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LA BASILICATA

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INDICE Introduzione CAPITOLO 1 - Il modello organizzativo e il capitale umano aziendale 1.1 La struttura organizzativa 1.2 Caratteristiche della forza lavoro 1.3 Il turnover aziendale 1.4 Investimenti in capitale umano aziendale 1.5 Evoluzione dei livelli occupazionali CAPITOLO 2 - Gli investimenti

2.1 La propensione ad investire delle imprese 2.2 Gli interventi e gli obiettivi 2.3 Le fonti di finanziamento CAPITOLO 3 - L’innovazione aziendale

3.1 La propensione ad innovare delle imprese 3.2 Le aree ed i canali di innovazione 3.3 Le fonti di finanziamento 3.4 Innovazione e competitività CAPITOLO 4 - L’internazionalizzazione 4.1 La propensione all’export 4.2 Delocalizzazione produttiva 4.3 Internazionalizzazione delle imprese: alcune considerazioni CAPITOLO 5 - La competitività delle imprese 5.1 Il posizionamento competitivo 5.2 Le “leve” della competitività aziendale 5.3 Il livello tecnologico delle imprese Conclusioni

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Introduzione Il presente rapporto regionale evidenzia le tendenze più recenti di un campione

statisticamente rappresentativo dell’universo delle imprese lucane nei settori dell’industria manifatturiera, delle costruzioni, dei servizi di ICT e delle attività turistiche nel 2008. Lo scopo del lavoro sarà quello di evidenziare le caratteristiche e le principali dinamiche di alcuni aspetti di fondo del modello competitivo delle imprese della Basilicata, ed in particolare:

- il modello organizzativo aziendale e l’utilizzo delle risorse umane, un elemento di primaria importanza in un contesto economico dove l’informazione, la conoscenza e la loro elaborazione diventano i fattori ed i processi produttivi fondamentali per creare valore e competere efficacemente;

- gli investimenti ed il loro utilizzo e destinazione: accanto al capitale umano, le imprese utilizzano risorse finanziarie per acquisire capitale fisso o immateriale necessario ai loro cicli produttivi. Occorre quindi comprendere quale sia l’effettiva propensione all’investimento da parte delle imprese lucane, i vincoli e gli ostacoli relativi, e le modalità e finalità verso cui i flussi di investimento sono destinati;

- l’innovazione aziendale. Un modello competitivo vincente, non più imperniato sul mero controllo dei costi di produzione, in grado di essere sostenibile rispetto alla concorrenza sulle fasce di prodotto medio-basse da parte dei Paesi emergenti, richiede una crescente dose di conoscenze tecniche incorporate sia nei prodotti che nei processi. Allora, la leva dell’innovazione diventa uno snodo cruciale per capire quali siano le prospettive di medio termine di un sistema economico;

- l’internazionalizzazione: la capacità di collegarsi con le opportunità ed i grandi processi di fondo che caratterizzano la globalizzazione, si in termini commerciali (aprendo nuovi sbocchi di mercato tramite l’esportazione) sia in termini produttivi (tramite le strategie di delocalizzazione) costituisce, forse, il miglior indicatore diretto del grado di competitività di un tessuto imprenditoriale regionale.

L’obiettivo fondamentale è quello di far emergere alcune caratteristiche di un

modello competitivo di qualità, atte a spostare il profilo del sistema produttivo lucano verso quella “strada alta” per la competizione, per utilizzare l’espressione di m. Salvati, o verso il Nuovo Paradigma Competitivo che, con l’edizione 2007 del presente rapporto, sembrava in via di emersione e diffusione fra le imprese meridionali, come risposta dinamica all’attuale ciclo di difficoltà congiunturali.

Vi sono infatti sempre più numerosi riscontri empirici circa la necessità, per il sistema produttivo italiano in generale e quello meridionale nello specifico, di virare da un modello di competizione basato sul controllo dei costi (reso possibile, e anche vincente, in passato, dall’esistenza di fattori che oggi non vi sono più, dalla possibilità di svalutazione competitiva della lira, al basso costo della manodopera industriale, reso possibile da epocali processi di emigrazione Sud-Nord ed urbanizzazione di lavoratori espulsi dall’agricoltura, alla stessa organizzazione neo-fordista dei processi produttivi,

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oggi superata da forme di organizzazione più flessibili ed articolate) ad un modello fondato su qualità ed innovazione, al fine di ripararsi da una pressione insostenibile sul versante dei costi da parte dei Paesi emergenti, e di presidiare nicchie di mercato ad alto valore aggiunto.

Per le economie delle regioni del Mezzogiorno, tale esigenza è resa ancora più urgente dal fatto che il modello di specializzazione produttivo è molto simile a quello dei Paesi emergenti a basso costo del lavoro, essendo basato su industrie a medio-basso contenuto tecnologico, come il tessile-abbigliamento, il calzaturiero, la meccanica di base, la produzione di mobili ed altri prodotti in legno, l’agroalimentare. Ciò sottopone l’industria del Mezzogiorno ad una pressione competitiva particolarmente feroce, mentre gli altri comparti dell’economia sono spesso connotati o da profili di assistenza pubblica mirata alla mera sopravvivenza e non ad una vera e propria ripresa di competitività (agricoltura), oppure hanno un connotato meramente congiunturale e di assorbimento di manodopera dequalificata che non potrebbe essere impiegata altrimenti (costruzioni, piccoli servizi alla persona, piccolo commercio al dettaglio).

I riscontri empirici e gli studi in materia abbondano. Secondo la fondazione Symbola, che elabora il PIQ (prodotto interno di qualità) per misurare quanta parte del sistema produttivo italiano rientra in parametri basati sul Nuovo Paradigma Competitivo, “l’inizio di questo secolo sarà ricordato per una nuova era di globalizzazione sospinta dalla demografia e dalla tecnologia. La tecnologia ha continuato a svilupparsi e diffondersi e ha messo in comune, quasi di colpo, tutto il capitale umano e fisico del mondo, in un “campo di gioco senza barriere” (level playing field)… Si assiste a una “morte della distanza” che chiede a tutti di essere più competitivi e soprattutto di riposizionarsi su nuovi prodotti o nuovi processi dove la price competition è meno significativa… La concorrenza sui costi contro i paesi emergenti non è oggi un’opzione quantitativamente praticabile. I costi del lavoro e della regolamentazione nelle economie in via di sviluppo sono incommensurabilmente più bassi…Nella nuova divisione internazionale del lavoro occorre dunque ricollocare le nostre attività su segmenti innovativi e profittevoli della catena del valore e su beni e servizi di qualità, scegliendo produzioni in grado di differenziarsi e attrarre domanda… piuttosto che competizione sui costi di prodotti omogenei”.1

Tale modello competitivo, le cui parole d’ordine sono innovazione, qualità, differenziazione per nicchie e valore aggiunto, deriva certo dai procesi di globalizzazione, ma anche dalla Rivoluzione post-industriale che l’economia globale sta vivendo, e che colloca i fattori immateriali della conoscenza e delle competenze al centro dei processi produttivi, in luogo dei fattori materiali (terra,capitale, lavoro fisico e dequalificato). “L’economia è divenuta più volatile e mobile, grazie alle nuove geometrie di flussi di comunicazione e relazioni “ricche” nei processi di creazione del valore. Le nuove condizioni hanno profondamente inciso sull’identità delle imprese e dei territori, smaterializzando i fattori su cui si fondano oggi i vantaggi competitivi delle prime e i vantaggi comparati dei secondi… Di qui l’Economia della Conoscenza

1 D. Siniscalco, “Il Futuro dell’Italia: la sfida della soft economy. Reti, territorio, qualità,

innovazione per appassionarsi e competere”, prolusione alla presentazione del Rapporto PIQ, Montefalco, 22.07.2006

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come metafora dello sviluppo. Diventa pertanto cruciale la capacità del management e degli imprenditori di accedere a informazioni e conoscenze attraverso modalità collaborative di gestione delle relazioni con altri attori… Ne deriva che il successo delle imprese dipende sempre più dall’abilità di utilizzare risorse, soprattutto di conoscenza, in combinazione fra loro, trasformarle in competenze attraverso adeguati processi organizzativi e condividerle con un gruppo vasto di soggetti e organizzazioni. Le competenze rappresentano le radici del successo e della crescita… La consapevolezza dell’importanza del ruolo svolto dalle risorse immateriali fa sì che la competizione per acquisire un vantaggio comparato su risorse e competenze sia addirittura prioritaria rispetto a quella per conseguire un vantaggio competitivo nei mercati e sui prodotti”2.

Altre aree territoriali, italiane, diverse dal Mezzogiorno, stanno raccogliendo le sfide dell’economia della conoscenza, andando in direzione di un nuovo paradigma competitivo. Secondo la ricerca condotta dal prof. Azzariti in collaborazione con Cisco Italia sulle PMI del Nord Est3, le PMI intervistate si suddividono in diverse categorie, in funzione di determinati comportamenti strategici, in riferimento al rapporto con la globalizzazione dei mercati, alle scelte organizzative (propensione alla managerializzazione del sistema di governance, modelli organizzativi adottati), uso della tecnologia e capacità di creare relazioni con l’ambiente scientifico esterno al fine di incentivare l’innovazione aziendale. Ne emerge un quadro in forte movimento e modernizzazione, soprattutto in riferimento alla capacità di introdurre nuovi modelli organizzativi e di governance, più lento in merito alla capacità di attivare network innovativi con il sistema della ricerca esterno.

La domanda cui il presente rapporto cercherà di dare risposta è la seguente: a che punto di tale evoluzione si colloca il Sud, ed una regione come le Basilicata? Il campione di riferimento, utilizzato per dare una risposta ai suddetti interrogativi, è stratificato per settore e province di appartenenza dell’impresa, nonché per diversi incroci significativi, fra i quali la dimensione media in termini di addetti e/o fatturato, l’effettuazione o meno di investimenti, la capacità innovativa e di internazionalizzazione, ed alcune caratteristiche strutturali (appartenenza o meno all’albo degli artigiani, età media del gruppo dirigente, presenza di dipendenti stranieri, previsioni di ampliamento del personale, effettuazione di attività di formazione ed aggiornamento professionale nel 2007, effettuazione di interventi di razionalizzazione energetica).

Tali incroci verranno utilizzati, nell’analisi, a seconda della loro specifica utilità per far emergere, o per meglio spiegare e circoscrivere, i fenomeni di interesse. Di seguito si riportano alcune caratteristiche fondamentali del campione.

2 Prof.ssa Maria Rosaria Napolitano, prolusione per l’apertura dell’anno accademico 2006/2007,

Università del Sannio. 3 “Dall’economia dell’esperienza all’economia della conoscenza diffusa: questa la nuova sfida

per le PMI”, Università Ca’Foscari, Cisco Systems Italia.

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TABELLA 1 Caratteristiche principali del campione

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Numerosità imprese 812 765 185 106 Di cui in provincia di Matera 36,60% 32,80% 38,40% 37,70% Di cui in provincia di Potenza 63,40% 67,20% 61,60% 62,30% Di cui artigiane 33,72% 26,54% 17,30% 14,17% Di cui fino a 50 addetti 94,88% 100,0% 95,16% 97,61% Di cui fra 50 e 250 addetti 4,02% - 1,28% 2,83% Di cui con più di 250 addetti 1,10% - 3,56% - Dicui investitrici 27,85% 21,57% 29,22% 18,96% Di cui innovatrici 11,42% 4,80% 1,28% 6,19% Di cui esportatrici 14,94% - 11,69% - Di cui delocalizzate 7,27% - - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

I dati sopra riportati che, si ricorda, sono statisticamente rappresentativi dell’universo produttivo lucano, indicano già alcune caratteristiche di base, fondamentali per l’analisi successiva. In primo luogo, l’analisi relativa all’innovazione sarà focalizzata soprattutto sul comparto industriale (manifatturiero + costruzioni), così come anche l’analisi riferita all’internazionalizzazione verterà sulle imprese manifatturiere e dei servizi di ICT.

Gli incroci dimensionali, infine, hanno una rilevanza per il manifatturiero e per l’ICT, ma non per gli altri settori, in cui la presenza di piccole imprese è pressoché dominante.

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CAPITOLO 1

IL MODELLO ORGANIZZATIVO E IL CAPITALE UMANO AZIENDALE

Nel presente capitolo, si approfondiranno le questioni riferite alle strategie organizzative interne alle imprese, ed a alcuni aspetti particolarmente qualificanti dei loro metodi di gestione del personale. In particolare, si analizzeranno i tratti caratteristici degli assetti organizzativi delle imprese lucane, cercando di estrapolarne indicazioni circa l’adeguatezza alle esigenze gestionali di una impresa moderna, tenuto conto del fatto che la competizione sta spingendo sempre più in direzione di un accentramento in capo all’impresa di alcune funzioni complesse (come la logistica, la R&S, la pianificazione strategica, il controllo di gestione, la pianificazione commerciale ed il marketing, l’assistenza after sale) che, negli anni Novanta, sulla spinta delle filosofie di outsourcing e di concentrazione sul core business, venivano spesso decentrate.

Oggi, il focus sembra spostarsi: i nuovi concetti di “fabbrica modulare” e di “World class manufacturing” spostano l’attenzione sul mantenimento del controllo diretto sulle fasi a più alto contenuto di servizi e di conoscenze (progettazione, pianificazione, ricerca, coordinamento, gestione del personale, controllo, manutenzione ed assistenza tecnica al cliente) e, addirittura, nelle versioni più “estreme”, verso il decentramento delle fasi più propriamente produttive.

Numerosi esempi, anche in campo manifatturiero, conducono infatti a ritenere che il valore aggiunto delle produzioni si stia sempre più spostando verso il loro contenuto di servizi, più che di bene materiale in sé stesso (tanto per fare un esempio, persino nel settore dell’hardware informatico, le fasi di assistenza tecnica, promozione commerciale, ecc. stanno pesando più della fabbricazione del computer in sé e per sé, tanto che le grandi aziende, come l’IBM, stanno decentrando la fase di manufacturing, e non le fasi a più alto contenuto di servizi).

Si studieranno a fondo le caratteristiche e le dinamiche del capitale umano aziendale che, in questo nuovo contesto dove il valore aggiunto è creato dalle attività di servizio a più alto contenuto di conoscenza ed intelligenza, più che dalle fasi industriali tradizionali (alcuni autori, quali J. Rifkin, a proposito di tale fenomeno, parlano di passaggio dall’”hard economy” alla “soft economy”), diviene l’asset più importante per le imprese. In particolare, ci si soffermerà sulle caratteristiche ed evoluzioni del capitale umano aziendale e sugli investimenti dedicati al miglioramento del personale.

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1.1 La struttura organizzativa

La predetta tendenza generale verso un riaccorpamento delle funzioni aziendali complesse e/o aventi carattere di servizio richiede, ovviamente, assetti organizzativi dimensionati su una scala minima, tale da poter incorporare le funzioni stesse. Se il 95% delle imprese è di piccola dimensione, e solamente una frazione di queste ha natura giuridica societaria, è evidente che non vi sono gli spazi per una articolazione organizzativa minima, e che la struttura di governance, che sarà tipicamente di tipo padronale, concentrerà sul vertice aziendale, costituito spesso dall’imprenditore-titolare, al più affiancato fa qualche famigliare, tutte le attività “rare”.

Pertanto, tranne le attività più strettamente legate al ciclo produttivo (la prduzione e la logistica, a monte, e le funzioni commerciali, a valle) che sono presenti nella maggior parte delle imprese, e che in qualche modo costituiscono il “corpus” minimo di attività che queste devono aver per poter operare normalmente e quindi produrre, si nota una diffusa tendenza verso l’assenza di funzioni complesse e di servizio all’interno delle aziende. L’unica eccezione è costituita dalle funzioni contabili ed amministrative più tradizionali, che confluiscono nell’elaborazione della contabilità di esercizio e che tendono ad essere mantenute in azienda. Viceversa, le attività di servizio meno tradizionali (R&S, ambiente e sicurezza, informatica e tecnologia – con l’ovvia eccezione dell’ICT, per cui tale area costituisce un presidio produttivo diretto – pianificazione strategica e finanziaria) non sono presidiate direttamente dalle imprese.

TABELLA 2

Aree funzionali presenti nelle imprese lucane Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Area finanziaria (credito, finanza) 3,2% 1,2% - Area strategica (marketing, investimenti) 7,5% 4,8% 3,6% 5,2% Area produzione e logistica 45,7% 53,0% 31,8% 28,5% Area ricerca e sviluppo 6,7% - 12,0% 66,5% Area amministrativa e controllo gestione 23,2% 50,5% 40,5% 2,4% Area informatica e tecnologia 2,7% - 35,6% 1,4% Area ambiente e sicurezza (certificazioni) 3,1% 7,2% 2,6% 70,1% Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni) 59,5% 59,0% 38,9% 2,4%

Non indica 7,7% 1,2% - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Ovviamente, la propensione ad internalizzare le funzioni di servizio complesse

cresce al crescere della complessità organizzativa: le imprese aventi natura societaria, con una struttura interna più articolata, tendono ad incorporare maggiormente attività quali la R&S, la pianificazione strategica, la pianificazione commerciale, ecc.

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TABELLA 3

Aree funzionali presenti nelle imprese manifatturiere lucane per forma giuridica

Ditta

individuale Società di persone

Società di capitali

Società cooperativa

Altra forma giuridica Totale

Area finanziaria (credito, finanza) 3,9% 4,7% 1,9% 3,2%

Area strategica (marketing, investimenti) 0,4% 3,2% 14,1% 24,7% 7,5%

Area produzione e logistica 46,4% 44,7% 47,7% 35,2% 25,5% 45,7% Area ricerca e sviluppo 2,4% 4,9% 12,0% 0,7% 6,7% Area amministrativa e controllo gestione 10,1% 20,1% 32,3% 50,7% 23,2%

Area informatica e tecnologia 0,8% 6,5% 0,7% 2,7%

Area ambiente e sicurezza (certificazioni) 2,5% 6,3% 3,1%

Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni)

54,3% 59,6% 60,4% 81,8% 74,5% 59,5%

Non indica 11,3% 7,9% 5,8% 7,7% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

D’altra parte, vi è una diretta correlazione fra età media del gruppo dirigente

aziendale e propensione ad integrare le funzioni di servizio rare. Vi è quindi un vero e proprio salto generazionale: le imprese gestite da dirigenti più giovani hanno, evidentemente, una maggiore percezione dell’importanza di seguire le tendenze più recenti dei metodi di gestione ed organizzazione aziendale, integrando ne funzioni di servizio nelle loro produzioni tipiche, mentre le imprese più “anziane” tendono a seguire un approccio gestionale ed organizzativo più conservatore. Tale tendenza è comune alle imprese di tutti i macro-settori indagati.

A livello territoriale, infine, si nota una maggiore maturità delle imprese potentine, soprattutto nel comparto manifatturiero, riguardo all’esigenza di integrare funzioni complesse nell’organizzazione aziendale, rispetto a quelle materane.

TABELLA 4 Aree funzionali presenti nelle imprese manifatturiere lucane

per età media del gruppo dirigente

Fra 25 e 40

anni Fra 40 e 50

anni Oltre i 50 anni Non indica Area finanziaria (credito, finanza) 1,2% 5,3% 3,9% Area strategica (marketing, investimenti) 8,8% 9,8% Area produzione e logistica 47,4% 48,5% 56,5% 100,0% Area ricerca e sviluppo 1,5% 7,8% 11,3% Area amministrativa e controllo gestione 20,1% 34,8% 42,0% Area informatica e tecnologia 1,7% 4,9% Area ambiente e sicurezza (certificazioni) 2,8% 2,5% 7,4% Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni) 59,5% 76,8% 61,2%

Non indica 7,9% 3,8% 7,8% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

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TABELLA 5 Aree funzionali presenti nelle imprese lucane

per provincia Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Area finanziaria (credito, finanza) 1,8% 4,0% 3,7% - - - - -

Area strategica (marketing, investimenti)

6,2% 8,3% 7,4% 3,6% 3,3% 3,7% 7,4% 3,8%

Area produzione e logistica 45,4% 45,9% 59,3% 50,0% 23,3% 37,0% 18,5% 34,6%

Area ricerca e sviluppo 3,2% 8,7% - - 13,3% 11,1%

Area amministrativa e controllo gestione 24,9% 22,3% 37,0% 57,1% 40,0% 40,7% 55,6% 73,1%

Area informatica e tecnologia 0,7% 3,9% - - 33,3% 37,0% - 3,8%

Area ambiente e sicurezza (certificazioni) - 4,9% 7,4% 7,1% 6,7% - 3,7% -

Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni)

59,7% 59,5% 55,6% 60,7% 30,0% 44,4% 77,8% 65,4%

Non indica 8,5% 7,2% 3,7% - - - - 3,8% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

BOX DI APPROFONDIMENTO L’effettuazione della pianificazione strategica nelle impresa

I dati suggeriscono che l’effettuazione della pianificazione strategica, una attività fondamentale per programmare le strategie complessive delle aziende, dalla logistica e dal rapporto con i fornitori fino al mercato finale, siano soprattutto le imprese manifatturiere (7,5%) aventi natura di società di capitali (14,1%) di dimensione media (50-250 addetti, 38,1%) del settore chimico e della gomma-plastica (20,3%) e metalmeccanico (10,9%) e appartenenti al territorio potentino. Si tratta quindi, in buona parte, di imprese appartenenti all’indotto Fiat, a cui hanno evidentemente tratto degli importanti insegnamenti organizzativi. L’attività di pianificazione viene effettuata, solitamente, direttamente dall’imprenditore (72,1% dei casi nel manifatturiero, 74,7% nelle costruzioni, 78,9% nell’ICT, 77,6% per il turismo) senza coinvolgere il resto del gruppo dirigente e/o i collaboratori e, peraltro, nella maggior parte dei casi, non vi è nemmeno una attività di comunicazione sistematica degli esiti della pianificazione al resto dell’organizzazione imprenditoriale. Ne emerge il quadro di un modello di governance padronale, poco partecipativo, imperniato sulla sola figura

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dell’imprenditore-padrone che, in un contesto di competizione sempre più complesso, difficilmente può considerarsi adeguato, poiché è impossibile che una sola persona detenga tutta la conoscenza necessaria per poter pianificare, mentre l’insufficiente flusso informativo e coinvolgimento del personale rende molto difficile rendere l’intera organizzazione consapevole e coinvolta negli obiettivi di sviluppo dell’azienda. Ciò si trasforma in una difficoltà, da parte delle imprese regionali, ad introdurre sistemi di miglioramento continuo, che, come insegnano i più recenti studi organizzativi, richiedono il pieno coinvolgimento dell’intera struttura aziendale, e non del solo vertice, e sono la base per poter competere e crescere, anche in termini di redditività.

1.2 Caratteristiche della forza lavoro

I settori a maggior concentrazione di “colletti bianchi” sono quelli terziari (ICT e turismo) dove i fattori di produzione non sono di tipo materiale (lavoro, terra, materie prime da trasformare) ma immateriale (conoscenze, competenze, ecc.) e quindi richiedono un bacino di personale da utilizzare in lavori prevalentemente di concetto o di tipo direttivo. Viceversa, i settori industriali hanno un profilo di personale più spostato verso le mansioni di tipo manuale ed operaio.

Va però segnalata una differenza rilevante fra manifatturiero e costruzioni: nel primo caso, prevalgono nettamente gli operai qualificati su quelli comuni. Il contrario si verifica nel secondo caso. Le imprese manifatturiere, quindi, per la natura della loro attività, hanno una maggiore esigenza di personale qualificato, mentre l’edilizia è un bacino di sbocco più rilevante per l’occupazione dequalificata, ma, per le esigenze connesse alla gestione dei cantieri, richiede una quota maggiore di tecnici (geometri, responsabili di cantiere, ecc.) rispetto al comparto manifatturiero.

Tale assetto pone dei quesiti circa l’organizzazione del lavoro nelle imprese manifatturiere: la modesta rilevanza dei tecnici e degli impiegati è il riflesso di una struttura di produzione imperniata direttamente sull’imprenditore-titolare che, senza molti livelli intermedi, coordina direttamente le attività degli operai. Si tratta dunque di una forma di organizzazione da piccola impresa, o da laboratorio artigiano evoluto, di tipo padronale. Ciò è confermato anche dalla modesta diffusione dei quadri e dei dirigenti, un dato condiviso peraltro con tutti i macrosettori, che quindi hanno una tendenza comune verso forme di governance aziendale molto rudimentali e poco articolate, come quelle padronali.

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TABELLA 6 Distribuzione della manodopera per qualifiche e macro-settori

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Dirigenti 3,8% 7,2% 2,3% 10,0% Quadri 5,9% 2,4% 1,3% - Impiegati 38,6% 68,7% 98,7% 48,3% Intermedi 3,1% 7,2% - 11,4% Operai qualificati 71,9% 59,0% 10,4% 60,7% Operai comuni e apprendisti 28,1% 60,2% 8,1% 22,4% Consulenti 4,1% 6,0% 5,8% 1,4% Non indica 1,5% - - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Più nello specifico, l’inquadramento gerarchico per area funzionale mostra che un minimo di differenziazione fra diverse tipologie di professionalità si riscontra solamente nelle aree “core” dell’attività aziendale (quindi nella produzione-logistica e nel commerciale) mentre nelle funzioni aventi una natura maggiormente strategica (R&S, pianificazione, ecc.) si ha tendenza ad utilizzare solamente dei dipendenti, privi di un responsabile ad un livello gerarchico superiore, o, al limite, qualche consulente per svolgere attività che per le quali i dipendenti non hanno una adeguata preparazione, specie nelle imprese minori, che evidentemente non hanno una forza-lavoro adeguata a svolgere tutte le tipologie di attività che la funzione di riferimento richiede.

Fra l’altro, non si riscontra alcuna significativa differenza fra imprese piccole ed imprese medio-grandi in termini di presenza di una articolazione organizzativa minima. Si può quindi concludere che, da un lato, le imprese più piccole non hanno, proprio per la loro dimensione, una articolazione organizzativa sufficiente per supportare funzioni dirigenziali e funzioni esecutive in ogni area, specie in quelle non direttamente connesse con le attività produttive e di vendita principali. Le imprese più grandi, di converso, sono spesso costituite da singoli stabilimenti produttivi di gruppi industriali extra-regionali, che hanno le funzioni “complesse” attestate presso la casa-madre/controllante ubicata fuori dal territorio lucano. Per cui, spesso, in tali realtà, le funzioni rare sono assenti, o nel migliore dei casi sono presidiate da gruppi ristretti di impiegati (spesso da un solo funzionario) che rispondono a superiori gerarchici operanti da fuori regione.

