Kant e Il Diritto Alla Felicita'

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KANT E IL DIRITTO ALLA FELICITÀ Fabio Minazzi “Gli uomini sarebbero felici se non avessero cercato e non cercassero di esserlo” GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone 1 1. FELICITÀ E LIBERTÀ IN KANT “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si im- magina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà de- gli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesiste- re con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri)” 2 . Così scrive Immanuel Kant nel suo saggio del 1793 Sopra il detto comune: “que - sto può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica” nella seconda sezione, espressamente dedicata allo studio del nesso teoria-pratica nell’ambito politico (men- tre nella prima sezione dell’articolo questo nesso è considerato in relazione alla mo- rale e nella terza ed ultima sezione del sa ggio il rapporto teoria-pratica è invece ana- lizzato nel quadro del diritto internazionale “considerato da un punto di vista filan- tropico universale, cioè cosmopolitico”). In questa prospettiva per Kant la felicità del singolo individuo si ricollega direttamente - e costitutivamente - al problema della li - bertà in quanto ogni cittadino costituisce sempre un uomo vivente nell’ambito di una specifica società civile, formata da cittadini dotati di pari diritti. Alla luce del passo testé richiamato per Kant non può quindi mai scindersi il problema della felicità da quello della libertà. Non solo, come si è visto, Kant riconosce esplicitamente che “ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona” con l’unico vincolo di non recare “pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo”. La conquista della propria felicità deve quindi attuarsi, nell’ambito di una società ci- vile, nel rispetto della legge universale che tutela la libertà della ricerca della felicità per tutti i cittadini. Non per nulla Kant aggiunge, subito dopo, che un governo “fon- dato sul principio della benevolenza verso il popolo”, vale a dire un governo pater - 195

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  • KANT E IL DIRITTO ALLA FELICITFabio Minazzi

    Gli uomini sarebb e ro felici se non ave s s e rocercato e non cercassero di esserlo

    GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone1

    1. FELICIT E LIBERT IN KANT

    Nessuno mi pu costri n ge re ad essere felice a suo modo (come cio egli si im-m agina il benessere degli altri uomini), ma og nuno pu ri c e rc a re la sua fe l i c i t per la via che a lui sembra buona, purch non rechi pregiudizio alla libert de-gli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libert possa coesiste-re con la libert di ogni altro secondo una possibile legge universale (cio nonleda questo diritto degli altri)2.

    Cos scrive Immanuel Kant nel suo saggio del 1793 S o p ra il detto comu n e : q u e -sto pu essere giusto in teori a , ma non vale per la prat i c a nella seconda sezione,e s p ressamente dedicata allo studio del nesso teori a - p ratica nellambito politico (men-tre nella prima sezione dellarticolo questo nesso considerato in relazione alla mo-rale e nella terza ed ultima sezione del saggio il rapporto teoria-pratica invece ana-l i z z ato nel quadro del diritto internazionale c o n s i d e rato da un punto di vista fi l a n-tropico universale, cio cosmopolitico). In questa prospettiva per Kant la felicit delsingolo individuo si ricollega direttamente - e costitutivamente - al problema della li -bert in quanto ogni cittadino costituisce sempre un uomo vivente nellambito di unas p e c i fica societ civ i l e, fo rm ata da cittadini dotati di pari diritti. Alla luce del passotest ri ch i a m ato per Kant non pu quindi mai scindersi il pro blema della fe l i c i t d aquello della l i b e rt . Non solo, come si visto, Kant riconosce esplicitamente ch e og nuno pu ri c e rc a re la sua felicit per la via che a lui sembra bu o n a con lunicovincolo di non re c a re p regiudizio alla libert degli altri di tendere allo stesso scopo.La conquista della propria felicit deve quindi attuarsi, nellambito di una societ ci-vile, nel rispetto della legge universale che tutela la libert della ricerca della felicitper tutti i cittadini. Non per nulla Kant aggi u n ge, subito dopo, che un gove rno fo n-d ato sul principio della benevolenza ve rso il popolo, vale a dire un gove rno pat e r -

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  • lare, con la pubblicazione delle sue tre celebri Critiche cui si sono affiancate, con rit-mo incalzante, a l t re opere fondamentali per cui tramite Kant ha sviluppato positiva-mente e costru t t ivamente sia la sua indagine sulla m e t a fi s i c a del mondo nat u ra l e(coi P rimi principi metafisici della scienza della nat u ra, del 1786) e sulla m e t a fi s i-c a del mondo umano e dei costumi (prima con la Fondazione della metafisica dei co -stumi, del 1785, e, poi, con la lunga gestazione de La metafisica dei costumi, apparsanel 1797) cui si affiancavano, parallelamente, anche indagini sulla conoscenza empi-rica della nat u ra fisica (conseg n ate soprattutto alle lezioni di ge ogra fia fi s i c a che Kantha svo l t o , di norm a , d u rante il semestre estivo del suo, quasi tre n t e n n a l e, i n s eg n a m e n t o ,e che sono state poi pubblicate nella primavera del 1802 in una prima, piuttosto bre-ve, edizione curata da Fri e d ri ch Theodor Rink, i n t i t o l ata P hy s i s che Geographie e inuna seconda, pi ampia, edizione, curata da Johann Jakob Wilhelm Vollmer, apparsanegli anni 1801-1805 in ben sei volumi) e sulla conoscenza empirica delluomo (cuiKant dedicava, invece, il semestre invernale, consacrato allantropologia e il cui testodi ri fe rimento rap p re s e n t ato dallA n t ro p o l ogia prag m atica p u bbl i c ata nel 1798).Questo rilievo deve essere tenuto presente proprio per collocare nella giusta prospet-t iva critica le considerazioni che Kant ha dedicato al tema della felicit. Con il che nonsi vuole certamente affe rm a re che entro la ri flessione kantiana la pro bl e m atica dellafelicit e la relativa trattazione del diritto alla felicit non sia stata esente da alcunes i g n i fi c at ive oscillazioni e da ve ri e pro p ri mutamenti critici e prospettici che non sicollocano solo nel passaggio dalla fase del sonno dog m at i c o a quello della fi l o s o fi acritica, ma che possono anche essere studiati, non senza frutto, allinterno della stes-sa, pi matura, riflessione critica trascendentalistica, prendendo soprattutto in consi-derazione specifica le differenti considerazioni che Kant ha dedica al tema della feli-cit nei suoi va ri scritti della m at u ri t 5. Non essendo tuttavia possibile, nel quadroc o m p l e s s ivo delleconomia del presente breve contri bu t o , p re n d e re in cos analiticaconsiderazione le varie fasi e le differenti forme dello sviluppo della riflessione kan-t i a n a , a n che solo con part i c o l a re ri fe rimento alla fase della fi l o s o fia critica tra s c e n-d e n t a l e, p re fe risco allora concentra re la mia attenzione su un punto teoretico decisivoche ci permette di cogliere, ad un tempo, la differenza e la specificit critica dellap-proccio kantiano al problema della felicit. Differenza e specificit critica che risultaessere tale non solo rispetto alla tradizione delleudemonismo settecentesco, ma, piin generale, anche in relazione ai successivi, e spesso drammatici, esiti civili e politi -ci di questo dibattito, perlomeno cos come si sono manifestati nel mondo della pras-si entro la storia moderna (e persino in quella contemporanea). Da questo specifi c opunto di vista non solo sar possibile cogliere loriginalit complessiva dellimpiantocritico kantiano, ma sar altres interessante sottolineare come la novit dellapproc-cio critico del fi l o s o fo di Knigsberg consenta di indiv i d u a re un punto di vista pro-spettico part i c o l a rmente art i c o l ato e pre c i s o , utile anche per meglio intendere c ri t i c a -m e n t e gli autentici drammi della successiva storia moderna occidentale. Infatti lori z-

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    nalistico ( che qualifica quale i m p e rium pat e rn a l e) costituisce, in re a l t , il peggio di-spotismo che si possa immagi n a re p o i ch rap p resenta un reggimento che toglie og n il i b e rt ai sudd i t i , i quali non hanno quindi alcun diri t t o e contrappone a questo go-ve rno quello p at ri o t t i c o nel quale og nuno nello Stato (non escluso il sov rano) consi-dera il corpo comune come il grembo materno da cui ha tratto la vita e il paese comeil suolo pat e rno sul quale cresciuto e che deve a sua volta tra m a n d a re come un pe-gno prezioso. Per Kant, d u n q u e, il gove rno pat e rnalistico costituisce la p eggior ti-ra n n i a p ro p rio perch , volendo occuparsi direttamente della felicit dei singoli citta-d i n i , s o t t rae loro la libert e la re s p o n s abilit di questa ri c e rc a , l e d e n d o , ra d i c a l m e n-t e, la loro effe t t iva qualifica di autentici e liberi cittadini di una societ civ i l e. Nonbisogna infatti dimenticare che per Kant lo stato civile, sia pur considerato solo co-me stato gi u ri d i c o , t rova il suo fondamento ultimo in tre principi a pri o ri: 1) la l i -b e rt di ogni membro della societ, in quanto u o m o; 2) lu g u ag l i a n z a di esso con og n ia l t ro , in quanto s u dd i t o; 3) li n d i p e n d e n z a di ogni membro di un corpo comu n e, i nquanto cittadino3. Poich questi princpi sono a priori essi non sono emanati da unoStato positivo, ma, al contrario, rappresentano leggi secondo le quali solo possibi-le in ge n e rale una costituzione dello Stato secondo i princpi della pura ragione ch eriguardano il diritto esterno delluomo. In questo quadro complessivo si comprendemeglio, allora, come per Kant lo stesso diritto alla felicit del singolo cittadino com-peta escl u s ivamente a questultimo, ma gli compete esattamente nella sua qualit spe-c i fica di membro di una societ civile e nella sua stessa qualit di uomo, cio nella suaqualit di essere capace in genere di diritti4.

    Per Kant felicit e libert rappresentano cos due lati della medesima medaglia,al punto che secondo la sua ottica prospettica non mai possibile considera re una so-la componente del problema trascurando il suo legame diretto e costitutivo, con lal-t ro aspetto. Se si pretende di sciog l i e re unilat e ralmente questo nesso fondante dellasociet civile tra libert e fe l i c i t , si fi n i s c e, in re a l t , per annich i l i re entrambi i con-c e t t i , riducendoli a gusci vuoti, d i e t ro i quali si pu anche nascondere una realt op-posta a quella evocata dai nomi stessi di libert e felicit (come accade, per esempio,con il governo paternalistico che si trasforma non solo in una tirannide, ma anche inuna tirannide della peggior specie, p ro p rio perch toglie ai cittadini ogni loro libert e ogni loro diritto, considerandoli, perennemente, quali figli minorenni, privi, cio,di ogni diritto e costitutivamente incapaci di ogni libert, tali, quindi, da dover esseresempre tenuti sotto una tutela che, proprio per questo motivo, semplicemente ti-rannica).

    D a l t ra parte non deve nep p u re mai dimenticarsi come negli splendidi saggi del-la tarda mat u rit di Kant le idee da questi espresse sia con ri fe rimento alla politica, s i aalla filosofia della storia e alla filosofia del diritto, sottintendono tutti, costantemente,un rinvio, insopprimibile, con lorizzonte della filosofia critica trascendentale elabo-rata da fi l o s o fo di Knigsberg a part i re dalledizione dei suoi cap o l avo ri e, in part i c o-

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    zonte critico kantiano presenta questo ulteri o re pregio erm e n e u t i c o : quello di off ri reuna feconda ch i ave di comprensione critica della storia modern a , rimettendo al cen-t ro dello stesso mondo della prassi talune esige n ze civ i l i , m o rali ed antro p o l ogi ch eche spesso sono state invece brutalmente conculcate in nome di molteplici teorie chehanno finito per cort o c i rc u i t a re e annich i l i re completamente la sfe ra della mora l i t ,quella della cittadinanza e, a maggior ragione, quella della stessa libera ricerca dellafelicit da parte dei singoli uomini.

