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JUS CIVILE 186 www.juscivile.it, 2015, 4 FRANCESCA FIORENTINO Dottore di ricerca in “Comparazione e diritto civile” – Università di Salerno IL CONTRATTO DI CREDITO COLLEGATO: EVOLUZIONE NORMATIVA E GIURI- SPRUDENZIALE NELLE ESPERIENZE ITALIANA E FRANCESE SOMMARIO: 1. Contratto di credito al consumo. Il dato normativo ‘preunionista’. – 2. Il dato normativo succes- sivo alle direttive comunitarie. – 3. Il contratto di credito collegato. Definizioni e rilievi disciplinari. – 3.1. Se- gue. Il ruolo della giurisprudenza: ricostruzione del fenomeno e statuizioni sul regime delle eccezioni. – 4. L’esperienza francese. 1. È fin troppo noto che il contratto di credito al consumo è, al contempo, fonte ed espressio- ne di quella società di consumi che, in assenza di esso, non avrebbe potuto svilupparsi in manie- ra così significativa dalla seconda metà del XX secolo 1 . In termini economici rappresenta un importante canale di finanziamento ed uno strumento di implementazione della circolazione di quei beni (c.d. durevoli) i cui costi generalmente oltre- passano il limite del reddito del consumatore. Costui, infatti, invece di attendere di possedere per intero la somma di denaro richiesta dal venditore o dal fornitore, ricorre al credito concesso- gli (sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione) dal finanziatore, ovvero da colui che agisce nell’esercizio della propria attività professionale. In termini giuridici il credito al consumo è stato per lungo tempo affidato unicamente all’autonomia dei privati, che, attraverso la tecnica del contratto per adesione, predisposto dalla parte forte del rapporto, davano vita ad una struttura bilaterale tra produttore e consumatore in virtù della quale il finanziatore-creditore era rappresentato dal produttore stesso (o dal commer- ciante dettagliante) del bene di consumo. I prevalenti orientamenti dottrinali nel negare la riconducibilità del fenomeno de quo nel ge- nus ‘contratti di credito’ e talvolta nel negare l’esistenza della stessa categoria dei contratti di credito, per la difficoltà di ricondurre in uno schema causale unitario e constante le diverse fatti- specie negoziali ad essa (solo) potenzialmente riconducibili 2 , si sono soffermati sull’inqua- 1 Dati e indagini statistiche sul giro d’affari che gravita intorno al fenomeno del credito al consumo sono ri- correntemente condotte dall’Associazione bancaria italiana e dalla Banca d’Italia, sono indagini stimate consi- derando a parte i mutui bancari destinati all’acquisto di abitazioni, i quali non rientrano nella definizione legi- slativa di credito al consumo; a latere, però, non si tace della contestuale e preoccupante analisi sulla crescita dell’indebitamento degli italiani, sul punto si rinvia a S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d.lgs. 13.08.2010, n. 141), in Obbl. e Contr., febbraio, 2011, p. 125; S. COSMA e S. COTTERLI, La direttiva sul credito ai consumatori: alcune implicazioni giuridiche ed economiche, in Banca Impresa Società, 2008, n. 2, p. 291 ss. 2 Il dibattito dottrinario sull’esistenza della categoria dei contratti di credito si è diffuso in Italia sulla scia di

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FRANCESCA FIORENTINO

Dottore di ricerca in “Comparazione e diritto civile” – Università di Salerno

IL CONTRATTO DI CREDITO COLLEGATO: EVOLUZIONE NORMATIVA E GIURI-

SPRUDENZIALE NELLE ESPERIENZE ITALIANA E FRANCESE

SOMMARIO: 1. Contratto di credito al consumo. Il dato normativo ‘preunionista’. – 2. Il dato normativo succes-sivo alle direttive comunitarie. – 3. Il contratto di credito collegato. Definizioni e rilievi disciplinari. – 3.1. Se-gue. Il ruolo della giurisprudenza: ricostruzione del fenomeno e statuizioni sul regime delle eccezioni. – 4. L’esperienza francese.

1. È fin troppo noto che il contratto di credito al consumo è, al contempo, fonte ed espressio-

ne di quella società di consumi che, in assenza di esso, non avrebbe potuto svilupparsi in manie-

ra così significativa dalla seconda metà del XX secolo 1.

In termini economici rappresenta un importante canale di finanziamento ed uno strumento di

implementazione della circolazione di quei beni (c.d. durevoli) i cui costi generalmente oltre-

passano il limite del reddito del consumatore. Costui, infatti, invece di attendere di possedere

per intero la somma di denaro richiesta dal venditore o dal fornitore, ricorre al credito concesso-

gli (sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione) dal finanziatore,

ovvero da colui che agisce nell’esercizio della propria attività professionale.

In termini giuridici il credito al consumo è stato per lungo tempo affidato unicamente

all’autonomia dei privati, che, attraverso la tecnica del contratto per adesione, predisposto dalla

parte forte del rapporto, davano vita ad una struttura bilaterale tra produttore e consumatore in

virtù della quale il finanziatore-creditore era rappresentato dal produttore stesso (o dal commer-

ciante dettagliante) del bene di consumo.

I prevalenti orientamenti dottrinali nel negare la riconducibilità del fenomeno de quo nel ge-

nus ‘contratti di credito’ e talvolta nel negare l’esistenza della stessa categoria dei contratti di

credito, per la difficoltà di ricondurre in uno schema causale unitario e constante le diverse fatti-

specie negoziali ad essa (solo) potenzialmente riconducibili 2, si sono soffermati sull’inqua-

1 Dati e indagini statistiche sul giro d’affari che gravita intorno al fenomeno del credito al consumo sono ri-correntemente condotte dall’Associazione bancaria italiana e dalla Banca d’Italia, sono indagini stimate consi-derando a parte i mutui bancari destinati all’acquisto di abitazioni, i quali non rientrano nella definizione legi-slativa di credito al consumo; a latere, però, non si tace della contestuale e preoccupante analisi sulla crescita dell’indebitamento degli italiani, sul punto si rinvia a S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d.lgs. 13.08.2010, n. 141), in Obbl. e Contr., febbraio, 2011, p. 125; S. COSMA e S. COTTERLI, La direttiva sul credito ai consumatori: alcune implicazioni giuridiche ed economiche, in Banca Impresa Società, 2008, n. 2, p. 291 ss.

2 Il dibattito dottrinario sull’esistenza della categoria dei contratti di credito si è diffuso in Italia sulla scia di

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dramento sistematico del fenomeno credito al consumo, fondando l’impianto teorico sul presso-

ché riconosciuto (giuridico) collegamento tra l’acquisto ed il finanziamento 3.

La valutazione della fattispecie negoziale in chiave unitaria sia da un punto di vista pretta-

mente economico-finanziario, sia da un punto di vista più propriamente giuridico, così come

l’oggettiva difficoltà di ricondurre il fenomeno all’interno di un archetipo conosciuto, non han-

no però costituito valide ragioni di intervento per il legislatore interno. Sicché la risposta ai con-

flitti sollevati dal credito al consumo, connaturali ai contrapposti interessi e alle contrapposte

posizioni economiche occupate dalle parti, ovvero dall’impresa di finanziamento e/o di produ-

zione di beni e servizi da un lato, e dall’individuo (persona fisica) dall’altro, è stata rinvenuta da

parte di dottrina e giurisprudenza sia nella disciplina generale dei contratti sia nella disciplina

del tipo contrattuale di volta in volta richiamato per affinità con tale fenomeno.

Orbene, di là da valutazioni sulla diretta proporzionalità tra l’incremento dei consumi, da un

lato, e l’indebitamento dei consumatori per soddisfarli, dall’altro, come fisiologica conseguenza

dell’operazione di credito al consumo 4, nel sistema anteriore all’intervento del legislatore co-

munitario le vicende giuridiche sottoposte all’attenzione dell’interprete attenevano, in primis, al

riconoscimento di una garanzia o di un diritto del creditore di soddisfarsi sul bene acquistato

mediante il finanziamento, in secundis, alla tutela del debitore nel caso di inadempimento del

venditore, per il rimborso delle rate di prestito, infine, al problema dell’opponibilità al finanzia-

tore delle eccezioni relative all’inadempimento del venditore nel contratto di acquisto.

Di fronte al vuoto legislativo, la risposta dell’interprete è stata rinvenuta prevalentemente

nella disciplina della vendita a rate con riserva di proprietà, la quale delinea un meccanismo di

finanziamento, analogo all’attuale contratto di credito al consumo, attraverso la separazione del

godimento immediato del bene dall’acquisto della proprietà, quale conseguenza della dilatazio-

quanto accadeva nell’ordinamento tedesco che lo ha ricondotto ad uno schema negoziale unitario sotto il profi-lo causale, c.d. Kreditvertrage. Tra gli altri, si rinvia a F. ALCARO, “Soggetto” e “Contratto” nell’attività ban-caria, Milano, 1981; con riferimento al credito al consumo, D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, Napoli, 1992.

3 F. MACARIO, Il credito al consumo, in Trattato dei contratti, I contratti dei consumatori, a cura di E. GA-

BRIELLI ed E. MINERVINI, Tomo I, 2005, p. 544, il quale riferisce che l’unitarietà della fattispecie giuridica, a dispetto dell’inerzia del legislatore, era ed è sottolineata dalla frequente appartenenza del finanziatore al mede-simo gruppo economico del fornitore ovvero dalla diretta derivazione del soggetto finanziatore dal gruppo in-dustriale o commerciale del produttore.

4 Sul problema (internazionale) del sovra-indebitamento del consumatore si rinvia, con riguardo al diritto svizzero, a BRUNNER-REHBINDER-STAUDER, Privatautonomie zweischen Konsumkredit und Insolvenz, Jahr-buch des Schweizerischen Konsumentenrechts/-annuaire de droit suisse de la consommation, Bern, 1997, p. 5; con riguardo a quello tedesco a MICKLITZ-ROTT, Credit, Overindebtedness and relief measures in Finland, Jahrbuch des Schweizerischen Konsumentenrechts/Annuaire de droit suisse de la consommation, Bern, 1997, p. 134; per la situazione francese a MORIN, Crédit à la consommation et surendettement des menage – la situa-tion en France, Jahrbuch des Schweizerischen Konsumentenrechts/Annuaire de droit suisse de la consomma-tion, Bern, 1997, p. 281; G. ALPA, Sovraindebitamento del consumatore: l’esperienza francese, in Fall., 1998, p. 954; M.C. CAPPONI, Sovraindebitamento privato e ruolo della banca: il modello francese e il diritto comuni-tario, in Econ. dir. terz., 1992, p. 457.

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ne del pagamento del prezzo. In particolare proprio l’art. 1525 c.c., che disciplina la risoluzione

del contratto in senso favorevole al compratore rateale, quale norma giudicata operante rispetto

a qualsiasi forma di acquisto supportato da un finanziamento personalizzato, è stata acriticamen-

te estesa anche a tutela del consumatore di un contratto di credito al consumo 5. La prassi con-

trattuale ha lasciato emergere, inoltre, che il finanziatore a garanzia del proprio credito iscriveva

normalmente ipoteca mobiliare (laddove legislativamente consentito) sul bene oggetto del fi-

nanziamento, al fine di tutelarsi contro eventuali ipotesi di inadempimento del debitore 6. Di-

scussa è stata invece l’applicabilità ai contratti di credito al consumo anche dell’art. 1526 c.c.,

ne veniva infatti proposta l’estensione in via analogica alla stregua della comune ratio di prote-

zione del contraente debole, che è propria tanto della disciplina della vendita con riserva di pro-

prietà quanto dell’esigenza sottesa all’auspicato intervento legislativo in materia di credito al

consumo 7. Si ipotizzava l’applicazione della norma in ipotesi di inadempimento del mutuatario

al fine di scongiurare il riconoscimento in capo al finanziatore del diritto a trattenere le rate di

mutuo già riscosse, esigere la differenza tra il valore attuale del bene e l’ammontare complessi-

vo del finanziamento, oltre ovviamente al risarcimento del danno 8.

Sicché è apparso congruo proclamare l’estensione dell’effetto risolutivo alla fattispecie con-

trattuale ‘credito al consumo’ in generale, ed al (collegato) contratto di compravendita in parti-

colare, con conseguente obbligo di restituzione del bene in capo al consumatore e di rimborso

del prezzo anticipatogli dal mutuante-finanziatore in capo al venditore 9.

Proprio la categoria giuridica del collegamento negoziale ha invece consentito all’interprete

di delineare il regime dell’opponibilità delle eccezioni, aprendo la strada al riconoscimento in

5 Si invia a S.T. MASUCCI, Commento all’art. 125 D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 841, nota 59.

6 Sul punto F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 547, il quale sottolinea che già il R.D. 15 marzo 1927, n. 436, aveva previsto l’ipotesi dell’ipoteca mobiliare iscritta sul bene acquistato mediante finanziamento personale, intesa a consentire al finanziatore di espropriare il bene nel caso di inadempimento del debitore (artt. 7 e 8).

7 Si veda Cass., 14 novembre 2006, n. 24214, secondo cui «la risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore è soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’art. 1526 c.c. con ri-guardo alla vendita con riserva della proprietà».

8 Il primo comma della richiamata norma, infatti, in ipotesi di inadempimento imputabile al compratore, di-spone la risoluzione del contratto con obbligo del venditore alla restituzione delle rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento dei danni.

9 Di là dal rilievo che il dibattito intorno all’estensione analogica dell’art. 1526 c.c. non si è placato con l’attuazione della direttiva 87/102, a causa della scelta di non procede al recepimento dell’art. 7 della medesi-ma, sicché il vuoto legislativo in ipotesi di inadempimento del mutuatario non è stato colmato, parte della dot-trina ha giudicato il ricorso all’analogia forzato ed equivoco perché la pretesa estensione del rimedio risolutivo anche al contratto collegato di compravendita appare indimostrata ed affetta da quello stesso apriorismo denun-ziato nell’esegesi dell’art. 125 del t.u.b., sicché, secondo tale dottrina, sembrerebbe opportuno il ricorso all’azione generale di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. nel caso di ingiustificati vantaggi, così S. MAZZA-

MUTO, Manuale di diritto privato europeo. Il Credito al consumo, a cura di C. CASTRONOVO e S. MAZZAMUTO, II, 2007, p. 979.

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capo al debitore (rectius: consumatore) del diritto di opporre al finanziatore l’eccezione di ina-

dempimento del venditore.

Ovviamente ci si trova in un momento storico in cui il credito al consumo ha assunto indi-

scussa struttura trilaterale attraverso l’inserimento tra il produttore-dettagliante e il consumatore

di un soggetto finanziatore, il quale entra a far parte dell’operazione economica fornendo pro-

fessionalmente il denaro necessario al consumatore per acquistare il bene. Caratteristica essen-

ziale dell’operazione di finanziamento è che la predetta somma è esclusivamente destinata

all’acquisto di quel bene, tant’è che il denaro fornito dal finanziatore viene da quest’ultimo

usualmente corrisposto in via diretta al venditore, che trova così soddisfazione del prezzo di

vendita, mentre il consumatore, quale debitore, sarà tenuto alla restituzione del finanziamento

concesso nei confronti del finanziatore/creditore 10.

In ipotesi di inadempimento del fornitore, il collegamento esistente tra il duplice rapporto

contrattuale, venditore e consumatore, da un lato, consumatore e finanziatore, dall’altro, tale da

ricondurre ad unità l’operazione economica posta in essere dalle parti, ha consentito di giudicare

illecite quelle clausole tendenti a separare i rapporti (di acquisto e di finanziamento) al solo fine

di lasciare il finanziatore indenne rispetto alle eccezioni del debitore inerenti il comportamento

del fornitore.

Si è giunti a tanto attraverso un’interpretazione della complessa operazione contrattuale sor-

retta dalla consapevole esistenza di un collegamento tra i due contratti 11, che ha consentito, in-

ter alia, di giustificare anche talune conseguenze in punto di effetti del contratto. Si è detto, in-

fatti, che «il finanziatore, se non può dirsi parte del contratto al quale è rimasto fedelmente

estraneo, tuttavia non può dirsi neanche “terzo” ai sensi e ai fini dell’art. 1372 c.c.: egli ha in-

fatti un interesse proprio nell’operazione tale che alcuni degli effetti del contratto di fornitura

possono prodursi anche nei suoi confronti» 12.

