La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

43
1 SOCIETA’ ITALIANA PER L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE Master di Alta Formazione per le Funzioni Internazionali 24 Marzo – 16 Luglio 2014 Geopolitica e Aree di Crisi LA QUESTIONE UIGURA Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione Candidato Ilaria Danesi Relatore Prof. Alessandro Politi Luglio 2014

description

Tesi di Master sulla politica del governo cinese nei confronti del popolo Uiguro alla luce dell'evoluzione del terrorismo regionale ed internazionale e dei progetti energetici che guardano all'Asia Centrale.

Transcript of La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

Page 1: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  1  

SOCIETA’ ITALIANA PER L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE

Master di Alta Formazione per le Funzioni Internazionali

24 Marzo – 16 Luglio 2014

Geopolitica e Aree di Crisi

LA QUESTIONE UIGURA

Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

Candidato Ilaria Danesi Relatore Prof. Alessandro Politi

Luglio 2014

Page 2: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  2  

INDICE

INTRODUZIONE…………………………………………………………………….3

STORIA DEGLI UIGURI…………………………………………………………….4

NASCITA E REPRESSIONE DEL MODERNO TERRORISMO UIGURO………12

LE RAGIONI DI KASHGAR, GLI INTERESSI DI PECHINO……………………21

Sicurezza energetica ed equilibri regionali…………………………...……..30

CONCLUSIONI………………………………………………………………….….35

Page 3: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  3  

INTRODUZIONE

Più di mezzo secolo fa, Owen Lattimore, pioniere negli studi centrasiatici, descrisse l’attuale

Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang e le frontiere centrasiatiche della Cina come “il perno

dell’Asia”1 il luogo in cui si sarebbero giocati i destini tanto della politica regionale quanto della

politica internazionale. Sin dall’antichità, lo Xinjiang e le sue frontiere occidentali hanno giocato un

ruolo cruciale negli scambi economici e culturali fra Oriente e Occidente, utilizzate dall’Impero

Cinese come via d’accesso al cuore dell’Asia e dell’Europa, nella rotta lungo la Via della Seta.

Ancor oggi, la regione non ha perso la sua centralità geostrategica, che va anzi riaffermandosi in

una nuova ottica, a seguito dell’apertura della Repubblica Popolare Cinese al mondo esterno. Per la

nuova Cina, indiscusso leader economico e politico regionale ed internazionale, l’estrema provincia

occidentale rappresenta al tempo stesso un bacino di risorse minerarie ed energetiche di

inestimabile valore ed una minaccia per l’unità nazionale e la sicurezza energetico-economica. La

“Nuova Frontiera”, è infatti la porta di Pechino sull’Asia centrale, un corridoio di rotte commerciali

e condotte di idrocarburi che collega la potenza orientale con i suoi alleati commerciali e strategici

regionali: le ex Repubbliche Sovietiche, ma anche il Pakistan e la Russia. Tuttavia, l’instabilità

interna dello Xinjiang espone la Cina stessa e l’intera regione ad evidenti rischi. Lo Xinjiang e le

zone limitrofe sono infatti abitate da minoranze etniche turcofone e musulmane che mal digeriscono

l’autoritarismo e l’assimilazione forzata cui Pechino sottopone le etnie locali, colpevoli di

minacciare l’unità nazionale, basata su un sostanziale etnocentrismo della maggioranza han. La

repressione cui il governo centrale ha sottoposto in particolare l’etnia locale degli Uiguri, sin dai

primi anni del suo dominio sulla regione, ha alimentato un profondo risentimento nei confronti della

capitale e spinte autonomiste sfociate in aperte azioni terroristiche. Si vogliono qui ricostruire le

ragioni profonde dello scontro tra popolo uiguro e potere centrale, allo scopo di analizzare

l’influenza che l’instabilità regionale dello Xinjiang può esercitare sulla Repubblica Popolare e

sull’intera area centro-asiatica.

                                                                                                                         1 OWEN LATTIMORE, Pivot of Asia: Sinkiang and the Inner Asian Frontiers of China and Russia, Little Brown, Boston

Page 4: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  4  

STORIA DEGLI UIGURI

Il territorio continentale cinese è suddiviso ai fini amministrativi in trentuno zone: ventidue

province, quattro municipalità e cinque regioni autonome che dipendono direttamente dall’autorità

centrale. Queste ultime sono associate alle etnie maggioritarie che rispettivamente vi abitano:

Zhuang nel Guangxi, Hui nel Ningxia, Uiguri nello Xinjiang, Mongoli nella Mongolia interiore e

Tibetani in Tibet. Situata all’estremità occidentale della Repubblica Popolare, la Regione autonoma

dello Xinjiang-Uiguri (dove Xinjiang significa “Nuova Frontiera”) ne è la più vasta unità

amministrativa (un sesto del territorio dello stato) e si estende tra Mongolia, Russia, ex Repubbliche

Sovietiche dell’Asia Centrale, India, Afghanistan, Pakistan e Tibet. È un’area arida costituita

prevalentemente

da deserti e

catene montuose,

assai scarsamente

popolata (11

abitanti/ kmq,

poco meno di

venti milioni di

abitanti). Il suo

territorio è

costituito da due

conche separate

dalla catena del

Tian Shan: quella

meridionale, più

estesa, è occupata

dal bacino del Tarim; quella settentrionale, la Zungaria, è un’area depressa di grande importanza

geostrategica nelle rotte verso l’Asia centrale, dove passava l’antica “Via della Seta”. Ai piedi delle

montagne, attorno al deserto del Tankla Makan, sono allineate le oasi, dove sorgono le città di Kuqa

(Kucha), Aksu, Kashi (Kashkar), Shache (Yakand) e Hotan (Kotan).2 Con la sua posizione di

cerniera centroasiatica e i suoi immensi e per lo più ancora intoccati giacimenti di petrolio,

carbonio, uranio e rame, la regione era ed è di importanza geostrategica fondamentale per Pechino,

che si è sempre impegnata per mantenere il controllo della provincia.

                                                                                                                         2 Tra parentesi la trascrizione corrente, in lingua inglese, dei toponimi in lingua uigura.

Page 5: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  5  

Il toponimo “Nuova Frontiera” suggerisce l’origine della regione, la cui appartenenza al territorio

cinese è di epoca relativamente recente: ricostruire la storia della regione e delle popolazioni che

l’hanno via via popolata e controllata è importante per capire l’origine delle tensioni tra uiguri e

governo centrale.

La storia dello Xinjiang3 è stata a lungo separata da quella dell’Impero Cinese, ma non è stata

caratterizzata dalla presenza di uno stato nazionale unico esteso a tutto il territorio dell’attuale

provincia. Ha conosciuto periodi di indipendenza e periodi di sottomissione agli interessi dei grandi

imperi, e sebbene le rivendicazioni cinesi insistano sull’antichità e la continuità della sovranità

dell’Impero su di essa, tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere la regione integrata realmente

solo dopo il 1884, laddove i precedenti tentativi di sottomissione, a partire dal II secolo a.c., ebbero

breve vita. Attorno all’anno Mille la regione fu investita da due processi che portarono alla fioritura

di nuove culture: la turchizzazione e l’islamizzazione. Cambiamenti che determinarono profondi

legami tra abitanti della regione e mondo turco-musulmano, tali da far percepire quella cinese quale

cultura straniera. La religione musulmana si propagò dall’ XI secolo per opera della prima dinastia

islamico-turca Qarakhanidi , di cultura iraniana, che dominò il bacino del Tarim dal 998 al 1141 , e

la turchizzazione si considera completata sin dagli inizi del XIII secolo, come attestano alcuni

documenti dell’epoca in cui il bacino viene definito “Turkestan”, cioè terra dei turchi.4

Il popolo uiguro discende dalle tribù nomadi provenienti dalla Mongolia che si insediarono nelle

oasi del bacino del fiume Tarim intorno al VII secolo. I vari regni turco-mongoli che si alternarono

nella regione tra il XIV e il XVII secolo, li convertirono all’islam, da manichei, nestoriani e

buddhisti che si presentavano fino a gran parte del XV secolo. Nel 1759 la regione fu formalmente

annessa all’Impero Qing, nell’ambito di una strategia difensiva nei confronti della pressione

mongola al confine, che portò all’arrivo dei primi coloni han. Questa fase fu tuttavia caratterizzata

da un’interminabile serie di sollevazioni popolari, figlie del malcontento per il moltiplicarsi delle

tasse per la corruzione dei funzionari sia locali sia cinesi. L’islam diventò ideologia aggregante

delle popolazioni musulmane della regione contro il potere corrotto dei non musulmani, dando vita

a diverse sommosse anticinesi (1815, 1820, 1828, 1847, 1855, 1862), tutte represse nel sangue. Il

potere Qing andava indebolendosi a causa delle insurrezioni delle regioni orientali e della guerra

                                                                                                                         3 Per la ricostruzione della storia regionale ci si è basati in particolar modo su: MARIA LUDOVICA PAOLUZI, Nazionalismo e Islam in Cina. Lo Xinjiang tra tensioni etniche e problemi economico-politici, Aracne Editrice, Roma 2011; MONICA PALMERI, Post 9/11. Lotta al terrorismo e repressione nella Regione Autonoma Uigura del Xinjiang, Pubblicazioni Centro Studi per la Pace, 2006; RÉMI CASTETS, The Uyghurs in Xinjiang. The malaise grows, 2003: http://chinaperspectives.revues.org/648 - tocto1n1 ; FEDERICO DE RENZI, Il sogno del Turkestan Orientale, in Limes, “Cindia, la sfida del secolo”, n.4, 2005. 4 Cfr. M.L.PAOLUZI, Nazionalismo e islam…op.cit., pp. 51-65.

Page 6: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  6  

dell’oppio, che rendevano sempre più difficile un controllo della lontana provincia, così che bel

1864 il bey Yaqub Beg prese il potere, fondando l’Emirato di Iashkar (o Kasharia). I grandi imperi,

britannico e russo, che si contendevano la regione centroasiatica avviarono negoziati e accordi

commerciali con quest’entità politico-territoriale, e la Turchia gli accordò il suo sostegno politico:

l’Impero Cinese, che temeva le potenze straniere, vedeva ancora una volta nello Xinjiang l’ultima

frontiera. Nel 1877 le truppe Qing riuscirono a riconquistare la regione, annettendola formalmente

all’Impero nel 1884 col nome di Xinjiang5 e capitale Urumqi. Interesse principale della Cina era

annientare le rivolte interne e delimitare i propri confini per arginare gli interessi della Russia, che

si andavano concretizzando sull’Asia centrale. Da territorio di passaggio e mescolanza di etnie la

regione si consolidava dunque come entità geopolitica ai margini dell’Impero cinese, e col tempo da

semplice territorio tampone la regione diventerà parte integrante della Cina. In quest’ottica, le sue

popolazioni saranno sottoposte a un processo di assimilazione forzata per consolidare la sovranità

della capitale. Per garantire ciò, i funzionari dell’Impero si occuperanno del sistema amministrativo

e la popolazione han verrà incoraggiata ad emigrare verso la regione, mentre l’islam, in quanto

elemento aggregante anti-cinese verrà bandito.

Come nota Aubin6, prima dell’annessione all’Impero del 1884, nessun termine identificava la

regione nella sua globalità, né era mai esistita un’entità politica che ne riunisse tutte le diverse realtà

geografiche, identificate solo successivamente e attraverso toponimi estranei alla cultura locale.

Non vi è un termine storico comune per distinguere i territori dello Xinjiang e l’insieme degli

individui che lo abitano, l’unico elemento identitario aggregante riconosciuto da tutti gli abitanti del

Turkestan è l’islam (si designano genericamente come “popolo musulmano” Musulman Khakl).

Diversamente, il termine “uiguri”, utilizzato oggi dalle popolazioni di etnia turca e di religione

musulmana, è un antico vocabolo scomparso nel Cinquecento e reintrodotto agli inizi del

Novecento con il consenso degli intellettuali turkestani per distinguere le popolazioni autoctone da

quelle cinesi.

Sia la Russia, sia altre potenze occidentali, misero in discussione il dominio cinese sulla regione. La

nazione zarista per esempio riuscì a strappare attraverso una serie di “trattati ineguali” alcune

porzioni di territorio cinese, sfruttando il risentimento di uiguri, kazaki e altri minoranze contro la

dominazione straniera della dinastica Qing. Nonostante la presenza militare la Cina non ha quindi

mai avuto pieno controllo della regione, specialmente nelle fasi in cui le dinastie erano deboli: “il                                                                                                                          5 Cfr. M.PALMERI, Post 9/11…op.cit., pp. 6. 6 FRANÇOISE AUBIN, L’Arriére-plan historique du nationalisme ouigour. Le Turkestan Oriental des origines au XX siècle, in “Cahiers d’études sur la Méditerranéé orientale et le monde tuco-iranien”, Paris 1998, 25, p.26, cit., in M.L.PAOLUZI, Nazionalismo e islam…op.cit., p.20.

Page 7: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  7  

cielo è alto e l’Imperatore è lontano” dice un proverbio locale7. Le rivolte anti-han hanno dunque

origine remota in questo lembo di terra. Due in particolare si ricordano in seguito alla fine della

dinastia Qing (1911): la proclamazione della Repubblica del Turkestan Orientale a Kashgar del

1933-34 e quella di Yining (Ghulja) del 1944.8 Fondata nel novembre 1933 con presidente Sait

Demollah, mai riconosciuta a livello internazionale e caduta già nel febbraio 1934, la prima

Repubblica fu smantellata dalle autorità militari cinesi della provincia, sostenute dai sovietici: Stalin

temeva che la presenza di un focolaio panturco potesse alimentare i movimenti di opposizione

presenti sul suo territorio. Il neo-governatore tentò di ridurre le tensioni interetniche, riconoscendo

ufficialmente un’etnia turca di religione musulmana (è in questa fase che il termine “uiguro” ormai

scomparso tornò ad essere utilizzato, con il significato attuale), poi l’ingresso dell’Urss nella

seconda guerra mondiale lasciò via libera alle truppe nazionaliste cinesi, che invasero la regione,

perseguitandone i dirigenti vicini ai sovietici. Nel 1944 le forze ribelli locali addestrate in Unione

Sovietica e guidate dal leader islamico Ali Han Tore, fondarono un’altra Repubblica Indipendente

del Turkestan orientale, anch’essa di breve durata.: Mosca appoggiava infatti l’idea di una linea

moderata che prevedeva la costituzione di una provincia autonoma nell’ambito dello Stato cinese,

nuovamente per timore di secessioni interne, ed accettò presto lo smantellamento della fragile

Repubblica per gli equilibri politici stabiliti a Jalta.

Due anni più tardi, nel 1949, la Repubblica Popolare di Mao riuscì ad annettere quei territori una

volta per tutte, pur non riuscendo a sopire i sentimenti indipendentisti. Consolidata l’annessione, il

governo cinese varò una politica migratoria di ampio raggio, affidando agli han fedeli al governo

centrale il controllo del sistema politico locale. I Corpi di Produzione e Costruzione dello Xinjiang

(CPCX) arrivarono nella regione nei primi anni Cinquanta, costituti da cittadini-soldato (in un

primo tempo ex soldati smobilitati), inviati per sfruttare le risorse nelle aree pioniere di frontiera. I

responsabili di questi gruppi erano direttamente dipendenti dal PCC e non dovevano rispondere al

governatore locale, disponevano di un sistema giuridico interno e gestivano i campi di lavoro della

regione. A partire dagli anni Ottanta nelle altre regioni frontaliere della Cina questa forma di

colonizzazione fu smantellata, mentre nello Xinjiang ha continuato ad essere presente come

strumento per la politica di stabilizzazione.