    2. LA DEFINIZIONE KANTIANA DELLA FELICIT

    Nella C ritica della ragion prat i c a Kant delinea la seguente definizione della fe l i-cit:

    la felicit lo stato di un essere razionale nel mondo al quale, per lintero cor-so della sua vita, t u t t o a c c ad e s ec o nd o i l s u o de s i d e r i o e l a s u av o l o n t ; essa si fonda dunque sullaccordo della natura con il fine generaledi questo essere e con il motivo essenziale di determinazione della sua vo-lont6.

    Rispetto alla precedente tradizione fi l o s o fica occorre, in primo luogo , av ve rt i recome la definizione kantiana delimiti il concetto della felicit senza far alcun ri fe ri-mento specifico al piacere. Tradizionalmente la nozione della felicit era stata spessoi n t e s a , per dirla con lantica, ma effi c a c e, fo rmula di A ri s t i p p o , quale sistema di pia-c e ri , secondo una curvat u ra teorica ri p resa esplicitamente dalla tradizione dellem-p i rismo del diciottesimo secolo e che con Hume, in part i c o l a re, stata decl i n ata inmodo da assumere un pi evidente e fondamentale significato sociale. In Kant, inve-ce, non vi traccia di questa impostazione eudemonistica. Non solo perch il Nostronon ritiene possibile porre la felicit a fondamento della vita mora l e, ma anche per-ch , secondo la sua defi n i z i o n e, la felicit non pu essere fatta coincidere con la ti-rannia dellanimalit (i d e s t della sensibilit e del piacere). A questo proposito gi nel-la C ritica della ragion pura Kant aveva aff ro n t ato il pro blema della felicit insere n-dolo nella seconda sezione della D o t t rina trascendentale del metodo7 nella qualep re c i s ava come ogni interesse della ragione critica si concentrava , in ultima analisi,nelle tre seguenti decisive e centrali questioni:

    1. Che cosa posso sapere?2. Che cosa devo fare?3. Che coso ho diritto di sperare?

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    Se la prima domanda eminentemente speculativa e tale da trovare unarticolatarisposta complessiva nella stessa C ritica della ragion pura con lelab o razione del tra-scendentalismo kantiano, la seconda invece eminentemente pratica e morale, men-t re, di contro , la terza pone, al contempo, una questione p ratica ed al tempo stessoteoretica, nel senso specifico che in questo terzo caso lindividuazione di una possi-bile soluzione della dimensione pratica off re, p a ra l l e l a m e n t e, unindicazione per ri-spondere alla domanda teoretica, giacch, precisa lo stesso Kant, ogni s p e r a n z asi ri fe risce infatti alla fe l i c i t , e sta rispetto al pratico ed alla legge morale pro p rio nel-lo stesso rap p o rto in cui il sap e re e la legge nat u rale stanno rispetto alla conoscenzateoretica delle cose. Si badi, per Kant, mentre la conoscenza pu inferire lesistenzadi qualcosa dalla constatazione del suo effettivo accadere, al contrario la speranza in-ferisce (idest, vuole inferire) lesistenza di qualcosa prendendo le mosse unicamenteda ci che dov rebbe accadere. E nellambito di questa peculiare ottica prospettica ch eK a n t , s e m p re nella sua prima C ri t i c a, p recisa allora , u l t e ri o rm e n t e, la nozione dellafelicit:

    Felicit lappagamento di tutte le nostre inclinazioni (sia extensive, riguar-do alla loro moltep l i c i t , sia i n t e n s ive, rispetto al grado sia anche p ro t e n s ive,rispetto alla durata). La legge prat i c a , fo n d ata sul movente della f e l i c i t ,io la chiamo prammatica (regola di prudenza); la legge invece - se mai esiste -che non ha altro movente se non il m e ri t a r e d i e s s e r e f e l i c e , io la ch i a-mo morale (legge etica). La prima legge consiglia che cosa dobbiamo fare, sevogliamo possedere la felicit; la seconda legge ci ordina come dobbiamo com-p o rt a rc i , per dive n i re degni della felicit. La prima legge si fonda su pri n c i p e m p i ri c i : in effe t t i , io non posso sap e re se non mediante lesperi e n z a , quali sia-no le inclinazioni che vogliono essere sodd i s fat t e, n quali siano le cause na-t u rali che possono port a re alla sodd i s fazione di tali inclinazioni. La secondalegge astrae dalle inclinazioni e dai mezzi naturali per soddisfarle; essa consi-d e ra soltanto la libert di un essere razionale in ge n e ra l e, e le sole condizioninecessarie, in base a cui la libert possa armonizzarsi con la distribuzione del-la fe l i c i t , secondo princip. Questa legge, d u n q u e, p u almeno fo n d a rsi sumere idee della ragione pura, ed essere conosciuta a priori.

    M e n t re la prima legge, p oggiante su principi eminentemente empiri c i , ri c o n d u-ce sistematicamente la felicit alle condizioni empiri che della sua realizzazione en-t ro la dimensione sensibile, la seconda legge vuole invece collocarsi oltre la tira n n i adella sensibilit animale per ra d i c a rsi su di un puro piano razionale a pri o ri in cuil e s e rcizio consap evole e re s p o n s abile della libert possa confi g u ra re le premesse perraggi u n ge re la stessa felicit. In questa seconda accezione, t u t t av i a , la felicit fi n i-s c e, i n ev i t ab i l m e n t e, per sottra rsi costitutivamente alla dimensione empiri c o - s e n s i-

  • bile della vita pratica per pro i e t t a rsi nellori z zonte del sommo bene e, in quanto ta-l e, rive l a rsi come empiricamente impossibile e del tutto irre a l i z z ab i l e. Nat u ra l m e n t enon pu nep p u re dimenticarsi come sul piano interp re t at ivo del kantismo siano an-che nat e, nel corso della stori a , due diffe renti e opposte tendenze erm e n e u t i che svi-l u p p ate da chi ritiene che in Kant il pro blema del dove re e quello della felicit sa-rebb e ro effe t t ivamente connessi tramite il concetto del sommo bene e quella, del tut-to opposta, di chi ri t i e n e, i nve c e, che nella ri flessione kantiana il concetto di dove rem o rale si contrap p o n ga senzaltro a quello delle fe l i c i t , con la conseguenza inev i-t abile che nella ri flessione kantiana non bisog n e rebbe allora mai confo n d e re lori z-zonte dellutile con quello del bene mora l e. Tu t t av i a , come pera l t ro si vedr anch enel pro s i eguo di queste considera z i o n i , K a n t , in re a l t , non fa che dich i a ra re la fe l i-cit del tutto irreale e non mai conseguibile nellambito della vita sensibile, p ro i e t-t a n d o l a , nel contempo, in un mondo intelligibile che coincide con il regno della gra-z i a , secondo una feconda pro s p e t t iva critica complessiva che spiazza ogni ri gida ed rastica contrapposizione interp re t at iva di questo nodo concernente il legame tra do-ve re e felicit nella ri flessione del pensat o re di Knigsberg8. Il mondo morale quin-di un mondo intelligi b i l e, ma un mondo fo rm ato da idee che devono poter ave re unl o ro influsso sul mondo sensibile retto dalle leggi nat u ra l i : in ci consiste la sua spe-c i fica ogge t t ivit perch nel suo ori z zonte il mondo dei sensi inteso e conosciutodalla ragion pura nel suo uso pratico. Il comportamento pratico delluomo - in ri-sposta al secondo quesito precedentemente ri c o rd ato - deve quindi concre t i z z a rsi se-condo una modalit specifi c a , in grado di re n d e re luomo degno della felicit. Ma seluomo si comporta in modo da essere degno della fe l i c i t , potr poi spera re di rag-gi u n ge rla effe t t ivamente? A questo proposito la risposta kantiana - sempre nella pri-ma C ri t i c a - nu ovamente embl e m at i c a :

    come i principi morali sono necessari in base alla ragione - rispetto al suo usop r a t i c o - cos altrettanto necessario ammettere in base alla ragione - ri s p e t t oal suo uso t e o re t i c o - che ciascuno abbia diritto di sperare la felicit, nellastessa misura in cui si reso degno di essa con il suo comport a m e n t o , e ch equindi il sistema della moralit sia inscindibilmente congiunto - soltanto pernellidea della ragione pura - con quello della felicit.

    In altri termini, Kant ribadisce come a suo avviso la felicit non possa mai coin-cidere immediatamente con le inclinazioni sensibili, giacch la ragione pu approva-re la felicit solo quando congiunta con una buona condotta morale che sola re n d eluomo degno di conseguire la felicit.

    La felicit, dunque - in esatta proporzione con la moralit degli esseri razio-nali, che li rende degni delle felicit - costituisce da sola il sommo bene di unmondo, in cui dobbiamo prendere posto secondo i precetti della ragione pura,ma pratica.

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    M e n t re la mora l i t , di per s, costituisce un sistema della ragion pura prat i c a , l afelicit, al contrario, deve essere sempre considerata in diretta relazione con la mora-lit e, in ogni caso, rimanda ad una dimensione intelligibile in si cui si pu consegui-re il sommo bene ch e, p e r , per sua nat u ra , non ap p a rtiene al mondo sensibile, ma uni-camente al mondo intelligibile (la cui realt, peraltro, si basa, circolarmente, sul pre-supposto di un sommo bene ori gi n a ri o , in grado di ga ra n t i re lunit sistematica deifini). Entro questo quadro problematico si pu rilevare come il rigore della definizio-ne kantiana consenta, in primo luogo , di compre n d e re come la nozione della fe l i c i t si collochi al di fuori della dimensione sensibile e dello stesso mondo della prassi en-tro il quale luomo esplica la sua esistenza finita di essere in grado di deliberare qual-sivoglia fine. Daltra parte, in secondo luogo, la natura, di per s, quale mondo dellan e c e s s i t , non si preoccupa affatto di sodd i s fa re le esige n ze, i bisogni e i desideri del-luomo, idest quella stessa tirannia delle inclinazioni naturali sulla cui base sorge le-sigenza impellente della felicit secondo la tradizionale concezione eudemonologi c a .I n o l t re, in terzo luogo , queste stesse inclinazioni sensibili sono, per la loro stessa nat u-ra sensibile-animale, in continuo e perenne tra s fo rm a z i o n e, con la conseguenza che ilt e n t at ivo di conseg u i re la felicit riducendosi ad un loro completo sodd i s facimento ri-s ch i a ,s e m p l i c e m e n t e, di confi g u ra rsi come unimpossibilit, un autentico sfo r zo di Ta n-t a l o , d e s t i n at o , o n t o l ogi c a m e n t e, per la sua stessa nat u ra costitutiva , ad uno scacco in-finito e ra d i c a l e. Del re s t o , in quarto luogo , limpossibilit del conseguimento di unos t ato di felicit nella dimensione sensibile ri nvia alla duplicit della nat u ra umana: s e-condo la lettura kantiana luomo vive sulla sua pelle unautentica scissione tra la suan at u ra sensibile - che lo lega al mondo nat u rale della necessit - e la sua nat u ra ra z i o-nale - che lo colloca inve c e, nel regno dei fi n i , nellambito della libert. Scissione dra m-m atica nella misura in cui non pu che incre m e n t a re il disagio e limbara z zo delluo-mo nel mondo, come lo stesso Kant scrive nel saggio del 1786 C o n ge t t u re sullori gi -ne della stori a, commentando lepisodio biblico (cfr. il Genesi I I I , I) in cui la coscienzadella ragi o n e, cio di una facolt di andare oltre i limiti nei quali sono contenuti tuttigli animali ha consentito alluomo di eludere la voce della nat u ra per dar vita ad un t e n t at ivo di una libera scelta. Con questo suo gesto luomo - scrive Kant -

    scopriva in s una facolt di scegliersi un sistema di vita e di non essere lega-to, come gli altri animali, ad un sistema di vita unico. Al piacere momentaneoche in lui poteva destare la constatazione di questo privilegio doveva tosto se-guire lansiet, la preoccupazione. Come egli poteva servirsi di questa facoltda poco scoperta, mentre ignorava ogni cosa nelle sue pi intime qualit e neisuoi effetti lontani? Egli veniva come a trovarsi sullorlo di un abisso, poich,in luogo di alcuni oggetti che fino allora listinto presentava ai suoi desideri, alui ora se ne pre s e n t ava una infi n i t , di fronte alla quale si trovava nellimba-ra z zo della scelta; e cos, dopo aver gustato la condizione di libert , gli era im-

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    possibile ritornare nello stato di servit, cio sotto limpero dellistinto9.