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TABELLA 7 Distribuzione della manodopera per qualifiche, funzioni e classe dimensionale di

addetti nell’industria manifatturiera Finanza Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 87,7% - - Non indica 12,3% - -

Area strategica Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 100,0% 100,0% - Consulente 18,6% 2,0% -

Area produttiva/logistica Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 97,5% 100,0% 100,0% Consulente 1,7% - - Manager interinale 0,9% - - Non indica 1,5% - - Ricerca e sviluppo Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 89,1% 100,0% 100,0% Consulente 14,3% 3,6% - Non indica 10,9% - - Area amministrativa Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 99,1% 100,0% 100,0% Consulente 4,3% - -

Informatica e tecnologia Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 100,0% 100,0% 100,0%

Ambiente e sicurezza Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 100,0% 100,0% - Consulente 11,2% - - Area commerciale Classe di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Dipendente fisso 96,9% 100,0% 100,0% Consulente 3,0% 1,2% - Manager interinale 0,3% - - Non indica 1,8% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

L’età media dei gruppi dirigenti aziendali è relativamente giovane, ma solo in alcuni casi specifici, ovvero nelle PMI manifatturiere e nelle medie imprese turistiche, mentre in altri settori si evidenziano età medie anagrafiche molto più avanzate. Il comparto delle costruzioni e quello turistico-ricettivo di piccola dimensione, in particolare, evidenziano delle vere e proprie caratteristiche di senescenza dei loro dirigenti. Anche nell’ambito del manifatturiero, settori più tradizionali, quali l’agroalimentare (26,5% delle imprese hanno dirigenti ultracinquantenni), il tessile

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(21,5%) ed il legno (20,5%) hanno percentuali significative di imprese gestite da dirigenti più anziani.

TABELLA 8

Distribuzione delle imprese per macrosettore, dimensione media di addetti ed età media dei gruppi dirigenti aziendali

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Fino a 50 Da 51 a 250 Totale Fra 25 e 40 anni 46,0% 42,2% 11,2% 3,6% 36,5% - 20,2%

Fra 40 e 50 anni 40,8% 29,6% 88,8% 54,5% 54,0% 100,0% 39,0%

Oltre i 50 anni 13,1% 28,2% - 41,9% 6,0% - 40,7% Non indica 0,0% - - 100,0% 3,6% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Sono soltanto le imprese più giovani quelle che mettono in luce una significativa propensione ad effettuare attività di formazione ed aggiornamento professionale a beneficio dei propri dipendenti. Le imprese gestite da un management più anziano tendono a sottovalutare gravemente la questione, il che non è certo un buon modo per competere efficacemente: significa che le imprese più “anziane”, che in molti settori dell’economia lucana, specie quelli più tradizionali, sono la maggioranza, non sono inserite in un circuito competitivo efficace e moderno, basato sulla qualità e l’innovazione, che richiede competenze e professionalità molto qualificate.

GRAFICO 1 Distribuzione delle imprese manifatturiere per età media dei gruppi dirigenti

aziendali e propensione ad effettuare formazione ed aggiornamento professionale nel 2007 e nel 2008

41,6%

51,3%

7,1%

44,8%49,1%

6,1%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

Fra 25 e 40 anni Fra 40 e 50 anni Oltre i 50 anni

2007 2008

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

15

Quanto alla forza-lavoro complessivamente a disposizione, emerge un quadro piuttosto preoccupante: nelle piccole imprese manifatturiere, così come in quelle delle costruzioni, la maggior parte degli addetti ha una scolarità media che non supera il livello dell’obbligo. I laureati sono presenti in percentuali significative solo nelle imprese manifatturiere medio-grandi ed in quelle dell’ICT, per motivi diversi: nel primo caso, la dimensione dell’azienda impone che vi sia del personale con le dovute qualifiche che possa esercitare i compiti tipici del coordinamento e del controllo, essenziali in unità organizzative di dimensioni cospicue. Nel secondo caso, è proprio la natura altamente tecnologica delle attività tipiche dell’impresa che richiede laureati.

Ad ogni modo, e questo è un altro elemento piuttosto inquietante, è molto carente la componente tecnica della manodopera: i periti industriali o di settore, i laureati in discipline tecnico-scientifiche sono sparute minoranze negli organici aziendali. Tale fenomeno, oltre che alimentare processi di emigrazione di professionalità tecniche verso altre regioni, indebolisce la base professionale delle imprese, perché mancano proprio quelle figure che, per formazione, dovrebbero lavorare sulla gestione e controllo dei processi produttivi, ma anche apportare uno stimolo verso l’innovazione ed il miglioramento qualitativo.

Con una simile base occupazionale quindi, è molto difficile che le imprese lucane possano evolvere verso modelli competitivi di qualità, basati su innovazione e miglioramento dei processi e delle produzioni.

TABELLA 9 Distribuzione delle imprese per macrosettore, dimensione media di addetti e livelli

di scolarizzazione media della forza lavoro Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Fino a 50 Da 51 a 250 Totale Scuola dell'obbligo 51,7% 17,7% 36,7% 68,0% 5,3% 80,0% 43,4%

Scuola media superiore

45,4% 64,8% 34,5% 26,5% 66,5% 20,0% 50,9%

- di cui tecnici-professionali

2,4% 0,2% 0,0% 1,2% 0,2% 0,0% 0,0%

Diploma di laurea 2,9% 17,5% 28,8% 5,4% 28,2% 0,0% 5,6% - di cui in materie tecnico-scientifiche

0,2% 0,0% 0,0% 0,0% 0,3% 0,0% 0,0%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Va anche detto, però, che le propensioni più elevate ad effettuare attività di formazione ed aggiornamento professionale si concentrano proprio nelle imprese che utilizzano manodopera meno scolarizzata, quindi la destinazione delle attività formative è da ritenersi sostanzialmente corretta.

Sembra quindi che il fenomeno che si sta verificando è quello di un investimento formativo mirato a compensare i gap nell’offerta di professionalità in uscita dai sistemi educativi, scolastici e/o universitari. In sostanza, se il sistema educativo non fornisce professionalità adeguate, le imprese, grazie anche ai cospicui finanziamenti in tal senso erogati dal FSE, investono massicciamente in formazione continua.

16

Un simile sistema, se può funzionare per le imprese, è tuttavia molto costoso per la collettività, perché, accanto ai massicci investimenti per tenere in piedi un sistema educativo che non genera le professionalità richieste esattamente dal sistema produttivo, vi è un successivo, massiccio investimento pubblico per la formazione continua.

Peraltro, come si è visto prima, solo le imprese gestite da dirigenti giovani investono significativamente in formazione; per cui, per le imprese (che rappresentano una quota significativa del tessuto produttivo in tutti i comparti dell’economia) che hanno gruppi dirigenti più vecchi e/o meno propensi a fare formazione, la manodopera risulta essere gravemente dequalificata, almeno in termini di skills e conoscenze di base, e non gli viene data la possibilità di evolvere tramite programmi formativi e di aggiornamento. Tali imprese, che possiamo considerare come il nucleo più tradizionale del sistema produttivo lucano, sono quindi condannate a rimanere in una posizione competitiva marginale, e non possono accedere a modelli di competitività più qualificati e redditizi.

GRAFICO 2

Distribuzione delle imprese manifatturiere per scolarizzazione della manodopera e propensione ad effettuare formazione ed aggiornamento professionale nel 2007- 2008

38,2%

51,3%

0,2%

10,5%

36,0%

57,3%

4,6% 6,7%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

Scuola dell'obbligo Scuola media superiore - di cui tecnici-professionali

Diploma di laurea

2007 2008

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Sotto il profilo di una analisi settoriale più dettagliata, e con riferimento al comparto industriale, i settori più “tradizionali”, nel senso or ora descritto, sono quelli dell’agroalimentare, del legno, del tessile, della lavorazione dei minerali non metalliferi, della chimica di base, e di tutte le fasi del ciclo di lavoro delle costruzioni, con l’eccezione del settore del genio civile che, richiedendo una maggiore attività di progettazione, ha anche una maggiore dotazione di tecnici e laureati.

17

D’altro canto, i settori a maggior contenuto tecnologico, come l’industria meccanica e la chimica fine, hanno ovviamente un maggior bisogno di personale qualificato, e dunque hanno una maggiore dotazione di laureati e tecnici.

18

Tabella 10 Distribuzione delle imprese per settore e scolarizzazione media della forza lavoro

Alimentari, tabacco

Tessili Conciarie, cuoio

Legno e prodotti in

legno

Cellulosa e fibre

chimiche

Raffinerie di petrolio, prodotti

chimici e in gomma

Estrazione e lavorazione di minerali non metalliferi

Metalmeccani-che,

apparecchiature meccaniche e

elettriche

Altre manifatturiere

Preparazione del

cantiere edile

Edilizia e genio civile

Installazione di

servizi in un

fabbricato

Lavori di completamento di edifici

Scuola dell'obbligo

58,0% 61,1% 27,5% 50,1% 31,9% 43,5% 66,9% 36,6% 51,5% 80,0% 65,1% 65,3% 69,1%

Scuola media superiore

37,1% 37,3% 70,6% 48,2% 64,0% 56,5% 33,1% 56,9% 42,7% 20,0% 26,1% 33,1% 28,3%

- di cui tecnici-professionali

0,1% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 7,3% 1,7% 0,0% 0,0% 7,8% 0,0%

Diploma di laurea

5,0% 1,7% 1,9% 1,7% 4,1% 0,0% 0,0% 6,5% 5,8% 0,0% 8,9% 1,5% 2,5%

- di cui in materie tecnico-scientifiche

0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,5% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

19

BOX DI APPROFONDIMENTO La presenza di manodopera straniera nelle imprese lucane

La diffusione dei fenomeni di migrazioni interne ha messo a disposizione delle imprese, soprattutto per le fasce di qualificazione più basse, una riserva di manodopera, generalmente a basso costo, particolarmente utile per sistemi produttivi, come quello lucano, imperniati su una ampia platea di imprese con un profilo professionale della forza lavoro spostato verso le mansioni più dequalificate. In certe aree del Paese, come il Nord Est, l’utilizzo di forza-lavoro extracomunitaria è divenuto irrinunciabile per i sistemi industriali locali. In Basilicata, l’industria manifatturiera locale non ha ancora introiettato tale possibilità, sia perché i flussi migratori in entrata sono, rispetto a molte altre regioni anche del Sud, piuttosto modesti, sia perché prevale ancora una resistenza culturale, da parte di molti datori di lavoro, ad impiegare manodopera che, non provenendo dal luogo, non è conosciuta (sia perché vi è una ovvia reticenza a dichiarare l’utilizzo di manodopera straniera che, spesso, è impiegata in nero). Infatti, ben il 90,7% delle imprese manifatturiere ed il 96,4% di quelle dell’ICT intervistate ha dichiarato di non utilizzare manodopera straniera. Nelle imprese in cui questa viene usata, non supera l’1,1% del totale dei dipendenti nel manifatturiero o lo 0,2% nel caso dell’ICT. La percentuale di imprese prive di dipendenti stranieri scende nelle costruzioni (80,8%) e nel turismo (76,8%) perché tali settori tendono, come si è visto, ad occupare una maggiore quota di lavoratori dequalificati, per la quale gli extracomunitari hanno una maggiore possibilità di accesso. Ad ogni modo, in generale, l’utilizzo di manodopera straniera è del tutto marginale nell’economia regionale: anche in tali settori, infatti, la percentuale di dipendenti stranieri sull’organico totale non supera l’1,8% (edilizia) e il 6,3% (turismo). Gli stranieri lavorano soprattutto nelle imprese minori; nel manifatturiero, la quota di stranieri sul totale dei dipendenti sale al 3,9% nel caso delle ditte individuali. Gli stranieri sono inquadrati, come era prevedibile, nelle mansioni operaie: nel manifatturiero, il 51,4% è costituito da operai qualificati, il 29,9% da apprendisti o operai generici; nelle costruzioni, tali percentuali sono del 31,3% e del 68,7%, nel turismo del 55,2% e del 22,4%.

2.3 Il turn over aziendale

Il turnover, misurato come il rapporto fra neoassunti all’anno e consistenza media dell’organico aziendale negli ultimi cinque anni, è una indicazione della capacità delle

20

imprese regionali di rinnovare il proprio personale, inserendo giovani neoassunti che, generalmente portano nuova linfa, in termini di produttività e creatività alle imprese stesse.

La capacità di rinnovare il personale aziendale è, per tutti i settori e per tutte le qualifiche, molto modesta, e riflette la prolungata fase di stagnazione produttiva che ha colpito gran parte del sistema economico lucano in questi ultimi anni, in linea con un trend economico nazionale non molto brillante. Le imprese non hanno, in generale, gli spazi di mercato per poter incrementare il proprio personale, al di là della fisiologica sostituzione di chi se ne va, per motivi di pensionamento o dimissioni. La rotazione in questione sembra particolarmente modesta per le qualifiche operaie, ed in particolare per operai comuni e dequalificati. Ciò indica come i modesti tassi di turnover non dipendano da una strategia di “retention” del personale più qualificato, quanto piuttosto dall’incapacità di assumere tipica di fasi di rallentamento sui mercati.

Viceversa, il tasso relativamente più elevato di turn over dei dirigenti può considerarsi fisiologico, nella misura in cui tale categoria è soggetta, per definizione, ad alti tassi di instabilità lavorativa. Tuttavia, anche tali qualifiche “superiori” (ivi compresi i quadri) non sembrano andare molto al di là di una mera rotazione fisiologica, e ciò indica una situazione di relativo “ingessamento” dei gruppi dirigenti aziendali, che, fra l’altro, ne può spiegare l’elevata età media in precedenza riscontrata in numerosi comparti dell’economia regionale. Infatti, con riferimento alle imprese manifatturiere, il turnover dei dirigenti e dei quadri è elevato, rispettivamente, nel 5% e nel 2,3% dei casi per le aziende con gruppi dirigenti più giovani (fra i 25 ed i 40 anni di età media) mentre non vi è alcun caso di turnover elevato di dirigenti e/o quadri per le aziende con gruppi dirigenti composti da ultracinquantenni.

Tale fenomeno si trasforma in una vera e propria barriera all’entrata per i giovani professionisti locali, costretti spesso a dolorose scelte di emigrazione. Ciò incide anche, negativamente, sulla capacità delle imprese di innovare ed essere creative, poiché gruppi dirigenti “inamovibili” tendono a perdere progressivamente la loro capacità di innovare. Tutto questo non può non essere un fattore che penalizza la competitività complessiva del sistema produttivo lucano.

TABELLA 11 Saldi fra imprese che hanno avuto un turnover “trascurabile” ed “elevato” per

settore e qualifica professionale Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Dirigenti 57,8 39,6 66,4 67,9 Quadri 68,9 80,7 83,2 81,0 Impiegati 60,4 51,8 65,1 67,9 Intermedi 70,1 91,5 84,5 77,2 Operai qualificati 52,1 65,0 84,5 58,3 Operai comuni e apprendisti 67,4 65,1 79,6 61,5 Consulenti 66,3 89,1 84,5 77,2 Fonte: Elaborazione OBI, SRM Con riferimento al manifatturiero, è evidente che tassi significativamente diffusi di turnover sono presenti solamente nelle imprese che, nel biennio 2006-2007, hanno effettuato innovazioni (imprese innovatrici). Tale dato dimostra con chiarezza come vi

21

sia un legame diretto fra capacità di innovare e strategie di gestione del capitale umano basate sulla valorizzazione dei giovani talenti e sullo “svecchiamento” degli organici aziendali.

GRAFICO 3

Percentuali di imprese manifatturiere che hanno dichiarato di aver avuto un turnover “elevato” per effettuazione di innovazioni nel 2006-2007 e per qualifica

professionale

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

35,0%

40,0%

Dirigenti Quadri Impiegati Intermedi Operaiqualificati

Operai comunie apprendisti

Consulenti

Innovatrici Non innovatrici

Fonte: Elaborazione OBI, SRM 1.4 Investimenti in capitale umano aziendale In tutti i settori dell’economia lucana, sia per il 2007 che per il 2008, la quota di

imprese che hanno effettuato investimenti in formazione professionale del loro personale è minoritaria, e, con l’eccezione del solo comparto manifatturiero, è in ulteriore calo fra 2007 e 2008. Ciò costituisce un’ulteriore evidenza di una sostanziale assenza di una strategia sistematica di valorizzazione del capitale umano aziendale, che già si è notata nei bassi tassi di turnover, nell’adozione di modelli di pianificazione e gestione non partecipativi, ecc.

La maggior parte delle imprese lucane, semplicemente, non include il potenziamento del capitale umano fra le sue variabili competitive. Si tratta di un errore di sottovalutazione molto grave, che non può essere spiegato solo con un eventuale e temporaneo calo fisiologico del flusso di risorse pubbliche a valere sul FSE che potrebbe essersi verificato, nel 2007-2008, a causa del passaggio da un ciclo di programmazione dei fondi strutturali all’altro. Infatti, fra le imprese che hanno investito in formazione, solo nel 20% dei casi, nell’ambito dell’industria manifatturiera

22

e del turismo, nel 2,7% dei casi, nelle costruzioni e nel 9,3% per l’ICT si è fatto ricorso, come fonte di finanziamento principale, ad un contributo pubblico regionale. Negli altri casi (ovverosia nella grande maggioranza dei casi) in cui le imprese hanno investito in innovazione, lo hanno fatto con risorse interne aziendali. Quindi, chi ha voluto investire in formazione lo ha fatto anche indipendentemente dall’utilizzo del FSE (il che, ovviamente, non vuol dire che il FSE non sia uno strumento di grande utilità per stimolare la propensione ad effettuare formazione). Tra l’altro, è da notare che l’edilizia, che è il settore che ha fatto minor ricorso ai fondi pubblici, è anche quello con la maggior percentuale di imprese che hanno fatto formazione. Quindi non vi è un nesso diretto ed automatico fra disponibilità di risorse pubbliche e propensione a fare formazione al proprio personale.

TABELLA 12 Distribuzione delle imprese per effettuazione di investimenti di formazione

professionale nel 2007 e nel 2008 2007 Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Si 17,1 42,1 22,4 27,1 No 81,7 57,9 77,6 72,9 2008 Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Si 19,5 38,5 17,5 18,6 No 76,7 61,5 82,5 79,0

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

GRAFICO 4 Fonti di finanziamento principali per gli investimenti in formazione professionale

73,3%

89,4% 90,7%

72,3%

20,0%

2,7%9,3%

20,0%4,5% 5,2%0,9% 2,7%

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turism Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Da un punto di vista dimensionale, nel comparto manifatturiero, l’investimento in

attività di formazione è stato sopportato principalmente dalle imprese medio-grandi che, naturalmente, hanno le risorse finanziarie e l’articolazione organizzativa interna che possono giustificare un investimento formativo. Fra le imprese minori, invece,

23

prevale la tendenza, forse spiegabile anche dalla minor disponibilità di risorse finanziarie, a non fare formazione al personale.

TABELLA 13

Distribuzione delle imprese manifatturiere per effettuazione di investimenti di formazione professionale nel 2007 e nel 2008 e per classe media di addetti

2007 2008 Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Si 14,3% 70,6% 66,4% 18,8% 22,8% 66,4% No 84,6% 29,4% 22,4% 78,2% 58,1% 22,4% Non indica 1,2% - 11,2% 3,1% 19,1% 11,2%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

I settori produttivi manifatturieri che evidenziano una maggiore propensione a effettuare formazione professionale sono quelli a medio-alto contenuto tecnologico (chimica di base e fine, metalmeccanica) ma anche il settore della concia del cuoio, che, pur non avendo un contenuto innovativo particolare, ha evidentemente bisogno di incrementare il livello qualitativo delle proprie produzioni, valorizzando a tal fine il capitale umano aziendale.

TABELLA 14

Percentuali di imprese che hanno effettuato formazione nel 2007-2008 per i settori manifatturieri dove la propensione a formare è più alta della media di comparto

Conciarie, cuoio Cellulosa e fibre chimiche

Raffinerie di petrolio, prodotti

chimici e in gomma

Metalmeccaniche, apparecchiature

meccaniche e elettriche

Totale

2007 31,3% 22,5% 29,0% 19,5% 17,1% 2008 31,3% 13,4% 18,8% 30,4% 19,5%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Più in generale, in un contesto complessivo di bassa propensione a formare, le imprese ad alto contenuto tecnologico fanno più formazione rispetto a quelle dei settori più tradizionali. E’ ovvio infatti che le imprese ad alta tecnologia abbiano una esigenza di aggiornamento continuo dei propri addetti alle novità tecnologiche del settore ben più impellente rispetto a settori dove la traiettoria tecnica e tecnologica è più lenta e meno dinamica.

TABELLA 15 Percentuali di imprese che hanno effettuato formazione nel 2007-2008 per

contenuto tecnologico del settore di riferimento Manifatturiero Costruzioni ICT

Alta tecnologia Bassa

tecnologia Alta tecnologia Bassa

tecnologia Alta tecnologia Bassa

tecnologia Si 28,6% 8,7% 47,7% 35,8% 26,1% 10,0% No 70,8% 89,8% 52,3% 64,2% 73,9% 90,0%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

24

Sotto il profilo territoriale, infine, si nota, in tutti i settori, una maggior propensione ad effettuare investimenti in formazione professionale, dunque ad avere una strategia di valorizzazione del capitale umano aziendale, nel tessuto produttivo potentino. Quello materano, da questo punto di vista, presenta quindi un certo ritardo.

TABELLA 16 Distribuzione delle imprese per effettuazione di investimenti di formazione

professionale nel 2007 e nel 2008 e per provincia 2007 2008 Matera Potenza Matera Potenza Manifatturiero 15,9% 17,8% 15,3% 21,9% Costruzioni 33,3% 46,4% 29,6% 42,9% ICT 16,7% 25,9% 10,0% 22,2% Turismo 14,8% 34,6% 11,1% 23,1%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

La dinamica dell’attività di formazione nel 2007 e 2008 mostra che il comparto manifatturiero ha notevolmente incrementato la quota di dipendenti formati nell’anno in corso, rispetto ad una crescita del 2007 molto più modesta. Tale accelerazione è da attribuirsi a tutti i comparti dimensionali più importanti nel contesto produttivo lucano: le imprese minori hanno un salto notevole nella propensione a fare formazione, ma anche quelle medie evidenziano una crescita, seppur meno brillante. Viceversa, le imprese più grandi, anche se arrestano la decrescita della loro propensione a fare formazione registrata nel 2007, non evidenziano comunque nessun incremento di personale formato per il 2008. probabilmente, tale comportamento è da attribuirsi ad una minore necessità di formazione da parte delle imprese maggiori, che tendono, come si è visto anche in precedenza, a reclutare personale già dotato di un livello di scolarizzazione di base più elevato, quindi avente, rispetto al tessuto produttivo delle imprese più piccole, minori fabbisogni di ulteriore formazione “tradizionale” in aula.

Anche le imprese del segmento turistico-ricettivo mettono in luce una buona propensione ad accrescere lo sforzo di formazione professionale, nel tentativo di recuperare un gap formativo che, come si è visto in precedenza, è molto diffuso fra le imprese del settore.

Viceversa, il comparto dell’ICT non manifesta alcuna propensione ad accrescere la quota di dipendenti formati, che tende addirittura a diminuire nelle costruzioni. Con riferimento a tale ultimo settore, tuttavia, va ricordato che il comparto edile è quello in cui vi è la maggiore diffusione di imprese che hanno effettuato formazione (probabilmente anche a causa degli obblighi di legge in materia di formazione per la sicurezza del lavoro sui cantieri) e, quindi, una certa riduzione del numero di dipendenti da formare può essere anche fisiologica per imprese che hanno già svolto attività formative in precedenza.

25

TABELLA 17 Tassi di variazione del numero di dipendenti formati sull’anno precedente, per

comparto di attività Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Totale Totale 2007 1,8% 0,9% -3,0% 1,4% -2,1% 0,0% 5,6% 2008 11,3% 1,7% 0,0% 10,4% -2,0% 0,0% 5,9%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Quanto alla modalità organizzativa dei corsi, prevale nettamente la formazione interna all’impresa stessa, tranne che per il comparto delle costruzioni, in cui la maggior parte dei rispondenti ha preferito affidarsi a strutture di formazione esterne. Da notare anche la debole propensione all’utilizzo di forme di training on the job, tramite affiancamento a personale interno già skillato. Tale modalità prevale solamente nelle imprese più piccole dove le risorse finanziarie disponibili non consentono di sostenere i costi per attivare corsi strutturati e tradizionali, e dove la modesta entità dimensionale richiede che tutti gli addetti siano sempre disponibili sulle linee di produzione, non potendosi allontanare per periodi di formazione in aula (ad esempio, nel manifatturiero, il 14,3% delle imprese con meno di 500.000 euro di fatturato annuo ha utilizzato tale modalità informale di formazione, a fronte di una media di comparto del 13,7%; nelle costruzioni, tale percentuale, nella classe d fatturato minima, ha raggiunto l’11,2%, contro un valore medio di 9,4%).

GRAFICO 5 Modalità di formazione previste dalle imprese per il 2007

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turism Fonte: Elaborazione OBI, SRM Proprio con riferimento alla questione dei costi, la sensazione prevalente fra le

imprese intervistate è che non vi sia nessuna significativa variazione del costo di formazione fra 2006 e 2008. Vi è tuttavia una significativa differenza di tipo dimensionale: le imprese più piccole, o aventi una dimensione di mercato più ridotta, tendono a subire incrementi dei costi mediamente superiori rispetto alla media

26

complessiva del loro comparto produttivo di appartenenza: evidentemente, nel mercato della formazione vi sono delle economie di scala, che le imprese più piccole, con un minor numero di dipendenti da formare, non possono conseguire, mentre le imprese più grandi, inviando un maggior numero di persone ad attività formative, possono spuntare prezzi unitari meno onerosi.

Dal punto di vista settoriale, sono soprattutto le imprese turistiche ad avvertire un costo superiore che, a loro avviso, nel biennio 2007-2008 potrebbe essere cresciuto del 13% complessivo. Si tratta di una particolarità settoriale, probabilmente legata a specificità nelle attività formative specifiche per le necessità di tale comparto.