10 A sottolineare la posizione di debolezza del consumatore, sin dalla struttura dell’operazione, è R. TORI-

NO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, Torino, 2010, p. 150, il quale sottolinea l’insidiosa posizione del consumatore derivante della compresenza di due rapporti contrattuali (collegati tra loro), fra venditore e consumatore e fra consumatore e finanziatore, in quanto il consumatore tenterà di concentrare la propria atten-zione sul primo rapporto contrattuale, che gli consente di acquisire il bene o il servizio desiderato, mentre pre-sumibilmente minore attenzione egli dedicherà al contenuto del contratto di finanziamento (solitamente caratte-rizzato da un significativo tecnicismo), meramente strumentale al conseguimento del bene e del servizio altri-menti per lui irraggiungibili.

11 Si ricorda, sul punto, quanto precisato da G. OPPO, La direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Riv. dir. civ., II, 539, 1987, p. 13, secondo cui «l’interprete non può non rispettare l’identità e autonomia delle fattispecie negoziali tipiche e non gli è dato di confonderle in una fattispecie (unitaria) atipica, sia pure costante di una pluralità di elementi tipici. Nella specie – continua l’a. – non è dato annullare l’identità del contratto di “vendita” (o di locazione o altro) né quella del contratto di “prestito”; il che significa che il concorrere di queste due componenti nell’operazione economica che interessa va “costruito” in termini non di unità ma di collega-mento negoziale».

12 Sono le parole di G. FERRANDO, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di con-tratti, in Riv. dir. comm., 1992, p. 607; in tema si rinvia anche a F. MAIMERI, Prime riflessioni sulla proposta di direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Banca Impresa Società, 1987, p. 439.

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Sicché è stato correttamente osservato che nella disciplina anteriore all’intervento del legisla-

tore comunitario i dibattiti dottrinali e giurisprudenziali gravitati intorno al fenomeno del credito

al consumo, sono giunti, da un lato, a riconoscere al debitore la tutela offerta dall’art. 1525 c.c.,

dall’altro a sottoporre ad unitaria interpretazione il complesso regolamento negoziale, alla stre-

gua della categoria dogmatica del collegamento negoziale, sì da coinvolgere anche il finanziato-

re nelle vicende relative al contratto di acquisto, ritenendo contrarie a buona fede e correttezza

le clausole di inopponibilità al finanziatore delle eccezioni di inadempimento imputabili al for-

nitore del bene o del servizio 13.

2. Dalla maggior parte dei legislatori degli Stati europei, tra i quali invero non si colloca il no-

stro, è stata avvertita l’esigenza di introdurre regole funzionali a tutelare il consumatore di fronte

al corrente uso, registrato negli anni, del credito al consumo. Il legislatore comunitario nel primo

considerando del suo primo intervento in materia (realizzato con la direttiva 87/102/CEE) 14 osser-

vava che “esistono notevoli divergenze nelle legislazioni degli Stati membri in materia di credito

al consumo”, pertanto con esso ha inteso ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e

amministrative degli Stati membri sul tema. Come in ogni direttiva che si rispetti, anche in quella

menzionata, con i differenti ‘considerando’ il legislatore europeo ha motivato il proprio provve-

dimento dando conto degli interessi che lo hanno indotto ad uniformare le discipline degli Stati

membri in materia, interessi preordinati al miglior funzionamento del mercato interno a vantaggio

sia degli operatori economici professionali sia dei consumatori 15.

13 In tal senso F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 550, il quale sul punto richiama la meticolosa analisi comparatistica di G. PIEPOLI, Il credito al consumo, Napoli, 1976, p. 31 ss., che nel porre l’accento sul sistema convenzionale di attribuzione del rischio mediante la predisposizione di clausole di decadenza dal beneficio del termine nel caso di inadempimento dell’acquirente/debitore, lo confrontava con la disciplina dello stesso fenome-no all’epoca vigente negli altri ordinamenti, in particolare con quello tedesco e statunitense. L’a., nonostante una risalente pronuncia della Corte di legittimità avesse escluso l’applicabilità dell’art. 1525 c.c. al rapporto tra con-sumatore e finanziatore, per la specialità della norma sostenendo la sua riferibilità soltanto alle vendite rateali con riserva della proprietà (Cass., 18 giugno 1956, n. 2165, in Dir. giur., 1956, p. 621), riteneva che i ‘finanziamenti personali’ connessi all’acquisto di beni di consumo durevoli o di servizi, da intendersi naturalmente in un’accezione molto più ampia che in passato, occupassero il medesimo spazio in cui un tempo operava la vendita rateale con riserva di proprietà, espressione di un’operazione economico-finanziaria piuttosto elementare. Quanto invece alle clausole di esonero della responsabilità del finanziatore ovvero di inopponibilità delle eccezioni relati-ve al rapporto con il fornitore, l’a. affermava che «i criteri di individuazione e di attribuzione del rischio inerenti all’impiego di esse non possono ritenersi operanti, dal momento che il progetto del finanziatore esprime un inte-resse non meritevole di tutela, ponendosi l’utilizzazione di tali clausole come contraria all’ordine pubblico».

14 Direttiva 87/102/CEE del Consiglio del 22 dicembre 1086, in GU 12 febbraio1987, L 42, pp. 48-53; per un’attenta analisi B. MEOLI e L. EGIZIANO, Artt. 40-43, in Commentario al codice del consumo, Inquadramento sistematico e prassi applicativa, a cura di P. STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, 2006, p. 357 ss. Va precisato che la tutela del consumatore, all’interno dell’ordinamento comunitario, è stata considerata principio destinato ad acquistare piena vincolatività giuridica a seguito del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007.

15 In tal senso si è espressa altresì la Corte di giustizia CE nelle sentenze pronunciate nella causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei AG e Andreas Siepert, 2000, par. 20, e nella causa C-264/02, Cofinoga Mérignac Sa e

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Prescindendo volutamente dalle critiche (o anche giustificazioni) mosse nei confronti del le-

gislatore italiano di fronte al vuoto legislativo nel quale ha dovuto operare il credito al consumo

prima dell’intervento comunitario, è questa la sede per anticipare che proprio taluni lineamenti

dell’esperienza francese, inglese e tedesca si sono rilevati anticipatori della stessa direttiva

87/102. Secondo quello che è stato definito «il consueto modo di formazione del diritto privato

comunitario (oggi europeo)», anche in tal caso il legislatore ha usufruito delle esperienze matu-

rate in quei paesi dell’Unione già dediti alla disciplina del credito al consumo. Si intendono in-

fatti sin da subito sintetizzare i punti essenziali del testo normativo comunitario, precisando che

lo stesso è stato recepito in Italia con la legge n. 142/1992, le cui norme sono di poi confluite

negli artt. 121-128-bis del Testo Unico Bancario (t.u.b.) e negli artt. 40-44 cod. cons. 16. La scel-

ta del legislatore interno di far convergere la normativa di attuazione nel Testo Unico Bancario è

stata da taluni letta come il tentativo di dare una collocazione sistematica alla medesima, sebbe-

ne a carattere ‘speciale’ 17.

Dopo le rituali regole definitorie, di cui all’art. 1, il legislatore comunitario si premura di indi-

care, in maniera piuttosto dettagliata, il tasso anno effettivo globale (TAEG); i casi di esenzione,

dando una definizione del contratto in negativo che si snoda in un lungo elenco (art. 2); la pubbli-

cità (art. 3); la forma e il contenuto del contratto (art. 4); la concessione di credito sotto forma di

anticipi su conto corrente (art. 6); il recupero del bene (art. 7); la facoltà di adempimento anticipa-

to da parte del consumatore (art. 8); la cessione del credito o del contratto a terzi (art. 9); il paga-

mento o la garanzia a mezzo di titoli cambiari (art. 10); i diritti del consumatore nei confronti, ri-

spettivamente, del fornitore e del creditore (art. 11); le autorizzazioni ed i controlli sull’attività di

concessione del credito o di intermediazione (art. 12); la trattazione di reclami e assistenza ai con-

sumatori (art. 12); le misure contro l’elusione della normativa (art. 14) 18.

Ciò che consente di distinguere questo fenomeno da altri aventi simile caratteristiche, tra cui

Sylvain Sachithanathan, 2004. A richiamare gli ulteriori e successivi ‘considerando’ è R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, cit., p. 151, al quale si rinvia.

16 S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 955, il quale sottolinea che se taluni ordina-menti hanno reagito alla nuova fenomenologia modificando le tecniche di protezione del sovvenuto acquirente nel rapporto trilaterale, l’Italia si è presentata in forte ritardo persino all’appello comunitario e l’adeguamento si deve, con buona probabilità, al passaggio dell’attività bancaria dal regime pubblicistico al mercato, sempre im-posto dall’Unione Europea.

17 La disciplina del credito al consumo è stata collocata nel Titolo VI del Testo unico, riferito alla “traspa-renza delle condizioni contrattuali”, con conseguente applicazione, anche per mezzo dell’art. 115, comma 3, delle norme dettate per le operazioni e i servizi bancari e finanziari.

18 Lo sforzo del legislatore sovranazionale si inserisce in quel programma di azione comunitaria in materia di politica dei consumatori introdotto con la decisione n. 1926/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio adottata in data 18 dicembre 2006 per il periodo compreso tra il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2013 avente lo scopo di a) integrare, appoggiare e controllare le politiche degli Stati membri, contribuendo alla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori e alla difesa dei loro interessi eco-nomici e giuridici, b) contribuire alla promozione del diritto dei consumatori all’informazione, all’edu-cazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei loro interessi.

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si colloca il leasing finanziario, è inter alia la partecipazione all’operazione economica de qua

proprio del soggetto consumatore, che il nostro legislatore definisce all’art. 121 del t.u.b. secon-

do uno standard normativo oramai perfettamente collaudato a livello di disciplina europea dei

rapporti tra i privati 19. Vieppiù la maggiore precisione del legislatore comunitario rispetto alla

normativa interna di attuazione laddove l’art. 1 della direttiva scompone la definizione in esame

in due parti, riferite, la prima, al soggetto finanziatore (ovvero al ‘creditore’, quale persona fisi-

ca o giuridica che concede un credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale,

ovvero un gruppo di persone), la seconda, al negozio giuridico posto in essere, il contratto di

credito, intendendosi per tale il contratto in base al quale il creditore concede o promette di con-

cedere un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilita-

zione finanziaria.

Il nostro legislatore si allontana parzialmente dalla soluzione comunitaria anzidetta e delimi-

ta l’ambito di applicazione della normativa attraverso una definizione che ha indotto la dottrina

a soffermarsi su tre elementi caratterizzanti. In primo luogo, l’operazione economica oggettiva-

mente considerata, ed è il caso di ricordare che proprio da un punto di vista oggettivo essa con-

siste «nella concessione nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale di credito sot-

to forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di analoga facilitazione finanziaria». Da

un lato, dunque, viene meno la mera “promessa” di credito, presupponendo l’art. 121, sul piano

letterale, l’avvenuta conclusione del contratto, dall’altro, l’espressione “attività commerciale o

professionale” pare ampliare il raggio di azione della fattispecie, come si desume più esplicita-

mente anche dal successivo riferimento all’“analoga” facilitazione finanziaria. Sicché non è

mancato chi vi ha sussunto lo schema del leasing traslativo, lo schema del mutuo di scopo e fi-

nanche le convenzioni per l’utilizzazione della carta di credito ovvero i prestiti concessi dalle

finanziarie a fronte della cessione del quinto dello stipendio 20.

Il secondo elemento caratterizzante si concentra sul profilo soggettivo della fattispecie nor-

mativa, limitandosi però alla sola qualifica di consumatore dell’acquirente-finanziato. La defini-

zione dello stesso, quale «persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditorie

o professionale», da un lato, rappresenta motivo di interesse per la soluzione restrittiva scelta

19 La definizione riflette le definizioni presenti nelle diverse direttive in tema di protezione del consumato-re, riprodotte, sostanzialmente senza modifiche, dalla normativa interna di attuazione. A titolo esemplificativo si richiama l’art. 2 direttiva 1993/13 CEE, relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GUCE 21 aprile 1993, L 95/29), ripreso dall’art. 1469-bis, comma 2, c.c. (introdotto dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52, legge comunitaria per il 1994); con le necessarie varianti del caso, l’art. 2 della direttiva 1990/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso” (GUCE 23 giugno 1990, L 158/59) riprodotto nell’art. 5, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111; l’art. 2 della direttiva 1985/577/CEE, relativa ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali (GUCE 31 dicembre 1985, L 371/31), ripreso nell’art. 2, d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50; l’art. 2 della direttiva 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GUCE 4 giugno 1997, L 144/19).

20 Si rinvia a S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 960 nonché, ancora una volta, a F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 561 ss., ed ivi i riferimenti dottrinali.

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dal legislatore, che limita la tutela alla persona fisica, dall’altro, muove verso il terzo ed ultimo

elemento caratterizzante, il profilo funzionale.

Quest’ultimo è rappresentato dallo ‘scopo’ in forza del quale il consumatore agisce, che ha

indotto la dottrina a porsi interrogativi di ordine sistematico, riprendendo i concetti normativi di

causa e motivo del contratto.

Se questo è stato il confine applicativo delineato dal legislatore interno in attuazione degli

obblighi comunitari, senza soffermarsi (almeno per ora) sugli altri contenuti comunitari ed in-

terni della normativa, va detto che un’indagine condotta dalla Commissione a metà degli anni

’90 aveva già evidenziato come la legislazione in essere non avesse favorito l’armonizzazione

delle regole né la crescita di un mercato unico del credito al consumo. Tant’è che a questo ini-

ziale provvedimento comunitario in materia, già emendato in due occasioni 21, ha fatto seguito

un intervento di modifica mediante una nuova direttiva che già da sei anni era oggetto di nego-

ziazione tra gli Stati membri 22.

Modificando il trend fino a quel momento seguito dal legislatore ‘consumeristico’ europeo,

la nuova direttiva segna il passaggio dalla tecnica legislativa di armonizzazione minimale, di cui

all’art. 15 della direttiva 87/102, alla tecnica della armonizzazione piena, c.d. full harmoniza-

tion 23. Con la direttiva 2008/48/CE infatti il legislatore europeo di fronte al non felice risultato

raggiunto con il precedente intervento, evidenziando la necessità di garantire ai consumatori di

beneficiare della crescente disponibilità di credito trasfrontaliero 24, ha dichiarato espressamente

di facilitare la realizzazione di un mercato unico del credito attraverso una uniformazione com-

pleta delle legislazioni nazionali.

Non viene più imposto agli Stati membri una soglia minima di tutela con facoltà di mantene-

re al loro interno regole nazionali capaci di garantire un livello di protezione diverso, sebbene

più elevato rispetto a quello inseguito in sede comunitaria, ma si mira ad un’armonizzazione

piena, completa, che sembra profilarsi come più consona agli obiettivi perseguiti 25.

21 Direttiva 90/88/CEE del Consiglio del 22 febbraio 1990 che modifica la direttiva 87/102/CEE, in GU 10 marzo 1990, L 61, pp. 14-18 e direttiva 98/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, in GU 1 aprile 1998, L 101, pp. 17-23.

22 Nel 2002 è stata emanata la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’ar-monizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito ai consumatori COM/2002/0443 (11 settembre 2002), in GU 31 dicembre 2002, C 331E, pp. 200-248.

23 La nuova tecnica legislativa rinviene il suo fondamento normativo nel solo art. 95 del Trattato CE (oggi, art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).

