L ETÀ MODERNA: CRONOLOGIA E CARATTERI · PDF fileSigmund Freud, nella sua opera Il...
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L’ETÀ MODERNA: CRONOLOGIA E CARATTERI PRINCIPALI
Il concetto di età moderna non implica esclusivamente un riferimento temporale,
ma anche ideologico e di valore. Il termine moderno non indica qualcosa di
recente, cronologicamente vicino, ma eventi che si caratterizzano per il fatto di
essere “moderni”, cioè vicini a quello che noi consideriamo il pensiero e la
mentalità odierni. In tale termine, quindi, è sottinteso un giudizio di valore
positivo in quanto a tutto ciò che consideriamo moderno si contrappone ciò che
consideriamo superato, vecchio e reazionario, quindi in maniera relativamente
negativa.
Questo discorso può essere facilmente applicato alla storia. Il periodo che noi
chiamiamo “Storia Moderna” non indica un lasso cronologico a noi vicino, basti
considerare le due date canoniche che ne delimitano i contorni, 1492-1815, le
quali sono ben lontane dalla realtà contemporanea. “Storia moderna” indica,
invece, quel periodo nel quale nascono quei pensieri, quelle idee, quelle certezze
che ci sono familiari, che sono alla base di quel pensiero razionale sui cui è nata
la mentalità moderna occidentale.
Ma quando nasce tale consapevolezza? Quand’è che l’uomo si rende conto di
essere protagonista di una nuova stagione culturale profondamente diversa da
quella precedente? Bisogna ritornare al 1600.
La concezione cristiana del mondo e della storia, che aveva attraversato indenne
tutto il medioevo, considerava l’esistenza umana come un’attesa, sempre uguale
a se stessa, del giudizio universale e della salvezza dell’umanità (o meglio di una
parte di essa). In questo “paradigma” l’unico avvenimento significativo dopo la
creazione era stata la venuta di Cristo, per il resto l’umanità si era trascinata
nella monotona e peccaminosa attesa della redenzione.
Chiaramente in tale concezione non potevano essere identificate epoche e
periodizzazioni storiche e quindi l’uomo medioevale, per esempio, non si sentiva
molto distante dal suo antenato dell’Impero Romano, non vi era una lucida
consapevolezza della profondità cronologica. In fondo tutti gli uomini erano
uguali, e una nobile famiglia medioevale poteva benissimo annoverare tra i suoi
antenati un grande personaggio della Roma repubblicana.
Anzi proprio l’antichità della famiglia ne qualificava la dignità, la società
premoderna guardava più al passato che al futuro. In una realtà dove le uniche
date significative erano state la creazione e la venuta di Cristo, l’allontanamento
da tali avvenimenti implicava una perdita di valore e una corruzione. In questo
modo quelle famiglie che riuscivano a dimostrare di avere remoti antenati, cioè
più vicini alla “verità”, erano sicuramente più prestigiose delle altre, da qui il
culto della nobiltà per le ricostruzioni genealogiche.
L’aristocrazia, unica a poter contare su antiche discendenze, aveva la dignità e
il compito di guidare le masse popolari verso la salvezza, ma la “guida” implicava
necessariamente il controllo da cui la legittimazione del loro potere.
Solo la nobiltà era qualificata, dalla sua tradizione, a governare (ricordiamo che
nobiltà etimologicamente rimanda al concetto di “essere riconoscibili”, quindi
legittimati dal tempo) e d’altronde anche Cristo di era presentato come erede
dei re di Giuda, e il nuovo testamento comincia con una genealogia.
Le cose cominciarono a cambiare nel 1600, quando le certezze teologiche e
bibliche cominciarono ad esser messe in discussione. Già la scoperta del Nuovo
Mondo aveva scosso le fondamenta delle certezze cristiane.
La Bibbia non contemplava tali nuovi popoli e quindi, se era stata fallibile in
questo campo, poteva esserlo anche in altri, se poi si considera che il testo sacro
non era solo una guida religiosa ma l’insieme delle certezze e delle verità a cui
gli uomini si ispiravano e si conformavano, è evidente quale stravolgimento fu
la sua messa in discussione. Se le sacre scritture più che un testo rivelato si
dimostravano, semplicemente, essere una creazione umana, allora tutta la
realtà che su di esse si basava poteva esser messa in discussione, ed è ciò che
avvenne durante il ‘600.