TABELLA 18a

Distribuzione delle imprese industriali per andamento del costo della formazione nel 2007-2008 e per classe di fatturato annuo – manifatturiero

2007 sul 2006

Totale Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di

euro

Da 1 a 3 milioni di

euro

Da 3 a 5 milioni di

euro

Da 5 a 10 milioni di

euro

Oltre 10 milioni di

euro Superiore 9,4% 8,9% 8,2% 2,4% - 12,2% 7,5% Uguale 76,3% 89,8% 91,8% 97,6% 100,0% 15,3% 81,7% Inferiore - 1,3% - - - 72,5% 4,5% Non indica 14,3% - - - - - 6,4%

2008 sul 2007 Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di

euro

Da 1 a 3 milioni di

euro

Da 3 a 5 milioni di

euro

Da 5 a 10 milioni di

euro

Oltre 10 milioni di

euro Superiore 28,6% 42,4% 9,9% 3,4% - 9,5% 24,3% Uguale 58,7% 52,7% 90,1% 96,6% 100,0% 34,2% 64,2% Inferiore - 3,9% - - - 56,3% 4,4% Non indica 12,8% 1,0% - - - - 7,2%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

TABELLA 18b Distribuzione delle imprese industriali per andamento del costo della formazione

nel 2007-2008 e per classe di fatturato annuo – costruzioni

2007 sul 2006

Totale Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di

euro

Da 1 a 3 milioni di

euro

Da 3 a 5 milioni di

euro

Da 5 a 10 milioni di

euro

Oltre 10 milioni di

euro Superiore 30,1% 22,1% - - 100,0% - 20,0% Uguale 30,1% 77,9% 100,0% 100,0% - 100,0% 68,6% Inferiore 39,9% - - - - - 11,4%

2008 sul 2007

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di

euro

Da 1 a 3 milioni di

euro

Da 3 a 5 milioni di

euro

Da 5 a 10 milioni di

euro

Oltre 10 milioni di

euro Superiore 33,3% - - - - - 9,4% Uguale 22,4% 77,9% 83,2% 100,0% 100,0% 100,0% 68,8% Inferiore 44,3% - - - - - 12,5% Non indica

22,1% 16,8% - - - 9,4%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

27

TABELLA 19a Distribuzione delle imprese di servizi per andamento del costo della formazione nel

2007-2008 e per classe di fatturato annuo – ICT

Totale Fino a 500 mila

euro Da 500 mila a 1 milione di euro

Da 1 a 3 milioni di euro

Da 3 a 5 milioni di euro

Superiore - - - 100,0% 10,2% Uguale 100,0% 100,0% 100,0% - 89,8%

Fino a 500 mila

euro Da 500 mila a 1 milione di euro

Uguale 100,0% 100,0% 100,0% - 100,0% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

TABELLA 19b Distribuzione delle imprese di servizi per andamento del costo della formazione nel

2007-2008 e per classe di fatturato annuo –turismo

Totale Fino a 500 mila euro Da 500 mila a 1 milione

di euro Da 1 a 3 milioni di euro Superiore 14,8% 83,7% - 35,3% Uguale 85,2% - 100,0% 59,6% Non indica - 16,3% - 5,1%

Fino a 500 mila euro Da 500 mila a 1 milione

di euro Da 1 a 3 milioni di euro Superiore 21,0% 100,0% - 38,7% Uguale 79,0% - - 48,4% Non indica - - 100,0% 12,9%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

1.5 Evoluzione dei livelli occupazionali

L’ultimo aspetto che rimane da analizzare con riferimento alle politiche aziendali

per il capitale umano è come queste abbiano impattato sull’evoluzione dei livelli occupazionali complessivi. La lunga fase di stagnazione della crescita economica si è riflessa sulla modesta capacità delle imprese di attivare forme di ampliamento della propria base occupazionale. Vi è ovviamente una difficoltà finanziaria ad accollarsi ulteriori oneri di personale, così come a valorizzare, tramite investimenti formativi, il personale esistente, come già visto. Un indizio di ciò è che sono soprattutto le imprese più piccole, quelle più direttamente colpite dagli effetti recessivi dell’attuale ciclo macroeconomico, quelle che evitano forme di crescita dimensionale (nel manifatturiero, l’80,1% delle imprese con meno di 50 addetti non prevede di attivare forme di crescita della propria base di addetti nell’immediato futuro, a fronte del 79,5% totale; nel turismo, tale percentuale, per le imprese minori, raggiunge l’84,3%).

Questo fatto è particolarmente preoccupante, nella misura in cui, come già molte volte ribadito, anche nelle passate edizioni del presente rapporto, una delle strade per

28

recuperare competitività nel sistema produttivo lucano è quella di attivare forme di crescita dimensionale delle imprese. Le analisi di Unioncamere e dell’Istituto Tagliacarne hanno già da anni individuato una “middle class” di imprese di media dimensione, scaturenti da processi di crescita dimensionale, che si sono affermate sui mercati anche internazionali, ed hanno evitato le conseguenze della crisi dell’economia, mettendo a segno risultati congiunturali in controtendenza rispetto agli andamenti generali. Viceversa, sembra che le piccole imprese regionali, sull’onda delle difficoltà di mercato e finanziarie, stiano rinunciando alle prospettive di attivare una crescita dimensionale ed a raggiungere la “classe media” vincente sui mercati.

Sotto il profilo territoriale, le difficoltà di espansione della base occupazionale che si riscontrano nel comparto industriale manifatturiero si concentrano soprattutto nel materano, così come per il terziario (ICT e turismo) sono soprattutto le imprese materane a rinunciare ad attivare nuove assunzioni di personale.

TABELLA 20

Distribuzione delle imprese per capacità di espandere la propria base occupazionale nel prossimo futuro per provincia e macrosettore

Matera Potenza Totale Manifatturiero Si 16,2% 19,2% 18,1% No 79,5% 79,6% 79,5% Non indica 4,3% 1,2% 2,4% Costruzioni Si 14,8% 14,3% 14,5% No 81,5% 85,7% 84,3% Non indica 3,7% - 1,2%

ICT Si - 22,2% 13,7% No 96,7% 77,8% 85,0% Non indica 3,3% - 1,3% Turismo Si 3,7% 19,2% 13,4% No 92,6% 69,2% 78,0% Non indica 3,7% 11,5% 8,6%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

TABELLA 21 Distribuzione delle imprese manifatturiere per capacità di espandere la propria

base occupazionale nel prossimo futuro per settore

Alimen-tari

tabacco Tessili Conciarie

cuoio

Legno e prodotti in

legno

Cellulosa e fibre

chimiche

Raffinerie di petrolio,

prodotti chimici e in

gomma

Estrazione e lavorazione di minerali

non metalliferi

Metalmeccani- che,

apparecchiature meccaniche e

elettriche

Altre manifattu-

riere 13,4% 18,9% 18,8% 26,7% 13,8% 18,8% 14,2% 20,8% 20,5% 82,8% 81,1% 81,3% 73,3% 81,9% 66,7% 85,8% 77,9% 78,3%

3,8% - - - 4,4% 14,5% - 1,3% 1,2%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

29

Sul versante delle pari opportunità, il settore che ha la maggior propensione ad

assumere personale femminile è quello turistico, probabilmente in virtù della particolare distribuzione dei profili professionali tipica del settore (per cui si richiedono figure, dal personale amministrativo a quello di servizio e pulizia, che tipicamente hanno una abbondante offerta di lavoro femminile). Al contrario, il comparto delle costruzioni non assorbe pressoché alcun addetto di sesso femminile, anche in questo caso per le evidenti caratteristiche delle attività da svolgere e delle figure professionali richieste. Nell’ambito del manifatturiero, i settori a maggior assorbimento di manodopera femminile sono la chimica di base (88,5% delle nuove assunzioni di sesso femminile) che, come meglio si vedrà di seguito, concentra la sua domanda di lavoro su personale impiegatizio, quindi su un profilo di attività dove vi è un’ampia possibilità di assumere personale di sesso femminile, il tessile-abbigliamento (45,7%) e la lavorazione del cuoio e delle pelli (40%) oltre che l’industria alimentare (44,4%). Tali settori hanno una domanda di lavoro più spostata sulle qualifiche operaie e/o tecniche, per cui evidentemente vi sono alcune attività di questo genere che si prestano particolarmente al lavoro femminile (specie nel settore tessile, alcune caratteristiche come ad es. l’avere le mani e le dita particolarmente piccole, sono importanti in alcune fasi di lavorazione del prodotto).

GRAFICO 6 Percentuale di neo assunte di sesso femminile sul totale dei neo assunti previsti per

macro settore

15,1

0

5,6

39,7

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

La marginalità del fenomeno di creazione di nuovo impiego, per il prossimo futuro, porta a chiedersi se la ristretta percentuale delle imprese che recluteranno nuovi assunti sia intenzionata ad acquisire professionalità particolari e di interesse specifico, oppure qualifiche di livello più generalista. Come si evince dalla tabella sottostante, la richiesta di professionalità elevate (dirigenti e quadri) proviene solamente dal comparto manifatturiero e da quello turistico, ed in prevalenza dalle imprese localizzate in provincia di Potenza. In generale, si richiede la disponibilità di manodopera operaia

30

qualificata, in tutto il comparto industriale, e tale fabbisogno è evidenziato soprattutto dalle imprese materane. Il comparto dell’ICT, che non ha bisogno di operai ma di tecnici, richiede tale figura professionale, insieme a personale impiegatizio, ma solamente sul territorio di Potenza. Le imprese dell’ICT materano non prevedono dunque alcun significativo processo di reperimento di nuove professionalità nel prossimo futuro.

La richiesta di professionalità generiche, poco qualificate (operai generici ed apprendisti) si concentra soprattutto nelle costruzioni, in provincia di Potenza. Pertanto, ad una debole e poco diffusa capacità di creare nuovo impiego, si affianca (tranne che per l’eccezione del comparto edile) una richiesta di professionalità molto mirata e specifica, concentrata perlopiù su determinate qualifiche tecniche o dirigenziali. Le imprese chiedono meno manodopera, ma più qualificazioni specifiche,e ciò è coerente con la necessità di disporre di competenze specifiche, necessarie per operare in un contesto produttivo ed economico sempre più complesso.

TABELLA 22 Distribuzione delle qualifiche richieste dai neoassunti previsti

Matera P o tenza To ta le Mate ra P o tenza To ta le P o tenza To ta le Matera P o tenza To ta leDirigenti 10,7% 12,0% 11,6% - - - - - 40,0% 35,8%Quadri - 6,0% 4,0% - - - - - - - -Impiega ti 25,3% 43,5% 37,5% 25,0% 8,4% 83,3% 83,3% 60,0% 53,7%Inte rmedi - 0,3% 0,2% - - - 33,3% 33,3% - - -Opera i qua lifica ti 77,1% 45,9% 56,1% 100,0% 75,0% 83,4%

- -100,0% - 10,5%

ICT Turis moManifa tturie ro Co s truzio ni

Fonte: Elaborazione OBI, SRM Tali professionalità dalla qualificazione molto specifica, specie nel segmento degli

incarichi di tipo direttivo o semi-direttivo, vengono reclutate per coprire determinate posizioni, e sono quindi funzionali ad un disegno organizzativo ben preciso. In particolare, le aree funzionali che saranno implementate e/o presidiate tramite un responsabile di funzione a seguito dell’ingresso dei nuovi dipendenti sono quelle produttiva e logistica, seguite dalla funzione commerciale e delle pubbliche relazioni, e, in settori specifici come l’ICT, l’area informatica e tecnologica. Molto bassa risulta esser invece la percentuale di imprese che presidieranno l’area R&S, a testimonianza della scarsa incidenza dei processi innovativi aziendali nel tessuto imprenditoriale lucano. In sostanza, anche a seguito del reclutamento di professionalità ad alta specializzazione, le imprese tendono a replicare un modello organizzativo basato sul presidio del sole aree strettamente essenziali per il funzionamento normale dell’impresa: la logistica, la produzione e l’area commerciale. Esattamente le stesse aree che, dal paragrafo 2.1, risultavano essere già quelle più presenti e diffuse fra le imprese lucane.

Quindi, si conferma un tratto molto “tradizionalista” nelle strategie organizzative e del personale delle imprese regionali, già evidenziato tramite numerosi parametri (la scarsa attitudine ad acquisire personale ad alta scolarizzazione, la modesta propensione

31

a formare, ecc.). Neanche tramite le procedure di reclutamento di nuovo personale, le imprese regionali riescono a modificare il proprio assetto organizzativo, introducendo funzioni rare ed a alta ricaduta competitiva, come la R&S, la finanza, la pianificazione strategica, ecc.

TABELLA 23

Aree funzionali presidiate da un responsabile a seguito dell’introduzione in azienda dei neo assunti

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Area finanziaria (credito, finanza) 6,7% - - 17,9% Area strategica (marketing, investimenti) 7,8% 16,6% - - Area produzione e logistica 51,9% 50,0% 33,3% 28,4% Area ricerca e sviluppo 6,5% - 16,7% - Area amministrativa e controllo gestione 9,4% 16,6% - - Area informatica e tecnologia 5,4% - 33,3% 17,9% Area ambiente e sicurezza (certificazioni) 5,3% - - - Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni) 37,0% 33,4% 16,7% 53,7% Non indica 11,1% - - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM Tale fenomeno è ovviamente il riflesso di una insufficiente articolazione organizzativa di gran parte del sistema produttivo lucano, imperniato su una larga maggioranza di imprese molto piccole, con forme giuridiche e quindi assetti di governance e di organizzazione aziendale molto semplici, se non elementari. Infatti, con riferimento al manifatturiero, solo le forme giuridiche più complesse, di tipo societario (con esclusione delle società cooperative, che però rappresentano un fenomeno marginale nell’economia della Basilicata) presentano una articolazione per funzioni sufficientemente ricca e complessa. Le imprese più piccole e più semplici, che costituiscono la maggioranza delle unità produttive regionali, come le imprese individuali, presidiano solamente le funzioni strettamente fondamentali (produzione e vendita).

TABELLA 24 Aree funzionali presidiate da un responsabile a seguito dell’introduzione in azienda

dei neo assunti per forme giuridiche nell’industria manifatturiera

Ditta

individuale Società di persone

Società di capitali

Società cooperativa Totale

Area finanziaria (credito, finanza) - 21,9% - 7,5% 6,7% Area strategica (marketing, investimenti) - 10,3% 10,3% 7,5% 7,8% Area produzione e logistica 62,2% 29,4% 56,2% 76,6% 51,9% Area ricerca e sviluppo - 1,2% 14,7% - 6,5% Area amministrativa e controllo gestione - 18,6% 10,2% - 9,4% Area informatica e tecnologia - 4,9% 9,7% - 5,4% Area ambiente e sicurezza (certificazioni) - - 12,7% - 5,3% Area commerciale (clienti, fornitori,Pubbliche Relazioni) 19,1% 35,7% 35,6% 90,6% 37,0%

Non indica 18,8% 11,1% 9,7% - 11,1% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

32

Con riferimento alla tipologia di addetti che verranno inseriti in ogni area funzionale in qualità di responsabili di funzione, la scelta fra un inquadramento da dipendente ed uno da consulente/collaboratore esterno è nettamente a favore della prima categoria. Ciò, da un lato, può segnalare l’esigenza, da parte delle imprese, di internalizzare il più possibile determinate figure dirigenziali ad alta specializzazione, ma dall’altro evidenziano comportamento per certi ersi anomalo: generalmente, un responsabile di funzione non è inquadrato come un dipendente, ma ha un contratto di dirigente basato sul principio del cosiddetto “intuitu personae”, perché in questo modo il mantenimento del suo posto è direttamente collegato al raggiungimento degli obiettivi assegnatigli dal vertice aziendale, e quindi egli può essere facilmente rimosso se non si rivela all’altezza della situazione.

L’inquadramento dei responsabili di funzione con contratti da dipendenti, da un lato, segnala come vi sia una certa sottovalorizzazione dei ruoli dirigenziali, tipica delle piccole imprese a gestione padronale e familiare, e dall’altro come vi sia una scarsa capacità di collegare la funzione ricoperta al raggiungimento degli obiettivi di budget, il che può essere alla radice di una certa incapacità di acquisire modelli manageriali moderni e basati su azioni ed obiettivi.

TABELLA 25

Inquadramento dei responsabili di funzione nell’industria manifatturiera, valori % risposte multiple

Area finanziaria Dipendente fisso 100,0% Area strategica Dipendente fisso 100,0% Consulente 27,1% Area produzione e logistica Dipendente fisso 90,6% Consulente 4,1% Non indica 9,4% Area R&S Dipendente fisso 100,0% Consulente 32,5%

Area amministrativa e controllo di gestione Dipendente fisso 100,0% Consulente 45,3%

Area informatica e tecnologica Dipendente fisso 25,2% Non indica 74,8%

Area ambiente e sicurezza Dipendente fisso 60,2% Non indica 39,8% Area commerciale Dipendente fisso 100,0% Consulente 5,7%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

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BOX DI APPROFONDIMENTO Le caratteristiche delle imprese che non prevedono un ampliamento dell’organico

La percentuale delle imprese che non amplieranno il proprio organico nel prossimo futuro è talmente ampia da dover essere spiegata in maniera più specifica. L’elemento esplicativo principale è costituito, come già anticipato, dalle difficoltà economiche generali, che non lasciano spazio ad incrementi di organico. Infatti, il 47,9% delle imprese manifatturiere, il 62,8% di quelle delle costruzioni, l’81,4% dell’ICT e il 67,8% del turismo preferiscono adottare una politica di “riorganizzazione del proprio organico” piuttosto che di ampliamento dello stesso, evidentemente, per i minori oneri derivanti da un incremento di efficienza dell’organico attuale, piuttosto che dall’assunzione di nuovi elementi. A conferma di ciò, vi è che il secondo motivo (indicato, rispettivamente, dal 41,7%, dal 32,9%, dal 16,8% e dall’11,5% delle imprese manifatturiere, edili, dell’ICT e del settore turistico-ricettivo) di non assunzione è che le condizioni economiche attuali in cui versa l’azienda non consentono ampliamenti di organico. Ovviamente, le imprese più piccole, con minori risorse finanziarie e spesso più colpite dalle condizioni attuali del ciclo macroeconomico, sono quelle che avvertono il vincolo economico-finanziario alle assunzioni in maniera più intensa. Infatti, nel manifatturiero, la motivazione delle condizioni economiche inadeguate è segnalata dal 52,6% delle imprese che non superano i 500.000 euro annui di fatturato, una percentuale che è, nella medesima classe dimensionale, pari al 52,9% nelle costruzioni. Al di là del ciclo economico generale non favorevole, le condizioni di creazione di nuova occupazione derivano anche dalla capacità delle imprese di reagire, adottando modelli competitivi moderni Infatti, nel manifatturiero, la quota di imprese che assumeranno addetti aggiuntivi (pari al 18,1%) sale al 34,7% per chi effettuerà nel 2008 investimenti in R&S, contraddicendo il sentimento comune secondo cui l’innovazione sarebbe “labour saving”. Inoltre, la percentuale di imprese che assumeranno sale al 21,9% nel caso di chi esporta e addirittura al 62,1% nel caso di chi ha delocalizzato (si smentisce un altro luogo comune: chi delocalizza ha un maggior bisogno di professionalità per il coordinamento e la pianificazione di una struttura organizzativa articolata in più Paesi). Quindi, parte degli spazi per assumere nuovo personale sono creati dalla capacità delle imprese di creare nuovi spazi di mercato, sia per le caratteristiche tecniche dei prodotti, sia per le strategie commerciali e di internazionalizzazione che queste sono in grado di mettere in campo.

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CAPITOLO 2

GLI INVESTIMENTI

3.1 la propensione ad investire delle imprese La base per costruire concretamente un modello competitivo efficace e in grado di

far uscire il sistema economico lucano dall’attuale fase di prolungata stagnazione è rappresentata dalla realizzazione dei necessari investimenti.

Sotto questo profilo, ed in linea con una tendenza riscontrata anche negli anni precedenti, la propensione ad effettuare investimenti da parte delle imprese regionali è piuttosto bassa. In linea di massima, nei vari settori analizzati, e nel biennio 2006-2007, circa una impresa su tre ha realizzato investimenti (una quota che scende, nel manifatturiero, quasi ad una impresa su quattro). L’eccezione è costituita dal settore delle costruzioni che, come già verificato in riferimento al segmento specifico degli investimenti in formazione del personale, segnala un dinamismo superiore al resto dell’economia regionale. Il clima di fiducia delle imprese poco ottimistico, collegato a previsioni sull’andamento dell’economia non favorevoli, incide negativamente anche per il 2008, dove, ad eccezione di un lieve miglioramento nel comparto manifatturiero, si riscontra un ulteriore peggioramento della propensione ad investire.

TABELLA 26

Propensione ad investire delle imprese 2006/2007 Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Si 22,6% 43,3% 32,5% 32,7% No 76,0% 55,5% 62,7% 67,3% Non indica 1,5% 1,2% 4,8% -

2008 Si 27,9% 21,6% 29,2% 19,0% No 65,8% 68,7% 63,7% 76,2% Non indica 6,4% 9,6% 7,1% 4,8%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Vi è evidentemente un vincolo di tipo dimensionale, nel senso che l’attivazione di flussi consistenti di investimenti dipende anche dalla disponibilità di risorse finanziarie e di un adeguato livello di capitale circolante, che, nelle imprese più piccole, è meno abbondante, rendendo più difficoltosa l’attività di investimento stessa. Di conseguenza, le imprese minori (meno di 50 addetti) sono quelle che evidenziano un livello di capacità di investimento meno significativo, e la capacità di investire cresce al crescere della dimensione media.

35

GRAFICO 7

Propensione ad investire nel 2008 nell’industria manifatturiera per classe dimensionale di addetti, valori %

25,6%

68,5%

5,9%

67,4%

13,5%19,1%

77,6%

22,4%

00,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

Si No Non indica

Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250

Fonte: Elaborazione OBI, SRM Sotto il profilo territoriale, in tutti i settori analizzati sono le imprese potentine ad

evidenziare le percentuali più alte di capacità di investimento, sia per il 2006-2007 che per il 2008. Particolarmente significativo il distacco nelle costruzioni: le imprese edili materane, nello scorso biennio, investono solo nel 29,6% dei casi, a fronte di un 50% di imprese potentine, e per il 2008 le percentuali sono del 7,4% a fronte del 28,6%. La modestissima capacità di investimento delle imprese della provincia di Matera, trasversale a tutti i comparti produttivi analizzati, può essere sintomatica di una situazione economica locale particolarmente critica, che si è riflessa in un peggioramento particolarmente acuto delle condizioni finanziarie delle imprese. I settori tipici di specializzazione dell’economia materana sono fra quelli in cui si è verificata la più bassa capacità di investimento: il settore delle “altre manifatturiere”, che racchiude il polo del mobile imbottito, in forte crisi di mercato, nel 2006-2007 ha visto solo il 25,4% di imprese che hanno investito, e tale percentuale scende al 20,9% nel 2008. L’industria alimentare, diffusa anche sul territorio materano, ha investito solo nel 22% dei casi, una quota anche in questo caso decrescente per il 2008 (18,8%). Solo una impresa turistica materana su tre ha investito nel 2006-2007, e tale quota tende quasi a dimezzarsi per il 2008.

Se si riflette sul fatto che le imprese materane sono anche quelle che hanno evidenziato la maggiore difficoltà ad assumere nuovo personale nel prossimo futuro, si deduce che il cuore delle difficoltà economiche che la Basilicata sta attraversando in questo ultimo periodo si concentra soprattutto in detta provincia, un tempo motore dello sviluppo industriale e turistico di tutta la regione, ed oggi alle prese con la crisi dei suoi principali poli produttivi.

36

TABELLA 27 Propensione ad investire delle imprese per comparto e provincia

2006/2007 Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Si 17,9% 25,2% 29,6% 50,0% 13,3% 44,4% 29,6% 34,6% No 78,3% 74,7% 66,7% 50,0% 80,0% 51,9% 70,4% 65,4% Non indica 3,8% 0,1% 3,7% 6,7% 3,7% -

2008 Si 19,0% 33,0% 7,4% 28,6% 16,7% 37,0% 18,5% 19,2% No 71,1% 62,7% 85,2% 60,7% 76,7% 55,6% 81,5% 73,1% Non indica 9,9% 4,3% 7,4% 10,7% 6,7% 7,4% - 7,7%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

La percentuale minoritaria di imprese che investono, tuttavia, effettua uno sforzo finanziario abbastanza significativo, poiché le percentuali medie di incidenza del costo degli investimenti sul fatturato si approssimano molto al 20% e, nel terziario (soprattutto fra le imprese informatiche e di TLC) superano anche tale soglia. Quindi chi investe si accolla un impegno finanziario (ed un livello di rischio) non indifferenti, rendendo quindi ancora più ampio il gap comportamentale e competitivo che esiste fra imprese investitrici (che realizzano uno sforzo notevole) ed imprese non investitrici.

Va tuttavia notato che l’incidenza media degli investimenti sul fatturato tende, in forma generalizzata, a declinare fra 2006/2007 e 2008, evidentemente a causa di previsioni pessimistiche circa l’andamento del ciclo macroeconomico nell’anno in corso. Particolarmente forte risulta il calo degli investimenti delle imprese turistiche, evidentemente perché le proiezioni fatte dagli imprenditori su arrivi e presenze non sono particolarmente favorevoli.

GRAFICO 8 Incidenza % media del costo degli investimenti sul fatturato aziendale

17,3% 16,4%

24,8% 24,7%

16,6%12,3%

21,2%

14,3%

0,00%

5,00%

10,00%

15,00%

20,00%

25,00%

30,00%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

2006-2007

Come già v Fonte: Elaborazione OBI, SRM

37

isto su vari aspetti, l’economia potentina conferma la sua immagine più dinamica rispetto a quella materana. Specie nei comparti industriali, e per il settore turistico limitatamente al 2008, le imprese della provincia di Potenza dedicano ad investimenti una maggiore quota di fatturato, evidentemente in virtù di migliori condizioni di liquidità complessiva. Il contrario si verifica invece per l’ICT che, a Matera, può contare su realtà imprenditoriali più grandi e consolidate (si pensi ad es. a Telespazio, ed al polo di imprese che ruotano attorno all’ASI). In tal caso, sono le imprese materane ad evidenziare un maggiore sforzo di investimento (anche se va comunque ricordato che le imprese materane dell’ICT che investono costituiscono una percentuale nettamente inferiore rispetto a quelle potentine).

