Ky Kyûûdô - Budo Blogtiro, ma ciò avviene solo iniziando ad abbandonare il proprio ego, perché...

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  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 2  

    Indice Prologo

    Ringraziamenti

    Prefazione

    Introduzione

    PARTE I: Storia del Kyûdô: i grandi arcieri del passato e le loro scuole

    Periodo antico

    Periodo di evoluzione

    Periodo feudale

    Periodo di transizione

    Periodo moderno

    Il tiro moderno

    Il Kyûdô in Italia

    PARTE II: L'attrezzatura

    L'arco

    Le frecce

    Il guanto

    Gli altri accessori

    L'abbigliamento

    PARTE III: La pratica

    La pratica storica

    Il tiro standard moderno

    Alcuni particolari tecnici

    Tavole riassuntive

    APPENDICI

    Metodo di traslitterazione

    Glossario

    Bibliografia

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 3  

    Prologo Questo testo sul kyûdô, l'esoterica arcieria giapponese, era nato alcuni anni fa, su precisa richiesta, per essere pubblicato come libro; varie vicissitudini hanno impedito per ben due volte che il progetto andasse a buon fine ed allora ho pensato di renderlo liberamente disponibile a tutto il pubblico attraverso la "grande ragnatela"; data la sua storia, il lettore non si meravigli se esso rispecchierà molto da vicino l'impostazione "cartacea" più che quella "elettronica".

    Ringraziamenti

    Per questo lavoro, più di qualche persona merita il mio ringraziamento, ma lo debbo in particolare al dott. Procesi di Roma per la revisione delle bozze e le precisazioni storiche che mi ha fornito nonché al Maestro Ichikura di Milano per la revisione della terminologia giapponese.

    Prefazione

    Kyûdô significa letteralmente "via dell'arco"; in Oriente la parola "via" non significa solamente strada nel senso di traccia da percorrere per gli spostamenti, ma anche (ed in questo caso esclusivamente) percorso dell'essere umano verso il suo miglioramento anche tecnico ma soprattutto verso la sua crescita interiore come Uomo: lo stesso ideogramma si legge Tao in cinese.

    Parlare del kyûdô, il tiro con l'arco giapponese, è sempre un po' difficile specialmente per chi giapponese non è; invero la più "esoterica" tra le arti marziali del Sol Levante non è particolarmente conosciuta né diffusa a livello di massa neanche lì dove ha avuto le sue origini. Soltanto negli ultimi anni il kyûdô sta vivendo un nuovo momento di grande favore in seguito alla divulgazione nelle scuole, ottenendo così pari dignità del kendô, la via della spada.

    Parlare delle origini, dei miti e della storia del kyûdô correlandoli con la storia giapponese è solo questione di studio; per poter parlare della sua esteriorità formale e tecnica bisogna averlo praticato almeno per alcuni anni sotto la guida di un buon istruttore, ma per conoscerne la vera essenza non basta nemmeno che un Maestro ti mostri il cammino e ti guidi, devi proprio percorrere tutta la strada con le tue gambe e da un certo punto in poi solo con te stesso.

    Molte parole a proposito del kyûdô, come fossero frecce, sono già state scoccate: quelle di un Maestro hanno sempre raggiunto il bersaglio, quelle di modesti istruttori sono spesso cadute nel vuoto. Pubblicando questo testo mi rendo conto di andarmi ad inserire nella seconda categoria; molto sarà sprecato, ma se anche una sola freccia raggiungerà il bersaglio non sarà stato fatto invano.

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 4  

    Introduzione

    Una delle più difficili domande alle quali si può essere chiamati a rispondere è: "Ma perché proprio il kyûdô?"; è già difficile spiegare perché una persona si dedichi alla pratica dell'arco occidentale anziché al gioco della briscola o al fitness.

    È possibile arrivarci per caso o dopo lustri dedicati ad altre arti marziali, è possibile esserne incuriositi dopo anni di militanza nell'arcieria occidentale oppure esserne attratti istintivamente, ma ciò che ti permette di non abbandonarne la pratica per tutta la vita può essere racchiuso in uno dei suoi più noti aforismi: per il kyûdô sono necessari Spirito e Tecnica.

    Per imparare la tecnica dell'arco giapponese non basta certo un corso di 3 mesi; a differenza dell'arco occidentale vi è un rapporto dinamico tra arciere ed attrezzo che si evolve negli anni, tant'è vero che all'inizio della pratica molti farebbero un patto col diavolo per incominciare presto, neanche a comprendere, almeno a capire.

    In questo periodo si incomincia quindi ad analizzare esteriormente, come se non fossero propri, tutti i particolari anatomici che la ragione sa di possedere e contemporaneamente si leggono tutti i testi possibili per tentare di capire le parole del proprio Maestro che, non trovando riferimenti nel nostro interno, ci sembrano koan, le parabole apparentemente senza senso del buddismo Zen.

    Aiutati poi anche dai fattori esteriori come l'abbigliamento, adatto alla pratica, le formalità da seguire durante la pratica stessa, la ricerca della "forma mentis" che ti dicono necessaria, si incomincia a sentire di ricevere dal proprio corpo una specifica sensazione per ogni particolare del tiro, ma ciò avviene solo iniziando ad abbandonare il proprio ego, perché mentre l'ego grida il corpo sussurra.

    Con il tempo si incomincia a familiarizzare con queste sensazioni e le parole del Maestro che sembravano così esoteriche iniziano ad avere un significato; si inizia a riconoscere queste sensazioni e si tenta di replicarle, ma quando credi di essere arrivato alla meta si apre un'altra porta e si vede un altro pezzo di strada da percorrere.

    E strada dopo strada, porta dopo porta, capisci che si inizia sapendo che la tecnica e lo spirito sono necessari ma poi ti accorgi che ci vogliono invece Spirito e Tecnica … e che devono essere uniti (shingitai).

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 5  

    PARTE I

    Storia del Kyûdô:

    i grandi arcieri del passato e le loro scuole

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    Periodo antico: 250 a.C. - 794 d.C.

    I reperti archeologici ci hanno testimoniato che durante il periodo Jômon (la preistoria giapponese) erano in uso archi e frecce con la punta di pietra ma la prima vera testimonianza a proposito dello yumi (il tipico arco asimmetrico giapponese) è stata trovata su un'antica campana di bronzo ritrovata nella prefettura di Kanagawa.

    Si tratta di una scena di caccia; gli archeologi fanno risalire questo oggetto al tardo periodo Yayoi (250 a.C. - 330 d.C.); dal punto di vista dell'uso militare, i reperti archeologici attestano che fu successivamente al periodo Yayoi che furono utilizzate punte di freccia di dimensioni maggiori e gli scheletri mostravano tracce di ferite prodotte da quel genere di oggetto.

    Per quanto riguarda i documenti scritti, la cronaca cinese Weishu (chiamata "Gishi wa jin den" in giapponese) del 297 d.C. già parla degli uomini del Sol Levante dai lunghi archi asimmetrici, mentre i primi documenti giapponesi non ci parlano dell'arco dal punto di vista utilitaristico ma da quello "religioso"; l'arco, dal punto di vista musicale, fu anche il primo "strumento musicale accordabile" e data questa sua doppia valenza (strumento che poteva "colpire" a distanza tanto con una freccia che con il suono) fu considerato un oggetto magico nello shintô (la via degli dei), l'originale religione animistica della gente della tribù Yamato.

    Dal quarto al nono secolo, l'élite culturale giapponese (cioè la corte imperiale) fu fortemente influenzata dalla cultura cinese; la tradizione racconta che fra il settimo ed ottavo secolo un arciere di nome Jarai venne dalla Cina portando alla corte imperiale un compleso stile cerimoniale, anche attraverso questa influenza, i giapponesi svilupparono in seguito una scuola di arcieria chiamata Taishi ryû (scuola dell'epoca Taishi oppure scuola del Principe Taishi, 574-622) nella quale, almeno secondo le antiche cronache, si sarebbero dovuti fondere questi due elementi: magia ed etichetta.

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    Periodo di evoluzione: 794 - 1192 I nobili della tribù Yamato (chiamati kuge) e le loro famiglie, che trovavano nella corte imperiale il fulcro delle loro attività, delegarono la cura delle terre ad essi assegnate a dei servitori armati (saburau: servire; da cui poi samurai), generalmente scelti tra i loro cadetti. Questi, nel loro ruolo di sovrintendenti, incominciarono a loro volta a formare i propri clan e ad aumentare il loro potere economico sino a formare quell'aristocrazia provinciale militare (buke) che incominciò a richiedere il potere politico; sarà dal clan Taira che arriveranno i primi attacchi al potere imperiale.

    Le scuole di arcieria giapponese incominciano quindi a spostarsi verso un'istruzione meno spiccatamente "filosofica"; la prima a nascere ufficialmente sarà quella fondata da Henmi Kiyomitsu.

    Personaggi a metà fra storia e mito compaiono frequentemente in Giappone; un arciere famoso appartenente a questa categoria fu Minamoto no Yorimasa (1104 - 1180); secondo lo Heike Monogatari egli avrebbe ucciso il mostro mitologico chiamato nue (dalla testa di scimmia, dorso del tasso, zampe di tigre e coda del serpente) e la sua storia è stata ripresa nel dramma del teatro nô dall'omonimo titolo di Nue.

    Con la guerra gempei (1180-1185) il clan dei Minamoto (Genji) distrusse quello dei Taira (Heike) ed instaurò la dittatura dello Shôgun (facendo divenire ereditario un titolo che era in origine un incarico provvisorio), completando così il passaggio del potere dai kuge ai buke. Saranno le cronache di questa guerra a riportarci, tra le altre, le notizie del primo episodio di harakiri ed i nomi dei più famosi arcieri e le loro imprese: Minamoto no Tametomo, Nasu no Yoichi.

    Minamoto no Tametomo (1139 - 1177?) apparteneva alla famiglia dei futuri vincitori; era un uomo particolarmente alto e forte, si dice che le sue frecce misurassero "dodici mani e due dita" e che ci volessero cinque uomini per tendere il suo arco; egli viveva in esilio sull'isola di Ôshima che considerava il proprio dominio privato e non intendeva pagare alcuna tassa al governo centrale.

    Quest'ultimo inviò una flottiglia di 20 piccole imbarcazioni da guerra per costringerlo a pagare, ma egli come primo gesto di sfida prese una freccia dalla larga punta fischiante e centrò così potentemente una di queste imbarcazioni da passarla da parte a parte, alcuni centimetri sotto la linea di galleggiamento, affondandola; motivo più che sufficiente per far desistere tutta la spedizione.

    Nasu no Yoichi Munetaka (1160 - ?) apparteneva anch'egli alla schiera dei futuri vincitori della battaglia navale di Yashima e combatteva tra le file del più famoso Minamoto no Yoshitsune; nelle ultime fasi della battaglia, dalle navi dei Taira venne lanciata una sfida agli arcieri della controparte: centrare un ventaglio appeso ad uno degli alberi della nave. Yoshitsune ordinò a Nasu no Yoichi di raccogliere la sfida e da terra egli entrò nell'acqua con tutto il cavallo, pregò gli dei di aiutarlo e subito vento e mare si calmarono; la sua freccia karimata colpì il rivetto del ventaglio disfacendolo e facendolo volare verso l'alto; dopo un istante di silenzio, con un boato, la folla presente inneggiò all'impresa.