24 Come si desume dal quarto considerando della medesima. 25 La nuova tecnica del legislatore europeo, però, sin da subito non è stata esente da critiche, in particolare

se ne è affermata l’incompatibilità rispetto al principio di sussidiarietà, di cui all’art. 5 Trattato UE. Si è ritenu-to in proposito che il costante confronto tra le molteplici soluzioni elaborate dai diversi Stati costituisca un pre-zioso laboratorio di esperienze giuridiche da cui trarre continui spunti di miglioramento. Proprio con riferimen-to alla tutela dei consumatori, la dottrina ha colto l’occasione per ribadire come la diversificazione tra gli ordi-namenti giuridici nazionali non sia un pericolo, ma un’opportunità, e per affermare che la tecnica dell’ar-monizzazione minimale sia l’unica propriamente compatibile con il disegno di integrazione giuridica tra gli

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Le premesse però non sono risultate coerenti con le conclusioni.

Il legislatore italiano, infatti, invece di novellare la precedente normativa di attuazione alla

stregua delle nuove tecniche di tutela e di protezione introdotte, ha dato luogo ad una riforma

complessiva dell’intera materia, tra l’altro con un certo margine di discrezionalità, lasciato ai

legislatori interni non tanto intenzionalmente quanto casualmente a causa di non trascurabili la-

cune normative. Non è stata colta l’occasione, da parte del nostro legislatore, di concentrare nel

solo codice del consumo l’intera disciplina della fattispecie normativa in esame. Con il d.lgs. 13

agosto 2010 n. 141 reso in attuazione della richiamata direttiva, infatti, da un lato è stato novel-

lato il Titolo IV, Capo II, t.u.b., dall’altro sono state apportate modifiche al codice del consumo,

sostituendo l’art. 67, comma 6, ed abrogando gli artt. 40, 41, 42 e parte dell’art. 38.

E dunque non stupisce la nuova lettura dell’art. 121 del t.u.b., coerente con una rivisitazione

organica della disciplina che giunge finanche a modificarne l’ambito di operatività. Ebbene di là

dagli aspetti, per così dire, economici, che già di per sé ampliano il novero dei contratti interes-

sati 26, la nuova (o le nuove) definizioni hanno consentito di risolvere incertezze interpretative

inerenti finanche il raggio di azione della fattispecie normativa. Il legislatore ‘scinde’ (secondo

una tecnica percepibile anche ad ‘occhio nudo’) il profilo soggettivo della fattispecie da quello

oggettivo.

Dal primo punto di vista, però, va segnalato che la definizione di ‘consumatore’ non muta ri-

spetto alla precedente formulazione. Per quanto invece attiene al profilo oggettivo viene definito

il “contratto di credito” come quel «contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a

concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di

altra facilitazione». Viene meno dunque, in coerenza con l’impianto comunitario, il riferimento

alla «concessione di credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale», però, nel

contempo, non si tradisce il fine che probabilmente aveva mosso il precedente legislatore verso

l’utilizzo della predetta espressione, e di cui si è detto. Pare infatti che la dottrina, supportata da

una nozione generale di credito al consumo, non dubita sulla estensione della particolare tutela

apprestata dal legislatore ad una serie di rapporti contrattuali intercorrenti tra finanziatori e con-

sumatori. Si tratta di schemi contrattuali, tipici ed atipici, tutti caratterizzati da una comune fina-

lità di ‘finanziamento’, realizzata tramite l’approntamento di mezzi finanziari con relativo ob-

bligo di restituzione del tantundem 27.

Stati Membri. Così P. SIRENA, L’inderogabilità delle disposizioni della direttiva e il rapporto con la disciplina sulle clausole abusive, in La nuova disciplina europea del credito al consumo, a cura di DE CRISTOFARO, Tori-no, 2009, p. 179 ss. Per un’attenta analisi della direttiva 2008/48/CE, si rinvia a T. FEBBRAJO, La nuova disci-plina dei contratti di credito “al consumo” nella Dir. 208/48/CE, in Giur. it., 1, 2010.

26 Si consideri che le nuove regole si applicano ai contratti di credito di importo tra i 200 e i 75 mila euro, elevando così il precedente limite di 31 mila euro.

27 Per quanto riguarda il credito finalizzato all’acquisto di uno specifico bene, le tipologie contrattuali più diffuse sono tendenzialmente quattro, i mutui di scopo, i crediti su pegno, le vendite a rate con riserva di pro-prietà, i contratti di leasing c.d. traslativo (o al consumo); per quanto riguarda il credito diretto, categoria che

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Per quanto concerne i profili innovativi introdotti dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in una

prospettiva che mira altresì ad accentuare la tutela del consumatore, essi riguardano, in estrema

sintesi, i contenuti essenziali della pubblicità dei contratti di credito, gli obblighi precontrattuali

gravanti sui creditori e sugli intermediari del credito, la forma e il contenuto del contratto, gli

obblighi informativi gravanti sui creditori nel corso dell’esecuzione del contratto, il diritto di re-

cesso del creditore e del consumatore, l’anticipato pagamento dell’intero debito gravante sul

consumatore, le eccezioni opponibili dal consumatore al cessionario in caso di cessione dei di-

ritti derivanti dal contratto di credito, il metodo di calcolo del TAEG, infine la disciplina dei

contratti di credito collegati 28.

3. Tra gli aspetti della normativa dei contratti di credito ai consumatori che la nuova direttiva

si è proposta di uniformare si inserisce il profilo del collegamento del contratto di credito con il

contratto per la fornitura al consumatore di beni o servizi, profilo che, nell’ottica dell’armoniz-

zazione minimale propria del precedente intervento comunitario, risentiva dei differenti regimi

giuridici nazionali.

Nel tentativo, dunque, di superare l’insufficienza del vecchio art. 11 della direttiva 87/102, e di

dissipare i dubbi intorno alla definizione dei criteri identificativi del collegamento funzionale tra le

due fattispecie negoziali, con il nuovo testo normativo il legislatore europeo ha definito il “contratto

di credito collegato” qualificandolo come quel contratto che «serve esclusivamente a finanziare

un contratto relativo alla fornitura di merci specifiche o alla prestazione di servizi specifici»,

vieppiù precisando che il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni e servizi devono

«oggettivamente costituire un’unica operazione commerciale», ritenendo esistente un’unica ope-

razione commerciale «quando il fornitore o il prestatore stesso finanzia il credito al consumo op-

pure, se il credito è finanziato da un terzo, qualora il creditore ricorra ai servizi del fornitore o del

prestatore per la conclusione o la preparazione del contratto di credito o qualora le merci specifi-

che o la prestazione di servizi specifici siano esplicitamente indicati nel contratto di credito».

Il legislatore sovranazionale nel definire il contratto di credito collegato, la cui esistenza è

raggruppa i prestiti erogati senza vincoli di destinazione, le tecniche contrattuali attraverso cui esso viene rea-lizzato sono essenzialmente tre, i prestiti personali, concessi direttamente al consumatore dalla banca o dalla società finanziaria; i prestiti garantiti dalla cessione di un quinto dello stipendio, i finanziamenti erogati me-diante l’emissione di una carta di credito revolving.

28 Sui singoli aspetti della normativa il rinvio è alle seguenti letture R. TORINO, Lezioni di diritto europeo dei consumatori, cit., p. 155 ss.; G. CARRIERO, Dal credito al consumo al credito ai consumatori, in Le società, 2007, p. 457; ID., Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee di indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, 5, p. 509; G. DE CRISTOFORO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali con-cernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, in Riv. dir. civ., 2008, p. 255; M. DE POLI, Le regole di comportamento dei “creditori” nella direttiva 2008/48CE in materia di credito al consumo, in Di-ritto della banca e del mercato finanziario, 2009, p. 1.

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stata subordinata alla presenza contestuale di due presupposti, è giunto altresì a definire il con-

cetto di unica operazione commerciale, rispondendo, con ogni probabilità, a quella già richiama-

ta e oramai invalsa ‘letteratura giuridica’ che da anni, nel discorrere di operazioni contrattuali

complesse, si avvaleva della predetta espressione. Si è di fronte, dunque, ad un regolamento

contrattuale complesso, dal legislatore qualificato come unica operazione commerciale.

Se in passato si ravvisava l’operazione di credito al consumo in presenza di una pluralità di

rapporti, necessariamente mediati da differenti regolamenti contrattuali bilaterali, che presuppo-

nevano la irrinunciabile presenza di un terzo soggetto (il finanziatore), ora il legislatore, si badi

bene comunitario, ha esplicitamente ammesso l’esistenza dell’operazione anche allorquando è

lo stesso fornitore o prestatore a finanziare il credito al consumo 29.

La scelta del legislatore si pone in piena coerenza con l’oramai consolidata esigenza di inter-

pretare e qualificare il regolamento contrattuale alla stregua degli interessi di cui le parti contrat-

tuali sono portatrici, con esclusione di qualsivoglia tentativo di rifuggire in maglie ristrette che

definiscono strutturalmente e irrimediabilmente il fenomeno, escludendone la rilevanza in fatti-

specie differenti. D’altronde lo studio del collegamento negoziale è gravitato originariamente

intorno a fenomeni a struttura meramente bilaterale, la prospettiva dello stesso è stata infatti al-

largata a fattispecie trilaterali solo in un momento successivo.

Parte della dottrina però è giunta a negare l’utilità della teorica del collegamento negoziale in

ipotesi di collegamento tra negozi imposto dal legislatore, altra parte, invece, sottolineando la

fonte dottrinale e giurisprudenziale dell’istituto, ha ravvisato nel primo aggancio normativo ov-

vero nel primo intervento legislativo che ne ha sancito l’ufficiale ingresso nell’ordinamento ita-

liano, un non trascurabile valore 30. Sul punto è stata citata proprio la legge 6 febbraio 1996 n. 6

che ha introdotto i contratti dei consumatori, novellando nel contempo il codice civile (artt.

1469 bis-1469-sexsies), le cui disposizione ora sono confluite nel codice del consumo (artt. 33-

37), l’esplicito riferimento al collegamento negoziale, frutto di tale intervento normativo ‘impo-

sto’ dal legislatore comunitario 31, oggi lo si rintraccia nell’art. 34 cod. cons. che stabilisce «che

29 Di diverso avviso è S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori, cit., p. 132, il quale sottolinea che la problematica del collegamento negoziale che riguarda principalmente i contratti di credi-to finalizzati all’acquisto di uno specifico bene, deriva dalla natura trilaterale che contraddistingue la maggior parte di tali operazioni finanziare, tipico esempio è il mutuo di scopo. Così altresì M. COGNOLATO, Il credito finalizzato: il credito al consumo, in Obbl. e contr., febbraio, 2006, p. 156 ss., il quale testualmente precisa che il credito al consumo costituisce, ove si sostanzi in un rapporto trilaterale, manifestazione del fenomeno del collegamento negoziale.

30 A negare l’utilità alla categoria dogmatica del collegamento nell’ipotesi di cui al menzionato art. 34 è N. IR-

TI, Note introduttive, in F. CARPI, I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, p. 7, il quale precisa che senza scomodare la specificità della figura del contratto collegato allo stesso risultato avrebbero condotto i cri-teri generali di interpretazione del contratto. Contraria e nel senso anzidetto è la tesi di V. BUONOCORE, Contratti d’impresa e collegamento negoziale, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Quad. riv. tri. dir e proc. civ., Milano, 2007, p. 19, il quale precisa che specie nel caso previsto dall’art. 34 cod. cons. può discorrersi solo di ri-conoscimento normativo del collegamento e non di statuizione di un caso di collegamento negoziale.

31 Il riferimento è alla nota direttiva 5 aprile 1993, 93/13.

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la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto del bene o del servizio oggetto del con-

tratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti e alle altre cause del contratto medesimo

o di altro collegato o da cui dipende».

Sicuramente l’intervento del legislatore pone all’interprete interrogativi differenti rispetto a

quelli che genera una fattispecie di collegamento negoziale funzionale, ma, in linea con l’ultimo

orientamento richiamato, il testo normativo, che oggi si arricchisce con quello che potrebbe de-

finirsi un vero e proprio caso di collegamento negoziale tipico, seppur relegato in un ‘contesto

normativo speciale’, costituisce un valore aggiunto per la risoluzione delle ‘classiche’ problema-

tiche che origina il collegamento funzionale.

Il legislatore, dal canto suo, ha riconosciuto l’unicità dell’operazione proprio laddove quel

carattere unitario era già stato postulato da dottrina e giurisprudenza, e, in quell’ottica consume-

ristica che lo ha spinto ad intervenire, ha introdotto una disciplina altresì finalizzata a regolare

gli effetti giuridici nascenti dall’operazione di credito al consumo, con particolare riferimento

alle ipotesi di inadempimento del contratto di cessione di beni o di servizi imputabili sia al con-

sumatore, mediante l’interruzione del pagamento dei ratei dovuti, sia al fornitore, per mancata

consegna, vizi, diversità della cosa e simili.

Prima di soffermarsi sul profilo che maggiormente scuote la categoria dogmatica de qua,

va segnalato che la definizione di contratto di credito collegato recepita dal nostro legislatore

(art. 121, comma 1, lett. d), t.u.b.), nell’omettere qualsiasi riferimento al concetto di ‘unica

operazione commerciale’, subordina l’esistenza del collegamento tra le due fattispecie nego-

ziali, alla alternativa presenza dei seguenti requisiti: a) che il finanziatore si sia avvalso del

“fornitore del bene o prestatore del servizio” per promuovere o concludere il contratto di cre-

dito (omettendo così ogni riferimento al caso ipotizzato dal legislatore sovranazionale del cre-

dito al consumo finanziato dallo stesso fornitore o prestatore del bene o del servizio); b) che il

bene o il servizio specifici siano stati esplicitamente individuati anche nel contratto di credi-

to 32. Così disponendo il legislatore, con l’ausilio del pari organo sovranazionale, ha fugato

ogni dubbio sui criteri identificativi del collegamento negoziale in ipotesi di credito al consu-

mo, confermando quell’orientamento che negava che la semplice consapevolezza da parte

dell’istituto di credito del ‘prestito finalizzato’ nonché la diretta erogazione della somma og-

getto del finanziamento da parte del venditore, fossero di per sé sufficienti a rilevare l’esi-

stenza di un nesso tra l’operazione di credito ed il contratto di compravendita 33.

32 È stato sul punto precisato che il fatto che i richiamati requisiti siano considerati fra loro alternativi com-porta che, affinché un contratto di credito al consumo e un contratto di fornitura di beni o di servizi vengano considerati collegati, è sufficiente lo svolgimento, da parte della banca, di attività di promozione dei propri prodotti, senza la necessità che tale circostanza venga formalizzata in un accordo espresso tra banca e fornitore, ovvero che l’erogazione del finanziamento avvenga direttamente a favore del fornitore medesimo, E. CARGNIEL e G. DE VELLIS, Disciplina del credito ai consumatori: nuovi “strumenti di trasparenza” e forma dei contratti bancari, in Resp. civ. e prev., 2012, 1, p. 312.

33 Sul punto si segnala F. VITELLI, Mutuo di scopo e clausola di destinazione (nota a Cass., 8 luglio 2004, n.

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Sicché, oggi, la sola presenza di almeno uno dei criteri menzionati determina l’applicazione

al contratto di finanziamento delle disposizioni previste dagli artt. 125 quinquies t.u.b. e 67 cod.

cons., inerenti rispettivamente l’inadempimento del fornitore ed il diritto di recesso del consu-

matore dal contratto di fornitura di beni o di servizi.

