuori, nel mondo di ogni lunedì mat-tina..nel mondo dei libri da studiare…

della donna/uomo da amare,nell’uffi-cio di ogni giorno… e in tante altresituazione cosa avviene? Cosa voglia-mo che avvenga?Sarà possibile costruire un essere capoche abbia un senso o meglio che dia unsenso a tutto quello che abbiamo impa-rato nei nostri anni di attività scout?

Nel nostro modo di porsi verso il

mondo ci sarà qualcosa che ci dovràcontraddistinguere.Non so se ricordate quel film di Nan-ni Moretti 1 dove il protagonista r iflet-te sul fatto che si sentirà sempre partedi una minoranza.A parte una vena unpo’ snob, dietro questa affermazionec’è indubbiamente un senso di insof-

ferenza e un desiderio di essere diver-si dal mondo che solitamente ci vieneautorappresentato dai mezzi di infor-mazione di massa.C’è la voglia di sce-gliere una via diversa per il proprio vi-vere; il desiderio di provare a vederecon occhi limpidi il mondo che ci cir-conda.

Disincanto e confronto

Ho imparato a guardare alle cose conmolto disincanto, che non è esseresnob (o forse anche un po’..ma que-sto fa parte dei difetti… quindi di unprossimo articolo). Disincanto chesalva,che rende capaci di guardare al-le cose con la sufficiente lucidità e di-stanza, che permette quindi di farequell’operazione di scouting (osser-vare-dedurre-agire) con autonomiadi pensiero; dote primaria di un buoncapo scout oggi. Questo il primopunto fermo che distingue nel mon-do esterno: la capacità di sapere pen-sare in autotomia.Dove è sempre piùdifficile farlo… perché pochi lo fan-no.Ecco un segno distintivo: cercate-vi le vostre fonti di informazione; ilche significa farlo sia nelle relazioni

di lavoro e di studio, sia nella vita so-ciale e politica del vostro paese.L’informazione è sempre più mono-direzionale e allo stesso tempo conuna sana dose di curiosità, intelligen-za e fiuto potrete accedere a fonti diinformazione ora più che mai; alloraperché accontentarsi, perché fermar-

si al pelo dell’acqua.Ci si deve distinguere non per spiri-to di elevazione ma perché il buoncapo conosce e sa far conoscere lepossibili strade; poi ognuno le per-correrà come crede, ma le vie piùinusitate, più inaspettate sono quelleche oggi ci consentono fare un salto

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Il disincanto del capoe le sue qualità

Il capo dedica tempo all’associazione e ai ragazzi non in

maniera esclusiva, pensa alla propria formazione, cercandola

anche fuori dall’associazione, vive esperienze forti,

lavora/studia con passione.

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di qualità nel modo di porsi verso larealtà e danno sale alla vita sociale epolitica.La capacità di mettersi dentro unmondo senza esservi prigioniero: stu-diare senza essere piegati alle materieche si studiano, ma guardarle con cri-ticità; lavorare in’azienda senza esseresuccube della logica aziendalistica edei suoi r iti pseudo-valoriali.Avere laforza di cercare il confronto anchecon chi è lontano da te, con chi sem-

bra sideralmente diverso e non capi-bile. In questo senso le scelte devonorispecchiare l’andare alla ricerca diquesto confronto.Metodologicamente nell’“essere ver-so”, cioè nello spogliarsi delle propriecertezze per entrare in dialogo2.Cer-care di avere la capacità di osservare

l’altro come un essere che interroga ilnostro essere, che lo scandalizza. Inun senso ben esemplificato dell’ideamazzolariana che “lo scandalo deipoveri non è quello che manca loroma quello che io ho più di loro”3 (al-lora forse inconsapevole o troppoconsapevole, della scarsità delle risor-

se nel mondo e quindi della necessitàdi usufruirne al meglio, oltre ovvia-mente di un imperativo evangelicoed etico).A fianco una capacità di riflettere, diosservare con attenzione cose e per-sone. L’equilibrio è una dote del ca-po che sa compromettersi, ma sa an-

che essere serafico e sereno nelle suescelte.Saper ascoltare fa parte di quelle do-ti che non si acquisiscono con sem-plicità, serve allenamento voglia diessere in ascolto con la testa e il cuo-re...meglio ascoltare che parlare (Ba-den-Powell diceva: ricordati che ab-biamo due orecchi e una sola bocca...non sarà un caso).Allora l’ascolto che nasce dall’ “Askthe boy”, cioè ne è una diretta con-

seguenza, diviene un pietra di misuradel fare.

Intelligenza da sopravvivenza

Poi ci sono doti che ti fanno fare conmeno fatica tante cose nella vita, cheti tolgono d’impaccio, che ti aiutanonella vita professionale, che ti con-

sentono di occuparti di ciò che ti in-teressa, che ti consentono di riposar-ti anche nei momenti più complessi.Saper organizzare, saper organizzaregli altri…cose banali se anche voiavete fatto il capo squadriglia e/o ilcapo reparto, ma che nella vita socia-le e professionale fanno una gran dif-

ferenza e se a questa sapete unire an-che un pizzico di autoironia faretediventate tutto molto più sempli-ce...perché uno che sa vedere i bufa-li a Kensington Gardens sicuramentepuò farcela. Quindi, consiglio: anda-re là a vederli.Anche nel proprio percorso scout

(prima e durante l’essere capo attivo)bisogna sceglie e cercare le esperien-ze migliori, non tutti i percorsi scoutsono buoni, non nascondiamocelo.Alcune esperienze che possiamo faree far fare sono migliori e più signifi-cative per vivere il domani: sonoquelle che insegnano l’autonomia eesercitano la responsabilità in modofattivo.La scoperta che la competenza, chenel percorso scout era tanto agogna-

ta, poi serve nella vita e che circon-darsi di persone competenti aiuta èstato un sollievo.Bisogna pensare alla propria forma-zione mentre si studia e/o si lavora esi fa servizio; sempre è essenziale de-dicare del tempo alla propria forma-zione. Questo è fondamentale in un

mondo lavorativo dove nessuno vuo-le o dice di avere il tempo (a volteanche per grandi” manager che hoconosciuto è solo una questione dinon voler fare una fatica intellettualeche poi interroga il tuo io) di for-marsi e studiare le cose, dove esistesolo la superficialità del lunedì pros-

simo. È importante ritrovare la com-petenza, anche questo è un modo per distinguersi, per essere capaci di tro-vare una propria competenza che ab-bia un fondamento solido. Studiare elavorare con passione sono sale delnostro essere capi anche fuori dell’as-sociazione.

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Più in là

A proposito di Kensington Garden al-tra dote fondamentale è conoscere ilmondo con i piedi, con la testa: an-dandoci. Non si può oggi essere caponel senso pieno e poi viverne le dotipensando di usare ciò che si è appre-so sono nel proprio giardinetto. Sicu-ramente lo scautismo italiano è un po’ammalato di provincialismo (sarà co-me molti amici hanno sempre soste-nuto che siamo tra i migliori scauti-

smi, questo non assolve). È necessarioandare per il mondo, scoprire ed in-contrare; non è possibile risolvere iproblemi in un’ottica provinciale; og-gi è possibile farlo per moltissimi dinoi ed anche con costi economici e disostenibilità ambientale buoni. Forsedovremmo mettere nel percorso di

ogni rover e scolta un anno di giro delmondo (con alcuni punti fermi da vi-sitare, conoscere e dove fare servizio..)sarebbe bello se si aprisse un dibattitosu questo in associazione. Ho lettotempo fa una ricerca, mi pare dell’U-niversità di Berkeley, che descrive co-me chi ha vissuto esperienze del ge-

nere ha meno paura dell’altro, sa vive-re con il diverso con maggior facilità,non crede nell’assolutismo ideologico,fa maggiori scelte consapevoli e am-bientalmente sostenibili nella sua vitaadulta. Chissà se anche noi avremo lacapacità di proporre e rendere con-creta nel nostro gruppo questa possi-

bilità. Il senso di tutto ciò è che biso-gna avere la capacità di guardare le co-se del mondo e dell’uomo con il pun-to di vista dell’altro, come diceva un

famoso teologo il punto di vista nonè altro che la vista da un punto.Allo-ra il capo non può che essere coluiche quel punto di vista va a toccarlocon mano e cerca di mettersi in quelluogo e prova a guardare il mondo dalì (senza ovviamente mai riuscirci sinoin fondo, essendo il nostro esserci im-

prescindibilmente legato alla nostrastoria, ma è la disposizione d’animo edei piedi che fa la differenza). Provatead andare sulle Ande peruviane e con-versate di lavoro con chi cercherà for-tuna oltre oceano; provate a ascoltareuna ragazza russa in un locale di Mon-tecarlo; provate a fermarvi in una fat-

toria nel centro dell’isola di Reunion;parlate con chi d’inverno in Islanda haun lavoro diverso perche il clima cam-bia; guardate il mare da un’isola delleTonga e parlate chi su quell’isola far ilcarpentiere; vedete il mondo del ri-storante Nobu di Milano…e via cosìognuno di voi potrà aggiungere come

me le sue.Non tutto è uguale e ugualmente ac-cettabile..anzi…. Ma è necessario en-trare nelle cose, senza esserne travolti,per comprendere cosa c’è dentro. Sa-per scegliere sapendo compromettersicon le persone:questa dote contraddi-stingue il capo.

Una risata ci salverà

Essere scout ed essere capo sono per me la stessa cosa ora, hanno rappre-sentato delle stagioni della vita: sonostato scout perché da piccolo l’hoscelto e chi mi stava vicino mi ha aiu-tato con arte maieutica (la migliore diogni capo) quella di cui ti accorginormalmente solo dopo. Poi esserecapo ha avuto il senso di essere per glialtri e per gli altri scout in un perio-do della vita.

Credo che nel mondo contempora-neo serva una formidabile capacitàdi essere autoironici, di essere a no-stro modo laici e credenti.È uno deipochi modi di sopravvivere, in unacomplessità liquida e incomprensibi-le in toto 4, alle nostre contraddizio-

ni. Saper scegliere strade diverse econtrocorrente; a chi ti dice non tipreoccupare continua su questa stra-da farai carr iera, sarai premiato..fer-marsi e guardare dentro se stessi, ne-gli occhi dei propri affetti e alzare losguardo sul mondo: li si trova la ri-sposta, o almeno io spesso l’ho tro-

vata.