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    Periodo feudale: 1192 - 1606 In questo periodo, dominato dalla famiglia Minamoto, anche sotto l'influenza del buddismo, alcuni discendenti del fondatore faranno confluire la Henmi ryû nella Takeda ryû (Takeda Nobumitsu, ? - 1248) e successivamente, seguendo lo stesso filone, il di lui cugino Ogasawara Nagakiyo (1162 - 1242) fonderà la propria scuola tuttora esistente, nota specialmente per il tiro da cavallo, che sarà codificata e resa famosa da Ogasawara Nagahide verso la fine del quattordicesimo secolo.

    Per descrivere l'importanza del Kyûba no Michi (La via dell'arco e del cavallo) è particolarmente adatta la storia del primo Shôgun Minamoto no Yoritomo e l'arciere Suwa no Taifu Morizumi.

    Morizumi era un samurai della famiglia Heike e quindi viveva a Kyôto da molti anni; quando gli Heike caddero, egli arrivò in ritardo a Kamakura per il suo atto di sottomissione a Yoritomo, il quale, infuriato, lo mise in prigione; Morizumi aveva fequentato la scuola di Fujiwara Hidesato ed era un famoso arciere di yabusame. Quasi tutti i soldati di Yoritomo non volevano che la tecnica di Hidesato e la tradizione di quella scuola venissero perse e desideravano salvare Morizumi. Quasi "per caso" il 15 agosto 1187 ci sarebbe stata una festa di consacrazione al tempio di Tsuruoka Hachimangu, e per quella occasione ci sarebbe stata anche una dimostrazione di yabusame. Yoritomo ordinò a Morizumi di partecipare e forse aveva in mente di perdonarlo se avesse mostrato la sua brillante tecnica, come sostenevano i suoi soldati.

    Arrivò il giorno della festa e a Morizumi fu assegnato un cavallo che aveva un difetto, cioè deviava la direzione della corsa verso destra, spaventato dal suono emesso dalla freccia quando colpiva il bersaglio. I samurai che lavoravano nelle stalle adoravano Morizumi e gli svelarono questo difetto. Grazie a questa informazione, Morizumi colpì i bersagli uno dopo l'altro meravigliosamente e tutto il pubblico non finiva di applaudirlo. Yoritomo allora gli ordinò di colpire uno hasamimono (hasamu= inserire, mono=qualcosa). Morizumi colpì perfettamente anche questo bersaglio. Alla fine Yoritomo gli ordinò di colpire il palo che lo reggeva. Morizumi pensò che la fortuna lo avesse abbandonato, ma non potè tirarsi indietro perché era un samurai. Tirò fuori una freccia karimata, e pregando il suo kami sganciò. La freccia colpì perfettamente il bersaglio. L'ira di Yoritomo sparì velocemente come una nuvola soffiata via dal vento quando vide questa meraviglia tecnica, quasi un miracolo. E così Morizumi fu dichiarato innocente. Da questo aneddoto si può capire quanto fosse rispettato il kyûjutsu nel mondo dei samurai di quel tempo.

    Nell'ultimo quarto del quindicesimo secolo, dopo la fine della guerra Ônin (1467-1477) venne introdotto l'uso della capsula rigida nel pollice del guanto per la mano destra, il che permetteva all'arciere di migliorare la sua precisione ma gli impediva l'uso di quella mano per altri scopi; vennero formati così per la prima volta reparti militari specializzati.

    In questo stesso secolo, dai campi di battaglia, sorse un personaggio semimitico che porterà eccezionali novità nella tecnica di tiro rendendolo più rapido e più potente (per le differenze vedi il capitolo sul tiro moderno); la tradizione lo vuole nato nel 1443 e morto all'età di 59 anni; si tratta di Heki Danjo Masatsugu.

    I samurai intuirono presto le potenzialità della nuova tecnica ma questa si diffuse solo quando Heki Danjo passò i suoi segreti a Yoshida Kôzuke Nosuke Shigekata (1463 - 1543) e a suo figlio Shigemasa (1485 - 1569) che iniziò a formare e diffondere "scuole nuove" (chiamate genericamente Heki ryû o Yoshida ryû).

    Fra le più note che tuttora sopravvivono ci sono:

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    • Heki ryû Chikurin ha, fondata dal monaco Ishido Chikurinbô Josei della setta tantrica del buddismo Shingon; praticato in origine al monastero di Wakayama, taluni affermano che non è provata la discendenza diretta da Heki Danjo; la scuola si dividerà successivamente nei due rami Bishû Chikurin (fondata da Ishido Sadatsugu, figlio di Josei) e Kishû Chikurin (fondata da Daiuemon Tsunetake più conosciuto come monaco buddista con il nome di Yoshimichi Junsei);

    • Heki ryû Insai ha, fondata da Yoshida Genpachirô Shigeuji (1561 - 1638), divenuto monaco con il nome di Insai Issuiken a Kyôto; questa scuola diventerà successivamente la Heki Tô Ryû alla corte dello Shôgun Tokugawa;

    La Heki ryû Sekka ha, con la recente scomparsa del Maestro Ônuma e non avendo egli tramandato ufficialmente la sua arte, è da considerare l'ultima, fra le antiche tradizioni ad essere estinata.

    Ma all'epoca esse erano ben più numerose: Yoshida ha (fondata da Banki Saemon Kazuyazu), Dôsetsu ha (fondata da Ban Kizaemon Kazuyazu più noto con il nome assunto da monaco Dô Hô), Sakon'emon ha (fondata da Yoshida Sakonemon), Izumo ha (fondata da Yoshida Izumo no Kami Shigekata), Taishin ha (fondata da Tanaka Taishin Hidetsugi), Yamashina ha (fondata da Kataoka Sukejuro Iekiyo), Jutoku ha (fondata da Kimura Jutoku), Daizo ha (fondata da Yoshida Daizo Shigeuji), Ôkura ha (Yoshida Ôkura) ed altre ancora.

    Sino alla seconda metà del quindicesimo secolo l'arcieria giapponese è al suo apice, ma durante il periodo detto del Paese in Guerra (Sengoku jidai), con la massificazione del combattimento saranno le lance (yari e naginata) a divenire le regine dei campi di battaglia; il combattimento non sarà più un fenomeno élitario e sarà Oda Nobunaga ad utilizzare per primo persino i moschetti portati dai Portoghesi giunti da sud nel 1543; in seguito, dopo il 1605, con l'avvento della "pace Tokugawa" ...

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    Periodo di transizione: 1606 - 1926 Pur appartenendo storicamente al periodo feudale, il periodo Edo (1605 - 1867, detto anche Tokugawa) fu un altro periodo di transizione per la storia dell'arcieria giapponese.

    Yoshida Shigenobu, figlio di Shigeuji (alias Insai, 1561-1638) divenne, dopo un'incredibile dimostrazione, l'istruttore di tiro della famiglia Tokugawa (dando avvio successivamente alla Heki Tô Ryû), ma sotto la loro dittatura il Giappone si chiuse verso l'esterno ed iniziò un lungo periodo di pace durante il quale l'arcieria avrebbe potuto anche estinguersi, difatti a partire da questo periodo sarà la spada a divenire l'"anima" del samurai.

    Prevalse invece il senso della tradizione, ma il mondo dell'arco si spostò nuovamente, allontanandosi dal contesto marziale; la manifestazione più importante diventò una sorta di gara di durata presso il padiglione Sanjûsan Gendô (sala delle 33 campate) al tempio Rengeôin di Kyôto.

    All'esterno del padiglione, sotto la tettoia larga circa 2,2 metri e lunga circa 120, un arciere appartenente ad una delle scuole Chikurin o a quella Sekka, si sedeva a gambe incrociate e tirava per un massimo di 24 ore; venivano considerate valide le frecce che uscivano dalla parte opposta del tempio tra la catena di scolo dell'acqua (come ancora oggi se ne vedono in certe abitazioni anche in Italia) e la parete, senza che toccassero l'impiantito di legno né si piantassero nelle travi che si trovano a soli 5 metri d'altezza (per questo motivo questo tiro viene anche chiamato "della traiettoria tesa").

    Si tramanda che furono 823 gli arcieri a cimentarsi in questa impresa ma di questi soltanto una trentina furono degni di nota; i due più famosi: nel 1669 Hoshino Kanzaemon (della scuola Bishû Chikurin) tirò 10.542 frecce fermandosi poco prima della ventiduesima ora quando 8.000 frecce esatte furono dichiarate valide; Wasa Daihachiro (allievo di Yoshimichi Junsei, Kishû Chikurin), nel 1686, tirò in 24 ore ben 13.053 frecce delle quali 8133 a bersaglio. A proposito di questa seconda impresa si narra un interessantissimo aneddoto.

    Dopo una delle brevi pause, Wasa cominciò a sbagliare un numero troppo elevato di frecce: la sua mano sinistra si era gonfiata impedendogli la corretta impugnatura dell'arco; un vecchio samurai si offerse di occuparsene e chiese che gli venisse portata una piccola lama; con questa egli praticò un certo numero di micro-incisioni sul dorso della mano dell'arciere attraverso le quali la mano iniziò a sgonfiarsi; egli, così alleviato, riprese a tirare e soltanto a prova finita e record superato Wasa venne a sapere che il suo benefattore era proprio Hoshino Kanzaemon.

    Verso la fine del diciassettesimo secolo, in accordo con lo spostamento della pratica verso gli stili cerimoniali, Morikawa Kozan (1631 - 1702), fondatore della Yamato ryû (da non confondersi con quella pre-feudale), usò per primo il termine di kyûdô (via dell'arco) contro il più antico kûjutsu (arte dell'arco).

    L'ottavo Shôgun, Tokugawa Yoshimune (1684 - 1751), fece raccogliere tutti i testi sul kyûdô del Giappone ed ordinò al suo Hatamoto (Daimyô alle "dirette dipendenze" dello Shôgun) Ogasawara Heibei Tsuneharu (1666 - 1747) di recuperare i dispersi insegnamenti dei cinque rami delle scuole discendenti da Ogasawara Nagakiyo e divenne quindi il ri-fondatore della scuola Ogasawara tuttora esistente a Tôkyô.

    Nel 1868 avvenne un importantissimo evento, la "Restaurazione Meiji", con il quale il Giappone chiuse il proprio periodo feudale storico e con la restituzione del potere dello Shôgun all'Imperatore

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    il paese si aprì verso l'esterno, commercialmente, politicamente e militarmente; anche questo divenne un momento di rischio per la tradizione arcieristica.

    Alla fine del diciannovesimo secolo, Honda Toshizane (1868 - 1912, appartenente alla scuola Chikurin) creò uno stile ibrido fondendo l'arcieria dei cavalieri e quella dei fanti; questo istruttore dell'Università Imperiale di Tôkyô incominciò ad insegnarlo ai propri allievi malgrado le proteste di tutti i tradizionalisti; nonostante queste proteste, essi incominciarono a diffondere la Honda ryû in tutto il Giappone rendendo il suo fondatore la persona che più di ogni altro influenzerà il kyûdô così come lo si pratica oggi.