E dunque, considerato che il valore del nesso giuridicamente rilevante tende ad esaltarsi nei

momenti patologici in cui versa la fattispecie contrattuale, un leggero passo all’indietro induce a

precisare che nell’intervento anteriore alla direttiva 48/2008, un riferimento normativo, seppur non

testuale, al collegamento negoziale tra il contratto di acquisto del bene ed il contratto di finanzia-

mento si rintracciava negli artt. 121 ss. della legge bancaria e nell’interpretazione giurisprudenzia-

le di tali norme. La disciplina dell’inadempimento del consumatore era contenuta (ma lo è

tutt’ora) nell’art. 125, rubricato “disposizioni varie a tutela dei consumatori”, con il quale era stata

risolta una delle più risalenti questioni che la dottrina aveva esaminato allorché il credito al con-

sumo era ben lontano da una regolamentazione legislativa, essa infatti ammetteva l’applicabilità

dell’art. 1525 c.c. alle operazioni caratterizzate dalla concessione di un ‘diritto reale di garanzia’

sul bene acquistato con il denaro ricevuto in prestito 34. La scelta legislativa nel senso

dell’applicabilità dell’art. 1525 c.c., sebbene avesse finito per essere limitata alle fattispecie di ac-

quisto di beni mobili registrati, fu definita del tutto coerente con la ratio legis del provvedimento

normativo. La tutela dell’acquirente/consumatore infatti è emersa parallelamente al riconoscimen-

to della rilevanza giuridica del collegamento fra i contratti, pur non dichiarato espressamente dal

legislatore 35, e con la costatazione della funzione sostanziale di pagamento del prezzo che

l’obbligazione fondamentale del debitore riveste (insieme a quella giuridico-formale di rimborso

12567), in Giur. it., 2005, p. 1407, con tale sentenza i giudici di legittimità hanno dato rilievo, in quanto possi-bili indizi della mancanza di un collegamento, alle seguenti circostanze: a) la presenza di una clausola contrat-tuale volta a chiarire che il ruolo della Banca era estraneo al rapporto commerciale con il venditore (clausola che, nel caso di specie, aveva il seguente tenore letterale “il ruolo della Banca è esclusivamente limitato alla erogazione del credito per cui il sovvenuto riconosce la totale estraneità della Banca dal rapporto commerciale con il venditore e da qualsiasi altro rapporto ad esso collegato, sussistente con terzi”); b) il fatto che il contratto di compravendita fosse già stato concluso con il venditore prima dell’erogazione del mutuo e che il finanzia-mento fosse quindi venuto in un momento separato e successivo.

34 Il riferimento è in particolare all’acquisto dell’autoveicolo assistito dall’ipoteca iscritta dal concedente il credito (ove occorra su rilascio di apposito mandato da parte del cliente), a garanzia del rimborso del prestito della società finanziaria ovvero dell’istituto di credito interessato all’operazione, secondo la disciplina prevista dal R.D. 15 marzo 1927, n. 436 e dal R.D. 29 luglio 1927, n. 1814, che copre normalmente l’importo corri-spondente al “totale da versare”, così F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 645; sostiene invece S. PELLE-

GRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori, cit., p. 135, che ben pochi contratti di finanzia-mento prevedono sia una garanzia reale in capo al venditore che la previsione di un rimborso rateale in capo al consumatore, e ciò sul presupposto che la garanzia reale de qua viene a identificarsi nella creazione di un pe-gno sul bene acquistato con il finanziamento, solo in tal caso infatti lo spossessamento del bene ex art. 2786 c.c. annullerebbe l’utilità stessa per il consumatore di indebitarsi pur di acquistare immediatamente la disponibilità del bene.

35 In senso diverso si è mosso il legislatore tedesco che, con l’intitolazione del § 9 del VerbrKrg, fa esplicito riferimento ai “Verbundene Rechtsgeschafte”.

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del finanziamento). Come già precisato, l’art. 1525 c.c., dettato in materia di vendita a rate con ri-

serva di proprietà, tutela l’acquirente, stabilendo che il mancato pagamento di una sola rata, che

non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, con la conseguen-

za che il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive. Era ne-

cessario, dunque, il mancato pagamento di almeno due rate perché il venditore potesse dichiarare

risolto il contratto ed esigere immediatamente l’intero ammontare del prezzo 36.

Va immediatamente precisato che la legge di attuazione n. 141/2010, novellando l’art. 125

t.u.b., ha eliminato il richiamo alla tutela ex art. 1525 c.c. e contestualmente il riferimento ai

contratti con cui sia stato concesso un diritto reale di garanzia sul bene acquistato. La scelta si

connota di ragionevolezza se si considera, da un lato, il limitato ambito operativo della tutela

nella precedente formulazione, dall’altro, l’uso invalso nella prassi contrattuale e ad opera degli

enti finanziatori di prevedere la clausola che riconosce al finanziatore di dichiarare la decadenza

del consumatore dal beneficio del termine a seguito del mancato pagamento di almeno due rate,

e ciò a prescindere dalla costituzione di una garanzia reale 37.

Con riferimento, invece, all’inadempimento del fornitore di beni e servizi, il vecchio art.

125, comma 4, (di poi confluito nell’art. 42 cod. cons. introdotto con d.lgs. 6 settembre 2005, n.

206) ha riconosciuto nel fenomeno del collegamento la vera chiave di lettura delle operazioni de

quibus, il finanziatore infatti assume il rischio dell’inadempimento del fornitore in una prospet-

tiva orientata (almeno nelle intenzioni) alla tutela del consumatore. Si tratta invero di una re-

sponsabilità “nei limiti del credito concesso” di tipo sussidiario, responsabilità estesa anche al

terzo al quale il finanziatore abbia ceduto i diritti derivati dal contratto di credito (art. 125,

comma 5). Essa infatti è stata subordinata al doppio presupposto della previa costituzione in

mora del venditore inadempiente e della sussistenza di un accordo che attribuisca al finanziatore

l’esclusiva per la concessione del credito ai clienti del fornitore 38.

Non vi è stato chi non ha rinvenuto nella seconda condizione menzionata evidenti limiti ope-

rativi e di efficacia della tutela disposta dal legislatore in considerazione della evidente difficoltà

per il consumatore (giuridicamente indifferente rispetto alla vicenda) di venire a conoscenza de-

gli eventuali accordi di esclusiva fra finanziatore e fornitore, nonché dell’evidente facilità per

questi ultimi di aggirare il dettato normativo, potendo evitare con estrema scaltrezza, seppur in

modo apparente o molto limitato, ogni rapporto di esclusiva. Tant’è che proprio nelle limitazio-

36 La prassi contrattuale era quella di prevedere una clausola risolutiva espressa. In giurisprudenza si veda Cass., S.U., 26 novembre 1993, n. 11718.

37 Si rammenta, inoltre, che tra le fattispecie escluse dall’ambito di operatività della disciplina in esame, il nuovo art. 122 t.u.b. richiama, alla lettera f, proprio i finanziamenti garantiti da pegno su un bene mobile se il consumatore non è obbligato per un ammontare eccedente il valore del bene.

38 Con riferimento al primo dei presupposti menzionati l’art. 22 della legge n. 142/1992 condiziona l’azione del consumatore nei confronti del finanziatore alla semplice infruttuosa costituzione in mora del fornitore, dalla lettera della legge pare desumersi che la responsabilità del finanziatore non sarebbe condizionata all’esito del giudizio instaurato nei confronti del fornitore.

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ni della responsabilità solidale del finanziatore, per il caso di inadempimento del fornitore di

beni e di servizi cui il credito al consumo è finalizzato, sono state ravvisate le principali proble-

matiche in tema di contratti di credito collegati 39.

Parte del formante dottrinale è giunta perfino ad affermate che subordinare la responsabilità

sussidiaria alla sussistenza delle condizioni prescritte dal legislatore, non va oltre la configurabi-

lità di un «collegamento allo stato embrionale» 40, altra parte della dottrina, di contro, non solo

ha letto nella disciplina legislativa del credito al consumo «la consolidazione della norma giudi-

ziale con la consequenziale trasformazione del diritto vivente in diritto positivo», ma ha identi-

ficato nel collegamento negoziale lo strumento per trarre più ampie e incisive conclusioni che

vanno al di là delle limitate conseguenze descritte dal legislatore. Per meglio dire, l’unità

dell’operazione economica, che si concretizza nel suddetto rapporto trilatero, consente di andare

al di là del (almeno questa volta) chiaro dato letterale, per rintracciare all’interno del sistema i

presupposti che consentono al compratore/consumatore di opporre al finanziatore l’eccezione di

inadempimento del contratto di compravendita (o di prestazione del servizio) 41, e dunque, si ag-

giunge, anche in assenza di quei presupposti legislativi che legittimano l’operatività delle ‘tipi-

che’ conseguenze della teorica del collegamento tra negozi.

39 La dottrina ha diffusamente criticato la previsione normativa, si vedano S.T. MASUCCI, Commento all’art. 125 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, cit., p. 869; B. MEOLI, I contratti collegati nelle esperien-ze giuridiche italiana e francese, Napoli, 1999, p.139, il quale quantomeno precisa che tale rapporto non può non intendersi in modo unilaterale, nel senso che è il solo fornitore ad aver affidato, in regime di esclusiva, ad un unico ente finanziatore l’intero pacchetto delle vendite a credito effettuate con i propri clienti, restando invece lo stesso finanziatore libero di stipulare accordi per il finanziamento dei clienti di altri rivenditori; F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 654 ss., secondo cui sarebbe risultata mag-giormente garantista per il consumatore una disposizione in cui il vincolo di solidarietà fosse stato posto in connessione con l’indicazione del fornitore di beni e servizi risultante dal contratto di finanziamento, in modo da creare una sorta di presunzione di collegamento a sostegno della solidarietà; di diverso avviso è M. COGNOLATO, Il credito finalizzato: il credito al consumo, cit., p. 166, il quale precisa che anche ove non sussistano i (richiamati) presupposti per attivare tale disciplina speciale, il credito al consumo conti-nuerà a costituire fenomeno di collegamento negoziale, ove si sia di fronte a prestiti finalizzati a struttura trilaterale che ricadono nell’ambito applicativo delineato dall’art. 121 del t.u.b., rilevando l’utilità del col-legamento negoziale in sede di opponibilità al finanziatore delle eccezioni derivanti dal contratto di com-pravendita.

40 Ancora in tal senso S.T. MASUCCI, Commento all’art. 125 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, cit., p. 869. 41 Così R. CALVO, I contratti del consumatore, in Tratt. Galgano, XXXIV, Padova, 2005, p. 267, il quale

testualmente «non solo il consumatore può far valere la responsabilità sussidiaria del sovventore per l’ina-dempimento imputabile al beneficiario del finanziamento pretendendo i danni derivanti da tale vicenda patolo-gica, ma ciò che ai fini della nostra discussione più interessa porre in risalto è che il sovventore medesimo non può specularmente esigere dal mutuatario la restituzione del tantundem qualora il terzo abbia violato le proprie obbligazioni essendo riconosciuto al mutuatario-convenuto il diritto di opporre alla controparte l’eccezione di inadempimento del contratto a latere del finanziamento». E dunque continua l’a. «la sostanziale unità del-l’operazione economica costituisce in definitiva la ragione ispiratrice della regola qui esaminata». Analoga-mente F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 654 ss., secondo cui rimane, in ogni caso, impregiudicata la facoltà del consumatore di opporre al finanziatore l’eccezione di inadempimento del fornitore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1460 c.c. (e, quindi, con il limite della buona fede previsto dalla norma al comma 2).

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Orbene, a fugare ogni dubbio sul profilo patologico dei contratti di credito al consumo è in-

tervenuto il legislatore interno, il quale mosso dalla spinta europea ha, inter alia, abrogato pro-

prio l’art. 42 cod. cons.o e novellato l’art. 125 quinquies del t.u.b.

La novella ha consentito il superamento delle incertezze provocate dal precedente testo legi-

slativo e degli oscillanti orientamenti della dottrina verso una più timida o una più audace inter-

pretazione del dato letterale, orientamenti che da un lato erano giunti a negare la configurabilità

stessa di un collegamento negoziale di fronte ad una disposizione alquanto restrittiva, e,

dall’altro, ad ammetterne pur sempre l’esistenza, con ogni conseguenza da questa nascente, al di

là dai contenuti della medesima disposizione normativa.

In particolare è venuto meno il presupposto che condizionava la responsabilità solidale del fi-

nanziatore per l’inadempimento del fornitore del bene e del servizio all’esclusiva del finanziatore

per la concessione di credito ai clienti del venditore. La nuova normativa infatti nel rafforzare la

tutela del consumatore e nel superare gli evidenti ostacoli che impedivano di renderla effettiva, di-

spone che in caso di inadempimento del fornitore dei beni o dei servizi, il consumatore, dopo aver

inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto

di credito se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui

all’art. 1455 c.c. (ovvero sempre che non si tratti di un “inadempimento di scarsa importanza”). Si

tratta pur sempre di una responsabilità sussidiaria, ma subordinata alla mera inutile costituzione in

mora del fornitore. Tra l’altro la lettera della legge pare escludere la necessità di attendere l’esito

del giudizio instaurato nei confronti del fornitore 42.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 125-quinquies del t.u.b., la risoluzione del contratto di credito

comporta l’obbligo per il finanziatore di rimborsare al consumatore le rate e gli oneri da questi

pagati, di contro, però, non comporta per il consumatore l’obbligo di rimborsare al finanziatore

l’importo che quest’ultimo avesse nel frattempo già versato al venditore, salvo il diritto del for-

nitore di ripetere detto importo nei confronti del venditore inadempiente. Orbene, l’art. 125-

quinquies nella sua attuale formulazione attribuisce espressamente al mutuante il «diritto di ri-

petere» la somma mutuata direttamente nei confronti del fornitore, nel caso in cui il contratto di

finanziamento sia risolto a seguito della risoluzione di quello di fornitura ad esso collegato.

A chiusura di questo sistema di tutela, il comma 4, analogamente alla precedente formula-

zione del comma 5 dell’art. 125-quinquies del t.u.b., dispone che i diritti elencati possono essere

fatti valere dal consumatore anche nei confronti del terzo al quale il finanziatore abbia ceduto i

diritti derivanti dal contratto di finanziamento 43.

42 Và precisato, altresì, che in assenza di previsioni specifiche, per quanto attiene ai profili probatori, trova applicazione il disposto di cui all’art. 2697 c.c., per cui l’onere probatorio grava sul consumatore.

43 Sulla disciplina degli effetti dell’inadempimento del fornitore, non è mancato chi ha criticamente osser-vato sia che difficilmente superabili sono i dubbi che riguardano la natura del diritto alla risoluzione, non es-sendo chiaro se questo debba esercitarsi giudizialmente o se, per meglio tutelare il consumatore, sia sufficiente un atto stragiudiziale, sia che permane l’anomalia di una messa in mora che sembrerebbe prescindere dalla con-siderazione che l’inadempimento potrebbe anche consistere nella consegna di una cosa che presenti vizi rile-

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Per quanto attiene al diritto di recesso del consumatore dal contratto di compravendita 44, la nuova

formulazione dell’art. 67, comma 6, cod. cons., prevedendo un semplice richiamo alla definizione di

contratto di credito collegato contenuta nel nuovo art. 121, comma 1, t.u.b., dispone che l’esercizio

da parte del consumatore del diritto di recesso dal contatto di compravendita, determina la risoluzio-

ne di diritto del contratto di credito collegato, senza alcuna penalità per il consumatore 45.

3.1. Anche la giurisprudenza, conformemente alla dottrina diffusasi anteriormente all’ultimo

intervento del legislatore, in assenza di un esplicito richiamo al collegamento negoziale ed in

presenza della duplice quanto dura condizione cui veniva subordinata l’azione diretta del con-

sumatore nei confronti del finanziatore, estremizzando la normativa, talvolta è giunta a negare la

configurabilità del nesso tra i negozi, tal altra invece ad ammetterla anche al di là della formula

normativa, con ogni inevitabile giuridica conseguenza. Va precisato però che l’analisi su cui in-

fra ci si soffermerà, anche se ha ad oggetto recenti provvedimenti giurisprudenziali, verte su

operazioni di credito al consumo cui è risultato applicabile ratione temporis la disciplina ante-

riore al d.lgs. n. 141/2010, trattandosi di fattispecie sorte durante la vigenza della formulazione

antecedente alla recente novella normativa. È fin troppo presto, infatti, per sperare di usufruire

di sentenze del giudice di merito (per non parlare in termini di ‘assurdità’ con riguardo alla giu-

risprudenza di legittimità) attuative del nuovo dato normativo entrato in vigore ‘solo’ il 19 set-

tembre dell’anno 2010. Il che, però, non significa che si è in presenza di orientamenti oramai

superati, perché, come si vedrà, in taluni casi proprio la giurisprudenza italiana ha riconosciuto

la rilevanza del collegamento negoziale al di là dei limiti ‘comunitari’ accolti e non superati dal

legislatore interno, anticipando in un certo senso il successivo intervento del legislatore comunita-

rio e stimolando, in altro senso e verso questa direzione, finanche la giurisprudenza comunitaria.