Migliaia di abitanti uiguri, ma anche kazaki e chirghisi dello Xinjiang dopo il ‘49 si rifugiarono nei

paesi oltre confine, dove erano presenti comunità etniche dello stesso ceppo. I dirigenti della ex

                                                                                                                         7  TIZIANO TERZANI, La porta proibita, Ed. Saggistica TEA, Milano 2004, cit. in M.PALMERI, Post 9/11…op.cit., p.7.

   

Page 8: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  8  

Repubblica Islamica del Turkestan Orientale furono costretti all’esilio e raggiunsero Pakistan,

Arabia Saudita, Egitto e Turchia, dove fondarono proprie associazioni di riferimento.

Al di là del confine intanto, Nonostante il riconoscimento nel 1955 della Regione Autonoma degli

Uiguri dello Xinjiang, le promesse di autonomia negoziata dal movimento nazionalista socialista

locale con il governo cinese vennero disattese: la richiesta di una Repubblica dell’Uiguristan, sul

modello di quelle sovietiche, venne affossata; tutti i movimenti uiguri progressivamente messi a

tacere, i beni fondiari collettivizzati. Ogni voce dissidente era interpretata come una minaccia

all’unità della RPC e i dissidenti uiguri venivano sanzionati, sino alla reclusione nei campi di

lavoro.9 Nacque una resistenza che si organizzò in funzione anticomunista con attacchi mirati ai

simboli del potere cinese, repressa duramente e sciolta nel ’69. Gli eccessi della Rivoluzione

Culturale e della repressione, che limitava enormemente la libertà d’espressione etnica e religiosa

uigura, unita all’inasprimento delle relazioni sino-sovietiche e alle lotte di potere tra la guardia rossa

e le autorità locali, favorirono la diffusione dei movimenti di opposizione. Si ricordano in

particolare la rivolta del 1962, quando 60.000 kazaki fuggirono in Urss a seguito di una riforma che

espropriava parte delle terre da pascolo in funzione di piantagioni di grano; e gli scontri di piazza

seguiti alla chiusura delle moschee di Urumqi nell’ambito della Rivoluzione Culturale.

La rivolta del ‘62 rappresenta una svolta nelle politiche cinesi della regione: Pechino espulse i

funzionari sovietici e chiuse i confini, tagliando i legami che le minoranze mantenevano o

avrebbero potuto instaurare al di fuori del paese. Proseguì poi nel suo intento tramite l’abolizione

della scrittura araba e cirillica.

Fino agli anni ‘60 le pratiche religiose islamiche erano grossomodo rispettate, la Rivoluzione

Culturale segnò un giro di vite.

La costituzione del 1982 all’art. 3610 stabilisce che i cittadini della RPC hanno libertà di culto, ed

ufficialmente il governo di Pechino manifesta un atteggiamento favorevole all’esercizio della libertà

religiosa in quanto ritenuta idonea alla autoregolamentazione della vita sociale e all’armonizzazione

delle diverse professioni di fede. Di fatto però il governo cinese opera un parallelismo tra credo

religioso, minoranze e territorio. I dirigenti del partito comunista temono che un atteggiamento

permissivo in campo religioso possa condurre quelle etnie con una forte identità religiosa verso                                                                                                                          9 RÉMI CASTEST, Opposition politique, nationalisme et islam chez les ouighours du Xinjiang, p.17, cit., in M.L. PAOLUZI, nazionalismo e islam…op.cit., p.17. 10 “I cittadini della Repubblica popolare cinese godono della libertà di credo religioso. Nessun organo dello Stato, organizzazione pubblica o individuo può costringere i cittadini a credere o non credere in, qualsiasi religione, né possono discriminare i cittadini che credono, o non credono in, qualsiasi religione. Lo Stato protegge le normali attività religiose. Nessuno può fare uso della religione per impegnarsi in attività che disturbano l'ordine pubblico, mettere in pericolo la salute dei cittadini o di interferire con il sistema educativo dello Stato. Enti religiosi e dei culti non sono soggetti ad alcuna dominazione straniera.” http://unconventionalconstitution.files.wordpress.com/2012/08/costituzione-della-repubblica-popolare-cinese1.pdf  

Page 9: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  9  

moti separatisti. Per impedire queste tendenze ha praticato dunque la repressione di gruppi spirituali

non riconosciuti, tra cui gli uiguri musulmani dello Xinjiang. Dopo la trasformazione della regione

in provincia cinese, i capi religiosi vennero privati del loro potere politico e le scuole religiose

limitate, mentre alle confraternite sufite, che radunavano molti adepti e disponevano di estese

proprietà terriere, vennero confiscati i beni.

Questi provvedimenti innescarono una reazione identitaria e politica. Alla fine degli anni ‘70 si

registrò un vasto movimento di rivisitazione delle culture locali, e numerose ricerche vennero

effettuate anche sulla storia uigura. La politica di relativa liberalizzazione, inaugurata negli anni ’80

da Deng Xiao Ping col nome di “Apertura e Riforma”, concesse allo Xinjiang una maggiore

autonomia. I bazar e le moschee furono riaperti, i kazaki furono lasciati liberi di allevare quanto

bestiame volevano e gli uiguri di coltivare la terra senza restrizioni. Il rispetto per certe pratiche

culturali e religiose favorì quindi il riemergere di antiche tradizioni e un clima di maggiore

tolleranza che si protrasse per circa un decennio. Ripresero le pratiche religiose islamiche e si

rinverdì la speranza degli intellettuali e degli studenti uiguri per una piena libertà d’azione e un

pieno riconoscimento. Tuttavia, la mancata soddisfazione di queste rivendicazioni e la repressione

di alcune manifestazioni che si tennero in territorio uiguro nella seconda metà degli anni ‘80,

favorirono la nascita di un pensiero di opposizione che si concretizzò nel Partito Islamico del

Turkestan Orientale (PITO), nella cui propaganda l’islam e la jihad fungevano da elementi

aggreganti per riunire le minoranze nazionali contro il potere cinese. Il partito riuscì comunque a

smantellare ferocemente il movimento e costrinse all’esilio i suoi promotori. In quegli stessi anni

nel sud della regione si affermava una forma di islam tradizionale anticomunista nata dal contatto

con i mercanti musulmani o i militanti esiliati che rientravano nel paese grazie ad una graduale

riapertura delle frontiere, la stessa apertura che permetteva i pellegrinaggi a La Mecca e il

trasferimento all’stero dei giovani studenti, diretti in Pakistan e nei Paesi Arabi.

Nell’89, le repressioni che seguirono la strage di Tienanmen fermano di fatto anche il movimento

studentesco dello Xinjiang e le sue rivendicazioni. Ma solo una parte minoritaria della popolazione

uigura abbracciò un islam radicale, e una percentuale ancor più piccola convogliò in movimenti

jihadisti.

Gli anni ‘90 sono infatti per la Cina anni di grandi trasformazioni economiche, cui non segue una

volontà di transizione verso la democrazia. Le inquietudini suscitate dalle manifestazioni di piazza

del 1987 (la repressione portò la morte di circa settemila persone e oltre ventimila arresti)

convinsero anzi il partito ad un giro di vite per assicurare l’ordine sociale, eliminando ogni forma di

contestazione al suo monopolio. Anche nello Xinjiang il partito rafforzò dunque la sua presenza

Page 10: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  10  

affidando la programmazione dello sviluppo economico regionale e la stabilità sociale agli organi

politici provinciali. La dissoluzione dell’Urss con la nascita degli Stati indipendenti aggiunse poi

elementi esogeni ai timori endogeni di forze centrifughe, causando una repressione di tutti i

movimenti, pur pacifici, che rivendicano maggiore autonomia locale. Durante questo decennio

l’etno-nazionalismo si rafforza, in concomitanza a nuove ondate migratorie han, alla prosperità

economica di questi ultimi rispetto alle etnie locali e al processo di assimilazione forzata delle

stesse culture locali voluto da Pechino.

Dalla metà degli anni ‘90, in seguito ad alcuni importanti sabotaggi ad opera degli ormai numerosi

movimenti anticinesi, la repressione assume dimensioni ancor più severe, e nuove truppe

governative vengono inviate nella regione, in cui viene frequentemente applicata la legge marziale.

Gli imam vengono posti sotto stretta sorveglianza , in una campagna di dura repressione di tutti i

movimenti e le organizzazioni religiose non autorizzate, passata sotto il nome di “Strike Hard”.

L’inasprimento dei rapporti portò ad un’importante rivolta studentesca nel 1997, cui seguì

l’immancabile risposta che mise a tacere le voci discordanti. Per qualche anno gli attentati

diminuirono in funzione di una resistenza clandestina, ma il sentimento di persecuzione della

popolazione uigura continuò a crescere di fronte alle restrizioni identitarie.

Una svolta nella politica persecutoria cinese fu poi rappresentata dall’11 settembre 2001 con

l’attentato alle Torri Gemelle, visto dal governo cinese come un’occasione per riaffermare a gran

voce la propria sovranità sul territorio dello Xinjiang e sulle sue popolazioni. Pechino si affrettò

infatti a dichiarare pericolosi i movimenti uiguri in quanto di religione islamica e vicini ai gruppi

terroristici afghani e pakistani, in questo modo giustificando l’uso della forza contro le minoranze

etniche sul proprio suolo nazionale. Si rinsaldò il rapporto con gli Usa attorno alla guerra al terrore,

e Washington inserì nella lista dei gruppi terroristici riconosciuti anche il Movimento Islamico del

Turkestan Orientale (ETIM).

Sempre in quest’ottica, Pechino promosse la Shangai Cooperation, che come vedremo ha tra i suoi

principali obiettivi la lotta la terrorismo in nome della sicurezza regionale.

Gli anni ’90 segnano anche una crescente tensione tra i gruppi etnici, dovuta ad una politica che,

combinando incentivi economici e agevolazioni sulla proprietà terriera, mirava a dare una brusca

accelerazione al flusso migratorio han nello Xinjiang. L’equilibrio etnico della regione risultava

così, nuovamente alterato. Si ritiene che, solo negli anni ’90, più di un milione di han si insediarono

Page 11: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  11  

nella regione, raggiungendo così il 40%, contro il 47% di uiguri, su una popolazione totale di circa

diciotto milioni di abitanti11.

Uiguri Han Kazaki Hui Popolazione totale

1949 3.291 (75%) 291 (6,7%) 443 (10,2%) 122 (2,8%) 4.330

1964 4.020 (54%) 2.440 (32,8%) 501 (6,7%) 271 (3,6%) 7.440

1982 5.950 (45,4%) 5.287 (40,4%) 904 (6,9%) 571 (4,3%) 13.082

1990 7.249 (47,4%) 5.746 (37,5%) 1.161(7,4%) 688 (4,5%) 15.291

2000 8.523 (46%) 7.250 (39,2%) 1.318 (7,1%) 844 (4,5%) 18.494

Fonte: Annuaire Statistique du Xinjiang, 2002.

La presenza di una così alta percentuale di han ha provocato negli anni un’escalation di tensione e

di violenza tra i due gruppi, data l’evidente discriminazione economica e sociale prodotta

dall’immigrazione han che colpisce gli interessi della popolazione locale.

Consapevole della disparità tra condizione economica della popolazione han e delle minoranze

etniche12, Pechino ha tentato di varare dal 1999, la campagna Go West, un poderoso programma

economico volto a sviluppare l’occidente cinese, a partire dallo sviluppo delle grandi infrastrutture

legate ai trasporti e dalla costruzione del gasdotto che collega Xinjiang e Shangai13.

Ben lungi dal limitare la disparità tra han e altre minoranze etniche, la campagna ha però enfatizzato

ulteriormente il controllo cinese sulla regione, i cui poli economici, come si vedrà meglio in

seguito, rimangono appannaggio dell’etnia han.

                                                                                                                         11 M.PALMERI Post 9/11…op.cit., p. 8. 12 Nel 1994, da uno studio condotto da China Today emergeva che 80 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà, e di queste l’80% appartenenti a minoranze etniche. Nello stesso anno un rapporto preparato dalla Commissione degli Affari etnici, destinato al PCC, affermava che le minoranze nazionali lamentavano il totale disinteresse del Partito nei loro confronti e che la disuguaglianza economica avrebbe accentuato le differenze etniche. Cfr. Ivi, p.12. 13 http://en.wikipedia.org/wiki/West–East_Gas_Pipeline  

Page 12: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  12  

 Source:  PetroChina

NASCITA E REPRESSIONE DEL MODERNO TERRORISMO

UIGURO

Gli anni ’90 hanno inaugurato l’inizio di una reazione violenta uigura contro il governo cinese

attraverso tre diverse ondate di attentati e rivolte, che hanno ricevuto un’attenzione crescente nei

media internazionali. La prima ondata, il 5 aprile 1990, ha avuto luogo a Baren, vicino Kashgar. Si

trattò di una rivolta popolare armata contro le autorità locali han, domata dalla mobilitazione di

duecentomila soldati cinesi. I promotori della rivolta fecero leva sulla retorica religiosa e

utilizzarono le moschee per disseminare la chiamata alle armi e alla jihad tra la popolazione. La

seconda ondata, tra il 1992 e il 1993, fu invece caratterizzata da attentati dinamitardi spesso a

scapito di obiettivi civili (autobus, treni, negozi). Sebbene molti degli attentati furono sventati in

tempo, ne risultarono comunque numerosi feriti e alcune vittime. Infine, la terza ondata, che fu

anche la più significativa, si verificò tra la primavera del 1996 e il febbraio 1997. A quest’ultima

Page 13: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  13  

ondata di violenza Pechino rispose con tre principali sviluppi politici:14 il rafforzamento del

controllo legale sugli affari religiosi ed etnici, la costituzione del “Gruppo dei Cinque” e le

campagne “Strike Hard” contro sospetti terroristi.

Un documento classificato come “top secret” redatto il 19 marzo 1996 durante un incontro dello

Standing Committee del PCC Politburo15, espone i timori di Pechino riguardo le infiltrazioni

terroristiche dall’estero

“National separatism and illegal religious activity are the chief threats to the stability of Xinjiang

[...] The outside national separatist organizations are joining hands and strengthening the

infiltration of Xinjiang sabotage activities with each passing day. Within our national borders,

illegal religious activities are widespread; sabotaging activities, [...] explosions and terrorism are

occurring sporadically. Some of these activities have changed from completely hidden to semi-open

activities, even to the degree of openly challenging the government's authority”

e afferma chiaramente l’intento di irrigidire la legislazione contro la lotta al terrorismo, attraverso il

rafforzamento del controllo legale sugli aspetti religiosi ed etnici:

“Take strong measures to prevent and fight against the infiltration and sabotaging activities of

foreign religious powers. Restrict all illegal religious activities. Severely control the building of

new mosques. Mosques built without permission from the government have to be handled according

to registration methods of practicing sites of religion. Relocate or replace quickly people who are

hesitant or support ethnic separatism. Give leadership positions in mosques and religious

organizations to dependable, talented people who love the motherland. Stop illegal organizations

such as underground religious schools, kung-fu schools and Koran studies meetings”.

In particolare per quanto riguarda la zona meridionale dello Xinjiang, dove si concentra la maggior

parte della popolazione uigura, si legge:

“Make Southern Xinjiang the focus of attention; establish a sensitive information network and

strive to get information on a deep level which can serve as a covert prior alert of any trouble.