    Periodo moderno

    Quando l'arcieria giapponese si stacca dalle scuole segrete che ogni clan aveva, diviene palese la necessità di una sorta di standardizzazione a livello nazionale e successivamente mondiale. La prima associazione che convocherà, all'inizio degli anni '30, tutti i maestri di tutte le scuole per tentare questa operazione sarà la Dai Nippon Butoku Kai (Associazione per le Virtù Marziali del Grande Giappone) di Kyoto, la quale, nonostante le grandissime controversie, centrerà il suo obiettivo nel 1934 con la pubblicazione del Kyûdô Yosôku che però resterà quasi lettera morta fino alla fine della seconda guerra mondiale.

    Gli occupanti americani proibiranno dal 1945 al 1948 la pratica delle arti marziali per tentare di raffreddare il bollente spirito nazionalista dei giapponesi, ma soltanto pochi mesi dopo, nel 1949, la neonata Zen Nihon Kyûdô Renmei (Federazione di Kyûdô di Tutto il Giappone) inizierà a stabilire i nuovi canoni per il tiro e per le cerimonie pubblicandoli nei tre volumi del Kyûdô Kyôhon (Fondamenti del Kyûdô) nel 1953.

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 12  

    Il Tiro Moderno La ZNKR ha codificato le forme di tiro dividendole in due stili, shômen e shamen.

    Il tiro shômen prevede il sollevamento dell'arco di fronte al tiratore (shômen uchiokoshi) così come facevano i cavalieri nelle epoche più antiche; il tiro shamen si ispira invece per la forma a quello di Heki Danjo, delle scuole che tiravano al Sanjûsan Gendô e dei soldati a piedi, con il sollevamento dell'arco lateralmente (shamen uchiokoshi) dalla parte del bersaglio.

    Per quanto riguarda gli altri particolari del tiro come l'apertura dei piedi (ashibumi), il caricamento e la tenuta delle frecce, sono stati previsti due metodi denominati issoku e nisoku, detti anche e forse un po' impropriamente reishakei e bushakei perché derivano rispettivamente dal tiro cerimoniale e da quello da guerra (questi ultimi due termini hanno riferimenti precisi nella storia del kyûdô); issoku e nisoku hanno pari dignità ma è considerato un errore mischiare elementi dell'uno con quelli dell'altro, l'unica eccezione concessa è nei riguardi del torikake (afferrare con il guanto la corda e la freccia); vedi la tabella riassuntiva.

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 13  

    Nel kyûdô moderno non ci sono altre distinzioni, però vi sono alcuni Maestri molto legati alle loro scuole tradizionali che continuano ad insegnare questi metodi mantenendo così le antiche scuole ancora vive; nessuno può dire quale sia la scelta giusta o la migliore, va però riconosciuto che si tratta di cose ben distinte.

    A titolo puramente indicativo il tiro shômen issoku è quello più simile alla scuola Ogasawara, il tiro shamen nisoku trova il suo riferimento nelle scuole Heki e quello shômen nisoku a quella Honda; il tiro shamen issoku non trova riferimento nelle scuole del passato e, pur essendo tecnicamente possibile, non si ha notizia di tiratori che lo esercitino.

    Come tutte le associazioni giapponesi di arti marziali, anche la ZNKR prevede una duplice divisione dei propri affiliati per livello tecnico e per "livello di docenza"; i livelli dei tiratori vengono divisi in 3 kyu (classi) che vanno dal terzo al primo e 10 dan (gradi), dal primo al decimo; i dan (fino all'ottavo) si possono conseguire unicamente per esame pubblico, scritto e pratico; i primi vengono chiamati mudansha mentre i possessori di dan vengono chiamati yudansha; i praticanti dal quinto dan vengono considerati di grado superiore e chiamati kodansha.

    I livelli di docenza sono tre e prendono rispettivamente i nomi di Renshi, Kyoshi e Hanshi che corrispondono grossomodo ad Allenatore, Istruttore e Maestro; il possessore di uno di questi titoli prende il nome di shôgô.

    Uno degli scopi principali della ZNKR è quello di fissare una base comune per tutti i praticanti fino a go dan renshi (quinto grado tecnico ed assistente all'insegnamento), in pratica il komatomae (vedi il paragrafo sulla pratica); successivamente è possibile accedere ad altri insegnamenti più particolari e/o specializzati (vedi ancora il paragrafo sulla pratica).

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 14  

    Il kyûdô in Italia Il numero dei praticanti di kyûdô dovrebbe attualmente aggirarsi attorno alle 200 unità; il numero esatto è difficilmente determinabile perché non tutti sono iscritti alla Associazione Italiana per il Kyûdô, referente diretta della EKF (European Kyûdô Federation) e della ZNKR (Zen Nihon Kyûdô Renmei).

    Contrariamente a quanto succede in Giappone dove prevalgono numericamente i tiratori shômen, in Italia, per ragioni storiche, il gruppo più nutrito è quello dei seguaci della scuola tradizionale Heki ryû Insai-ha; il loro stile, pur appartenendo al filone shamen, si discosta dal tiro della federazione per moltissimi particolari: colpire il bersaglio è per loro di gran lunga più importante della forma, ma i loro tiratori incontrano spesso delle difficoltà nel superare gli esami di dan (grado); è organizzato in un certo numero di club presenti soprattutto nel nord Italia; il principio fondamentale della loro scuola è Kan Chu Kyu (centrare sempre forte).

    L'Accademia Romana Kyûdô, propone come stile di riferimento lo shômen issoku ed è la più tradizionale e "giapponese" fra quelle esistenti nel nostro paese; i principî che la ispirano sono gli stessi della ZNKR: la ricerca di Shin, Zen, Bi (verità, bontà, bellezza). Ma anche altri e più recenti club stanno diffondendo il tiro shômen.

    A Roma vi sono in totale tre gruppi che praticano nel complesso tutti gli stili, mentre nella città di Padova gli arcieri shamen e shômen praticano assieme; vi sono anche dei tiratori dispersi in altre città non sede ufficiale di un club (Genova, Ferrara, Belluno ed altri)

    Fra gli altri gruppi non iscritti alla A.I.K. dei quali siamo a conoscenza citiamo quelli di Torino (oltre ai due iscritti), un primo che pratica, molto liberamente, uno stile shamen ed un secondo che pratica un kyûdô particolarmente meditativo, forse legato ad una scuola tradizionale come la Chozen-ji; vi è uno simile a quest'ultimo nella provincia di Verona ed infine uno presso Udine.

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 15  

    PARTE II

    L'attrezzatura

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 16  

    L'arco Nella parola kyû-dô, kyû indica l'attrezzo da lancio più diffuso al mondo, l'arco, ma non è possibile parlare di kyûdô se non considerando lo yumi, l'arco asimmetrico giapponese affatto dissimile da qualunque altro dei suoi fratelli; archi di altro tipo sono stati storicamente usati sul territorio giapponese dagli Ainù e dai ninja e, con l'occidentalizzazione dello sport, anche da chi oggi pratica il tiro olimpionico. Ma avendo la sillaba finale dô il significato di via, la strada per migliorare se stessi, è indispensabile utilizzare uno strumento che non svolga il suo compito tecnologicamente "da solo".

    Sul come e perché sia nato lo yumi, l'arco giapponese con le sue particolari caratteristiche, non vi sono notizie certe ma soltanto molte ipotesi; la più accreditata è quella che vuole la sua origine dalla necessità di lanciare una freccia particolarmente lunga sin dai tempi precedenti la storia; una freccia lunga è adatta alla pesca, avendo una massa superiore è adatta sia alla caccia che a perforare le lamine dell'armatura composita di origine cinese che in epoca antica si utilizzava nel paese del Sol Levante.

    Giacché l'arco mongolo era ben lungi dall'approdare sulle coste del Giappone, per un simile dardo ci voleva un arco lungo che doveva quindi provenire da una lunga canna, da un giovane alberello o da un lungo ramo; per compensare la sua maggiore flessibilità in punta vi fu la necessità di impugnarlo sotto il centro; con il passare del tempo i piccoli uomini si sono accorti che questo attrezzo permetteva di essere usato non solo in posizione eretta ma anche in ginocchio, seduti a terra o da cavallo. Ad uno strumento che "funziona" non vi è più ragione di apportare modifiche, ma fra i motivi che hanno permesso allo yumi di rimanere tale non è da sottovalutare quello estetico: la figura umana al centro del grande arco aperto è considerata particolarmente elegante.

    Nel periodo preistorico il lungo arco era monolitico, di sezione rotonda, generalmente di legno di un albero della famiglia della "catalpa"; tra il nono ed il decimo secolo la sua sezione iniziò ad assumere la forma quadrangolare, vagamente trapezoidale all'impugnatura, e contemporaneamente inizierà ad essere composito con l'applicazione di un guscio di bambù dal lato esterno.

    Nel dodicesimo secolo i gusci divennero due mentre fu tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo che anche l'anima iniziò ad essere a sua volta composta da diversi strati longitudinali.

    Nei secoli successivi la ricerca tecnologica si limitò quindi a cercare delle strutture di laminazione, delle lacche e delle colle opportune per ridurre la progressiva perdita di potenza dell'arco dovuta all'uso, ma non fu apportata quasi nessuna modifica alla sua forma; negli ultimi 500 anni la sola innovazione che lo yumi ha "dovuto" subire è stata l'introduzione della fibra sintetica (vetro, carbonio e kevlar) ma ancor oggi gli arcieri di levatura media e superiore usano solamente archi di bambù con la corda solitamente di canapa o al massimo mista (kevlar ricoperto di fibra vegetale), eccezionalmente di seta.

    Anche l'arco detto misto è composto da almeno tre strati di legno racchiusi fra quattro strati di fibra che funge anche da collante; quest'arco è un buon compromesso per l'arciere fra "feeling" e durata; un tempo, per difendere gli archi dall'umidità presente sul campo (soprattutto di battaglia) che ne causava il decadimento prematuro, questi venivano ricoperti con lacca nera e/o rossa e prendevano il nome di urushi yumi, ma oggi sono decisamente in disuso, anche per il loro prezzo elevato e la breve durata della laccatura stessa che tende a seccarsi.

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    A seconda del materiale impiegato per la sua costruzione, lo yumi assume forme diverse quando è scarico, ma quando viene caricato (viene cioè posta la corda) e quando viene teso assume un comportamento costante indipendentemente dalla sua tecnologia; la distanza a riposo fra il nigiri (impugugnatura) ed il nakajikake (incoccatura) può variare tra i 14 ed i 16.5 centimetri a seconda del tipo di arco.

    A parità di lunghezza e di carico gli archi di diversi materiali "rispondono" in modo diverso; si possono descrivere con i seguenti aggettivi i loro comportamenti: l'arco di fibra è "povero", quello misto è nervoso, quello di bambù è morbido.