TABELLA 28 Quota % degli investimenti sul fatturato aziendale per comparto e provincia

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza

Livello incidenza investimenti 2006-2007 16,1% 18,0% 14,5% 16,9% 30,0% 24,0% 26,4% 23,8%

Livello incidenza investimenti 2008 16,6% 16,6% 6,5% 13,8% 26,7% 19,7% 8,8% 17,5%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

2.2 Gli interventi e gli obiettivi

In un contesto che, come si è visto, è caratterizzato da una significativa difficoltà nel fare investimenti, il gruppo minoritario di imprese che sono riuscite ad effettuare spese in conto capitale si è concentrata in larga misura (ed in alcuni comparti in via quasi esclusiva) su investimenti di tipo immobiliare o sul capitale fisso, destinati a rinnovare locali ed attrezzature ed impianti.

Modesta è risultata essere la capacità di investimento in innovazione, specie di prodotto, che richiede una capacità progettuale ed una conoscenza dei mercati e della frontiera tecnologica del proprio settore che è molto difficile da acquisire, specie per piccole imprese che operano su contesti di mercato localistici. Da questo punto di vista, l’innovazione di processo è più facile da realizzare, nella misura in cui è costituita, in larga parte, da macchinari ed impianti di produzione forniti da imprese esterne, per cui non si necessita di una autonoma capacità innovativa interna all’impresa acquirente.

Tuttavia, va segnalato come il terziario, ed in particolare il settore turistico, da questo punto di vista, evidenzi un certo grado di dinamismo: il 36% delle imprese ricettive ha infatti innovato il servizio esistente, mentre il 24,2% ha offerto nuovi servizi, in precedenza non esistenti nell’azienda. Anche l’ICT ha percentuali di innovazione di prodotto superiori rispetto al comparto secondario dell’economia lucana.

Ovunque modesti risultano essere gli investimenti in innovazione organizzativa e gestionale, ad ulteriore testimonianza di quanto già analizzato nel precedente capitolo, e cioè che le strategie di riorganizzazione e valorizzazione degli assetti interni delle imprese lucane sono molto poco diffuse. Significativamente, il comparto delle

38

costruzioni, che, come visto in precedenza, è stato quello più dinamico nel tentare di mettere in piedi strategie di miglioramento organizzativo, è quello in cui gli investimenti in innovazione organizzativa sono i più diffusi.

Infine, solo nel manifatturiero si riscontra una percentuale significativa di imprese che hanno investito per aprire nuovi stabilimenti, grazie alla filiera del tessile e della moda (le imprese tessili hanno effettuato tale investimento nel 50% dei casi, quelle della lavorazione delle pelli e cuoio nel 25%) e nella chimica di base e gomma/plastica (43,9%) e soprattutto per le imprese localizzate in provincia di Potenza (24%).

TABELLA 29 Aree di intervento degli investimenti effettuati per comparto, risposte multiple

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Rinnovo locali e attrezzature 37,6% 86,1% 51,9% 85,4% Innovazione dei processi produttivi o innovazione dei servizi esistenti (*) 24,3% 5,5% 31,6% 36,0%

Innovazione tecnologica degli impianti 34,1% 33,2% 48,1% 26,4%

Innovazioni organizzative e gestionali 5,1% 13,9% 3,8% 10,7%

Apertura nuovi stabilimenti 22,3% - 6,8% - Introduzione di nuovi prodotti 10,5% 11,1% 20,3% 24,2% Altro 0,7% 11,2% 13,5% - Non indica 0,1% - - - (*) l’innovazione nei servizi esistenti è per il comparto turistico; per tutti gli altri, è innovazione nei processi produttivi

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Maggiori dettagli rivengono da una analisi degli obiettivi alla base dei programmi di investimento aziendali. Si scopre così un fatto molto interessante, e potenzialmente molto importante in chiave di rilancio della competitività dell’apparato produttivo lucano: le imprese investono soprattutto in miglioramento della qualità dei loro prodotti e servizi; nel comparto turistico tale motivazione è pressoché unanime. E non si tratta di investimenti in mera acquisizione di certificazioni di qualità, che sovente sono meri documenti formali, che al più attestano la qualità dei processi e non dei prodotti, ma proprio di uno sforzo di agire direttamente sulle caratteristiche intrinseche e percepite dal consumatore del prodotto, per accedere a segmenti di mercato a più alto valore aggiunto.

Corrispondentemente, gli investimenti mirati semplicemente a ridurre i costi di produzione sono molto meno rilevanti. Sembra quindi emergere, nel segmento delle imprese lucane che effettuano investimenti (che sono comunque una minoranza nel tessuto produttivo locale) una consapevolezza circa la necessità di abbandonare un paradigma competitivo basato sulla sola competitività di costo, non più sostenibile di fronte alla concorrenza internazionale dei Paesi emergenti a basso costo del lavoro, per abbracciare un paradigma competitivo che, sulla scorta delle indicazioni dei migliori centri studi (fra cui anche la fondazione Symbola, che calcola uno specifico indicatore, il PIQ – prodotto interno di qualità, per stimare quanta parte dell’industria italiana

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produce secondo canoni competitivi moderni4) si fonda sulla qualità intrinseca e percepita, sull’immagine, e quindi sulla possibilità di ricevere, in cambio di una maggiore qualità, un premium price dal mercato.

L’aumento stesso delle quantità prodotte appare un obiettivo molto meno importante, poiché, in un mercato in cui, da anni, i consumi sono in stagnazione se non in calo, conta vendere piccole quantità, ma su target disposti a pagare tale premium price, quindi con un valore aggiunto per unità venduta superiore, che non vendere grandi quantità di prodotti indifferenziati ed a basso prezzo, che il mercato non assorbe più, o che comunque non sono competitivi rispetto alla concorrenza dei Paesi terzi.

Pertanto, le voci di investimento più importanti notate in precedenza, ovvero le spese per rinnovo di impianti, macchinari ed attrezzature, nonché, più genericamente, per innovazione di processo, sono destinate primariamente a riconfigurare gli assetti produttivi interni, al fine di migliorare la qualità finale. Se l’innovazione tecnologica di prodotto è ancora latente, le imprese lucane, che operano in larga misura in settori e produzioni tradizionali ed a basso contenuto tecnologico, scelgono la strada di apportare miglioramenti ai prodotti già realizzati tradizionalmente.

TABELLA 30 Obiettivi degli investimenti effettuati per comparto, risposte multiple

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Contenimento dei costi di produzione 29,0% 13,9% 21,1% 38,8% Miglioramento della qualita dei prodotti 52,1% 63,8% 79,7% 96,1% Aumento delle quantità prodotte 33,9% - 21,1% - Adeguamento a norme di tutela ambientale 10,9% 11,1% 3,8% 42,7% Adeguamento agli standard di settore 19,7% 19,4% 40,5% 21,3% Certificazione di qualità 25,2% 33,4% 6,8% 3,9% Sponsorizzazione eventi e manifestazioni culturali/benefiche 3,0% - - - Altro 3,9% 8,3% - - Non indica 1,5% - 6,8% -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Una analisi settoriale più fine mostra come il cruccio di un miglioramento qualitativo dei prodotti, benché ripartito su tutti i settori dell’economia, appartenga soprattutto alle imprese della filiera della moda, alla chimica, a quelle imprese edili che si occupano delle rifiniture dei fabbricati (molto più sensibili al giudizio qualitativo del cliente rispetto invece alla fase di costruzione della base del fabbricato) alle imprese informatiche e di telecomunicazione ed al comparto ricettivo, in maniera uniforme, nel senso che non sono soltanto gli alberghi a preoccuparsi di migliorare il loro servizio, ma anche forme di ricettività, quali i campeggi, i motel ecc. che, tradizionalmente, essendo destinati ad una clientela con minori intenzioni di spesa, avevano trascurato maggiormente la qualità. Oggi, di fronte alle crescenti difficoltà del comparto, la consapevolezza di dover offrire un servizio migliore appartiene a tutte le imprese.

Inoltre, in tutti questi settori, ad eccezione della chimica, gli investimenti destinati alla riduzione dei costi di produzione rappresentano quote molto basse, se non

4 I criteri di tale nuovo paradigma competitivo sono i seguenti: qualità, competenza, ricerca,

innovazione e valore aggiunto.

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trascurabili, delle imprese. Vi è quindi un vero trade-off fra la scelta di un modello competitivo basato sull’offerta di prodotti a basso costo e modesta fascia qualitativa, ed una “via alta” alla competitività, che è esattamente l’opposto.

GRAFICO 9 Settori con la più alta percentuale di imprese che hanno investito in miglioramento

dei prodotti/servizi, valori %

0,0%20,0%40,0%60,0%80,0%

100,0%120,0%

Tess

ili

Con

ciar

ie, c

uoio

Cel

lulo

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fibr

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Info

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i

Contenimento dei costi di produzione Miglioramento della qualita dei prodotti

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

La scelta di adottare un modello competitivo fondato su qualità e valore aggiunto viene fatta soprattutto dalle imprese più piccole, aventi la forma giuridica più semplice (ditte individuali). Sono queste, più che le imprese di dimensioni medio-grandi, il vero motore propulsivo di un nuovo approccio verso una competizione più efficace, forse anche perché, rispetto alle imprese più strutturate, hanno un maggior ritardo da recuperare in tal senso. Ciò rappresenta comunque un fattore molto importante: le imprese minori, più colpite dalla crisi economica di questi ultimi anni, sono anche quelle che hanno messo in luce una capacità reattiva, perlomeno in termini di destinazione degli investimenti, più evidente.

Naturalmente, va sempre ricordato il fatto che l’analisi riguarda solamente la minoranza di imprese che hanno effettuato investimenti, che, nel caso delle piccole imprese, è particolarmente ridotta. Quindi, il discorso, per quanto importante sotto il profilo qualitativo, va ridimensionato sotto quello quantitativo, nella misura in cui stiamo parlando di un piccolo drappello di imprese di eccellenza, che si distacca nettamente dalla grande maggioranza delle piccole imprese regionali, che non accede alla capacità di effettuare investimenti.

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TABELLA 31 Percentuale di imprese che hanno investito in miglioramento della qualità per

forma giuridica

Ditta individuale Società di persone Società di capitali Manifatturiero 53,8% 48,8% 53,7% Costruzioni 74,8% 100,0% 52,1% ICT 100,0% 64,0% 78,6% Turismo 100,0% - 100,0%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM Inoltre, la percentuale di imprese che investono in qualità, con riferimento al comparto manifatturiero, è sistematicamente superiore alla media quando queste adottano anche una strategia di internazionalizzazione. Se ne deduce quindi che innovazione ed internazionalizzazione commerciale rappresentano, in numerosi casi, altrettante sfaccettature di una stessa medaglia, ovvero di una strategia complessiva di competitività, aperta alla sfida posta alla globalizzazione dei mercati e della concorrenza. Sfida che si fa prima di tutto sulla qualità, e solo secondariamente sui costi, dato che questa seconda destinazione degli investimenti, per le imprese esportatrici, è senz’altro meno importante.

TABELLA 32 Percentuale di imprese che hanno investito in miglioramento della qualità per

propensione ad esportare

Esportato nel 2007 Esporta nel 2008 Valore totale Contenimento dei costi di produzione 34,6% 29,4% 29,0% Miglioramento della qualita dei prodotti 75,9% 79,9% 52,1%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

BOX DI APPROFONDIMENTO Imprese ed efficienza energetica

La tematica dell’efficienza energetica è divenuta, stante il rapido incremento dei prezzi dell’energia, una variabile competitiva sempre più importante per le imprese, e quindi anche una importante opzione di destinazione di investimenti specifici. Tuttavia, le imprese industriali lucane non hanno ancora, se non in piccola quota, compreso l’importanza di tale tipologia di investimento, anche se l’incremento della propensione ad investire in efficienza energetica delle imprese manifatturiere nel 2008 può lasciar trapelare una progressiva presa di coscienza in tal senso. Nel manifatturiero, le imprese che investono in efficienza energetica sono il 9,5% del totale nel 2006-2007 e il 13,7% nel 2008. Nelle costruzioni, tali percentuali sono rispettivamente del 16,9% e del 15,6%. Nell’ICT, del 2,3%. Nel turismo, del 32,1% e del 48,3%.

42

La diversa incidenza di tale voce di spesa per i vari comparti può derivare anche da un diverso grado di accesso ai contributi pubblici più interessanti in materia. Ad esempio, il turismo ha acceduto nel 60,2% dei casi a contributi per sistemi di illuminazione intelligente, nel 16,1% ad incentivi per il solare termico e nell’11,8% per sistemi fotovoltaici. Nel manifatturiero, tali percentuali sono, rispettivamente, del 24,9%, 15,6% e 25%. Nelle costruzioni, del 49,9%, 0% e 35,7%. Il ruolo dei sistemi pubblici di incentivazione ad investimenti in sistemi di risparmio energetico funzionali alle specificità produttive di ogni settore, è quindi essenziale. Da questo punto di vista, il bando 2007 della Regione Basilicata, che eroga incentivi adenti pubblici e privati per l’implementazione di sistemi di razionalizzazione energetica negli immobili, può svolgere un ruolo di volano per l’edilizia dedicata alla realizzazione di tali sistemi. La destinazione d’uso di tali investimenti è infatti differenziata da settore a settore, e richiede che il sistema degli incentivi si “tari” su tali diversità. Il manifatturiero ha infatti realizzato soprattutto interventi per rifasamento elettrico (33,3%) e spegnimento di stand-by (16,9%) e queste saranno le categorie in cui interverrà maggiormente anche per il 2008. Le imprese edili hanno fatto primariamente interventi di monitoraggio dei consumi energetici (64,1%), e sarà ancora questa la categoria dominante nel 2008 insieme all’isolamento termico degli edifici (42,7%), il turismo spegnimento degli stand-by (35,4%) e rifasamento elettrico (28%) nel 2006-2007, insieme al monitoraggio dei consumi, lanciato nel 2008.

2.3 Le fonti di finanziamento

La forma prevalente di copertura degli investimenti, in tutti i comparti, è costituita

dal flusso di autofinanziamento, soprattutto da parte delle imprese potentine e di quelle dei servizi. Segue a distanza il leasing, una modalità utilizzata soprattutto per gli investimenti in macchinari e mezzi mobili, che consente un pagamento dilazionato e la scelta, a scadenza, di acquisire la proprietà del bene oppure no a seconda delle convenienze del momento. Il credito bancario tradizionale è invece utilizzata in via minoritaria. Da questo punto di vista, si registrano anche significative differenze per comparto e per provincia:

- le imprese manifatturiere potentine sono più spostate sul credito a breve, mentre quelle materane hanno una maggiore propensione al credito a medio-lungo termine;

- le imprese edili materane accedono in misura maggiore rispetto a quelle potentine al credito, tranne che per quello a tasso agevolato;

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- nell’ICT, la situazione è inversa: le unità produttive della provincia di Potenza che hanno progetti di investimento da finanziare sono maggiormente in rapporto con gli istituti di credito rispetto alle loro concorrenti dell’altra provincia. Per tali imprese, così come per il turismo, prevale di gran lunga il ricorso al credito a breve termine, evidentemente per finanziare progetti di investimento di piccola entità, mentre i progetti più rilevanti (si è visto che la quota degli investimenti sul fatturato, nell’ICT e nel turismo, è sensibilmente superiore rispetto agli altri comparti) sono coperti dal cash flow interno.

La rilevanza dei contributi pubblici è del tutto marginale, e ciò costituisce una differenza notevole rispetto a quanto registrato nelle precedenti edizioni del presente rapporto, in cui il ruolo delle agevolazioni pubbliche arrivava fino a sostituire il credito bancario, nelle fonti di finanziamento esterne all’impresa. Evidentemente, i ritardi nell’approvazione, da parte della Commissione Europea, della nuova carta regionale degli aiuti, giunta solo a Dicembre 2007, hanno provocato un blocco nella possibilità di accedere a finanziamenti pubblici per tutto il passato anno. Solo le agevolazioni fiscali, in particolare destinate agli investimenti in ristrutturazioni di immobili, hanno agito in una misura percepibile, ovviamente a favore delle costruzioni e degli investimenti immobiliari degli altri comparti, in particolare di quello ricettivo.

Il dato che comunque emerge è che, malgrado l’impossibilità di accedere agli incentivi pubblici, il ricorso al credito bancario non è cresciuto di molto, rimanendo le fonti proprie del aziende la principale modalità di finanziamento degli investimenti, anche a causa della sostanziale irrilevanza di strumenti di compartecipazione al capitale di rischio, molto lontani dalla cultura del nostro sistema economico e, di fatto, offerti solo da alcune finanziarie controllate da banche di rilevanza nazionale, ma molto lontani dagli interessi di un tessuto produttivo, composto in prevalenza da piccole imprese a gestione padronale, poco propenso ad aprirsi a soci esterni.

Non è questa la sede per approfondire le difficoltà strutturali nel rapporto fra banche ed imprese, che ha cause lontane, e solo parzialmente risolte, come il peso delle sofferenze e della rischiosità complessiva degli impieghi, rimaste sostanzialmente analoghe anche nel nuovo quadro regolamentare di Basilea 2, e, forse, nel prossimo futuro acuite dall’attuale fase di crisi dei mercati finanziari.

E’ solo il caso di ricordare che una struttura di finanziamento degli investimenti basata perlopiù sull’autofinanziamento aziendale, in un campione rappresentativo del tessuto manifatturiero regionale in cui il 69,3% dei rispondenti ha dichiarato di non superare i 500.000 euro annui di giro d’affari, ed in cui il 95% non supera i 50 addetti, non appare essere la forma ideale per promuovere programmi di investimento di impatto significativo, tali cioè da incidere in profondità sui modelli competitivi delle imprese, soprattutto in una fase attuale di grande difficoltà dell’economia, nella quale il capitale circolante delle imprese, mediamente, non subisce grandi incrementi. Una simile struttura potrebbe essere alla radice del forte calo dell’incidenza del valore degli investimenti sul fatturato nel 2008, rispetto al 2006-.2007, notata in precedenza: quando il ciclo congiunturale peggiora, gli investimenti, coperti prevalentemente dalle risorse delle aziende, tendono a subire un parallelo decremento.

44

TABELLA 33 Fonti di copertura degli investimenti, risposte multiple, valori %

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Apporto di capitale di rischio da nuovi soci - 2,0% - 3,6%

- - - - Apporto di capitale di rischio da fondi di venture capital 1,1% 1,3% - - - - - - Autofinanziamento 59,4% 61,8% 59,3% 75,0% 63,3% 66,7% 63,0% 73,1% Credito bancario a breve 12,2% 10,6% 7,4% - 10,0% 11,1% 11,1% 11,5% Credito bancario a medio-lungo termine a tasso di mercato 12,1% 15,7% 7,4% 7,1% - 3,7% - 3,8%

Credito bancario a medio-lungo termine a tasso agevolato 9,8% 7,2% 3,7% 7,1% - 3,7% 11,1% 3,8%

Contributi pubblici nazionali e/o comunitari 0,7% 4,1% - - - - 3,7% -

Agevolazioni fiscali 7,0% 9,2% 11,1% 3,6% - 3,7% 14,8% 3,8% Leasing 24,5% 24,2% 25,9% 35,7% 23,3% 29,6% 33,3% 30,8% Prestiti concessi da altre imprese 2,8% 0,3% - 3,6% - - - - Altro 9,0% 3,8% 7,4% - - 3,7% 3,7% - Non indica 2,9% 1,0% - 3,6% 16,7% 7,4% 7,4% 7,7%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Tale constatazione assume contorni anche più preoccupanti se si analizza, con riferimento al comparto manifatturiero, la distribuzione per dimensione di imprese delle fonti di finanziamento. Si scopre così che solo le imprese di maggiori dimensioni hanno la possibilità di accedere al credito a breve, ma anche di accedere a sistemi di incentivazione, mentre il ricorso all’autofinanziamento è proprio delle imprese piccole e medie, quelle cioè che hanno i valori più bassi del capitale circolante, per le loro ridotte dimensioni.

TABELLA 34 Fonti di copertura degli investimenti per classe dimensionale di addetti delle

imprese manifatturiere, risposte multiple, valori % Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Apporto di capitale di rischio da nuovi soci 1,4% - - Apporto di capitale di rischio proveniente da fondi di ventu

1,2% 0,8% -

Autofinanziamento 60,7% 80,1% 11,2% Credito bancario a breve 11,5% - 22,4% Credito bancario a medio-lungo termine a tasso di mercato

14,7% 9,8% -

Credito bancario a medio-lungo termine a tasso agevolato

7,8% 18,9% -

Contributi pubblici nazionali e/o comunitari 2,2% - 66,4% Agevolazioni fiscali 8,1% 13,6% 11,2% Leasing 24,2% 29,4% 11,2% Prestiti concessi da altre imprese (comprese societa del gr

0,5% 18,4% -

Altro 6,0% 0,8% - Non indica 1,8% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

45

CAPITOLO 3

L’INNOVAZIONE AZIENDALE

3.1 La propensione ad innovare delle imprese Come già specificato, un elemento fondamentale di un modello competitivo

moderno, accanto alla gestione organizzativa e dallo sviluppo delle risorse umane ed all’utilizzazione efficace della leva degli investimenti, è rappresentato dalla capacità di introdurre innovazioni tecnologiche ed organizzative in continuo, o perlomeno in linea con le tendenze concorrenziali del proprio settore di appartenenza. Sempre più, anche nei settori tradizionali dell’economia, quelli che a prima vista non dovrebbero utilizzare l’innovazione come leva competitiva, tale elemento entra come forma di miglioramento della qualità del prodotto, e viene anche utilizzato come fattore distintivo nelle strategie di comunicazione e marketing.

Il nesso esistente fra innovazione e competitività a livello microeconomico è messo chiaramente in luce da J. Cantwell (2003)5, secondo cui i vantaggi competitivi di una impresa derivano essenzialmente dalla conoscenza cumulativa e differenziata accumulata rispetto ai concorrenti. Ciò influenza sia la capacità di percepire opportunità di crescita nell’ambiente di mercato esterno, che i concorrenti minor grado di competenze non percepiscono, sia il livello dei costi unitari e della curva di domanda ad un dato tasso di crescita, e facilita l’ingresso in linee di prodotto ed opportunità di business nuove e correlate con le produzioni esistenti.

Il lavoro di Cantwell e Sanna-Randaccio (1993)6 analizza i fattori statisticamente significativi che hanno determinato tassi di crescita comparativi più elevati fra le più grandi imprese internazionali negli anni 1972-1982, e variabili quali la competitività tecnologica specifica dell’impresa che la possiede e la crescita delle opportunità tecnologiche del settore di riferimento sono fra le più significative.

Quindi, la capacità di innovare è cruciale per il futuro di un tessuto produttivo locale. Rispetto a ciò, il sistema produttivo lucano mostra, come anche rilevato nelle precedenti annualità del presente rapporto, un persistente e molto diffuso ritardo nella capacità di introdurre innovazioni di qualsiasi genere (tecnologiche, ma anche organizzative). Persino settori che, in linea di principio, fanno dell’innovazione tecnologica una vera e propria routine della loro attività, come l’ICT, hanno percentuali di imprese innovatrici assolutamente marginali

Ad un livello di disaggregazione settoriale più fine, i settori che nel 2007 hanno manifestato le più elevate propensioni ad innovare sono:

la chimica (13,8%);

5 Handbook for innovation, a cura di J. Fabergerg, R. R. Nelson, D. C. Mowery, Oxford University Press, 2003, capitolo 21

6 “Multinationality and firm growth”, in Weltwirtschaftliches Archiv, n.19/1993, pagg. 275-299

46

la metalmeccanica (13,3%); le altre manifatturiere (12,7%); le imprese della ricettività extralberghiera (11,2%). Si ricorda che per innovazione non ci si limita alla sola innovazione tecnologica, ma

anche a quella di tipo organizzativo e gestionale.

GRAFICO 10 Percentuali di imprese che hanno innovato o meno nel 2007

8,4% 4,8% 1,3%5,2%

90,5%95,2% 97,4% 94,8%

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

120,0%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Nemmeno per il 2008 tale diffusa difficoltà ad introdurre forme di innovazione nell’attività aziendale sembra cambiare.

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

GRAFICO 11 Percentuali di imprese che innoveranno o meno nel 2008

11,4%4,8% 1,3%

6,2%

81,0%88,0%

97,4%87,6%

7,6% 7,2%1,3%

6,2%

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

120,0%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Si No Non indica

47

Con riferimento al comparto manifatturiero, l’unico in cui si verifica una sia pur minima propensione all’innovazione, vi è un chiaro effetto dimensionale ad influenzare la capacità di introdurre innovazioni: le imprese più piccole, con meno di 500.000 euro di fatturato annuo, hanno difficoltà finanziarie nel mettere insieme una massa critica di risorse sufficiente a promuovere attività ed investimenti in R&S (anche perché, come si ricorderà, soprattutto per le imprese minori, gli investimenti sono finanziati essenzialmente con autofinanziamento interno). E’ noto infatti che un investimento in ricerca ed innovazione ha la caratteristica di necessitare di una soglia minima, generalmente relativamente alta in confronto con altre tipologie di investimento, per poter essere efficace e condurre a risultati. Le imprese più piccole sono quindi tagliate fuori da tale meccanismo.

Anche le imprese più grandi tendono a rinunciare ad attività innovative. Questo perché nell’industria lucana le unità produttive più grandi sono in realtà stabilimenti di produzione di gruppi industriali di rilevanza nazionale o internazionale (Fiat, Ferrero, Pfertzel, Barilla, ecc.) e non svolgono in proprio attività di ricerca ed innovazione, che sono invece effettuate a livello di capogruppo o di casa madre, fuori dal territorio lucano.

Pertanto, in tale contesto, sono soprattutto le imprese di medie dimensioni il vero motore delle attività innovative sul territorio: infatti, percentuali significative di imprese manifatturiere innovative si incontrano nelle classi di fatturato annuo da 3 a 10 Meuro. Più in generale, il “ceto medio” dell’industria lucana (come definito dall’Istituto Tagliacarne e da Unioncamere nel Rapporto annuale sulle PMI 2007), come sta avvenendo a livello di intera economia nazionale, sta svolgendo, in questi anni di difficoltà dell’economia, un fondamentale ruolo propulsivo, sia in termini di adozione di nuovi e più efficaci schemi competitivi, che di risultati di mercato, anche in ambito internazionale.