Establish individual files; maintain supervision and vigilance. Legally strike against separatism,

sabotaging and criminal activities of the internal and external hostile forces in a timely manner.

Strengthenthe management of labor camps (laogai) and prisons in Xinjiang”.                                                                                                                          14 Ivi, p.15. 15 http://caccp.freedomsherald.org/conf/doc7.html  

Page 14: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  14  

Sempre nell’intento di arginare il fenomeno del terrorismo e garantire la sicurezza in Asia Centrale,

la Cina si fa poi promotrice del “Gruppo dei Cinque”, che dal 26 aprile 1996 riunisce Cina, Russia,

Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. Pechino insistette particolarmente sul controllo delle

frontiere e la limitazione degli spostamenti, spaventata dal sostegno pan-uigurico. Sotto la pressione

di Pechino, Kirghizistan e Kazakistan sciolsero i partiti uiguri sul proprio territorio nazionale,

chiusero giornali ed arrestarono centinaia di militanti, in particolare in seguito agli scontri avvenuti

a Yining16 (Ghulja in uiguro, al confine col Kazakistan).

Il 14 Settembre 2001, immediatamente dopo gli attacchi al WTC, il gruppo appoggiò ufficialmente

la lotta globale al terrorismo degli USA, manifestando la volontà di “to raise the Shanghai Five to a

higher level” e di “to build a regional organization of multilateral cooperation covering various

fields”.17 Nasceva ufficialmente la Shanghai Cooperation Organization (SCO), che include anche

l’Uzbekistan. La SCO e una serie di accordi bilaterali con i diversi paesi hanno fatto sì che gli

uiguri che vivono in Asia centrale non godano più di quel prestigio e dei fondi che ricevevano nel

periodo sovietico; soprattutto dal 2001 in poi essi sono considerati con diffidenza e quasi con

imbarazzo dai governi centroasiatici. I centri di ricerca sulla cultura e sulla storia degli uiguri,

importanti istituzioni finanziate dall’Unione Sovietica, spesso in funzione anti-cinese, sono stati

chiusi o riconvertiti, mentre i gruppi politici e culturali degli uiguri che vivono nei diversi paesi

dell’Asia centrale sono stati sciolti o semplicemente caduti nell’oblio. In Kazakistan

precedentemente esisteva la possibilità di frequentare il ciclo completo di educazione secondaria in

lingua uigura (unico esempio per quanto riguarda le nazionalità presenti sul suolo kazako), una rete

di mass media, teatri e compagnie di ballo uigure; dipartimenti ad hoc erano presenti in alcuni

istituti di alta formazione e nelle principali case editrici, vi era una sezione uigura nell’Associazione

degli scrittori kazaki e gruppi di ricerca specifici. Anche in Uzbekistan, pur in misura minore, si

poteva usufruire di questi servizi. 18 Negli ultimi anni la Cina si è avvalsa del suo potere

contrattuale per strappare accordi politici con i diversi paesi: la collaborazione sulla questione

uigura ha fatto guadagnare alle élites centroasiatiche ricchi contratti commerciali e ingenti

investimenti, soprattutto per la costruzione di gasdotti.

La terza strategia con cui Pechino combatte l’ondata di violenze separatiste è la cosiddetta

campagna “Strike Hard” (Yan Da), iniziata nell’aprile 1996 e volta a piegare le attività criminali e

“le attività religiose illegali”, seguita poi da analoghe campagne ripetute a cadenza annuale19.

                                                                                                                         16 http://en.wikipedia.org/wiki/Ghulja_Incident 17 http://www.chinadaily.com.cn/china/2006-06/12/content_6020347.htm 18 ALESSANDRA CAPPELLETTI, Gli uiguri del Xinjiang: processi politici e dissenso tra Cina e Asia Centrale, ISPI Analysis, n.9, April 2010. Reperibile su www.ispinoline.it 19 M.PALMERI, Post 9/11…op.cit., p.17.  

Page 15: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  15  

Una svolta nella repressione dei “culti fuorilegge” e delle minoranze etniche “sospette” è impressa

dall’attacco al suolo statunitense dell’11 Settembre 2001. In seguito agli attacchi Pechino ha

immediatamente espresso anche in prima persona il suo sostegno alla war on terror di Bush,

approfittando del nuovo clima per enfatizzare forme di controllo sul proprio territorio nazionale.20

In occasione del vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) dell’Ottobre 2011, i presidenti

Jiang Zemin, Vladimir Putin e George W. Bush sanciscono un nuovo allineamento delle tre potenze

in nome della lotta globale al terrorismo, di fatto sulla base di un complicato intreccio di interessi

personali: alla legittimazione delle azioni statunitensi, corrisponde la tacita acquiescenza di

Washington sulle modalità di intervento cinesi e russe nei confronti delle aspirazioni autonomiste

tibetane, uigure e cecene21.

A partire dall’11 Settembre, Pechino ha iniziato ad enfatizzare mediaticamente qualsiasi

manifestazione di opposizione al governo da parte delle minoranze, cercando di erodere

progressivamente la distinzione tra terrorismo e lotta all’indipendenza, al fine di giustificare la

repressione contro i temuti “tre mali” (separatismo, terrorismo ed estremismo religioso) e contro

ogni generica forma di dissenso politico. Dopo aver dichiarato pubblicamente gli uiguri complici

del terrorismo internazionale, col documento ufficiale “East Turkestan Terrorist Forces Cannot get

Away With Impunity” 22, il governo si dice a conoscenza di legami tra i separatisti uiguri e membri

della rete terroristica di al-Qaeda che hanno trovato rifugio nelle zone più remote della regione, e li

accusa di aver ricevuto ingenti finanziamenti da Bin Laden.

Ad attirare l’attenzione è in particolar modo l’East Turkestan Islamic Movement (ETIM), di cui si

sospetta molti membri siano addestrati in Afghanistan. Il movimento è inoltre apertamente accusa

di aver collaborato con il corrispettivo uzbeko (Movimento Islamico Uzbeko, IMU),

nell’organizzazione di rivolte scoppiate tra Uzbekistan e Kirghizistan, ma senza che siano portate

prove a riguardo. Su pressione cinese gli USA inseriscono nel 2002 l’ETIM nella lista delle

organizzazioni terroristiche preparata dal Dipartimento di Stato americano, ma sono molti i dubbi

sugli effettivi rapporti tra movimenti separatisti uiguri e talebani, come attesta il report di Human

Right Watch del 200123, e altre più recenti analisi.

                                                                                                                         20 Cina, il fronte orientale. Tradotto su “Internazionale” n.411, 9/15 novembre 2001, Testo originale di CORTLAN BENNET, pubblicato su “South China Morning Post”, Hong Kong. 21 L’alleanza di Shanghai. Stati uniti, Cina e Russia insieme contro il terrorismo. Ma che significa? Tradotto su “Internazionale” n. 409, 26 ottobre/1 novembre 2001, p.5. Testo originale su Le Monde, Francia. 22 http://www.china.org.cn/english/2002/Jan/25582.htm 23 HRW, “China: Human Rights Concerns in Xinjiang”, ottobre 2001: http://www.hrw.org/legacy/backgrounder/asia/china-bck1017.htm

Page 16: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  16  

Pechino porta avanti la sua repressione attraverso misure interne di rafforzamento del sistema legale

e attraverso il miglioramento degli apparati di sicurezza. Sul fronte internazionale, lavora per

stabilire e sviluppare attraverso la SCO nuove strategie di sicurezza nazionale e centroasiatica;

mentre dal punto di vista legale due emendamenti all’art. 120 del codice penale24 puntualizzano le

pene in tema di terrorismo, volutamente senza fornire una chiara definizione dell’espressione

“associazione terroristica”. Lasciando aperta l’interpretazione di una molteplicità di azioni, di fatto

la legislazione espone anche le attività non violente ad una criminalizzazione, in palese violazione

delle libertà di espressione e associazione. Anche al termine “separatismo” il governo cinese

associa una serie di categorie quali il dissenso, l’opposizione pacifica e il diritto alla libertà di

religione, in un meticoloso lavorio mediatico e giuridico volto a fondere “separatismo” e

“terrorismo”.

Parallelamente si inizia una campagna di “rieducazione politica” degli imam e dei leader religiosi,

volta ad adattare la religione alla visione socialista della società, per assicurare la stabilità della

regione. Vengono posti evidenti limiti alla libertà di culto, come il divieto di possedere copie del

corano e praticare il digiuno nel mese di Ramadan nelle pubbliche istituzioni. Nonostante l’art.11

della Legge sull’Autonomia Regionale reciti che “gli organi dell’autogoverno nelle zone autonome

devono garantire il diritto alla libertà di religione ai cittadini di diverse nazionalità”25, per essere

legali, le pratiche religiose devono appartenere ad una delle cinque religioni ufficiali riconosciute

(buddhismo, taoismo, cattolicesimo, protestantesimo e islam), essere amministrate da personale

ufficialmente accreditato, essere esercitate in luoghi appositamente adibiti a questo scopo dal

governo, essere svolte nel rispetto e all’interno delle regole fissate dal partito. La repressione viene

estesa anche ai circoli culturali e ai mezzi di informazione: ne risulta alterato la generica libertà di

espressione, anche attraverso pubblicazioni letterarie, canzoni, internet.

Anche analizzando la questione da un punto di vista meramente pragmatico e tralasciando ad altri

lidi le considerazioni sulle violazioni dei diritti della persona, alla luce dei numerosi attentati

verificatesi nel nuovo millennio si può dire che la strategia di Pechino non abbia funzionato.

Secondo molti analisti26, negli anni Novanta l’indipendenza delle Repubbliche dell’Asia Centrale

dall’Urss ha riacceso il nazionalismo anche nello Xinjiang. Se i primi fermenti indipendentisti sono

stati stroncati dalla repressione cinese, questa ha spinto molti militanti a cercare rifugio nei paesi

vicini, tra cui Pakistan e Afghanistan, a contatto con i movimenti islamici locali, dove alcuni di essi

si sarebbero radicalizzati e avrebbero costituito gruppi armati come il già citato Movimento                                                                                                                          24 P.PALMERI, Post 9/11…op.cit., p.22. 25 http://www1.umn.edu/humanrts/research/china-autonomy_law.html 26 Si cita tra gli altri lavori: http://doc.sciencespo-lyon.fr/Ressources/Documents/Etudiants/Memoires/Cyberdocs/MFE2005/bouvier_m/pdf/bouvier_m.pdf

Page 17: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  17  

Islamico del Turkestan Orientale. Questi gruppi sarebbero oggi capaci di organizzare attacchi a

centinaia di chilometri di distanza nello Xinjiang, in luoghi dove le misure di sicurezza sono meno

rigide.

Negli ultimi mesi si è assistito ad un’escalation di eventi di matrice separatista jihadista che ha fatto

pensare ad un “salto di qualità” del terrorismo uiguro.

Un paper del 2002 rilasciato dall’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato 27riportava per il

decennio precedente (l’immediato seguito di Tienanmen e della proclamazione d’indipendenza

delle turcofone repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale), una stima di 162 morti e 440 feriti in

attentati e scontri con cittadini uiguri. Nell’ultimo decennio il nazionalismo etnico si è espresso in

forme violente in particolar modo nel 2009, anno in cui la regione è stata segnata da sollevazioni

culminate ad Urumqi con la morte di 197 persone, in grande parte di etnia han28.

Il terrorismo uiguri è poi tornato sulle pagine dei giornali internazionali nel giugno del 2013 per un

attentato contro una stazione di polizia a Lukqun29, e soprattutto nell’ottobre del 2013, quando una

jeep si è lanciata su un gruppo di turisti e agenti di polizia causando 5 morti e 38 feriti a piazza

Tienanmen. Bandiere jihadiste sono state rinvenute all’interno della vettura e Pechino e le forze

dell’ordine non hanno avuto dubbi nel collegare l’attentato alla matrice terrorista, nonostante alcune

polemiche iniziali sull’effettiva provenienza degli attentatori e la celerità delle indagini. Si è trattato

di una prima anomalia rispetto al recente passato, perché l’attentato è avvenuto nel cuore della

capitale, ben lontano dalla provincia in cui erano fino a quel momento concentrati gli scontri. Il

dicembre successivo è stato insanguinato da altri due episodi, questa volta localizzati nello

Xinjiang, con 16 morti registrati negli scontri tra polizia e popolazione uigura a Kashgar30, nel corso

di una retata contro alcuni sospetti, e altri 8 morti in un attacco dal sapore revanchista con coltelli e

ordigni rudimentali in una stazione di polizia, il 30 dello stesso mese31. Le violenze sono poi riprese

nel marzo di quest’anno con la strage della stazione ferroviaria di Kunming, quando 8 terroristi

armati di coltelli hanno causato la morte di 29 persone e il ferimento di oltre 130. 4 degli attentatori

sono morti sul posto, altri 4 sono stati catturati dalle forze dell’ordine. Il 6 maggio un identico

attacco all’arma bianca in questo caso nella stazione di Guangzhou (Canton) ha provocato il

ferimento di 8 persone32; mentre il recente 22 maggio ha registrato un attentato al mercanto di

                                                                                                                         27 http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-cina-nuovo-teatro-del-terrorismo-islamico-10112 28 http://it.wikipedia.org/wiki/Sommosse_popolari_a_Ürümqi_del_luglio_2009 ; secondo alcune ricostruzioni gli scontri non nascevano come rivendicazioni contro il governo di Pechino: http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-uiguri-del-xinjiang-processi-politici-e-dissenso-tra-cina-e-asia-centrale-0

29 Un’interessante ricostruzione degli eventi di Lukqun e del loro significato si può trovare sulle pagine del The Diplomat: http://edition.cnn.com/2013/06/27/world/asia/china-xinjiang-violence 30  http://www.agichina24.it/in-primo-piano/politica-interna/notizie/xinjiang-sei-arresti-br-/per-scontri-di-kashgar 31 http://www.internazionale.it/news/tmnews/2013/12/30/cina-8-morti-in-un-attacco-contro-la-polizia-nello-xinjiang/ 32 http://www.internazionale.it/news/cina/2014/05/06/attacco-in-una-stazione-di-guangzhou-sei-feriti/

Page 18: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  18  

Urumqi, quando due auto hanno fatto irruzione sulla folla coadiuvate dal lancio di bombe

artigianali, per un bilancio provvisorio di 31 morti e 90 feriti33.

L’attentato di Kunming secondo molti analisti ha segnato un “salto di qualità” per il separatismo

armato uiguro. L’agenzia cinese Xinhua ha definito la strage “l’11 settembre della Cina”34, e

l’evento mostra in effetti come il terrorismo uiguro abbia ormai delineato nuovi teatri e nuovi

bersagli. Gli attentati degli ultimi anni si erano concentrati nello Xinjiang, se si esclude l’attacco di

piazza Tienanmen. Kunming si trova a migliaia di chilometri sia dalla capitale sia dalla provincia

uigura, nella regione dello Yunnan.

La regione è uno snodo importante per il traffico di droga

proveniente dal triangolo d’oro ed è abitata da una società

multietnica, che comprende anche una minoranza uigura

ma del tutto esigua (Dashuyng, otto chilometri da

Kunming, è il villaggio con la maggior concentrazione di

Uiguri, appena 135 persone), arrivata in questo lembo di

terra negli anni ’90. Da qui, secondo le autorità cinesi,

cercano di fuggire all’estero per unirsi ai nuclei terroristici

mediorientali. 35

Gli attentati terroristici precedenti si sono inoltre verificati contro o in prossimità di simboli

governativi (stazioni di polizia, pattuglie delle autorità locali, la città proibita ecc.), ben diversi dalla

stazione ferroviaria di Kunming, che non è centro di potere e non ha alcuna rilevanza per gli uiguri.