    Se nell'uso militare il carico medio di un arco (forza necessaria per tenderlo) si attestava attorno ai 28 kilogrammi per la necessità di dover perforare le lamelle delle armature, oggi si va dagli 8-10 dei principianti ai 16-18 del tiratore maschio adulto esperto anche se le eccezioni non sono infrequenti.

    Il carico si misura con un dinamometro solitamente alla distanza fissa di 90 centimetri tra il nigiri (impugnatura) ed il nakajikake (incoccatura); se un arciere ha un allungo diverso deve ovviamente ricalcolare il carico dell'arco da acquistare in base alle proprie caratteristiche, anche a seconda del tipo di arco.

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    Le frecce Le frecce utilizzate nel passato erano rigorosamente di bambù mentre oggi sono utilizzate quasi esclusivamente da arcieri di alto livello e dai principianti per il tiro al makiwara (paglione posto a circa 2 metri di distanza ); il materiale maggiormente utilizzato oggi per il tiro al mato (bersaglio usualmente di 36 centimetri posto a 28 metri) è l'alluminio, nelle misure 1913 e 2015, che una notissima casa americana produce quasi in esclusiva nelle lunghezze necessarie per il mercato dell'arcieria giapponese.

    Il set è composto solitamente da 2 (talvolta 3) coppie di frecce con tre lunghe penne naturali parallele; ogni coppia è composta da una freccia chiamata haya ed una chiamata otoya, da usarsi nell'ordine, rispettivamente con impennaggio destrorso e sinistrorso se osservate dalla parte della cocca; uno degli aspetti comuni a quasi tutte le cerimonie di tiro, indipendentemente dalle scuole, è proprio l'uso di questa coppia Yin-Yang (In-Yô, in giapponese) di frecce chiamata anche hitote (una mano) o ittote (un colpo di mano); per la diversità del loro impennaggio la prima tende a ruotare in senso orario ed a spostarsi leggermente sulla destra, la seconda tende a ruotare in senso antiorario e si sposta leggermente sulla sinistra.

    La forma della punta può essere di due tipi a seconda del bersaglio; per il makiwara si usa una punta ad ogiva in quanto ne allarga le fibre con il minimo danneggiamento, mentre per il tiro al mato la forma della punta non è facilmente descrivibile a parole e serve per frenare la corsa della freccia nell'azuchi, il fondo a base di sabbia sulla quale viene appoggiato questo tipo di bersaglio.

    Di tipi di punte, nel passato, ve n'erano un numero maggiore da usarsi a seconda delle esigenze: a sezione triangolare o quadrata, fischianti, a forcella, a foglia di salice, a virgola e molte altre, ma oggigiorno non vi è più ragione di impiegarle se non in casi particolarissimi.

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    Il guanto La tecnica per trattenere la corda nell'arcieria giapponese deriva da quella utilizzata sul continente nota con il nome di aggancio mongolo o anello mongolo; tale tecnica utilizzava un anello di giada, di avorio o di corno posto sul pollice; la corda posta tra la falange del pollice e la base dell'indice è bloccata contro l'anello dalla torsione della mano (pronazione).

    Il guanto, chiamato yugake o più semplicemente kake, può essere di vari tipi, a cinque, quattro o tre dita; il primo prende il nome di morogake ed è utilizzato esclusivamente per il kisha (tiro da cavallo) della scuola Ogasawara; il secondo, chiamato yotsugake, trova la sua origine col tiro al Sanjûsan Gendô dove era necessario ridurre la fatica della mano destra; è oggi utilizzato da taluni arcieri di alto livello che trattengono otoya, la seconda freccia, durante il tiro della prima, tra il mignolo e l'anulare della mano destra; l'ultimo, mitsugake, quello più comunemente utilizzato, prevede di afferrare otoya con le ultime due dita (scoperte) della mano.

    Il guanto è fatto di morbida pelle (solitamente di cervo) salvo il boshi ("cappello" del pollice) nel quale la pelle ricopre una rigida capsula di corno o legno con uno "scalino" dalla parte interna dove verrà agganciato lo tsuru (corda); quest'ultima può essere di Kevlar, mista o interamente naturale.

    Gli altri accessori principali La faretra (yazutsu) che solitamente si usa è del tipo cilindrico chiuso (quelle aperte, chiamate ebira, si usavano nelle epoche storiche e si usano oggi solo nel kisha - vedi capitolo sulla pratica) capace di contenere da 10 a 20 frecce ed è fatta nei più disparati materiali: dalla plastica alla paglia, dal bambù alla corteccia di ciliegio; le corde di ricambio si tengono avvolte sullo tsurumaki al quale è solitamente allacciato il girikoire, una piccola fiaschetta che contiene la colofonia in polvere (giriko) che serve, cosparsa sul pollice e sul medio del guanto, a facilitare la tenuta del sistema guanto-corda-freccia.

    Il nakajikake (il rinforzo della corda al punto di incocco, come nell'arco occidentale ha lo scopo di proteggere la corda più che sostenere la freccia) viene realizzato con fibra vegetale e con la colla (bondo); il tipo migliore è a base di resina di pino (kusune) stemperata in olio vegetale che viene cosparsa anche su tutta la corda per trattenerne le fibre; per questo motivo viene frizionata tutta la corda all'inizio di ogni seduta di tiro (o quando serve) con il magusune (detto anche waraji).

    Le donne ovviamente, ma talvolta anche gli uomini, indossano una protezione per il seno chiamata muneate; può essere di cuoio, di fitta rete o di plastica trasparente.

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    L'abbigliamento Tutti i praticanti di basso livello vestono il kyûdôgi (abito per il kyûdô) composto da una parte superiore preferibilmente bianca chiamata keikogi (abito da allenamento) tenuta chiusa da una cintura a fascia, detta obi, sulla quale viene allacciata l'hakama nera, la tipica gonna-pantalone dell'abito tradizionale giapponese; ai piedi i tabi (i tipici pedalini con l'alluce separato) di colore bianco.

    I praticanti di livello superiore vestono invece spesso il wafuku, simile al kimono (l'abito tradizionale giapponese) di colore libero; è consigliato un colore scuro per gli uomini e sobrio per le donne; la hakama se di colore diverso deve essere in elegante abbinamento.

    Il wafuku porta ampie maniche (sode) che sono di sicuro ostacolo alla pratica del kyûdô, difatti le donne usano legarle con una fettuccia chiamata tasuki mentre gli uomini sfilano la spalla sinistra e fissano la manica nella hakama; nelle cerimonie di tiro per i praticanti di grado superiore è prevista una fase apposita per legare e/o sfilare le maniche.

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    PARTE III

    La pratica

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    La pratica storica Abbiamo già visto che nel Giappone storico veniva praticato, presso il tempio (Sanjûsan Gendô), un tiro dalla traiettoria molto tesa, alla distanza di circa 120 metri senza un vero bersaglio fisico; questo tipo di tiro viene chiamato dôsha (tiro al tempio) e prevede anche un leggero guantino impeciato nella mano sinistra (che tiene l'arco) per impedire lo yugaeri (vedi il paragrafo su hanare) che per questa pratica costituiva un'inutile perdita di tempo ed un guanto a quattro dita per la mano destra del quale abbiamo già parlato; la tecnica per questo tiro era insegnata dalle scuole Bishû Chikurin e Kishû Chikurin nonché dalla Sekka.

    Un'altra forma di tiro senza bersaglio veniva chiamata kuriyamae (metodo per la lunga distanza) e consisteva nel lanciare una freccia più lontano possibile; raggiunta la distanza di 4 chô (circa 435 metri) venivano "spuntate" (ribassate) le penne della freccia facendole così perdere in stabilità nel volo e si riprovava il tiro; si racconta che un solo arciere sia riuscito a raggiungere quella distanza con il solo rachide delle penne.

    Il tiro chiamato kisha (tiro da cavallo, fatto dai samurai anche nelle epoche storiche) era prerogativa delle scuole Ogasawara e Takeda (oggigiorno soltanto della prima); l'arco che essi usano non è affatto potente sia per le brevi distanze in gioco (qualche metro) sia perché il guanto a cinque dita che viene usato non ha il pollice rigido (introdotto nel XV secolo) in quanto con la stessa mano devono tenere le redini del cavallo (e, all'occorrenza, impugnare la spada, almeno nei tempi che furono); questa scuola, sviluppata dai nobili vicini alla corte imperiale sempre vestiti con sontuosi abiti, è stata anche quella che codificò il tiro reisha, quello formale e cerimoniale.

    Al kisha appartengono tre "specialità" chiamate yabusame, inu-oi-mono e kasagane. Lo yabusame, la cui ideazione è attribuita Fujiwara no Hidesato (940 circa), è la più nota delle tre e consiste nel lanciare un cavallo al galoppo lungo un percorso obbligato che misura all'incirca 220 metri ed infrangere tre bersagli quadrati di legno che distano dal percorso circa 2 metri; se l'arciere lascia cadere involontariamente la freccia può colpire il bersaglio con la penna superiore dell'arco.

    L'inu-oi-mono (caccia al cane) chiamato anche takainu, consisteva nel liberare un certo numero di cani in un recinto di circa 20 metri di diametro; il cacciatore, dirigendo il cavallo all'interno di questo recinto con le sole ginocchia, con delle frecce imbottite chiamate hikime, doveva far cadere i cani a loro volta imbottiti con delle gualdrappe, anche se non sempre hikime e gualdrappe sono state usate. Il kasagane (tiro al cappello) è molto simile al yabusame ma i bersagli sono sostituiti da cappelli da campo (jingasa) che, se di metallo laccato, risuonano quando vengono colpiti.

    L'antico tiro da guerra (busha) a piedi e con l'armatura, il kazuyamae (molte frecce con tiro rapido) e il tekimae (tiro al nemico) non avrebbero oggi senso ad essere praticati, ma per chi lo desiderasse esistono ancora delle scuole che li insegnano, ma sono solitamente richiesti lustri di pratica documentata per potervi accedere.

    Meno raramente dei precedenti, oggi si pratica il tôyamae (metodo al bersaglio lontano) con un mato di 158 oppure 100 centimetri posto generalmente a 60 metri (talvolta 100) con la tecnica simile ma con frecce più leggere del komatomae (metodo al bersaglio piccolo).

    Quest'ultimo è considerato oggi il tiro standard, si pratica con un bersaglio di 36 centimetri posto a 28 metri; quest'ultima distanza deriva dalla reciproca posizione che assumevano gli arcieri sul campo di battaglia nel periodo Sengoku.

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    Il tiro standard moderno Nel kyûdô non solo il tiro in se stesso è importante ma anche tutto ciò che concerne la sua pratica, dall'arrivo al kyûdôjô alla sua sistemazione, dall'ingresso nella sala di tiro all'uscita; particolare attenzione viene data alle formalità per la presentazione durante la sessione di esami di dan; questo kata (forma, modello) prende il nome di taihai ed è eseguito dai praticanti di qualsiasi livello, solitamente in gruppi di 5 persone, ognuna dinnanzi al proprio bersaglio (mochimato) ; durante questa come durante qualunque cerimonia di tiro vi sono due linee importanti da considerare chiamate rispettivamente honza (linea principale) sulla quale ci si prepara e shai, la linea di tiro.