TABELLA 35

Propensione ad introdurre innovazioni nell’attività aziendale nell’industria manifatturiera nel 2007 per classe di fatturato annuo, valori %

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di

euro

Da 1 a 3 milioni di

euro

Da 3 a 5 milioni di

euro Da 5 a 10

milioni di euro Oltre 10

milioni di euro Totale Si 5,9% 16,0% 6,4% 36,3% 17,1% 4,2% 8,4% No 94,1% 82,8% 93,6% 63,7% 79,8% 71,1% 90,5% Non indica - 1,2% - - 3,1% 24,7% 1,0%

Sono soprattutto le imprese più dinamiche sul versante dell’acquisizione delle

competenze e della valorizzazione ed empowerment del loro capitale umano ad innovare. Infatti, la percentuale di imprese innovatrici cresce sensibilmente nel segmento di quelle che hanno effettuato attività di formazione ed aggiornamento professionale a beneficio dei propri dipendenti. Questo conferma come la tematica dell’innovazione si inscriva in un contesto più generale, che è quello dell’economia della conoscenza nel suo insieme, nel quale le strategie aziendali sono mirate essenzialmente all’acquisizione di nuove conoscenze e competenze. E tale strategia

48

non può in alcun modo esser disgiunta dall’esigenza di rafforzare le conoscenze del proprio capitale umano. Innovazione e potenziamento delle competenze vanno di pari passo.

Pertanto, all’interno del sistema manifatturiero lucano, vi è una netta cesura fra un gruppo di imprese virtuose, che riescono a tenere il passo con le evoluzioni dell’economia della conoscenza, investendo in innovazione e miglioramento del capitale umano ed il resto delle imprese, che accumulano un ritardo rispetto alle evoluzioni generali del contesto economico, che non potrà non ripercuotersi sulla loro capacità stessa di sopravvivere nel medio periodo.

GRAFICO 12

Percentuali di imprese manifatturiere che hanno innovato o meno nel 2007 per effettuazione di investimenti in formazione professionale

18,8%

76,1%

5,0%6,1%

93,7%

0,2%0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

90,0%

100,0%

Innovato Non innovato Non indica

Formazione professionale No a formazione

Detto dualismo interno al sistema produttivo lucano è accentuato dal fatto che le

imprese che innovano tendono, in generale, a dedicare a tale sforzo una quota notevole del proprio fatturato. Infatti, specie nel manifatturiero, dove la propensione ad innovare è più diffusa, quasi un sesto del fatturato aziendale è dedicato ad innovazione, con punte del 60% nelle imprese alimentari e del 35% in quelle tessili. Gli altri comparti dell’economia, che hanno una propensione ad innovare inferiore rispetto al manifatturiero, fanno anche sforzi di investimento meno significativi.

Da notare, però, il fortissimo incremento dell’incidenza delle spese di innovazione sul fatturato, nel 2008, per il turismo. Tale incremento è da addebitarsi a piccole imprese alberghiere (con meno di 50 addetti e di 500.000 euro annui di fatturato, e forma giuridica di impresa individuale) ubicate in provincia di Potenza (infatti, su tale territorio, le spese per innovazione, nel 2008, raggiungono il 50% del fatturato delle aziende turistiche intervistate). Evidentemente, alcune imprese del segmento delineato

49

hanno in mente di effettuare qualche programma di investimento di dimensioni significative nel corso del 2008.

GRAFICO 13 Incidenza % delle spese di investimento in innovazione sul fatturato

15,3%

7,5%10,0%

5,7%

15,3%

5,0%

10,0%

31,9%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

35,0%

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

2007 2008

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Ancora una volta, le imprese che dedicano maggiori sforzi finanziari all’innovazione sono anche quelle che, più in generale, investono nell’economia della conoscenza. Con riferimento al manifatturiero, l’incidenza della spesa per innovazione sul fatturato è del 18,4% per le imprese che nel 2006-2007 hanno anche fatto investimenti in formazione ed aggiornamento professionale dei propri dipendenti, e del 14,4% per quelle che non lo hanno fatto.

3.2 Le aree ed i canali di innovazione

Con riferimento alla destinazione degli investimenti in innovazione, ed al netto del

comparto dell’ICT per il quale, come si è visto, la propensione ad innovare, sia in termini di numero di imprese che di incidenza delle spese sul fatturato, è del tutto trascurabile, si riscontra quanto segue:

- le imprese manifatturiere hanno investito soprattutto in nuovi materiali o innovazione di processo, e solo secondariamente in innovazione di tipo organizzativo e gestionale, comprensiva anche dei nuovi metodi di comunicazione, utili per aumentare l’efficienza dei cicli di lavoro interni all’azienda;

- le imprese turistiche hanno cercato di riconfigurare i propri servizi, tentando di aggiungervi nuove funzionalità (tipico di tale tipologia di investimento, nel settore turistico, è l’ampliamento dei cosiddetti “servizi accessori” alla sola ricettività, servizi di leisure, di ristorazione, attività sportive, ecc.) ed hanno

50

anche investito in miglioramento dei propri metodi di gestione e di organizzazione, anche con l’ausilio di tecnologie informatiche e di comunicazione;

- le imprese delle costruzioni si sono ripartite più o meno omogeneamente sull’utilizzo di nuovi materiali da costruzione, sull’ideazione di nuovi design in fase di progettazione, e sull’innovazione gestionale ed organizzativa.

TABELLA 36

Destinazione delle innovazioni effettuate, valori % Manifatturiero Costruzioni Turismo Ricerca/utilizzo di nuovi materiali/processi produttivi e/o servizi 67,8% 33,3% 24,0%

Nuovi design o nuove funzionalita di prodotto/servizio 4,9% 33,3% 62,0%

Nuovi metodi di gestione amministrativa/commerciale/strategi 16,9% 33,3% 38,0%

Nuove tecnologie di comunicazione 33,2% - 38,0% Non indica 1,1% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Con riferimento specifico all’innovazione organizzativa e gestionale, nei tre comparti esaminati tale tipologia è stata messa in campo pressoché esclusivamente dalle imprese più piccole. Evidentemente, quindi, in tale segmento di imprese, vi è un dinamismo teso a intraprendere forme di miglioramento dell’efficienza organizzativa. Si tratta quindi di un indizio di sviluppo molto significativo. Naturalmente, va collocato nel suo giusto quadro: si sta sempre parlando di una minoranza di imprese. Nel manifatturiero, ad esempio, solo il 6,8% delle imprese con meno di 50 addetti ha effettuato attività di innovazione; nel turismo, appena il 5,3%. Quindi, la presenza di un piccolo drappello di imprese minori ad elevato dinamismo non influenza l’immagine generale, riscontrata nel capitolo sull’organizzazione, di una carenza di elaborazione strategica in materia di politiche organizzative e per il personale. Ancora una volta, il dato rappresenta una ulteriore conferma dell’esistenza di un dualismo interno al sistema produttivo regionale, fra un piccolo gruppo di imprese ad alta capacità di dinamismo ed innovazione, ed il resto del sistema, che accumula ritardi a causa della difficoltà a mettere in moto processi dinamici.

TABELLA 37 Percentuali di imprese che hanno effettuato innovazioni di tipo organizzativo, per

classe dimensionale di addetti Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Manifatturiero 19,5% - - Costruzioni 33,3% - - Turismo 38,0% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Peraltro, l’innovazione organizzativa non è collegata in nessun modo all’esigenza di accrescere la dimensione media aziendale. Praticamente tutte le imprese manifatturiere che hanno implementato innovazioni organizzative e gestionali non prevedono alcuna

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forma di ampliamento dell’organico nel prossimo futuro. Quindi, le innovazioni organizzative sono mirate a rendere più efficiente la struttura aziendale esistente, aumentando la produttività, e non a creare le premesse per forme di crescita dimensionale, che l’attuale fase di crisi economica rende molto difficile attuare.

GRAFICO 14

Percentuali di imprese manifatturiere che hanno effettuato innovazioni di tipo organizzativo, per previsione di ampliamento dell’organico aziendale nel prossimo

futuro

0,6%

25,1%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

ampliamento personale non ampliamento personale

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Per quanto riguarda il canale utilizzato per fare innovazione, le imprese intervistate si sono affidate in misura relativamente significativa alle risorse aziendali interne. La R&S svolta internamente dalle aziende è infatti la migliore garanzia che le competenze scientifiche e tecnologiche aggiuntive rimangano ancorate al patrimonio cognitivo aziendale, divenendo quindi competenze di tipo “distintivo”, in grado cioè di fornire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, purché, come meglio si vedrà in seguito, tale modalità non si traduca, come in realtà avviene per le imprese lucane, in una forma di isolamento dalle fonti di conoscenza scientifiche esterne all’impresa, cioè nell’incapacità della stessa di attivare reti di collaborazione. Particolarmente significativo tale canale nel manifatturiero, ed in specie nei settori della chimica di base (100% degli intervistati), dell’industria alimentare (77,2%), della metalmeccanica (73,4%), delle altre manifatturiere (72,4%), dell’industria di estrazione e lavorazione dei minerali non metalliferi (69%).

Segue l’acquisto di macchinari e procedure avanzate da fornitori esterni, una modalità di innovazione di processo che, di fatto, è “eterodiretta”, nella misura in cui le competenze tecnologiche rimangono in capo al venditore, e l’azienda acquirente non sperimenta quindi un percorso autonomo e distintivo di crescita tecnologica. Tale modalità è particolarmente diffusa fra le imprese turistiche, che non hanno bisogno di

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incorporare conoscenze tecnologiche avanzate, quanto piuttosto di utilizzarle, acquistandole dai fornitori industriali. Quando serve, il comparto è anche pronto ad acquistare brevetti di particolare utilità.

Molto modesta risulta essere, per finire, la capacità di associazionismo su progetti innovativi, con altre imprese (anche nell’ambito dei distretti industriali e turistici esistenti7) e con la ricerca pubblica. Si tratta di un male che è tipico del Mezzogiorno, e che indebolisce significativamente l’incidenza dei progetti di innovazione tecnologica promossi dalle imprese. L’assenza di legami con il sistema accademico e della ricerca pubblica dipende evidentemente da fattori strutturali. In primo luogo, fra mondo dell’impresa e mondo della ricerca pubblica vi sono fisiologici differenziali culturali e motivazionali: chi fa ricerca pura è più interessato a raggiungere risultati scientifici importanti, e considera il fattore-tempo e quello finanziario meno rilevanti, o strumentali. Il contrario avviene per le imprese. Inoltre, nel Sud, come nel resto del Paese, opera un sistema universitario e della ricerca pubblica che, a scapito delle numerose riforme fatte negli ultimi anni, rimane ancora sostanzialmente autoreferenziale.

A ciò si aggiunge una realtà imprenditoriale spesso poco a conoscenza delle dinamiche innovative esistenti nel proprio settore di appartenenza, e della rilevanza di queste in termini di redditività, e quindi poco in grado di apprezzare l’utilità di medio e lungo periodo di una collaborazione sistematica con il sistema della ricerca pubblica.

Va tuttavia detto che, come evidenzia Rifkin (1994) in un mondo tecnologico ed economico così complesso, “chi fa da solo è destinato alla sparizione”. Quindi, tutte le iniziative messe in campo in questi ultimi anni dalla Regione Basilicata per fluidificare e rendere più intensi i legami tecnologici fra imprese e ricerca pubblica (centro di competenza tecnologica sull’ambiente, distretto tecnologico sui rischi ambientali, sportello tecnologico di prossima istituzione, ecc.) sono assolutamente utili e necessarie.

TABELLA 38

Canali utilizzati per innovare, valori %, risposte multiple Manifatturiero Costruzioni Turismo Ricerca e Sviluppo all interno dell azienda 68,0% 33,3% 44,2% Ricerca in collaborazione con Universita o enti pubblici di ricerca o altre imprese 9,6% 33,3% - Progetti sviluppati attraverso la partecipazione a Distretti 1,0% 66,7% 16,3% Acquisto di brevetti/licenze tecnologiche 8,0% - 27,9% Acquisto di macchinari/procedure avanzate 39,7% 33,3% 55,8% Non indica 2,1% - -

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Va tuttavia ancora una volta precisato che, in tale scenario generale, vi è un gruppo, sia pur minoritario, di piccole imprese particolarmente dinamiche. Ad esempio, l’11,1% delle imprese innovatrici manifatturiere con meno di 50 addetti ha attivato

7 Il 66,5% di progetti attivati nell’ambito di distretti dal settore delle costruzioni è probabilmente il prodotto di una mala interpretazione della domanda da parte dei rispondenti, che potrebbero aver confuso il termine “distretti” con il concetto di PIT, o di altre aggregazioni territoriali. Non esiste infatti un distretto edile in Basilicata.

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progetti di collaborazione con il sistema della ricerca pubblica. Il 33,3% delle imprese edili, sempre nella medesima categoria dimensionale, ha attivato rapporti di collaborazione inter-imprenditoriali.

BOX DI APPROFONDIMENTO Innovazione: dove nasce l’idea?

In un contesto dominato da imprese di piccole e piccolissime dimensioni, con una struttura interna molto limitata, e con una modestissima propensione all’associazionismo ed alla collaborazione con l’ambiente esterno, la fonte di ispirazione principale per innovare proviene dall’imprenditore-titolare stesso (72,7% dei casi nel manifatturiero, 66,7% nelle costruzioni, 86% nel turismo). La notevole e diffusa difficoltà, da parte delle imprese, di attuare politiche di espansione organizzativa efficaci, fa sì che l’utilizzazione della creatività delle risorse di personale interne sia molto limitata (4,5% nel manifatturiero, 33,3% nelle costruzioni, non significativa nel turismo). Solo le poche imprese di maggiori dimensioni hanno una articolazione organizzativa con la massa critica sufficiente a supportare il gruppo dirigente di vertice; per cui, solo nelle imprese maggiori si utilizzano anche le risorse interne per fornire idee innovative al top management (100% delle imprese con oltre 250 dipendenti nel manifatturiero, 100% delle imprese con oltre 1 Meuro di fatturato nelle costruzioni). La debolezza dei legami esterni, e l’assenza di un significativo sistema locale dell’innovazione, fanno sì che i canali di ascolto esterni all’impresa, utili per captare i segnali deboli di innovazione che girano nel mercato e nel settore di riferimento, siano molto poco usati, a detrimento, ovviamente, della capacità innovativa complessiva. Solo il 7,5% delle imprese manifatturiere fanno uso di suggerimenti innovativi provenienti da clienti o fornitori, e solo nel 10,5% dei casi utilizzano consulenti esterni. Appena il 3,5% ha la capacità di imitare i concorrenti. Le percentuali di utilizzo di suggerimenti provenienti dal mercato sono del 33,3% nel caso delle costruzioni (che però, in un altro 33,3% di casi, hanno anche contatti con il sistema della ricerca pubblica) e del 24% nel caso del turismo. In sostanza, la maggior parte delle imprese lucane è isolata dal suo contesto esterno nel momento in cui occorre avere una idea innovativa.

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3.3 Le fonti di finanziamento I canali attraverso i quali le imprese innovatrici finanziano i propri investimenti in

innovazione passano, come per gli investimenti totali, primariamente dalle capacità di autofinanziamento aziendale. Ciò è soprattutto vero nel manifatturiero, nel qual non vi sono differenze significative fra imprese potentine e materane. Il credito bancario viene utilizzato soprattutto dalle imprese turistiche, con rilevanti differenze territoriali: infatti, in provincia di Potenza le imprese accedono soprattutto a credito ordinario a tassi di mercato, mentre in provincia di Matera vi è una quota non indifferente che ha spuntato tassi agevolati, evidentemente utilizzando meglio gli aiuti pubblici in c/interessi esistenti per i finanziamenti sulla ricerca ed innovazione, e previsti dal d. lgsl. 297/99.

Infine, le agevolazioni fiscali e contributive esistenti anche per gli investimenti in innovazione sono poco utilizzate, tranne che per le imprese manifatturiere potentine (segnatamente nel settore tessile – 50% di imprese – in quello chimico – 20,5% - ed in quello dell’estrazione e lavorazione di minerali non metalliferi – 23%) che, rispetto ai concorrenti materani, hanno una maggiore propensione anche ad utilizzare il leasing, sia nel manifatturiero che nel comparto turistico.

Tutti i limiti già esposti nel capitolo relativo agli investimenti, circa una struttura di finanziamento basata quasi esclusivamente sul cash flow aziendale in presenza di una situazione congiunturale di rallentamento della crescita del fatturato sui mercati finali, sull’assenza di strumenti di finanza innovativa e/o di compartecipazione al rischio, e sul ruolo ancora secondario del credito bancario ordinario, possono essere ripetuti, ed anzi accresciuti, nel caso degli investimenti in innovazione, che, rispetto agli investimenti “tradizionali” hanno un particolare profilo, sia in termini di maggiore rischiosità che di maggiore quantità media di risorse finanziarie da impegnare. Tale tipologia di investimenti richiederebbe quindi:

- una maggiore capacità di accedere al credito bancario, a fronte di livelli di autofinanziamento che, per imprese presentemente piccole ed in una fase ciclica di rallentamento, non possono ritenersi di entità sufficiente per raggiungere la massa critica minima necessaria per investimenti in innovazione;

- la presenza di strumenti che consentano una condivisione/riduzione del rischio, anche attraverso forme di compartecipazione minoritaria al capitale.

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TABELLA 39 Fonti di finanziamento di investimenti in innovazione, valori %, risposte multiple

Manifatturiero Costruzioni Turismo Matera Potenza Totale Matera Potenza Autofinanziamento 83,9% 84,0% 66,7 50,0% 66,7% Credito bancario a breve 7,0% 5,4% - - - Credito bancario a medio-lungo termine a tasso di mercato

9,2% 13,9% 33,3% - 33,3%

Credito bancario a medio-lungo termine a tasso agevolato

3,1% 6,8% - 50,0% -

Agevolazioni fiscali 9,2% 19,0% - - - Leasing - 7,4% - - 33,3% Altro 3,8% 8,9% - - - Non indica 2,2% - - - - Il campione riferito al comparto delle costruzioni è caratterizzato da imprese che hanno investito in innovazione localizzate nella sola provincia di Potenza

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

3.4 Innovazione e competitività L’impatto complessivo dell’innovazione, in termini di miglioramento della

competitività aziendale, secondo le percezioni soggettive degli imprenditori intervistati, è molto modesto nel manifatturiero, poiché riguarda solo il 35,5% delle imprese per i mercati nazionali, ed appena il 4,8% delle imprese per quanto riguarda i mercati esteri, e risulta pressoché nullo per gli altri comparti. Gran parte delle imprese non ha quindi registrato miglioramenti significativi della propria competitività, né sul mercato nazionale né, a maggior ragione, su quelli internazionali, a seguito dello sforzo innovativo effettuato. Evidentemente, ciò deriva da una attività innovativa di modesta incidenza, basata perlopiù su piccole attività di innovazione di design, o comunque di tipo incrementale, o sull’acquisto di macchinari di produzione nuovi, spesso non rivoluzionari, sotto il profilo tecnologico, rispetto ai macchinari che vanno a sostituire.

TABELLA 40 Percezione di effetti sulla competitività derivanti dall’innovazione introdotta per

comparti e tipologia di mercati (nazionale/estero), valori % Manifatturiero Costruzioni Turismo

Mercato nazionale Si 35,5% - - No 62,0% 100,0% 100,0% Non indica 2,5% - -

Mercati esteri Si 4,8% - No 88,9% 100,0% 100,0% Non indica 6,3% - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Con riferimento al comparto manifatturiero, l’unico nel quale si sono verificati alcuni, minoritari, effetti positivi sulla competitività, tali effetti si sono verificati quasi esclusivamente nel segmento delle imprese di maggiori dimensioni, che evidentemente hanno messo in moto i processi più significativi di innovazione, riuscendo, grazie alla

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loro dimensione, a fare massa critica, e quindi ad impattare sulla competitività aziendale. E’ infatti un assunto generalmente accettato il fatto che l’innovazione sia appannaggio soprattutto dei gruppi imprenditoriali più grandi, che riescono a mobilitare maggiori risorse ed a realizzare reti di collegamento più estese e intense con il sistema della ricerca e con l’ambiente esterno.

Tuttavia, va precisato che, perlomeno in riferimento all’ambito limitato del mercato nazionale, vi è un 37% di piccole imprese che hanno percepito effetti positivi di miglioramento della propria competitività, ed evidentemente si tratta di quel piccolo gruppo di PI innovative di “eccellenza”, che si staglia rispetto al panorama produttivo generale della regione, già evidenziato in precedenza.

TABELLA 41 Percezione di effetti sulla competitività derivanti dall’innovazione introdotta nell’industria manifatturiera per classe di addetti e tipologia di mercati

(nazionale/estero), valori % Fino a 50 51-250 Oltre 250

Mercato nazionale Si 37,4% - 100,0% No 59,9% 100,0% - Non indica 2,8% - -

Mercati esteri Si 4,0% - 100,0% No 89,2% 100,0% - Non indica 6,8% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Un indizio della significatività, e della dimensione dei processi innovativi, che spiegherebbe le differenze di impatto riscontrate sulla competitività di differenti classi dimensionali di imprese, deriva dai metodi utilizzati per proteggere l’innovazione. Infatti, il tipo ed il grado di protezione dipenderà dalla rilevanza dell’oggetto da proteggere, e seguirà logiche tipiche dell’analisi costi-benefici: l’incentivo a mettere in campo sistemi formali, e costosi, di protezione, quali il deposito di brevetti, dipende dal valore commerciale attuale e potenziale dell’innovazione in rapporto al costo dello strumento di protezione. Per innovazioni di tipo incrementale, o di mero design, quindi aventi un impatto competitivo limitato, il costo dell’implementazione di sistemi formali di protezione può essere di gran lunga superiore al beneficio di evitare l’imitazione da parte dei concorrenti (anche perché, spesso, per tale tipologia di innovazione, vi è ben poco da imitare per un concorrente) per cui prevalgono sistemi di protezione meno formali, come il mantenimento del segreto aziendale, o addirittura si rinuncia a proteggere le proprie innovazioni.

Dall’esame delle forme di protezione, si ricava che l’adozione di procedure formali e costose, come il deposito di brevetti o l’apposizione di diritti d’autore, viene scelta prevalentemente dalle imprese di maggiori dimensioni, mentre le imprese più piccole, o non adottano alcuno strumento di protezione dell’innovazione (pur avendo comunque innovato, perché ci si riferisce a quella quota del campione che ha dichiarato di aver effettuato innovazioni) o adottano procedure semplici e non costose, come le routine di riservatezza. Ciò indica chiaramente che le innovazioni di impatto e significatività

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maggiori, sotto il profilo delle ricadute competitive, sono state effettuate soprattutto dalle imprese di più grandi dimensioni.

Inoltre, poiché in generale l’adozione di forme strutturate di protezione dell’innovazione è minoritaria rispetto a chi non adotta nessuno strumento, o adotta procedure informali a basso costo (ed a basso livello di tutela) si ha conferma di quanto detto in precedenza, e cioè che le imprese lucane hanno effettuato perlopiù attività innovative di impatto ed incisività non particolarmente significativi, il che si è riflesso in una piccola percentuale di imprese che hanno percepito dei guadagni di competitività sui mercati.

TABELLA 42 Forme di protezione dell’innovazione adottate nell’industria manifatturiera per

classe di addetti, valori %, risposte multiple Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Deposito di brevetti/registrazione progetti 12,9% 59,6% 100,0% 18,9% Marchi di fabbrica 16,7% 59,6% - 21,5% Diritto d autore 5,1% - 100,0% 5,3% Adozione di procedure di segretezza o riservatezza

1,5% - - 1,3%

Nessuno strumento di protezione 44,7% - - 39,2% Altro 17,7% - - 15,6% Non indica 9,0% 1,6% - 8,0% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Sotto il profilo territoriale, l’industria manifatturiera potentina, sia sui mercati nazionali che, più limitatamente, su quelli esteri, ha registrato un miglioramento competitivo più diffuso rispetto a Matera. La ragione consiste nel fatto che il grosso delle unità produttive manifatturiere di maggiori dimensioni della regione è concentrato in territorio potentino.

TABELLA 43

Percezione di effetti sulla competitività derivanti dall’innovazione introdotta nell’industria manifatturiera per provincia e tipologia di mercati (nazionale/estero),

valori % Mercati nazionali

Matera Potenza Totale Si 13,4% 44,2% 35,5% No 77,6% 55,8% 62,0% Non indica 9,0% - 2,5%

Mercati esteri Si 4,2% 5,1% 4,8% No 73,8% 94,9% 88,9% Non indica 22,1% - 6,3% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Un cenno va infine fatto sugli andamenti per settore produttivo. Gli unici settori sui quali si registra una certa crescita della competitività a seguito dell’introduzione di innovazioni sono l’industria alimentare (che, peraltro, mette a segno un’interessante percentuale del 41,1% di imprese che ottengono miglioramenti anche sui mercati

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internazionali), la metalmeccanica, i cui miglioramenti competitivi si limitano però al solo mercato domestico, e la categoria delle “altre manifatturiere”. Si tratta di alcuni dei settori che hanno manifestato anche la più intensa propensione ad innovare nel 2007 (al netto dell’industria alimentare). Quindi, innovare “paga”, in termini competitivi.

TABELLA 44 Settori manifatturieri con percezioni positive circa gli effetti sulla competitività

derivanti dall’innovazione introdotta per tipologia di mercati, valori % Alimentari, tabacco

Metalmeccaniche, apparecchiature meccaniche e elettriche Altre manifatturiere

Mercati nazionali Si 70,5% 72,3% 19,0% No 29,5% 27,7% 81,0% Non indica - - -

Mercati esteri Si 41,1% - 19,0% No 58,9% 90,4% 81,0% Non indica - 9,6% - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Rispetto a chi ha percepito dei guadagni di competitività in seguito all’introduzione di innovazione, il meccanismo favorevole più diffuso è passato per il tramite di un miglioramento della qualità finale del prodotto (soprattutto per le imprese medio-grandi). Riflettendo sul fatto che, come già evidenziato nel precedente capitolo, la ricerca della qualità è stata il motore principale delle decisioni di investimento delle imprese, è quindi evidente che, per le imprese manifatturiere, il veicolo fondamentale per raggiungere tale obiettivo è stato quello di investire in innovazione. Per gli altri comparti che, come si è visto, non hanno percepito particolari vantaggi dagli investimenti innovativi, lo strumento per fare qualità è stato evidentemente diverso dall’innovazione, oppure l’innovazione introdotta non ha consentito, a giudizio delle imprese, di raggiungere gli obiettivi qualitativi che ci si era posti.

