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L’ITALIA FASCISTA 1. IL DIRIGISMO ECONOMICO 1.1 Politica interna: Caduta della produzione e disoccupazione Con “Quota 90” si confermava il modello di sviluppo centrato sul triangolo stato-grandi industriebanche, lo stesso che aveva caratterizzato l’Italia liberale. La crisi strutturale italiana è stata provocata da quattro cause principali: il protezionismo, sostegno dello stato, la spesa pubblica, l’inflazione la deflazione. Il mercato interno venne danneggiato indirettamente, dato che la deflazione era ricaduta sui salari dei dipendenti e degli operai industriali. Il 1929 fu l’anno della grande crisi, che determinò un ciclo depressivo non indifferente: Si ebbe un calo di produzione incredibile, che oscilla tre il 15% e il 25%; La disoccupazione non fece che aumentare a dismisura; La riduzione degli stipendi portò le famiglie a non potersi comprare i beni di prima necessità Il blocco del commercio mondiale colpì le esportazioni. La reazione del regime davanti a questa crisi fu : chiudere il sistema economico all’interno dei propri confini, rompendo ogni legame di dipendenza italiana con gli altri paesi capitalistici.

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L’ITALIA FASCISTA

1. IL DIRIGISMO ECONOMICO

1.1 Politica interna: Caduta della produzione e disoccupazione

Con “Quota 90” si confermava il modello di sviluppo centrato sul triangolo stato-grandi industriebanche, lo stesso che aveva caratterizzato l’Italia liberale. La crisi strutturale italiana è stata

provocata da quattro cause principali: il protezionismo, sostegno dello stato, la spesa pubblica,

l’inflazione la deflazione. Il mercato interno venne danneggiato indirettamente, dato che la

deflazione era ricaduta sui salari dei dipendenti e degli operai industriali.

Il 1929 fu l’anno della grande crisi, che determinò un ciclo depressivo non indifferente:

Si ebbe un calo di produzione incredibile, che oscilla tre il 15% e il 25%;

La disoccupazione non fece che aumentare a dismisura;

La riduzione degli stipendi portò le famiglie a non potersi comprare i beni di prima necessità

Il blocco del commercio mondiale colpì le esportazioni.

La reazione del regime davanti a questa crisi fu :

chiudere il sistema economico all’interno dei propri confini, rompendo ogni legame di

dipendenza italiana con gli altri paesi capitalistici.

Finalizzare l’agricoltura ai soli consumi interni, rinunciando alle esportazioni.

Davanti a questi provvedimenti, chi ne risentì maggiormente furono i settori più dinamici

dell’agricoltura (vino, olio, patate, fagioli, olive…) che dovettero adattarsi ad un tipo di produzione

a loro non consono. Mentre, le produzioni cerealicole ebbero i loro vantaggi. Il settore agricolo

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non riuscì a modernizzare le sue tecniche produttive e in molte famiglie si ritornò alla produzione

dell’autoconsumo.

1.2 Dallo stato regolatore della vita economica allo stato imprenditore e banchiere:

Le conseguenze di questo ripiegamento verso il mercato interno furono molto complesse per quanto

riguarda l’industria. Infatti, la grande crisi portò l’industria a non poter far a meno dei prestiti delle

banche, le quali si trovarono davanti ad un problema macroscopico: gli immobilizzi di grandi

capitali, utilizzati per finanziare la grande industria. La strategia di salvataggio dello stato, già

utilizzata in passato, non era possibile attuarla anche questa volta, in quanto lo stato non riusciva

ad assorbire tutti i debiti delle imprese.

Vediamo che soluzioni riuscirono a trovare:

Riorganizzazione del sistema bancario: Alberto Beneduce fu l’economista che pensò bene di

scindere le funzioni di credito ordinario da quelle di prestito a lungo termine. Beneduce fu il

presidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) che si occupò di assorbire

tutte le grandi industrie cadute in crisi e tre delle banche appartenenti al quadrumvirato. A

questo istituto si affiancò l’Imi (Istituto mobiliare italiano) che, avendo il compito di

finanziare le industrie a medio e lungo termine attraverso emissione di obbligazioni,

inglobava la sezione finanziamenti dell’Iri.

Attraverso questi provvedimenti lo stato si trovò ad avere in mano il monopolio assoluto

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sull’economia italiana; aveva in un certo senso sostituito il ruolo delle grandi banche d’affari.

1Capitolo 9: L’Italia fascista

1.3L’autarchia come fine della politica economica corporativa:

Con il termine autarchia si intende l’autonomia e l’autosufficienza. La nascita di questo termine,

che sostituì quello del “protezionismo”, risale al 1936, utilizzato in risposta alle sanzioni

commerciali decise dalla Società delle nazioni in seguito all’assalto dell’Etiopia da parte di

Mussolini. La teoria economica fascista si fondava sui principi del corporativismo.