Perché oggi devi essere credente edomani miscredente del consumi-smo, perché oggi in una società de-finita liquida, anche il nostro scauti-smo a volte lo diventa, dove è neces-sario sperare di adattare e utilizzare

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lo scouting per essere ben pronti acogliere quello che l’apparenza nondice.Questo modo di essere nel mondo si

scopre essere anche divertente..sì di-vertente; come lo è stato essere unpiccolo scout e un piccolo capo. Nonci sono dubbi, le soddisfazioni, i sor-risi, il ridere di se stessi e dei proprierrori con i propri amici è impareg-giabile. In quell’essere credenti e noncredenti, in quell’cercare sempre di

andare al di là dell’apparenza, nell’es-sere a volte dissacranti per smontare ilsimulacro che tutti in quel momentoguardano con adorazione, togliegrandi soddisfazioni e di solito strap-pa grandi sorrisi.

Stefano Blanco

1 Caro Diario di Nanni Moretti 1993;di-

sponibile anche in DVD2 Un stile da: P. Abelardo, Dialogo tra un

  filosofo, un giudeo e un cristiano, 1992Rizzoli

3 Si veda Don Primo Mazzolari, Tempo di Credere ,EDB

4 Si veda Z. Bauman, Vita liquida, Later-za 2008

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quelli che… ogni tanto tirano fuori la bella idea 

quelli che… a questo punto non si fa più niente 

quelli che… io sono al servizio dell’associazione 

quelli che… non facciamo a scaricabarile 

quelli che… tengono gli occhi fissi a terra 

quelli che… tengono gli occhi fissi in aria 

quelli che… non abbiamo neanche gli occhi per piangere 

quelli che… gli occhi li chiudono 

quelli che… non capiscono che senso abbia 

quelli che… non ha nessun senso 

quelli che… non può non esserci un senso 

quelli che… sanno che senso abbia quelli che… guardano lontano 

quelli che… si sacrificano 

quelli che… non parlano e non sai se dormono 

o se sono incazzati 

quelli che… scrivono tutto di tutti quelli che… fanno i disegnini 

quelli che… tengono il verbale 

quelli che… la comunità capi deve farsi carico 

(o assumersi in pieno)

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E poi ci sono i capi a zig-zag.Si sa: prima ci sono quelli quadrati,quelli tondi,quelli a forma di pera…Ci sono i capi con la bacchetta e quel-

li con il regolamento in mano. I capiche hanno studiato il progetto, quelliche hanno fatto il corso,quelli che han-no letto tutti i numeri di Servire…Sto parlando dei capi con le strisce,ma-gari con le bandierine, senz’altro diquelli con il questionario e con la gri-glia. I capi che ti mettono in cerchio e

dopodiché anche in riga. Dei capi checon voce calma e suadente ti spieganoche i modelli-unitari-dettagliano-i-contenuti-imprescindibili-e-prioritari-affinché-lo-spessore-culturale-e-la-di-mensione-vocazionale-contribuiscano-alla-competenza-metodologica-eccete-ra-eccetera-eccetera… (Amen!).

Grazie, grazie. Grazie davvero tantissi-me.Tutto questo è molto bello, moltoeducativo, molto giusto. Non ci per-metteremmo mai di metterlo in dub-

bio. Come potremmo d’altronde?Tonnellate di scienza educativa, cente-nari di proposte pedagogiche, reti glo-bali di interconnessioni tra agenzieeducative… tutto dalla loro parte.

Ma poi zitti, zitti, arrivano loro (noi?).Chi? I capi a zig-zag. Con i capelli al

vento, la faccia sporca di sole e l’aria dichi se ne infischia. Non molti. Anzipochi. Chi lo sa! Magari due o tre.Forse di più. Imprevedibili, come lezanzare. Indefinibili come i macherua-li. All’improvviso, come i temporali.Zig-zag, quasi non te ne accorgi. Madov’erano? Prima non c’erano. Anzi,

no: erano già lì, che guardavano, conun filo d’erba tra i denti; sì mi sembrache fossero lì, in fondo alla via. E chiguardavano? Guardavano te.E perché?

Non si sa.Ne sei sicuro? Non lo so maquasi ci spero. Ma che succede? Nien-te. Niente. Cos’è questo strano rumo-re? Forse solo che gira un po’ il ven-to della vita. Si aprono le finestre, sipuò guardare più lontano, entra ossi-geno nella stanza (nasce timido un pic-colo desiderio di scendere per strada

e di mettersi a cantare…).

Ma aspetta, ancora non si può.Ecco qui, c’è un capo a zig-zag che siaggira nel tuo cortile,ha bussato al tuoportone e devi decidere se gli vuoiaprire.Attenzione, attenzione! Potreb-be essere un pericolo, una minaccia.

Potrebbe sconvolgere le abitudini, ilquieto vivere.Non ha l’aria di uno checonosce l’articolo 18 del regolamento.E forse neppure l’articolo 37 dello sta-tuto.Eppure mi sembra uno che di co-se ne ha conosciute e ne ha vissutetante. O di uno che ancora non le sama è curioso ed è impaziente di sco-

prirle.Si,mi ha detto proprio così:“so-no impaziente”. Ha strizzato un po’l’occhio. E ha aggiunto ridendo che levuole scoprire insieme a te. E perchéproprio con me? Perché ha detto cheha fiducia in te. Fiducia? Proprio orache cominciavi a non crederci più.Proprio ora che tutti, anche i tuoi ge-

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Ci sono capi a zig-zag

L’arte del capo: è quella di saper trovare parole, gesti,

sguardi giusti; saper accompagnare e lasciare andare; saper 

raccontare, guidare, guardare lontano…

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nitori, i tuoi professori e persino ilcoadiutore del parroco ti avevano fat-to capire che di fiducia,no,non ce n’e-ra proprio più. Esaurita.Peggio che la

benzina.Ed era andata a finire che l’a-vevi persa anche tu.Zig-zag. Prende un pennello e coloradi azzurro le tue scarpe. Pedalavi albuio ma lui ha acceso la dinamo del-la tua bicicletta. È ancora notte sullacittà ma si cominciano a scorgere tan-te piccole luci lungo la strada...

Certo, ha le mani sporche. Sporche digrasso, l’olio per la catena. Dev’essereuno che se la ripara da sé. Mani forti,che ti sorreggono mentre inciampi.Poche parole, è vero. Però le parolegiuste. I Capi a zig-zag non fannograndi discorsi.A volte preferiscono i

silenzi.Ascoltano.Guardano.Sembranoassorti. Poi raccontano. Piccole storieda niente,ma con una passione che ac-cende la fantasia.E mentre raccontanospalancano le braccia e disegnano conle mani il profilo delle montagne, lacresta degli alberi che si muove nelvento; e nel racconto ti ritrovi a poco

a poco avanzare nel sentiero dellagiungla: odi lontano il tamburo dellatribù degli uomini rossi che avevanogiurato sul corpo del gran capo Paco-tapl vendetta per l’offesa ricevuta.Sen-ti scricchiolare le foglie sotto ai piedi,sussulti: occhi ti osservano nascosti dalfolto delle foglie e tu sei lì che comin-

ci a fartela addosso dalla paura perchéti è stato appena spiegato quanto ter-ribili sono le torture riservate ai bian-chi fatti prigionieri. Eppure avanzi tra

mille pericoli, liane, fosse nascoste per i leoni, verso la radura erbosa che celail mistero della cassa in cui, si dice, stiasepolto il tesoro del pirata Morgan….Ecco il punto dove scavare! La mappaè chiara “Dove l’ombra della grande quer-cia incontra quella della sequoia”. E men-tre stai scavando freneticamente a ma-

ni nude e con un cucchiaio di ferro,senti sempre più forti quegli occhi cheti scrutano dalla foresta;il sudore ti im-perla la fronte, un brivido scende lun-go la schiena, scorgi con la coda del-l’occhio il profilo di un guerriero chesta per saltarti addosso… ecco proprioin quel preciso momento, col tuo cuo-

re che batte a mille, il capo fa uno sba-diglio e dice: “ragazzi, buonanotte,questa la continuo domani sera…”

Perché sono fatti così i capi a zig zag tifanno sognare e dopo tu non ti puoi la-mentare se poi se ne vanno a dormire.Ricordo quella volta che mi ero preso

matematica e chimica a settembre. Laprofessoressa Massi era stata irremovi-bile. È chiaro che non le ero moltosimpatico ma nell’ultima interrogazio-ne non ero andato poi così male…sentivo in gola il sapore dell’ingiustizia.Davanti a me un’estate di compiti edequazioni.

Ecco, quelli sono i momenti in cui tiservirebbe avere un capo a zig zag cheti viene a cercare.“Ehi ci sei?”

“Si! Mamma scendo un momento….”“Come va?”“Mah, insomma, cambiamo argomen-to…”“Ma lo sai che ho trovato la secondaparte della mappa?”“Quale mappa?”“Ma come quale?!! Non ti ricordi che

la cassa di Morgan era vuota?”“Ma veramente…”“Stai zitto, per favore. Lasciami finire:ho trovato la seconda parte della map-pa, ti dico. Sono certo che questa vol-ta ci porta dritti al tesoro. Solo che ilvecchio Morgan ci ha voluto renderecomplicata la vita”.

“In che modo?”“Il vecchiaccio si è divertito a darci lecoordinate con delle equazioni di se-condo grado.Dobbiamo decifrarle, mipuoi dare una mano?”“Sai io con la matematica..”“Non voglio sentire scuse, domani se-ra a casa mia. Anch’io non ci capisco

molto però ci sarà anche Franco e luiè un genio…”.“A va bene, allora…”“Ciao ti aspetto, e non dimenticare laparola d’ordine....”

Perché in definitiva i capi a zig zaghanno questo di bello: si interessano a

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te.Sul serio.Sembra che i tuoi proble-mi siano i loro problemi. Non sono lìper giudicarti anche se certe volte tifanno delle sfuriate che neppure tua

madre sarebbe capace di fare. Però citengono. Per davvero. Fanno il tifo co-me se dovessi segnare il gol della vitaogni domenica. E se tiri fuori il calciorigore sono capaci di invadere il cam-po e prenderti a pedate.Ma è solo per-ché si capisca che ci tengono.Che ten-gono a te più di ogni altra cosa. Che

non sei trasparente, un cellophane del-l’esistenza, un ectoplasma senza un de-stino. No, il tuo destino sembra il loro.Solo che ti lasciano costruirlo da so-lo.A volte non ti dicono niente oppu-re, semplicemente: “adesso tocca ate”.Se ci sono dei rischi da correre per te se li corrono tutti,eccome se li cor-

rono! Ma se ci sono dei vantaggi, eccosembra proprio che i vantaggi non livogliano. Niente applausi, niente r in-graziamenti, niente parole di troppo.Una stretta di mano e via, come sem-pre: poche parole, molti fatti.