    A parte quanto previsto specificatamente per il taihai, le modalità per portarsi su shai dipendono dalla scuola e dal tipo di cerimonia, ma per tutti una volta arrivati inizia la fase del tiro vero e proprio.

    Il tiro può differire molto da scuola a scuola ma tutte queste hanno sempre due cose in comune: il tiro si sviluppa in un certo numero di fasi principali che oggigiorno sono 8 (shaho hassetsu) ed ognuna di queste, come i mattoni di un edificio, supporta la successiva; l'ultima può essere viziata dalla prima non correttamente eseguita; talvolta il bersaglio viene raggiunto ugualmente perché due o più errori possono compensarsi ma questo non è affatto nello spirito del kyûdô: solo il tiro correttamente eseguito in tutte le sue parti raggiunge sempre il bersaglio che comunque non è il punto più importante.

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    La sequenza di tiro (nomenclatura ufficiale della ZNKR)

    1) Ashibumi - disposizione dei piedi

    L'apertura dei piedi, abbiamo già visto, può essere fatta in due movimenti o a ventaglio ma deve comunque costituire la solida base sulla quale costruire il tiro; l'angolo di apertura dei piedi deve essere di circa 60 gradi per dare stabilità alle anche; la distanza fra gli alluci deve essere pari a yazuka (la lunghezza della propria freccia) e la linea che idealmente li unisce dovrebbe passare per il centro del bersaglio.

    2) Dozukuri - sistemazione del tronco

    Se dalle anche in giù la muscolatura deve restare contratta, dalla cintola in su tutto deve restare rilassato ma tonico; il corpo diritto e leggermente inclinato in avanti, il peso leggermente spostato verso gli avampiedi; fondamentale è il parallelismo della linea degli alluci con quella delle anche e con quella delle spalle (posizione detta delle 3 croci, rispetto all'asse verticale del corpo), senza pendere di lato, l'addome spinto verso il basso per una respirazione addominale, profonda e libera.

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    La penna inferiore dell'arco (motohazu) viene appoggiata sopra il ginocchio sinistro e l'arciere può verificare se stesso e la sua posizione; i tiratori che eseguono il tiro secondo la federazione tengono l'arco nella mano sinistra innanzi a sé, con la cocca al centro del corpo e la mano destra sullo stesso fianco mentre la scuola Heki Insai-ha si distingue per porre l'arco già lateralmente e per portare la mano destra al tanden (mimando la copertura della wakizashi); viene dato un rapido controllo alla corda (tsurushirabe) ed uno sguardo al bersaglio (monomi), il tutto seguendo una corretta respirazione, non naturale ma shingi kokyû (respirazione di tecnica e spirito).

    3) Yugamae - posizione dell'arco

    La mano destra esegue torikake (afferrando il punto di unione fra la corda e la cocca della freccia), la mano sinistra assume la corretta posizione sull'arco, tenouchi completo per i tiratori shamen o la sua preparazione per quelli shômen (vedi paragrafo sull'impugnatura) e la testa ruota definitivamente verso il bersaglio e lo sguardo non lo lascerà che dopo l'ultimo stadio del tiro.

    Storicamente, sul campo di battaglia, il tiratore doveva eseguire torikake con la sguardo già rivolto verso il nemico, potenziale bersaglio, ma dal quale bisognava anche guardarsi; si eseguiva quindi questa operazione afferrando la corda senza guardare (poco sotto la cocca) e facendo scivolare il guanto verso l'alto sino a raggiungere la freccia; alcuni tiratori usano ancora questa tecnica (pur controllando con lo sguardo) anche se oggi non sarebbe più necessario.

    I tiratori shômen mantengono la posizione centrale con la freccia parallela al terreno (shômen no kamae) mentre i tiratori shamen spostano l'arco lateralmente con la freccia che punta leggermente verso il basso e l'arco leggermente aperto (shamen no kamae).

    4) Uchiokoshi - sollevare dell'arco

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    Shômen uchiokoshi è un movimento verticale morbido e naturale verso l'alto mantenendo con il corpo la stessa posizione di yugamae, staccando semplicemente l'arco dal ginocchio e mantenendolo parallelo all'asse centrale del corpo; shamen uchiokoshi è un movimento più energico perché l'arco viene mantenuto aperto (tra un terzo e metà della lunghezza della freccia) ed il tutto eseguito asimmetricamente di lato (vedi capitolo sul tiro moderno).

    5) Hikiwake - tendere l'arco

    I tiratori shômen trovano questa fase una delle più difficili perché il tenouchi, che è già definitivo nel tiro Shamen, deve essere completato dinamicamente durante l'esecuzione della fase intermedia chiamata daisan, molto simile alla posizione finale dello shamen uchiokoshi; durante questa fase la freccia deve essere mantenuta parallela al pavimento ed al tiratore; la scuola Heki Insai-ha si differenzia da altre scuole shamen per spezzare questa fase in due tempi (la posizione intermedia prende il nome di sanbun no ni); anticamente i tiratori Insai-ha non aprivano l'arco attraverso la posizione di uchiokoshi ma passavano direttamente dalla posizione di yugamae a quella di sanbun no ni (due parti di tre) per non offrire più del necessario il fianco sinistro (non protetto dall'armatura) al tiro del nemico.

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    6) Kai - incontro

    Se tutte le fasi precedenti sono state eseguite correttamente, l'arciere si trova già nella giusta posizione di mira (nerai, della quale parleremo in un apposito paragrafo) e può quindi concentrarsi solamente su se stesso, l'elemento più importante del tiro; in questa fase segnata da un'apparente immobilità è concentrato tutto il segreto del tiro, l'intimo lavoro di preparazione allo sgancio.

    Dal punto di vista "intimistico" della tecnica di tiro, la maggior differenza fra le due scuole si trova proprio in kai - tsumeai (completamento dell'apertura); i tiratori che seguono le proposte della ZNKR raggiungono una posizione chiamata "tate yoko ju mon ji" (la croce verticale e laterale) e possono rilassare la maggior parte della struttura muscolare affidando all'ossatura il compito di reggere la posizione; i tiratori Insai, per una serie di meccanismi fisiologici non riescono a raggiungerla ed affidano alla muscolatura il compito di mantenere la posizione e questo fatto comporta diverse conseguenze che sono particolarmente lunghe e difficili da riportare.

    Inoltre, per dare maggiore potenza alla freccia, i tiratori Insai inseriscono a questo punto 3 torsioni supplementari e volontarie ("preparate" durante le fasi precedenti) che sono: quella della mano destra attorno all'asse della freccia (per avvolgere la corda sul pollice e far aprire maggiormente l'arco), quella della mano sinistra in senso orario (per compensare la precedente) e quella della mano sinistra sull'asse dell'arco (per "spingere" ulteriormente la freccia); l'equilibrio nella progressione, di queste torsioni e di tutte la altre spinte che entrano in gioco durante il tiro, prende il nome di nobiai (unione degli allungamenti); ancora, a differenza del tiro ZNKR (che "lascia andare" la freccia), durante il combattimento, l'arciere Heki aveva la necessità di sganciare volontariamente, con determinazione; la sensazione del "momento giusto per lo sgancio" prende il nome di yagoro.

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    7) Hanare - sgancio

    Mentre lo hanare della scuola Insai, come abbiamo appena detto, è un atto determinato, quello proposto dalla ZNKR è un movimento sì forte e senza rilassamenti ma il suo paradosso è che si tratta di un movimento volontario che dovrebbe avvenire "da solo".

    Se tutte le forme sono state rispettate, se sono entrati in tensione i muscoli necessari e solo quelli, se tenouchi è corretto e non si scompone, se la mente non si è fatta distrarre, allora, oltre al fatto che la freccia penetrerà il bersaglio, avverrà lo yugaeri, un evento unico proprio dell'arcieria giapponese: l'arco ruota su se stesso e la corda va a colpire l'esterno del polso sinistro, senza che la mano stessa venga allentata.

    In così poco tempo (qualche centesimo di secondo) nessuno può realmente controllare quello che avviene ed è solamente la corretta preparazione di tutte le fasi precedenti e la lunga pratica che possono dare a questo istante, che potremmo chiamare "Momento della Verità", il suo vero significato.

    8) Zanshin - continuazione

    Se con lo sgancio il tiratore pensa di aver terminato il proprio impegno la freccia non raggiungerà il bersaglio; egli dovrà invece seguire la freccia come guidandola idealmente col pensiero verso il bersaglio mantenendo l'attenzione e la tensione dovuta; test medico-scientifici hanno rivelato che fra tutte le fasi del tiro è questa quella nella quale il tiratore è più impegnato fisicamente.

    Solo a questo punto il tiro è terminato; il tiratore riporterà l'arco nella posizione di partenza (yudaoshi), lo sguardo frontale (monomi gaeshi) e si appresterà a lasciare il posto di tiro secondo le modalità previste dalla propria scuola o dalla cerimonia.

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    Issoku e Nisoku

    Operazione Issoku Nisoku

    Tenuta delle frecce (mano destra) al primo nodo del bambù dalle punte

    Apertura dei piedi un tempo (a ventaglio) due passi

    Caricamento delle frecce con un movimento con due movimenti

    Aggancio del guanto diretto alla cocca sulla la corda e poi scivolare Tenuta della seconda freccia (mano sinistra)

    tra anulare e mignolo tra indice e anulare

    Riassumendo schematicamente il tiro della ZNKR:

    1) Ashibumi Disposizione dei piedi 2) Dozukuri Sistemazione del tronco Tsuru-shirabe Controllo della corda Monomi I Guardare il bersaglio 3) Yugamae Posizione dell'arco Torikake Agganciare il guanto Tenouchi (o sua preparazione per tiratori Shômen) Impugnatura

    Monomi II Guardare il bersaglio 4) Uchiokoshi (Shômen e Shamen) Sollevare l'arco

    Nerai I (solo Shamen) Primo riferimento di mira 5) Hikiwake Aprire l'arco Daisan (solo Shômen con completamento del Tenouchi) Posizione intermedia

    Nerai I (solo Shômen) Primo riferimento di mira 6) Kai Incontro Nerai II La mira finale 7) Hanare Lo sgancio 8) Zanshin Lo spirito rimane Yudaoshi Chiudere l'arco

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    Per la scuola Heki Ryû Insai-Ha la sequenza di tiro è la seguente:

    1) Ashibumi Disposizione dei piedi 2) Dozukuri Sistemazione del tronco Monomi I Guardare il bersaglio 3) Yugamae Posizione dell'arco Torikake Agganciare il guanto Tenouchi Impugnatura Monomi II Guardare il bersaglio 4) Uchiokoshi Sollevare l'arco

    Nerai I Primo riferimento di mira 5) Sanbunnoni Posizione intermedia Nerai II La verifica intermedia 6) Tsumeai La completa apertura Nerai III La mira finale

    Nobiai L'unificazione delle tensioni Yagoro La decisione 7) Hanare Lo sgancio 8) Zanshin Lo spirito rimane Yudaoshi Chiudere l'arco

    Tabella comparativa di 4 fra le principali scuole

    Ogasawara Insai Honda ZNKR 1) Ashibumi Ashibumi Ashibumi Ashibumi 2) Dôzukuri Dôzukuri Dôzukuri Dôzukuri 3) Yugamae Yugamae Yugamae Yugamae 4) Uchi age Uchiokoshi Uchiokoshi Uchiokoshi 5) Hikitori Sanbunnoni Hikitori Hikiwake 6) Tamochi Tsumeai Kai Kai 7) Hanare Hanare Hanare Hanare 8) Zanshin Zanshin Zanshin Zanshin

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    APPENDICI

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    Traslitterazione La scrittura della lingua giapponese è un sistema misto ideogrammatico-fonetico di difficile lettura da parte degli stranieri. Per permettere agli occidentali di addentrarsi un minimo nella lingua sono stati inventati tre sistemi di traslitterazione in caratteri latini; quello più usato in Europa ed America, che prende il nome di Sistema Hepburn da quello del suo inventore, prevede la lettura delle vocali, salvo alcune eccezioni, come in Latino (cioè come in Italiano) e delle consonanti come in Inglese.