Questa teoria nasce dall’idea che il capitalismo dovesse essere superato attraverso un severo

controllo delle concorrenza a tutti i livelli; impedendo, a livello internazionale, che le

merci estere penetrassero nel mercato interno e, a livello nazionale, organizzando i

produttori dei vari settori. Con il corporativismo lo stato diventava il supremo conciliatore

di interessi diversi, quelli dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Come sappiamo, già nel 1926, con le leggi sindacali di Rocco, ogni settore economico

doveva essere organizzato in corporazioni, che riunivano i rappresentanti di tutte le parti

sociali. Nel ’30 il Consiglio nazionale delle corporazioni divenne un organo costituzionale,

il cui presidente era Mussolini.

Nel ’34 vennero costituite le corporazioni, 14 enti pubblici che dipendevano dal ministero

delle Corporazioni, assunto dallo stesso Mussolini, che avevano il compito di gestire la

produzione razionalizzando il mercato, regolando i prezzi e controllando il commercio.

L’intervento dello stato nell’economia fu lo strumento attraverso il quale il capitalismo italiano, in

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un regime autarchico, riuscì a superare la crisi tutelando le rende e i profitti. Il dirigismo economico

permise un’ulteriore concentrazione del capitale in mano a pochi grandi industriali e finanzieri

(come l’Iri e l’Imi).

1.4 Imperialismo e rilancio dell’economia nazionale:

A partire dal ’35 il regime mise in atto il rilancio dell’economia nazionale:

Attraverso una domanda forzata, alimentata dalla spesa pubblica, il motore produttivo delle

grandi imprese pubbliche si riaccese e la produzione industriale, nel 1939, toccò il 118%.

Possiamo dire che alla ripresa economica, che durò circa 4 anni, diede un forte contributo la

cosiddetta autarchia. Inoltre, accentuando il protezionismo, il regime promosse la sostituzione delle

importazioni con produzione solo ed esclusivamente italiana per favorire l’industria nazionale.

2Capitolo 9: L’Italia fascista

2. LA POLITICA ESTERA DEL FASCISMO

2.1 Politica estera: la conquista dell’Etiopia:

La conquista dell’Etiopia durò dal 1935 al 1936. Vediamo ora i vari pretesti che vennero utilizzati

per dichiarare guerra ad una nazione “innocente e indifesa”:

Il pretesto iniziale della guerra fu l’attacco fatto da parte di Mussolini alla Somalia e

all’Eritrea;

V furono anche una serie di motivi ideologici che vedevano l’Italia come una potenza

civilizzatrice, che aveva il compito di portare la rinascita dell’impero romano.

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La disoccupazione fu una scusante, in quanto in l’Etiopia avrebbe potuto dare lavoro a

milioni di italiani, visto le sue dimensioni;

E come motivo che catturò il consenso popolare, oltre a quello del lavoro, fu la promessa

delle terre ai contadini più poveri (solita scusa ormai fritta mille volte).

Nella guerra in Etiopia viene ricordato il maresciallo Graziani come uno dei capi più spietati di

tutta la storia, in quanto fece largo uso di armi chimiche nonostante fossero state bandite dagli

accordi del fine prima guerra mondiale (neanche i tedeschi usarono i gas nelle loro battaglie).

La Società delle nazioni condannò l’attacco all’Etiopia con delle sanzioni.

Con la conquista della Somalia, dell’Eritrea e dell’Etiopia formò l’Aoi (Africa orientale italiana).

2.2La politica di equilibrio e di mediazione internazionale dei primi anni trenta:

Come sappiamo, Mussolini scelse di intraprendere una politica di tipo imperialista, mettendo in

crisi l’equilibrio internazionale che si era instaurato e segnando così la fine della lunga politica

estera fascista. All’interno della politica di Mussolini si possono individuare tre diverse fasi,

ciascuna della quali risulta caratterizzata da obiettivi diversi.

Inizialmente Mussolini cercò di inserirsi tra il gioco diplomatico delle potenze europee;

successivamente, però, il ministro Dino Grandi richiese di rivedere i tratti di Versailles che

controllavano l’equilibrio internazionale e all’inizio degli anni ’30 Mussolini tentò di

assumere un ruolo guida nella creazione di un nuovo equilibrio europeo, sostenendo i

movimenti d’ispirazione nazionalista e fascista nell’area balcanica e nell’Europa centroorientale.

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Durante la seconda fase della politica estera di Mussolini, iniziata con i primi successi

ottenuti dal fascismo, che come abbiamo detto, era stato preso come modello dai gruppi

dell’Europa centro-orientale e dell’area balcanica, il duce tentò innanzitutto di isolare la

Jugoslavia, di frenare l’influenza francese e di avvicinare la Gran Bretagna e gli Stati

Uniti.