Sono strani questi capi a zig zag, però

hanno un modo di guardare che ti af-fascina.Ti guardano negli occhi ma poidistolgono lo sguardo in fretta e ti do-mandano:“hai visto da che parte sale ilsentiero della montagna?”. Tu ovvia-mente non hai neppure cominciato avederla, la montagna. Ma loro hannogià lo zaino in spalla e si avviano di-

cendo “saliamo sulla cima”. Ed è cosìche condividono i passi, la borraccia, ilfreddo della notte, il caffè della matti-na. E mentre stringi una tazza tra le

mani rifletti che anche se la strada nonè sempre dritta,che ci sono spesso del-le curve, dei tornanti, che a volte sem-bra di tornare indietro, insomma men-tre rifletti che nonostante tutti i no-stri sforzi per semplificare e rettificareè proprio la vita che è fatta irr imedia-bilmente a zig zag, (forse è per questo

che si rifiuta di farsi cucire stretta nel-le caselle di programmi,moduli e pro-getti che avevamo immaginato per lei)ecco,ci sono degli uomini e delle don-ne per i quali questo non è poi così ungran problema.Ci sono uomini e don-ne per i quali la vita è un’avventura,ungioco straordinario e appassionante,

proprio perché sconosciuta e semprenuova. Da affrontare con gusto, creati-vità e fantasia. Uomini e donne com-petenti, certo, ma sempre in grado didistinguere tra ciò che sono gli obiet-tivi e quel che sono dei semplici stru-menti. Ti incammini insieme a loro,intuisci che tutto questo non è solo

metodo e neppure una filosofia: è unmodo di essere,di guardare l’esistenza.Potremmo forse dire: uno stile.Si inerpica ancor di più il sentiero eLassù, più in Alto, cominciamo a in-travedere la Cima.

Roberto Cociancich

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Lo stile del servizio

Una sola volta (Lc 22,25) Gesù parla

dei ‘capi delle nazioni’, di coloro chehanno il potere e lo fa con una sfu-matura sarcastica. Dice infatti che co-storo mentre esercitano il potere sifanno chiamare benefattori. E subitoaggiunge: “Tra voi non sia così”. Laforma evangelica dell’essere capi nonpotrà allora essere semplicemente la

trascrizione delle logiche mondane.Èsignificativo che proprio mentre Ge-sù propone questa logica nuova i di-scepoli hanno ben altri pensieri per latesta. Infatti “Sorse una discussione,chi di loro poteva essere consideratoil più grande”. Questo interrogativoritorna più volte nei testi evangelici – 

Mt 20,20-28;Mc 10,35-45 – e sta adindicare una preoccupazione certa-

mente dominante tra i discepoli. Èsingolare come gli Evangeli ci abbia-no fedelmente riferito parole e senti-menti dei discepoli nettamente con-trari alla logica del Maestro. È un da-to che depone a favore dell’affidabi-lità dei racconti evangelici che, ap-punto, non ci hanno nascosto anche

i lati meno apprezzabili dei discepolidel Signore.Ai discepoli preoccupati solo di sta-bilire chi tra loro è il capo, chi è ilprimo e il più grande, Gesù presentanel fanciullo la logica del farsi picco-lo,del farsi povero,ultimo,servo.Duealtre pagine evangeliche aiutano a

comprendere questa logica parados-sale del Vangelo: Gv 13 (la lavanda deipiedi) e Lc 22,24ss (istituzione del-l’eucaristia e discussione su chi fosse

il più grande).Che cosa significa ‘lavarsi i piedi a vi-cenda’, come Gesù dice ai suoi disce-poli? Sono tutti quei servizi umili edisagiati che ci rendiamo a vicenda.Anche nella prima comunità cristianasappiamo che una delle qualifiche ri-chieste alle vedove per ammetterle ai

servizi della chiesa era “se ha esercita-to con assiduità il servizio di lavare ipiedi”.Ma questa spiegazione non ba-sta.Questo gesto,anche se umilissimo,non basta a dire che Gesù ci ha amatifino alla fine. Allora dobbiamo direche questo gesto non è solo segno diservizio umile,ma è vero e proprio se-

gno profetico, rivelativo cioè di coluiche lo compie, dell’intera sua vita edella sua imminente morte. Il testoche meglio esprime il senso di questogesto è l’inno di Filippesi 2, 5ss:“Ab-biate in voi gli stessi sentimenti chefurono in Cristo Gesù, il quale pur es-sendo di natura divina non considerò

tesoro geloso la sua uguaglianza conDio,ma spogliò se stesso assumendo lacondizione di servo... umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla mortedi croce”. Questo gesto manifesta ilsenso dell’intera vita di Gesù: Gesù simette a nostra totale disposizione,nel-le nostre mani.

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Essere caposecondo il Vangelo

Uno solo è il Buon Pastore, gli altri sono dei prestanome. Il

modo di Gesù di “essere capo” – servo dei suoi servi – è un

modello radicale per tutti noi.

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Ora possiamo anche capire perchèquesto gesto – lavare i piedi – tenga ilposto del racconto dell’istituzione del-l’eucaristia: Giovanni ci dice con que-

sto gesto il senso dell’eucaristia, ap-punto il mettersi di Gesù a nostra to-tale disposizione per essere nostro nu-trimento, nostro cibo, Dio con noi eper noi.Possiamo meglio capire questo gestoalla luce del racconto di Luca. Lucapone la discussione tra i discepoli cir-

ca chi di loro fosse il primo, il piùgrande, nel contesto dell’istituzionedell’eucaristia appunto per rivelare ilsenso dell’intera vita di Gesù: essere‘servo’ per amore,dare la vita per.Ge-sù è colui che serve”, appunto coluiche lava i piedi, colui che si fa picco-lo, ultimo, servo.

Gesù che si identifica con il bambino,con i piccoli; Gesù che si identificacon il servitore che ha il compitoumile di lavare i piedi: ecco due sim-boli non semplicemente dello stile diumiltà ma vera e propria rivelazionedell’essere di DioChi è Dio? Viene spontanea alla men-

te di persone di una certa età, la for-mula del vecchio Catechismo di sanPio X: Dio è l’essere perfettissimocreatore e Signore del cielo e della ter-ra. E invece Gesù manifesta Dio co-me colui che è al servizio dell’uomo,non un Capo ma un servo.Ma se Dioè colui che si mette a lavare i piedi,co-

lui che è a servizio, colui che è a no-stra totale disposizione, allora il sensoultimo della nostra esistenza non stanella signoria,nel dominio ma nel ser-

vizio, nella disponibilità agli altri. SeGesù si identifica con il piccolo e ilbambino allora dobbiamo rovesciare lanostra logica e ritenere che il picco-lo,il povero,il bambino esprimano l’u-mano in pienezza e autenticità.Il discepolo non può che seguire ilMaestro nel servizio.

Eppure questa vertiginosa rivelazionedi Dio trova nel cuore dell’uomo re-sistenze difficili da vincere: i discepo-li che pensano ad attribuirsi... le pol-trone.

Il padrone che si fa servo

Un secondo testo illustra lo stile del-

l’esser capi.“Beati quei servi che il padrone al suoritorno troverà ancora svegli; in veritàvi dico, si cingerà le sue vesti, li faràmettere a tavola e passerà a servirli”(Luca 12,37).È singolare lo stile di questo padroneche si fa servo dei suoi servi. Questo è

stato lo stile di Gesù (Gv13) rivelandoche il senso della sua esistenza non erad’esser servito ma servire e dare la suavita.Essere capi, in una logica evangelica,vuol dire scelta di servizio, vuol diremessa a disposizione del proprio tem-po, delle proprie risorse a vantaggio

dell’altro, nel nostro caso i più picco-li. La scelta del servizio è scelta gra-tuita, spontanea che riproduce l’agiredi Dio il quale ci ha amati per pri-

mo, ci ha amati quando eravamo di-stanti da lui, peccatori. La scelta delservizio esprime il valore di ciò chenon è redditizio, vantaggioso in ter-mini economici. Spesso i nostri rap-porti con le persone sono alterati dalcalcolo dell’interesse e del tornaconto.Il servizio esprime invece un agire li-

bero da calcolo. La persona è ricono-sciuta come fine e non come mezzodi cui mi servo.La scelta di servizio esprime il valoreunico, irripetibile di ogni persona, an-che la più piccola e modesta. ComeGesù che apprezza la piccolissima of-ferta della vedova (Lc 21, 1-4), che

promette ricompensa anche solo per un bicchiere d’acqua (Mt 10,42), chiassume un servizio dedica il suo tem-po alla persona, in un gesto di totalededizione. Possiamo dire che Gesù èl’uomo dell’attenzione alla singolapersona.La scelta di essere capi esercitando il

servizio è una vera scuola che educaa vivere l’intera vita, la professione, lafamiglia, lo studio, ogni attività in ter-mini di servizio. Chi per alcune oredel suo tempo si impegna nello stiledel servizio apprende un agire chepuò contagiare beneficamente l’interaesistenza.

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 Essere capo secondo

lo stile del pastore

Un terzo testo evangelico ci offre unaindicazione per l’esser capo: attraverso

la metafora del Pastore.“Le mie peco-re ascoltano la mia voce e io le cono-sco ed esse mi seguono. Io do loro lavita eterna e non andranno mai per-dute e nessuno le rapirà dalla mia ma-no” (Gv 10,27-28). Due verbi indica-no lo stile del pastore, due verbi quel-lo delle pecore, infine altri due verbi

indicano la qualità del rapporto pasto-re-pecore. Già questa articolazionedel testo sta a indicare una sorta di re-ciprocità tra pastore e pecore. Le pe-core ascoltano e seguono. Prima di se-guire ascoltano: mi piace sottolineareil carattere intelligente di tale relazio-ne niente affatto passiva o gregaria.

Il capo, così come il Pastore, deve vo-lere una relazione che nasce nell’a-scolto intelligente, un seguire,una ob-bedienza che nasce da una coscienzadesta.Due verbi qualificano lo stile delPastore e quindi del Capo: conosceree dare la vita. E sappiamo che questa‘conoscenza’ non si esaurisce in una

relazione intellettuale ma si dilata aduna relazione coinvolgente che arrivaal punto di dare la vita. Un Capo chenon si coinvolge nella relazione non ècerto un capo-pastore.Infine due ver-bi indicano il carattere non effimeroma tenace e irrevocabile della relazio-ne. Chiunque esercitando un servizio

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quelli che… se c’è proprio bisogno io…

quelli che… lui “ha fatto una certa scelta politica”quelli che… tirano l’acqua al proprio mulino (di chi?)

quelli che… le battaglie si fanno con i soldati che si hanno 

quelli che… aboliamo i criteri 

quelli che… sanno sempre tutto di tutti 

quelli che… io di lui non so granché 

quelli che… oltre tutto vogliono aprire un’altra unità 

quelli che… è ora di dire quello che si pensa 

quelli intoccabili (RS)

quelli che… però non va tutto così male 

quelli che… quello là va bene in regione 

quelli che… promoveatur ut amoveatur 

quelli che… l’importante è che parliamo tutti (facciamo il giro?)

quelli che… questa è solo un’ipotesi 

di guida autorevole, il compito del ca-po,voglia lasciarsi plasmare dall’Evan-gelo trova in questa metafora del pa-store-gregge, ben altro che una rela-

zione autoritaria e gregaria: trovapiuttosto un modello di relazione chesi affida anzitutto a due registri dialtissima qualità umana: l’ascolto e la

conoscenza. Di qui nasce il seguirequalcuno di cui si avverte la dedizio-ne addirittura fino al dono di sé. Co-me per il pastore così per il capo è

sempre in agguato il rischio di finiretra i mercenari.