    La ragione umana pro d u c e, d u n q u e, nelluomo imbara z zo , a n s i e t , a n go s c i a : l i-b e ra dallo stato meramente sensibile della condizione istintuale, m a , nel momento stes-so in cui ap re allori z zonte della libert , fa sentire alluomo tutta la sua fragilit e lasua solitudine esistenziale. Ein questo modo che secondo Kant luomo abbandona ilgi a rdino dellEden, d ove era nu t rito senza dover compiere alcun lavo ro , per essere vio-lentemente scagliato nel mondo della storia in cui tante cure, pene, mali ignoti lo at-t e n d evano. Il pro blema della fe l i c i t , per torn a re al nostro argomento pri n c i p a l e, s isitua proprio in questo mondo del lavoro e della storia, mondo di pene e di mali, nondi beat i t u d i n e, nel quale risulta alquanto pro bl e m at i c o , secondo la stessa disamina kan-tiana della felicit, poter conseguire uno stato di piena e completa soddisfazione sen-sibile della pro p ria condizione di individui situati nel mondo. Per Kant lantinomiap ro fo n d a ,c o s t i t u t iva e irrisolvibile del concetto della felicit si ra d i c a , d u n q u e, nel suoessere un concetto pienamente umano e mondano. Non per nulla a questa analisi del-la felicit si possono ri c o n d u rre anche le considerazioni che Kant sviluppa nel para-gra fo 83, i n t i t o l ato Dello scopo ultimo della nat u ra come sistema teleologi c o , p re s e n t enella Critica del giudizio. In questo paragrafo si trova infatti ribadito che

    il concetto di felicit non un concetto che luomo astragga dai pro p ri istintie perci dallanimalit ch in lui, ma la mera idea di uno stat o , idea alla qualeegli vuole re n d e re adeg u ato tale stato sotto mere condizioni empiri che (cosa ch impossibile). Egli svo l ge questa idea, ed inve ro in modi tanto dive rs i , per mez-zo del suo intelletto mescolato allimmaginazione ed ai sensi; add i ri t t u ra modi-fica cos spesso questo concetto, che anche se la nat u ra si fosse interamente sot-toposta al suo cap ri c c i o , non potrebbe assolutamente ammettere alcuna legged e t e rm i n ata unive rsale e fissa per accord a rsi con questo incerto concetto e quin-di con lo scopo che ciascuno si propone in maniera arbitra ria. Ma anche se noivolessimo abb a s s a re questo scopo allautentico bisogno nat u ra l e, nel quale lan o s t ra specie completamente daccordo con se stessa, o p p u re daltra parte esal-t a re al massimo labilit a re a l i z z a re fini immagi n at i : ci che luomo intende colt e rmine fe l i c i t , e che in realt il suo pro p rio scopo ultimo nat u rale (non sco-po della libert ) , non sarebbe mai raggiunto da lui, p e rch la sua nat u ra non tale da potersi fe rm a re e sodd i s fa re nel possesso e nel godimento. Daltra par-t e, ben lontano dalla ve rit di pensare che la nat u ra ne abbia fatto un suo fa-vo rito beneficandolo pi dogni altro animale; al contra rio essa non lha ri s p a r-m i ato pi degli altri animali dai suoi effetti pern i c i o s i , la peste, la fa m e, l a c q u a ,il ge l o , l attacco di altri animali grandi e piccoli. Ancor pi lincoerenza dellesue disposizioni nat u rali lo fa cadere in tormenti ch egli si inventa da solo, es p ro fonda altri suoi simili, con loppressione della tira n n i a , la barbarie della

    g u e rra , e c c. , in una condizione cos miserevo l e, ed egli stesso, per quanto sta al u i , l avo ra cos at t ivamente alla distruzione della sua stessa specie, che anch econ la pi benefica delle nat u re fuori di noi, il fine di questa, se tale fine fo s s eposto nella felicit della nostra specie, non sarebbe stato raggiunto sulla terranellambito di un sistema della nat u ra , p e rch la nat u ra in noi non vi si pre s t a 1 0.

    La duplice n at u ra umana confl i t t u a l e, il suo essere dimidiato tra mondo dellanecessit e mondo della libert non deve far dimenticare alluomo di essere sempre ingrado di stabilire, idest di costruire, tra la natura e se stesso una relazione finale taleda essere indipendente dalla nat u ra ed autosuffi c i e n t e , gi a c ch , in altern at iva , deltutto vano che luomo cerchi nella nat u ra uno scopo fi n a l e. Questultimo pu solo es-s e re introdotto dalluomo che un essere dotato di intelletto, vale a dire di una fa-colt di pro p o rsi fini ad arbitrio. In questa pro s p e t t iva , ribadisce Kant, non pu esse-re ava n z ato quale fine ve ramente conseguibile quello della felicit sulla terra , n o nsolo perch esso riposa unicamente su condizioni poste dalla nat u ra , ma anche perch la natura stessa, rispetto al dispotismo dei desideri, non affatto in grado di soddi-sfare questo fine. Se infatti si intende la felicit sulla terra come linsieme di tuttii fini possibili per luomo mediante la natura fuori delluomo e nelluomo, la sua ir-re a l i z z abilit dipende pro p rio dallimpossibilit di conseg u i re tale stato mediante m e-re condizioni empiri che. Per Kant luomo pu solo porsi dei fini liberi in ge n e ra l e ,del tutto indipendentemente dalla nat u ra , a n che se pu e deve utilizzare la nat u ra c o n fo rmemente alle massime dei suoi fini liberi in ge n e rale. Ma lo scopo ultimo del-luomo consiste sempre nel porre questi fini liberi in ge n e ra l e , a n che perch Kantd e finisce la cultura come la re a l i z z a z i o n e, in un essere ragi o n evo l e, d e l l at t i t u d i n egenerale a fini qualsivoglia (pertanto nella sua libert). Se la cultura coincide con larealizzazione dei fini ra d i c ati in una libera scelta umana, a l l o ra solo la cultura pu co-s t i t u i re lo scopo ultimo che luomo ha il diritto di at t ri bu i re alla nat u ra in re l a z i o n ealla specie umana (non la sua felicit sulla terra, e neppure il fatto di essere il princi-pale strumento per creare ordine ed armonia nella natura priva di ragione che fuoridi lui). Pur tenendo presente, avverte Kant, che per la effettiva realizzazione dei fi-ni liberi in generale poi indispensabile la cultura della disciplina che coincide (econsiste) esattamente nella liberazione della volont dal dispotismo dei desideri .Naturalmente le tendenze sensibili sono costitutive per la natura umana, ma per Kantrap p resentano anche dei c ep p i in grado di determ i n a re dei vincoli ch e, t u t t av i a , n o i ,p ro p rio grazie alla c u l t u ra della disciplina, possiamo allentare, s v i l u p p a re o ri d u r-re, a seconda delle esigenze dei fini della ragione.

    Nasce cos la possibilit di strutturare una sorta di disciplina delle inclinazio-n i e n t ro la quale luomo pu progre s s ivamente ri d u rre la t i rannia delle tendenze sen-sibili introducendo un perfezionamento in vista della nostra destinazione superiore(le tendenze al godimento) facendo posto allevoluzione dellumanit. In nota Kant

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  • le che per ri fl e t t e re sulle felici disposizioni della sua nat u ra , per ammira rl a ,c o m p i a c e rsene e re n d e rne grazie alla causa benefi c a , non certo per sottomet-tere la facolt di desiderare a una guida cos debole e ingannevole, guastandocos il disegno della natura.

    Alla luce di questa considerazione critica demistifi c a n t e, Kant pu concl u d e re, i nsintonia con quanto si gi visto emerge re nel 83 della C ritica del gi u d i z i o, che luo-mo non fatto per essere fe l i c e. Ma luomo non pu conseg u i re la felicit anche perch il concetto stesso della fe l i c i t , alla luce dellori z zonte trascendentalistico critico kan-t i a n o , risulta essere pro fondamente antinomico:

    il concetto di felicit indeterm i n ato a tal punto ch e, nonostante il desiderio diogni uomo di raggi u n ge rl a , nessuno in grado di determ i n a re e dire coere n t e-mente che cosa dav ve ro desideri e voglia. Ci accade perch gli elementi costi-t u t ivi del concetto di felicit sono empiri c i , cio provenienti dallesperi e n z a ,m e n t re lidea della felicit ri chiede un tutto assoluto, il massimo di benesseredel mio stato attuale e di quello futuro. Ma impossibile che un essere accort oe potente quanto si vuole, si faccia un concetto preciso di ci che ve ramente vuo-le in questo caso1 4.

    Per conseguire la felicit luomo dovrebbe quindi essere omnisciente perch li-dea della felicit ap re ad un ori z zonte nel quale si aspira , in ultima analisi, alla tota-lit delle condizioni per un singolo condizionato il che costitutivamente tra s c e n d e n-te lori z zonte dellesperienza possibile di un essere finito e nato per mori re quale luomo. La condizionatezza empirica stru t t u rale del concetto della felicit ne impedi-s c e, ra d i c a l m e n t e, una sua eventuale utilizzazione nellori z zonte della ragi o n e : non cipu essere alcuna legge per la felicit il cui conseguimento, nella condizione monda-na, sottoposto a mutamenti incessanti e continui non solo tra i vari individui, ma al-l i n t e rno stesso della vita di un indiv i d u o , nel corso della sua esistenza mondana. Sem-mai solo lesperienza pu fo rn i rci qualche indicazione concernente ci che pro d u c egioia in una pers o n a , m a , in tal modo, esclusa la possibilit di poter fo rn i re una qual-siasi conoscenza razionale aprioristica della felicit. Ogni sforzo volto a precisare se-manticamente lidea della felicit onde indiv i d u a re un sua possibile dimensione in-tersoggettiva destinata ad uno scacco continuo e costitutivo. Meglio ancora: leven-tuale fo rmalismo elab o rato per lidea della felicit non pu che essere un cat t ivofo rm a l i s m o , una ve ra e pro p ria rag n atela di illusioni che lesperienza si incarica co-stantemente di porre in scacco. Non per nulla ne La metafisica dei costumi si leggequanto segue:

    se la dottrina morale non fosse nullaltro che la dottrina della felicit, sareb-

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    aggi u n ge che se si dovesse va l u t a re la vita umana s e c o n d o c i d i c u i g o d e ( i lfine nat u rale risultante dallinsieme delle incl i n a z i o n i : la fe l i c i t ) , tale va l o re cadrebb en e c e s s a riamente al di sotto dello ze ro. Di conseg u e n z a , s e m p re secondo Kant, il va-l o re che si at t ri buisce alla vita dipende escl u s ivamente da ci che facciamo age n d oin maniera tanto indipendente dalla nat u ra , che persino lesistenza della nat u ra nonpu essere un fine che subord i n atamente a questa condizione. Ma secondo la sua di-samina cri t i c o - o n t o l ogico trascendentale comunque assodato che non mai possi-bile defi n i re una legge attinente la felicit gi a c ch , come gi si leggeva nella C ri t i c adella ragion prat i c a, ci in cui og nuno deve porre la pro p ria felicit dipende dal sen-timento particolare di piacere o dispiacere di ogni singolo, e anche, in un medesimos ogge t t o , dalla dive rsit dei bisogni che seguono le modificazioni di questo senti-mento11.