Tra il 1921 e il 1931 la politica coloniale di Mussolini si era orientata verso la conquista

della Libia, che in seguito alla prima guerra mondiale era riuscita ad ottenere nuove aree di

indipendenza. La spedizione italiana sotto la guida del generale Graziani , utilizzò metodi

violenti e feroci: scatenò dei veri e propri massacri della popolazione della Tripolitania e

Pirenaica e ricorse alla deportazione nei campi di concentramento in cui intere popolazioni

morirono per le violenze subite, per le malattie e la fame. Inoltre Mussolini estese

contemporaneamente il proprio dominio anche ai Balcani, attraverso una serie di accordi

stipulati con gli stati danubiani.

In questo stesso periodo comparve la minaccia tedesca, infatti la Germania sembrò volutamente

intenzionata a rompere l’equilibrio internazionale e Mussolini si preoccupò dei progetti

espansionistici tedeschi sull’Austria, che avrebbero intralciato i suoi.

3Capitolo 9: L’Italia fascista

Cosi, il 7 luglio 1933 attraverso il patto a quattro, Mussolini si propose come ago della bilancia

mediatore tra la Germania da una parte, e la Gran Bretagna e la Francia dall’altra, allo scopo di

giungere ad una revisione consensuale dei trattati di pace e della questione dei crediti di guerra

tedeschi.

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Nel 1935 alla conferenza di Stresa, Francia, Italia e Gran Bretagna manifestarono la loro

opposizione e preoccupazione davanti all’espansione della Germania e soprattutto al suo riarmo

che violava i trattati di pace.

2.4La rottura degli equilibri internazionali e la costituzione dell’Asse Roma-Berlino:

Intraprendendo la guerra d’Africa, Mussolini ruppe inevitabilmente l’equilibrio internazionale. La

società delle Nazioni inflisse all’Italia pesanti sanzioni economiche per aver aggredito l’Etiopia

(uno stato membro). Queste sanzioni provocarono tre cambiamenti principali:

non danneggiarono l’Italia dal punto di vista materiale ed economico in quanto essa poté

contare sui rifornimenti presso gli stati non facenti parte della Società, come Stai Uniti e la

Germania;

ma provocarono un peggioramento delle relazioni diplomatiche dell’Italia con le uniche due

democrazie europee;

causarono un avvicinamento alla Germania nazista, che era sostenuto in particolar modo da

Galeazzo Ciano, il nuovo ministro degli esteri italiano, che era dichiaratamente filotedesco.

Gli accordi diplomatici stipulati nell’ottobre del 1936 che stabilirono “l’asse Roma-Berlino”

segnarono definitivamente la fine dell’equilibrio internazionale, che si era venuto a creare negli anni

’20 e la creazione di un’alleanza tra gli stati fascisti, che si concretizzò immediatamente attraverso

il sostegno delle truppe del generale Francisco Franco nella guerra civile spagnola e si rafforzò

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successivamente quando l’Italia aderì al cosiddetto patto anitcomintern, alla quale avevano già

aderito la Germania e il Giappone; questo fu il primo atto, che mise in evidenza il fatto che l’Italia

di Mussolini si stava avvicinando sempre di più alla Germania di Hitler, finendo quasi sotto il suo

comando.

3. LA FASCISTAZZIONE DELLA SOCIETà:

3.1 La chiesa cattolica e la stabilizzazione del regime: i patti lateranensi

Uno degli elementi che sicuramente contribuì al successo del fascismo fu l’appoggio della chiesa

cattolica, che si concretizzò attraverso i cosiddetti patti lateranensi, che vennero stipulati l’11

febbraio 1929 tra Mussolini, rappresentante dello stato italiano, e la santa sede, rappresentata dal

cardinale Gasparri. I patti lateranensi, che erano costituiti da tre diversi atti (trattato, concordato e

convenzione finanziaria), posero fine alla questione romana, che era stata aperta con la

proclamazione della Roma capitale nel 1870.

Questo trattato portò numerosi cambiamenti:

assicurava l’assoluta indipendenza della santa sede;

il pontefice esercitava la piena sovranità e riconosceva Roma come capitale italiana;

riconosceva il cattolicesimo come l’unica religione di stato;

obbligava i vescovi a prestare un giuramento di fedeltà allo stato romano;

assicurava alla chiesa cattolica un importante ruolo nella società: vennero riconosciuti gli

effetti civili del matrimonio religioso e l’insegnamento della religione cattolica venne reso

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obbligatorio nelle scuole pubbliche; infine, i preti che erano stati colpiti da una censura

ecclesiastica erano estromessi da qualsiasi impiego pubblico.