Giuseppe Grampa

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Gli scout non sono uguali agli altri enon vogliono esserlo.Sembra uno slogan pubblicitario, fat-to per r ifilare al consumatore l’enne-simo status symbol o qualcosa che gli

rassomigli. Se così fosse, nessuno siscandalizzerebbe. Immaginarsi diuscire dalla massa grazie a un bell’ac-quisto o a una nuova abitudine ali-mentare è consentito a tutti e fa au-mentare le vendite.Alcune migliaia oalcune centinaia di migliaia di acqui-renti che pensano di uscire dalla mas-

sa con lo stesso prodotto, è quanto dimeglio ci possa essere per un’aziendae per l’economia nazionale.D’altra parte lo slogan potrebbe fun-zionare anche al contrario.Gli scout sono uguali agli altri e vo-gliono esserlo.Basterebbe dare il giusto tono popu-

lista alla campagna e il prodotto po-trebbe “sfondare”, anche se costosissi-mo. Sappiamo bene che non ci sonolimiti ai sacrifici, quando ne “vale lapena”.

L’importante è che, in entrambi i ca-si, non ci si prenda sul serio.Perchè sesi parla seriamente,cioè alzando il to-no di voce, allora il primo slogan èrazzista ed il secondo è qualunquista,il primo è fascista ed il secondo è co-munista e così di seguito, all’infinito,anche se entrambi gli slogan sono sta-

ti usati per lo stesso prodotto e tutti,rigorosamente, lo possiedono.Questa situazione è nota, è stata stu-diata abbondantemente ed ha un no-me: conformismo o, che è quasi lostesso, pensiero ad una dimensione.Anche le proposte per uscirne si sonomoltiplicate, hanno avuto fascino in

abbondanza, ma, a occhio e croce,non hanno avuto un grande successo,perché il conformismo è ancora qui esembra godere di ottima salute.

Questa è la sfida che rende affasci-nante, anche se terr ibilmente arduo, ilservizio di capo.È necessario uscire dal conformismo,non per pensare con la propria testa econ le idee degli altri, ma per pensa-re con le proprie idee, cioè per pen-sare e basta.

Gli scout non sono uguali agli altri enon vogliono esserlo, anche se lastampa nazionale ha titolato intere pa-gine, dicendo esattamente l’opposto.Il capo ne è consapevole e per questos’impegna,con l’entusiasmo che è ne-cessario per affrontare le sfide radica-li che gli stanno di fronte. La più ra-

dicale è rappresentata dall’antitesi, ap-parentemente insolubile,tra autorità elibertà. È questa un’opposizione sto-ricamente tangibile e lacerante. Ognirivoluzione si è indirizzata control’autorità in nome della libertà.E l’af-fermazione paolina “non c’è autoritàse non da Dio” è stata usata in tutti i

tempi dai signori del potere e dai lo-ro fiancheggiatori, per cementare ladipendenza fin dentro le coscienze.Ma proprio dall’affermazione paolinaapprendiamo che l’autorità è necessa-ria. Ciò che serve è un’autorità cherenda possibile in modo concreto enon formale, la libertà, anzi che la fa-

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Verità e servizio

Il capo deve sapere che la sua autorevolezza è necessaria per 

 guidare i ragazzi sulla strada della libertà

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vorisca.Aiuta in questo la distinzionetra autorità ed autorevolezza, impor-tante, ma non risolutiva. L’autorevo-lezza è quella condizione per cui la

differenza tra due individui (esperien-za, conoscenze, intelligenza, volontà)s’impone con la forza naturale dellecose e viene riconosciuta. Un caponon può prescindere dall’autorevolez-za.Anzi, se non la possiede, deve sem-plicemente cambiar mestiere.L’iter diformazione di un capo serve a questo,

anche se non basta. Infatti l’autorevo-lezza è il frutto di una vita spesa con-sapevolmente nella maturazione diquesta caratteristica, che non può esi-stere, se non riguarda tutta la persona.Ma l’autorevolezza deve essere rico-nosciuta, non può imporsi.Essa nascedalla forza delle cose, da una condi-

zione oggettiva. Se l’autorevolezzas’impone, muore. L’autorità può tro-vare nell’autorevolezza le ragioni delproprio operare, ma il suo specifico èun altro. Ciò che le è proprio è l’af-fermazione di una volontà. L’autore-volezza consiglia, non ordina. L’auto-rità ordina, e non consiglia. L’autore-

volezza suscita convinzione, l’autoritàobbedienza.

Libertà e obbedienza

È possibile obbedire in libertà? Cer-tamente, anzi si può dire che non cisia libertà senza obbedienza. DopoDon Milani sappiamo che l’obbe-

dienza non è più una virtù, ma è si-curamente una necessità, una condi-zione imprescindibile, perché l’uomosia libero, concretamente libero. Ciò

che deve essere chiaro è che la forzanon ha ragione e la ragione non haforza. Solo un dittatore può illudersiche la forza abbia ragione. Anche indemocrazia, soprattutto in democra-zia, la maggioranza non ha ragione,ha solo la forza per imporsi e questodeve fare. In realtà l’autorità serve a

realizzare ciò che la ragione ha scel-to. Ma l’autorità deve sempre riceve-re un indirizzo, benché poi, giusta-mente, non senta ragioni. C’è unprofondo ed autentico senso di li-bertà quando un gruppo perfetta-mente coordinato riesce a compiereun’impresa. Ciò che ha reso possibi-

le il raggiungimento dell’obbiettivo èstata l’obbedienza, che ha unito levolontà. Perché c’è un momento per discutere ed un momento per agire.Per questo l’autorità viene da Dio,perché nella storia essa è il mezzo chel’uomo ha per realizzarsi. Solo in Dioforza e ragione coincidono, in una

perfetta fusione.Ma nella storia, anche in campo reli-gioso, autorità e giustificazione, forzae ragione non possono mai sovrap-porsi e confondersi.Tutto questo, però, si fonda su unpresupposto, che il capo non può di-menticare.

Il riconoscimento dell’autorità e l’e-sercizio dell’obbedienza possonosconfiggere il conformismo solo se laverità esiste ed è in qualche modo

raggiungibile. La ragione infatti haun unico scopo, quello di manifesta-re la verità. Se questo non è possibi-le, perché in nessun modo ci si puòriferire alla verità, alla ragione nonresta altro che tacere. La forza rima-ne l’unica padrona del campo e nelleforme più varie mantiene il suo indi-

scusso dominio. L’autorità diventa fi-ne a se stessa ed è aggredita. Per na-turale evoluzione si tramuta in con-dizionamento. Apparentemente spa-risce, ma in realtà afferma il proprioindiscusso dominio, generando ilconformismo.Voci diverse si alzano, anche nel no-

stro tempo, per indicare un camminoo proporre una testimonianza. Nontacciono sui mali del presente, maguardano oltre e indicano la necessitàdi un coinvolgimento personale, diuna presa di responsabilità nel nomedi una comune appartenenza.Questo un capo deve vivere e pro-

porre, perché la battaglia contro ilconformismo abbia qualche speranza.

Gian Maria Zanoni 

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Non è vero che una brutta Route -

fatta in dei posti brutti,poco significa-tivi, organizzata male…- serva a far crescere la comunità di clan o di no-viziato come una bella route…Non è neppure vero che un bruttofuoco di bivacco – non riuscito, po-co partecipato, poco preparato…- la-sci una traccia nei cuori dei rover e

delle scolte come un bel  fuoco di bi-vacco…E potrei andare avanti.Queste considerazioni, che sembranotratte dalla fiera dell’ovvio, sono inve-ce – ahimè - anche un po’ la sintesidelle mie esperienze, come capo, e leripropongo con l’intento di stimolarei capi di oggi a fare meglio.

Fare delle belle esperienze

Fra i ricordi più belli della mia espe-rienza scout ci sono alcune albe, e deibellissimi tramonti, rosa, vissuti inmontagna; ma anche il rumore deipassi sulla neve ghiacciata, l’odore delbosco dopo la pioggia, il ticchettiodella pioggia sulla tenda (le volte cheera ben montata e sempreché la piog-

gia, comunque, non cadesse a dirot-to); alcuni volti di persone incontratedurante le route, il racconto delle lorovite davanti a un bicchiere di vino oseduti vicino al fuoco;il calore, e il co-lore, di alcuni fuochi di bivacco, con iloro giochi di luci e di ombre; ma an-che il silenzio di alcuni momenti di

“deserto”; alcune cene pasquali fattein piedi, con pane azzimo e erbe ama-re; alcuni, forti,momenti di preghiera,vissuti in eremi o in luoghi che sol-

tanto gli scout, i pastori e i guardia-parco sanno trovare; e finalmente ilsorriso, e gli occhi spalancati, dei lu-petti e coccinelle durante certi beigrandi giochi; il sorriso di soddisfa-zione di esploratori e guide alla finedi una bella impresa, realizzata per davvero; il sorriso, un po’ complice,

degli R/S durante una bella route,quando capiscono che il rapporto coni loro capi parla alla loro vita, ai loroproblemi, alle loro emozioni, senti-mentali o di fede, e comunque coin-volge le cose che sono per loro im-portanti nel momento di vita chestanno attraversando.

Uno dei primi “segreti” per fare beneil capo scout è fare, in prima persona,delle belle esperienze, avere delle sco-perte gioiose da proporre agli altri, non(solo) perché si è studiato, in teoria,che“funzionano”, ma perché le si è vissu-te, e non occorrono tante parole per spiegare perché sono davvero belle.

Le belle esperienze allargano il cuore,riempiono lo spirito,aiutano a cresce-re meglio, spesso spingono anche ad“alzare gli occhi verso il cielo” e, conil salmista, a riconoscere che “i cielinarrano la gloria di Dio…”e che “èbello,a dà gioia, che i fratelli stiano in-sieme…”.