    La ri flessione kantiana pone dunque sul tappeto la questione di ri d e fi n i re il rap-p o rto tra nat u ra e felicit cogliendo criticamente il ruolo e la funzione peculiare ch ela ragione umana svo l ge nel corso della vita di ciascun individuo. Quale dev e s s e relinfluenza e lambito di intervento della ragione umana rispetto al puro istinto natu-rale? Ponendo questa questione in termini critico-trascendentali la riflessione kantia-na si configura come un autentico requiem per quella concezione razionalistica del-la felicit che da A ristotele sino a Wo l ff aveva visto nella ragione umana il fo n d a m e n t odi unautentica concezione eudemonica in actu12. Il che costituisce un tema entro ilquale riemerge il ruolo criticamente infelicitante della stessa razionalit umana giac-ch - come si trova espressamente ribadito anche nella Fondazione della metafi s i c adei costumi - quanto pi una ragione ra ffi n ata tende al godimento della vita e dellafe l i c i t , tanto pi luomo si allontana dalla ve ra contentezza1 3. Luso critico e sofi-sticato della ragione nellambito pratico della ricerca della felicit non pu che crea-re un certo grado di misologia, con la conseguenza che se si vuole perseguire la fe-licit non si pu non guardare con invidia quelle persone che tendono a farsi guida-re dal puro istinto nat u rale e re s t ri n gono al massimo linfluenza della ragione sullap ro p ria condotta. Per Kant la ragione non pu dunque essere un organo in grado diincrementare la felicit dellindividuo perch semmai vero esattamente lopposto:

    O ra , se in un essere dotato di ragione e di vo l o n t , lo scopo specifico della na-t u ra fosse la sua c o n s e r va z i o n e , il suo b e n e s s e r e , in breve la sua f e l i -c i t , essa sarebbe stata ben malaccorta nello sceg l i e re la ragione di questac re at u ra a esecutrice di quella sua intenzione. Infatti tutte le azioni che la cre a-t u ra deve compiere in vista di questa intenzione e con essa la regola ge n e ra l edel suo comportamento, le sarebbero state suggerite con molta maggior preci-sione dallistinto, per mezzo del quale si sarebbe potuto raggi u n ge re quello sco-po molto pi sicuramente che per mezzo della ragione; se poi alla creatura pifavorita si fosse voluta dare in pi la ragione, essa non avrebbe dovuto servir-

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  • autore classico ed emblematico come David Hume, ha sviluppato una diversa consi-d e razione della fe l i c i t , mettendone in evidenza il suo pieno va l o re sociale, s e c o n d ouna curvat u ra teorica che stata poi ri p re s a , fatta pro p ri a , s v i l u p p ata e ap p ro fo n d i t ad a l l u t i l i t a rismo moderno. Hume, nella sua R i c e rca sui principi della mora l e, s c riveespressamente come possiamo osservare che, nel fare le lodi di qualche persona be-n e fica ed umana, v una circostanza sulla quale non si manca mai di insistere am-p i a m e n t e, cio la felicit e la sodd i s fazione che la societ ri c ava dalle sue re l a z i o n icon quella persona e dai buoni uffici che essa le arreca16. Per Hume ci che utile eb e n e fico coincide cos con ci che moralmente bu o n o , secondo unimpostazioneanalitica che sar fatta propria non solo da Bentham e dagli utilitaristi, in genere, maa n che da autori settecenteschi come Cesare Beccari a , il quale ultimo, nel suo cele-berrimo Dei delitti e delle pene , difender apertamente proprio questo punto di vistache dive n n e, i n fi n e, a n che un esplicito programma politico-civ i l e : la massima fe l i -cit divisa nel maggior numero17.

    Ma la formula o principio de la massima felicit possibile per il maggior nume-ro possibile di pers o n e , secondo la fo rmula sugge rita dal Beccaria e fatta pro p ri a , p e re s e m p i o , da Bentham1 8 e poi da John Stuart Mill, non costituisce solo lespressione diuna disamina fi l o s o fi c a , p e rch , in re a l t , si tra s fo rm at a , come si accennat o , a n ch ein un preciso programma sociale e politico. N, da questo specifico punto di vista, p u e s s e re infine tra s c u rato come gli stessi rivo l u z i o n a ri settecentesch i , quando diederoav v i o , per esempio, alla rivoluzione fra n c e s e, p o s e ro fin dallinizio in ev i d e n z a , c o ni n d u bbia forza civile e politica, la necessit sociale che l i n s u rrezione dello spiri t ou m a n o ( S a i n t - Just) at t u ata dal loro grandioso processo rivo l u z i o n a ri o , fosse in gra-do di re a l i z z a re, p e rsino at t rave rso il terro re1 9, la felicit del popolo. Nel corso del Set-tecento non si solo teori z z ato la legittimit per il popolo di fa rsi ribelle per la pro -p ria fe l i c i t , ma si anche dich i a rat o , ap e rtis ve r b i s - soprattutto a livello politico -come compito eminente dello stato fosse proprio quello di fare della felicit del po-p o l o il suo obiettivo politico-amministrat ivo priv i l egi at o , al punto che la felicit co-mu n e d e l l i n t e ro popolo indicata espressamente quale base costitutiva della societnella D i ch i a razione dei diri t t i connessa con la C o s t i t u z i o n e f rancese del 24 gi u g n o1793. N pu essere dimenticata la precedente rivoluzione americana che ha fatto an-chessa riferimento esplicito al diritto alla felicit quale elemento cardine e costituti-vo del nu ovo stato ameri c a n o , secondo un principio che stato poi sanzionato dallaCostituzione americana che riconosce esplicitamente la ri c e rca della fe l i c i t q u a l ediritto naturale ed inalienabile delluomo.

    Complessivamente, dunque, proprio in nome della felicit, individuale e colletti-va, vengono via via avanzate, soprattutto a partire dal Settecento, molteplici richiestep o l i t i che e civ i l i , s e m p re pi esplicite ed impeg n at ive, che hanno trovato nel XVIII se-colo un loro significativo sbocco non solo nei processi rivoluzionari, ma anche in unpi generale e diffuso impegno politico-civile. Facendo leva espressamente sui diritti

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    be assurdo invo c a re a va n t aggio di essa principi a pri o ri . Pe rch , per quantosembri che la ragione possa sempre scorgere ancor prima dellesperienza conquali mezzi si possa arrivare al godimento durevole delle vere gioie della vita,tutto ci per che si insegna a priori su questo argomento o accettato tauto-l ogicamente o del tutto info n d ato. Soltanto lesperienza pu inseg n a rci ciche ci procura gioia. Gli impulsi naturali alla nutrizione, al sesso, al riposo, almoto, e (dato lo sviluppo delle nostre disposizioni naturali) le tendenze allo-n o re, a estendere le nostre cog n i z i o n i , e simili, possono essi soli, e a og nu n osoltanto nel suo modo speciale, fargli conoscere dove debba trovare quei pia-c e ri , ed ancora lesperienza che gli insegna il mezzo di p ro c u ra rs e l i. Ogni ar-tificio di ragionamento apparentemente a priori non qui nullaltro che espe-rienza innalzata per mezzo dellinduzione allunive rs a l i t , la quale unive rs a l i t (secundum principia generalia, non universalia) per giunta talmente poverae misera che bisogna concedere a ognuno uninfinit di eccezioni per adattarela scelta del suo modo speciale di vita alle pro p rie inclinazioni part i c o l a ri e al-la sua particolare ricettivit per i piaceri; ma infine per egli non diventa pru-dente che grazie ai danni propri o degli altri15.

    La nuova etica critica kantiana prende dunque le mosse dal pieno riconoscimen-to dellimpossibilit di elab o ra re un giudizio eudemonologico inters ogge t t ivo norm a-tivo ed universale, valido per tutti gli individui. Secondo Kant solo la morale univer-salistica pu essere delineata tramiti i principi legi s l at ivi della ragi o n e. Ma per Kantil conflitto costitutivo, irriducibile ed oggettivo tra felicit e virt non deve affatto in-d u rre a sacri fi c a re uno dei due poli a va n t aggio di quello opposto, mettendo capo aduna soluzione unilaterale nella quale un polo viene fagocitato o annichilito da quellocontrario. Al contrario, proprio prendendo spunto dalla situazione antinomica prece-dentemente indiv i d u ata e dalla sua intima dialettica ogge t t iva la fi l o s o fia politica diK a n t , unitamente alla sua fi l o s o fia del diritto tra s c e n d e n t a l s i t i c a , mette capo ad unai m p o rtante critica del gi u s n at u ralismo eudemonologico settecentesco, secondo unac u rvat u ra teorica che merita di essere adeg u atamente pre c i s at a , p o i ch pro p rio al suoi n t e rno che si possono ri n t ra c c i a re quegli elementi di novit concettuale di indubb i oi n t e resse politico-civile cui accennavo nel primo paragra fo di questo scritto. In altrit e rm i n i , quando Kant riconosce che non affatto possibile svo l ge re una trattazione ra-zionale e a pri o ri della felicit (e, di conseg u e n z a , della stessa politica eudemonisti-ca) poich il concetto di felicit, per sua intrinseca natura, pu essere precisato solo aposteriori, vale a dire sulla base di unattenta e personale valutazione dellesperienzavissuta da ciascun indiv i d u o , in realt sta delineando un preciso ori z zonte politico-ci-vile trascendentalistico che entra in eminente relazione critica con il senso comune eu-demonistico del Settecento.

    Come noto proprio la tradizione dellempirismo, che nel XVIII fa capo ad un

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  • do storico della prassi. Come dire : le definizioni ri go rose possono fo rse andar beneper un dizionario di filosofia,ma per operare storicamente occorre rinunciare ad ogniri go re concettuale onde far pro p ri concetti molto pi elastici e meno definiti che sa-rebbero gli unici in grado di agire efficacemente sulla mente degli uomini e sul pianodella prassi.