Esattamente come a Pechino, gli attentatori hanno aggredito civili e non funzionari della polizia,

come spesso accaduto nello Xinjiang precedentemente. Un passaggio chiave verso una vera e

propria strategia del terrore.

L’ultimo attentato al mercato di Urumqi conferma i cambiamenti nel modus operandi dei terroristi

operanti in territorio cinese, con l’utilizzo di autobombe guidate dai kamikaze. Un approccio

potenzialmente più devastante che non può che aumentare i timori della capitale.36

Un ultimo aspetto che potremmo notare è il tempismo delle azioni terroristiche. Già l’attentato di

Tienanmen non sembrò slegato all’apertura del Terzo Plenum del 18esimo Comitato Centrale, uno

fra i più importanti per il Partito Comunista Cinese perché, in genere, è quello in cui la leadership al

                                                                                                                         33 http://www.internazionale.it/news/cina/2014/05/22/attentato-nella-regione-dello-xinjiang-31-morti-e-oltre-90-feriti/ 34 http://news.xinhuanet.com/english/indepth/2014-03/02/c_133153400.htm 35 http://temi.repubblica.it/limes/in-cina-con-l’attentato-di-kunming-il-terrorismo-islamico-cambia-tattica/59117?printpage=undefined 36 http://www.geopolitica-rivista.org/25889/lo-xinjiang-e-la-stabilita-dellasia-centrale/  

Page 19: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  19  

comando profila la propria politica economica futura. Allo stesso modo l’attacco alla stazione

ferroviaria si è verificato in corrispondenza di un evento politico, la riunione annuale del

parlamento cinese, l’Assemblea Nazionale del Popolo, e della Conferenza Consultiva Politica del

Popolo37. Anche l’ultimo attentato al mercato di Urumqi è avvenuto a margine degli incontri tra il

Presidente cinese e Vladimir Putin, nell’ambito delle sempre più strette relazioni russo-cinesi nel

settore energetico.

Tra i gruppi considerati responsabili in primo piano ancora L’ETIM. Questo, fondato da Hasan

Mahsum è oggi probabilmente scisso in svariati gruppi: l’East Turkestan Liberation Organization,

lo United Revolutionary Front of East Turkestan, l’Islamic Party of Turkestan (o Turkestan Islamic

Party, TIP, che secondo alcuni sarebbe la continuazione dell’ETIM stesso) e altre sigle ancora,

tutte accumunate dal riferimento etnico-geografico38.

In realtà poco si sa sulla struttura, sul finanziamento e sull’ideologia dei gruppi in questione, e lo

stesso utilizzo del toponimo per tutti gli attacchi terroristi con sede nello Xinjiang ha indotto alcuni

analisti al dubbio. Secondo alcune analisi, si tratterebbe di cellule legate al Movimento Islamico

dell’Uzbekistan, e in questo caso diverrebbero verosimili i legami con al-Qaeda, come da accusa di

Pechino. Secondo il governatore dello Yunnan, gli attentatori di Kunming sarebbero stati spinti dal

desiderio di unirsi alla jihad, un progetto frustrato data l’impossibilità per loro di lasciare il paese.

Un recente rapporto del Jerusalem Center for Public Affairs (JCPA)39 parla di un migliaio di

jihadisti cinesi addestrate in una base Pakistana, e di altre migliaia impegnati in Siria. Pechino è ben

consapevole dei rischi dei collegamenti tra terrorismo locale e gruppi più affermati come al-Qaeda

o Movimento Islamico dell’Uzbekistan, che ne condividono lo spazio geografico: sa bene che

grazie a questi legami i metodi del terrorismo del Turkmenistan sono divenuti via via più sofisticati,

e soprattutto teme un terrorismo di ritorno, una volta rientrati i militanti dalla Siria, dal Pakistan o

dall’Afghanistan.

Il primo rapporto ufficiale del governo sul terrorismo nello Xinjiang40 imputava ai militanti del

Turkestan Orientale oltre duecento attacchi terroristici, suddivisi per metodologia d’attacco tra 1990

e 2001, costati la vita a 162 persone e causa di oltre 440 feriti. Michael Clarke, uno dei principali

studiosi del terrorismo uiguro, nel suo China’s “War on Terror” in Xinjiang41, ricostruisce i fatti

accertando una discrepanza tra dati ufficiali e decessi effettivamente attribuibili al terrorismo

                                                                                                                         37 http://temi.repubblica.it/limes/in-cina-con-l%E2%80%99attentato-di-kunming-il-terrorismo-islamico-cambia-tattica/59117?printpage=undefined ; http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/asia/la-minaccia-terroristica-preoccupa-pechino-10345 38 http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-cina-nuovo-teatro-del-terrorismo-islamico-10112

39 http://thediplomat.com/2014/06/chinese-involvement-in-global-jihad/ 40 http://www.china.org.cn/english/2002/Jan/25582.htm  41 http://www.griffith.edu.au/__data/assets/pdf_file/0005/18239/regional-outlook-volume-11.pdf

Page 20: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  20  

uiguro. Nota anche, come altri episodi di matrice terroristica non siano stati bollati come tali e come

tra 2003 e 2006 non siano riportati affatto, pur operando diverse sigle terroristiche nella regione.

Inoltre, sottolinea come diversi episodi catalogati come attentati terroristici possano in realtà

rientrare nel crimine generico (è il caso di numerosi incendi dolosi in magazzini), e come solo una

manciata di attentati sia attribuita all’ETIM e ad altre sigle come l’Organizzazione di Liberazione

Uigura (ILO), all’East Turkestan Islamic Party o all’East Turkestan Liberation Organization

(ETLO), delineando un quadro in cui manca prova tangibile del radicamento delle sigle terroristiche

stesse nella regione. Anche i rapporti con al-Qaeda sono di difficile ricostruzione: secondo fonti

governative, il fondatore dell’ETIM, Hasan Mahsum, avrebbe incontrato di persona Bin Laden e

avrebbe trovato rifugio in Afghanistan talebano dopo aver lasciato l’Afghanistan nel 1997. Ma allo

stesso tempo il presunto vicepresidente dell’ETIM, Abdullah Kariaji, pur confermando

collegamenti sia coi talebani sia con al-Qaeda, avrebbe confessato che solo una minima parte degli

uiguri addestrati nei campi Afghani avrebbe operato in Cina, e che i rapporti tra ETIM- talebani e

al-Qaeda non fossero così saldi, sostanzialmente per una mancanza di sostegno alla causa uigura.

L’esperto di terrorismo Philip Potter 42

ipotizza una rete di relazioni sul tipo

rappresentato in figura, e in generale è più

propenso a sottolineare il potenziale del

terrorismo uiguro in base a questi legami.

Se non è chiaro fino a che punto il

terrorismo islamico sia strutturato in Cina,

certamente questi sta ampliando il proprio

raggio d’azione e variando gli obiettivi.

Negli ultimi tre anni non a caso il budget per la sicurezza domestica cinese ha superato quello per la

difesa. Nel 2013 era pari a 130 miliardi di dollari, mentre il secondo ha raggiunto i 199 miliardi di

dollari. Quest’anno, il budget per la difesa ha subito un incremento del 12,2%, ma non è noto in che

percentuale esso verrà messo a disposizione per l’esigenza domestica, dal momento che Pechino ha

omesso la percentuale riservata alla sicurezza delle province43. Quel che è certo è che per sventare

attentati come quelli di Kunming, il Comitato per la Sicurezza dello Stato recentemente istituito non

può più concentrare la propria attenzione solo sullo Xinjiang. Piuttosto deve alzare i livelli di                                                                                                                          42 file://localhost/Users/ragingwind/Downloads/2013winter-Potter.pdf 43 http://temi.repubblica.it/limes/in-cina-con-l%E2%80%99attentato-di-kunming-il-terrorismo-islamico-cambia-tattica/59117?printpage=undefined

 

Page 21: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  21  

guardia in tutto il paese e rafforzare i controlli ai confini, per evitare infiltrazioni tra terrorismo

autoctono e cellule quaediste.

LE RAGIONI DI KASHGAR, GLI INTERESSI DI PECHINO

Si è visto come nello scontro tra Repubblica Popolare Cinese e minoranza uigura, le ragioni delle

parti si perdano nella storia e a partire dalla visione della stessa: un dominio imperiale continuato ed

esercitato con le conquiste, il controllo diretto , o la via diplomatica, per Pechino; una storia di

indipendenza disgregata solo con la conquista cinese di fine Ottocento, da parte uigura.

Indipendentemente dalle reciproche forzature storiografiche è fatto acclarato che le politiche

perpetuate dal governo centrale per stabilire

un saldo controllo sulla “Nuova Frontiera”

non abbiano ottenuto gli effetti sperati. Il

mancato riconoscimento di un’autentica

autonomia regionale e i maldestri tentativi di

assimilazione culturale che hanno calpestato

per secoli l’identità uigura non sono però le

uniche motivazioni di un dilemma, la

stabilizzazione della regione, che fa leva su

delicate questioni economiche, strategiche e

geopolitiche.

Vi è innanzitutto, per la RPC, un generico

problema di minoranze sul proprio territorio

nazionale. Lo Stato cinese riconosce

ufficialmente l’esistenza di cinquantasei

nazionalità (minzu). Il gruppo maggioritario,

han, comprende circa il 94% della popolazione totale, pur non essendo esso stesso affatto

omogeneo, e abita prevalentemente l’area orientale del paese, più economicamente sviluppata. Il

restante 6 % della popolazione appartiene a popoli non sinofoni divisi in 55 minoranze, che

occupano immensi territori confinali, colonizzati ufficialmente a partire dal VIII secolo. Alcuni di

questi gruppi, come gli uiguri, i tibetani e i mongoli, pur essendo delle minoranze sono per ora nei

propri territori maggioritari. Particolare che non rappresenterebbe un problema per il governo, se

Page 22: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  22  

queste minoranze non occupassero il 60% dell’immenso territorio nazionale, e precisamente l’area

più ricca di risorse naturali, fondamentali per lo sviluppo del paese. I legami etnici e linguistici delle

minoranze con i popoli oltre confine, rendono le frontiere cinesi più labili e meno sicure, rendendo

indispensabile per lo Stato controllare le manifestazioni di insofferenza nei confronti delle politiche

del governo centrale, che potrebbero portare a richieste di secessione o forte autonomia politica,

economica e sociale. Si è già accennato a come teoricamente il sistema giuridico cinese garantisca

la tutela delle minoranze nazionali con la “Legge Cinese sulle Regioni Autonome delle Minoranze

Nazionali” del 1984, ma di come nella pratica si assista a forme di assimilazione forzata delle etnie

e di controllo politico ed economico delle regioni autonome da parte del gruppo maggioritario han.

L’amministrazione delle regioni autonome è infatti affidata a funzionari han, che generalmente

occupano le principali

posizioni dirigenziali e

amministrative. Il pretesto

è legato all’utilizzo del

mandarino come lingua

ufficiale, così da escludere

il personale autoctono

dalla pubblica

amministrazione delle

circoscrizioni locali. 44

D’altronde, la politica di

assimilazione delle

nazionalità ha fagocitato anche il sistema scolastico, rigidamente diviso in due percorsi in lingua

mandarina o uiguri, laddove il solo percorso in mandarino può dare seri sbocchi professionali. Nelle

aree rurali tuttavia esistono non di rado solo scuole uiguri, e le modeste condizioni economiche

delle famiglie non consente loro l’iscrizione dei figli alle scuole cittadine. Teoricamente, tutti gli

studenti cinesi appartenenti ad una minoranza etnica avrebbero accesso facilitato all’università, ma

è in realtà diffuso il fenomeno dell’abbandono scolastico ben prima degli studi universitari, così che

nel corso degli anni si è venuta a determinare una stratificazione professionale nettamente separata

tra uiguri e han, che occupano le posizioni lavorative più remunerative e, ovviamente, la

maggioranza dei ruoli dirigenziali.

                                                                                                                         44 RICHARD POULIN, La politique des nationalités en Rèpubique populaire de Chine, Quèbec, Editeur official du Quèbec, 1984, p.16, cit. in M.L. PAOLUZI, Nazionalismo e islam…op.cit., p.13.

Distribuzione  popolazione  han  e  popolazione  uigura  Data  Source:  Xinjiang  Statistical  Yearbook

Page 23: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  23  

L’utilizzo di politiche demografiche di immigrazione han al fine di rendere minoritarie, e quindi

controllabili, le altre etnie nei reciproci territori, è strategia comune utilizzata da Pechino anche in

altre provincie. Nello Xinjiang ampie campagne di emigrazione han iniziarono già dal 1949

attraverso i Corpi di Produzione e Costruzione dello Xinjiang (CPCX), che si insediarono

inizialmente nelle zone lungo il confine sino-sovietico, lungo l’asse ferroviario Hami-Urumchi,-

Alashankou e lungo il collegamento Korla-Aksu-Kashi.45 Questo tipo di colonizzazione organizzata

in altre aree confinali cinesi fu smantellata nel corso degli anni ’80, mentre nello Xinjiang ha

continuato ad essere presente come strumento per la stabilizzazione interna, e ancor oggi i Corpi

sono sovvenzionati per l’80% direttamente dal governo centrale e controllano un terzo della

superficie coltivabile, oltre ad assicurare un quarto della produzione industriale della provincia.46.

Attraverso l’estensione della rete dei trasporti vaste aree prima difficilmente raggiungibili sono state

rese accessibili ai coloni cinesi, che sono così penetrati nel bacino del Tarim, rafforzando la loro

presenza anche nelle zone a popolamento maggioritario uiguro.

L’arrivo in massa degli han ha in buona parte mutato l’economia regionale, avviando lo

sfruttamento delle risorse minerarie e lo sviluppo industriale di alcune località centrali. Lo sviluppo

della regione è iniziato negli ultimi decenni con lo sfruttamento delle numerose risorse minerarie di

cui dispone la regione (petrolio e gas naturale, ma anche ferro, titanio, zinco, oro, carbone, rame e

zolfo), ancor oggi in gran parte inesplorate. I più importanti giacimenti si trovano a Karamay, Tarim

e Turpan-Hami, e secondo le stime la nuova frontiera offre tra i 20 e i 35 miliardi di tonnellate di

riserve , solo considerando quelle già esplorate. La posizione isolata rispetto al cuore pulsante del

paese ha spinto Pechino alla realizzazione di numerosi progetti per la costruzione di condotte in

grado di rendere possibile il trasporto del greggio verso Tianshui, l’ultimo terminale occidentale

della Cina interiore, per immettere così il greggio nelle preesistenti condutture dirette verso l’est

industrializzato. Anche la produzione di energia elettrica, ricavata da 130 centrali idroelettriche,

100 termoelettriche e due eoliche, compie lo stesso percorso dallo Xinjiang all’est cinese.

L’economia è tuttavia prevalentemente monopolizzata dai Corpi di Produzione e Costruzione, che

controllano vari settori economici impedendo agli uiguri e alle altre etnie autoctone di beneficiare

delle risorse regionali. Il Pil dello Xinjiang resta nel complesso uno dei più bassi dell’intera Cina,

benché proprio per sostenere lo sviluppo della regione (e delle altre regioni periferiche) dalla fine

del vecchio millennio il governo avesse varato una politica per lo sviluppo locale, il già citato Go

West, che prevedeva anche l’ampliamento e la diversificazione della rete dei trasporti.