La crisi intellettuale del ‘600 si concentrava, soprattutto, intorno alla critica del
pensiero autoritario e del sapere tradizionale, di quella conoscenza che si basava
sull’autorità e sulla tradizione. La rivoluzione scientifica stava dimostrando che
l’esperienza e non la tradizione era alla base della conoscenza. Nasceva, così, il
libero pensiero che metteva in discussione la tradizione e la religione rivelata,
guardando, invece, positivamente al futuro e alla scienza.
Si trattava, però, di un pensiero ancora elitario, che non aveva la pretesa di
cambiare il mondo, ma era circoscritto a circoli intellettuali e a uomini di scienza.
Sarà l’Illuminismo, poi, a porre come sua premessa la necessità di costruire un
mondo migliore, la necessità di intervenire nella società per alleviare le pene
dell’uomo.
Proprio il Secolo dei Lumi porterà una visione profondamente diversa del
passato. Se fino a quel momento la storia era stata un’indifferente attesa della
salvezza, la messa in discussione dei dogmi religiosi doveva necessariamente
portare ad un cambiamento. Venivano posti alla base dell’esistenza umana non
più i valori cristiani della salvezza e della redenzione ma, bensì, i nuovi dogmi
della civiltà e del progresso e, in base a questi, la storia doveva essere divisa in
periodi.
Tali scansioni erano delle vere e proprie tappe di avvicinamento alla razionalità
illuministica, presa come modello di perfezione. Quindi il passato dell’uomo
veniva rielaborato in funzione del presente, in modo tale che tutta l’esistenza
umana era vista come un cammino (che poteva comportare anche dei
momentanei passi indietro) verso la perfezione che era incarnata dalla propria
concezione della realtà (in questo caso quella degli illuministi).
A ben vedere nasceva la moderna concezione della storia, che è la nostra. Una
rappresentazione che pone al suo centro la moderna società occidentale e che
divide la storia dell’uomo in funzione di tale presente. Per esempio le date e gli
eventi canonici dei periodi storici sono esclusivamente in funzione della storia
occidentale: la scoperta dell’America e la rivoluzione scientifica sono alla base
del progresso e della globalizzazione che vede al suo centro l’Occidente, la
Riforma e L’Illuminismo sono alla base del pensiero occidentale così come le
Rivoluzioni (inglese, statunitense e francese) sono le fondamenta del pensiero
politico euro-atlantico. Il passato è reinterpretato in virtù dell’avvicinamento ai
paradigmi del nostro presente, ma gran parte della storia umana non occidentale
è sottovalutata e tralasciata.
Per questo, ritornando al problema iniziale, in concetto di moderno non è un
semplice riferimento cronologico ma implica un profondo giudizio di valore. Esso
è moderno solo per l’Occidente, ma anche in questo caso solo per alcuni paesi
e, all’interno di questi ultimi, solo per una parte limitatissima della popolazione.
Si veda la Spagna che proprio nell’età moderna comincia il suo declino o agli
schiavi afro-americani nelle piantagioni statunitensi, considerati dei sub-uomini
proprio nello stato simbolo della rivoluzione liberale. Infondo è l’intero concetto
di progresso e civiltà occidentali che andrebbero messi in discussione, alla luce
dei tragici eventi del ‘900.
Molto spesso si indica nella Riforma protestante il nucleo di quel mondo razionale
e liberale incarnato dal nord Europa e dagli USA, spesso messo in
contrapposizione con il sud dell’Europa e, in generale, del Mondo.
Senza voler esprimere dei giudizi è chiaro che ogni concezione generale deve
essere relativizzata e ogni periodizzazione storicizzata.
Quando parliamo della nascita del mondo moderno dobbiamo essere consapevoli
che si tratta di un punto di vista unilaterale e non generale, un punto di vista
che presuppone una visione povera della realtà in quanto anche per l’Occidente
esso non è stato completamente positivo.
Si parla dell’età moderna come epoca della libertà e della liberalizzazione, come
rivoluzione rispetto al passato. Rivoluzione scientifica e libertà dal bisogno e dalla
scarsità.