    Tuttavia, perlomeno a mio avviso, alquanto difficile poter concordare piena-mente con questa, pur autorevole, conclusione. Ed difficile non tanto perch non siavverta tutta la necessit di comprendere, in primis et ante omnia, la storia effettiva ereale nella sua configurazione concreta, non chimerica ed immaginata. Effettivamen-te non si pu mai pre s c i n d e re dalla storia effettuale e dalla sua esatta compre n s i o n e.Ma pro p rio perch si condivide questa esigenza di non eva d e re dalleffettuale per svo-l a z z a re nel mondo delle ch i m e re, o c c o rre allora pors i , con maggior pre c i s i o n e, il pro-blema posto da A bb ag n a n o : ve ro che un concetto ri go roso (in questo caso un con-cetto rigoroso della felicit) finisce per essere fuorviante non solo per la comprensio-ne della stori a , m a , pi in ge n e ra l e, per la stessa eventuale azione da svo l ge rsi a contat t odiretto con il mondo della prassi? Se infatti si accettasse come un dato di fatto storicoi n t rascendibile il ri l i evo negat ivo di A bb agnano - ch e, non a caso, a n t epone leffe t t i-vo sviluppo storico quasi a gi u s t i ficazione ex post del suo stesso giudizio teorico - do-vremmo constatare, con amarezza, che esiste uno scarto incolmabile tra la dimensio-ne teorica e quella della prassi o, per dirla con il titolo di un celebre saggio kantianogi richiamato, tra ci che vero in teoriae ci che pu essere vero nella pratica.Ma questa scissione veramente da accettarsi come tale, vale a dire come intrascen-dibile e ineluttabile? Oppure, d i e t ro questa affe rmazione - e dietro lo stesso svo l gi-mento del corso storico della modernit e, fi n a n ch e, d e l l epoca contemporanea - in-vece possibile ri n t ra c c i a re il vizio di unerrata impostazione concettuale che ha va ri a-mente condizionato non solo la ri flessione umana, m a , pi in ge n e ra l e, il suo stessocomportamento pratico? Siamo veramente sicuri che dietro il paradosso sollevato daA bb agnano non si celi un dive rso pro bl e m a , in grado di ge t t a re nu ova luce non solosulla filosofia di Kant, ma anche su alcuni degli aspetti fondamentali dellagire uma-no e della stessa storia moderna degli utimi secoli?

    A mio avviso pro p rio questo secondo corno del dilemma che occorre ap-p ro fo n d i re, onde re n d e rsi conto, con pre c i s i o n e, di quale sia realmente il pro bl e m at e o rico e civile sollevato da Kant con il suo trascendentalismo critico. Un pro bl e m ache stato complessivamente rifiutato o posto in non cale dalla tradizione filosofico-p o l i t i c o - c ivile post-kantiana, con gravi conseg u e n ze soprattutto (ma non solo) sul pia-no pratico. La disamina di questo problema non sar del resto priva di un suo interes-se specifi c o , p e rlomeno nella misura in cui, come cercher di illustra re nellultimo pa-ragra fo , ci permetter di cog l i e re una dimensione specifica della ri fl e s s i o n ecritico-trascendentalistica di Kant che, in realt, ha ancora molto da dire e da sugge-rire anche al nostro mondo contemporaneo. Per non aggiungere, inoltre, che la stessa

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    conculcati dei singoli individui,si cos inteso difendere esplicitamente il diritto allafelicit dei singoli popoli in una ch i ave tendenzialmente cosmopolita (secondo unot-tica critica tuttavia non esente da gravi contra ddizioni stori c o - c ivili). Il libera l i s m omoderno si fatto erede del principio della massima felicit e ha poi incontrato sullasua strada la critica radicale della tradizione socialista (anche nella ve rsione marxista)la quale ha cercato di smantellare puntualmente il vuoto formalismo dei diritti libera-li, non gi per conculcarli e abolirli tout-court, ma, al contrario, per socializzarli oltreogni limite di classe e per realizzarli, a livello civile e sociale, cercando, insomma, dii n s t a u ra re finalmente dei d i ritti sostanziali e ffe t t ivamente validi per tutte le persone (enon solo per i privilegiati di censo, di classe, di razza o di sesso). Il che rappresenta,come ben si comprende, unesigenza che ha poi dato luogo, sul piano del mondo del-la prassi di medio e lungo peri o d o , a sva ri ate realizzazioni sociali ed anche a ve ri epropri, ed autentici, drammi storici. Drammi, sia ben chiaro, che ora non si voglionoa ffatto esorc i z z a re o, p eggio ancora , m i n i m i z z a re, ma ch e, al contra ri o , si intendonoespressamente ricordare (peraltro su entrambi i fronti, sia su quello del liberalismo edelle sue contraddizioni storico-civili, sia su quello del cosiddetto socialismo realee delle sue contraddizioni storico-civili) anche per mostrare come il problema della-s p i razione alla felicit e la parallela pretesa di instaura re dei sistemi sociali in gra d odi ga ra n t i re effe t t ivamente questo diritto non abbiano mancato di eserc i t a re una lorospecifica influenza anche sul nostro mondo contemporaneo.

    In relazione a questa tradizione di pensiero occorre tuttavia chiedersi se la po-sizione kantiana rap p resenti ve ra m e n t e, come stato pur affe rm at o , una sorta di s t ro z-z at u ra che ha finito per re n d e re del tutto inservibile lo stesso concetto della fe l i c i t che sarebbe stato cos difeso e tutelato unicamente dalla tradizione del liberalismo odalle esigenze, ben pi radicali, poste sul tappeto dalla riflessione critica socialista emarxista. Secondo Nicola A bb ag n a n o , b i s og n e rebbe infatti ri c o n o s c e re fra n c a m e n t ecome negli autori utilitaristi non sia affatto possibile rintracciare un concetto rigoro-so di felicit analogo a quello delineato da Kant, tuttavia sarebbe anche merito spe-cifico di questi autori utilitaristi di non aver dato luogo a quellirrigidimento e asso-lutizzazione della nozione [di fe l i c i t , n d r.] che essa aveva subito in Kant e che lave-va resa inserv i b i l e 2 0. Secondo questa disamina ci trove remmo pertanto di fronte adun esito un poco inquietante: a Kant viene senza dubbio riconosciuto il merito di ave renunciato in modo rigoroso la nozione di felicit in tutta la sua complessit teoretica,tuttavia proprio questo rigore concettuale avrebbe poi finito per rendere storicamenteinservibile quello stesso concetto che ha quindi finito per operare storicamente so-lo grazie ad una definizione meno rigorosa e puntuale, ma civilmente e storicamentepi fe c o n d a , concezione delineata dagli utilitaristi in modo del tutto indipendente dal-la lezione kantiana. Il che costituirebbe dav ve ro un esito curioso e sintomatico perch s e m b re rebb e, a l l o ra , che quanto pu essere eventualmente guadag n ato sul piano delri go re concettuale deve poi scontare una sua sostanziale inefficacia sul piano del mon-

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  • sto motivo Mill giunge ad insistere, con forza, sul fatto che

    la sola libert che meriti questo nome quella di pers eg u i re il nostro bene an o s t ro modo, p u rch non cerchiamo di priva re gli altri del loro o li ostacolia-mo nella loro ri c e rca. Ciascuno lunico autentico guardiano della pro p ria sa-l u t e, sia fi s i c a , sia mentale e spiri t u a l e. Gli uomini traggono maggior va n t ag-gio dal perm e t t e re a ciascuno di vive re come gli sembra meglio che dal co-s t ri n ge rlo a vive re come sembra meglio agli altri .

    Mill sa bene che tale presa di posizione non costituisce affatto una radicale nov i t concettuale e concede vo l e n t i e ri che essa rap p re s e n t a , s e n z a l t ro , un autentico t ru i-s m o , t u t t avia al contempo pienamente consap evole come non esista altra conce-zione in grado di contrapporsi pi decisamente e conseguentemente alla tradizionaletendenza della societ umana a coart a re i suoi membri ad una determ i n ata norma dicondotta e a determ i n ati va l o ri , p re s e n t ati sempre come unici e intrascendibili. La co-raggiosa presa di posizione di Mill investe pro p rio questo tradizionale dispotismo spi-rituale eserc i t ato dalla va rie societ stori che nei confronti dei singoli individui e neld i fe n d e re, al contempo, gli ambiti di libert dei singoli nel contesto delle diffe renti so-ciet civili. Non ora il caso di seguire larticolazione complessiva che questa presadi posizione assume allinterno della ri flessione di Mill e non nep p u re il caso di espli-c i t a re analiticamente anche le contra ddizioni (soprattutto di classe e sociali) che a vo l-te carat t e rizzano la sua proposta (proposta ch e, t e n d e n z i a l m e n t e, vale unicamente perle societ occidentali mat u re e progre d i t e, con esplicita esclusione di quelle b a r b a re e infantili, idest africane ed asiatiche, allora sottoposte al brutale fenomeno storicodella colonizzazione europea e del connesso sfruttamento radicale dei va ri popoli i n-fe ri o ri e del loro terri t o rio). Semmai, per gli scopi specifici della nostra ri fl e s s i o n e, invece interessante considerare che la tutela migliore e pi efficace della libert dels i n golo di pers eg u i re il suo bene a suo modo trova unespressione civile vincolanteunicamente entro una legislazione civile in grado di tutelare questo diritto ponendo unobbligo singolare: la libert del singolo individuo pu trovare un limite solo nellesi-genza civile di garantire un equivalente diritto di libert a ciascun altro membro dellamedesima societ. In questa pro s p e t t iva il diritto si confi g u ra allora , k a n t i a n a m e n t e,come la limitazione della libert di ciascuno alla condizione che essa si accordi conla libert di ciascun altro membro della medesima societ. Per dirla ancor in linguag-gio kantiano, la l i b e ra fi o ri t u ra umana di Mill deve essere ga ra n t i t a mediante leggicapaci di tutelare unanaloga libera fioritura per ciascun componente della medesi -ma societ. In questa precisa prospettiva - secondo unemblematica indicazione kan-tiana che si avuto modo di richiamare in apertura del presente contributo - ciascunopu perseguire la sua felicit come meglio reputa a patto, per, che questa sua ricer-ca non re chi pregiudizio alla libert altrui. Per Kant il diritto nasce esattamente dal-

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    a s t ratta contrapposizione tra la lezione kantiana, re l at iva alla fe l i c i t , e laspira z i o n ebenthamiana alla massima felicit per il maggior numero di persone in parte pu es-s e re posta in discussione cri t i c a , s c o p rendo taluni sentieri teoretici che connettono an-che lutilitarismo moderno con taluni aspetti non secondari della lezione kantiana.Tant vero, come ha osservato, per esempio, Silvestro Marcucci, che anche per Kant

    come per Bentham, importante il pro blema della fe l i c i t : cos import a n t eche, se non avessimo posto attenzione ad esso, non saremmo arrivati a Dio in-teso come Essere supremo morale; ma, ed bene ripeterlo con Kant, questaidea non sta a fondamento della mora l e, ma d e riva dalla morale come unadelle sue pi importanti conseguenze, a cui si giunge quando ci poniamo il fi-ne reale, ma universale anche se non assolutamente necessario - come Kant cidice chiaramente nelle Lezioni di etica - della felicit21.

    Ma questuomo, che usa prudenza e destrezza anche per conseguire la felicit, ciriporta ad una visione estremamente concreta, in cui la vita umana viene percepita daKant anche in tutte le sue manchevolezze e contraddittoriet, nel quadro di una meta-riflessione critica trascendentalistica in grado di restituirci la problematicit del vive-re umano, senza pera l t ro fa rci tra s c u ra re lart i c o l ato e complesso gioco concettualeche stru t t u ra , a diffe renti live l l i , la vita pratica delluomo che sceglie liberamente diagire secondo i fini che ha deliberato di perseguire.