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Una bella route è megliodi una brutta route

Il bravo capo fa fare delle cose belle, se le ha vissute lui per 

 primo: l’uscita deve essere fatta in posti belli, il bivacco deve

essere bello; capi tristi, ripetitivi, senza fantasia non

apprezzano e non trasmettono la bellezza di essere capo.

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Far fare delle belle attività

Si può educare al bello?Certamente si, ma per farlo non oc-corre parlarne, né studiare “il bello”

sui libri (anche se certi libri d’arte, odi montagna, aiutano a farne una pri-ma scoperta), ma occorre far fare espe-rienza di cose belle, farle scoprire, fare sperimentare  cose belle, ben program-mate, in luoghi belli, significativi.Il canto scout che dice:“quest’avven-tura, queste scoperte, le voglio viver 

con te...” non si riferisce certo a si-tuazioni banali, a luoghi poco acco-glienti, a esperienze non vissute afondo, a attività mal preparate e peg-gio gestite, a fuochi di bivacco senzaun filo conduttore, a route in luoghibrutti, a fumose chiacchiere senzasenso, a esperienze che “se uno le

avesse conosciute (in anticipo) leavrebbe evitate”!E infatti c’è sempre anche il rischio,per chi fa il capo, di “educare al brut-to”.Ma il miglior antidoto a questo ri-schio è ripensare alle cose belle  e aquelle brutte vissute in prima persona

e riproporre le prime ed evitare dicadere nelle seconde.L’entusiasmo genera entusiasmo, e facrescere, in una sorta di trapasso del-le nozioni” gioioso, mentre la tri-stezza genera tristezza, e scoraggia lacrescita come persone capaci di tra-smettere gioia.

Un consiglio ai capi, e

soprattutto ai capi più giovani

“Si sa che la gente dà buoni consigliquando non può più dare il cattivo

esempio”, recita una notissima can-zone di Fabrizio De André.Voglio correre egualmente quel ri-schio per dire che, nelle tantissime(talvolta troppe) cose che si richie-dono a un capo, talvolta occorre sce-gliere. Non abbiate dubbi: sceglietele cose più belle, che vi pare possa-

no dare anche a voi maggiori soddi-sfazioni; che siano più immediata-mente volte all’obiettivo di fare , e far  fare , delle esperienze che vale la pe-na vivere, e semmai trascurate (ana-tema!) quelle meno motivanti (espesso anche meno motivate, se nonda una sorta di “imburocratimento

psicologizzante” dello scautismo).In un bellissimo libro, che suggeri-sco a tutti i capi di leggere e rileg-gere 1, B.-P. dice che “lo scautismo[…] è un gioco pieno di allegria”;che “per essere un buon capo […]bisogna vivere dentro di sé lo spiri-to del ragazzo”e che a un capo si ri-

chiede soprattutto “di amare la vitaall’aperto e [saper] animare, guidaree infondere entusiasmo nella giustadirezione, […] come il vero fratellomaggiore”.Mi piace ricordare anche alcuni deidisegni che B.-P. ha inserito nel l ibroper far capire meglio il proprio pen-

siero e suscitare voglia di imitarne lostile: nel primo si vede una canoacondotta da due scout su un fiumein mezzo ad un bosco e si legge,nel-

la didascalia, che “lo scautismo è unallegro gioco all’aperto,dove “uomi-ni-ragazzi” e ragazzi possono avven-turarsi insieme, come fratelli mag-giori con fratelli minori…”.In un’altra si vede una tenda, benmontata, ed uno scout che, utiliz-zando un traliccio di legno ben co-

struito, lava le pentole e si legge che“il campo è essenziale per la buonaformazione del reparto. Ma deve es-sere un campo attivo, non una scuo-la di bighellonaggio inconcludente”.In una terza si vedono quattro ra-gazzi intenti a recitare e cantare, coni testi della veglia in mano, e si leg-

ge che “il canto e la recitazione so-no ottimi mezzi per imparare adesprimersi. Inoltre […] abituano allavoro di squadra, perché ognunodeve imparare la sua parte e farlabene […] per il buon successo del-l’intero spettacolo”.Un’ultima mostra due ragazzi: il

primo compìto, serio e con le brac-cia conserte, ed il secondo scatena-to, di corsa e sorridente, e si leggeche “uno scout è attivo nel fare delbene, non passivo nel contentarsi diessere buono”.

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 E infine qualche piccola

proposta operativa per

le strutture associative

Far conoscere le esperienze più belle,

meglio riuscite, sicuramente aiuta adiffonderne la pratica,e a far fare per-ciò uno scautismo più bello ad un nu-mero più grande possibile di ragazzie ragazze.Nel mondo della formazione azien-dale e professionale questa pratica èconosciuta come la diffusione delle

best practices”: far circolare le idee ele realizzazioni meglio riuscite.Si potrebbe in questo senso approfit-tare delle nuove (e quasi illimitate)possibilità offerte da internet e svi-luppare – meglio, far sviluppare dachi le ha vissute, con una tecnica di“leggi-commenta-aggiungi” simile

alla arcinota enciclopedia Wikipedia -una “banca o mappa geografica” (vir-tuale) dei “posti belli”nei quali è pos-sibile fare delle belle route, che sianosignificativi per la storia che vi è tra-scorsa o per la bellezza della natura;una “libreria” (virtuale) con le musi-che, e i testi, di qualche bella veglia,

da poter rifare con il proprio Clan;una “vetrina” (virtuale) con le piùbelle foto scattate in route, per invo-gliare a cercare il bello, ed imparare ari-raccontarlo: dai volti incontrati aimestieri scoperti lungo la strada, del-le fontane cui si è bevuto agli anima-li visti; dagli alberi che ci hanno ri-

parato alle più belle  realtà di acqua,aria, terra e fuoco che ci hanno col-pito e ci hanno un po’“stregato” per la loro bellezza.

Sarebbe un modo simpatico, e moltonello stile di B.-P., di corredare le no-stre dissertazioni metodologiche con

dei suggerimenti “visivi” capaci distimolare a ri-metterli in pratica!

 Ale Alacevich

1 B.-P., Il libro dei Capi - Sussidi per il Caponello Scautismo con illustrazioni dell’autore,

Editrice Fiordaliso, Roma.

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quelli che… adesso lui ci pensa per tre giorni poi si vede 

quelli che… reparto misto neanche a parlarne 

quelli che… sanno a memoria l’iter di FC (cosa è FC?)

quelli che… non per giudicare ma...

quelli che… quando parlano sai cosa diranno 

quelli che… non parlano perché sai già cosa diranno 

quelli che… non parlano e basta 

quelli che… ogni tanto sbuffano chissà perché 

quelli che… ti spiegano cosa vuoi dire 

quelli che… dicono il mio branco 

quelli che… allora decide il capo gruppo (o il capo clan)

quelli che… adesso non tiriamo fuori la politica quelli che… leggiti B.-P. (cosa è B.-P.?)

quelli che… non è per il principio 

quelli che… per me l’uno vale l’altro 

quelli che… lo sapevano fin dall’inizio 

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Quando, ormai moltissimi anni fa, erocaposquadriglia dei Castori, con gli al-tri due capi squadriglia del riparto (al-lora si chiamava così), avevamo elabo-

rato una strategia per poter essere di-gnitosi nel nostro servizio e di buonesempio per i ragazzi che ci erano sta-ti affidati.Il concetto dell’affidamento (“mi fidodi te anche se hai 15 anni e quindi tiassegno la responsabilità di sostenereun gruppetto di altri 5/6 ragazzi”)

sottolineato da un capo incontrato aduna campo scuola caposquadriglia (al-lora si faceva così), ci aveva molto col-pito e ci interrogavamo su comeavremmo potuto rispondere al meglioalla fiducia accordataci.Dopo molte discussioni ecco elabora-ta “la strategia del cucchiaino”.

Era abitudine consolidata nel riparto,che il caposquadriglia fosse semprel’ultimo della fila: l’ultimo quando sicamminava, l’ultimo quando si peda-

lava, l’ultimo quando si saliva in mon-tagna. Davanti il vice e dietro l’occhiovigile del capo a controllare che simantenesse la fila, che non ci fossero“sbandamenti”, che non ci fosse qual-cuno che facesse più fatica dell’accet-tabile e così via.Avevamo sempre chiamato questo

modo di essere “fare cucchiaino” equindi il salto alla strategia fu abba-stanza semplice: dovevamo essere “die-tro” per poter dimostrare di esseresempre “davanti”.Ci piaceva questa cosa (e piacque an-che ai caposquadriglia dopo di noi), cisentivamo dei veri capi, ci sentivamo

all’altezza del compito a cui eravamostati chiamati e ci pareva di riuscire atradurre più efficacemente, per i ra-gazzi della squadriglia, alcuni concetti

che ci ritenevamo altrimenti difficilida sostenere e che leggevamo sul“quaderno del caposquadriglia” diLeon Braun.Concetti quali la responsabilità rice-vuta e data, la fiducia su cui basare ilrapporto anche con i più piccoli, l’es-sere al servizio anche quando ti co-

sta, l’autorevolezza che non diventaautorità, l’indispensabilità di saper farebene le cose (competenza), sono dif-ficili da capire, ma ancora più difficilida far passare all’interno di un grup-petto di ragazzi che in fondo hannosolo voglia di correre, arrampicarsi,costruire, giocare, lottare, divertirsi.

La strategia del cucchiaino, nelle no-stre menti considerata un’elaborazionedegna di von Clausewitz, ci parevapermettesse di evidenziare in modosemplice ed efficace questi concetti.Con il passare degli anni, i vari servi-zi che ho svolto in associazione, mihanno permesso di ripensare spesso a

tutto ciò e ne ho tratto alcune consi-derazioni sull’imparare da piccoli a

diventare grandi.

Questa frase è stata il claim dell’annodel centenario dello scautismo,ma tra-duce in modo efficace un elementofondamentale che da caposquadrigliaavevo solo intuito: è da piccoli, se si

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La strategiadel “cucchiaino”

Non venitemela a raccontare, il capo squadriglia

è sempre l’ultimo! 