Due sono stati gli aspetti della disciplina che maggiormente hanno suscitato dubbi e animato di-

scussioni, in primis la definizione del rapporto che intercorre tra contratto di compravendita e di fi-

nanziamento, e quindi la valutazione in termini unitari della fattispecie di credito al consumo attra-

verso l’individuazione dei criteri identificativi del nesso contrattuale. In secundis, una volta risolto

il primo problema, la valutazione della validità delle clausole di inopponibilità al finanziatore delle

eccezioni derivanti dal contratto di compravendita, usualmente inserite nei contratti di credito.

Nel regime anteriore alla riforma del 1992, l’orientamento giurisprudenziale prevalente valu-

tava come giuridicamente autonomo, sia dal punto di vista sostanziale che formale, il contratto

di finanziamento da quello di compravendita. Il finanziatore infatti non assumeva alcun obbligo

vanti e non nel semplice ritardo, si veda CASIMIRO A. NIGRO, Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur. it., 2, 2011, nota a Cass., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3589.

44 Il riferimento è ovviamente esteso al contratto di prestazione del servizio. 45 Cfr. S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori, cit., p. 133, il quale rende

evidente che la menzionata ipotesi non va confusa con quella del recesso dal contratto di credito con il finanzia-tore, alla quale si applica invece la disciplina prevista dagli artt. 125-ter e 125-quater del t.u.b.

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in relazione all’adempimento del fornitore, tant’è che i vizi genetici e funzionali dell’uno non

influenzavano né si ripercuotevano sull’altro. Due gli elementi decisivi a supporto del suddetto

orientamento, da un lato, l’assenza di un legame contrattuale tra il venditore ed il finanziatore,

dall’altro, la piena validità ed efficacia delle clausole, contenute nel contratto di finanziamento,

che prevedevano l’irrilevanza nei rapporti con il debitore delle vicende relative al contratto di

compravendita. Emblematica, dunque, era l’affermazione che negava unitarietà all’operazione

di credito al consumo, idealmente scomposta in due distinti negozi, autonomi l’uno dall’altro 46.

Con la trasposizione della direttiva 87/102/CEE nel nostro ordinamento, l’orientamento giu-

risprudenziale ha cominciato ad evolversi. Quella connessione fra acquisto e finanziamento, da-

ta per scontata su di un piano meramente economico, cominciava ad influenzare anche la rico-

struzione giuridica del fenomeno. In questo contesto, non tardarono le statuizioni che fecero de-

rivare dalla risoluzione del contratto per inadempimento del venditore lo scioglimento del con-

tratto di finanziamento collegato 47. Analogamente non tardarono le pronunce che sancirono la

invalidità delle clausole di inopponibilità al finanziatore delle eccezioni derivanti dal contratto

di compravendita, inserite nel contratto di credito.

In entrambi i casi, il più delle volte, il percorso argomentativo seguito dalla giurisprudenza di

merito si è mosso sulla scia della costruzione dogmatica del ‘collegamento negoziale’, che di

poi ha trovato giustificazioni sul piano normativo proprio nelle disposizioni sul credito al con-

sumo nonostante il legislatore interno non avesse optato per l’esplicitazione della regola sul nes-

so giuridicamente rilevante, così come ebbe a procedere il legislatore tedesco. Si richiama, tra le

altre, una sentenza del Tribunale di Milano 48, che in più occasioni ha offerto lo spunto per un

approfondimento della rilevanza del collegamento negoziale, per così dire, legale.

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il giudice Milanese ha individuato gli indici rilevato-

ri del collegamento negoziale, precisando che in tema di contratti di credito al consumo, la pre-

visione dell’art. 124, comma 3, lett. a), t.u.b., che a pena di nullità prescrive la descrizione dei

beni e dei servizi oggetto dell’acquisto finanziato, la previsione dell’azione del consumatore nei

46 Ex plurimis, App. Cagliari, 12 gennaio 1994, in Riv. giur. sarda, 1995, p. 311; Trib. Chiavari, 22 settem-bre 1998, n. 464, in Dir. e prat. società, 2000, p. 74; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 17 giugno 1989, in Nuo-va giur. civ. comm., 1990, I, p. 677.

47 V. Trib. Bologna, 3 febbraio 2000 (ord.), in Gius., 2000, IX. 48 Trib. Milano, 24 ottobre 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2009, parte prima, p. 436, con nota di F. RON-

CHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore, nonché in Giur. it., no-vembre 2009, p. 2392, con nota di C.A. PUPPO, Credito al consumo e collegamento negoziale; similmente, di poi, si è espressa la Suprema Corte, la quale in alcune pronunce, negata la rilevanza della disciplina del credito al consumo, per assenza dei presupposti di legge, ha qualificato la fattispecie come mutuo di scopo, eviden-ziando che la connessione tra negozi sarebbe sorta esclusivamente per effetto del vincolo di coordinazione ad esso impresso dai privati, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12454, cit., nonché Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3589, in Giur. it., 2, 2011, con nota di CASIMIRO A. NIGRO, Collegamento contrattuale legale e volontario, cit., invero, in tal caso i giudici di legittimità discorrono di mutuo di scopo in quanto la di-sciplina del contratto di credito al consumo è stata giudicata inapplicabile ratione temporis.

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confronti del finanziatore di cui all’art. 125, comma 4 (nel testo previgente), nonché la circo-

stanza che quasi sempre nella prassi sono individuabili tre rapporti bilaterale (quello tra finan-

ziatore e cliente finanziato, quello tra cliente e fornitore del bene o servizio e quello tra finanzia-

tore e fornitore) indicano l’esistenza tra tali rapporti di un collegamento causale tale per cui

«l’esistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione dell’uno influisce sulla validità, sull’efficacia e

sull’esecuzione dell’altro». Il collegamento tra questi tre rapporti bilaterali, continua il giudice

milanese, «attiene alla causa degli stessi (…). Gli interessi dei tre soggetti coinvolti sono gene-

ticamente intrecciati, in una connessione teleologica per così dire circolare».

L’accertamento del collegamento negoziale tra il contratto di compravendita ed il contratto

di credito va condotto caso per caso, secondo la metodologia interpretativa tipica del collega-

mento volontario che si fonda, prevalentemente, sull’analisi degli interessi di cui le parti sono

portatrici. A tanto il giudice milanese ha affiancato l’analisi degli indici ‘esterni’ rivelatori del

collegamento 49, concludendo per l’esistenza del medesimo pur in assenza dei requisiti di legge

di cui all’art. 42 cod. cons., cui vi rientra il rapporto di esclusiva tra il fornitore ed il finanziato-

re. Secondo il giudice milanese, infatti, le condizioni di cui al citato art. 42, realizzano una tute-

la, per così dire, “aggiuntiva” rispetto agli strumenti “di base” tipicamente connessi al collega-

mento volontario. Per meglio dire, una volta individuata la presenza del collegamento tra i due

contratti, esso può esplicare pienamente i suoi effetti tipici, secondo il meccanismo rappresenta-

to dalla regola simul cadent simul stabunt, circoscrivendo gli effetti della tutela legale, ossia

condizionata alla presenza dei requisiti di cui all’art. 42, alla sola azione diretta del consumatore

nei confronti del finanziatore. Basta infatti provare il patto di esclusiva e l’infruttuosità della

messa in mora, per conseguire da parte del consumatore “l’ulteriore” vantaggio di agire contro

il finanziatore in conseguenza della risoluzione per inadempimento del contratto di fornitore.

Invero, però, l’orientamento del giudice milanese risulta sicuramente censurabile sotto diver-

si punti di vista. In primis perché in astratto riconosce gli effetti del collegamento volontario ma

in concreto li disapplica, relegando su due piani differenti la regola del simul e l’esperibilità

dell’azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore e dunque non riconoscendo,

quale effetto tipico del collegamento negoziale, quello della trasmissione della risoluzione da un

contratto all’altro. In secundis perché in assenza del patto di esclusiva, egli fonda sulla lettera

dell’art. 42, secondo cui «il consumatore ha diritto di agire contro il finanziatore» la conclusio-

ne secondo la quale il consumatore può “eccepire” ma non “agire” nei confronti del finanziato-

49 Gli indici rilevatori del collegamento negoziale individuati dal Tribunale milanese sono stati i seguenti: il richiamo espresso nel contratto di fornitura del finanziamento della banca come modo di corresponsione del prezzo; la sussistenza nel contratto di finanziamento di un mandato irrevocabile del consumatore alla banca af-finché questa versi al centro estetico la somma mutuata; la previsione tra le condizioni generali del contratto di finanziamento che esso venga concesso a soggetto che abbia inoltrato la richiesta tramite un operatore com-merciale convenzionato con la banca al fine di acquistare, presso quest’ultimo, il bene o il servizio desiderato; la contemporanea sottoscrizione da parte del consumatore del contratto di finanziamento e del contratto di for-nitura.

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re, condizionando in tal modo la sua difesa a seconda della veste di attore o di convenuto assun-

ta 50.

Di là dalle citate critiche, la sentenza segnalata si pone sicuramente in linea con quei richia-

mati orientamenti dottrinali per cui la previsione legislativa di un collegamento non esclude che,

in assenza dei presupposti legali, la volontà delle parti possa dare vita ad un’operazione econo-

mica unitaria giuridicamente rilevante 51.

Sulla base delle direttive ermeneutiche tracciate dal giudice comunitario, la previsione della

esclusività o meno non è più condizione ostativa a che il consumatore, facendo valere la risolu-

zione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore, possa invocare la consequenziale

risoluzione del contratto di mutuo con richiesta di restituzione, da parte del finanziatore, delle

rate medio tempore versate.

Il riferimento, come è ovvio, è alla sentenza della Corte di Giust. CE, 23 aprile 2009, causa

C-509/07, con la quale il giudice comunitario, cui il Tribunale di Bergamo ha rimesso la que-

stione pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE 52, ha preso posizione sul controverso ambito di ap-

plicazione e sulle condizioni di esercizio di quel “diritto di procedere contro il creditore” che

l’art. 11, comma 2, della direttiva 87/102/CEE accorda – al verificarsi di peculiari ipotesi – al

50 La critica è di F. RONCHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finan-ziatore, nota a Trib. Milano, 24 ottobre 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 443, la quale giudica come troppo formalistica l’affermazione secondo cui «l’art. 125, comma 4, nega al consumatore il diritto di agir contro il finanziatore ma non gli impedisce di sollevare eccezioni», anche perché, atteso l’avvenuto accertamento del collegamento negoziale, se in virtù di esso il consumatore può eccepire, allo-ra può anche agire, indipendentemente dall’operatività dell’art. 42 cod. cons.

51 La più recente giurisprudenza ha avallato il richiamato orientamento alla luce degli ultimi interventi della Corte di Giustizia che, sempre sul delicato tema del collegamento negoziale, ha adottato una chiara linea interpretativa finalizzata ad impedire la compressione del diritto del consumatore di agire contro il creditore. Si ricorda, infatti, quanto precisato dal Tribunale di Lamezia Terme, 5 gennaio 2012, in De Ju-re, che, nel premettere che dall’esame del dato contrattuale è emerso che alcuna azione diretta avrebbe potuto essere esercitata dal finanziato nei confronti del finanziatore, conclude dichiarando la risoluzione del contratto di compravendita nonché la risoluzione del contratto di fornitura, in quanto riesamina la questione proprio alla luce della più recente giurisprudenza comunitaria. Nonché si veda la recente sen-tenza Cass. civ., Sez. III, 29 settembre 2014, n. 20477, in Massima redazionale, 2014, secondo cui in te-ma di credito al consumo la norma dell’art. 124, comma 3 deve interpretarsi come previsione di un colle-gamento di fonte legale tra il contratto di credito al consumo, il cui oggetto sia l’acquisto di beni o servizi determinati, contenenti i requisiti ivi indicati, ed il contratto di acquisto degli stessi beni o servizi, a pre-scindere dalla sussistenza di un accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti dei fornitori. In caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, l’azione diretta del consumatore contro il finanziatore, disciplinata dall’art. 125, 4 comma, si aggiunge alle azioni che il con-sumatore può esercitare in base alle disposizione applicabili ad ogni rapporto contrattuale.

52 Il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 4 ottobre 2007, sospende il procedimento ed espone alla Cor-te la seguente questione pregiudiziale «se l’art. 11, comma 2, direttiva 102/87/CEE debba intendersi nel senso che l’accordo tra fornitore e finanziatore in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore, sia presupposto necessario del diritto del consumatore di procedere contro il creditore – in caso di inadempimento del fornitore – anche quando tale diritto sia: a) solo quello di ri-soluzione del contratto di finanziamento; oppure b) quello di risoluzione e di conseguente restituzione delle somme pagate al finanziatore».

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consumatore a fronte dell’inesatto o mancato adempimento del contratto avente ad oggetto la

fornitura del bene o del servizio da parte del venditore o del prestatore 53.

Il rilievo del giudice rimettente si pone in questi termini, ove al consumatore (come accade

in Italia) è riconosciuto il diritto di procedere contro il creditore per ottenere la risoluzione del

contratto di finanziamento e la restituzione delle somme già corrisposte (senza dover egli fornire

la prova dell’esistenza di un accordo di esclusiva), la direttiva 87/102/CEE non entra in gioco, o,

meglio ancora, non interviene a condizionare l’esercizio del diritto di agire in risoluzione. Per

meglio dire, se l’obiettivo della direttiva è quello di tutelare il consumatore, l’esistenza di un

collegamento negoziale tra il contratto di vendita (o di fornitura di servizi) ed il contratto di cre-

dito, in forza del diritto interno, legittima il consumatore ad agire per la risoluzione del contratto

con il finanziatore, allegando il solo inadempimento del fornitore, sicché l’art. 11 della direttiva

non può istituire tutele diverse da quelle già deducibili dall’ordinamento interno.

Il giudice europeo, pur non evocando esplicitamente il tema del collegamento negoziale, la-

scia presumere che ad esso abbia voluto riferirsi allorquando, nell’accogliere i rilievi del giudice

rimettente, ha precisato che il menzionato art. 11, comma 2, deve essere interpretato nel senso

che «l’esistenza di un rapporto di esclusiva tra il creditore ed il fornitore non costituisce un

presupposto necessario per l’esercizio del diritto del consumatore di procedere contro il credi-

tore in caso di inadempimento delle obbligazioni che incombono al fornitore. In particolare, i

diritti garantiti dall’art. 11, par. 2, della citata direttiva offrono al consumatore una “protezio-

ne supplementare”, conseguentemente le condizioni richieste per esercitare la tutela, tra le qua-

li figura la clausola di esclusiva, sono necessarie solo laddove si verta in materia di “protezio-

ne supplementare” e non quando si tratti di azioni, quali la risoluzione del contratto di credito

e la conseguente restituzione delle somme corrisposte al creditore, già esperibili sulla base del-

la legislazione nazionale» 54.

Il che vuol dire che al consumatore è consentito chiedere la risoluzione del contratto di fi-

nanziamento previa dimostrazione di quel «livello minimo di collegamento negoziale» con il

contratto di compravendita deducibile alla stregua dei criteri di rilevanza del nesso (già) ricava-

bili dall’ordinamento interno, mentre, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, dovrà

dimostrare quel “livello massimo” di collegamento negoziale così come richiesto dalla direttiva

comunitaria de qua, e di poi recepito dal legislatore interno 55.

53 Per un commento alla sentenza si veda M. DE POLI, Credito al consumo e collegamento negoziale: qual-che luce, molte ombre, in Nuova giur. civ. comm., 2009, parte prima, p. 1094.

54 D’altronde partendo dalla considerazione che la direttiva sul credito al consumo ha un intento volutamen-te protettivo nei confronti del consumatore, il “rapporto di esclusiva” tra fornitore e consumatore, pure richiesto dalla stessa direttiva per attribuire al consumatore diritti maggiori rispetto a quelli normalmente spettanti verso il finanziatore, non può considerarsi quale presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della posizione del consumatore.