                                                                                                                         45 Ivi, p.70. 46 R. CASTEST, Opposition politique…op. cit., p. 19.  

Page 24: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  24  

Oggi la rete di collegamento

internazionale dello Xinjiang

risulta quasi completata,

esistono ben quindici valichi

commerciali di collegamento

con il Kazakistan percorsi da

strade o ferrovie, e i treni

regionali sono ben sviluppati

in entrambe le direzioni, ma

nonostante questi progressi

lo Xinjiang continua ad avere

uno sviluppo irregolare.

Secondo alcuni studi uno dei

freni allo sviluppo è

storicamente dato dal

prevalere di strategie di investimento basate su considerazioni politiche anziché geografiche o

economiche47: è stata privilegiata l’area settentrionale più che quella meridionale, determinando due

differenti livelli di sviluppo. Il nord, dotato di infrastrutture e di una rete di traporti moderna oltre

che di un’industrializzazione di antica data, ha così visto crescere la sua economia. Il sud, a

maggioranza uigura, pur avendo anch’esso un ampio potenziale in termini di risorse naturali,

mantiene un livello di vita più povero. Sino agli anni Ottanta dello scorso secolo il governo era

riluttante ad investire in una regione in cui era malvisto, ma ha così determinato una crescita

progressiva del divario tra han e uiguri, e una conseguente crescita del risentimento popolare, in un

circolo vizioso che non sembra ad oggi esserci ancora spezzato. La situazione non è di facile

risoluzione anche in base al fatto che alle proposte del governo di avviare la produzione de petrolio

nelle regioni meridionali, la popolazione locale si è opposta, temendo un nuovo massiccio arrivo di

coloni han; identica preoccupazione che sta bloccando la costruzione della linea ferroviaria Turpan-

Kashi destinata al trasporto del petrolio, che potrebbe costituire asse di penetrazione han verso le

regioni del sud-ovest.

Possiamo notare come il piano Go West, lanciato nel 2000 dal presidente Jiang Zemin e dal suo

primo ministro Zhu Ronji, abbia rappresentato netto cambiamento nelle politiche cinesi , fino a quel

momento orientate verso le regioni costiere, ed affondi le sue radici nel dibattito degli anni Novanta                                                                                                                          47 M.L PAOLUZI, Nazionalismo e islam…op.cit., p.32.

Pil  regionale  in  Cina.  Si  può  notare  come  la  ricchezza  dello  Xinjiang  sia  concentrata  nelle  aree  industriali  del  Nord  mentre  l’area  a  popolazione  prevalentemente  uigura  rimanga  tra  le  più  povere  del  paese.  http://scenarieconomici.it/mappa-­‐pil-­‐pro-­‐capite-­‐in-­‐tutte-­‐regioni-­‐cina/  

Page 25: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  25  

che segue il ritiro di Deng Xiaoping e i susseguenti cambiamenti ai vertici del PCC. Le discussioni,

vertono attorno al ruolo del partito nello sviluppo economico, alle sue relazioni con la società e alla

sua visione dello sviluppo sociale cinese. Era ben chiaro alla Cina proiettata al mondo esterno come

uno dei principali problemi fosse la divergenza tra sviluppo delle aree est ovest e delle aree rurali e

cittadine. Disuguaglianza facilmente spiegabile con la politica di marginalizzazione mantenuta da

Pechino nei secoli precedenti, e che il governo ha cercato di combattere con questo poderoso piano

di sviluppo (12 miliardi di euro investiti nello Xinjiang solo nei cinque anni successivi al lancio

della campagna) volto alla modernizzazione ed industrializzazione della regione. La campagna si

poneva ufficialmente un triplo obiettivo, sia politico sia economico: favorire lo sviluppo economico

diminuendo lo scarto tra est e ovest cinese; incoraggiare l’unità nazionale e sviluppare la solidarietà

nazionale; colonizzare le zone meno integrate alla società cinese.

Due rapporti destinati al Concilio di Stato della RPC di Wang Shaoguanf e Hu Angag , scritti a

metà degli anni Novanta, avevano esposto chiaramente come le riforme economiche cinese

avessero in realtà enfatizzato le disparità regionali, aumentate nel corso degli anni Novanta, con

conseguenti rischi sulla stabilità sociale e politica della regione. La campagna, che si inserisce in un

più ampio decimo piano quinquiennale nazionale, si basa essenzialmente su un approccio

industriale sostenuto da investimenti pubblici e di capitale straniero. Lo Stato garantisce

investimenti di capitale, ma cerca anche di aumentare i fondi attraverso organizzazioni

internazionali e governi stranieri. Si tratta dunque di stabilire le condizioni necessarie per attirare gli

investimenti privati e stranieri, con facilitazioni fiscali per le imprese e tutti gli strumenti del caso.

Sviluppare l’industria dell’ovest del paese significa inoltre porre un freno al fenomeno delle

migrazioni da ovest ad est, permettendo alle industrie di andare là dove il lavoro è meno caro e

invertendo il flusso migratorio di lavoratori verso l’area più industrializzata costiera.

Il secondo scopo è dichiaratamente politico e riguarda l’integrazione nazionale per il rafforzamento

dell’unità nazionale stessa, e in questo senso rappresenta una politica tipica del PCC: con una

popolazione perfettamente integrata la legittimità del potere non sarebbe più fondata sull’esercizio

della forza. In questo senso, la campagna comporta una duplice prospettiva propositiva e difensiva:

ben consapevole delle sfide che i sentimenti separatisti di Xinjiang e Tibet portano all’unità

nazionale e alla legittimità del governo centrale, Pechino puntava, teoricamente, su un aumento del

tenore di vita della regione, al fine di scongiurare rivendicazioni in nome della propria identità

culturale.

Ci si potrebbe domandare se questa unità politica è possibile e se un ipotetico aumento del livello di

vita uiguro (che consenta alla popolazione locale di beneficiare effettivamente del progresso

Page 26: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  26  

industriale ed economico) potrà fermare le volontà separatiste. Le autorità locali dubitano della

portata di queste misure. Dubbi che inesorabilmente si rafforzano di fronte alla terza misura

operata da Pechino, l’invio di una massiccia migrazione han nella regione.

La colonizzazione permette di sfruttare le risorse naturali, tramite la competenza della manodopera

e dei dirigenti han, e permette l’assimilazione della cultura locale. Questa misura dimostra così che

per Pechino le minoranze sono la principale minaccia alla stabilità sociale e politica, e che la

soluzione prevista è di tipo esplicitamente etnocentrico. La ricetta di Pechino vista alla luce

dell’immigrazione han tende ad uno sviluppo intensivo, spazialmente selettivo e sostanzialmente

estraneo alla cultura locale. Ha scavato profonde differenze tra città e campagna e acuito le

differenze economiche tra popolazione han e minoranze etniche, senza che lo sviluppo economico

stesso si rivelasse sin qui sufficiente a fare da traino all’intera regione.

Pechino dimostra di non aver compreso la natura del problema, o del prevalere del vecchio

paradigma della forza su una più lungimirante visione d’insieme. Emblematico il caso della città di

Kashgar, estremo occidentale dell’estrema regione occidentale, città simbolo della cultura uigura,

con il suo centro storico splendido esempio di architettura musulmana, oggi devastato da un piano

del governo regionale cha ha ordinato la distruzione e ricostruzione della città vecchia secondo

moderni criteri architettonici, ufficialmente per prevenire eventuali scosse sismiche, di fatto per

strappare un altro pezzo di identità culturale al popolo uiguro.48

Si è quindi fin qui registrato un sostanziale fallimento della campagna Go West: l’area si è sì

modernizzata, ma la politica di assimilazione forzata unita al fallimento della partecipazione uigura

alle ricchezze della regione (che risulta così, in ottica uigura, soggetta a sfruttamento) hanno

inasprito ulteriormente le tensioni. Inasprendo ulteriormente le tensioni etniche l’area risulta ancora

più in pericolo e con essa ancora più esposti gli investimenti e gli interessi cinesi (che si vedranno

con più precisione in seguito) interni ed esterni allo Xinjiang: esattamente il contrario di quanto

auspicato da Pechino.

Assieme alla lingua, allo sfruttamento delle risorse naturali e alle disuguaglianze economiche,

l’altro caposaldo delle doglianze uigure contro il mancato riconoscimento della propria identità

etnica verte ovviamente sulla religione islamica. Il governo teme che il permissivismo in campo

religioso possa condurre le etnie verso moti separatisti, nel suo forzato parallelismo tra credo

religioso, minoranza nazionale e territorio. Grazie alla legislazione già esaminata e al meticoloso

controllo dei media, qualsiasi attività religiosa diventa legale solo previa approvazione del governo                                                                                                                          48 Intervista ad ALESSANDRO RIPPA, Radio Radicale, maggio 2014: http://www.radioradicale.it/scheda/410346/intervista-ad-alessandro-rippa-sulla-situazione-degli-uiguri-nello-xinjiang

Page 27: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  27  

ed esposta a continuo controllo. Il PCC si serve inoltre della religione per indottrinare in suo favore

una generazione di capi religiosi che “difendano la patria e l’unità etnica”. Gli allievi delle scuole

statali non hanno diritto alla preghiera e al digiuno durante il Ramadan, non possono portare

simboli e vestiario religioso, come i copricapi islamici, e benché non sia illegale possedere un

Corano il fatto stesso di professare la religione islamica sottopone il soggetto ad automatico

sospetto. Nelle zone rurali, le forze di sicurezza effettuano controlli per verificare l’eventuale

pubblicazione di materiale illegale, in un clima di controllo onnicomprensivo dello stato sulla

religione.

Anche in questo campo il controllo e la repressione sono andati esacerbandosi negli anni ’90. Il giro

di vite di questo decennio si spiega all’interno del clima di forte frustrazione e nella autoritarietà

applicata da Pechino per la sopravvivenza del regime dopo gli avvenimenti di piazza Tienanmen nel

1989 e in risposta all’indipendenza delle ex Repubbliche Sovietiche. Pechino crede fermamente che

l’indipendenza delle repubbliche dell’Asia centrale e la diffusione dell’islamismo radicale nella

regione possano destabilizzare lo Xinjiang e rinforzare il separatismo uiguro, visti i legami

etnolinguistici e religiosi con le popolazioni turcofone oltreconfine. Come sottolinea Kellner 49 in

questa fase Pechino teme la reciproca influenza tra etno-nazionalismo e estensione del radicalismo,

ipotizzando che i movimentai separatisti uiguri possano trovare sostegno e basi all’interno della

regione, sino al timore di un vero e proprio pan-turchismo nella regione. Una ricerca britannica 50ha

dimostrato d’altronde come l’identità uigura si sia affermata sempre più proprio nel corso degli anni

‘90, al punto di far passare in secondo piano quella che Justin Rudelson aveva chiamato “identità

delle oasi”: questa cristallizzazione di una identità uigura comune all’interno dello Xinjiang,

assieme alla strutturazione di una diaspora uigura all’estero, opera nel contesto dei grandi

cambiamenti dell’Asia Centrale e da questa non può essere scissa. La nascita di uno stato per i

popoli kazaki, uzbeki, tagiki, kirghisi, turkmeni, viene percepita con particolare acutezza tanto dagli

uiguri dello Xinjiang tanto per gli esuli, che si percepiscono sempre più come l’ultima popolazione

colonizzata dell’area.

Ai timori cinesi seguono d’altronde i fatti: l’insurrezione di Baren (1990), e le manifestazioni di

Hotan e Yying (1993 e 1995), contribuiranno ad offrire il fianco alla repressione, legittimando quel

giro di vite del governo espresso dalla campagna “Strike Hard” e successive.

                                                                                                                         49 THIERRY KELLNER, La Chine et la Nouvelle Asia Centrale, Groupe de recherche et d’information sur la paix et la sécurité (GRIP), cit. p.8 : http://dev.ulb.ac.be/sciencespo/dossiers_membres/kellner-thierry/fichiers/kellner-thierry-publication48.pdf 50 JUSTIN JON RUDELSON, Oasis identities. Uyghur nationalism along China’s Silk Road, Columbia University Press, New York 1997, p.209, cit. in, T.KELLNER, La Chine…op.cit., p.8.  

Page 28: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  28  

Ulteriore elemento di controllo è la massiccia presenza militare, portata avanti dai soldati han

dell’armata nazionale. Le tensioni tra milizie cinesi e popolazioni locali sono non di rado

degenerate in scontri, e funzionari e militari han sono stati principali oggetto delle azioni

terroristiche di matrice uigura. Inoltre le intimidazioni sono all’ordine del giorno in regione a causa

dell’onnipresenza della polizia. Le organizzazioni umanitarie, tra cui Amnesty International,

denunciano la costante violazione dei diritti umani subita dalle popolazioni allogene della regione,

con migliaia d’arresti e un utilizzo estensivo della pena di morte. I rapporti sulle violenze in

Xinjiang che riescono a uscire dai confini nazionali sono rari e incompleti, ma danno

un’indicazione di massima sul problema. Nel 2000 Amnesty ha designato lo Xinjiang come una

delle prime cinque regioni al mondo in cui la violenza è in continuo aumento51. Per Maire

Holzman,52 la proporzione degli uiguri condannati a morte è dieci volte superiore i dati che si

attenderebbero data la loro presenza demografica sul territorio nazionale.

Un ultimo elemento denunciato dalla popolazione uigura è lo sfruttamento indiscriminato del

territorio da parte delle autorità centrali, con particolare risalto posto alla questione nucleare,

passata sotto silenzio, legata al sito militare di Lop Nur, i cui esperimenti nucleari negli anni

Settanta hanno prodotto un aumento di tumori e malformazioni genetiche nell’area interessata, oltre

a dissesti geologici e disastri ecologici che hanno inquinato falde acquifere, aria e prodotti agricoli

della cui produzione vive parte della popolazione uigura.

Le rivendicazioni uigure vengono portate avanti da numerosi gruppi che si trovano al di fuori dei

confini nazionali, non solo nei paesi limitrofi in cui la loro presenza è consolidata, ma anche dalle

numerose comunità che si rovano in special modo in Germania, Canada, Stati Uniti, Belgio e

Australia. Quando, a partire dal ’49, iniziò la diaspora uigura e migliaia di esuli si rifugiarono oltre

confine dove erano presenti comunità etniche dello stesso ceppo, queste diedero vita ad

associazione come l’Associazione degli Emigranti del Turkmenistan Orientale (fondata a Istanbul

nel 1961, poi divenuta Eastern Turkestan Foundation), che oggi funge da punto di riferimento per la

diaspora in area turca e del vicino oriente. In Kazakistan nacquero tre organizzazioni nazionaliste

per la lotta indipendentista, non più riconosciute ormai dal 1990, ma che continuano ad operare in

clandestinità. Il Kirghizistan ospita due associazioni laiche democratiche in difesa dei diritti

fondamentali del popolo uiguro. Erkin Alptekin, figlio del fondatore della East Turkestan Union of

Europe, con sede in Germania, ha organizzato nel 1992 il primo Congresso Nazionale Uiguri ad

Istanbul, ed ha fondato l’Unrepresented Nations and Peoples Organization, favorevole ad una

risoluzione pacifica delle controversie con la RPC. Il movimento di uiguri all’estero si occupa di far                                                                                                                          51 Ivi, p.13. 52 http://chinaperspectives.revues.org/648 - tocto1n10  

Page 29: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  29  

conoscere al resto del mondo la stampa straniera, tiene informata la stampa e le organizzazioni

internazionali, gestisce siti internet d’informazione quotidiana e culturale. Oggi la più importante

organizzazione di questo tipo è il World Ouighuir Congress53, con sede a Monaco di Baviera, che

denuncia le violazioni dei diritti umani contro il popolo uiguro, denunciata per le sue attività da

Pechino come promotrice del terrorismo anti-cinese. Se il governo ha messo a tacere le voci

all’interno del paese, queste sono comunque ascoltate virtualmente sul web, e tal proposito

qualcuno parla di vero e proprio “cyber-separatism” da parte degli espatriati (tra il 5 e il 6 % della

popolazione totale, si stima). Nelle almeno 25 organizzazioni di questo tipo, possiamo distinguere

tra associazioni prevalentemente informative e associazioni attive a livello politico. Si segnala tra le

altre Radio Free Asia (RFA), che riceve supporto dal governo degli USA. Voce importante hanno

anche due “prigionieri di coscienza” divenuti punti di riferimento per la causa uigura: Rabya Kader

(attualmente rilasciata e residente negli Stati Uniti) e Tohti Tunyaz, condannati per crimini

riguardanti la “divulgazione di segreti di stato” e “incitamento al separatismo”, e che fungono da

cassa di risonanza per le denunce uigure.