    3. KANT: OGNI POLITICA DEVE PIEGARE LE GINOCCHIA DAVANTI ALLA MORALE

    Se ci si volesse ri fe ri re anche alle sole fonti della stessa tradizione del libera l i s m omoderno, per esempio guardando ad un autore come John Stuart Mill, bisogna alloratener presente che quella contapposizione tra la disamina kantiana (rigorosa, ma sto-ricamente sterile) e la pi ricca prassi storica ispirata dal liberalismo, richiede taluneimportanti rettifiche concettuali. Mill ha infatti insistito nel sottolineare come la na-t u ra umana non una macchina da costru i re secondo un modello e da rego l a re perch compia esattamente il lavoro assegnatole, ma un albero, che ha bisogno di crescere es v i l u p p a rsi in ogni dire z i o n e, secondo le tendenze delle fo r ze interi o ri che lo re n d o n ouna cre at u ra vive n t e 2 2. Per questo motivo la societ deve tutelare la l i b e ra fi o ri t u radi ciascun indiv i d u o, p e rch un uomo come una pianta e tende a cre s c e re libera m e n t ein ciascuna dire z i o n e, secondo delle tendenze che hanno le pro p rie sorgenti pi pro fo n-de nelle fo r ze interi o ri di ciascun individuo. Tu t t av i a , a n che Mill ben consap evo l ecome tale libera fi o ri t u ra umana non av ve n ga nel mitico isolamento (metafisico) diR o b i n s o n , p e rch ogni individuo inserito in una societ ch e, secondo la classica l e c -tio marxista, sappiamo essere sempre storicamente determinata. Ma proprio per que-

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  • polazioni occidentali - la felicit del singolo e dei popoli. Per Kant questa sostituzio-ne del diritto con la felicit costituisce solo una tragica illusione metafi s i c a , fo ri e ra diancor pi tragici esiti civili (come poi la storia si purtroppo incaricata di esemplifi-care). A suo avviso, come stato puntualmente rilevato,

    cos come nella morale linserimento di un filtro eudemonistico tra il doveree la volont comporta lo scardinamento della assoluta imperativit della leggemorale e la sua sostituzione con i semplici consigli tecnici della prudenza, al-lo stesso modo la sostituzione della fe l i c i t al d i ri t t o n e l l a rticolazione norm a-t iva della politica rap p resenta la negazione stessa del suo nu cleo ap ri o ri s t i c orazionale e la caduta in una contingenza empirica di per s incapace di rag-giungere un solido fondamento universale23.

    La disamina kantiana colpisce al cuore questo equivoco (e metafisico) nodo inter-p re t at ivo tipico della tradizionale ri flessione eudemonologica settecentesca che non con-c e rn e, d u n q u e, unicamente i tenaci pro p u g n at o ri di una felicit arm ata ( q u e l l i , i n s o m-m a , che teorizzano e difendono la fi g u ra del popolo ribelle per la pro p ria fe l i c i t ) , m ac o i nvo l ge anche i teori c i , ap p a rentemente pi moderati e ri fo rm i s t i ( c o munque sch i e-rati entro il quadro complessivamente rivo l u z i o n a rio della ri flessione illuministica delX V I I I , nettamente antitetica alla tradizionale ri flessione conservat ri c e, re a z i o n a ria e co-d i n a ) , che cerc avano di ri d u rre la l egi t t i m i t di un gove rn o , senza mediazioni cri t i ch es i g n i fi c at ive, alla felicit individuale (o a quella collettiva ) di un popolo.

    L o ri z zonte della ri flessione cri t i c o - t rascendentalistica kantiana colpisce deci-samente questo tradizionale e diffuso equivoco interp re t at ivo metafisico e denu n c i aap e rt a m e n t e, al contempo, la mancanza di una sufficiente ed art i c o l ata mediazione cri-tica nellintendere il ruolo e la funzione specifica che la felicit (individuale e col-lettiva) esercita in seno ad un popolo e ad una collettivit sul piano tortuoso della sto-ria. Tutto il trascendentalismo critico kantiano infatti volto a mettere in sistematicadiscussione radicale ogni interp retazione realistica e acritica delle diffe renti cat ego ri ec o n c e t t u a l i , a n che perch il suo ori z zonte critico tematizza espressamente la necessitdi cog l i e re a n a l i t i c a m e n t e le diffe renti mediazioni che sempre presiedono alla co-struzione concettuale di ciascun piano della riflessione umana. Contro la tradizionalemetafisica che si illudeva di poter parlare di realt in s e di poter cogliere le ontolo-gie soggiacenti alle va rie cat ego rie concettuali, K a n t , con la sua rivoluzione coper-n i c a n a s c o p re, i nve c e, come ogni unive rso semantico di comprensione del mondo fe-nomenico si ra d i chi sempre allinterno di una precisa meta-ri flessione critica di se-condo live l l o ,e n t ro la quale costruiamo una specifica ontologia senza aver pi bisog n odi rinviare ad alcun mondo ontologico (metafisico ed assoluto) soggiacente. Per que-sto motivo Kant av ve rte e sottolinea costantemente la necessit di passare da una ri-flessione metafisica, affidata alla tradizionale filosofia morale, ad una nuova filoso-

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    l e s i genza di far coesistere la libert di ciascuno con quella di tutti gli altri membridella medesima societ e, tendenzialmente, con un analogo diritto cosmopolitico va-lido per tutti gli uomini della terra , senza alcuna discri m i n a z i o n e. Su questo terreno siradica la novit e limportanza della presa di posizione kantiana, non solo in relazio-ne al pro blema della fe l i c i t , m a , pi in ge n e ra l e, in relazione alla salvag u a rdia del di-ritto entro le pur differenti societ. Kant, infatti, non aderisce alla difesa acritica del-lo slogan dei popoli ribelli per la propria felicit difesa e articolata dalla riflessionee u d e m o n o l ogica settecentesca (e adeg u atamente alimentata dalle va rie ideologie ri-vo l u z i o n a rie) pro p rio perch ha sviluppo il suo singo l a re trascendentalismo cri t i c oche lo rende avvertito del pericolo di cadere in tanto facili, quanto equivoche, ontolo-gizzazioni acritiche delle varie categorie concettuali, anche di quelle proprie della fi-l o s o fia mora l e. Il suo ori z zonte fi l o s o fi c o , i nve c e, sempre guidato da una costituti-va intentio obl i q u a che gli permette di sciog l i e re ogni concetto da qualsiasi ri gi d i t a c ritica. Come in ambito ep i s t e m o l ogico il trascendentalismo svo l ge, al contempo,una presa di posizione critica antiempirista e antiontologi s t a , cos anche nellambitodella fi l o s o fia della morale il criticismo kantiano consente di cog l i e re, con maggi o re q u i l i b rio teorico ed erm e n e u t i c o , il complesso rap p o rto esistente tra la dimensionedella morale e quella della fe l i c i t , s u p e rando criticamente i tradizionali ori z zonti diriflessione che finivano per ipostatizzare le differenti categorie morali. In altri termi-ni se sul piano epistemico il trascendentalismo consente di meglio compre n d e re il rap-porto tra rapporto ed esperienza proprio in virt della sua suggestiva ambiguit del-luso kantiano del termine t ra s c e n d e n t a l e , che indica talvolta il contenuto del mo-mento a pri o ri della conoscenza e, t a l a l t ra , la ri flessione sulla possibilit stessa di talec o n o s c e n z a , a n a l ogamente lori z zonte critico kantiano in ambito morale e stori c o - c i-v i l e, pur non essendo privo di tensioni interne e di una sua certa qual ri gi d i t , u t i l i z-zando nu ovamente la pro s p e t t iva tra s c e n d e n t a l i s t i c a , finisce comunque per re s t i t u i reai diversi concetti operanti nel mondo della prassi, una loro autonomia relativa speci-fi c a , s c i ogliendo ogni tradizionale ri gidit metafi s i c o - i n t e rp re t at iva. In tal modo, ri-spetto alla meta-riflessione critica kantiana, il tradizionale pensiero eudemonologicosettecentesco (analogamente a quello sviluppato dalle contemporanee ideologie rivo-l u z i o n a rie) costituisce un buon modello per illustra re la tradizionale confusione ch ec o n t ra dd i s t i n g u e, in senso lat o , il discorso illuministico re l at ivo alla felicit e allo stes-so diritto. In altri termini, Kant non concorda affatto nel ritenere che il concetto dellafelicit possa sostituirsi unilat e ralmente a quello del diritto. Si badi: n egando questasostituzione Kant non vuole affatto nega re validit allesigenza civile e morale di per-s eg u i re il raggi u n gimento della felicit da parte del singolo indiv i d u o , ma vuole inve-ce sottolineare il tradizionale errore teoretico (e quindi, per sua natura intrinseca, an-che pratico) di coloro i quali pensano di poter semplicemente mettere al centro dellesociet civili - e dei vari rivolgimenti sociali da attuarsi per conseguire societ in gra-do di garantire i diritti giusnaturalistici allora negati alla parte pi numerosa delle po-

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  • D a l t ra part e, come si visto, la disamina kantiana ha messo in evidenza ler-ro re (teorico) di voler collocare la ri c e rca della felicit pubblica quale principio costi-tutivo (nella pratica) della politica eudemonistica. Ma, invero, pressoch tutta la sto-ria delleudemonismo settecentesco contraddistinta da questo errore metafisico cuiKant non aderisce affatto - e ch e, a n z i , grazie al suo tra s c e n d e n t a l i s m o , c ritica e ri fi u-ta con estrema puntualit - proprio perch la sua riflessione critico-epistemica gli hapermesso di comprendere come non sia affatto possibile delineare mai una trattazio-ne razionale a pri o ri della felicit. Kantianamente la felicit non costituisce mai unconcetto riducibile ad ununica fo rma razionale e la sua mu l t i fo rme ed incredibile ri c-chezza esistenziale (e storico-sociale) rinvia semmai, costantemente, alla dimensionedellempiria storico-esistenziale. Non si pu quindi assumere una determinata confi-g u razione della felicit e spacciarla quale norma unive rsale e ra z i o n a l e, valida per tut-te le societ civili. N, tantomeno, la felicit, in quanto tale, pu essere assunta - co-me invece pre t e n d eva di fa re la tradizione eudemonologica settecentesca e, dopo dil e i , molti altri movimenti rivo l u z i o n a ri - quale fondamento della politica. Kant de-nuncia questo tragico errore delleudemonologia del suo secolo, cui contrappone unapi art i c o l ata ri flessione trascendentalistica e critica che gli consente di enu n c i a re, c o nforza e indubbio ri go re argo m e n t at ivo , come la tutela della libera ri c e rca della fe l i c i t individuale, pi che essere tradotta in un determinato (e unilaterale) programma poli-t i c o , d ebba invece trova re il suo fondamento cri t i c o - c ivile nel d i ri t t o , gi a c ch a cia-scuno deve sempre essere garantita la sua libert unicamente mediante le leggi.