55 Questa è l’osservazione critica di M. DE POLI, Credito al consumo e collegamento negoziale: qualche lu-ce, molte ombre, cit., p. 1097, il quale si interroga sul regime cui andrebbe sottoposta la domanda di risarci-

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Orbene, di là dalle inevitabili critiche che la citata sentenza ha suscitato 56, condivisibili al-

lorquando vertano sulla distinzione degli indici di rilevanza del collegamento negoziale a se-

conda del tipo di azione che il consumatore decida di intraprendere nei confronti del finanziato-

re, essa conserva tutt’oggi, ovvero anche dopo l’abrogazione della direttiva 87/102/CEE, la pro-

pria attualità in quanto si inserisce in quel trend mirante a garantire un elevato livello di prote-

zione del consumatore, di poi sfociato nella direttiva 08/48/CE 57.

In merito alle statuizioni della giurisprudenza sul regime delle eccezioni, va premesso che la

forza contrattuale del professionista/finanziatore sovente gli consente di arricchire il regolamen-

to contrattuale, unilateralmente predisposto, con clausole limitative della facoltà del consumato-

re di opporre al medesimo eccezioni relative al contratto di fornitura. In linea con la vigente

formulazione dell’art. 125-quinquies del t.u.b. 58, la giurisprudenza ben farebbe a riconoscere al

consumatore, nella qualità di convenuto, il diritto di sollevare un’eccezione di inadempimento

verso il finanziatore che chiede l’adempimento del contratto di finanziamento, in ipotesi di ina-

dempimento del fornitore.

Sebbene la premessa appaia scontata è vieppiù utile a precisare che la formula letterale uti-

lizzata dal legislatore non legittima più (salvo rifiutare il formalistico orientamento invalso in

passato) una distinzione tra “diritto di agire” e “diritto di eccepire”. Se infatti la precedente

formulazione dell’art. 125, comma 4, t.u.b., discorreva di “diritto di agire contro il finanziato-

re”, consentendo alla giurisprudenza di accogliere il ‘diverso’ diritto di eccepire a prescindere

dalle rigorose condizioni di cui alla medesima formulazione (sebbene in senso favorevole al

consumatore) 59, l’attuale formulazione, omettendo ogni riferimento al verbo ‘agire’, non presta

il fianco a distinzioni non altrimenti giustificate. Al più potrebbe dirsi che, in senso inverso, su-

bordina il diritto di sollevare l’eccezione di inadempimento del fornitore al finanziatore, e quin-

di di far ricadere le conseguenze dell’inadempimento del fornitore sul rapporto con il finanziato-

re, in qualità e di attore e di convenuto, alla duplice, e meno rigorosa, condizione introdotta:

mento del danno (sub specie di interesse negativo), se fosse consequenziale alla domanda di risoluzione con connessa restituzione di quanto versato.

56 Critiche mosse anche in favore del finanziatore, esposto alla mercé del consumatore cui viene riconosciu-to un incontrollato potere di travolgere il contratto di finanziamento, con evidenti conseguenze che vanno a mi-nare l’efficienza del mercato del credito al consumo, inibendone lo sviluppo, in tal senso ancora una volta M. DE POLI, op. cit., p. 1096.

57 L’unico precedente della segnalata sentenza risulta essere Corte Giust. CE, 4 novembre 2007, causa C-429/05, instaurato a seguito della proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte di un tribunale francese nella causa Rampion e Godaed c. Frncefinance SA, in Foro it., 2007, IV, c. 589 ss., su cui vedi infra.

58 Secondo cui «in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credi-to, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile».

59 Cfr. Trib. Milano, 24 ottobre 2008, cit.; contra, in motivazione, Trib. Torino, Sez. III, 11 dicembre 2007, n. 7797, che intende il diritto di azione in senso ampio, comprensivo della «possibilità di opporre le eccezioni relative al contratto di compravendita».

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inadempimento del fornitore non di scarsa importanza, infruttuosità della messa in mora nei suoi

confronti.

Questo però, se solo si giunge ad ammettere che il regime di opponibilità delle eccezioni lo

si debba vagliare nell’ottica del più elevato argomento ‘collegamento negoziale’, sembra essere

un falso problema.

Procediamo, dunque, con ordine. Ci si chiede a quale sorte vadano incontro le clausole di

esclusione della responsabilità del finanziatore nel caso di inadempimento del fornitore. Per

meglio dire, se la normativa sul credito al consumo riconosce al convenuto il diritto di consegui-

re la risoluzione di un contratto a seguito della risoluzione dell’altro, ci si domanda se clausole

contrattuali impeditive di tale effetto possano essere favorevolmente invocate dalle altre parti

contraenti, con conseguente inoperatività della riconosciuta regola del simul.

La soluzione prospettata nel corso degli anni dalla giurisprudenza non è stata univoca.

Un primo orientamento, risalente negli anni, ma di poi ripreso da sporadiche sentenze del giu-

dice di legittimità, giudicava valide le clausole inserite nei contratti di finanziamento che impedi-

vano al sovvenuto di far valere nei confronti del finanziatore l’inesattezza dell’adempimento del

fornitore, trascurando ogni effetto tipico del collegamento negoziale. Tali pronunce, infatti, sono

giunte a simile conclusione pur ammettendo in punto di premessa l’esistenza di un nesso giuridi-

camente rilevante tra il contratto di fornitura ed il contratto di finanziamento, con un’evidente con-

traddizione in termini che finiva per snaturare l’essenza stessa del rilevato collegamento 60.

In netto contrasto con questo orientamento, si è inserita quella giurisprudenza che ha risolto

il dubbio in termini di inefficacia ex art. 1469 quinquies c.c., ritenendo le clausole di inopponi-

bilità al finanziatore delle eccezioni derivanti dal contratto di fornitura usualmente inserite nei

contratti di finanziamento, vessatorie ex art. 1469 bis, comma 3, n. 18, c.c. e quindi rientranti

nella previsione di quelle clausole che «sanciscono a carico del consumatore decadenze, limita-

zioni alla facoltà di opporre eccezioni (…)», non essendo state oggetto di specifica trattativa né

di espressa approvazione da parte del cliente.

Invero di tale orientamento se ne condividono le conclusioni ma, se ne disapprovano le mo-

tivazioni. L’autorità giudiziaria ha giustificato l’inefficacia della clausola (nella forma giuridica

della nullità, per disposizioni del legislatore) ricorrendo al più semplice dato argomentativo rap-

presentato dalla specifica disciplina delle clausole vessatorie in tema di tutela del consumatore,

ora trasfusa nel codice del consumo agli artt. 33 ss. Conseguentemente, benché in punto di rico-

struzione della fattispecie abbia utilizzato l’argomento di carattere teorico-dogmatico del colle-

gamento negoziale, di contro, in punto di statuizione sulla validità delle clausole contrattuali si è

avvalsa dell’argomento di natura più giuridico-formale della previsione espressa di inefficacia-

nullità in materia di clausole vessatorie 61, della cui reale utilità non può che dubitarsi.

60 In tal senso Cass., 24 ottobre 2003, n. 8253, in Mass. Giust. civ., 2003. 61 Così la già nota sentenza Trib. Milano, 24 ottobre 2008, cit., nella quale, in linea con quanto precedente-

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Altro orientamento ricorre ai più generali principi di correttezza e buona fede nell’esecu-

zione del contratto per giudicare la ‘sorte’ della clausola inserita nelle condizioni generali intesa

a limitare, in danno del consumatore, la possibilità di opporre al soggetto che finanzia

l’operazione economica le eccezioni fondate sul rapporto di vendita 62.

Orbene, di fronte alla molteplicità delle soluzioni proposte e dei percorsi argomentativi se-

guiti, il precedente richiamo al tenore del vigente e del previgente dato normativo trova ora pie-

na giustificazione.

Gli orientamenti giurisprudenziali che hanno optato per una soluzione favorevole al consu-

matore/mutuatario, orientandosi per l’invalidità o l’inefficacia di tali clausole, hanno argomenta-

to le conclusioni adottate ricorrendo a soluzioni alternative rispetto al criterio dogmatico del col-

legamento negoziale in quanto la fattispecie esaminata raramente poteva usufruire della previ-

sione di cui all’art. 42 cond. cons. In assenza, dunque, dei criteri di collegamento negoziale ri-

mente precisato, si legge «né potrebbe in contrario invocarsi l’esclusione di cui all’art. 1469 ter comma 3 in relazione all’art. 125, comma 4, t.u.b., in quanto, come già rilevato, tale ultima norma, in assenza di un accordo esclusivo tra finanziatore e fornitore nega al consumatore il “diritto di agire” contro il finanziatore ma non gli impedisce di sollevare eccezioni». Analogamente Trib. Firenze, 30 maggio 2007, in Contratti, 2008, p. 261 ss., con nota di TOSCHI VESPASIANI. In un’ottica evolutiva è favorevole al richiamato orientamento F. RONCHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore, cit., p. 444, la quale precisa che a norma dell’art. 34 cod. cons., la vessatorietà di una clausola è valutata facendo riferimento non solo alle altre clausole del contratto medesimo ma anche a quelle di altro contratto collegato, per cui può verosimilmente rite-nersi che la clausola di cui si parla risulti, nell’ambito del credito al consumo finalizzato, vessatoria ai sensi de-gli artt. 33 e 34 cod. cons.; ciò che ne determina la nullità, ora comminata dall’art. 36 cod. cons.

62 Ex plurimus, Cass. civ., Sez. I, 11 febbraio 2011, n. 3392, Operazioni di finanziamento e nullità della clausola di rinuncia all’eccezioni di inadempimento, in I contratti, 11, 2011, p. 994, che qualifica il contratto di finanziamento come mutuo di scopo e giustifica l’invalidità della clausola per contrarietà a buona fede in quan-to «non sussisterebbe (…) alcun interesse del mutuante al riguardo, stante la possibilità di ripetere la somma al venditore (cui il mutuante stesso l’aveva direttamente consegnata) se non quello di favorire il venditore stesso, che tratterrebbe la somma senza aver consegnato l’atto». La sentenza è annotata da T. RUMI, la quale critica il percorso argomentativo dei giudici di legittimità, sostenendo che «sebbene il contratto integri gli estremi del mutuo di scopo (…) non vi sono ostacoli a che il medesimo comunque rientri nella figura più generale del cre-dito al consumo e sia assoggettato alla relativa disciplina» pertanto «la questione della validità/invalidità delle clausole di inopponibilità dell’eccezione di inadempimento del fornitore nei confronti del finanziatore non può che essere risolta verificando, preliminarmente, se esiste o meno un collegamento negoziale tra i contratti di vendita e di finanziamento», ritenendo, infine, applicabile l’art. 42 cod. cons. Si veda altresì Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12454, in I Contratti, 12, 2012, con nota di G. CARADONNA, Rilevanza del collegamento con-trattuale nel mutuo di scopo e nelle operazione di credito al consumo, i giudici di legittimità nel caso di specie hanno qualificato l’operazione realizzata da due coniugi (l’uno parte del contratto di acquisto di un’autovettura concluso con una concessionaria, l’altro parte del contratto di finanziamento destinato all’acquisto dello stesso bene) quale mutuo di scopo finalizzato all’acquisto dell’autoveicolo, riconoscendo una ipotesi di collegamento volontario e funzionale la cui ricorrenza non può, a loro dire, essere esclusa a priori dal semplice fatto che i contratti sono stati stipulati tra soggetti diversi. Invero la Suprema Corte in tale ipotesi ha escluso l’applicabilità della disciplina del credito al consumo non essendo stata dimostrata l’esistenza di un accordo di esclusiva tra finanziatore e fornitore, secondo la previgente disciplina contenuta nell’abrogato art. 42 cod. cons., applicabile ratione temporis alla fattispecie, nel contempo però ha giudicato vessatoria, in quanto contraria ai principi di buona fede e correttezza, la clausola con la quale l’acquirente rinunciava a far valere nei confronti del mutuante l’eccezione di mancata consegna del veicolo da parte del venditore, in quanto priva di meritorietà.

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chiesti e disciplinati dal legislatore, una tutela favorevole al consumatore avrebbe dovuto muo-

versi per vie alternative rispetto al tema del nesso negoziale e, dunque, rispetto ad una valuta-

zione della fattispecie unitariamente e globalmente considerata.

In presenza invece dei presupposti di applicazione dell’art. 42 cod. cons., e dunque in pre-

senza di un collegamento negoziale c.d. legale, che prescinde da una valutazione del giudicante

estesa agli interessi sottesi alla fattispecie, il giudizio di invalidità della clausola di cui si tratta

sarebbe ‘naturale’ conseguenza della previsione normativa de qua 63.

Fuori dal campo di applicazione di tale norma, dunque, il percorso argomentativo avrebbe

dovuto inevitabilmente mutare. Ad un prima riflessione la predetta conclusione pare risultare

scevra di valutazioni critiche, a ben vedere però essa determina una evidente incoerenza siste-

matica che si riflette sull’uso che della categoria del collegamento negoziale in tema di credito

al consumo ha proposto il legislatore. Seppur il dato normativo non la menzioni (rectius: men-

zionava) esplicitamente, la categoria del collegamento negoziale entrava in gioco proprio al fine

di tutelare la parte debole del rapporto, di fronte ad una tanto complessa quanto diffusa opera-

zione economica che ha indotto il legislatore comunitario a ‘denunciare’ il vuoto e/o disequili-

brio legislativo degli ordinamenti interni dei diversi Stati membri. Se la tutela del consumatore è

stata elevata a ‘fine’ o ‘scopo’ dell’intervento, il mezzo utilizzato per conseguirla è apparso po-

co confacente all’obiettivo richiamato, consentendo di ammettere, per absurdum, che di fronte a

quel vuoto normativo proprio la categoria dogmatica del collegamento negoziale volontario, che

richiede una valutazione degli interessi concreti sottesi alla complessa operazione contrattuale,

avrebbe consentito di giungere al medesimo risultato senza costruzioni o scorciatoie alternati-

ve 64. Proprio i presupposti di cui all’art. 42 cod. cons. pare abbiano frenato il giudicante, il qua-

le, in presenza di un collegamento negoziale volontario comunque ravvisabile nell’operazione

trilaterale del credito al consumo ed in coerenza con l’aspetto causale dell’operazione global-

mente considerata, sarebbe giunto ad ammettere la completa attuazione della stessa solo con la

concretizzazione di tutti gli scambi che ne costituiscono elementi essenziali. Sicché, proprio la

categoria dogmatica de qua, a prescindere dal dato normativo, avrebbe dovuto fungere da moni-

to per affermare l’invalidità di quella clausola che consente al finanziatore di pretendere

l’adempimento della prestazione dovuta in suo favore nonostante il consumatore non abbia a

sua volta ottenuto la prestazione di cui vanta diritto, salvo non voler penalizzare l’equilibrio si-

nallagmatico tra le prestazioni a carico delle parti (non dei singoli contratti bensì) dell’intera fat-

tispecie contrattuale, che proprio il collegamento negoziale consente di valutare alla stregua

dell’intera operazione posta in essere.

63 M. DE POLI, Credito al consumo e collegamento negoziale: qualche luce, molte ombre, cit., p. 1097, il quale precisa che il citato art. 42 sia norma imperativa e perciò la sua violazione causativa della nullità, in quanto è norma posta a tutela di interessi pubblici generali, in particolare di quelli del consumatore.

64 Discorre di scorciatoie alternative C.A. PUPPO, Credito al consumo e collegamento negoziale, cit., p. 2395.

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Tali riflessioni, però, se coerenti con il vecchio impianto normativo, devono essere riviste al-

la luce sia del novellato art. 12, lett. d), t.u.b., che detta una definizione, come visto, del contrat-

to di credito collegato, sia del nuovo art. 125-quinquies del t.u.b., che detta la regola per disci-

plinare l’inadempimento del fornitore.