In seconda posizione, si colloca il raggiungimento di migliori livelli qualitativi del capitale umano aziendale (un elemento sottolineato soprattutto dalle imprese più piccole, che hanno i maggiori fabbisogni di potenziamento del loro capitale umano), evidentemente grazie alle innovazioni di tipo organizzativo e gestionale che, come si è anche visto, sono state introdotte soprattutto per accrescere l’efficienza e l’efficacia dell’organico aziendale già presente. D’altra parte, per poter migliorare la qualità del prodotto, occorre disporre di manodopera più formata, più competente, più efficace. Quindi, tale obiettivo è funzionalmente collegato al primo.

Tuttavia, il fatto che, come notato nel secondo capitolo, le imprese non abbiano, in maggioranza, espresso una capacità strategica nelle politiche di gestione dell’organizzazione e del personale, limita fortemente la capacità di queste ultime di fare miglioramenti qualitativi, proprio in virtù della stretta correlazione che esiste fra questi due fenomeni. Ciò contribuisce a spiegare il perché di una così modesta percentuale di imprenditori che hanno percepito guadagni di competitività. Non soltanto vi è una attività innovativa di modesta incidenza, ma anche l’assenza dei necessari interventi sull’organizzazione aziendale e sul personale, con strategie di

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medio e lungo periodo, ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo fondamentale, costituito dal miglioramento della qualità del prodotto o del servizio finale.

Da notare che l’innovazione introdotta esclusivamente per recuperare efficienza nei cicli prodottivi, riducendo il costo unitario di produzione, è meno importante rispetto al miglioramento della qualità del prodotto e del capitale umano. Ciò conferma ulteriormente come vi sia un netto cambiamento del paradigma competitivo delle imprese lucane, in direzione di un modello in cui la qualità ed il valore aggiunto prevalgono sulle mere considerazioni di costo.

TABELLA 45

Canali attraverso i quali l’innovazione ha garantito un miglioramento competitivo nelle imprese manifatturiere per classe di addetti, valori %, risposte multiple

Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Miglioramento qualitativo del capitale umano aziendale 39,5% 20,9% - 37,0% Migliore qualita del prodotto 58,6% 98,4% - 62,7% Miglioramento delle conoscenze tecnologiche aziendali 2,9% - 100,0% 3,3% Maggiore efficienza produttiva 18,4% 59,6% - 23,0% Maggiore differenzazione produttiva rispetto alla concorrenza 14,1% - 100,0% 13,1% Altro 8,1% 1,6% - 7,3% Non indica 0,2% - - 0,2% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

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CAPITOLO 4

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

4.1 La propensione all’export La capacità di internazionalizzazione di un sistema produttivo territoriale equivale

alla sua disponibilità e capacità di cogliere le sfide e le opportunità derivanti dai processi di globalizzazione in atto, ed è un indicatore molto affidabile di competitività. Solo chi sa aprirsi verso i mercati esterni, sia tramite processi commerciali (cioè esportando) che tramite processi produttivi (ovvero delocalizzando e/o, in maniera inversa, attraendo cospicui flussi di investimenti esterni) è competitivo, nell’accezione che la globalizzazione dà di tale termine.

I soli comparti produttivi che esportano, in Basilicata, sono il manifatturiero e, in misura minore, l’ICT. Il discorso dell’internazionalizzazione commerciale del comparto turistico si pone invece in termini diversi, poiché il parametro è costituito dall’afflusso di arrivi e presenze di clientela internazionale. Il comparto edile, invece, rimane ripiegato sullo sfruttamento del mercato locale, prevalentemente di quello regionale. L’assenza di grandi gruppi impedisce infatti di partecipare a gare di appalto di dimensioni internazionali.

Le imprese manifatturiere che esportano costituiscono meno di un quinto del comparto, mentre quelle dell’ICT rappresentano appena un decimo del totale, evidenziando quindi un tratto tipico del sistema economico lucano, ovvero una scarsa propensione, derivante ovviamente da motivi di tipo competitivo, ad andare a vendere sui mercati che non sono di mera prossimità.

Peraltro, la propensione ad esportare nel 2008 scende significativamente per il manifatturiero, mentre rimane pressoché stabile nell’ICT, a dimostrazione delle accresciute difficoltà del ciclo economico nell’anno in corso.

La quota del fatturato esportato sul totale, poi, evidenzia con maggiore chiarezza il fatto che i processi di commercializzazione all’estero che hanno una significatività statistica riguardano solo il manifatturiero, posto che quel 10,7% di imprese dell’ICT esportatrici (concentrate soprattutto nel settore delle telecomunicazioni – 60,4% del totale del campione, ed in quello dei servizi per la R&S – 10%) hanno una quota di fatturato esportato sul totale inferiore al 5%. Nel caso delle TLC, tale quota sale fino al 6,8%, ma rimane comunque relativamente modesta, per cui le numerose imprese del settore che hanno esportato lo hanno fatto in una misura relativamente marginale rispetto ai loro principali mercati di riferimento, che rimangono in terni al Paese.

61

TABELLA 46 Propensione ad esportare nel 2007 e nel 2008, valori %

Manifatturiero Costruzioni ICT 2007

Si 17,3% - 10,7% No 82,7% 100,0% 85,8%

2008 Si 14,9% - 11,7% No 83,0% 100,0% 84,8% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

GRAFICO 15

Quota del fatturato esportato sul totale

16,7%

4,9%

0,0%

2,0%

4,0%

6,0%

8,0%

10,0%

12,0%

14,0%

16,0%

18,0%

Manifatturiero ICT

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

La capacità di esportare è strettamente legata a quella di implementare significativi

miglioramenti qualitativi del prodotto o del servizio, quindi esattamente al nuovo paradigma competitivo. Infatti, le imprese che hanno effettuato programmi di investimento nel 2006-2007 hanno anche una maggiore propensione ad esportare. Si è visto come, in tutti i comparti, l’obiettivo fondamentale degli investimenti è stato quello di ottenere miglioramenti della qualità dei prodotti finali. Per cui, è possibile affermare che chi ha puntato sulla qualità ha potuto trovare spazi di mercato maggiori, specie all’esportazione. Quindi, chi ha puntato su un modello competitivo di maggiore spessore e qualità, nel senso finora definito, ha ottenuto guadagni di competitività sui mercati internazionali.

62

GRAFICO 16

Propensione ad esportare nel 2007 per effettuazione di investimenti nel 2006-2007 e per comparto

24,0%

18,0%15,6%

5,7%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

Manifatturiero ICT

Investito Non investito

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

I settori che hanno la maggiore incidenza sia di imprese esportatrici che di fatturato esportato sono di tipo manifatturiero, ed in particolare:

- la lavorazione del cuoio (37,5% di imprese esportatrici, 85% del fatturato esportato); - il tessile (30,5% di imprese esportatrici, 23,7% di fatturato esportato); - le “altre manifatturiere” (comprendente il polo del mobile imbottito, oltre che altri

settori come la gioielleria, la produzione di giocattoli, ecc.) – 9,4% di imprese esportatrici, 29,9% del fatturato esportato;

Il settore dei mezzi di trasporto non compare in tale lista perché inserito in un

macro-settore più grande, quello delle imprese metalmeccaniche, in cui vi sono numerose unità produttive, anche di tipo artigianale e scollegate al settore “automotive” in senso stretto, che ovviamente non esportano.

Come nel caso dell’innovazione, anche in quello dell’internazionalizzazione vi è un chiaro vincolo dimensionale, già notato peraltro nelle precedenti edizioni del presente osservatorio. Infatti, l’export regionale viene trainato soprattutto dalle imprese più grandi, che sono peraltro le uniche a conservare una capacità esportativa stabile negli anni, anche in condizione di un peggioramento dello scenario macroeconomico per il 2008, e che ritraggono dai mercati esteri fino al . Le imprese più piccole, che costituiscono la grande maggioranza del tessuto manifatturiero lucano, esportano in quote meno significative (anche se non del tutto indifferenti sotto il profilo dell’analisi economica, perché, nel segmento delle imprese con meno di 50 addetti, più o meno una impresa su sei esporta o prevede di esportare nel 2008) ed hanno una minore stabilità

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nel presidiare i mercati esteri, soprattutto in fasi di congiuntura declinante, come nel 2007/2008, fino ad arrivare ad un minimo di imprese esportatrici nel segmento di quelle più piccole (che non raggiungono i 500.000 euro annui di fatturato), pari al 12,7%, che scende al 12,1% nel 008.

Le medie imprese esportatrici, pur essendo minoritarie in valore assoluto (poco più di un decimo del totale di tale classe dimensionale esporta) sono anche quelle più internazionalizzate, poiché sono quelle che ritraggono dai mercati internazionali le maggiori quote di fatturato esportato (fino al 70%, a fronte del 20% per le grandi imprese e del 15% per le più piccole) e che nonostante il peggioramento del quadro economico generale, incrementano leggermente la percentuale di imprese esportatrici fra 2007 e 2008. Si tratta essenzialmente di un gruppo di imprese attive nell’industria alimentare di alta qualità (produzioni vitivinicole, pastifici/panifici di qualità artigianale, imprese conserviere) in quel che resta del polo del mobile imbottito che, malgrado la grave crisi del distretto, riesce ancora ad esportare, in alcune parti dell’indotto meccanico e nella filiera della moda e dell’abbigliamento, della chimica e della gomma/plastica.

Si tratta in sostanza di quella “classe media” di imprese che, in controtendenza rispetto alla crisi in atto, sta sperimentando, in Basilicata come nel resto del Paese, percorsi di sviluppo e sta trainando nuovi modelli di competizione in tutta l’industria. Il peccato è che, almeno in Basilicata, tale classe media sia così ridotta quantitativamente.

TABELLA 47 Propensione ad esportare nel 2007 e nel 2008 nell’industria manifatturiera per

classi di addetti, valori % Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250

2007 Si 17,5% 10,6% 22,4% No 82,5% 89,4% 77,6%

2008 Si 15,0% 11,3% 22,4% No 83,7% 70,3% 77,6% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Tale nucleo duro di imprese esportatrici appartiene soprattutto al territorio della provincia di Potenza, che, come risulta anche da altri indicatori precedentemente analizzati (propensione ad investire ed a innovare, valorizzazione del personale e capacità di innovare l’organizzazione e le modalità gestionali dell’azienda), è quella che, sotto il profilo industriale, sta registrando gli andamenti più dinamici. La crisi industriale ha colpito il territorio di Matera in misura più dura (si pensi alla continuazione di fenomeni di deindustrializzazione nella Valbasento, alla perdita di importanti presenze industriali come la Barilla, alla crisi del polo del mobile imbottito ed alle persistenti difficoltà del polo ferroviario), ed anche la capacità delle imprese di reagire impostando strategie di rilancio competitivo di medio e lungo termine ne risulta pregiudicata.

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TABELLA 48

Propensione ad esportare nel 2007 e nel 2008 nell’industria manifatturiera per provincia, valori %

2007 Matera Potenza

Si 14,9% 18,7% No 85,1% 81,3% 2008 Matera Potenza Si 14,2% 15,4% No 82,4% 83,4%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Ad ogni modo, per concludere il discorso, nel complesso dell’apparato produttivo lucano ciò che si registra è che il sistema è chiuso, ripiegato prevalentemente sui mercati locali e di prossimità, con notevoli difficoltà anche solo a superare i confini della regione ed andare a vendere in altri contesti, in particolare nel settore delle costruzioni e dell’ICT, fortemente ripiegati addirittura sui mercati della propria provincia di localizzazione. L’economia lucana necessita di robuste dosi di apertura commerciale sul contesto esterno, perché tale modello commerciale, oramai, in una regione che non raggiunge nemmeno i 600.000 abitanti, non fornisce più gli spazi di mercato sufficienti per sopravvivere (e tantomeno per crescere).

TABELLA 49 Mercati principali di riferimento, valori %, risposte multiple

Manifatturiero Costruzioni ICT Locale 73,4% 75,9% 71,5% Provinciale 46,7% 56,6% 59,5% Regionale (al di fuori della provincia) 40,1% 59,1% 53,7% Nazionale (al di fuori della regione) 36,6% 32,5% 29,5% Non indica 0,8% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Un problema specifico in tal senso deriva anche dai canali commerciali utilizzati dalle imprese. Le imprese utilizzano soprattutto il proprio marchio per commercializzare i propri prodotti e servizi, il che, se per le imprese più grandi è un punto di forza, perché la grande impresa gode, in genere, di una elevata “awareness” del proprio marchio presso i consumatori, nelle imprese più piccole è un sintomo di debolezza, perché in genere il marchio aziendale è meno conosciuto da consumatori, e le imprese stesse hanno difficoltà a concludere accordi con la grande distribuzione e/o con altri imprenditori per poter utilizzare un marchio più conosciuto e diffuso.

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TABELLA 50 Metodo di commercializzazione del marchio aziendale, valori %

Manifatturiero ICT Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Totale Il proprio marchio 88,2% 92,8% 100,0% 88,5% 88,0% Uno o piu marchi della grande distribuzione o di terzi in royalty 7,6% 7,2% - 7,5% 12,0%

Non indica 4,2% - - 4,0% - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Un discorso a parte, per le sue specificità, merita il comparto turistico regionale. La quota di fatturato che il campione di imprese ricettive intervistate ritrae dalla clientela estera non è indifferente, superando il 13% del giro di affari totale. Vi sono tuttavia delle differenze interne al comparto: le imprese più grandi e strutturate, ovvero aventi forma giuridica di società di capitali, ed appartenenti al segmento della ricettività alberghiera tradizionale, hanno una maggiore propensione ad attirare clientela straniera, grazie alla maggiore gamma di servizi offerti, rispetto alla ricettività minore, spesso carente di servizi complementari. La ricettività extralberghiera è anche meno attrattiva per il segmento straniero di clientela.

In definitiva, sembra che il mercato turistico di riferimento per la Basilicata si posizioni sulle nicchie a maggiore capacità di spesa, che rifuggono dalla ricettività minore e/o a di fascia di prezzo medio-bassa, per preferire la ricettività che offre i maggiori e migliori servizi, anche a costo di pagare un prezzo più alto.

Grafico 17 Quota di fatturato riveniente dalla clientela estera per forma giuridica delle

imprese ricettive e natura della ricettività

11,5%9,7%

21,5%

15,7%

9,5%

13,5%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

Ditta individuale Società di persone

Società di capitali

Alberghi e Motel Campeggi e altri alloggi per brevi

soggiorni

Totale

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Dal punto di vista territoriale, sono soprattutto gli operatori della provincia di

Matera (grazie alla città capoluogo ed alla costa metapontina) ad attrarre fatturato

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estero (20,1% del totale, a fronte del 9,7% per le imprese ricettive potentine) il che dovrebbe costituire un ulteriore elemento a favore del progetto, già avviato da parte della Regione, di realizzazione della pista aerea (a prevalente finalità turistica) nel Comune di Pisticci, quindi in territorio materano.

E’ leggermente diversa anche la provenienza dei turisti attratti dalle due province. Infatti, il segmento dei turisti provenienti da altri Paesi UE è prevalente in entrambe le province, ma decisamente superiore a Potenza, mentre Matera attrae una quota relativamente più alta di turisti provenienti da Paesi europei extra-UE, da Paesi asiatici e dall’Oceania. La parziale non sovrapposizione dei segmenti turistici stranieri di riferimento è un elemento favorevole, perché garantisce spazi di sviluppo, sui mercati turistici internazionali, per le imprese ricettive di entrambe le province.

TABELLA 51 Provenienze principali della clientela turistica estera per provincia, valori %

Matera Potenza Totale Paesi UE 81,5% 92,3% 88,2% Altri Paesi europei extra UE 11,1% 3,8% 6,6% America del Nord 18,5% 19,2% 19,0% America del Sud 3,7% 3,8% 3,8% Asia (escluse Cina e India) 3,7% - 1,4% Altri Paesi 11,1% - 4,2% Non indica 18,5% 7,7% 11,8% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

BOX di Approfondimento Gli effetti dell’euro forte

La progressiva rivalutazione del cambio dell’euro sul dollaro, in termini macroeconomici, ha senz’altro avuto effetti recessivi, sia rispetto alla competitività-costo dei prodotti finiti, sia per gli effetti rialzisti sul prezzo del petrolio. Anche a livello regionale, secondo le imprese intervistate, si percepiscono tali effetti. Infatti, il 59,3% delle imprese manifatturiere ha percepito come “molto negativo” o “negativo” l’apprezzamento dell’euro rispetto al costo di acquisto di materie prime ed il 49,9% rispetto alla competitività-prezzo dei prodotti finiti sui mercati esteri. Tale scostamento deriva dal fatto che, mentre il sovrapprezzo sulle materie prime energetiche dovuto alla debolezza del dollaro viene pagato da tutte le imprese, il degrado della competitività di prezzo del prodotto finito viene risentito soprattutto da quelle che esportano (infatti, i problemi di competitività-prezzo vengono avvertiti dal 55,2% delle imprese manifatturiere esportatrici, e solo dal 48,8% delle non esportatrici, che comunque hanno risentito della maggiore competitività sui mercati locali dei concorrenti extra-europei: secondo il 59,9% degli intervistati, l’euro forte ha effetti di prezzo penalizzanti anche sui mercati finali domestici).

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Sono soprattutto le imprese medio-grandi a pagare il conto: il 72% delle imprese fra 50 e 250 addetti ha risentito degli effetti di lievitazione del costo delle materie prime energetiche, il 100% di quelle con oltre 250 addetti paga la perdita di competitività-prezzo sui mercati finali. La ragione è semplice: le imprese più collegate ai mercati internazionali, e quindi più vulnerabili alle fluttuazioni del cambio, sono quelle più grandi. Da un certo punto di vista, quindi, la piccola dimensione e la concentrazione su bacini di mercato di prossimità ha protetto le imprese minori dagli effetti dei tassi di cambio internazionali. Per il 2008, la questione non sembra cambiare: il 58,1% del campione manifatturiero subirà gli effetti dell’aumento dei costi di approvvigionamento di materie prime, mentre il 49,2% subirà il degrado della competitività di prezzo sui mercati finali di esportazione. Tale effetto passa più per un peggioramento delle ragioni di scambio che per un declino delle quantità esportate: solo il 44,2% delle imprese per il 2007 ed il 43,5% per il 2008 scontano una riduzione dei volumi. Per la maggioranza delle imprese esportatrici, si venderanno dunque gli stessi volumi, ma a prezzi meno convenienti. Anche il comparto turistico subisce gli effetti dell’euro forte, tramite una contrazione degli arrivi di turisti extracomunitari, nel 74,4% dei casi. Il69,2% delle imprese turistiche avverte anche l’incremento dei costi delle materie prime (soprattutto della bolletta per luce e riscaldamento degli esercizi). Il 75,8% degli operatori, a causa dei sovraccosti della bolletta energetica, dovrà incrementare il prezzo dei servizi nel 2008, peggiorando quindi la sua competitività rispetto a tale parametro. Sono soprattutto le imprese turistiche potentine a sentirsi penalizzate, sia in termini di riduzione del numero di clienti stranieri (76,9%), che di aumento dei costi (84,6%) e del conseguente, previsto, incremento dei listini dei prezzi offerti ai clienti (76,9%). Meno rilevanti gli effetti di competitività sui mercati finali per gli altri comparti che, essendo meno aperti all’interscambio commerciale con l’estero, sono più “protetti” dagli andamenti del cambio. Tuttavia, l’86,8% delle imprese edili ha percepito un “molto grave” o “grave” incremento dei costi di acquisto delle materie prime derivanti dall’apprezzamento dell’euro (carburanti, materiali importati dall’esterno dell’UE, ecc.), e l’88% prevede di subirlo anche per il 2008. Il 55,3% del campione dovrà conseguentemente aumentare il prezzo dei lavori nel 2008.

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4.2 La delocalizzazione I processi di globalizzazione economica non riguardano, ovviamente, soltanto gli

aspetti di tipo commerciale, coinvolgendo anche la sfera produttiva: le imprese delocalizzano parti dei propri processi produttivi, tipicamente quelle a minor contenuto di conoscenza e maggior contenuto di lavoro, al fine di trovare le condizioni di costo di produzione più vantaggiose. Ma delocalizzano anche per realizzare una presenza diretta su mercati di particolare interesse, che molto spesso può servire per aggirare particolari barriere all’entrata. Infine, le imprese delocalizzano per andare ad operare in particolari bacini di manodopera specializzata, o di competenze specifiche.

Quale che sia la motivazione, si è in generale notato che i processi di delocalizzazione tendono, nei sistemi industriali maturi, tipicamente a posizionarsi in una ben precisa fase dello sviluppo, quando le imprese hanno “saturato” l’offerta di fattori produttivi sul territorio, talché questi ultimi sono divenuti troppo costosi, o quando il grado di sviluppo competitivo porta all’esigenza di esplorare nuovi mercati esteri, anche per il tramite di una presenza diretta in loco. Queste considerazioni sono quindi valide, evidentemente, per territori che hanno già raggiunto gradi elevati di sviluppo industriale, non per regioni a basso tasso di crescita ed in ritardo di sviluppo, come la Basilicata, dove non vi è né una saturazione dei fattori produttivi (la disoccupazione abbonda, ed il costo unitario del lavoro è ancora relativamente basso, se confrontato con il Centro-Nord) né una capacità di proiezione internazionale tale da giustificare diffusi processi di delocalizzazione.

Pertanto, tale fenomeno è del tutto marginale, riguardando, attualmente, solo il 2,4% del campione manifatturiero, e, in termini previsionali, un ulteriore 4,9% dell’industria in senso stretto, ed essendo pressoché assente negli altri comparti economici in analisi. Le poche imprese che hanno delocalizzato hanno scelto destinazioni di prossimità, all’interno quindi dell’Unione Europea (87,1% dei casi, soprattutto per le imprese minori) e solo in percentuali minime (5,2%) Paesi dell’America Latina.

TABELLA 52 Propensione a de localizzare

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Si, è delocalizzata 2,4% - - - No, ma è intenzionata 4,9% - - - No, e non è intenzionata 92,3% 100,0% 98,7% - Non indica 0,4% - 1,3% - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

I settori coinvolti risultano essere soprattutto l’estrazione e lavorazione dei minerali non metalliferi (ed in particolare, l’industria energetica ed estrattiva legata alla presenza dell’ENI ed a quella imminente della Total), la chimica di base e, a livello previsionale, la metalmeccanica. Il territorio, attualmente e potenzialmente, più interessato a processi di delocalizzazione, è quello potentino.

Contrariamente a quanto si potesse pensare, le procedure di delocalizzazione riguardano quasi essenzialmente imprese piccole, che, vista anche le destinazioni delle

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delocalizzazioni (altri Paesi dell’area UE, con strutture di costo similari a quelle italiane) delocalizzano probabilmente alla ricerca di bacini di competenze tecnologiche distintive, come si vedrà meglio nel seguito. Il 5,2% di piccole imprese destinate verso Paesi dell’America Latina fanno questa scelta, probabilmente, sia per ragioni di costi di produzione più bassi, sia per penetrare meglio tali mercati (altrimenti, se la ragione fosse solo riferita ai costi di produzione, avrebbero potuto andare verso l’Europa dell’Est, risparmiando sui costi di trasporto).

TABELLA 53 Propensione a delocalizzare nel comparto manifatturiero, per classe dimensionale

di addetti e provincia Classe di addetti Provincia Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Matera Potenza Si, è delocalizzata 2,5% 0,8% - 2,4% 2,4% No, ma è intenzionata 5,2% - - 3,3% 5,9% No, e non è intenzionata 91,9% 99,2% 100,0% 94,3% 91,1% Non indica 0,4% - - - 0,7% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Come era invece abbastanza prevedibile attendersi, le procedure di delocalizzazione, o le previsioni di attivazione di tali procedure, sono concentrate perlopiù nelle imprese che esportano, che hanno quindi già un background di internazionalizzazione che le rende più propense a portare fuori dai confini nazionali le attività di produzione.

Per completare il profilo, si nota che le imprese già delocalizzate appartengono perlopiù a settori “medium & high tech”, mentre sono soprattutto le imprese dei settori tradizionali a volersi spostare nel prossimo futuro. Mettendo insieme i dati, e ricordando che le procedure di delocalizzazione hanno riguardato perlopiù piccole imprese, è probabile che, nella decisione di delocalizzare, abbiano agito due possibili moventi:

- da un lato, la volontà di trovare bacini di competenze/conoscenze tecniche di qualità, specie per le imprese dei settori ad alta tecnologia, che in larga misura hanno già delocalizzato;

- d’altro lato, per un 5% circa di piccole imprese dei settori tradizionali che prevedono di farlo in futuro, la spinta è la ricerca di costi più bassi, essendo settori meno sensibili alle questioni tecnologiche, ma alle prese con crescenti difficoltà di mercato, dovute anche alla congiuntura poco favorevole, così come anche la ricerca di nuovi mercati, in Paesi a livello di sviluppo intermedio, come quelli dell’America Latina, meglio sfruttabili tramite una presenza produttiva diretta.

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GRAFICO 18 Propensione a delocalizzare per effettuazione di attività di esportazione, valori %

12,3%

6,3%

0,0%

2,0%

4,0%

6,0%

8,0%

10,0%

12,0%

14,0%

Esportatrici Non esportatrici

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

TABELLA 54 Propensione a delocalizzare nel comparto manifatturiero, per livello tecnologico

Alta tecnologia Bassa tecnologia Non indica

Si, è delocalizzata 5,6% - - No, ma è intenzionata 2,7% 6,6% - No, e non è intenzionata 90,7% 93,4% 100,0% Non indica 1,0% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

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CAPITOLO 5

LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE CAMPANE

L’analisi sin qui condotta sui fattori di competitività strutturale delle imprese, con riferimento ad un modello competitivo fondato su qualità, innovazione e creatività, in grado cioè di affrontare nel modo giusto le sfide della globalizzazione, incrementando il modestissimo tasso di internazionalizzazione produttiva del sistema imprenditoriale lucano, analizzato in precedenza, conduce a dover tirare le fila del discorso complessivo, in termini di quale livello di competitività e quale modello di competizione è ritenuto utile e vincente dagli imprenditori regionali.