    Qualora il lettore fosse in dubbio faccia riferimento alla seguente tabella:

    CH C dolce come in "ceci"

    F F bilabiale soffiando fra le labbra, quasi una H G G dura come in "gallo" H H aspirata sonora J G dolce come in "giorno" K C dura come in "chicco" S S dura come in "sasso" SH SC dolce come in "sciare" TS Z dura come in "mazzo" TC C doppia come in "cocchio" Y I come la J in romanesco

    W simile alla U una sorta di breve V bilabiale Z S dolce come in "svasare"

    Grafie del passato non più in uso:

    KWA KA Kwannon = Kannon GWA GA YE E Yen = En

    Per eufonia, la lettera N davanti ad B, H, M e P viene pronunciata M. Le vocali possono essere pronunciate brevi oppure lunghe; le prime sono scritte come in Italiano: A, E, I, O, U.

    Le vocali brevi I ed in particolare U, possono essere semimute (ashita = ash'ta, shitakusa=sh'tak'sa, tsuru = ts'ru) specialmente quando si trovano alla fine della parola come ad esempio nelle forme verbali (masu = mas', desu = des').

    Le vocali da pronunciarsi lunghe vengono scritte come Â, EI, II, Ô, Û. Fa eccezione il gruppo EI che talvolta viene letto come un qualunque altro dittongo; in tal caso per conoscere la corretta pronuncia bisogna rivolgersi ad un dizionario.

  • Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 33  

    Glossario In questo glossario raccogliamo indistintamente la terminologia di tutte le scuole di Kyûdô sulle quali siamo riusciti a trovare informazioni, che siano presenti o meno in Italia.

    AOSO: Canapa, materiale di base per la corda dell'arco. ARIAKE: Uno dei modi di osservare il bersaglio ASHIBUMI: (Ashi - humi : piede - premere); il primo stadio di Hassetsu; assumere una posizione di base. ATARI: Colpire il bersaglio. AZUCHI: Misto di terra, sabbia e talvolta segatura che costituisce il fondo su cui appoggia il bersaglio sostenuto dal Gogushi; generalmente l'azuchi è alto 1,5 metri, profondo alla base 70 centimetri ed ha una inclinazione di 60/70 gradi.

    BIKURI: incontrollabile rilassamento muscolare parziale durante la fase di Nobiai BONDO: Colla; può essere vinilica o a base di resina stemperata in olio. BOSHI: (Cappello) indica il pollice del guanto della mano destra. BÔYA: Freccia senza impennatura per il tiro al makiwara. BUDO: (Bu - Do : guerra - via) Le Arti Marziali. BUSHAGEI: (Bu - sha - gei: guerra - tiro - arte) Arte del tiro per la guerra.

    CHIKA MATO: (vicino bersaglio) lo stesso che Komatomae. CHU: Il centro, il mezzo, la parte centrale. CHUDAN: (Chu - Dan : centrale - grado) si riferisce alla posizione centrale.

    DAIICHI KAIZOE: Primo Kaizoe. DAINI KAIZOE: Secondo Kaizoe. DAISAN: (Dai - San : grande - tre) fase intermedia nel quinto stadio di Hassetsu. DAN: Grado, livello. DENSHO: (Den - Sho : comunicare - libro) è il testo che tramanda i "segreti" di una scuola. DÔ: Via, sentiero, percorso (anche e soprattutto figurato) DÔJÔ: (Dô - Jô : via - luogo) La sala della Via (dell'allenamento). DÔSHA: (Dô - sha : tempio - tiro) il tiro presso il tempio (Sanjûsan Gendô), una delle principali "filosofie" di tiro. DOSOKU: nessuna freccia ha colpito il bersaglio (simile a Zannen); si contrappone a Kaichû. DOZUKURI: (Do - zukuri : tronco - conformazione) sistemare il tronco, il secondo stadio di Hassetsu; assumere una posizione di base stabile.

    ENBU: dimostrazione di arti marziali (militare). ENTEKI: (En - teki : lontano - bersaglio) si contrappone a Kinteki.

    FUDO: (Fu - do : negazione - muovere) immobilità. FUTAME TSUKAI: (Futa - me - tsukai : due - occhio - usare) guardare due volte. FUDEKO: Cenere di paglia di riso usata sull'impugnatura dell'arco. FUDO-NYO: Guardiani del Buddismo; Fudo, l'inamovibile e Nyo, l'indomabile. Entrambi simboleggiano la disciplina e il Kiai.

    GASSAIBUKURO: La borsa che porta tutta l'attrezzatura necessaria per la manutenzione. GIRIKO: Colofonia in polvere usata sul guanto. GIRIKO IRE: Contenitore della colofonia.

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    GOGUSHI: L'ancia, generalmente di bambù, che sorregge il Mato sull'Azuchi. GOKUI: (Estremo) è inteso come "tecnica segreta". GORIN no SHO: Titolo giapponese del "Libro dei cinque anelli" di Miyamoto Musashi. GOSHA: (Go - sha : cinque - tiro) i cinque modi per allenarsi al perfezionamento del tiro. GOSHI: Variazione fonetica di koshi.

    HADANUGI: L'atto di togliersi la manica del kimono durante le cerimonie praticate dai tiratori di grado superiore; la lunga manica va sfilata dal braccio sinistro e sistemata con cura lungo il fianco perché non impedisca il movimento della corda durante la tensione dell'arco e lo sgancio. HAKAMA: Tipo di gonna-pantalone che costituisce parte dell'abito tradizionale giapponese utilizzata anche nell'abbigliamento di alcune arti marziali tra le quali il Kyûdô. HAKAMA ITA: La parte superiore e posteriore rigida dell'Hakama da uomo. HANAKA BUSHI: Nodo del bambù situato sulla freccia al centro delle penne. HANARE: (Dividere) lo sgancio, la settima fase dell'Hassetsu. HANE: Le penne della freccia. HANSHI: La terza qualifica di insegnamento paragonabile all'italiano Maestro; nella federazione giapponese è il titolo più elevato. HARA: La regione addominale che racchiude l'energia vitale (Ki) o uno stato della mente nello sviluppo del proprio carattere. HARAGEI: L'arte del controllo dell'energia; Ki. HARIGAO: (Hari - gao : tendere - aspetto) l'aspetto dell'arco caricato ma non ancora aperto. HASSETSU: Vedi Shao hassetsu. HATARAKI: Attività, lavoro. HAZU: La cocca della freccia. HAZUMAKI: Fasciatura delle penne situata vicino la cocca la freccia. HAYA: La prima freccia delle due che vengono lanciate nel Kyûdô (Le penne sono incurvate in senso orario viste dalla cocca). HAYAKE: (Haya - ke : veloce - indizio) Il termine indica la sensazione dello sgancio veloce, prematuro. HIGO: Nella laminazione dell'arco, il nucleo formato da tre a cinque strati di bambù (Sanbon Higo, Yonhon Higo, Gohon Higo). HIKIME: Frecce con una grossa punta di legno spesso imbottita usate per lo Yabusame, la Inu-oi-mono ed il Kasagake. HIKITE: Vedi Katte. HIKIWAKE: Tendere l'arco, il quinto stadio dell'Hassetsu. HIMO: Il cinturino del guanto. HITOE no MINO YUGAMAE: (Hitoe - mino : sovrapposto - corpo) posizione nella quale l'arco è sovrapposto al corpo. HITOTE: (contrazione di Hitotsu - te : uno - mano) la coppia di frecce (Haya ed Otoya) usata nella pratica del Kyûdô. HITOTSUMATO: Un bersaglio - Una sequenza di tiro in gruppo con un unico bersaglio (si contrappone a Mochimato). HITSUKO: Stesso che Giriko. HIZA GAMAE: Posizione (di tiro) in ginocchio; può essere Omote (Yin Kiai) con sollevato il ginocchio destro o Ura (Yang Kiai) per quello sinistro. HIZUMI: Deformazione, curvatura. HOJO: Strategia, la legge che stabilisce la Via dello spadaccino; vedi Gorin no Sho. HOKOBUSE no KANE: (Hoko - huse : cima - capovolgere) regola dell'inclinare la punta dell'arco. HONZA: La prima delle due linee (tracciata o immaginaria) presenti in un Kyûdôjo dove l'arciere si prepara al tiro (vedi Shai). HOO: Guancia, zigomo.

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    HOOZUKE. (Hoo - zuke : zigomo - applicare) portare la freccia allo zigomo. HOSHA: (Ho - sha : camminare - tiro) il tiro dei fanti considerato il tiro di guerra; una delle principali "filosofie" di tiro. HOSHIMATO: (Hoshi - mato: stella - bersaglio) bersaglio di circa 36 cm. di diametro bianco con al centro un'area nera di 12 cm. di diametro.

    INAGASHI: tirare il più lontano possibile. INSAI: Soprannome di Yoshida Genpachiro Shigeuji caposcuola della Heki Ryû Insai Ha (1561-1638). INU-OI-MONO: Detta anche Taka-inu o caccia al cane, consisteva nel lasciare "liberi" un certo numero di cani in un recinto assieme al cacciatore a cavallo. ITATSUKI: Stesso che Yajiri. IZUKE BUSHI: Nodo del bambù situato sull'asta della freccia vicino alla punta. JINKAKU: Carattere; Individualità; Personalità (Jinkaku no Hito: una persona di elevato carattere). JUMONJI: (Ju - mon - ji : dieci - segno - carattere) il carattere del numero 10: una croce perfetta.