Come è stato precisato, la scelta di sostituire la vecchia disciplina del codice al consumo non

è da considerarsi affatto casuale. Essa è perfettamente coerente con l’esigenza (manifestata an-

che nelle poche righe di questo studio) di innalzare il livello di tutela del consumatore (rectius:

contraente debole). Sicché è venuto meno l’arduo onere probatorio incombente sul consumato-

re, volto alla dimostrazione dell’esistenza di un patto di esclusiva tra il finanziatore ed il fornito-

re. Il legislatore ha infatti identificato altri e differenti indici di rilevanza del collegamento ne-

goziale. Si tratta di elementi oggettivi che, di fronte ad un collegamento negoziale legale, sem-

brano effettivamente allinearsi con l’obiettivo perseguito, rendendo, questa volta, realmente uti-

le il supporto normativo disciplinante il collegamento negoziale a fronte delle, più rischiose, va-

lutazioni ‘soggettive’ del giudicante, tipiche di un’ipotesi di collegamento volontario.

Una volta, dunque, ammessa l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di ven-

dita e quello di finanziamento, il giudice potrà benissimo concludere per la nullità delle clausole

con cui il consumatore si obbliga a non eccepire al finanziatore l’inadempimento del fornitore.

A conclusione differente non potrebbe giungersi neanche alla stregua del mero dato letterale.

Sebbene infatti il legislatore abbia continuato a riconoscere al consumatore il solo diritto alla

risoluzione del contratto, la precisazione, in linea con l’obiettivo di assicurare un’effettiva tutela

del consumatore nonché conformemente agli effetti tipici del collegamento negoziale (che al-

trimenti risulterebbe snaturato), deve comunque leggersi come estensibilità allo stesso anche

della facoltà di eccepire l’inadempimento del venditore nell’ambito del diverso rapporto di fi-

nanziamento, e ciò sia in qualità di convenuto, sia in via stragiudiziale ex art. 1460 c.c. 65.

4. Oggetto di particolare attenzione nell’esperienza francese del contratto di credito al consumo

è stato l’accertamento di un rapporto giuridicamente rilevante tra le due fattispecie contrattuali

coinvolte, ossia il mutuo e la compravendita. La giurisprudenza in un contesto normativo alquanto

scarno, e dunque antecedentemente all’intervento del legislatore, in svariate occasioni, pur non di-

scorrendo mai di groupe de contrats 66 e talvolta anche in fattispecie non propriamente qualificabi-

65 Si vedano i condivisibili rilievi critici di G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in I contratti, 2010, p. 1057, per il quale «il legislatore italiano pare (…) aver dimenticato che l’inadempimento fa sorgere in capo al contraente creditore non solo il diritto alla risolu-zione del contratto, ma anche il diritto di paralizzare la pretesa alla controprestazione sollevando l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.». Da qui il legittimo interrogativo «potrà il consumatore – a fronte di un inadem-pimento di non scarsa importanza del fornitore – limitarsi a sollevare l’eccezione de qua rifiutandosi di (continua-re a) pagare le rate del prestito al finanziatore, senza chiedere la risoluzione del relativo contratto?».

66 Anche in Francia l’opera di organizzazione sistematica degli studi invalsi intorno al fenomeno “con-

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li come credito al consumo, si è interrogata sulla rilevanza delle vicende patologiche inerenti un

rapporto contrattuale rispetto all’altro, ammettendo, il più delle volte, che uno degli aspetti da ri-

tratti collegati” si deve ad un contributo che ha rappresentato un riferimento costante per le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali che nel tempo si sono susseguite. Si allude all’opera di B. TEYSSIE’, Les groups de contrats, Paris, 1975, al quale si riconosce l’elaborazione della categoria dei groupes de con-trats, cui non di rado hanno attinto anche i giuristi di altri Paesi. L’indagine dottrinale ha lasciato emerge-re l’esistenza di due categorie di gruppi, le chaines de contrats e gli ensembles de contrats, nel contempo però ha attribuito determinati effetti giuridici, riconducibili alla presenza di un nesso giuridicamente rile-vante, solo ai secondi ed in particolare agli ensembles interdépendants, quale categoria che effettivamente richiama quella del collegamento negoziale bilaterale. L’elaborazione di una categoria, o meglio di una super-categoria, così vasta e tale da ricomprendere fenomeni alquanto distanti tra loro, risuona come espressione di una tendenza rigorosamente schematizzante propria della dottrina francese, la quale però ben presto ha svelato la sua scarsa utilità.

Vale sul punto evidenziare che il legislatore francese è intervenuto sul tema dei contrats interdépen-dants con due dei tre progetti di riforma del diritto delle obbligazioni e dei contratti che si sono susseguiti in Francia negli ultimi anni. Il primo progetto è stato predisposto dal gruppo di lavoro patrocinato dall’Association Capitant e diretto dal prof. Pierre Catala, l’Avant projet de réforme du droit des obliga-tions et de la prescription ed è stato presentato il 22 settembre 2005, si veda CASSON/MAZEAUD, L’avant –projet français de réforme du droit das obligations et du droit de la prescription, in Rev. dr. unif., 2006, p. 103 ss.. Successivamente, nel luglio 2008, la Chancellerie ha pubblicato un progetto di riforma del di-ritto dei contratti, più in sintonia, rispetto al richiamato progetto Catala, con i Principi Unidroit relativi ai contratti del commercio internazionale, sul punto GHOZI, LEQUETTE, La réforme du droit des contrats: bréves observations sur le projet de la Chancellerie, in D., 2008, p. 2069. Il primo progetto dedicava ai contrats interdépendants l’intero § 5 (degli effetti dei contratti interdipendenti) della sezione 7 (Degli ef-fetti della convenzione nei confronti dei terzi). In esso veniva così disposto «Art. 1172 – I contratti con-comitanti o successivi la cui esecuzione è necessaria alla realizzazione di un’operazione complessiva alla quale appartengono sono considerati interdipendenti nella misura sotto determinata». «Art. 1172 – 1. Le clausole di un contratto appartenente all’insieme non si applicano alle altre convenzioni se non sono state riprodotte e accettate negli altri contratti. 2. Tuttavia alcune clausole si estendono se sono state conosciute e non hanno formato oggetto di riserva. Questo vale per le clausole limitative o esclusive della responsa-bilità, per le clausole compromissorie o per le clausole relative alla competenza. 3. Allorché uno dei con-tratti interdipendenti sia nullo, le altre parti degli altri contratti possono richiamare quella nullità». Sul punto il più recente progetto ha invece disposto: «Art. 13 – Sono interdipendenti i contratti concomitanti o successivi la cui esecuzione è necessaria alla realizzazione dell’operazione d’insieme a cui appartengo-no». «Art. 100 – Se uno dei contratti interdipendenti è nullo, le parti degli altri contratti dell’insieme si possono avvalere della caducità, se la nullità rende l’esecuzione degli stessi impossibile o priva i contratti di ogni interesse per una delle parti». «Art. 153 (…) 2. Nell’insieme contrattuale che formano, i contratti interdipendenti si interpretano in funzione dell’operazione alla quale essi sono preordinati». Il nuovo pro-getto, dunque, dopo aver definito l’interdipendenza contrattuale in chiave di necessarietà dell’esecuzione del singolo contratto alla realizzazione dell’operazione di insieme, si limita sia a far scaturire dall’in-terdipendenza la possibilità di estendere la nullità da un contratto all’altro ma solo nelle ipotesi in cui la nullità del primo contratto renda l’esecuzione del contratto di cui si chiede la nullità impossibile o priva di ogni interesse per una delle parti, sia a prevedere una regola in materia di interpretazione. Il vecchio pro-getto, invece, pur definendo analogamente l’interdipendenza contrattuale, prevedeva sia regole in materia di estensione di parti da un contratto all’altro, seppur entro certi limiti, sia la possibilità, senza limiti espressi, di estendere la nullità da un contratto all’altro. Dal confronto tra i due testi, al di là della formula definitoria, si evincono difformità in punto di conseguenze da ricollegare all’interdipendenza. Pare infatti che nel secondo progetto ci sia stato un ripensamento circa l’opportunità di estendere le conseguenze dell’interdipendenza, essendo infatti gli effetti che ne scaturiscono decisamente più ridotti, sul punto M.R. MAUGERI, La riforma del contratto in Francia: progetti e prospettive, in I Contratti, 7, Allegato 1/2011, p.155, alla quale si deve la traduzione delle richiamate disposizioni.

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solvere preliminarmente è l’individuazione della causa del contratto di mutuo 67. Mentre infatti

dottrina e giurisprudenza italiane si sono a lungo soffermate sui profili strutturali del fenomeno

collegamento negoziale, manifestando interesse per l’aspetto funzionale dell’operazione comples-

sivamente intesa solo in un momento successivo, la giurisprudenza francese non ha esitato a rico-

noscere nella causa del contratto di mutuo l’elemento discretivo dell’individuazione del nesso giu-

ridicamente rilevante. In Francia, però, l’immediata rilevanza del profilo funzionale non è stata di-

rettamente indirizzata verso una valutazione dell’affare nel suo complesso, bensì diretta verso il

mero ed astratto accertamento della funzione da attribuire al prêt.

Va precisato che anni addietro il tema della causa in Francia ha finito per risolversi

nell’interrogativo se la causa dovesse intendersi come causa del contratto o come causa

dell’obbligazione. Ebbene, propendendo la dottrina francese, non senza influenzare il legislatore

italiano del 1865, per quest’ultima tesi le motivazioni successive dei giudici francesi hanno fatto

per lo più riferimento al concetto di causa dell’obbligazione, piuttosto che al diverso concetto di

autonomia o collegamento di fattispecie contrattuali 68.

In particolare in merito alla fattispecie negoziale de qua la giurisprudenza si è domandata se

la causa del mutuo avrebbe dovuto individuarsi nella dazione ed utilizzazione da parte del sov-

venuto della somma mutuata, oppure nell’acquisto e nel godimento del bene oggetto del contrat-

to di compravendita. Una soluzione conforme all’ultima ipotesi segnalata avrebbe sicuramente

indotto la Cour de Cassation a ritenere che tutte le vicende inerenti il contratto di compravendi-

ta spiegano effetti anche sul contratto di finanziamento, riconoscendo (quantomeno) un ensem-

bles à dépendence unilatérale 69. Di contro, ovvero nel caso opposto, la giurisprudenza non

67 Si veda, Cass. civ., 1re, 20 novembre 1974, in Bull. Cass., 1974, I, n. 311; Cass. com., 7 marzo 1972, in Juris class. Pér., 1973, II, art. 17400.

68 Sul punto, per la dottrina francese, cfr. la classica monografia di H. CAPITANT, La cause des obligations (Contrats, Engagements unilatéraux, legs), Paris, 1927, pp. 17 e 91; per un’approfondita ed aggiornata illustra-zione degli ulteriori orientamenti della dottrina francese in materia di causa, cfr., oltre al volume di J. RO-

CHFELD, Cause et type de contrat Partis, 1999, p. 73, anche la recente e più ampia monografia di J. GHESTIN, Cause de l’engagement et validité du contrat, Paris, 2006, passim.

69 È opportuno un passo indietro. La categoria degli ensembles si caratterizza per il rilievo che i diffe-renti «contratti riuniti in un insieme partecipano, a titolo principale o accessorio, alla realizzazione di uno stesso obiettivo». Essa, normalmente, è organizzata attorno ad un personaggio-chiave, il promotore, il quale è l’unico ad essere in relazione contrattuale immediata con ciascuno dei partecipanti al gruppo e, dunque, è l’unico a partecipare all’intera serie contrattuale. Ciò che consente di dare giuridica rilevanza al nesso pare essere proprio il comune obiettivo cui sono preordinati i singoli contratti, ciascuno dotato di una propria causa, definita anche causa proxima, ma nel contempo destinato, unitamente agli altri, alla realizzazione di quella che è stata definita la causa remota, ovvero la causa del complesso contrattuale, vagliato nella sua globalità, così B. TEYSSIÈ, Les groups de contrats, cit., p. 95 ss., che discorre di per-sonnage-clé, vale a dire colui che è parte di tutti i negozi collegati (ma che potrebbe anche non esserlo e, cionondimeno, rivestire un ruolo determinante ai fini dell’instaurazione di un nesso internegoziale). L’a. richiama alla memoria la Schlusselfigur, cui la giurisprudenza tedesca ha attribuito un significativo rilievo ai fini dell’individuazione di un collegamento tra negozi.

Ulteriore partizione all’interno di tale categoria, è quella tra gli ensembles divisibili e gli ensembles indivisibili, ovverosia tra operazioni contrattuali complesse suscettibili di esecuzione parziale e tali per

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avrebbe che dovuto escludere il suddetto effetto estensivo 70. In effetti l’orientamento dei giudici

francesi è stato oscillante, benché essi abbiano sempre riconosciuto, secondo la nozione di causa

invalsa nella letteratura francese, che la funzione del mutuo fosse da ravvisare nella dazione del-

la somma di danaro, con la conseguenza che la finalità dell’acquisto del bene, cui è destinato il

finanziamento, veniva ridotta a semplice motivo, estraneo alla causa della stessa prestazione del

mutuante 71, non sono mancate quelle statuizioni che hanno fatto leva sul rapporto di mandato

esistente tra venditore e finanziatore, e tale per cui il primo non solo indica al compratore il sog-

getto disposto a finanziare l’acquisto, ma compie anche concrete attività per la conclusione del

contratto di mutuo 72. Orbene, è proprio in tali ultime ricostruzioni che hanno trovato positivo

ingresso nelle decisioni del formante giurisprudenziale taluni interessi sostanziali delle parti,

ovvero, da un lato, l’interesse del debitore mutuatario a sottrarsi all’obbligo di restituzione della

somma mutuata, in caso di mancata consegna del bene da parte del venditore o in caso di conse-

gna di un bene viziato, e dunque in ipotesi di inadempimento del venditore, dall’altro, l’in-

teresse dello stesso mutuante ad esercitare un’azione diretta in restituzione nei confronti del for-

nitore a cui abbia direttamente versato il prezzo, nell’ipotesi in cui la compravendita non sia sta-

ta stipulata oppure si sia rilevata invalida o inefficace 73.

Si noti ictu oculi che analoghe vicende giuridiche sono state oggetto di attenzione da parte

dell’interprete italiano, ugualmente in un momento anteriore all’intervento del legislatore, con la

evidente differenza però che mentre in Francia questo intervento non tardò ad arrivare, la mate-

ria, infatti, è stata regolata dal legislatore francese sin dal 1978, in Italia, la penna del legislatore

fu evidentemente indotta da quella del legislatore comunitario, che a sua volta non esitò a trarre

‘suggerimenti’ dal modello francese.

Con riguardo al primo degli interessi sostanziali segnalati, va precisato che la stessa dottrina

cui l’invalidità di un’unica fattispecie negoziale non si ripercuote sulle altre, ed operazioni contrattuali complesse insuscettibili di ‘sopravvivere’ all’eventuale caducazione di uno dei contratti di cui si compone e tali per cui le vicende e l’invalidità di un contratto si ripercuote sull’altro. A dimostrazione del persi-stente interesse del «promotore» all’esecuzione, anche solo parziale, dell’operazione complessiva, in ipo-tesi di ensembles divisibili, si adducono i contratti di assicurazione e di concessione di vendita, rispetto ai quali, è stato precisato, la divisibilità si caratterizza, per i primi, quale divisibilità temporale, per i secondi, quale divisibilità spaziale. Entrambe le ipotesi contrattuali, comunque, presenterebbero pur sempre un obiettivo comune, identificato, rispettivamente, nella copertura di un dato rischio e nell’organizzazione della rete distributiva di una data impresa.

70 Con riguardo alle operazione di leasing ed alle operazione di credito al consumo, discorre di nessi di di-pendenza unilaterale G. LENER, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, pp. 152-153.

71 Cfr. Cass. com., 14 dicembre 1977, Bull., 1977, n. 293, in tale caso il mutuatario eccepisce, nei confronti del mutuante, la mancata consegna del bene da parte del venditore che si assume dolosamente preordinata. La Cour d’Appel de Bordeaux (24 febbraio 1975), accoglie l’eccezione sulla scorta di un accertato vizio del con-senso del mutuatario in ordine alla conclusione del contratto di mutuo. La citata sentenza dei giudici di legitti-mità cassa la decisione della Cour d’Appel alla stregua della motivazione indicata. In dottrina si veda J.L. AU-

BERT, Note sous Cass. com., 14 dicembre 1977, in Rep. not., Def., 1978, p. 1000. 72 Tra le altre, Cass. 1re, 18 ottobre 1966, in Juris class. pér., 1967, II, art. 14932. 73 In tal senso B. MEOLI, op. cit., p. 157 ss.