    Per Kant tra felicit e diritto deve sempre esistere, quindi, una specifica media-zione politica in grado di collocare questi due termini in orizzonti concettuali (e pra-tici) specifici e irrinunciabili, senza mai cortocircuitarli acriticamente. Anche perchla cortocircuitazione (teorica) di questi concetti non pu che avere delle conseguenze( p rat i che) tragi che ve ramente terri b i l i : quella di costri n ge re degli individui (anche ep e rsino gli stessi ribelli per la pro p ria fe l i c i t ) entro schemi metafisici determ i n at i ,m e ramente ap ri o ri s t i c i , della stessa felicit. Schemi metafisici ap ri o ristici che nellarealt effe t t iva del mondo della prassi non potranno poi che cre a re delle autentiche tra-gedie stori che entro le quali gli individui saranno piegat i , a viva fo r z a , e n t ro un pre t e-so e arbitrario modello felicitante, sempre presentato come intrascendibile ed ulti-m at ivo. In ve ri t , se si osserva la successiva storia umana secondo questo specifi c oc a n n o c chiale cri t i c o - t rascendentalistico kantiano, ve ramente difficile sottra rsi alladolorosa e tragica impressione che lassunzione acritica dellimbroglio filosofico de-nu n c i ato da Kant nei confronti delleudemologia settecentesca, abbia poi ge n e rato unas e rie incredibile di mostri storico-sociali. Mostri storico-sociali che nascevano pun-tualmente ogni qual volta qualcuno - una classe sociale, una forza politica, un part i t o ,un singolo individuo, una chiesa o qualche altra setta religiosa o sociale - si impadro-n iva del potere e pre t e n d eva di re a l i z z a re un suo modello specifico e metafisico di so-ciet, in grado di rendere veramente felice un popolo e i suoi individui. Tragico erro-

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    fia d e l l a m o ra l e , c apace di cog l i e re la specificit e la peculiarit della dimensione tra-scendentalistica operante entro le stesse categorie etico-civili che presiedono alla co-stituizione del mondo della prassi.

    Ma pro p rio questo , del re s t o , l e rro re prospettico specifico presente entro lari flessione eudemonologica settecentesca (e non solo in essa, per la ve ri t ) : una ri-flessione che nella sua stessa pretesa di sostituire la felicit al diritto finisce unica-mente per cortocircuitare queste due categorie concettuali ridando spazio (e fiato) aduna ri flessione morale metafisica e acritica la quale ri s chia solo di far pre c i p i t a re legiuste e irrinunciabili esigenze giuisnaturalistiche, rivendicate dal secolo dei lumi, adun esito pratico assolutistico fa l l i m e n t a re. Il pericolo che Kant vede pro fi l a rsi allo-rizzonte nellambito del mondo della prassi deriva dunque da un preciso errore teori-co: lo scarso rigore della nozione di felicit fatta propria dalla tradizione eudemono-l ogica del Settecento non costituisce, d u n q u e, un pregio sul piano politico, m a , al con-t ra ri o , ap re la possibilit a taluni erro ri prospettici che fi n i ranno per incidere anch esulla giusta (e rivo l u z i o n a ria) esigenza di dife n d e re i diritti dei singoli individui postacon forza, fin dal Seicento, dallo stesso giusnaturalismo.

    Della ri c e rca della felicit pubblica come fondamentale principio della poli-tica eudemonistica non pu darsi, infatti, secondo Kant, una trattazione razio-nale e a priori, ma solo una ricognizione empirica ed ex post, che attende dal-lesperienza una parola definitiva sulla sua validit. Proprio la pretesa di trar-re da quella dimensione empirica e pro b abilistica della ragion politica ilfondamento di una legislazione gi u ridica unive rsale e a pri o ri rap p re s e n t a , p e r-tanto, la pi esplicita dimostrazione della inconcludenza logica e gnoseologi-ca di quella dottrina e della necessit di un radicale mutamento del suo princi -pium cognoscendi24.

    Lautentico dramma storico-concettuale e sociale della strenua battaglia cultura-le sviluppata dal kantismo, a n che con la sua innovat iva ri flessione nellambito dellafi l o s o fia del diri t t o , nella fi l o s o fia della politica e nella stessa fi l o s o fia della mora l e, s iradica pro p rio nella coraggiosa denuncia di questo equivoco interp re t at ivo che Kantcoglie criticamente prendendo le mosse dalla sua innovativa concezione della filoso-fia quale at t ivit fo rmale metari fl e s s iva. E la critica della tradizionale gnoseologi am e t a fisica che consente a Kant di intendere, in virt della sua ep i s t e m o l ogia cri t i c a ,a n che gli equivoci (semantici e concettuali) presenti nella ri flessione poltico-civile eu-demonologica del suo tempo. Ma questa lucida e profonda denuncia kantiana, in ge-n e re, non solo non sar condiv i s a , ma sar anche spesso liquidata arbitra riamente ep e rsino dileggi ata da alcuni autori che hanno senzaltro denu n c i ato lastratto utopi-smo sociale e politico delle posizioni fi l o s o fi c o - c ivili fe d e raliste e cosmopolitistich eespresse da Kant, per esempio, nel celebre saggio Per la pace perpetua.

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  • radisi in terra e volendo pro c u ra re a tutti gli uomini u n suo modello specifico di li-bert, privandoli di quella libert fondamentale per lo stesso perseguimento della fe-licit - in realt ha cre ato solo dei mostri sociali e delle autentiche tragedie stori ch e.M o s t ri e tragedie cui spesso molti uomini si sono ri b e l l ati pro p rio per tutelare uno lo-ro sconfi n ato e radicale desiderio di sinceri t , di libert e di felicit. Ma oggi , a tre se-coli dalla lezione critica di Kant, lecito sperare che questa sua indicazione sulla tu-tela del diritto giusnaturalistico e cosmopolitico quale fondamento critico per la libe-ra ricerca della felicit per tutti gli uomini della terra27 - sottoposti unicamente ad unvincolo reciproco di tutela della loro stessa libert - possa costituire una valida guidacritica per tutti coloro che non vogliono affatto ridursi a vivere quali individui etero-n o m i , ma aspira n o , i nve c e, ad una irri nu n c i abile autonomia cri t i c a , nel quadro di uncosmopolitismo in grado di abbracciare e coinvolgere lintero pianeta.

    NOTE1 Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a cura di Giuseppe

    Pacella, Garzanti, Milano 1991, 3 voll., vol. II, p. 2177, corrispondente alla p. 4041 del mano-scritto leopardiano.

    2 La cit. tratta dal volume di I. Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del dirit -t o , t radotti da Gioele Solari e Giovanni Vi d a ri , edizione postuma a cura di Norberto Bobb i o ,L u i gi Fi rp o , Vi t t o rio Mat h i e u , U t e t , To rino 19953, p. 255 (da cui sono tratte anche le cit. che se-guono immediatamente nel testo) e, pi pre c i s a m e n t e, dal saggio S o p ra il detto comu n e : q u e -sto pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica, pubblicato alle pp. 237-81.

    3 Op. cit., p. 254, i corsivi sono nel testo da cui tratta anche la cit. che segue immediata-mente nel testo.

    4 Op. cit., p. 255.5 Per una considerazione complessiva di queste temat i che pu essere tenuto presente lo stu-

    dio di Luca Scuccimarra, Kant e il diritto alla felicit, Editori Riuniti, Roma 1997,nato dalle-s i genza di supera re le tradizionali ri gidit erm e n e u t i che onde favo ri re una lettura pi ri s p o n-dente alla reale complessit della sua [di Kant, ndr.] teoria della felicit (p. XI).

    6 I. Kant, Critica della ragion pratica, trad. it. di Pietro Chiodi in I. Kant, Scritti morali, acura di P. Chiodi, Utet, Torino 1970, p. 272, la spaziatura nel testo.

    7 Cfr. I. Kant, Critica della ragione pura, Introduzione, traduzione e note di Giorgio Col-li,Adelphi Edizioni, Milano 19763, p. 785, ma cfr. anche, pi in generale, le pp. 785-97 da cui

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    re (teorico e p rat i c o ) , p e rch ogni volta ch e, sulla base di un modello ap ri o ristico epregiudiziale della felicit, si cercato di costruire un paradiso in terra, in realt, si messo capo unicamente ad un autentico inferno. Forse per questo stesso tragico mo-t ivo i va ri regimi dittat o riali che nel corso del XX secolo si sono largamente contesi ilcampo nellambito della storia umana, hanno spesso voluto ra ffi g u ra re, fo r z at a m e n-te, i propri cittadini - sottoposti alle loro diverse tirannie - con dei sorrisi stereotipa-t i , tanto rep l i c ati e fo r z at i , quanto del tutto falsi e innat u rali. Ma questa paro s s i s t i c a felicit di stat o , imposta con la fo r z a , le tort u re, gli assassini di massa, il carc e re du-ro e va rie altre analoghe strat egie poliziesche (anche di nat u ra meramente economi-ca25), costituisce la cifra stessa della condanna inappellabile di questi sistemi storico-politici che sono nati tutti da quellimbroglio metafisico-concettuale (e politico) de-nunciato da Kant. Infatti tutti questi regimi possedevano una loro ben precisa idea difelicit e con tutti i mezzi hanno poi cercato di imporla forzatamente ai loro cittadini,mettendo capo a fe roci dittat u re che hanno sistematicamente conculcato non solo lafelicit, ma anche i diritti dei loro stessi cittadini. Per questo motivo Kant non si in-vece mai stancato di difendere il diritto alla felicit di ogni singolo cittadino - ricor-dando come questa av ve n t u rosa ri c e rca debba essere condotta e sviluppat a , s e c o n d ole pi differenti e libere scelte pratico-teoriche del singolo individuo - ponendolo ins t retta relazione con la d i fesa del diri t t o (e dei diritti gi u s n at u ralistici e cosmopolitici,pi in ge n e rale). La massima libert delluomo - tale da ga ra n t i re la massima libert nel pers eg u i re la pro p ria felicit - ri ch i e d e, i n fat t i , la presenza di un diritto in grado ditutelare questa stessa libert, secondo quel principio di reciprocit che prevede un li-mite alla libert del singolo solo per tutelare unanaloga libert in tutti gli altri indivi-dui membri della medesima societ civile (che per Kant deve sempre essere pensata,t e n d e n z i a l m e n t e, quale societ cosmopolitica ed unive rs a l e, tale da abb ra c c i a re tuttigli uomini della terra). La massima libert umana - premessa alla sua massima libert nella ri c e rca della felicit - deve quindi essere basata su leggi in grado di ga ra n t i re etutelare questa stessa libert. La felicit rinvia dunque, nuovamente al diritto e Kant,da conseguente illuminista rivo l u z i o n a rio cri t i c o - t ra s c e n d e n t a l i s t a , non si stanca di ri-cordare che

    il diritto degli uomini deve essere tenuto come cosa sacra, anche se ci possacostare grossi sacrifici al potere dominante. Qui non possibile fare due partiuguali e immagi n a re il mezzo termine di un diritto prag m at i c o - c o n d i z i o n at o(qualcosa di mezzo tra lutile e il diritto), ma ogni politica deve piegare le gi-n o c chia davanti alla morale e solo cos spera re che essa perve n ga , sia pure len-tamente, a un grado in cui potr brillare di durevole splendore26.