    KABURA-YA: Freccia fischiante usata nelle cerimonie e/o per segnalazione. KAKE: In origine "attrezzatura"; si usa per indicare il guanto; può essere Mitsugake, Yotsugake o Morogake. KAI: Incontro; sesto stadio dell'Hassetsu; nella nomenclatura ZNKR, kai racchiude quello che nella scuola Heki insai-ha sono tsumeai, nobiai e yagoro. KAICHÛ: (tutto centrato) quando tutte le greccie disponibili colpiscono il bersaglio (si contrappone a Dosoku e Zannen). KAIZOE: L'aiutante del praticante nel Kyûdô; in talune cerimonie superiori possono esservene due. KAMAE: Posizione, atteggiamento. KANE: Regola. KANJI: Carattere ideografico della scrittura giapponese. KANTEKI: Penetrare il bersaglio; seconda delle tre fasi dell'apprendimento. KANTEKI: Guardare il bersaglio; pratica di controllo e nome del controllore per la salvaguardia delle frecce; se per qualunque motivo presso il bersaglio una freccia si pone di traverso, il Kanteki fa interrompere il tiro e va a rilevarla. KASUMIMATO: (Kasumi - mato : nebbia - bersaglio) bersaglio regolare (36 cm.) che si presenta a più anelli concentrici. KATA: Stile, forma. KATTE: La mano che tira, la destra (si contrappone a Oshide); termine usato solamente nell'ambito del kyûdô; anticamente si diceva Hikite. KATTEBANARE: (Katte - hanare) sgancio con la mano destra. KAZUYA: (Kazu - ya : numeri - freccia) grande quantità di frecce. KAZUYAMAE: Tecnica per tirare un gran numero di frecce. KEIKOGI: La parte superiore dell'abito per la pratica. KI: L'energia vitale e spirituale che si emana dal Tanden. KIAI: Energia e vibrazione spirituale. KIMONO: Termine che indica in generale l'abito giapponese e in particolare la veste esterna; letteralmente significa: la cosa che si indossa. KINTEKI: (bersaglio vicino) lo stesso che Komatomae, si contrappone a Enteki. KISHA: (Ki - Sha : cavaliere - tiro) più noto con il nome di Yabusame è una delle principali "filosofie" di tiro. KIZA: Il termine si riferisce alla posizione in ginocchio del Taihai; la scuola Heki chiama così la posizione per tirare molte frecce in battaglia. .

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    KODANSHA: Si dice di praticante in possesso di un grado Dan (Yudansha) di livello superiore, generalmente dal V in poi. KOMATOMAE: (Ko - mato - mae : piccolo - bersaglio - metodo) allenamento al bersaglio standard (diametro di 36 centimetri) a 28 metri; lo stesso che Kinteki. KOSHI: Anca. KOTSU: Segreto, espediente. KURIYAMAE: Metodo di tiro per la massima distanza senza bersaglio. KUSUNE: Resina; usata anche per la produzione del Giriko e del Bondo, si distribuisce sulla corda per compattarne le fibre. KYOSHI: La seconda qualifica di insegnamento paragonabile all'italiano Istruttore; nella federazione giapponese è il titolo intermedio. KYÛDÔGI: Lo stesso che Keikogi per la pratica del Kyûdô. KYÛDÔJO: Dôjo dove si pratica il Kyûdô. KYÛDÔKA: Praticante di Kyûdô; lo stesso che Kyûdôjin. KYÛDÔJIN: (Kyûdô - jin : Kyûdô - uomo) Colui che pratica il Kyûdô.

    MAGUSUNE: Struttura reticolare realizzata solitamente con le vecchie corde di fibra naturale intrise di Bondo per la manutenzione della corda. MAKIWARA: Battifreccia di addestramento fatto a barilotto, di paglia; si usa a 2 metri circa per verificare la posizione e la tecnica di tiro senza preoccuparsi della mira. MAKIWARA MAE: Allenamento al Makiwara. MATO: Bersaglio solitamente di circa 36 cm., viene posto sull'Azuchi sorretto dal Gogushi, inclinato di circa 5 gradi rispetto la verticale, il suo bordo a 9 cm. dalla base in modo che il centro si trovi all'altezza di 27 cm.; in base al suo disegno si differenzia in Hoshimato e Kasumimato. MATOGAMI: (Mato - kami : bersaglio - carta) la carta tesa sul Matowaku che costituisce il bersaglio. MATOWAKU: Il telaio generalmente di legno che costituisce la base del Mato. METE: (Me - Te : cavallo - mano) la mano che tiene la briglia del cavallo, cioè la destra. Termine usato solo nello Yabusame (si contrappone a Yunde). MITSUGAKE: (Mitsu - kake : tre - guanto) il guanto più usato, a tre dita. MIYAMOTO MUSASHI: Celebre maestro dell'arte della spada, uomo d'armi, pittore e poeta vissuto nel Giappone feudale (1584-1645). MOCHIMATO: Le cerimonie di tiro con un bersaglio per ogni tiratore (si contrappone a Hitotsumato). MONOMI: (Mono - mi : oggetto - guardare) guardare il bersaglio. MOROGAKE: (Moro - kake : completo - guanto) il guanto a cinque dita; è quello usato per lo Yabusame. MOROOTOSHI: Otoshi da otosu "fare cadere"; moro "ambedue. MOTARE: incapacità a sganciare la freccia in modo seco ed equilibrato. MOTO HAGI: Fasciatura delle penne della freccia dal lato della punta. MOTO HAZU: La penna inferiore dell'arco. MUDANSHA: Praticante che non ha ancora raggiunto il titolo di Dan; si contrappone a Yudansha. MUNEZURU: (Mune - petto, torace : tsuru - corda) portare la corda al petto. MUNEATE: Protezione pettorale per le donne. MUSHIN: La mente naturale priva di inganni.

    NAKADACHI: La persona o le persone che si incontrano in una sequenza di tiro di gruppo. NAKAJIKAKE: La parte rinforzata della corda dove la freccia viene incoccata. NAKAOSHI: (naka - centrale : oshi - spinta) il corretto modo di impugnare e spingere l'arco con la mano sinistra.

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    NERAI: La mira. NIGIRI: L'impugnatura dell'arco. NIGIRIKAWA: La pelle usata per l'impugnatura dell'arco. NOBI: Allungamento; espansione del torace al momento dello scocco. NOBI: Estensione in lunghezza degli archi (2 Sun Nobi, 4 Sun Nobi, ecc.). NOBIAI: Unione degli allungamenti; concentrazione di tutto in un unico prima dello scocco, secondo la scuola Heki Insai-ha. NOJINAI: (No - jinai : asta - curvarsi) flessibilità della freccia. NONAKABUSHI: Giuntura della freccia situata a metà asta (terza giuntura) .

    OBI: La cintura a fascia tradizionale giapponese. OCHI: L'ultima persona della sequenza di tiro in gruppo. OMAE: La prima persona nel tiro in gruppo. ÔMATO: Grande bersaglio; di 158 o 100 cm di diametro, è usato per tiri a lunga distanza. OSHIDE: La mano che spinge, la sinistra (si contrappone a Katte); termine usato solamente nel Kyûdô. OTOYA: La seconda delle due frecce lanciate nel Kyûdô (le penne sono incurvate in senso antiorario guardate dalla cocca).

    REI: Inchino; contrazione di Reigi. REIGI: L'Etichetta ed ogni gesto che le afferisce come inchinarsi, ecc.. REISHA: Il tiro da cerimonia. REISHAGEI: (Rei - sha - gei: formalità - tiro - arte) Arte del tiro previsto dalle cerimonie. RENSHI: La prima qualifica di insegnamento, paragonabile all'italiano allenatore, della federazione giapponese. RISSHA: Movimenti in posizione eretta preparatori al tiro contrapposti a Zasha. RYÛ: Scuola.

    SAHO: Lo stesso che Reigi, maniere, decoro, correttezza. SANBUNNONI: Una delle fasi del tiro Heki Insai-ha. SEIZA: (Sei - za : giusto - sedere) formale posizione a sedere. SENSEI: Maestro, professore, insegnante in genere. SENSHU: Colui che si allena, praticante. SHA: Tiro, tirare. SHADÔ: La Via del tiro, lo stesso che Kyûdô. SHAGI: Abilità di tiro; dignità nell'arte. SHAHIN: Espressione caratteriale del tiro; dignità. SHAHO: (Sha - ho : tiro - regola) il codice del tiro. SHAHO HASSETSU: Il codice che suddivide il tiro in otto fasi, così come è stato codificato dalla ZNKR. SHAI: La seconda delle due linee (tracciata o immaginaria) presenti in un Dôjô a cavallo della quale si prepara e si esegue il tiro (vedi Honza). SHAJUTSU: (Sha - jutsu : tiro - arte) tecnica del tiro. SHAKAKU: Capacità di tiro. Grado. SHAKU: Antica misura di lunghezza giapponese corrispondente a cm 30,3. SHAREI: Forma cerimoniale del Kyûdô. SHINGAN: L'occhio della mente; percezione dal cuore. SHINKI: Lo spirito. SHITAGAKE: Il sottoguanto. SHITAOSHI: (Shita - oshi : sotto - spingere) spingere verso il basso; contrario di Uwaoshi .

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    SHOGO: Il detentore di uno dei titoli relativi alla docenza. SHÔMEN: Letteralmente significa "parte frontale, la faccia". E' il termine riferito alla forma stabilita dalla scuola che fa Uchiokoshi davanti al corpo. SOBAGI: Strato di legno di gelso impiegato per costruire l'arco. SODE: La manica dell'abito giapponese. SODEZURIBUSHI: Nodo del bambù situato nella parte superiore della freccia, verso le penne. SONDI: Il massimo livello di armonia fra la mano destra e la mano sinistra. SUMI: Abitare, oppure inchiostro. SUN: Misura di pollice giapponese (3,03 cm.) vedi Nobi.

    TABI: Calzini giapponesi. TACHI: Posizione in piedi. TAIHAI: (Tai - Hai : corpo - armonia) prende questo nome la cerimonia di tiro su 5 bersagli per gli esami di Dan. TAI no WARIKOMI: (Tai - wari - komi : corpo - diviso - abbondantemente) prende questo nome l'ultima spinta del corpo all'interno dell'arco, al momento del rilascio, con un movimento deciso. TAKA-INU: Vedi Inu-oi-mono. TANDEN: Centro spirituale dell'essere; area dell'energia Ki situata al di sotto dell'ombelico. TANDEN SOKU: Respirazione calma e tranquilla accompagnata della concentrazione sul Tanden durante la meditazione. TANREN: Formazione spirituale, addestramento spirituale. TASUKI: Nastro che le donne usano per legare le maniche dell'abito durante il tiro. TEKICHU: (Teki - chu : bersaglio - centro) cogliere il bersaglio. TEKIMAE: Teki la medesima pronuncia indica due kanji: "nemici" oppure "bersaglio; mae "ciò che sta di fronte", ma anche "tecnica"; letteralmente "avere i nemici di fronte". È considerato un tipo di allenamento di fronte al bersaglio. Originariamente era il tiro in gruppo per la guerra. TENOUCHI: (Te - no - uchi : mano - di - dentro) L'interno della mano, sottointeso sinistra, che afferra l'arco. Tenouchi significa anche cosa segreta. TORIKAKE: (Tori - kake : prendere - guanto) afferrare con il guanto destro la corda assieme alla freccia. TORIUCHI: Curvatura superiore dell'arco. TOTEKI: (To - teki : colpire - bersaglio) prima fase della progressione nel Kyûdô in cui il tiratore risente della preoccupazione di colpire il bersaglio. TOYAMAE: (To - ya - mae : lontano - freccia - tecnica) tecnica per tirare lontano. TSUKEBANARE: (Tsuke - hanare : attaccare - sgancio) si dice quando lo sgancio avviene appena la freccia ha toccato Hoozuke e non si sia stabilita la mira. TSUKUBAI: Sedersi, chinarsi. TSUMEAI: (Tsume - ai : colmare - unire) concentrare sino a rendere unico. TSUMERU: Riempire. TSUNOMI: (Tsuno - mi : corna - guardare) guardare l'angolo della mano; la tecnica "segreta" della mano sinistra indicata da parole dal significato apparentemente occulto. TSUNOMI-no-HATARAKI: Il lavoro di Tsunomi. TSURIAI: Armonia totale fra le braccia quando la corda viene tirata completamente. TSURU: La corda dell'arco. TSURUMAKI: Avvolgicorda, impiegato di solito per le corde di scorta già preparate. TSURUMAKURA: (Tsuru - makura : corda - cuscino) il cuscino su cui appoggia la corda. TSURUMICHI: (Tsuru - michi : corda - strada) il percorso che segue la corda. TSURUNE: Il suono che emette la corda allo sgancio; il tiratore esperto riesce a riconoscere attraverso lo Tsurune i difetti della corda, dell'arco, il livello del tiratore e molte altre cose. TSURUSHIRABE: Il controllo della corda durante la fase di Dozukuri. TSURUWA: Laccio della corda dell'arco, il cappio che si fissa sulla penna.