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viene opportunamente stimolati, chesi impara ad assumersi responsabilitàforti e grandi rispetto alla propria età.Non sono molti (forse nessuno),oggi,

gli ambiti nei quali ad un quindicen-ne o ad una quindicenne, viene affi-dato fiduciariamente il compito diaiutare a crescere (nel senso più latodel termine) giovani adolescenti.Nello scautismo questo si fa ed è, cre-do, la sua più grande scommessa al-l’interno della quale tutto (il persona-

le ed il comunitario) viene messo ingioco.Non ci possono essere infingimenti,non ci sono tatticismi educativi: ci so-no solo un mandato affidato ad unaragazzo che è chiamato a sostenerlo.Un vecchio capo piemontese quandoqualcuno veniva chiamato a servizi di

quadro associativo, per prima cosachiedeva se avesse fatto il caposqua-driglia e la r isposta affermativa lo tran-quillizzava maggiormente circa le ca-pacità che avrebbe avuto la persona.Gran segno di fiducia nelle potenzia-lità del metodo scout!È chiaro, cristallino, nessuno (né il ca-

po che affida, né il ragazzo che accet-ta, né la comunità che fa da testimo-ne) può dire di non aver capito, di nonaver afferrato i concetti che sottostan-no alla proposta: è una chiamata ad

essere grandi (ed il termine grandicredo possa anche essere inteso in mo-do estensivo).

Questa proposta diventa un percorsovirtuoso se ben sostenuto. Tutti netraggono vantaggio e tutti hanno alleloro spalle un esempio e in prospetti-

va la possibilità di proporlo ad altri.

Se si va a ben guardare, è questa unaproposta “rivoluzionaria” della qualeforse neanche noi scout siamo piena-mente consapevoli.

Piero Gavinelli 

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quelli che… ne ammazza più la lingua che la spada 

quelli che… siamo stati ragazzini insieme 

quelli che… io per ora mi limito ad osservare 

quelli che… quando sono stufi se ne vanno quelli che… non vengono nemmeno 

quelli che… soffrono per come vanno le cose 

quelli che… si sentono obbligati 

quelli che… cercano le maniere eleganti 

quelli che… non era mica deciso 

quelli che… ci sono di mezzo i ragazzi 

quelli che… questo è un parere personale 

quelli che… adesso ci facciamo una bella cantata 

quelli che… scuotono la testa quelli che… educare è sempre una prova 

quelli che… è la prima volta, io non so 

quelli che… è tutto un intreccio di biglietti 

quelli che… ma il Progetto educativo cosa dice? 

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Lo scautismo si nutre di bellezza. In-sieme all’essenziale vocazione al ser-

vizio, ciò che alimenta l’impegno diun capo è un’autentica passione per la vita scout, senza la quale il giocoperde senso.Il gusto per lo scautismo è scopertache si rinnova un campo dopo l’al-tro; cresce l’entusiasmo, si assimilauno stile.

La vita scout è un atelier che affinasensibilità molto diverse tra loro: puòessere l’iniziazione, tutt’altro chescontata, al fascino degli ambientinaturali, della wilderness, così comepuò insegnare il valore della fiduciareciproca tra persona e persona. Siimpara a riconoscere la sobria ele-

ganza di un sentiero tra i faggi e adapprezzare la ricchezza di un con-

fronto comunitario. L’amore per l’avventura si accompagna alla gioiadella condivisione e della fratellanza.Per lo scout che diventa capo siaprono prospettive ulteriori, innanzi-tutto la strada percorsa insieme ai ra-gazzi. I campi e le route sono verimomenti di grazia per l’intensità e

per la qualità del tempo vissuto. Mala bellezza dell’essere capo è, oltreche nell’esperienza educativa, anchenell’appartenenza alla propria fami-glia scout: la comunità capi.Per chiarezza: se essere parte di unacomunità capi significa collezionareogni anno una ventina di grigie riu-

nioni di ordinaria amministrazionetra colleghi-capi-scout, allora è evi-dente che ogni aspettativa di bellez-za sarà frustrata prima ancora di co-

minciare. Per evitare questa fine oc-corre riportarsi all’essenziale,cioè fa-re scautismo anche tra capi, là dovein molti smettono di farlo. Il tempospeso insieme potrà allora essere diqualità eccezionale o, al contrario,scadente; dipenderà solo da noi.

Strada condivisaNella stessa comunità capi coesistonoquasi sempre persone molto diversetra loro per storia, carattere, abitudini;nonostante questo, le risorse comunirestano immense. Due capi possonoperdersi in un dibattito senza fine sul-le questioni più disparate eppure im-

mediatamente e naturalmente con-vergere nel decidere lo stile di una ve-glia o di un’uscita: qui ritrovano affi-nità di competenze e di linguaggio, siidentificano per il tratto di strada cheentrambi hanno percorso, e quellastrada è lo scautismo.È importante, anche tra capi, rimanere

autenticamente scout e non temere dientusiasmarsi di nuovo per un’attività,un fine settimana in tenda, un con-fronto acceso sugli ideali realmentecondivisi. È riscoprendo e non dimen-ticando la comune radice che si può ri-trovare la spinta per affrontare insiemele urgenze come i compiti ordinari.

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Per la bellezzatra capo e capo

Stare in comunità capi è bello o brutto?

Quante volte ci siamo posti questa domanda?

La risposta dipende solo da noi.

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Dove trovare tempo? Attingendo al-la scorta traboccante di riunioni in-torno ad un tavolo, non sempre de-cisive per le incombenze, abbando-

nando abitudini cristallizzate daglianni per riscoprire che anche tra ca-pi lo scautismo, passione comune,funziona. Occorre “perdere” queltempo che è richiesto da un’uscitatra capi ma che poi vale il ritrovarsia faticare anche su un sentiero inne-vato e non soltanto sul bilancio di

gruppo. Occorre condividere, assa-porare insieme. Occorre tornare, an-che di comunità capi, sulla strada.

Gioiosi nella speranza

Una bella comunità capi è, prima ditutto, una vitale comunità di cr istiani,entusiasti nella fraternità ed animati

da sincera solidarietà: gareggiate nel-lo stimarvi a vicenda.Nel corso degli anni il tempo inve-

stito è molto, una parte importantedelle serate è dedicata ad incontri eriunioni. La preghiera tra capi puòdiventare un desiderio essenziale per i singoli e nutrimento per l’intero

gruppo.Un percorso di fede vissuto da adul-ti che hanno operato la stessa scelta diservizio acquista una valenza diversarispetto ai momenti di catechesi e dipreghiera proposti in unità ai ragazzi.Una comunità capi ha la possibilità ela capacità di individuare, guidata dal-

l’assistente, occasioni di crescita co-munitaria nella fede, facendosi pro-motrice e destinataria della proposta.La lettura della Parola all’inizio degli

incontri o una serata di veglia sonoalcune delle possibilità che contribui-scono a riportare significato al servi-zio e a rinnovare ogni giorno una vo-cazione.

 Educatori a confronto

La comunità capi ha come mandato

prioritario l’educazione dei ragazziche le sono affidati. Non può manca-re la consapevolezza che le sfide si af-frontano insieme,attraverso uno scam-bio fitto e sincero, dividendo il pesodella responsabilità, esplicitando aglialtri la passione e l’entusiasmo, ren-dendo la comunità partecipe della fa-

tica quanto dei successi.In questo senso, la preparazione di unprogetto educativo è un’impresa cherichiede di conoscere e capire le ri-sorse e le difficoltà dei ragazzi delle di-verse branche, attraverso un dialogoattento tra staff che lavorano su età di-verse.

Cercare la collaborazione, avere curadi tramandare le competenze educati-ve, cercare sempre di interpretare loscautismo come una proposta unitariae la comunità capi come l’ambito pri-vilegiato della verifica, sono attenzio-ni che contribuiscono a rendere ap-passionante e significativa la consueta

riunione, restituendo alla comunitàcapi la dignità di comunità fondantedella vita del gruppo. In questo modosi rende davvero un servizio leale allo

scautismo.

La risorsa comunitaria

Quando una comunità capi non si ri-duce ad un’assemblea di metodiciprofessionisti può affrontare con ca-pacità inaspettate le situazioni piùcomplesse.

La concretezza del mandato richiededi procedere attraverso scelte e prio-rità da assegnare. Ma mentre si lavo-ra sulle urgenze del gruppo, va man-tenuto vivo un confronto responsabi-le, vero, che sappia guardare lontano:il gruppo di capi cresce e si arricchi-sce se riesce a ricondurre l’attenzio-

ne alle questioni sostanziali, alle ri-chieste dei ragazzi.Ri-unirsi fisicamente (e non virtual-mente) ha una valenza peculiare. Lapresenza ed il contributo dell’interacomunità aggiunge novità e forza al-la semplice sovrapposizione del pen-siero dei singoli, portando a soluzio-

ni che emergono solo grazie alla con-vergenza delle esperienze e delle ca-pacità di ognuno.Così la comunità sa leggere la realtàe disegnare prospettive nuove. Soloinsieme si prende il largo, si realizza-no le imprese, si risolvono le emer-genze brucianti.

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Aperture

Un gruppo di capi,molto spesso, è an-che un gruppo di amici, almeno inpartenza. Non sempre lo rimane negli

anni. Si ripete:“non è un dovere deicapi essere anche amici”;non è un do-vere ma resta una tra le migliori pos-sibilità, dunque vale la pena provarcianche quando ognuno sembra proce-dere per la propria strada concentratosolo sull’unità, complice la pioggia diappuntamenti associativi, quando ogni

riunione sembra un’occasione persa ea prevalere sono la stanchezza e lanoia.Non è un punto di non ritorno, ma ètempo di ritrovare il nord, ovvero ditornare ad essere semplicemente unacomunità scout, riportandosi all’essen-za. È ora di uscire e, abbandonato il

cerchio di sedie, partire.

Davide Magatti 

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quelli che… non posso perchè devo sposarmi 

quelli che… non posso perchè mi sono appena sposato 

quelli che… sono troppo vecchio quelli che… dove mettiamo la Parrocchia? 

quelli che… chi se ne frega della Zona 

quelli che… dovremmo prenderci ogni tanto un 

anno sabbatico 

quelli che… ci serve un prestanome per il Branco 

quelli che… prova a leggere Servire 

quelli che… io ho 42 anni di scautismo sulle spalle! 

quelli che… comunque è proprio un bel gioco 

quelli che… dobbiamo pensare ad un nuovo sito per il Gruppo quelli che… ma non utilizziamo più la colonia solare? 

quelli che… non è più lo scautismo di una volta 

quelli che…  perché non ci facciamo una bagna cauda? 

quelli che… a me nessuno deve dire cosa devo fare 

quando il progetto educativo dell’unità 

è stato approvato 

quelli che… si passa troppo tempo a fare i quadri 

e troppo poco a pensare ai ragazzi 

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no senza pile e dimostrare di nonavere paura, proporre un hike senzasoldi e senza telefono e raccontarlo ladomenica a Messa, arrampicarci sugli

alberi e stare semplicemente attenti.Vietare i cellulari al campo e con-trollare gli zaini (anche quelli dellostaff però). Gege racconta che nellaCarta di clan del suo gruppo i rover scrivevano di voler imparare a guida-re un tram: troppo pericoloso? forsevietato?