Sulla base di quanto detto, si potrebbe notare come al di là delle motivazioni politico-economiche,

la cultura cinese sia profondamente impregnata di etnocentrismo. Alcuni autori evidenziano la

tendenza cinese a visualizzare il lento progresso economico delle minoranze come un ritardo

culturale. Lingua, costumi, religioni delle minoranze sono sempre più considerati come barriera per

lo sviluppo economico, e i sostenitori di questa modernizzazione economica hanno plasmato

l’opinione pubblica, portando molti a credere che i simboli dell’identità etnica sarebbero

naturalmente scomparsi di fronte ai processi di urbanizzazione, consumismo, alfabetizzazione e

moderni mezzi di comunicazione. E’ una dottrina che lascia facilmente incolpare le minoranze per

le proprie caratteristiche etniche. Un’immagine stereotipata dell’islam come forza contraria allo

sviluppo economico si è diffusa anche in ambiente accademico negli ultimi anni, e in generale ad

essersi deteriorati sono i rapporti tra popolazioni han e minoranze dello Xinjiang, ormai improntati

alla reciproca diffidenza: la propaganda ufficiale perpetrata sin dall’incidente di Baren nei primi

anni Novanta, ha indubbiamente ed enormemente contribuito a creare questo clima di sfiducia e di

odio.54

                                                                                                                         53 http://www.uyghurcongress.org/en/ 54 http://www.ipcs.org/pdf_file/issue/IB219-Debhashish-ChinaPeriphery-Xinjiang.pdf

Page 30: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  30  

SICUREZZA ENERGETICA ED EQUILIBRI REGIONALI55

Alla luce di quanto visto, è facilmente intuibile come la Nuova Frontiera rappresenti per Pechino

un’area geopolitica di importanza cruciale, dove fattori economici e fattori politici e di sicurezza si

intrecciano in un quadro nazionale e transnazionale.

Vale la pena evidenziare come la regione si presenti non solo come bacino di risorse, ma anche

come vero e proprio hub energetico nell’Asia centrale, e come tale di vitale importanza per la

sicurezza energetica del

paese.

Nella sua immensa

superficie, lo Xinjiang

possiede circa il 75% dei

minerali e il 33% del

carbone dell’intero

territorio cinese, e ne

rappresenta il principale

bacino di estrazione

petrolifera.56 E’ fatto noto

il fabbisogno energetico

richiesto dall’enorme

sviluppo cinese: il suo

consumo energetico ha

conosciuto

un’accelerazione senza

precedenti negli ultimi dieci

anni, seguendo di pari

                                                                                                                         55 sulla sicurezza energetica cinese e la centralità dello Xinjiang in materia si vedano in particolar modo: http://www.usak.org.tr/dosyalar/dergi/pJtyaKQqGXj378DTsCNLZZbpRVLHfn.pdf; http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=ch , http://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/commentary_maselli_05.05.pdf ; http://www.geopolitica-rivista.org/25798/il-pivot-to-asia-della-russia-laccordo-energetico-sino-russo/ ; http://www.eastasiaforum.org/2013/09/24/the-prc-central-asia-energy-nexus/ ; http://www.worlddialogue.org/content.php?id=402

56 http://www.eastonline.eu/attachments/article/623/060 065 sartori-xinjiang.pdf

Page 31: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  31  

passo lo sviluppo economico del paese, con un tasso di crescita medio dell’utilizzo di energia

schizzato all’ 8,9% nell’ultimo decennio. Oggi la Cina è il maggiore consumatore di energia al

mondo e il principale importatore di petrolio.57

Tuttavia, i giacimenti cinesi operativi sono in declino, e quelli attivati da poco non sono sufficienti a

rispondere alla crescente domanda di idrocarburi. La nuova politica energetica di Pechino risponde

così all’esigenza di aumentare le forniture ma allo stesso tempo di limitare la possibile vulnerabilità

del paese in relazione alla sua dipendenza dagli approvvigionamenti energetici stranieri, secondo tre

strategie differenti: lo sviluppo di risorse interne; l’accesso diretto ai giacimenti di idrocarburi

stranieri attraverso una internazionalizzazione delle compagnie di Stato; la diversificazione

geografica degli approvvigionamenti stessi.

Per quanto riguarda la ricerca di nuovi giacimenti si è già detto come lo Xinjiang offra un bacino di

estrazione di capitale importanza, benché le stime sul volume delle riserve di petrolio siano varie e

spesso contradditorie. La regione è oggi ad uno dei primi stadi di sfruttamento e non tutti i centinaia

di giacimenti conosciuti sono stati ancora messi in produzione. Le prime esplorazioni risalgono agli

inizi del Novecento, con, a partire dagli anni trenta, una serie di esplorazioni e successive

trivellazioni ad opera di società miste sino-sovietiche. Tuttavia solo alcuni dei giacimenti rivenuti

vennero attivati a causa degli alti costi di trasporto del greggio dovuti alla marginalità della regione.

Nuove sistematiche esplorazioni ripresero dagli anni Novanta in poi, per dati esaltanti che facevano

sperare Pechino in una nuova Arabia Saudita Cinese, cifre oggi in parte ridimensionate. I campi di

produzione odierni sono concentrati prevalentemente nelle zone del Tarim, della Zungaria e del

Turpan-Kumul. L’estrazione comporta tuttavia non poche difficoltà per la natura del terreno, e i

costi per la costruzione di una rete i condotte di migliaia di chilometri sono proibitivi. Ovviamente,

in una regione sensibile quale lo Xinjiang, l’esportazione del greggio verso la Cina interna diventa

un problema politico oltre che tecnico ed economico, ed è uno dei motivi per cui il governo ha

scelto di investire prevalentemente nelle aree a prevalenza han, mentre è riluttante a sfruttare i

giacimenti del bacino del Tarim. Per far fronte agli enormi costi Pechino ha sollecitato le

compagnie straniere ad entrare in consorzio con la compagna di stato CNPC, inviti andati delusi

negli anni Ottanta e poi accettati dal 1991 da alcune multinazionali giapponesi e americane per

alcuni giacimenti del Tarim e per la costruzione dell’oleodotto Liaoyungag , sul Mar Cinese.

Anche per quanto riguarda la ricerca di un accesso alle risorse attraverso l’internazionalizzazione

delle sue compagnie, Pechino ha cercato, trasformando le sue compagnie di Stato (CNPC e                                                                                                                          57 http://www.academia.edu/6681245/Pechino_e_la_comunita_uigura_del_Pakistan_-_OrizzonteCina  

Page 32: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  32  

SINOPEC) in società per azioni, di esercitare il suo controllo attraverso obiettivi strategici, verso

molteplici direzioni tra cui l’Asia centrale. Non a caso, la diplomazia cinese ha attivato numerosi

processi di integrazione regionale (ASEAN, Organizzazione di cooperazione di Shangai, Asia

Summit) che hanno preso in esame prima le problematiche relative al controllo delle minoranze

etniche e di quelle islamiche radicali, alla definizione dei confini e ad altre questioni di rilevanza

politica, e solo successivamente hanno trattato questioni economiche ed energetiche affrontando i

vari problemi di logistica e tecnici.

Per quanto abbondanti le risorse estratte nei concorsi internazionali e nei nuovi e vecchi giacimenti

dello Xinjiang non sono sufficienti, e Pechino deve operare quella diversificazione geografica delle

forniture che ha occupato una parte preponderante nelle strategie cinesi degli ultimi anni.

Interessata al potenziale petrolifero dell’Asia centrale, ha messo in atto una politica svolta allo

sviluppo di un asse energetico centroasiatico offrendo a questi paesi, privi di accesso al mare, una

via di evacuazione degli idrocarburi orientata ai mercati dell’Asia dell’est e del sud-est , alternativa

alla direzione occidentale. La regione caspica e la Russia possiedono riserve sufficienti a

giustificare la costruzione di un sistema di condotte transcontinentali rivolte verso est. Numerosi

sono i protocolli d’intesa e i contratti siglati con la Russia e gli stati dell’Asia centrale, in ultimo

l’importantissimo accordo trovato con Mosca. La strategia di Pechino di stringere buoni rapporti

diplomatici con le Repubbliche e offrire il proprio aiuto nella costruzione di strade, porti, ferrovie in

cambio di gas e petrolio a buon mercato, si sta dimostrando efficace.

La Cina attualmente importa dal Kazakistan circa 235 mila barili di greggio al giorno, che

potrebbero diventare 1.5 milioni una volta completato il progetto del giacimento di Kashagan. In

Kazakistan la CNPC gestisce insieme alla Kaztransoil 4 pipeline, inclusa la Kazakistan-China

Page 33: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  33  

Crude Oil Pipilene e la Kazakistan-China Gas Pipeline. In Uzbekistan ha acquistato circa 10

miliardi di metri cubi di gas naturale. Il Turkmenistan è il secondo più grande fornitore di gas

dell’Impero del Centro, ed è appena stato inaugurato il giacimento gasifero di Galkynysh, il

secondo più grande al mondo.58

Tutte le infrastrutture che consentono il trasporto d’idrocarburi dall’Asia centrale verso la costa

cinese passano per lo Xinjiang, senza contare la presenza oltrefrontiera di altre comunità uigure, da

qui l’evidente ruolo strategico della regione e l’evidente rischio posto dalla questione uigura nel suo

complesso.

La Cina prevede di costruire una linea ferroviaria per il collegamento diretto con l'Afghanistan e si

sta pianificando lo sviluppo delle infrastrutture lungo il corridoio di Wakhan.

Gli scambi commerciali tra la Cina ed i cinque paesi dell'Asia centrale sono passati da un

complesso di 527.00.000 di dollari americani nel 1992 ai 40 miliardi del 2011. Le maggiori

compagnie petrolifere della RPC come CNPC e CNOOC hanno collaborato con aziende locali per

competere con altri giocatori importanti (come la Russia) e aziende multinazionali, come

ExxonMobil e BP, in imprese di esplorazione e estrazione di petrolio e gas naturale. Il gasdotto

Asia centrale-China si estende tra Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan, ed entra in Cina

attraverso lo Xinjiang presso la città di Horgos. Da quando è stato costruito ha trasportato 40

miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno, ma la RPC prevede di aumentare le sue importazioni

di gas dall’Asia centrale entro il 2015 aumentando la portata del gasdotto a 55-60 miliardi di metri

cubi. In Uzbekistan, Pechino ha istituito più di 380 imprese con investimenti cinesi, nonché uffici

di rappresentanza per 65 gradi aziende cinesi tra cui CNPC. Unendo il gasdotto Uzbekistan-RPC

con il gasdotto Asia Centrale-RPC, i due paesi hanno impresso ulteriore slancio alla loro

cooperazione energetica a partire dal 2012.

Una volta salita alla ribalta all’interno dell’economia globale, la Cina ha portato dunque l’Asia

centrale nella sua orbita attraverso connessioni energetiche di capitale importanza, muovendo passi

importanti per la propria posizione nel nuovo Grande Gioco della regione e lasciando indietro gli

Stati Uniti, le cui compagnie non stanno rispondendo ai giganti del petrolio di proprietà statale

cinese. Pechino si è anche dedicata allo sviluppo di un corridoio energetico e commerciale via terra

che va dallo Xinjiang fino a Gwadar, sulla costa sud-ovest del Pakistan, vicino al Golfo Persico, in

modo da bypassare lo stretto del Malacca ed i rischi ad esso legati59. Se la strada di collegamento

                                                                                                                         58 http://temi.repubblica.it/limes/uiguri-terrorismo-ed-energia-xinjiang-snodo-irrisolto-della-cina/53884 59 http://www.csc.iitm.ac.in/?q=node/375

Page 34: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  34  

del Karakoram e la regione del Baluchistan vengono mantenute sicure, questo corridoio potrebbe

rappresentare una componente importante per la sicurezza energetica cinese, anche se richiederà un

impegno economico considerevole. Inoltre, secondo alcuni progetti Gwadar potrebbe diventare

anche uno snodo per il prolungamento verso la Cina del gasdotto Iran-Pakistan.60 Va ricordato a

questo proposito che in Pakistan vive una comunità uigura composta da circa trecento famiglie

sparse tra Gilgit e Rawalpindi, la maggior parte delle quali migrò tra gli anni Quaranta e Settanta

del secolo scorso. Dopo l’apertura nel 1986, la Karakoram highway è diventata teatro degli

spostamenti tra Xinjiang e Pakistan nonché di pellegrinaggi verso la Mecca, ma dall’11 settembre

2001 anche gli uiguri pakistani sono posti sotto stretta osservazione cinese.61

L’area è cruciale per la Cina non solo dal punto di vista energetico. Si stanno infatti sviluppando

una serie di politiche finalizzate alla creazione della “nuova via della seta”, ossia una fascia di

sviluppo economico che ricalchi quella che fu l’antica via carovaniera. Il progetto è idealizzato da

più parti, compresa Washington, ma si sta sviluppando prevalentemente su impulso cinese. La

creazione dei corridoi regionali che collegherebbero la Cina fino all’Europa è finanziata nell’ambito

del progetto Central Asia Regional Economic Cooperation (CAREC), che prevede

l’ammodernamento delle reti autostradali e delle ferrovie regionali; mentre altri obiettivi sono volti

ad intensificare la cooperazione in materia doganale e a favorire la realizzazione di associazioni di

spedizionieri regionali, per il grande obiettivo finale di facilitare gli scambi nella regione e verso il

resto dell’Eurasia. Il potenziale economico dell’area eurasiatica è sconfinato, e la Cina preme per

velocizzare le procedure di armonizzazione doganale della regione per dinamizzare i flussi

commerciali (progetto ZES62).

Dai dati riportati appare evidente come lo Xinjiang rappresenti un potenziale fattore di instabilità

per gli interessi cinesi nazionali ed internazionali, ed un potenziale fattore di polarizzazione delle

turbolenze non solo cinesi, ma che interessano l’intera regione. Attentati terroristici sono infatti

avvenuti anche su suolo kazako, e la Russia è sempre alle prese con attacchi di matrice islamica nel

Caucaso. In quest’ottica appare evidente come problematiche di sicurezza interna ed internazionale

si intreccino, e come solo la sinergia con gli altri paesi membri della SCO possa portare a risultati

decisivi, da cui deriva la presa costante di Pechino ed alleati contro i tre mali del fondamentalismo,

del separatismo e del terrorismo. La perdita di questa regione da parte di Pechino mutilerebbe

l’intero processo che attualmente è in fase di realizzazione e di cui la Cina è motore geo-economico.                                                                                                                          60 http://www.geopolitica-rivista.org/25889/lo-xinjiang-e-la-stabilita-dellasia-centrale/ 61 http://www.iai.it/pdf/OrizzonteCina/OrizzonteCina_14-02.pdf  62 http://it.wikipedia.org/wiki/Zona_Economica_Speciale

Page 35: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  35  

Ma la storia degli ultimi anni e di altri contesti dimostra che il terrorismo è difficilmente estirpabile

con il mero uso della forza, e finché non troverà la chiave di volta per dialogare pacificamente con

gli uiguri difficilmente lo Xinjiang potrà considerarsi un hub energetico affidabile.