L’uomo grazie alle scienze riesce a liberarsi dalla penuria e dalla trappola
malthusiana che fa corrispondere, necessariamente, ad ogni aumento
demografico, un aumento della povertà e della fame. Rivoluzione politica che
libera l’uomo dall’autorità nobiliare ed ecclesiastica. Rivoluzione intellettuale che
libera l’uomo dall’autorità della tradizione e delle sacre scritture. Tale visone
progressista e ottimistica non è, però, l’unica possibile.
L’età moderna può essere interpretata non solo come liberazione, ma anche
come disciplinamento della realtà, riduzione degli spazi e delle libertà personali.
Il primo a darci una tal visione della realtà fu Marx il quale sottolineò il fatto che
all’ascesa economico-sociale della borghesia corrispondeva una riduzione della
libertà per le classi subalterne. Il nascente lavoro in fabbrica si trasformava in
sfruttamento, e la modernizzazione economica eliminava spazi di libertà: l’uomo
era sempre più alienato, estraneo al prodotto del suo lavoro, all’attività
produttiva, al genere umano e agli altri uomini.
La sua creatività è scomparsa, il prodotto del suo lavoro non appartiene più a lui
e il rapporto con gli altri uomini si riduce ai soli aspetti economici e monetari.
«L’operaio diviene tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che egli
produce [...] diventa una merce tanto più vile quanto più grande la quantità di
merce prodotta [...] l’operaio viene a trovarsi rispetto all’oggetto del suo lavoro
come a un oggetto estraneo [...] l’alienazione dell’operaio nel suo prodotto
significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste
all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e
diviene di fronte a lui una potenza per sé stante; significa che la vita che egli ha
dato all’oggetto gli si contrappone ostile ed estranea».
Oltre tale classica visione dell’età moderna, è nella sociologia e nella psicologia
che abbiamo visioni simili. Sigmund Freud, nella sua opera Il Disagio della civiltà
(1929) legò la nascita della modernità e della civiltà alla repressione degli istinti
sessuali e violenti. In questo modo la civiltà non era più associata alla libertà,
ma era vero il contrario, essa era il simbolo del disciplinamento.
Tali idee furono riprese dal sociologo Norbert Elias nell’opera Il processo di
civilizzazione (1939) in cui ci parla dell’età moderna come l’epoca in cui nasce la
“costrizione sociale all’autocostrizione”, in cui la nascita dell’ideale borghese di
vita, seppur innovativo rispetto al passato, sottopone l’uomo e la donna a tutta
una serie di regole e di etichette che ne limitano fortemente la libertà. Elias
dimostra come, durante tale processo di “normalizzazione” la soglia del pudore
e la soglia di ripugnanza si siano innalzate in tutti gli aspetti della società, dalla
sessualità alle buone maniere a tavola.
Sicuramente l’autore che più profondamente sottolinea il rapporto tra la
modernità e il disciplinamento è Michel Foucault. Egli dimostra come alcuni
concetti siano stati creati appositamente per controllare e disciplinare la società,
per esempio il concetto di follia nel ‘700 o quello di sessualità nell’800.
Si tratta di norme create affinché ogni deviazione dalle stesse potesse essere
bollata come anormalità e quindi punita o corretta.
La società doveva essere omogenea. Se il sapere medico ha un grande ruolo nel
creare norme di vita e comportamento, è soprattutto lo stato moderno a
realizzare gli strumenti del disciplinamento.
Nell’opera Sorvegliare e punire (1975) egli dimostra che le nuove istituzioni del
emergente stato moderno (le prigioni, le scuole, le caserme, gli ospedali) sono
gli “attrezzi” attraverso cui la società viene “normalizzata”. La prigione
istituzionalizzata, per esempio, si sostituisce alle precedenti pene spettacolari
eseguite dinanzi al pubblico.
Essa, quindi, ha il compito di regolarizzare le condanne e non di
spettacolarizzarle. Lungi dall’essere l’eccezione rispetto alla società, la prigione
diventa il modello di funzionamento a cui la società stessa deve ispirarsi e
conformarsi.
È evidente, quindi, da questi pochi esempi, che il concetto di età moderna deve
essere inserito nel contesto culturale in cui è stato creato.
Non è tanto una periodizzazione oggettiva ma un giudizio di valore dal punto di
vista della cultura occidentale che, nonostante mantenga sempre il suo fascino
e la sua fondatezza, deve essere relativizzato e quindi compreso per quello che
realmente è.