Occorre cioè analizzare sia la percezione degli imprenditori circa il loro livello di competitività, sia le caratteristiche ritenute auspicabili del modello competitivo aziendale. Vi è consapevolezza che per acquisire una maggiore presenza sui mercati globali occorre un modello basato su qualità, creatività, innovazione ù(e di conseguenza, anche fatto di strategie di valorizzazione del capitale umano, che è alla base di tali dinamiche) oppure si rimane incastrati su un modello post-fordista basato su efficienza produttiva e costi, oramai non più all’altezza della sfida competitiva proveniente dai Paesi emergenti a specializzazione produttiva “analoga” al Mezzogiorno?

Le percezioni soggettive degli imprenditori intervistati circa il loro “status” competitivo saranno quindi messe a confronto con le indicazioni sin qui emerse, che parlano di una sistema produttivo duale, spaccato fra un piccolo drappello di imprese, di media dimensione (ma anche di piccole imprese particolarmente dinamiche) che stanno dirigendosi verso un modello fondato su opportune strategie organizzative e di valorizzazione del personale, stanno investendo in qualità ed innovazione, stanno cercando spazi sui mercati internazionali, e una maggioranza di imprese che invece non sembrano avere una chiara strategia rispetto ai cambiamenti epocali che il sistema economico sta proponendo, e che quindi potrebbero rimanere arretrate in maniera irrimediabile.

5.1 Il posizionamento competitivo La percezione soggettiva delle imprese intervistate circa il proprio livello di

competitività è diverso da comparto a comparto. Infatti, se il manifatturiero, in generale, dà del suo livello di competitività un giudizio cauto, non negativo ma nemmeno particolarmente entusiastico, negli altri comparti, ed in particolare nei servizi, il giudizio è nettamente spostato verso un generale ottimismo. Le imprese, in sostanza, ad eccezione dell’industria in senso stretto, non hanno una idea cattiva del proprio posizionamento competitivo.

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Occorre naturalmente considerare che sono giudizi soggettivi, influenzabili anche dal desiderio di dare una immagine esterna della propria impresa favorevole, oltre che da asimmetrie informative circa le evoluzioni, preoccupanti, dello scenario economico nazionale ed internazionale, che potrebbero generarsi fra le imprese meno aperte rispetto ai mercati esterni al contesto locale, come meglio si vedrà a proposito dell’industria manifatturiera. Ciò spiegherebbe perché le imprese manifatturiere, mediamente più internazionalizzate rispetto agli altri comparti, danno un giudizio meno favorevole del proprio posizionamento competitivo.

Ad ogni modo, l’autorappresentazione che il sistema produttivo regionale ha di sé tende ad essere positiva, o comunque non negativa, e ciò dovrebbe influenzare, ad esempio, la propensione ad investire: il problema è che, se tale autopercezione è eccessivamente ottimistica, e disallineata rispetto alla realtà, si potrebbe verificare una sorta di “autocompiacimento”, che disincentiverebbe la voglia di investire, fare cambiamenti nell’assetto organizzativo, potenziare le competenze del personale, fare innovazione, ecc.

TABELLA 55

Percezione del proprio livello di competitività, valori % Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Scarso 6,6% 2,4% 1,3% - Sufficiente 28,2% 25,3% 10,7% 11,0% Discreto 28,0% 30,2% 34,9% 31,3% Buono 29,8% 37,3% 39,2% 43,5% Ottimo 7,0% 4,8% 14,0% 14,2% Non indica 0,4% - - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Dal punto di vista dimensionale, è chiaro che vi è una differenza netta fra le imprese più piccole, che in tutti i comparti esaminati hanno una visione relativamente meno favorevole del proprio posizionamento di mercato, e le imprese di maggiori dimensioni, che riescono ad avere una articolazione ed una dimensione commerciale più importante, che quindi hanno anche un posizionamento competitivo complessivo più solido.

Da notare, però, che nei servizi, sia di ICT che turistici, vi sono percentuali interessanti di imprese minori che giudicano “ottimo” il loro posizionamento competitivo. Nel primo comparto, tali imprese appartengono soprattutto al settore delle telecomunicazioni (23,6%) che, come si è visto in precedenza, ha anche degli indici piuttosto interessanti in termini di fatturato generato dai mercati di esportazione. Tale settore, quindi, in linea con la crescita complessiva che le TLC hanno avuto a livello globale, sta avviandosi verso interessanti sviluppi di mercato, grazie anche alla forte propensione ad investire in qualità del servizio finale che le imprese di TLC regionali hanno altresì evidenziato.

Quanto al turismo, le percentuali di imprese che giudicano “ottimo” il loro livello competitivo si ripartiscono in misura pressoché omogenea fra ricettività alberghiera ed extralberghiera, con una lieve prevalenza per quest’ultima (18,2%, a fronte del 12,1% degli alberghi e motels).

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TABELLA 56 Percezione del proprio livello di competitività per classe di fatturato medio annuo,

valori % Manifatturiero

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di euro

Da 1 a 3 milioni di euro

Da 3 a 5 milioni di euro

Da 5 a 10 milioni di euro

Oltre 10 milioni di euro

Scarso 7,5% - 21,1% - - - Sufficiente 32,9% 25,8% 5,5% - 26,9% 6,8% Discreto 29,4% 37,4% 20,9% 25,9% 3,1% 4,2% Buono 26,0% 31,9% 44,4% 55,3% 52,1% 21,3% Ottimo 4,2% 4,9% 8,1% 18,8% 9,0% 67,8% Non indica - - - - 9,0% -

Costruzioni

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di euro

Da 1 a 3 milioni di euro

Da 3 a 5 milioni di euro

Da 5 a 10 milioni di euro

Oltre 10 milioni di euro

Scarso 5,0% - - - - - Sufficiente 45,0% 5,9% 13,3% - - - Discreto 12,5% 41,2% 53,4% 43,0% - 100,0% Buono 32,5% 52,9% 33,3% 28,5% 100,0% - Ottimo 5,0% - - 28,5% - -

ICT

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di euro

Da 1 a 3 milioni di euro

Da 3 a 5 milioni di euro

Scarso 1,5% - - - Sufficiente 8,1% - 58,2% - Discreto 38,2% - 20,9% - Buono 36,4% 100,0% 20,9% 100,0% Ottimo 15,9% - - -

Turismo

Fino a 500 mila euro

Da 500 mila a 1 milione di euro

Da 1 a 3 milioni di euro

Da 3 a 5 milioni di euro

Da 5 a 10 milioni di euro

Sufficiente 15,9% - - - - Discreto 27,5% 39,6% 65,0% - - Buono 38,2% 60,4% 17,5% 100,0% 100,0% Ottimo 18,5% - 17,5% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

In una prospettiva territoriale, la provincia di Potenza sembra meglio posizionata rispetto a Matera nel comparto delle costruzioni ed in quello dei servizi di ICT, mentre il contrario si verifica per il manifatturiero ed il turismo. In quest’ultimo comparto, si è visto come, in effetti, le imprese ricettive materane abbiano una migliore capacità di attrazione di clientela straniera rispetto a quelle potentine. Per quanto riguarda il manifatturiero, si è visto da vari indicatori come, in realtà, l’industria potentina sembri più dinamica di quella materana, alle prese con problemi di deindustrializzazione particolarmente delicati. Per cui, la percezione relativamente migliore del proprio livello competitivo da parte delle imprese manifatturiere di quest’ultima provincia

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potrebbe essere il riflesso di una distorsione dell’autopercezione degli imprenditori, e/o di esagerazioni nelle risposte fornite.

TABELLA 57

Percezione del proprio livello di competitività per provincia, valori % Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Scarso 4,2% 8,0% - 3,6% 3,3% - - - Sufficiente 24,7% 30,2% 25,9% 25,0% 10,0% 11,1% 3,7% 15,4% Discreto 31,8% 25,8% 40,7% 25,0% 43,3% 29,6% 25,9% 34,6% Buono 31,0% 29,1% 25,9% 42,9% 36,7% 40,7% 51,9% 38,5% Ottimo 8,3% 6,2% 7,4% 3,6% 6,7% 18,5% 18,5% 11,5% Non indica - 0,6% - - - - - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Con riferimento specifico al manifatturiero che, come si è visto, ha fornito le risposte più articolate e problematiche al quesito in questione, risulta evidente che le imprese operanti sui mercati esteri hanno evidenziato i livelli di soddisfazione meno brillanti: evidentemente, tali imprese hanno diretto contatto con gli andamenti recenti dell’economia e dei mercati globali, e quindi sono maggiormente esposte all’attuale fase di rallentamento dei consumi su scala internazionale, ed al conseguente inasprimento della pressione competitiva sui mercati. Le imprese che operano solo sul mercato locale, invece, da un certo punto di vista, sono “protette”, almeno per il momento, dalla crisi economica internazionale, perché hanno n radicamento forte sul loro bacino di mercato di prossimità, ancora non lambito dagli effetti del peggioramento del quadro macroeconomico. Evidentemente, però, tale protezione è solo temporanea, e se la crisi peggiorerà, anche tali imprese ne sentiranno le conseguenze in termini di competitività.

Le imprese che investono, invece, in generale tendono ad avere una percezione della propria competitività migliore rispetto a quelle che non lo fanno, così come, più nello specifico, quelle che investono in formazione professionale del proprio personale. Quindi, investire, e nello specifico investire nel proprio capitale umano, ha dei ritorni, in termini di miglioramento degli assetti competitivi, percepibili anche dai vertici aziendali. Non si può quindi che auspicare che il sistema produttivo regionale acquisisca una maggiore consapevolezza dell’importanza di realizzare strategie di valorizzazione del capitale umano, ed abbia, anche grazie ad una migliore adeguatezza dei canali di finanziamento, una maggiore possibilità di realizzare quegli investimenti strategici per la sua competitività.

Ad ogni modo, non sembra che si verifichi quell’effetto di “autocompiacimento” di cui si discuteva in precedenza: le imprese con migliori percezioni della propria competitività sono quelle che non rinunciano a fare sforzi di investimento e di formazione del personale. Le imprese più marginali (e più consapevoli della propria marginalità) sono quelle che non fanno tale sforzo.

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TABELLA 58 Percezione del proprio livello di competitività nelle imprese manifatturiere per

alcune caratteristiche di strategia aziendale, valori % Investimenti

2007 Investimenti

2008 Export 2007 Export 2008 Formazione

2007 Formazione

2008 Totale

Scarso 1,2% 7,9% 6,3% - - 3,8% 6,6%

Sufficiente 13,3% 20,3% 18,5% 24,0% 30,6% 35,4% 28,2%

Discreto 15,0% 20,7% 31,8% 31,9% 11,0% 17,8% 28,0%

Buono 55,2% 41,0% 35,8% 35,5% 40,5% 30,8% 29,8%

Ottimo 13,7% 8,7% 5,4% 6,0% 15,6% 10,3% 7,0%

Non indica 1,7% 1,4% 2,2% 2,6% 2,2% 2,0% 0,4%

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Quanto sopra detto è in termini di analisi statica delle percezioni competitive delle imprese. In termini dinamici, nel corso del 2007 i livelli di competitività sono rimasti, in massima parte, invariati, specie per le imprese di servizi che, come si è visto, hanno già le percezioni migliori del loro livello competitivo. Nel settore manifatturiero, invece, si registra una maggiore dinamica, con le imprese che hanno migliorato la propria situazione competitiva che prevalgono, leggermente, su quelle che invece hanno visto peggiorare tali livelli.

Più nello specifico, nell’industria manifatturiera la competitività è migliorata maggiormente nelle imprese ad alta tecnologia (41,4%), in quelle che hanno investito (59,3%) ed innovato (49,8%), in quelle che hanno fatto formazione ai propri dipendenti (50%). Vi è quindi una correlazione fra la scelta di adottare un modello competitivo moderno, basato su innovazione, competenze, creatività e quindi, in ultima analisi, qualità (che è la combinazione dei fattori appena esposti) e miglioramento della propria posizione competitiva.

TABELLA 59

Variazione nel corso del 2007 del proprio livello di competitività, valori % Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Migliorato 33,7% 31,3% 39,2% 40,7% Peggiorato 21,3% 20,4% 3,6% 7,2% Invariato 44,8% 48,3% 57,3% 52,1% Non indica 0,1% - - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Il miglioramento delle condizioni competitive, nel manifatturiero, proviene essenzialmente dalle imprese di maggiori dimensioni, che infatti riescono a raggiungere livelli eccellenti di competitività molto più facilmente delle imprese più piccole, maggiormente isolate dai mercati non meramente domestici. Le imprese più grandi riescono più facilmente a mettere insieme le risorse minime necessarie per fare innovazione, investire in qualità, avviare programmi impattanti di formazione ed aggiornamento per il proprio personale, ecc., quindi in definitiva per adottare schemi competitivi più avanzati.

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In termini territoriali, sempre con riferimento al manifatturiero, le imprese più dinamiche sembrano appartenere al territorio di Matera (41,5% delle imprese di tal provincia ha migliorato il proprio livello di competitività, a fronte del 29,2% di Potenza) anche se vale quanto già detto a proposito della possibile discrasia fra auto-rappresentazione della competitività da parte dell’impresa stesse e condizioni reali che stanno maturando nei sistemi produttivi locali, in termini di capacità di investire, innovare, esportare, ecc.

TABELLA 60

Variazione nel corso del 2007 del proprio livello di competitività nell’industria manifatturiera, per classe dimensionale di addetti, valori %

Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Migliorato 32,5% 51,6% 77,6% Peggiorato 22,4% - - Invariato 44,9% 48,4% 22,4% Non indica 0,1% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

5.2 Le “leve” della competitività Per verificare la capacità degli imprenditori locali di comprendere quali siano le

leve fondamentali del Nuovo Paradigma Competitivo, cioè le questioni che è necessario affrontare per adottare un modello competitivo vincente nell’era dell’economia immateriale e della conoscenza, sono state chieste agli intervistati alcune domande relativi ad elementi di fondo della loro strategia aziendale. In particolare, è stata chiesta una valutazione circa la capacità della propria azienda di:

- accedere a fonti di conoscenza esterne, indispensabili, soprattutto per le imprese più piccole non aventi una articolazione di funzioni di marketing, ricerca ed innovazione interne, per comprendere come i mercati e la concorrenza stanno evolvendo, intermini commerciali, strategici, tecnologici, ecc. ,e quindi impostare una panificazione strategica efficace;

- realizzare innovazioni d’uso dei propri prodotti o servizi, in modo da render più rapido e facile l’utilizzo dei prodotti stessi da parte della clientela;

- fare innovazione per incrementare o allargare la gamma delle prestazioni dei prodotti/servizi offerti;

- far politiche di marketing ed analisi del mercato utili per anticipare i bisogni espliciti e latenti dei mercati, e quindi rimanere sempre in sintonia con le evoluzioni dei gusti dei consumatori.

In sostanza, mentre i primi tre punti attengono alla strategia produttiva o di offerta, l’ultimo è strettamente collegato alla strategia sul versante della domanda. E’ opportuno quindi verificare tali due aspetti strategici separatamente.

Con riferimento al manifatturiero, le strategie “supply side” messe in piedi dalle imprese intervistate sembrano, a giudizio dei rispondenti, aver prodotto effetti significativi diffusi. Soprattutto la capacità di introdurre nuove prestazioni di prodotto, che implica la capacità di saper fare innovazione di prodotto di portata significativa, è

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giudicata elevata o molto elevata dal 16,1% del campione, e comunque è ritenuta soddisfacente da un ulteriore 55,4%. Ora, ritenere “soddisfacente” tale item implica avere la capacità, se non di anticipare l’innovazione tecnologica di prodotto dei concorrenti, quantomeno di rimanere sulla frontiera tecnologica del settore, tenendosi aggiornati e sapendo rapidamente trasferire gli aggiornamenti tecnici dei prodotti alla produzione.

Per le imprese manifatturiere medio-grandi, che, dalle risposte fornite, sono quelle che hanno fornito risposte particolarmente positive, tale possibilità è effettivamente più facile, perché le loro dimensioni consentono loro di avere contatti più continui con i mercati (infatti, il 66,4% delle imprese più grandi ha dichiarato di avere una capacità elevata di acquisire informazioni esterne) e quindi tenersi aggiornate anche sulle caratteristiche tecniche e prestazionali dei propri prodotti.

Tuttavia, se si riflette sul fatto che, come notato in precedenza, più del 90% delle imprese manifatturiere intervistate non ha introdotto innovazioni nel 2007 e l’81% non prevede di farlo nemmeno per il 2008, e la piccola percentuale di imprese industriali innovatrici, nel 62% dei casi, non ha riscontrato alcun effetto competitivo dall’innovazione introdotta, risulta difficile credere che vi sia una percentuale così diffusa di imprese con una capacità elevata di fare innovazione, sia sulle funzioni d’uso più correnti che, a maggior ragione, sulle prestazioni intrinseche dei prodotti.

Anche con riferimento alla capacità di acquisire conoscenze esterne, che coinvolge su un livello giudicato elevato o molto elevato il 10,8% delle imprese, ed a livello percepito come soddisfacente un ulteriore 62,1%, vi è una discrasia rispetto al dato, già analizzato, per cui solo il 10,6% delle imprese dell’industria in senso stretto hanno rizzato attività di R&s od innovazione di tipo cooperativo, ovvero in collaborazione con il sistema della ricerca pubblica e/o altre imprese in contesti distrettuali. L’immagine di sostanziale isolamento che emerge, nella maggior parte del tessuto manifatturiero regionale, dai dati esaminati nei precedenti capitoli, di fatto dovrebbe rendere molto difficile una sistematica e proficua attività di acquisizione ed internalizzazione di fonti di conoscenza esterne.

La verità di fondo, rispetto a tali dati, che costituiscono comunque delle auto-rappresentazioni soggettive, è che possono essersi verificati dei diffusi fenomeni di distorsione informativa: le imprese, isolate dal loro contesto e dai mercati globali, ritengono di avere le capacità cognitive ed innovative sufficienti per sopravvivere, ma si tratta di una illusione, alimentata da una consuetudine a non competere su scala globale, e con modelli competitivi di qualità, basati su competenze e creatività. Tali imprese, in realtà, stanno accumulando ritardi competitivi significativi, e la mancata percezione di tale gap rende ancora più grave la situazione, perché disincentiva l’adozione delle necessarie contromisure. Quando l’evoluzione, sempre più preoccupante, del quadro macroeconomico eliminerà tale protezione illusoria, è possibile che le imprese si trovino improvvisamente, e tardivamente, confrontate con una realtà molto più amara delle loro attuali percezioni.

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TABELLA 61 Auto-valutazione delle imprese manifatturiere intervistate circa la loro capacità di

gestire determinati aspetti della competitività dal lato dell’offerta per classe di addetti, valori %

Capacità di acquisizione di conoscenze esterne Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Molto elevata 0,7% 0,6% Elevata 9,4% 12,9% 66,4% 10,2% Soddisfacente 61,4% 87,1% 33,6% 62,1% Scarsa 28,2% 26,7% Del tutto inadeguata 0,1% 0,1% Non indica 0,2% 0,2% Capacità di realizzare innovazioni d'uso Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Molto elevata 0,7% 0,6% Elevata 9,8% 12,9% 66,4% 10,6% Soddisfacente 59,3% 69,0% 33,6% 59,4% Scarsa 28,0% 26,6% Del tutto inadeguata 1,3% 1,3% Non indica 0,9% 18,2% 1,6% Capacità di realizzare nuove o migliori prestazioni del prodotto Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Totale Molto elevata 1,4% 1,4% Elevata 13,8% 22,5% 66,4% 14,7% Soddisfacente 54,7% 77,5% 33,6% 55,4% Scarsa 29,3% 27,8% Del tutto inadeguata 0,6% 0,6% Non indica 0,2% 0,2% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Considerazioni analoghe valgono anche per gli altri comparti dell’economia. Al netto del comparto delle costruzioni, relativamente più cauto nel giudicare la propria capacità di gestire una strategia competitiva basata su conoscenze ed innovazione nel ciclo produttivo, gli altri macro-settori evidenziano percentuali sostanzialmente minime di imprese che hanno scarse capacità di acquisizione di conoscenze esterne, o innovazione, più o meno radicale, del servizio. Tuttavia, anche per tali settori, le propensioni all’innovazione e le conseguenze positive delle innovazioni introdotte risultano, come si ricorderà dai precedenti paragrafi, poco significative. Pertanto, è poco realistico che solo una minore parte delle imprese di tali comparti percepisca una scarsa capacità di tenere sotto controllo i parametri competitivi della conoscenza e dell’innovazione.

79

GRAFICO 19 Percentuali di imprese che giudicano “scarsa”o “molto scarsa” la capacità di

gestire alcuni elementi di strategia competitiva dal lato dell’offerta per comparto

27,7%30,1%

34,9%

17,5% 18,8% 18,8%

29,9%

23,4%

17,6%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

35,0%

40,0%

Acquisizione di conoscenze esterne Innovazione d'uso Nuove performance diprodotto/servizio

Costruzioni ICT Turismo

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Sul versante delle strategie competitive “demand side”, ovvero della capacità di

rimanere agganciati alle variazioni della domanda, si ripropone un tema analogo. Con riferimento al manifatturiero, la maggior parte delle imprese evidenzia una soddisfacente, se non ottima, capacità di anticipare i bisogni espliciti e latenti dei consumatori, quindi un posizionamento di mercato del tutto positivo, che potrebbe giustificarsi, ad esempio:

- se le imprese facessero, sistematicamente, studi di mercato finalizzati ad una pianificazione commerciale strategica efficace, al fine di monitorare la domanda ed elaborare risposte commerciali e di marketing appropriate. Ma, come si è visto in precedenza, le imprese manifatturiere, come del resto quelle degli altri comparti, effettuano tale attività in modo molto raro (solo il 7,2% del campione fa pianificazione strategica, solo nel 7,5% delle imprese esiste una funzione marketing presidiata ed operativa) e male (nella maggior parte dei casi, senza coinvolgere e/o comunicare con il personale interno);

- se le imprese avessero posizionamenti di mercato forti. Ma solo una parte minoritaria delle imprese manifatturiere intervistate (36,6%) ha bacini di mercato esterni agli angusti confini della regione, e una quota ancora minore riesce ad esportare, un chiaro sintomo di difficoltà a conquistare mercati che non siano agevolati dalla mera vicinanza fisica fra produttore e consumatore, e quindi una diffusa difficoltà ad implementare strategie competitive soddisfacenti sotto il profilo dei risultati.

80

In sostanza, anche in questo caso, sembra che le imprese manifatturiere intervistate sopravvalutino le loro capacità di rispondere alle evoluzioni, esplicite ed ancora latenti, della domanda finale. E lo scarto fra realtà e percezioni potrebbe, come nel caso delle strategie “supply side”, essere molto duro.

Ciò che invece emerge, ed è assolutamente credibile, è che le percezioni migliori, in termini di capacità di controllo della domanda, emergono da quelle imprese più grandi dimensionalmente (che hanno la possibilità organizzativa di dotarsi di una funzione di pianificazione strategica e di marketing), e con una capacità di fare formazione al personale, per renderlo più efficiente ma anche più attento alle esigenze del cliente finale. Lo stesso può dirsi, in generale, per le imprese che hanno fatto investimenti in R&S, rispetto a quelle che hanno rinunciato a tale opzione.

In ultima analisi, l’adozione di un modello competitivo basato su competenze, creatività, e la possibilità di disporre di una massa critica organizzativa e dimensionale minima, consente di sintonizzarsi più efficacemente con le evoluzioni della domanda, e di acquisire vantaggi competitivi significativi. Il problema è proprio costituito dal fatto che solo una parte minoritaria dell’apparato produttivo lucano riesce ad adottare in pratica, al di là delle percezioni soggettive degli imprenditori, tale modello.

TABELLA 62

Auto-valutazione delle imprese manifatturiere intervistate circa la loro capacità di rispondere alle evoluzioni dei bisogni espliciti e latenti del mercato, per classe di

addetti e per alcune caratteristiche strutturali delle imprese, valori %

Classe di addetti Età media gruppo dirigente Propensione ad investire in

formazione

Fino a

50 Da 51 a

250 Oltre 250

Fra 25 e 40 anni

Fra 40 e 50 anni

Oltre i 50 anni Si No Totale

Molto elevata 0,7% 1,2% 3,0% 0,2% 0,6% Elevata 16,1% 22,5% 66,4% 8,2% 25,2% 32,3% 14,5% 17,6% 17,0% Soddisfacente 55,4% 77,5% 33,6% 71,7% 50,4% 54,1% 66,7% 54,2% 56,1% Scarsa 27,1% 18,9% 23,8% 12,3% 15,9% 27,2% 25,7% Non indica 0,7% 0,1% 0,6% 1,3% 0,8% 0,7% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

GRAFICO 20 Auto-valutazione delle imprese manifatturiere intervistate circa la loro capacità di

rispondere alle evoluzioni dei bisogni espliciti e latenti del mercato, per effettuazione di investimenti in R&S nel 2006-2007, valori %

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

Molto elevata Elevata Soddisfacente Scarsa Non indica

Si

No

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

81

Un discorso analogo vale per gli altri settori. Con la parziale eccezione delle

imprese edili che, come anche nel caso delle strategie supply-side, manifestano un pessimismo più diffuso, la maggior parte delle imprese dell’ICT e del comparto ricettivo evidenzia un livello soddisfacente di controllo delle evoluzioni delle preferenze dei loro consumatori di riferimento. Ciò però contrasta con la quota molto marginale di imprese dell’ICT e del turismo che hanno funzioni di marketing e di pianificazione operative in azienda (rispettivamente, il 3,6% ed il 5,2%) e con il modesto grado di penetrazione sui mercati extra-localistici (le imprese dell’ICT che vendono fuori dai confini della regione sono solo il 29,5% del totale, le imprese turistiche ricavano appena il 13,5% del loro fatturato dai clienti stranieri).

GRAFICO 21 Auto-valutazione delle imprese intervistate circa la loro capacità di rispondere alle

evoluzioni dei bisogni espliciti e latenti del mercato, per comparto, valori %

1,4%

9,6% 7,1% 9,6%

53,0%

75,3%

66,7%

37,3%

17,5%22,4%

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

Costruzioni ICT Turismo

Molto elevata Elevata Soddisfacente Scarsa

Fonte: Elaborazione OBI, SRM

5.3 Il livello tecnologico delle imprese Un approfondimento fra livello tecnologico raggiunto delle imprese e

comportamenti competitivi si rende necessario per chiudere il discorso sul modello competitivo, stante la rilevanza che tale tematica assume per il futuro dell’economia regionale, come per quella nazionale. L’analisi verrà condotta, ancora una volta, in termini di autopercezione degli imprenditori circa il loro livello innovativo.