In ultimo, si vuole segnalare un’altra ragione che fa indirettamente dello Xinjiang l’attuale

problema principale delle strategie cinesi. Sul tavolo di Pechino posano ancora aperte le questioni di

Taiwan e di quelle regioni, Tibet e Mongolia in testa, che reclamano la propria indipendenza e non

accettano la “prevaricazione” cinese: secondo Pechino, cedere con gli uiguri vorrebbe dire scatenare

una pericolosa ondata di ribellioni interne che minerebbero velocemente la compattezza e la

stabilità nazionale.

CONCLUSIONI

Il quadro che si è cercato di delinare vede lo Xinjiang , o Turkestan Orientale, come regione chiave

dell’Asia centrale, per la sua storica funzione di passaggio dall’area culturale cinese a quella

centroasiatica e per le funzioni geostrategiche, economiche e politiche che essa ha assunto in

particolare dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica, l’indipendenza delle Repubbliche dell’Asia

centrale e la scoperta di importati giacimenti energetici. La Repubblica Popolare Cinese ribadisce

continuamente, con parole e fatti, la sua sovranità su questa regione prevalentemente abitata da

minoranze non cinesi; queste, da parte loro, sono alla ricerca se non dell’indipendenza quantomeno

di una reale autonomia amministrativa ed economica, nonché di un maggiore rispetto della propria

identità culturale. I movimenti che sostengono la causa delle nazionalità dello Xinjiang non sono

coordinati tra loro e perseguono obiettivi diversi con diverse metodologie. La via dell’indipendenza

e della secessione è rivendicata dai gruppi panturchi e panislamici, mentre l’autonomia politica,

demografica ed economica, oltre alla protezione della propria lingua e cultura, è promossa dai

movimenti pià moderati e dalle associazioni di uiguri all’estero. Alcuni dei gruppi separatisti, che

operano anche nei paesi confinanti, hanno scelto la via della resistenza armata e a detta del governo

cinese sono collegati alle maglie del terrorismo internazionale. Risulta a tutt’oggi complicato

delineare l’effettivo rapporto del terrorismo uiguro dello Xinjiang con cellule oltre confine: se

alcuni uiguri hanno trovato addestramento nei campi jihadisti in Pakistan o in Afghanistan e la sigla

Page 36: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  36  

dell’ETIM ha rivendicato alcuni attentati, risulta tuttavia difficile collocare nello Xinjiang un

terrorismo di stampo islamista pienamente strutturato come vorrebbe Pechino, anche per le

difficoltà logistiche poste dalla severa legislazione nazionale in termini di associazionismo ed

espressione religiosa. Nonostante ciò, l’escalation di violenza degli ultimi mesi pare segnalare un

“salto di qualità” della risposta armata separatista, che non concentra più i suoi sforzi solo verso

obiettivi statali e solo nella regione di appartenenza, ma sta inaugurando una vera e propria strategia

del terrore, colpendo obiettivi civili anche a grande distanza dalla “Nuova Frontiera”, come

accaduto nel caso dell’attentato di Kunming. Va detto che la maggioranza della popolazione uigura

segue la via politica della protesta pacifica, ma l’eccessiva frammentazione del movimento

autonomista ne disperde la forza. Le richieste di maggiore autonomia vertono in particolar modo

sulla denuncia di una politica di sfruttamento delle risorse che non apporta alcun tornaconto per gli

abitanti della regione; sul mancato riconoscimento e rispetto dell’identità culturale uigura, a partire

dall’utilizzo della propria lingua; su un controllo pervasivo delle attività di culto e della vita

quotidiana in nome della sicurezza e dell’unità nazionale perpetrata da Pechino attraverso le sue

forze militari e su un generale tentativo di assimilazione delle culture locali alla cultura dominante

han; infine sulla denuncia di una evidente discrepanza tra tenore di vita dell’immigrazione Han, cui

spettano i posti di lavoro più remunerativi, e popolazione locale, che vive ancora prevalentemente

nelle aree più povere della regione.

La regione stessa ha sì vissuto uno sviluppo progressivo grazie al piano “Go West”, ma si tratta di

uno sviluppo prevalentemente industriale, localizzato nel nord della regione (a maggioranza han) e

colpevole di aver incrementato le differenze economiche e sociali tra etnia cinese e minoranze

locali. La percezione di discriminazione all’interno della popolazione locale si è fatta sempre più

pressante negli anni, incentivata dall’indipendenza ottenuta dalle repubbliche turocofone ex

sovietiche al di là dei confini cinesi, che stretti legami culturali mantengono con lo Xinjiang e che

ospitano minoranze uigure.

Pechino, nonostante le dichiarazioni programmatiche volte ad una ricomposizione pacifica del

tessuto sociale, ha in realtà perpetrato una politica di controllo, spaventata dal potenziale centrifugo

rispetto all’unità nazionale delle minoranze culturali. Le politiche migratorie volte a porre in

minoranza le etnie locali sul loro stesso territorio, l’utilizzo arbitrario della forza e la realizzazione

di un quadro giuridico volutamente vago in materia di separatismo e terrorismo, hanno esacerbato le

tensioni etniche anziché stabilizzare la regione. La stabilità regionale è tuttavia fondamentale per la

RPC in quanto questa rappresenta una porta tra Cina e Asia centrale, con tutto quel che ne consegue

dal punto di vista economico-commerciale e politico. Le spinte insurrezionali uigure possono

saldarsi alle corrispettive istanze in regioni confinali e, inserite nel quadro del terrorismo

Page 37: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  37  

internazionale di matrice jihadista, mettere a serio repentaglio la sicurezza regionale e lo sviluppo

economico dell’area. Preoccupazioni rese oggi ancora più urgenti in vista del prossimo ritiro delle

truppe dell’ISAF dall’ Afghanistan.63 Per arginare questi rischi, Cina, Russia e gli stati dell’Asia

centrale sottintedono la mutua collaborazione in termini di lotta al terrorismo alla

compartecipazione economico-commerciale. L’instabilità regionale mette inoltre a repentaglio gli

investimenti cinesi nel campo energetico, fondamentali per lo sviluppo del paese. Oltre ad essere

essa stessa terreno di importantissime risorse energetiche e minerarie, la regione è per la sua

collocazione geografica uno snodo delle condotte che dall’Asia centrale giungono al cuore

nevralgico della Cina, la zona costiera del paese. Importanti investimenti sono stati fatti sia in

termini di condotte chilometriche sia nell’aggiornamento ed estensione della rete di trasporti, e

un’escalation degli attentati non può che mettere a repentaglio le infrastrutture e la generale

sicurezza. Pechino non può insomma permettesi di perdere, in questo momento storico, il controllo

sulla regione “pivot” dell’Asia centrale, che vuole utilizzare per poter estendere oltre confine la sua

area di influenza politica ed economica. In ultimo, quello uiguro è solo uno dei movimenti a

richiedere indipendenza dal potere centrale, e potrebbe portare con se’ strascichi nelle

problematiche ancora tutt’altro che risolte relative a Taiwan, Tibet e Mongolia.

Le tensioni inter-etniche tra han e altre minoranze che abitano la regione stanno per altro dando vita

in questi ultimi anni ad un fenomeno cui non si è precedentemente accennato, una sorta di senso di

abbandono da parte degli han stessi, che si sentono abbandonati dalla capitale e insicuri a causa dei

violenti scontri. Alcuni han locali di seconda e terza generazione puntano essi stessi ad una parziale

autonomia, sentendosi ormai cittadini dello Xinjiang e consapevoli delle ricchezze della regione,

mentre molti altri si sentono snobbati dai connazionali all’interno e al tempo stesso osteggiati dalle

minoranze locali.64

Accanto alla sistematica repressione della libertà di espressione delle minoranze interne, Pechino si

è mossa a livello mediatico internazionale presentando come terroristici tutti i movimenti

indipendentesti dello Xinjiang e cercando di screditare la diaspora degli uiguri, ma ha sottovalutato

la mondializzazione dell’informazione, e se fino ad oggi la questione dello Xinjiang è passata sotto

                                                                                                                         63 http://www.formiche.net/2013/02/27/le-sfide-di-pechino-in-asia-centrale/

 64 THOMAS ZHU, L’orgoglio ferito dei cinesi di frontiera, in “La Cina spacca l’occidente”, quaderni speciali “Limes” n.4, 2009.

Page 38: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  38  

silenzio rispetto a quella dell’identità tibetana sui media occidentali65, gli ultimi, sanguinosi attentati

hanno alzato il livello di attenzione sulla “Nuova Frontiera” e l’atteggiamento cinese.

Se viene continuamente rinsaldato il vincolo tra paesi dell’Asia centrale in nome della comune

sicurezza, diverse voci discordanti cominciano a levarsi nel resto del mondo rispetto al trattamento

disciminatorio riservato agli uiguri, condizione che, pur non giustificando in alcun modo l’utilizzo

della forza e tantomeno il ricorso al terrorismo che ne conseguono, rimane alla base delle

rimostranze etniche. I report delle ONG internazionali hanno segnalato più volte gli abusi alla

libertà d’espressione delle minoranze e l’esercizio arbitrario della forza nella regione da parte

dell’amministrazione cinese, e anche riguardo alla lotta al terrorismo, dopo un’iniziale condivisione

di intenti nell’ambito della war on terror globale post 11 settembre, da parte degli alleati si sono

sollevati alcuni dubbi, tanto che l’ETIM è stato cancellato dalla lista dei movimenti considerati

ufficialmente terroristici dagli USA. Pechino ha d’altro canto accusato gli Stati Uniti di utilizzare

due pesi e due misure riguardo alla problematica in base ai propri interessi nazionali.66 La nuova

Cina, aperta al mondo e che ne diviene in qualche modo interdipendente, non potrà che considerare

la problematica uigura come una questione centroasiatica e di interesse internazionale, e non più

solo una questione interna.

In generale, alla luce dei recenti attentati l’atteggiamento di Pechino volto all’assimilazione e al

controllo statale si è dimostrato fallimentare. La Cina viola i diritti delle proprie minoranze senza

per questo riuscire a garantire una vera unità nazionale legittimata e con essa una maggiore

sicurezza interna. Il braccio di ferro ingaggiato con gli uiguri non è riuscito a piegarne le richieste

ed ha anzi esacerbato lo scontro, esponendo i labili confini cinesi e il fondamentale

approvvigionamento energetico ai rischi insiti nelle istanze separatiste, a maggior ragione

enfatizzate dalla dimensione transnazionale del popolo uiguro. La politica di controllo volta a

reprimere il libero culto dell’islam ha infine favorito i legami con le sigle jihadiste dell’Asia

centrale, dell’Afghanistan e del Pakistan, offrendo un ulteriore elemento ideologico ed identitario al

separatismo della regione.

La questione meriterebbe oggi un approccio internazionale proprio in funzione di quanto detto e

considerato il rischio che il malconento uiguro sfoci in un sempre più aperto dissenso armato legato

alle maglie del terrorismo transnazionale di matrice islamica. Ma è prima di tutto l’atteggiamento di

                                                                                                                         65 http://www.itstime.it/Approfondimenti/Xinjiang.pdf  66 http://www.globaltimes.cn/content/858187.shtml

 

 

Page 39: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  39  

Pechino a dover cambiare, non più esclusivamente per una pur auspicabile esigenza di legalità e di

rispetto delle minoranze e dei diritti umani, ma oggi anche per considerazioni di real politik , che

dovrebbero spingere la Cina a rapportarsi con una maggiore lungimiranza alle minoranze sul

proprio territorio, al fine di realizzare l’agognata unità sociale e nazionale non attraverso

un’assimilazione forzata e necessariamente fallace, ma nell’unico modo possibile e duraturo, quello

del rispetto delle culture e dei diritti dei popoli.

Page 40: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  40  

BIBLIOGRAFIA

Dei principali quotidiani e delle riviste di approfondimento geopolitico si segnala solo l’homepage per praticità dato l’alto numero di pagine consultate:

-­‐ http://chinaperspectives.revues.org/ -­‐ http://edition.cnn.com/ -­‐ http://it.wikipedia.org/ -­‐ http://temi.repubblica.it/limes/ -­‐ http://thediplomat.com/ -­‐ http://www.asianews.it/it.html -­‐ http://www.atimes.com/ -­‐ http://www.bbc.co.uk/ -­‐ http://www.cesi-italia.org/ -­‐ http://www.china-files.com -­‐ http://www.corriere.it/ -­‐ http://www.eastasiaforum.org -­‐ http://www.eastonline.eu/it/ -­‐ http://www.economist.com/ -­‐ http://www.eurasia-rivista.org/ -­‐ http://www.foreignpolicy.com/ -­‐ http://www.ilcaffegeopolitico.org/ -­‐ http://www.internazionale.it/ -­‐ http://www.ispionline.it/ -­‐ http://www.lastampa.it/ -­‐ http://www.monde-diplomatique.it/ -­‐ http://www.nytimes.com/ -­‐ http://www.repubblica.it/ -­‐ http://www.washingtonpost.com/regional/ -­‐ http://www.xinhuanet.com/english/ -­‐ www.geopolitica-rivista.org -­‐ www.globalpost.com -­‐ www.notiziegeopolitiche.net

Altri riferimenti consultati:

XINJIANG E UIGURI

-­‐ ALESSANDRA CAPPELLETTI, Gli uiguri del Xinjiang: processi politici e dissenso tra Cina e Asia Centrale, ISPI Analysis, n.9, April 2010: http://www.ispionline.it/it/documents/Analysis_9_2010.pdf

-­‐ ALESSANDRO RIPPA, intervista rilasciata a Radio Radicale, maggio 2014: http://www.radioradicale.it/scheda/410346/intervista-ad-alessandro-rippa-sulla-situazione-degli-uiguri-nello-xinjiang

-­‐ ANTHONY HOWELL, Chinese minority income disparity in the informal economy: a cross-sectoral analysis of han-uyghur labour market outcomes in Urumqi’s formal and informal sectors using survey data, China An International Journal, Vol. 11, Dicembre 2013: http://www.tonyjhowell.com/papers/Minority_income_disparity_in_Xinjiange.pdf

-­‐ ANTONHY HOWELL e CINDY FAN, Migration and inequality in Xinjiang: a survey of han and uyghur migrants in Urumqi, Eurasian Geography and Economics, n.1, Bellwether Publishing, 2011: http://www.sscnet.ucla.edu/geog/downloads/597/403.pdf

-­‐ ARIENNE DWYER, The Xinjiang conflict: Uyghur identity, language policy, and political discourse, Policy Studies, East-West Center, Washington 2005: http://www.eastwestcenter.org/fileadmin/stored/pdfs/PS015.pdf

-­‐ BHAVNA SINGH, Ethnicity, separatism and terrorism in Xinjiang, IPCS Special Report, Agosto 2010:

Page 41: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  41  

http://www.ipcs.org/special-report/china/ethnicity-separatism-and-terrorism-in-xinjiang-chinas-triple-conundrum-96.html

-­‐ BHAVNA SINGH, Xinjiang’s july syndrome: terrorism or misgovernance?, IPCS- Institute of Peace and Conflict Studies, 13/9/2011: http://www.ipcs.org/article/china/xinjiangs-july-syndrome-terrorism-or-misgovernance-3452.html

-­‐ CLINTON PARKER, The Uyghurs of China: a struggle of past, present and future, Uknowledge Vol.10, University of Kentucky, Gennaio 2012: http://uknowledge.uky.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1076&context=kaleidoscope

-­‐ DANIEL MØLLER ØLGAARD e TINA SUNDREE LAUGE GILL, China & Xinjiang: The western development plan, China’s security agenda, and consequences for the Uighurs, Roskilde University, Dicembre 2012: http://rudar.ruc.dk/bitstream/1800/9278/1/PROJEKT VERS. 1.pdf

-­‐ DEBASISH CHAUDHURI, China and its peripheries. Beijing, Xinjiang Han-Uyghur schism, IPCS – Institute of Peace and Conflict Studies, Maggio 2013: http://www.ipcs.org/pdf_file/issue/IB219-Debhashish-ChinaPeriphery-Xinjiang.pdf

-­‐ ENZE HAN, Boundaries, Discrimination, and Interethnic Conflict in Xinjiang, China. Woodrow Wilson School, Princeton University, 2010: http://www.ijcv.org/index.php/ijcv/article/viewArticle/77

-­‐ FEDERICO DE RENZI, Il sogno del Turkestan Orientale, in Limes, “Cindia, la sfida del secolo”, n.4, 2005. -­‐ GLADNEY DRU, Islam in China: Beijing’s Hui and Uighur Challange, Global Dialogue Vol.9, n.1-2, 2007:  

http://www.worlddialogue.org/content.php?id=403 -­‐ IABIN JACOB, China’s Xinjiang woes: Internal and external implications, IPCS – Institute of Peace and Conflict

Studies, 14/7/2009: http://www.ipcs.org/article/china/chinas-xinjiang-woes-internal-and-external-implications-2906.html

-­‐ ILDIKÓ BELLÉR-HANN, Violence in Xinjiang: indicative of deeper problems? East Asia Forum, 30/3/2012: http://www.eastasiaforum.org/2012/03/30/violence-in-xinjiang-indicative-of-deeper-problems/

-­‐ JAMES MILLARD, Cina, due problemi con gli uiguri, Los Angeles Review of Books, 28/5/2014: https://lareviewofbooks.org/essay/chinas-two-problems-uyghurs

-­‐ MARIA LUDOVICA PAOLUZI, Nazionalismo e Islam in Cina. Lo Xinjiang tra tensioni etniche e problemi economico-politici, Aracne Editrice, Roma 2011.

-­‐ MAUD BOUVIER, La politique chinoises et les Ouïghours du Xinjiang depuis 1990, Institut d’Etudes Politiques de Lyon, 2005. http://doc.sciencespo-lyon.fr/Ressources/Documents/Etudiants/Memoires/Cyberdocs/MFE2005/bouvier_m/pdf/bouvier_m.pdf

-­‐ MICHAEL CLARKE, China’s Xinjiang problem, The Interpreter, 10/7/2009: http://www.lowyinterpreter.org/post/2009/07/10/Chinas-Xinjiang-Problem-Part-1.aspx?COLLCC=1231231861&COLLCC=869828925&

-­‐ MONICA PALMERI, Post 9/11. Lotta al terrorismo e repressione nella Regione Autonoma Uigura del Xinjiang, Pubblicazioni Centro Studi per la Pace, 2006.

-­‐ NABIJAN TURSUN, Yearning for a Republic erased from the map, 2010, http://www.uyghurcongress.org/en/wp-content/uploads/uyghur_history.pdf

-­‐ OWEN LATTIMORE, Pivot of Asia: Sinkiang and the Inner Asian Frontiers of China and Russia, Little Brown, Boston 1950.

-­‐ RÉMI CASTETS, The Uyghurs in Xinjiang. The malaise grows, 2003: http://chinaperspectives.revues.org/648 - tocto1n1

-­‐ SHAN WEI e WENG CUIFEN, China’s New Policy in Xinjiang and its challenges, East Asian Policy, Vol.2, 2010: http://www.eai.nus.edu.sg/Vol2No3_ShanWei&WengCuifen.pdf

-­‐ SILVIA SARTORI, Xinjiang, dove la Cina fa i conti con il suo Islam, East, Marzo 2006: http://www.eastonline.eu/attachments/article/623/060 065 sartori-xinjiang.pdf

-­‐ THOMAS ZHU, L’orgoglio ferito dei cinesi di frontiera, in “La Cina spacca l’occidente”, quaderni speciali “Limes” n.4, 2009.

-­‐ XIAOGANG WU e XI SONG, Ethnicity, Migration, and social stratification in China: Evidence from Xinjiang Uyghur Autonomous Region, Population Studies Center, University of Michigan Institute for Social Research, Novembre 2013: http://www.psc.isr.umich.edu/pubs/pdf/rr13-810.pdf

QUESTIONE ENERGETICA

-­‐ ALTAY ATLI, The role of Xinjiang Uyghur Autonomous Region in the economic security of China, Bogaziçi University, 2011: http://www.usak.org.tr/dosyalar/dergi/pJtyaKQqGXj378DTsCNLZZbpRVLHfn.pdf

-­‐ FAKHMIDDIN FAZILOV e XIANGMING CHEN, The PRC-Central Asia energy nexus, EastAsiaForum, 24/9/2013: http://www.eastasiaforum.org/2013/09/24/the-prc-central-asia-energy-nexus/

-­‐ GIOGIO CUSCITO, Uiguri, terrorismo ed energia: Xinjiang (s)nodo irrisolto della Cina, Limes, 31/10/2013: http://temi.repubblica.it/limes/uiguri-terrorismo-ed-energia-xinjiang-snodo-irrisolto-della-cina/53884

Page 42: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  42  

-­‐ LIVIA MASELLI, Cina: “ossessione” energia, Ispi, 5 maggio 2014: http://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/commentary_maselli_05.05.pdf

-­‐ MASSIMILIANO PORTO, Il “pivot to Asia” della Russia: l’accordo energetico sino-russo, Geopolitica, rivista dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, 19/06/2014 : http://www.geopolitica-rivista.org/25798/il-pivot-to-asia-della-russia-laccordo-energetico-sino-russo/

-­‐ Report sulla Cina dell’US Energy Information Administration: http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=chl

RAPPORTI TRA CINA E STATI CENTROASIATICI

-­‐ ALESSANDRO DI LIBERTO, Lo Xinjiang e la stabilità nell’Asia Centrale, 1/07/2014: http://www.geopolitica-

rivista.org/25889/lo-xinjiang-e-la-stabilita-dellasia-centrale/ -­‐ ALESSANDRO RIPPA, Pechino e la comunità uigura del Pakistan, in Orizzonte Cina, Pubblicazioni IAI- Istituto

Affari Internazionali, Febbraio 2014 : http://www.iai.it/pdf/OrizzonteCina/OrizzonteCina_14-02.pdf -­‐ ANDREA PIRA, Le sfide di Pechino in Asia centrale, Formiche, 27/02/2013:

http://www.formiche.net/2013/02/27/le-sfide-di-pechino-in-asia-centrale/ -­‐ GUNJAN SINGH, China in Pakistan: the Xinjiang and Kashgar Factors, IPCS – Institute of Peace and Conflict

Studies, 10/8/2010: http://www.ipcs.org/article/china/china-in-pakistan-the-xinjiang-and-kashgar-factors-3209.html

-­‐ HITOSHI TANAKA, China and shared regional prosperity: five risk factors, East Asia Forum, 25/9/2013: http://www.eastasiaforum.org/2013/09/25/china-and-shared-regional-prosperity-five-risk-factors/

-­‐ http://www.chinadaily.com.cn/china/2006-06/12/content_6020347.htm -­‐ LORO HORTA, Central Asia’s new Silk Road, paved by China, East Asia Forum, 26/10/2013:

http://www.eastasiaforum.org/2013/10/26/central-asias-new-silk-road-paved-by-china/ -­‐ MALIKA TUKMADIYEVA, Xinjiang in China’s Foreign Policy toward central Asia, The Quarterly Journal, 2013:

http://connections-qj.org/article/xinjiang-chinas-foreign-policy-toward-central-asia -­‐ MICHAEL CLARKE, China’s integration of Xinjiang with central Asia: securing a “Silk Road” to Great Power

Status?, China adn Eurasia Forum Quarterly, Vol.6, n.2, Central Asia-Caucasus Institue & Silk Road Studies Program, 2008: http://www98.griffith.edu.au/dspace/bitstream/handle/10072/22347/50986_1.pdf?sequence=1

-­‐ NIKLAS SWANSTROM, China’s Role in Central Asia: Soft and Hard Power, Global Dialogue Vol.9, N.1-2 The Rise of China, 2007: http://www.worlddialogue.org/content.php?id=402

-­‐ OMAR FOSCHI, Analisi dei processi globali di frontiera: il caso sino-kazako, febbraio 2010: http://www.aksaicultura.net/public/yurta/Omar Foschi-Analisi dei processi globali di frontiera- AKSAI.pdf

-­‐ The Regional Anti-Terrorist Structure of Shanghai Cooperation Organization: http://ecrats.org/en/ -­‐ THIERRY KELLNER, La Chine et la Nouvelle Asia Centrale, Groupe de recherche et d’information sur la paix et

la sécurité (GRIP), 2001: http://www.grip.org/sites/grip.org/files/RAPPORTS/2002/2002-01.pdf -­‐ VALERIE NIQUET, China and central Asia, 2006: http://chinaperspectives.revues.org/1045

ASPETTI DI DIRITTO, ASSOCIAZIONI UIGURE

-­‐ Costituzione della Repubblica Popolare Cinese: http://unconventionalconstitution.files.wordpress.com/2012/08/costituzione-della-repubblica-popolare-cinese1.pdf

-­‐ Documento n.7: http://caccp.freedomsherald.org/conf/doc7.html -­‐ HRW and Human Rights in China, The repressive framework of religious regulation in Xinjiang. 2005:

http://hrichina.org/sites/default/files/PDFs/CRF.2.2005/2.2005-RS-Xinjiang.pdf -­‐ HRW, “China: Human Rights Concerns in Xinjiang”, ottobre 2001:

http://www.hrw.org/legacy/backgrounder/asia/china-bck1017.htm -­‐ http://www.china.org.cn/english/2002/Jan/25582.htm -­‐ http://www.rfa.org/english/news/uyghurhttp://uyghuramerican.org/ -­‐ http://www.uyghurcongress.org/en/ -­‐ Regional Ethnic Autonomy Law of the People’s Republic of China:

http://www1.umn.edu/humanrts/research/china-autonomy_law.html

ANALISI SUL TERRORISMO

Page 43: La questione Uigura. Lo Xinjiang cinese tra lotta al terrorismo e repressione

  43  

-­‐ Cina, il fronte orientale. Tradotto su “Internazionale” n.411, 9/15 novembre 2001, Testo originale di CORTLAN BENNET, pubblicato su “South China Morning Post”, Hong Kong.

-­‐ GABRIELE BATTAGLIA, Xinjiang, le bombe e il limite, China Files – Report from China, 22/5/2014: http://china-files.com/it/link/38825/xinjiang-le-bombe-e-il-limite

-­‐ GIORGIO CUSCITO, In Cina con l’attentato di Kunming il terrorismo islamico cambia tattica, marzo 2014, http://temi.repubblica.it/limes/in-cina-con-l’attentato-di-kunming-il-terrorismo-islamico-cambia-tattica/59117?printpage=undefined

-­‐ http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/asia/la-minaccia-terroristica-preoccupa-pechino-10345 -­‐ ILARIA CARROZZA, E’allarme terrorismo anche in Cina? Cronache Internazionali, 26/4/2014:

http://www.cronacheinternazionali.com/e-allarme-terrorismo-anche-in-cina-5187 -­‐ JACOB ZENN, BEIJING, Kunming, Urumqi and Guangzhou: the changing landscape of anti-chinese jihadists,

The Jamestown Foundation, China Brief Vol. 14, issue 10, 23/5/2014: http://www.jamestown.org/single/?tx_ttnews%5Btt_news%5D=42416&tx_ttnews%5BbackPid%5D=7&cHash=d6870ac079a2d4e7127b2a300329769b - .U7z4k41_uEy

-­‐ JACOB ZENN, China claims Uyghrs trained in Sirya, Asia Times Online, 15/06/2013: http://www.atimes.com/atimes/China/CHIN-01-150713.html

-­‐ LIAM POWERS, Xinjiang: reassessing the recent violence, The Diplomat, 4/8/2013: http://thediplomat.com/2013/08/xinjiang-reassessing-the-recent-violence/

-­‐ LORENZO CAPISANI, Attentati in attesa del Terzo Plenum, la Cina tra cambiamento e resistenze, ISPI, 6/11/2013: http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/attentati-attesa-del-terzo-plenum-la-cina-tra-cambiamento-e-resistenze-9363

-­‐ LORENZO CAPISANI, La Cina nuova teatro del terrorismo islamico? ISPI, 31/03/2014 : http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-cina-nuovo-teatro-del-terrorismo-islamico-10112

-­‐ MICHAEL CLARKE, Beijing redoubles counter-terrorism efforts in Xinjiang, East Asia Forum, 26/2/2014: http://www.eastasiaforum.org/2014/02/26/beijing-redoubles-counter-terrorism-efforts-in-xinjiang/

-­‐ MICHAEL CLARKE, China’s “War on Terror” in Xinjiang: human security and the causes of violent uighur separatism, Griffith Asia Institute, Regional Outlook Paper No.11, 2007: http://www.griffith.edu.au/__data/assets/pdf_file/0005/18239/regional-outlook-volume-11.pdf

-­‐ MICHAEL FORSYTHE, Q.and A. Gardner Bovingdon on Uighur discontent and China’s choices, Sinosphere -Dispatches From China, 23/5/2014: http://sinosphere.blogs.nytimes.com/2014/05/23/q-a-gardner-bovingdon-on-uighur-discontent-and-chinas-choices/?_php=true&_type=blogs&_php=true&_type=blogs&_php=true&_type=blogs&_php=true&_type=blogs&_r=3

-­‐ PHILIP POTTER, Terrorism in China, growing threats with global implications, Strategic Studies Quarterly, 2013:  file://localhost/Users/ragingwind/Downloads/2013winter-Potter.pdf

-­‐ RECHEL DELIA BENAIM, Should China fear islamic insurgency?, The Diplomat, 29/5/2014: http://thediplomat.com/2014/05/should-china-fear-islamic-insurgency/

-­‐ RHEANNA MATHEWS, Uighur unrest: are China’s policies working?, IPCS Institute of Peace and Conflict Studies, 21/5/2014: http://www.ipcs.org/article/china/uighur-unrest-are-chinas-policies-working-4459.html

-­‐ ROSS ANTHONY Behind the Xinjiang violence, The Diplomat, 9/3/2012: http://thediplomat.com/2012/03/behind-the-xinjiang-violence/

-­‐ SHANNON TIEZZI, Chinese involvement in global jihad, The Diplomat, 25/06/2014: http://thediplomat.com/2014/06/chinese-involvement-in-global-jihad/

Tutti i link si intendono consultati e confermati al 7/7/2014.