La relazione capo-ragazzo è efficacequando è radicata nei linguaggi sim-bolici e nei bisogni dei ragazzi, “…ridere, lottare, mangiare..” diceva B.-P.,possiamo aggiungere: ottenere dei ri-conoscimenti, essere progressivamen-te autonomi, identificarsi e distin-guersi.

La nostra convinzione è che i bisognieducativi, le esperienze che servonoai ragazzi per crescere, siano in fondopoco influenzati dalle organizzazionisociali, dalle convenzioni e dagli am-bienti familiari.L’arte del capo è la capacità di legge-re il bisogno dei ragazzi, che si cela

dietro il desiderio, la paura di trovarsisoli che si nasconde dietro gli sms sulcellulare. Educare vuol dire incon-

trare il bisogno immutabile, non

solo soddisfare il desiderio, chemuta con la società e la tecnologia.A questo punto nasce un piccolodubbio: forse sono i capi scout, più

che i ragazzi a subire l’influenza delloro tempo? A non rischiare la piog-gia, a non rinunciare a un fine setti-mana di studio, a non proporre una

route impegnativa, a non saper guida-re una canoa, a non cantare nelle dif-ficoltà, o almeno fischiettare? Alloradiventa difficile essere capi.Anche pe-sante.Se ci sentiamo più omologati aduna società prudente, un po’ pigra esenz’altro disattenta, che preferisceanestetizzare difficoltà e dolori, che

non crea valori, abbiamo un po’ di-menticato l’avventura dello scautismo.Affrontare la vita da scout vuol direinvece cercare di superarci, fare unpasso oltre quello che credevamo ilnostro limite (paura, difficoltà, chiu-sura), e poi arrivare ad accettarci econvivere con quel limite che non

possiamo eliminare (difetto, dolore,incapacità di comprensione).Rinunciare all’appagamento faciledel desiderio per affrontare percorsipiù difficili, vuol dire sempre attri-

buire un valore a quello che sce-gliamo. Se il posto in treno è solo sulpredellino, non rinunciamo all’uscita,

il cui valore supera quello delconfort. E del biglietto. Studiare lanotte per andare alla riunione di re-parto vuol dire dare valore al proprioservizio. E dare fiducia a se stessi. Ilcapo scout si ribella all’omologazio-ne, altrimenti va a fare l’animatore alClub Med.

Lo scautismo è legge e promessa

Lo scautismo è libertà di scegliere ilproprio cammino, ma libertà respon-sabile, guidata da una legge, una re-

gola del gioco, un patto tra genera-zioni. E intorno a noi? Sembra chenon manchi la libertà … di fare quel-lo che più ci pare. Gli esperti la chia-mano la cancellazione del limite:poche le restrizioni economiche, at-tenuati i precetti della morale tradi-zionale, allungati a dismisura i limiti

temporali nell’assunzione di respon-sabilità (un lavoro, una casa, una fa-miglia), cancellati i limiti alle aspira-zioni e desideri che vengono spintisempre più in là dai media. La globa-lizzazione ha cancellato i limiti na-zionali, le nuove tecnologie ci hannoaperto a relazioni infinite, la rivolu-

zione femminile e oggi la crisi dellacoppia ci ha sottratti per sempre ai li-miti dell’autorità paterna. Insommanon si vede nessun confine sul cam-mino. Strada in discesa? Un cavolo.L’uomo per crescere (e tutti i cuccio-li lo possono dimostrare) ha bisognodi conoscere gli altri e se stesso, dif-

ferenziarsi e identificarsi, mettersi al-la prova, misurarsi, confrontarsi e an-che scontrarsi, superare man manodei limiti. Datemi un punto di ap-poggio e solleverò il mondo sembraabbia detto quell’Archimede che in-ventò la leva. Ma in questo deserto,dove appoggiarsi? In una società sen-

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za limiti, reali o simbolici, come di-ventare grandi?L’uomo per crescere (e anche nelcorso della vita) ha bisogno di fare

delle scelte. Come è facile immagi-nare, una scelta tra due possibilità ègià abbastanza difficile, tra venti è unbel tormento,ma tra duecento è l’im- passe totale. In una società in cui nonci sono limiti tutto diventa potenzial-mente possibile, fluido, reversibile co-me fare delle scelte?

Grosse grane per il capo scout, chegià ha il suo bel daffare a scegliere per se stesso, e pure gli tocca educare al-tri a fare delle scelte. Strada in salita?Non troppo.Essere capo scout e non un capo qual-siasi, è bello perché lo scautismo ha unmetodo, anzi è un metodo educativo.

E non è un accessorio, è l’essenza stes-sa del nostro fare educazione. Il moti-vo e lo strumento.Attraverso ogni at-tività proponiamo uno stile di vita, unvalore, un modello di uomo, un po’difede nel Creatore.Se siamo appassionati di questo gio-co, e sicuramente lo siamo, se in più

ci divertiamo con i ragazzi, se le no-stre motivazioni al servizio si sonomescolate con i volti dei nostri ra-gazzi (le motivazioni affettive) e l’e-

mozione dell’esperienza, allora èfatta.

Il metodo scout ci aiuta

Vivere l’essenzialità in ogni attività, ilcampo, la route, l’hike, ci pone davan-ti a precisi limiti che non sono solomateriali, ma umani.Aderire liberamente ad una legge e aduna promessa è un limite… che ci sol-lecita ad essere attivi.Condividere con altri il cammino, ci

obbliga ad accettare il passo del piùdebole,costruire una comunità,ci im-pegna a dividere con altri il nostrocuore e il nostro pranzo al sacco; il li-mite è che mangeremo un po’ meno,ma guadagneremo degli amici.Le cerimonie di passaggio, le tappedella progressione personale, il mo-

mento della partenza, sono occasioniper riconoscere nei ragazzi il supera-mento di un limite, una piccola ogrande vittoria con se stessi, una cre-scita.Il gioco impone delle regole, la sesti-glia pure. Altrimenti non ci si divertee non si sta bene insieme.

La responsabilità dei più piccoli, unservizio extrassociativo con personedifficili o diverse, ci vincola, pone deilimiti: siamo responsabili per sempre

di ciò che abbiamo addomesticato.Scegliere una strada sulla carta topo-grafica, ci aiuta a imparare a scegliere:le possibilità non sono sempre infini-

te, alcune non conducono da nessunaparte. Dovremo assumere le conse-guenze della nostra scelta: faticheremose la strada è in salita e correremo se èin discesa, avremo cento volte paura diesserci persi, ma andremo fino in fon-do.Quando avremo scelto il percorsodi route, il testo della carta di clan, il

menù della gara di cucina, saremo an-che pronti alle scelte della partenza. Siimpara a scegliere solo scegliendo.

Anche la fede ci aiuta

La nostra finitezza di creature, l’inca-pacità di trovare risposte alle doman-de ultime sulla vita e sulla morte, ci

spinge ad affidarci a Dio. La nostra vi-ta non è tutta nelle nostre mani, manelle Sue.La cr isi della religione ha la-sciato l’uomo credersi onnipotente,ma non l’ha aiutato ad essere più feli-ce.Educare i ragazzi alla fede, vuol di-re aiutarli a capire i limiti dell’uomo,insegnare loro a vedere nel prossimo

Gesù da servire, indicare loro unastrada verso la felicità.

Laura Galimberti 

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ia l p hé ti ai ta A lt

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Carissimo,ho saputo che sei stato scelto dalla tuacomunità capi a far parte dello staff dell’unità di reparto. Grazie per aver accettato e grazie in anticipo per tut-to quello che farai.Voglio subito farti delle raccomanda-

zioni che in parte sai già benissimoma che voglio ribadirti, perché mistanno a cuore e sono sicuro che tisaranno utili per vivere bene questotuo nuovo percorso. Spero di non es-sere troppo moralista e vecchio bac-chettone.Prenditi questo impegno per un cer-

to periodo, almeno di tre anni, e fal-lo con continuità, fedeltà e costanza.Ci saranno dei momenti duri, che tifaranno pensare che non vale la penadi continuare, che ti senti inadegua-to, che i tuoi impegni ti schiacciano,che vorresti fare altre cose più “im-portanti” per te,per il tuo futuro, che

non ti sembra di raccogliere i risulta-ti sperati, che anche in famiglia nonc’è quell’appoggio a sostenere il tuoimpegno, che ti sembra di aver giàdato abbastanza, che...La lista continua e la conosciamo tut-ti fin troppo bene ma sono proprio

questi i veri momenti di ricerca e dicrescita. Chiedi aiuto ai tuoi compa-gni di strada, fermati a riflettere e nonlasciare nulla di intentato. In questecircostanze troverai il calore degliamici e della comunità capi e deglistessi ragazzi che ti sono stati affidati:loro ti capiscono molto bene e prima

ancora di quanto tu possa pensare.Le difficoltà e i dubbi non sono pas-sati, i problemi restano ma la forza ela gioia di quanto pensavi di aver per-so e che ritrovi, ti5 danno speranza ela gioia di andare oltre per continua-re il tuo servizio. Quando la tristezzae la paura ti minacciano, cerca di cac-

ciarle perché non ti aiutano.A voltepuò essere una tentazione quella disoffermarsi nel vittimismo e farsicompatire ma non ti aiuta ad emer-

gere dalle difficoltà.Per fare il capo bene ci vuole gioia,voglia e passione, anche se questonon può essere sempre possibile.Cer-ca di non essere r ipetitivo e fare atti-vità che hai fatto tu nel passato e ma-gari peggio, metti un po’ di fantasia ecreatività, sperimenta anche tu cose

nuove e troverai un rinnovato entu-siasmo.Non tralasciare gli altri tuoi impegniextra scautismo, anche se alcune cosedovrai scartarle, perché il buon caposcout non fa solo il capo scout madeve prima di ogni altra cosa essereun uomo e una donna. Se studia, è in

regola con gli esami, se lavora, è com-petente aiuta i suoi colleghi, se è spo-sato, è un buon coniuge,un buon ge-nitore, un buon cittadino. Fare il ca-po è bello perché ti insegna tuttequeste cose dandoti una carica d’en-tusiasmo in tutto ciò che fai.Queste riflessioni, forse troppo scon-

tate ma proprio per questo a volte di-menticate, mi riportano a ricordare ibellissimi tempi quando ero in servi-zio attivo.Momenti di tensione, di scoraggia-mento, di timori, di scontri con i ge-nitori, di ripensamenti di confronti edibattiti con la comunità capi, con

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Lettera a un capo

l’assistente Lunghi colloqui con ra re e a volte al tuo fianco metodologica e associativa oltre che