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    UCHIOKOSHI: La quarta fase dell'Hassetsu. USHIRO: Letteralmente "dietro"; nel Kyûdô si usa anche per indicare la parte sinistra del bersaglio. URAHAGI: La fasciatura delle penne della freccia dal lato cocca. URAHAZU: La penna superiore dell'arco. UWAOSHI: (Uwa - oshi : sopra - spingere) spingere inclinando l'arco dall'alto verso il basso.

    WAFUKU: Abito giapponese simile al Kimono; i tiratori di grado superiore lo indossano al posto del Keikogi. WAKIZASHI: La spada che sta a fianco a quella lunga; l'unica delle due che si conservava durante il tiro cerimoniale. WARAJI: Letteralmente significa ciabatta; lo stesso che Magusune. WARIHIZA: (Wari - hiza : dividere - ginocchia) ripartire in parti uguali il peso sulle ginocchia.

    YA: La freccia. YABUSAME: Il Kyûdô a cavallo; si tira contro tre bersagli distanti circa 3 metri lungo un percorso di 220 metri. YAGORO: (Ya - koro : freccia - occasione) l'occasione dello sgancio. YAGUCHI: (Ya - guchi : freccia - bocca) lo scostarsi della freccia dall'arco. YAGURA: (Ya - gura : freccia - edificio) posizione per il tiro effettuato all'interno di una costruzione. YAJIRI: La punta della freccia. YASUMEZURU: Il piccolo laccio all'estremità dell'arco che tiene la corda quando l'arco viene scaricato. YATATE: Contenitore per le frecce. YATORI: L'atto di recuperare le frecce dal Mato e coloro che lo eseguono. YATSUGAE: (Ya - tsugae : freccia - incoccare) l'atto di incoccare la freccia. YAZUKA: La lunghezza teorica della freccia, misurata dalla base del collo fino alla punta delle dita distese (con il braccio orizzontale), corrispondente a circa metà altezza del corpo; viene anche impiegata come misura per l'apertura di Ashibumi; per quanto riguarda la reale lunghezza dell'asta è consigliato aumentarla di 5-6 cm. (lo spazio di tre dita) per questioni di sicurezza, specialmente per i principianti. YAZURIDO: Fasciatura mediana sull'arco (sopra l'impugnatura) di rattan, il punto in cui slitta la freccia durante l'apertura dell'arco. YAZUTSU: (Faretra) il contenitore che porta le frecce. YOTSUGAKE: (Yotsu - kake : quattro - guanto) il guanto a quattro dita. YU: Mezzo inchino. YUDANSHA: Praticante che ha raggiunto il livello di Dan; si contrappone a Mudan. YUDAOSHI: Chiusura dell'arco; il movimento che segue Zanshin, l'ultimo stadio dell'Hassetsu. YUGAERI: (Yu - kaeru : arco - tornare) l'arco che gira, la rotazione dell'arco su se stesso nel momento del rilascio (Hanare). YUGAKE: La stessa cosa che Kake. YUGAMAE: (Yu - kamae : arco - posizione) la maniera di maneggiare l'arco, il terzo stadio di Hassetsu. YUMI: L'arco. YUMIFUDOKORO: La forma ellittica delle braccia che reggono l'arco all'inizio del movimento verso l'alto (Uchiokoshi). YUNDE: (Yu - te : arco - mano) la mano che tiene l'arco, cioè la sinistra (si contrappone a Mete). YURUMI: Rilasciare, allentare. YURUMIBANARE: È lo sgancio effettuato in un momento di rallentamento della tensione di Nobiai.

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    ZANNEN: non colpito; vale tanto per il bersaglio quanto in senso figurato (es. il non superamento di un esame); si contrappone ad Atari. ZANSHIN: (Zan - shin : rimanere - spirito) ciò che permane dello spirito; ultimo stadio dell'Hassetsu. ZAITEKI: (Zai - teki : esistere - bersaglio) la terza e più elevata fase dell'apprendimento del Kyûdô in cui tutte le barriere emozionali ed intellettuali vengono rimosse e si diventa un'unica cosa con il bersaglio e con l'universo tutto, rendendo il Kyûdô un modo di vivere. ZASHA: Movimenti di preparazione al tiro eseguiti in posizione seduta; se per qualche motivo il tiratore non è in grado di abbassarsi li può eseguire Rissha. ZAZEN: Meditazione (seduta) Zen. ZEN: Un approccio filosofico alla ricerca del proprio io per mezzo dell'allenamento spirituale e la realizzazione del corpo. ZUMOCHI: (Zu - mochi : testa - tenere) aver cura.

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    Bibliografia In lingua italiana:

    Inagaki Genshiro KYÛDÔ la tecnica di tiro con l'arco giapponese della scuola Heki Stampato in proprio (a cura di L. Genzini), 1990.

    AA. VV KYUDO l'arte del tiro con l'arco giapponese secondo la scuola Heki Insai Ha Manuale Tecnico Stampato in proprio (a cura di F. Zanon), 1995.

    Traduzioni in lingua italiana:

    Herrigel Eugen ZEN IN DER KUNST DES BOGENSHIESSEN Scherz Verlag, 1948 Edizione Italiana: LO ZEN E IL TIRO CON L'ARCO Adelphi, 1975.

    AA. VV. KYÛDÔ KYOHON Vol. I, II, III, IV. Zen Nihon Kyûdô Renmei, 1953; rev. 1971 Edizione Inglese (trad. rev. 1971): KYÛDÔ MANUAL Vol. I Zen Nihon Kyûdô Renmei, 1994 Traduzione italiana fuori commercio a cura dell'ARK, 1995.

    Dan and Jackie DeProspero ILLUMINATED SPIRIT Kodansha International, 1996. Edizione Italiana: I SEGRETI DEL KYUDO Edizioni Mediterranee, 1999.

    Morisawa Jackson S. THE SECRET OF THE TARGET Routledge, 1988 Edizione Italiana: L'ARTE DEL TIRO CON L'ARCO Edizioni Mediterranee, 1989.

    Onuma Hideharu (with Dan and Jackie DeProspero) KYÛDÔ the essence and practice of Japan archery Kodansha International, 1993. Edizione Italiana: KYUDO Edizioni Mediterranee, 1998.

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    Inagaki Genshiro YUMI NO KOKORO - lo spirito del kyûdô - the spirit of kyudo (testo nelle tre lingue) RED Edizioni, 1993

    Inagaki Genshiro TSUNOMI no HATARAKI to HANARE no GI (Il lavoro di Tsunomi e il momento di Hanare) Stampato in proprio (a cura del Kyudo Club Take no Ko di Padova), 2001

    Inagaki Genshiro LA CONDIZIONE MENTALE DELL'ARCIERE secondo la Heki To Ryu Stampato in proprio (a cura del Kyudo Club Take no Ko di Padova), 2002

    Nagano Issui COME CARICARE L'ARCO E AGGIUSTARNE LA FORMA Stampato in proprio (a cura del Kyudo Club Take no Ko di Padova), 2002

    Yamada Shoji IL MITO DELLO ZEN NELL'ARTE DEL TIRO CON L'ARCO Stampato in proprio (a cura del Kyudo Club Take no Ko di Padova), 2002

    In lingua inglese:

    Inagaki Genshiro KYÛDÔ shooting the japanese bow (glossario di 730 termini) Tsukuba, 1996.

    Claremont Neil ZEN IN MOTION Inner Tradition International lt., 1991

    Acker William B. KYUDO the Japanese aArt of Archery Charles E. Tuttle Co. inc., 1998

    Sherman Burton INTRODUCTION TO KYUDO Hawley Publications, 1990

    Sherman Burton JAPANESE ARCHERY introduction to kyudo Hawley Publications, 1990

    Stein Hans Joachim KYUDO the Art of Zen Archery Element Book, 1988

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    De Prospero Dan and Jackie ILLUMINATED SPIRIT conversations with a kyudo master Kodansha International, 1996

    In lingua francese:

    Camilly Jerome - Normand Jaques L'ARME DE LA VIE l'art traditionell du samurai La Table Ronde, 1981

    Martin Michael KYUDO un tir, une vie Editions Amphora, 1990

    Petit Bertand (traduzione dal giaponese) VOIE DE L'ARC DES SAMOURAIS Fata Morgana, 2001

    Parlano anche di Kyudo in:

    Whitney Thomas - Karmakar Vishanu FARE CENTRO training mentale per arcieri Planetario, Bologna 1994

    Ratti Oscar and Westbrook Adele SECRETS OF THE SAMURAI Charles E. Tuttle, 1973 Edizione Italiana: I SEGRETI DEI SAMURAI Edizioni Mediterranee, 1980

    Draeger Donn F. CLASSICAL BUJUTSU Weatherhill, 1973 Edizione Italiana: BUJUTSU CLASSICO Edizioni Mediterranee, 1998.

    Draeger Donn F. CLASSICAL BUDO Weatherhill, 1974 Edizione Italiana: BUDO CLASSICO Edizioni Mediterranee, 1998.

    Draeger Donn F. MODERN BUJUTS AND BUDO Weatherhill, 1974

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    Edizione Italiana: BUJUTSU & BUDO MODERNO Edizioni Mediterranee, 1998.

    Hearth E. G. THE GREY GOOSE WING a history of archery Berkshire: Ospray Publishing ltd., 1971

    Random Michel The Way of the Bow and the Horse in THE MARTIAL ARTS Peerage Books, 1977

    Coquet Michel BUDO ESOTERIQUE ou la vie des artes martiaux L'Or du Temps, 1991

    Frederic Louis DICTIONAIRE DEL ARTS MARTIAUX Dufelin, 1993 Edizione Italiana: LE ARTI MARZIALI DALLA A ALLA Z Sperling & Kupfer, 1990