4Capitolo 9: L’Italia fascista

Queste nuove decisioni accrebbero il consenso dell’opinione pubblica nei confronti del regime

fascista. Le elezioni che si tennero nel 1929 vennero chiamate elezioni plebiscitarie in quanto ai

cittadini italiani si imponeva di poter approvare o respingere la lista del Gran Consiglio del

fascismo. Dopo la definitiva stipulazione dei patti lateranensi il papa Pio IX indicò Mussolini come

l’uomo della provvidenza. Però due anni dopo i patti l’alleanza tra chiesa e Mussolini venne

minacciata, quando le squadre fasciste attaccarono l’azione cattolica e Mussolini ordinò lo

scioglimento di tutte le organizzazioni cattoliche allo scopo di garantirsi il pieno controllo

dell’educazione e della formazione dei giovani; nonostante ciò l’organizzazione cattolica

sopravisse come ente spirituale non subordinato al fascismo, mentre i cattolici che manifestarono

atteggiamenti di opposizione e risentimento nei confronti del fascismo vennero esiliati.

3.2Politiche sociali e propaganda ideologica:

Mussolini attuò anche una vasta politica sociale; infatti, costituì una sorta di stato che assisteva le

famiglia attraverso mutue, casse pensionistiche, organismi di previdenza sociale e premi in denaro

per gli ex combattenti e i capi familiari con una famiglia numerosa. Inoltre tale politica mirò anche

alla formazione dei giovani e all’organizzazione della propaganda attraverso vari mezzi possibili:

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Innanzitutto il governo mirò ad organizzare la formazione dei giovani attraverso nuovi

organismi di massa come l’Opera nazionale Balilla, la Gioventù italiana del littorio e i

Gruppi universitari.

Nel 1925 venne istituita l’Opera nazionale dopolavoro allo scopo di controllare e

organizzare il tempo libero dei lavoratori; inoltre, vennero anche istituite delle vere e proprie

associazioni femminili, di cui facevano parte sia le donne lavoratrici, che quelle casalinghe.

In questo processo di fascizzazione della società ,alla scuola venne attribuito un ruolo di

primaria importanza, in quanto essa aveva il compito di diffondere l’ideologia e i valori del

regime fascista. Giovanni Gentile, nuovo ministro dell’istruzione a partire dal 1923 prese

nuovi provvedimenti, tra i quali spiccò quello che toglieva alla scuola l’autonomia culturale

e la rendeva una struttura subordinata alle decisioni scolastiche e ai valori impartiti dal

governo; inoltre, le autorità scolastiche, subordinate al regime dovevano essere sottoposte ad

un giuramento di fedeltà verso il governo del duce ; a partire dal 1928 anche i libri scolastici

vennero sostituiti da un unico volume di testo di stato.

Mussolini propose la creazione di nuovi istituti di cultura sempre subordinati all’ideali del

regime, come l’Accademia d’Italia e l’Istituto nazionale di cultura fascista (il cui presidente

era Gentile) e l’Istituto per l’Enciclopedia italiana, che si ispirava alla “cultura fascista”.

La diffusione delle idee fasciste non fu soltanto promossa dalle scuole e dagli istituti di

cultura, ma anche attraverso la radio, la stampa e il cinema; gli stessi giornalisti

divennero funzionari subordinati al regime che venivano scelti in base al certificato di buona

condotta politica, che veniva rilasciato dal prefetto. La produzione cinematografica venne

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posta ad una rigida censura e solo successivamente questa censura divenne meno restrittiva.

Anche la radio era sottoposta al controllo del fascismo, infatti era subordinata all’Eiar,cioè

l’agenzia di stato.

Chiunque manifestasse atteggiamenti di opposizione, veniva arrestato dall’Ovra, la polizia segreta

che aveva appunto il compito di reprimere ogni atteggiamento di dissenso.

5Capitolo 9: L’Italia fascista

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3.3La modernizzazione autoritaria della società:

Il nuovo progetto politico di Mussolini permise sicuramente l’attuazione di un vero e proprio

processo di modernizzazione. I fenomeni più importanti riguardarono la popolazione:

Tra questi anni vi fu l’abbandono delle campagne e lo sviluppo della città, tale processo

determinò il superamento dell’economia rurale tradizionale promuovendo l’inurbamento,

nonostante fossero state emanate delle leggi allo scopo di limitare le migrazioni interne;

Aumento delle nascite più al sud rispetto al nord;

Calo della mortalità infantile e diminuzione delle grandi malattie infettive; ciò comportava

un parziale miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni;

Le campagne divennero aree di arretratezza e povertà rispetto al mondo urbano

Si accentua il divario tra Italia ed Europa: i caratteri antipopolari del regime e la sua

politica mirata a concentrare tutte le risorse nella produzione provocò una sorta di

“stagnazione”.