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l assistente. Lunghi colloqui con ra-gazzi in crisi, intensi preparativi per leuscite, i campi estivi e invernali, leroute, le imprese, le feste di gruppo, i

rapporti con la parrocchia.Tanto tem-po dedicato al proprio servizio con fa-tica e impegno intellettuale e spiritua-le oltre che fisico. Ricordo certe stan-chezze psicologiche e fisiche ancoracon nostalgia e entusiasmo.Tante cose le farei oggi, molto diver-samente, ma credo che l’impegno

profuso in quei momenti abbiaugualmente dato dei risultati educa-tivi, che non voglio e posso giudica-re, ma che valeva comunque la penadi investire.Per non parlare di quello che riesco-no a darti i ragazzi con la loro esube-ranza e trasgressività che ti spiazza e

mette in crisi ma che è anche capacedi farti riflettere e crescere in un’a-pertura di ascolto, smussando le tuecertezze, orientandoti verso il cam-biamento. Nessuno può dire quantosiano efficaci, per la propria crescitaeducativa, la presenza e la vicinanzadei “fratelli minori” che camminano

con te, a volte dietro il tuo procede-

re e a volte al tuo fianco.Più un capo ama il proprio servizio ei ragazzi che accompagna nel lorocammino, più sente forte la presenza

di Dio che non lascia mai soli e sco-pre la gioia di essere e crescere in unacomunità. Comunità che anch’essaha momenti di stanchezza e di tepo-re, di indifferenza e di tradimenti maanche di grandi momenti di entusia-smo,di vigore e creatività.Tutto que-sto ci deve portare a momenti indi-

spensabili e insostituibili di verifica eanalisi degli obiettivi prefissati, per non correre il rischio di procederesenza méte e senza obiettivi. Anchequesti diventano momenti di crescitae di comunione d’intenti.Un altro punto che mi sembra di po-ter sottolineare è che fare il capo su-

scita il desiderio e il bisogno di anda-re alla ricerca di fonti di formazionee di crescita per migliorare la propriaconoscenza e competenza oltre a far scoprire e riflettere sulla propria vo-cazione.L’associazione crea molte di questeoccasioni con campi di formazione

per tirocinanti, campi di formazione

metodologica e associativa oltre checampi di specializzazione, incentivan-do anche momenti di approfondi-menti personali anche al di fuori di

queste aree.Solo la gioia, l’interesse e l’impegnoda parte del capo di cogliere tuttoquanto lo aiuta e coadiuva alla suacrescita personale, saranno motivo dispontanea adesione a tutte questeproposte e iniziative che l’associazio-ne mette a disposizione dei capi.

Per ultimo ti vorrei ricordare la ric-chezza di quella amicizia duratura esincera che ritrovi e consolidi nel tuoservizio di capo. Sono amicizie chedurano per la vita e che sono forti egenuine. Sono amicizie che, proprioperché vissute nell’impegno di unservizio faticoso e divertente, condi-

viso e convissuto, creano legamiprofondi e duraturi.Questo è un dono gigantesco di cuidobbiamo ringraziare Dio e anchesentirne la splendida eredità.Buona strada, con affetto e gratitudine,

Gege Ferrario

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Non bisogna correre il rischio di ec-

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Essere capo scout, essere un educato-re volontario, è certamente una sceltasignificativa di impegno sociale e ̀ po-litico’, ma … o ci si diverte riuscendo

a coglierne la vera ``bellezza’’ e assa-porandone fino in fondo il gusto, oben presto affatica, esaurisce, stanca.Non è proprio facile fare bene il caposcout oggi: la metodologia è articola-ta, le responsabilità sono diverse, ibambini, i ragazzi, i giovani che ci so-no affidati hanno sempre più bisogno

di “stimoli giusti”, le famiglie sonosempre più esigenti, le diverse realtàsociali, ecclesiali ed istituzionali chie-dono molteplici nostre presenze.Il capo, soprattutto il giovane capo,ri-mane spesso disorientato e strangola-to dall’idea di doverci spendere “trop-po tempo”.

Se così fosse, il rischio di essere soffo-cati dalla “tecnologia” scout, dallemille richieste, esigenze e impegni, fi-nirebbe per schiacciare la passione

educativa, il gusto di risolvere pro-blemi e di vincere scommesse “im-possibili”.Forse oggi per aiutare un capo ad es-sere più consapevole occorrerebbeuna formazione dei Capi impregnatamaggiormente di un atteggiamentoumile nei confronti del sapere e del-

l’esperienza.“S’impara a fare il capo, facendo ilcapo”. La metodologia scout è tuttabasata sulla concretezza e sulla cono-scenza delle tecniche scout che van-no fatte vivere nella prassi attivamen-te, ed adattate uno ad uno rispetto al-le caratteristiche di ogni ragazzo.

Non bisogna correre il rischio di eccessivi teoricismi che non aiutano l’i-ter educativo scout che ha come ca-ratteristica fondante quella del fare e

dell’agire.Il cammino formativo deve svolgersiin modo tale da offrire a ciascun ca-po l’occasione di scoprire e riflette-re sulla propria vocazione la capacitàdi discernere ciò che è bene che luifaccia, oltre che come capo anchecome uomo/donna, che non smette

mai di cercare, di formarsi, di cresce-re in conoscenza, competenza ed en-tusiasmo.Questo atteggiamento di formazionecontinua è da interiorizzare, non fi-ne a se stesso, ma come desiderio dioperare il cambiamento. Senza ilcambiamento si rischia di aggiornar-

si al come pensare secondo le cor-renti di pensiero comune.

La revisione dell’iter

di formazione capi

Sulla base di queste ultime riflessionie dall’analisi dei bisogni espressi daigiovani capi (lettura delle relazioni dei

CFM) il Consiglio Generale 2007 haavviato un percorso di revisione dellaformazione dei capi, che il ConsiglioGenerale 2008 ha concluso con l’ap-provazione dei nuovi “Percorsi For-mativi”.Quattro sono i principi cardine utiliper cogliere il senso culturale e strate-

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Il gusto di far bene le cose

In appendice al numero pubblichiamo l’intervento di Marco

Pietripaoli e Saula Sironi che illustra le ragioni ispiratrici

del nuovo iter di formazione capi

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Comunità Capi, alla Zona, ecc) e via

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quelli che gli aiuti non richiedono si accettano:

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via sempre più scelte dal capo, consa-pevole che la formazione non è undovere ma una vitale opportunità per 

divertirsi ancor di più e meglio con ipropri ragazzi.La cultura della formazione ci potràaiutare ad ampliare il numero di annidi disponibilità al servizio in associa-zione, ad incentivare lo sviluppo asso-ciativo e quindi ad offrire questa me-ravigliosa opportunità di crescita ad un

maggior numero di ragazzi?

Marco Pietripaoli (responsabile regionale Agesci Lombardia)

Saula Sironi 

1 Art. 40 Regolamento Organizzazione -Finalità della formazione dei soci adulti

2 Art. 41 Regolamento Organizzazione -I percorsi formativi

3 Art. 44 Regolamento Organizzazione -I luoghi della formazione

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quelli che… gli aiuti non richiedono, si accettano:

decide il capo clan 

quelli che… fare l’animatore è un servizio delicato ma fondamentale 

quelli che… oramai non bastano più le sedie per tutti,

la comunità capi è davvero diventata 

troppo grande 

quelli che… danno la loro disponibilità solo per un anno 

quelli che… non vogliono che le nostre tensioni ricadano 

sulla pelle dei ragazzi 

quelli che… senza un progetto educativo non si va 

da nessuna parte quelli che… sono capi a disposizione 

quelli che… hanno chiesto un anno sabbatico 

quelli che… arriva ottobre è c’è ancora un buco nei reparti 

quelli che… non possono fare il capo se non hanno 

 fatto il CFA 

quelli che… la comunità capi deve essere una 

comunità educante 

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quelli che… sarebbe meglio che la comunità capi fosse composta solo da giovani 

quelli che… vanno in zona e non fanno servizio in unità 

quelli che… siamo noi 

a cura di Piero Gavinelli e Maurizio Crippa 

C A R T O L I N A D I S O T T O S C R I Z I O N E

P E R L ’ A B B O N A M E N T O 2 0 0 8

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SERVIREPubblicazione scout per educatori

Fondata da Andreae Vittorio Ghetti

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Capo redattore: Stefano Pirovano

Redazione: Andrea Biondi, Stefano Blanco, p. Davide

Brasca, Achille Cartoccio, Roberto Cociancich, Maurizio

Crippa, Roberto D’Alessio, Federica Fasciolo, Federica

Frattini, Laura Galimberti, Mavi Gatti, Piero Gavinelli,

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Collaboratori: Alessandro Alacevich, Maria Luisa Ferrario,

p. Giacomo Grasso o.p., Cristina Loglio, Giovanna

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Questa è l’ultima lettera che Luigi Buizza, capo di Lecco, ha scritto il 26 settembre 1970, a 31

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     I .     R

 .

Carissimo,

se il Signore Iddio ha ascoltato la preghiera di uno

dei suoi figli che gli offriva la propria vita e adagio

adagio questa vita se la prende (giornate come quella

di oggi è come se non ci fossero nel mio calendario),

lodato sia il Signore!Se di questa vita mi rimane qualcosa oltre a quanto

richiedono le necessità di sopravvivenza, è ancora

tutto per te e per quello che tu ami.

Se questo tutto mio sarà poco, ti prego, non

disprezzarlo, tu che hai accettato sorridendo che un

uomo ti lavasse i piedi.

Ora sei Capo, Capo di uomini, puoi lasciare il tuo

segno nella vita dei tuoi ragazzi e la Vita perpetuerà

nelle loro generazioni il frutto del tuo lavoro, nel

bene e nel male.

Tu stesso porti oramai dentro, per te e per gli altri, il

segno e l’opera di chi per te ha vissuto, lavorato,

sofferto, amato.

La dotazione dei tuoi talenti va crescendo: sii

consapevole del loro peso e del loro valore: siine un

saggio, prudente, generoso amministratore.C’è già qualcuno che ringrazia “quotidie” il Signore

per averti incontrato sulla propria strada. Se sarai un

buon Capo, saranno in molti a farlo.

Vorrei dirti di più e meglio: le cose ci sono, dentro,

e le sento, ma il Dolviran addormenta nervi,

cervello e muscoli.

Devo arrivare a venerdì: poi saprò qualcosa del mio

immediato futuro: spero di essere, per allora, capace

di affrontarlo con gioia, quale esso sia.

[…]

anni, prima di cedere definitivamente al tumore che aveva iniziato a manifestarsi dieci anni

 prima. I suoi amici l’hanno ricordato raccogliendo in un volume le sue lettere,con le testimonianze commosse di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.

Queste parole potrebbero essere indirizzate a ciascuno di voi,

che si è assunto l’onore di essere capo.