    Ogni volta che la politica non ha piegato le gi n o c chia alla mora l e, ma ha inve c ec e rc ato di piega re mach i avellicamente la morale ai suoi fini - maga ri promettendo pa-

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  • fo rnisca uninterp retazione conge t t u rale della narrazione biblica contenuta nel G e n e s i , m e t t e n-do in evidenza come luomo, compiendo la scelta di nutrirsi del famoso pomo dellalbero del-la conoscenza, abbia determinato il suo ingresso nel mondo della storia, vale a dire in una con-dizione nella quale luomo, che doveva nutrire se stesso, la propria compagna e i figli che ned ovevano nascere, p revide le fat i che sempre crescenti del suo lavo ro. La donna previde le peneriservate dalla natura al suo sesso e quelle di cui luomo,pi forte di lei, lavrebbe gravata. En-t ra m b i , dopo una vita di disagi ,s c o rs e ro con terro re, sullo sfo n d o , la mort e, che tutti gli animalis u b i s c o n o , ma senza esserne angustiati. A l l o ra essi si ri m p rove ra rono e si ascri s s e ro a grave col-pa aver fatto della ragione un uso che attirava su di loro tanti mali. Lunica consolazione che lisosteneva fu semmai la speranza di vivere nella loro posterit, che sarebbe stata forse pi feli-ce e che nellunione della famiglia av rebbe potuto allegge ri re il peso imposto a ciascuno ( p .200). E a l t res interessante ri l eva re come nella conclusione di questo saggio Kant, a ff ro n t a n d oil tema di un possibile - per quanto vano - rimpianto del paradiso terreste e dellet delloro d e l-la vita instintuale, aggiunga quanto segue: questo rimpianto, che rende cos eccitanti i viaggidi Robinson e quelli alle isole delloceano Pa c i fi c o , p rova nel tempo stesso come luomo ch eri flette si senta disgustato della vita civ i l i z z at a , quando ne ri c e rchi il va l o re nei go d i m e n t i equando invo chi in suo aiuto, a guisa di contrap p e s o , la p i gri z i a, m e n t re le ragione gli mostrache il va l o re di questa vita risiede nelle azioni. Si vede a sufficienza quanto sia vano questo de-s i d e rio di ri e n t ra re nellantico stato di semplicit e dinnocenza, quando si sia ap p re s o , per ilq u a d ro che ne abbiamo fat t o , che impossibile alluomo di mantenerv i s i , p o i ch questo stat onon pu bastarg l i , e che egli stesso ancor meno disposto a ri t o rn a rvi; donde segue che deves e m p re imputare a se stesso e alla sua libera scelta la miseria del suo stato at t u a l e (p. 210, l u l-timo corsivo mio, mentre gli altri sono nel testo).

    10 I. Kant, Critica del giudizio, a cura di Alberto Bosi,Utet, Torino 1993,pp. 399-400; il 83 si trova alle pp. 399-403 da cui sono tratte tutte le cit. che seguono nel testo.

    11 I. Kant, Critica della ragion pratica, trad. it. cit., p. 161.12 L. Scuccimarra, Kant e il diritto alla felicit, op. cit., p. 68, corsivi nel testo.13 I. Kant, Scritti morali, trad. it. cit., p. 51 (ma cfr. anche la ripubblicazione di questa tra-

    duzione italiana di Chiodi nel volume di I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, conuna introduzione di Rosario A s s u n t o ,L at e r z a ,R o m a - B a ri 1985, p. 14). Le cit. che seguono im-m e d i atamente nel testo sono tratte dalla medesima pagi n a ,a n che se nelledizione laterziana glispaziati kantiani sono stati resi con il corsivo.

    14 I. Kant, Scritti morali, trad. it. cit., p. 76 (e I. Kant, Fondazione della metafisica dei co -stumi, ed. cit., p. 45).

    15 I. Kant, La metafisica dei costumi, trad. it. di Giovanni Vidari in I. Kant, Scritti politicie di fi l o s o fia della storia e del diri t t o , op. cit., pp. 390-1 (cors ivi nel testo) oppure in I. Kant, L am e t a fisica dei costumi, con una revisione della traduzione di Vi d a ri predisposta da NicolaoMerker, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 16-7.

    16 C f r. David Hume, R i c e rche sullintelletto umano e sui principii della mora l e, e d. it. a curadi Mario Dal Pra , E d i t o ri Lat e r z a , R o m a - B a ri 1974, p. 225 (ma a questo proposito cfr. anche M.Dal Pra , Hume e la scienza della nat u ra umana, E d i t o ri Lat e r z a ,R o m a - B a ri 1973, pp. 221-308).

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    sono tratte le cit. che seguono nel testo (le quali sono riprese, pi precisamente, dalle seguentip agi n e : pp. 786-7; pp. 788-9; p. 792; gli spaziati e i cors ivi indicati nel testo sono sempre diKant). E da tener presente che anche nelle sue lezioni di L ogi c a Kant scrive che il campo del-la fi l o s o fia in questo signifi c ato cosmopolitico si pu ri c o n d u rre alle seguenti domande: 1) C h ecosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi dato sperare? 4) Che cos luo -mo? Alla prima domanda risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religionee alla quarta la n t ro p o l ogi a. In fo n d o , si potrebbe per ri c o n d u rre tutto allantro p o l ogi a ,p e rch le prime tre domande fanno riferimento allultima (I. Kant, Logica, a cura di Leonardo Amo-roso, Editori Laterza , Roma-Bari 1984, p. 19, corsivi nel testo).

    8 Secondo Silve s t ro Marcucci (cfr. Alcune osservazioni stori c o - c ri t i che sul rap p o rto mo -rale-felicit-religione in Kant, Studi kantiani,VII, 1994, pp. 103-110) nella prima parte del-la P re fazione alla prima edizione de La re l i gione entro i limiti della semplice ragi o n e ( c f r. I.Kant, Scritti di filosofia della religione, a cura di Giuseppe Riconda, Mursia, Milano 1989,pp.6 5 - 2 1 5 , in part i c o l a re le pp. 67-72), Kant ha posto il pro blema del rap p o rto tra dove re e fe l i c i t secondo una pro s p e t t iva critica che consente di c o n c i l i a re le opposte tesi interp re t at ive di ch ilega in Kant il problema del dovere a quello della felicit e di chi sostiene, invece, lesistenza,nella ri flessione di Kant, di uno iato tra dove re morale e felicit. Secondo Marcucci nel pen-siero kantiano si riscontra infatti, sul piano teoretico, un passaggio, un bergang, un tran -s i t u s (tutti termini usati da Kant specie nellOpus postumu m) dal piano fo rm a l e a quello re a-le,dal piano dellapriori a quello del mondo. Ma che cos il trascendentaleper Kant - pos-siamo ch i e d e rci - se non la ri flessione su e la legittimazione di un tale p a s s aggi o dal pianofo rmale a quello del reale? Nessuna merav i g l i a , q u i n d i , che si passi dal piano del d ove re aquello della felicit,anzi dellunione nel sommo bene, di virt (il bene supremo, das obersteG u t) e felicit. Nessuna merav i g l i a , e quindi piena legittimit del passaggio dal piano della mo-rale a quello della re l i gi o n e, una volta constat ato che lidea di un sommo bene nel mondo re-sta solo unidea priva (e chi potrebbe dare torto a Kant?) di uneffe t t iva realt. A suo av v i s o ,i n-fat t i , per la p o s s i b i l i t (M g l i ch ke i t) del quale [il sommo bene nel mondo], noi dobbiamo am-m e t t e re un Essere supre m o , m o ra l e, santissimo e onnipotente, che pu lui solo ri u n i re i dueelementi che lo costituiscono, cio la virt (o il dove re) e la fe l i c i t (pp. 108-9, c o rs ivi nel te-sto). In modo analogo Mariannina Fa i l l a , nel suo Ve rit e saggezza in Kant ( Franco A n ge l i , M i-lano 2000, pp. 138-9) ha scri t t o : La felicit etica, t rat t ata nellA n t ro p o l ogi a, la sollecitudineper gli altri , i n d i c ata nella Fondazione della metafisica dei costumi p ro p rio per dar conto delt e rmine p rag m at i c o , e infine la felicit altrui della M e t a fisica dei costumi s e m b rano tutte ru o-tare attorno ad un concetto di benessere, eticamente lecito, fondamentale nella composizione enel controllo dei conflitti di ordine etico-sociale. Si pu dire che la felicit etica dellAntro -pologia del 98 serve a Kant per individuare nella funzione limitante e regolativa della virt unmodo eticamente lecito per re a l i z z a re lideale prag m atico della pru d e n z a : la ri c e rca di un be-nessere sociale in cui le passioni siano regolate e governate da princpi virtuosi. Grazie al prin-cipio di felicit etica dunque possibile per Kant raggi u n ge re un benessere lecito, c o n fo rme al-le leggi morali.

    9 C f r. I Kant, S c ritti politici e di fi l o s o fia della storia e del diri t t o, t ra d. it. cit., pp. 198-9,(il saggio indicato nel testo pubbl i c ato alle pp. 195-211); la cit. che segue immediat a m e n t enel testo tratta dalla p. 201. E ve ramente interessante ri c o rd a re come in questo saggio Kant

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  • 17 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, con una raccolta di lettere e documenti relativi allanascita dellopera e alla sua fo rtuna nellEuropa del Settecento, a cura di Franco Ve n t u ri , E i-naudi, Torino 1965, p. 9, corsivo nel testo.

    1 8 Nella P re fa z i o n e a A Fragment on Gove rn m e n t, ap p a rso a Londra nel 1776, B e n t h a mp resenta questa fo rmula de la massima felicit possibile per il maggior nu m e ro possibile dipersone quale assioma fondamentale (cfr. Bentham, Un frammento sul governo, trad. it. diSilvia e Silve s t ro Marc u c c i ,G i u ff r , Milano 1990). Sui rap p o rti tra Bentham e Kant cfr. le con-s i d e razioni svolte da Marcucci nella sua I n t ro d u z i o n e alla citata ed. italiana del Fra m m e n t obenthamiano (cfr. le pp. 3-24).

    19 Cfr. LOUIS DE SAINT-JUST, Discorsi alla convenzione e scritti scelti, a cura di Paolo Ba-s ev i ,C o o p e rat iva Libro Po p o l a re - U n ive rsale Economica, Milano s. d. [ma: 1 9 5 2 ] , in part i c o l a-re si vedano le pp. 69-82 (contenenti il rapporto presentato alla Convenzione l8 ventoso del-lanno secondo, idest il 26 febbraio 1794; lemblematica ed incisiva espressione de linsurre-zione dello spirito umano ri c o rd ata nel testo tratta da p. 73) e le pp. 38-9 in cui, s v i l u p p a n d oun D i s c o rso sulla costituzione da dare alla Fra n c i a, l Au t o re affe rma che la fo rma della sua[del popolo, ndr.] felicit semplice, e la felicit non pi lontana dai popoli di quanto non losia dal privato cittadino.

    2 0 N. AB BAG NA N O, voce Fe l i c i t nel suo D i z i o n a rio di fi l o s o fi a, terza edizione aggi o rn ata ea m p l i ata da Giovanni Fo rn e ro , U t e t , To rino 1998, pp. 467-9 (in part i c o l a re cfr. la p. 469, c. 1).

    2 1 S. Marc u c c i , Alcune osservazioni stori c o - c ri t i che sul rap p o rto mora l e - fe l i c i t - re l i gi o n ein Kant, art. cit., p. 110, corsivo nel testo.

    2 2 J. S. Mill, S aggio sulla libert , t ra d. it. di Stefano Magi s t re t t i , il Saggi at o re, Milano 1981,p. 88; la cit. di Mill che segue immediatamente nel testo invece tratta da p. 36.

    23 L. Scuccimarra, Kant e il diritto alla felicit, op. cit., p. 114, corsivi nel testo.24 L. Scuccimarra, Kant e il diritto alla felicit, op. cit., p. 174, corsivi nel testo.25 Scrive Mill, nel suo On liberty del 1858:non vi differenza tra imprigionare un uomo

    e impedirgli di guadagnarsi da vivere (cfr. J. S. MIll, Saggio sulla libert, trad. it. cit., p. 57).2 6 I. Kant, S c ritti politici e di fi l o s o fia della storia e del diri t t o , op. cit., p. 329, la cit. trat-

    ta dal saggio kantiano del 1795 Per la pace perpetua. Progetto filosofico.27 A questo proposito sia lecito rinviare alle considerazioni critiche svolte in dialogo diret-

    to con Ludovico Geymonat e ora consegnate alle pagine del volume L. Geymonat-F. Minazzi,Dialoghi sulla pace e la libert, Cuen, Napoli 1992, in particolare cfr. le pp. 133-61.

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