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L’impressione generale è che, ancora una volta, le imprese abbiano una autopercezione del proprio livello tecnologico, in confronto alla concorrenza, molto ottimistica rispetto alla situazione reale, soprattutto nei comparti delle costruzioni e dell’ICT, dove la percentuale di intervistati che reputa di possedere un livello tecnologico superiore ai concorrenti è molto alta. Infatti, per poter essere più che competitivi sui livelli di tecnologia, occorre investire massicciamente in R&S ed innovazione. Ora, come si ricorderà, le percentuali di imprese che hanno investito o investiranno in innovazione oscillano fra l’1,3% dell’ICT e l’11,3% del manifatturiero, e la quota delle spese per innovazione sul fatturato di chi ha fatto uno sforzo per innovare va dal 7,5% delle costruzioni al 15,3% del manifatturiero. Inoltre, come è noto, il modello di specializzazione produttiva dell’economia lucana, che in qualche modo costituisce il quadro di partenza, è spostato su settori di tipo tradizionale, o, tutt’al più, di livello tecnologico intermedio. E’ quindi difficile pensare a percentuali così elevate di imprese che reputano di godere di un livello tecnologico superiore rispetto alla concorrenza nei vari comparti esaminati.

E’ anche certo che se la grande maggioranza degli imprenditori intervistati opera primariamente, se non, spesso, esclusivamente, su mercati che non superano la dimensione regionale, i loro principali competitors saranno altri imprenditori della medesima regione che, in generale, non avranno un livello tecnologico superiore al loro. Per cui, ancora una volta, la percezione eccessivamente ottimistica degli intervistati può dipendere da una distorsione cognitiva, dovuta al modesto grado di apertura su mercati e contesti che non siano meramente localistici.

Il sistema produttivo lucano ha bisogno di robuste iniezioni di tecnologia ed innovazione: questo è un fatto certo, che non può essere smentito da percezioni in qualche misura distorte, non del tutto allineate alla realtà.

TABELLA 63

Auto-valutazione delle imprese intervistate circa il loro livello tecnologico rispetto alla concorrenza, valori %

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo Alta tecnologia (superiore al livello medio della concorrenza) 42,2% 52,9% 77,1% 42,1%

Bassa tecnologia (inferiore al livello medio della concorrenza) 57,6% 47,1% 22,9% 56,5%

Non indica 0,2% - - 1,4% Fonte: Elaborazione OBI, SRM

E tale bisogno appartiene soprattutto alle imprese minori, che hanno la percezione di una più generalizzata arretratezza tecnologica rispetto alla concorrenza, per i maggiori ritardi in termini di investimento, che penalizzano tale segmento dimensionale.

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TABELLA 64 Auto-valutazione delle imprese manifatturiere intervistate circa il loro livello

tecnologico rispetto alla concorrenza per classi di addetti, valori % Fino a 50 Da 51 a 250 Oltre 250 Alta tecnologia (superiore al livello medio della concorrenza) 40,2% 77,0% 88,8%

Bassa tecnologia (inferiore al livello medio della concorrenza) 59,6% 23,0% 11,2%

Non indica 0,2% - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM Ancora una volta, comunque, essere competitivi sulla tecnologia vuol dire essere più competitivi sui mercati. Infatti, le imprese che esportano (e che quindi sono competitive dal punto di vista commerciale) hanno una migliore percezione generale del loro livello di competitività tecnologica. L’innovazione si conferma quindi come un elemento indispensabile del Nuovo Paradigma Competitivo, vincente in questa fase di economia “smaterializzata” o leggera, dove contano le competenze e la qualità, più che i costi e le quantità.

GRAFICO 22 Auto-valutazione delle imprese intervistate circa il loro livello tecnologico rispetto

alla concorrenza per effettuazione di esportazioni nel 2007, valori %

49,4% 50,6%

40,7%

59,1%

78,6%

21,4%

77,4%

22,6%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

90,0%

Alta tecnologia Bassa tecnologia

Manifatturiere Esportatrici Manifatturiere Non esportatrici ICT Esportatrici ICT Non esportatrici

Fonte: Elaborazione OBI, SRM Da un punto di vista territoriale, infine, in un quadro, poco coerente alla realtà, di

diffusa soddisfazione rispetto al proprio livello competitivo sul fronte tecnologico, le imprese potentine manifestano un maggiore ottimismo rispetto a quelle materane nei comparti manifatturiero, edile e nell’ICT, mentre il contrario sembra verificarsi nel turismo. Si è infatti notato, nei precedenti paragrafi, che il comparto turistico materano ha messo in luce alcuni elementi sintomatici di un migliore posizionamento rispetto a

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quello potentino (ad esempio, la maggiore capacità di attrarre turismo straniero, oppure la maggiore facilità di accesso a crediti bancari a medio-lungo termine per coprire gli investimenti, un dato, questo, che è sintomatico di progetti di investimento che sono risultati credibili e robusti a fronte delle istruttorie bancarie). Il contrario si invece riscontrato negli altri comparti dell’economia, ed in particolare nell’industria, manifatturiera ed edile, in cui le imprese potentine evidenziano alcuni elementi di maggiore dinamismo.

TABELLA 65

Auto-valutazione delle imprese intervistate circa il loro livello tecnologico rispetto alle esigenze produttive e di mercato per comparti e province, valori %

Manifatturiero Costruzioni ICT Turismo

Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Matera Potenza Del tutto adeguato alle attuali esigenze produttive e di mercato 34,9% 36,9% 25,9% 32,1% 43,3% 59,3% 40,7% 38,5%

Abbastanza adeguato alle attuali esigenze produttive e di mercato 42,5% 50,1% 48,1% 57,1% 50,0% 40,7% 48,1% 42,3%

Non del tutto adeguato alle attuali esigenze produttive e di mercato 21,6% 9,8% 25,9% 7,1% 6,7% - 11,1% 19,2%

Del tutto inadeguato alle attuali esigenze produttive e di mercato 0,7% 3,2% - 3,6%

- - - - Non indica 0,3% - - - - - - - Fonte: Elaborazione OBI, SRM

Conclusioni Il presente rapporto ha analizzato il posizionamento del sistema produttivo lucano

(con riferimento ai comparti del manifatturiero, costruzioni, e dei servizi ICT e turistico-ricettivi) rispetto all’adozione di un modello strutturale di competitività adeguato a supportare le sfide che la competizione globale attuale pone, quindi imperniato su competenze, qualità, innovazione, approccio “customer oriented”, piuttosto che meramente fondato sui parametri tecnico-produttivi. Rispetto a tale modello, che nelle scorse edizioni del presente rapporto è stato denominato “Nuovo Paradigma Competitivo”, è stato approfondito il comportamento delle imprese del campione intervistato in riferimento ad alcuni elementi di strategia aziendale fondamentali per poter implementare detto paradigma, nonché ad alcuni indicatori che mostrano se effettivamente il sistema produttivo regionale sta orientandosi verso schemi competitivi moderni. Tali elementi ed indicatori strategici, che sono stati poi posti a confronto con le percezioni soggettive degli imprenditori circa il livello di competitività che questi ritengono di aver conseguito, sono i seguenti:

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strategie imprenditoriali riferite all’organizzazione interna dell’impresa ed alle politiche del personale. Prima ancora di analizzare nel dettaglio le varie opzioni strategiche, si è verificato se effettivamente esiste un diffuso orientamento strategico, nel tessuto imprenditoriale lucano, in riferimento ad organizzazione e gestione del personale;

propensione e capacità di investimento, posto che nessun nuovo modello di competitività può essere concretamente implementato se le imprese non hanno la capacità o possibilità di sostenere le spese necessarie a ristrutturare i propri assetti;

propensione e capacità di innovare e di investire in qualità del prodotto/servizio finale, dove l’innovazione va intesa in senso ampio, ovvero comprendente anche la componente organizzativa e gestionale;

capacità di cogliere le opportunità offerte dai processi di globalizzazione, sia sul versante commerciale (superando la tradizionale modesta proiezione del sistema produttivo lucano fuori dai propri contesti di mercato localistici, e posizionandosi su mercati internazionali) che produttivo (delocalizzando parti del processo produttivo all’estero).

Il quadro generale che emerge dall’analisi non è scevro da alcune preoccupazioni, pur contenendo anche elementi positivi, soprattutto in termini di conferma di un cambiamento in atto, a livello di cultura di impresa, che riconosce, almeno sul piano dei principi, la necessità di passare da un modello competitivo basato sul solo controllo dei costi interni ad uno schema fondato sulla qualità e l’innovazione.

Infatti, si conferma il fatto che le imprese sono consapevoli del fatto di dover investire in qualità ed innovazione: l’analisi della destinazione degli investimenti effettuati nell’ultimo triennio lo conferma. Anche la finalizzazione dei programmi di innovazione che sono stati introdotti è sempre orientata a dare maggiore qualità al prodotto o servizio finale, mentre la quota di investimenti destinati al mero controllo dei costi di produzione, in una logica competitiva neo-fordista oramai perdente rispetto alla pressione proveniente dalle economie emergenti a basso costo del lavoro, è assolutamente minoritaria. Inoltre, specie nel manifatturiero, si nota una decisa tendenza ad incrementare, rispetto al recente passato, la quota di dipendenti avviati ad attività di formazione ed aggiornamento professionale, valorizzando quindi il capitale umano aziendale, condizione sine qua non per poter fare innovazione e qualità, e quindi, in ultima analisi, per poter adottare il nuovo paradigma competitivo.

Tuttavia, il passaggio da una consapevolezza teorica ad una implementazione concreta di un modello competitivo basato sulla conoscenza, la creatività e la qualità, è molto meno facile, come dimostra la percentuale minoritaria di imprese che riescono ad effettuare investimenti, sia immateriali (in formazione ed in R&S) che materiali. Di fatto, emerge un quadro dualistico, in cui una piccola minoranza di imprese più dinamiche, a volte anche fra le classi dimensionali minori, cerca di reagire all’attuale ciclo congiunturale negativo, investendo in qualità ed in ricerca ed innovazione tecnologica, facendo fare formazione professionale ai propri addetti, presidiando le funzioni organizzative più complesse ed a più alto ritorno, nel medio-lungo periodo, per la competitività aziendale, come la pianificazione strategica, il marketing e la logistica, cercando di acquisire professionalità più creative tramite l’inserimento in

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organico di neoassunti ad elevata qualifica, e cercando una presenza commerciale al di fuori degli angusti,e non più sufficienti, limiti del mercato locale e regionale.

Tali imprese sono, il più delle volte, concentrate nel comparto manifatturiero, ed in particolare in alcuni settori (filiera dell’abbigliamento, metalmeccanica e, in misura minore, agroindustria e lavorazione del legno) – anche se la pur modestissima percentuale di imprese dei servizi di ICT che esportano, una novità assoluta rispetto alle edizioni degli anni precedenti, mostra un certo dinamismo di tale comparto - sono prevalentemente concentrate sul territorio della provincia di Potenza (mentre Matera sembra alle prese con fenomeni di crisi industriale più profondi e meno facilmente risolvibili nel breve, stante la meno diffusa capacità reattiva del proprio tessuto industriale), sono di dimensione medio-grande ed hanno una articolazione organizzativa relativamente importante, ovvero hanno forma giuridica di società di capitale (anche se, in alcuni casi, come per la propensione ad attivare forme di apertura internazionale maggiori, sia tramite le esportazioni e l’allargamento dei mercati di sbocco finale, che la delocalizzazione, si registra una piccola, ma non indifferente, quota di imprese minori che cercano attivamente di rispondere alla crisi, cercando nuove opportunità anche su mercati emergenti, come quelli latino-americani). Tra l’altro, chi investe riesce a produrre uno sforzo finanziario anche considerevole (la quota degli investimenti sul fatturato aziendale raggiunge il 17,3% nel manifatturiero e supera il 25% nei servizi) ampliando così il gap competitivo che lo separa dal resto del sistema produttivo regionale.

In generale, le imprese che manifestano progressi in tutti i campi sono anche quelle che riescono ad implementare strategie integrate, che cioè agiscono su tutti i fattori strutturali sottostanti al nuovo paradigma competitivo (organizzazione ed integrazione delle funzioni complesse e ad alto contenuto di conoscenza, qualità del capitale umano intesa come competenze e creatività, innovazione, capacità di investimento). Infatti, ad esempio, il 24% delle imprese manifatturiere che hanno investito nel 2006-2007 hanno anche esportato, a fronte di un più modesto 15,6% per le imprese non investitrici. Ancora, il 23% di chi innoverà nel 2008, esporterà nel medesimo anno, a fronte del 14,7% di chi non innoverà. Il 18,8% delle imprese manifatturiere che hanno fatto formazione professionale ai propri addetti hanno anche innovato, a fronte di un molto più modesto 6,1% per le imprese che non hanno fatto investimenti formativi, a dimostrazione del fatto che un pre-requisito fondamentale per poter avere una capacità innovativa consiste nelle competenze e qualità del proprio personale.

Quindi, tutto si tiene: competenze, creatività del capitale umano, capacità di realizzare una organizzazione aziendale evoluta e focalizzata sulle aree funzionali strategiche della progettazione e della strategia, capacità di investimento in qualità ed innovazione tecnologica, e risultati finali sui mercati di sbocco più ricchi e più in grado di far uscire il sistema produttivo lucano dall’attuale fase di debole congiuntura, sono tutte sfaccettature di un unico modello competitivo, coerente con l’attuale fase di Rivoluzione post-industriale e di smaterializzazione dei fattori della produzione che si sta vivendo, in un’era di “economia della conoscenza”.

Tali processi risultano facilitati quando il gruppo dirigente aziendale è giovane ed altamente qualificato, poiché ciò si traduce in una più facile lettura degli andamenti strutturali dei mercati e della competizione, ed in un maggior coraggio nell’introdurre i

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necessari correttivi per mantenere l’impresa in linea con il modello competitivo di riferimento. L’innovazione nei metodi di gestione amministrativa, gestionale e strategica si verifica nel 13,6% dei casi di imprese manifatturiere gestite da dirigenti la cui età media non supera i 40 anni, praticamente mai dalle imprese gestite da ultracinquantenni. Inoltre, la prima categoria ha introdotto nell’impresa, nell’8,8% dei casi, la funzione di pianificazione strategica; la seconda categoria praticamente mai. La propensione a fare investimenti in formazione del personale aziendale è del 41,6% per le imprese gestite da chi non ha più di 40 anni, e scende al 7,1% nelle imprese gestite da ultracinquantenni.

Viceversa, il grosso dell’apparato produttivo regionale sta accumulando ritardi rispetto all’adozione di tale modello competitivo (pur nella generalizzata consapevolezza della sua utilità). Le aree di maggior difficoltà si riscontrano nell’industria manifatturiera materana, nel comparto delle costruzioni, ancora articolato su imprese troppo piccole e poco strutturate per tentare di partecipare in misura significativa a gare di appalto fuori regione, e su una struttura interna relativamente “vecchia” (per quanto riguarda l’età media dei dirigenti) e poco qualificata (come dimostra l’elevata incidenza della manodopera senza qualificazione rispetto a quella specializzata) le cui difficoltà si rispecchiano anche in una percentuale particolarmente bassa (14,5%, a fronte del 18,1% nel manifatturiero) di imprese che, per il prossimo futuro, progettano ampliamenti del proprio personale, anche se va notato come più del 42% delle imprese edili intenda procedere con azioni di formazione professionale degli addetti, per recuperare il gap che le separa da altri comparti dell’economia regionale. Come per il manifatturiero, anche nelle costruzioni l’area meno dinamica è quella materana, che invece mostra segnali molto più interessanti rispetto a Potenza nei comparti terziari, ed in particolare nel segmento turistico, ad esempio in termini di maggiore capacità di attrazione di flussi provenienti dai mercati turistici internazionali, ma anche nell’ICT, in termini di maggiore capacità di investimento rispetto alle imprese potentine del medesimo comparto.

Le maggiori difficoltà che incontra il grosso dell’apparato produttivo regionale, nell’andare in direzione di un modello competitivo più efficace, come si nota dai dati del presente rapporto, possono come di seguito sintetizzarsi.

In primo luogo, la maggior parte delle imprese lucane non ha una vera e propria strategia di medio-lungo termine sull’organizzazione ed il personale. Se il 95% delle imprese è di piccola dimensione, e solamente una frazione di queste ha natura giuridica societaria, è evidente che non vi sono gli spazi per una articolazione organizzativa minima, e che la struttura di governance, che sarà tipicamente di tipo padronale, concentrerà sul vertice aziendale, costituito spesso dall’imprenditore-titolare, al più affiancato da qualche famigliare, tutte le attività “rare”, oppure, più semplicemente, che tali funzioni ad elevato valore aggiunto saranno assenti. Ad esempio, l’attività di pianificazione viene effettuata da una minoranza di imprese (non più del 7,5% nel manifatturiero, ancora meno negli altri comparti), solitamente, direttamente dall’imprenditore senza coinvolgere il resto del gruppo dirigente e/o i collaboratori e, peraltro, nella maggior parte dei casi, non vi è nemmeno una attività di comunicazione sistematica degli esiti della pianificazione al resto dell’organizzazione imprenditoriale.

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Ne emerge il quadro di un modello di governance padronale, poco partecipativo, imperniato sulla sola figura dell’imprenditore-padrone che, in un contesto di competizione sempre più complesso, difficilmente può considerarsi adeguato, poiché è impossibile che una sola persona detenga tutta la conoscenza necessaria per poter pianificare, mentre l’insufficiente flusso informativo e coinvolgimento del personale rende molto difficile rendere l’intera organizzazione consapevole e coinvolta negli obiettivi di sviluppo dell’azienda.

Un modello in cui le funzioni direttive e di coordinamento sono intestate al solo imprenditore-titolare, tipico di una gestione padronale da piccola impresa, si riflette anche nella sostanziale assenza di dirigenti e quadri nell’organizzazione aziendale (ma l’ICT, che ha una maggiore necessità di disporre di colletti bianchi per poter operare, ha una maggiore disponibilità di impiegati e funzioni tecnico-direttive nell’organico) ed ostacola gravemente la capacità innovativa delle imprese, perché la fonte dell’innovazione deriva primariamente dal solo imprenditore-titolare, che non attiva alcuna forma di collaborazione/coordinamento con le altre risorse aziendali, al fine di incrementare il potenziale creativo ed ideativo, e quindi incrementare la gamma delle innovazioni possibili.

Tale gap di creatività viene ulteriormente aggravato dalla sostanziale assenza di meccanismi di turnover che, oltre che contribuire ad alimentare fenomeni nocivi di emigrazione di cervelli verso altre regioni italiane, impedisce alle imprese di inserire in organico “forze fresche”, con nuove idee utili ad implementarne la funzione innovativa.

Tutto ciò riflette l’immagine di un sistema imprenditoriale chiuso e ripiegato su sé stesso, incapace di valorizzare le esternalità positive rivenienti dall’ambiente esterno, che non attiva reti di collaborazione per facilitare l’attuazione di progetti di innovazione (sia per colpa di un modello di governance restio ad aprire l’impresa a rapporti con imprese o centri di ricerca esterni, sia per colpa della precipua incapacità del sistema della ricerca pubblica di uscire dal suo bozzolo ed acquisire approcci più vicini alle esigenze del mondo delle imprese), che rimane ripiegato sullo sfruttamento dei soli mercati di prossimità e non sfrutta, se non in minima parte, le opportunità di delocalizzazione che anche la vicinanza di Paesi a basso costo del lavoro (ad esempio, i Paesi dell’area balcanica) potrebbero offrire, che finanzia il proprio sforzo di investimento quasi esclusivamente con l’autofinanziamento aziendale (sia per la forte contrazione che il sistema degli aiuti pubblici ha subito nell’ultimo anno, complice anche la tardiva approvazione della nuova carta regionale degli aiuti, sia per difficoltà di rapporto con il sistema creditizio, le cui cause strutturali, molto complesse, esulano dal presente rapporto). In particolare, tale struttura delle fonti di copertura degli investimenti, già di per sé lacunosa in un sistema composto quasi esclusivamente da piccole e medie imprese, quindi già per sua natura dotato di modeste capacità di autofinanziamento degli investimenti, diventa ancora più penalizzante, in considerazione della difficile fase congiunturale, che prosciuga ulteriormente il cash flow delle imprese, riducendo quindi la disponibilità finanziaria per investire.

Le conseguenze di un sistema troppo “chiuso” rispetto all’ambiente esterno si traducono in una modesta capacità di incidere concretamente sugli assetti competitivi aziendali, e di ritrarre benefici dagli sforzi di investimento e di innovazione che, con

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grande difficoltà, un gruppo minoritario di imprese riesce pure a effettuare. Infatti, appena il 35,5% delle imprese manifatturiere intervistate avverte effetti positivi dell’innovazione introdotta sulla propria competitività sui mercati nazionali, una percentuale che scende ad appena il 4,8% per i mercati esteri. Negli altri comparti (ICT, costruzioni, turismo), gli effetti percepiti sono ancora meno significativi. In assenza di una organizzazione aziendale adeguata a supporto dell’innovazione, e di collegamenti e collaborazioni con il sistema della ricerca esterno, le innovazioni tecnologiche introdotte sono infatti generalmente di modesta entità e quindi di non particolare impatto sull’assetto competitivo delle imprese, come dimostra anche la modestissima quota di imprese che anno avuto il giusto incentivo per adottare forme strutturate di protezione delle loro innovazioni, tramite il deposito di brevetti.

Lo sforzo per adottare un nuovo paradigma competitivo è poi ostacolato anche da auto-percezioni circa la propria competitività, da parte delle imprese intervistate, eccessivamente ottimistiche. Infatti, se il manifatturiero, in generale, dà del suo livello di competitività un giudizio cauto, non negativo ma nemmeno particolarmente entusiastico, negli altri comparti, ed in particolare nei servizi, il giudizio è nettamente spostato verso un generale ottimismo. Le imprese, in sostanza, a parziale eccezione dell’industria in senso stretto, non hanno una idea cattiva del proprio posizionamento competitivo.

Occorre naturalmente considerare che sono giudizi soggettivi, influenzabili anche dal desiderio di dare una immagine esterna della propria impresa favorevole, oltre che da asimmetrie informative circa le evoluzioni, preoccupanti, dello scenario economico nazionale ed internazionale, che potrebbero generarsi fra le imprese meno aperte rispetto ai mercati esterni al contesto locale, come meglio si vedrà a proposito dell’industria manifatturiera. Ciò spiegherebbe perché le imprese manifatturiere, mediamente più internazionalizzate rispetto agli altri comparti, danno un giudizio meno favorevole del proprio posizionamento competitivo.

Ad ogni modo, l’autorappresentazione che il sistema produttivo regionale ha di sé tende ad essere positiva, o comunque non negativa, e ciò dovrebbe influenzare, ad esempio, la propensione ad investire: il problema è che, se tale autopercezione è eccessivamente ottimistica, e disallineata rispetto alla realtà, si potrebbe verificare una sorta di “autocompiacimento”, che disincentiverebbe la voglia di investire, fare cambiamenti nell’assetto organizzativo, potenziare le competenze del personale, fare innovazione, ecc.

Con riferimento al manifatturiero, le strategie “supply side” messe in piedi dalle imprese intervistate sembrano, a giudizio dei rispondenti, aver prodotto effetti significativi diffusi. Soprattutto la capacità di introdurre nuove prestazioni di prodotto, che implica la capacità di saper fare innovazione di prodotto di portata significativa, è giudicata elevata o molto elevata dal 16,1% del campione, e comunque è ritenuta soddisfacente da un ulteriore 55,4%. Ora, ritenere “soddisfacente” tale item implica avere la capacità, se non di anticipare l’innovazione tecnologica di prodotto dei concorrenti, quantomeno di rimanere sulla frontiera tecnologica del settore, tenendosi aggiornati e sapendo rapidamente trasferire gli aggiornamenti tecnici dei prodotti alla produzione.

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Tuttavia, se si riflette sul fatto che più del 90% delle imprese manifatturiere intervistate non ha introdotto innovazioni nel 2007 e l’81% non prevede di farlo nemmeno per il 2008, e la piccola percentuale di imprese industriali innovatrici, nel 62% dei casi, non ha riscontrato alcun effetto competitivo dall’innovazione introdotta, risulta difficile credere che vi sia una percentuale così diffusa di imprese con una capacità elevata di fare innovazione, sia sulle funzioni d’uso più correnti che, a maggior ragione, sulle prestazioni intrinseche dei prodotti.

Anche con riferimento alla capacità di acquisire conoscenze esterne, che coinvolge su un livello giudicato elevato o molto elevato il 10,8% delle imprese, ed a livello percepito come soddisfacente un ulteriore 62,1%, vi è una discrasia rispetto al dato per cui solo il 10,6% delle imprese dell’industria in senso stretto hanno realizzato attività di R&s od innovazione di tipo cooperativo, ovvero in collaborazione con il sistema della ricerca pubblica e/o altre imprese in contesti distrettuali. L’immagine di sostanziale isolamento che emerge, nella maggior parte del tessuto manifatturiero regionale, di fatto dovrebbe rendere molto difficile una sistematica e proficua attività di acquisizione ed internalizzazione di fonti di conoscenza esterne.

Una medesima discrasia fra percezione e realtà si verifica anche con riferimento al grado di auto-soddisfazione circa le strategie competitive “demand-side”, indirizzate cioè a soddisfare ed anticipare i bisogni espliciti e latenti dei consumatori.

La verità di fondo, rispetto a tali dati, è che possono essersi verificati dei diffusi fenomeni di distorsione informativa: le imprese, isolate dal loro contesto e dai mercati globali, ritengono di avere le capacità cognitive ed innovative sufficienti per sopravvivere, ma si tratta di una illusione, alimentata da una consuetudine a non competere su scala globale, e con modelli competitivi di qualità, basati su competenze e creatività. Tali imprese, in realtà, stanno accumulando ritardi competitivi significativi, e la mancata percezione di tale gap rende ancora più grave la situazione, perché disincentiva l’adozione delle necessarie contromisure. Quando l’evoluzione, sempre più preoccupante, del quadro macroeconomico squarcerà tale “velo di Maia”, è possibile che le imprese si trovino improvvisamente, e tardivamente, confrontate con una realtà molto più amara delle loro attuali percezioni.

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