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francese non ha esitato a criticare quegli orientamenti giurisprudenziali che fondavano un diffe-

rente regime delle eccezioni opponibili dal sovvenuto, proprio sull’esistenza di un rapporto di

mandato tra venditore e finanziatore. È stato infatti precisato che rendere opponibili dal sovve-

nuto al finanziatore le eccezioni inerenti i rapporti del primo con il venditore, quali ad esempio

la mancata consegna del bene, rileva come una conseguenza che può scaturire anche direttamen-

te dal principio del collegamento negoziale 74.

Relativamente invece al differente profilo delle azioni in giudizio, nell’ipotesi accertata di

nullità del contratto di compravendita, la giurisprudenza francese ha riconosciuto al mutuante la

legittimazione ad agire direttamente nei confronti del venditore per la restituzione del finanzia-

mento concesso all’acquirente e percepito dal primo 75. Le decisioni però sono state variamente

motivate, la teoria del collegamento negoziale non pare abbia trovato in tali circostanze ingres-

so, tant’è che i giudici francesi benché siano stati sempre orientati all’accertamento concreto dei

singoli rapporti sussistenti tra le parti, talvolta, hanno riconosciuto alla stessa natura extracon-

trattuale, tra l’altra, hanno fruito delle disposizioni della stipulation pour autrui 76. L’iter giusti-

ficativo prescelto, tuttavia, non ha mai perso di vista l’inquadramento della causa contrattuale,

intesa quale giustificazione della prestazione.

L’evoluzione del formante dottrinale, però, come d’altronde si è registrato nel nostro Paese,

non tardò a riconoscere una relazione giuridica tra le fattispecie negoziali della vendita e del fi-

nanziamento. Si giunse a precisare che tale legame fondava sull’intenzione delle parti di realiz-

zare un’unica operazione economica e, in particolare, sulla circostanza che la vendita rappresen-

tava il motivo per la cui attuazione l’acquirente aveva contratto il mutuo, pertanto l’unitarietà

della causa delle operazioni di vente-à-crédit avrebbe potuto ben ravvisarsi nell’unitarietà

dell’intenzione delle parti 77.

Sulla scia di tale ricostruzione, il legislatore, nel dare una risposta alla nuova ed oramai dif-

fusa fenomenologia del credito al consumo e soprattutto al fine di garantire una costante e coe-

74 V. G. CORNU, Contrats speciaux. Vente a Crédit, in Rev. trim. dr. civ., 2001, pp. 144-145. 75 L’attenzione che la dottrina prima e la giurisprudenza poi hanno concentrato su uno degli aspetti di mag-

gior influenza nell’ambito dei groupe de contracts, ovvero l’azione in giudizio, si è disvelata sempre rivolta a fattispecie riconducibili, in via più o meno immediata, alle chaines de contrat piuttosto che agli ensembles, per un quadro sulle posizioni giurisprudenziali in tema di azione diretta, tra gli altri, GHESTIN, Traité de droit civil. Les sffets du contrat2, con la collaborazione di JAMIN e BILLIAU, Paris, 1994, p. 792 ss.; JAMIN, La notion d’action directe, Paris, 1991, p. 1 ss.; LARROUMET, L’effet relatif des contrats et la négation de l’existence d’une action en responsabilità nécessairement contractuelle dans les ensembles contractuels, in JCP, éd. G, 1991, I, p. 314 ss. Si tratta, come anticipato, di quei fenomeni nei quali può individuarsi un collegamento tra varie fattispecie contrattuali determinato da nessi di sequenza o di derivazione, organizzati secondo una struttu-ra di tipo verticale, sul punto si rinvia all’interessante analisi di B. MEOLI, op. cit., p. 222 ss. ed ai richiami dot-trinali e giurisprudenziali ivi formulati.

76 Vedi, rispettivamente, Cour de Lyon, 4 aprile 1968, e Appel Rouen, 1er giugno, 1968, richiamate da B. MEOLI, op. cit., p. 160, note 150 e 151.

77 Così M. DEFOSSEZ, Réflexions sur l’employ des motifs comme cause des obligations, in Rev. trim. dr. civ., 1985, p. 521 ss.

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rente protezione al sovvenuto-acquirente del rapporto trilaterale, intervenne dapprima nel

1966 78 e successivamente nel 1978.

Con il primo intervento si è limitato ad estendere la tutela anti-usura ai crediti concessi in

occasione di vendite a rate (art. 1, comma 2), pertanto ‘solo’ con il susseguente intervento, ossia

la Loi 78-22 del 10 gennaio 1978, c.d. Scrivenier, ha effettivamente disciplinato il contratto di

credito a consumo.

Il suddetto contratto, infatti, è stato qualificato come fattispecie normativamente tipica, che

usufruisce di un’articolata regolamentazione finalizzata ad offrire protezione all’utente di servizi

finanziari al consumo attraverso una forma di garanzia che si manifesta, da un lato, nei doveri di

informazione e nell’esercizio del diritto di pentimento entro i sette giorni successivi all’ac-

cettazione dell’offerta preliminare, dall’altro, mediante l’imposizione di un contenuto minimo

contrattuale non più improntato al tradizionale favor creditoris proprio del Code civil. Le dispo-

sizioni della Loi Scrivenier sono di poi confluite, con aggiornamenti resi in ossequio agli impe-

gni comunitari scaturiti dalla citata direttiva 87/102, nel Libro III Code de la consommation e

precisamente nella parte intitolata indebitamento (endettement).

La Loi Scrivenier, ferma alla terminologia dei contratti di credito e dunque priva di una defi-

nizione di consumatore, ha trovato applicazione per ogni operazione di credito a titolo oneroso o

gratuito (art. 2), salve le eccezioni dei prestiti a breve e del credito immobiliare (art. 3) 79. Con

essa è stato disposto, altresì, che gli obblighi di trasparenza e di informazione si estendono ad

ogni forma di promozione, compresa l’offerta al pubblico, che dovrà contenere l’identità del

mutuante, la natura, l’oggetto e la durata dell’operazione proposta, così come il costo totale ed

eventualmente il tasso effettivo globale del credito nonché le percezioni forfettarie per spese di

dossier e scadenza (art. 4).

Oltre alle norme che riguardano l’ambito di estensione (soggettivo ed oggettivo) della stessa

disciplina legale, rilevante è la disposizione di cui all’art. 9, che contempla un vero collegamen-

to di tipo legale tra la compravendita ed il mutuo ad essa finalizzato. Ivi si legge che allorché

l’offerta preliminare per la conclusione del mutuo menzioni il bene o il servizio oggetto del con-

tratto di compravendita, l’obbligazione del mutuatario non è efficace che dalla consegna del be-

ne o dall’effettuazione della diversa prestazione finanziaria; il secondo comma dispone che la

risoluzione o l’annullamento della vendita determinano la conseguente risoluzione od annulla-

mento del contratto di finanziamento.

L’art. 10 stabilisce, altresì, che se la risoluzione o l’annullamento sono imputabili al vendito-

78 Loi 66-1010 del 28 dicembre 1966. 79 In particolare l’art. 2 si riferisce «ad ogni operazione di credito posta in essere da persone fisiche o giuri-

diche con carattere di abitualità, a titolo oneroso o gratuito. Si tratta in particolar modo di prestiti monetari, di contratti di locazione-vendita o di locazione derivata da una promessa di vendita e di tutte le operazioni di cre-dito legate a vendite o a prestazioni di servizi, comprese le vendite e le prestazioni il cui pagamento è rateizzato o differito».

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re, quest’ultimo potrà essere condannato a garantire la restituzione del mutuo da parte dell’ac-

quirente. Invero non è stata sancita una responsabilità solidale del finanziatore per l’ina-

dempimento del venditore, per converso, però, nei casi di contestata esecuzione del contratto

principale, è stato riconosciuto all’autorità giudiziaria il potere di sospendere l’esecuzione del

contratto di credito «jusqu’à la solution du litige».

Tutto ciò configura un collegamento che è stato qualificato meno intenso rispetto a quello

auspicato nel dibattito preparatorio, un collegamento che, per un verso, ripropone la separazione

funzionale dei due contratti, ci si riferisce all’imputabilità delle relative vicende di inadempi-

mento, ma, per altro verso, attribuisce al giudice il potere di annullare o di risolvere il contratto

di finanziamento, quando il contratto di vendita sia stato a sua volta risolto o annullato, assicu-

rando al finanziatore, nel caso di risoluzione giudiziale del contratto di vendita per colpa del

venditore, il diritto alla restituzione della somma presa a mutuo dall’acquirente, fermo in ogni

caso il risarcimento del danno a favore di entrambi 80. Sempre nell’ottica di tutelare il consuma-

tore, è stabilita la nullità della clausola con cui il compratore si obbliga a pagare il bene o la pre-

stazione in contanti in caso di mancato ottenimento del finanziamento.

Norme particolari sono anche dettate per il settore del credito finalizzato all’acquisto di beni

immobili 81.

Successivamente tutte queste disposizioni, insieme alle altre che compongono la Loi Scrivener,

sono confluite nel già ricordato Libro III del Code de la consommation di cui alla l. n. 93-949 del

26 luglio 1993. Il ‘codice’ si compone di altri quattro Libri, dedicati all’informazione dei consu-

matori ed alla formazione del contratto (il primo), alla garanzia ed alla sicurezza dei prodotti e dei

servizi (il secondo), alle associazioni dei consumatori (il quarto), alle istituzioni (il quinto).

È con riferimento a tale testo normativo che, anche in Francia, emergono delicate questioni

sull’ambito soggettivo di applicazione delle relative disposizioni, stante la portata non univoca

della locuzione ‘non professionale’ che segna il discrimen tra legislazione speciale a tutela del

contraente debole nei contratti di massa e la disciplina ordinaria del contratto.

Ad una nozione estensiva di consumatore, che considera tale anche il professionista quando

agisce al di fuori della sua sfera di competenza, si contrappone altra nozione che esalta la porta-

ta letterale del detto inciso, sottolineando che non possono che definirsi consumatori solo "ceux

qui se procurent ou qui utilisent des biens ou des services pour un usage non professionnel"; per

i fautori di questo orientamento, solo una definizione restrittiva permette di assicurare coerenza

alla nozione e rigore interpretativo 82.

Il dibattito però si innesca all’interno di quella più ampia fenomenologia, di dimensione eu-

80 In termini S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Il Credito al consumo, cit., p. 956. 81 Così B. MEOLI, op. cit., p. 162, ed ivi i richiami normativi e dottrinali. 82 Si precisa, infatti, che il radicale dissidio tra le due opposte teorie ha condotto la dottrina a promuovere il

tentativo di definire l’ambito di applicazione della legge non in base ad una definizione astratta di consumatore, ma attraverso un sistema di presunzioni semplici.

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ropea, che ha determinato, ut supra precisato, un intenso moto accelleratorio a partire dal-

l’ultimo ventennio del secolo scorso verso esigenze di protezione della parte debole del rappor-

to, il consumatore appunto. Anche il legislatore francese si è visto costretto ad adattare la nor-

mativa interna, finanche sul piano dei profili definitori, al fine di favorire quelle ispirazioni eu-

ropeiste consapevoli di un mercato che, puntualmente, vede estendersi oltre i confini nazionali

di ogni singoli Stato.

Se il legislatore comunitario si è ispirato con la direttiva 87/102 anche al modello

dell’esperienza francese, il formante legislativo di uno degli ordinamenti ispiratori non è stato

esentato dall’obbligo di dare attuazione agli impegni comunitari assunti, e, dunque, considerate

le istanze che avevano mosso il legislatore sovranazionale, la strada è apparsa spianata verso

l’innalzamento dei livelli di protezione del consumatore, anche attraverso utili valutazioni intor-

no all’unitarietà dell’operazione economica posta in essere.

Analogamente alla iniziativa del Tribunale di Bergamo che ha rimesso, come ampiamente

precisato, la questione pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE alla Corte di Giustizia europea, an-

che il giudice francese di fronte alla scarsa utilità del già richiamato art. 11 della citata direttiva,

disciplinante l’ipotesi di inadempimento del fornitore, ed al fine di dissipare i dubbi intorno alla

definizione dei criteri identificativi del collegamento esistente tra le due fattispecie negoziali, ha

inteso ricorrere alla funzione nomofilattica della Corte di Giustizia.

La Corte europea, con la sentenza Rampion (C-429/05), si è pronunciata in materia di credito

al consumo, individuando lo specifico ruolo del giudice nazionale nella disciplina di tutela dei

consumatori 83. Il caso di specie verteva sulla stipula di un contratto, avente ad oggetto la vendi-

ta di infissi, concluso tra una società francese e due coniugi, i quali chiesero ed ottennero un fi-

nanziamento dell’intero prezzo del bene da una società finanziaria che aveva l’esclusiva con

quella venditrice. Al momento della consegna del bene lo stesso risultava difforme da quello

pattuito nel contratto. I coniugi, dunque, agivano per ottenere la risoluzione del contratto per

inadempimento e l’estinzione del finanziamento. La società finanziaria eccepiva l’impossibilità

di dichiarare l’estinzione, in quanto i due contratti di vendita e di credito non erano collegati e

nel contratto di finanziamento non era indicato il bene oggetto della vendita.

La pronuncia si occupa della questione relativa alla finalità (rectius: ratio) della direttiva

87/102 ed, in particolare, degli artt. 11 e 14, che consentono, ha inteso il giudice sovranazionale,

di applicare le norme sull’interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di

beni o di servizi, finanziato grazie a tale credito, anche quando il contratto di credito non men-

zioni il bene il cui acquisto è finanziato o è stato concluso nella forma di apertura di credito sen-

za menzione del bene finanziato. La Corte, infatti, ha statuito che la direttiva 87/102 debba esse-

re interpretata «nel senso che essa consente al giudice nazionale di applicare d’ufficio le diposi-

83 C. Giust. CE, 4 ottobre 2007, C-429/05, cit., anche in Nuova giur. comm., 2008, I, p. 202 ss., con nota di LEGGIERI, Il diritto del consumatore ad agire contro il creditore anche nel caso in cui l’offerta non rechi men-zione del bene (o della prestazione di servizi) finanziato.

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zioni che traspongono nel diritto nazionale il suo art. 11, n. 2, in particolare in considerazione

del fatto che tale direttiva ha una finalità più ampia della mera tutela del consumatore, che si

estende all’organizzazione del mercato» 84.

Secondo la Corte di Giustizia, ed anche diversamente dal criterio di collegamento inizial-

mente rintracciabile nella Loi Scrivener, il regime di interdipendenza sancito dall’art. 11 della

direttiva sul credito al consumo trova applicazione anche nel caso in cui il contratto di finan-

ziamento non menzioni espressamente i beni o servizi acquistati 85.

E dunque se il giudice italiano ha concentrato l’attenzione sulla previsione dell’art. 11,

comma 2, direttiva 102/87, limitatamente al disposto che riconosce nell’accordo tra fornitore e

finanziatore, in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione

dei clienti di quel fornitore, il presupposto per l’esperibilità delle azioni di risoluzione (e di resti-

tuzione) del consumatore nei confronti del finanziatore nell’ipotesi di inadempimento del forni-

tore, il giudice francese, in un caso di sussistenza del suddetto accordo, ha adito il giudice so-

vranazionale per una pronuncia interpretativa avente od oggetto la medesima diposizione ma

relativamente ad altro presumibile presupposto per l’applicabilità dell’intera disciplina del credi-

to al consumo ed in particolare di quella parte relativa alle azioni esperibili in giudizio.

È stata altresì colta l’occasione per puntualizzare le modalità di esercizio del potere

dell’autorità giudiziaria nel diritto dei consumatori, aspetto su cui la Corte di Cassazione, suc-

cessivamente, non ha esitato a pronunciarsi. Attualmente, infatti, «la tutela processuale del con-

sumatore costituisce l’ultima frontiera della c.d. espansione del diritto dei consumi» 86, la Cour

de cassation ben consapevole di ciò, ha riconosciuto al giudice, sul piano processuale, uno spe-

cifico potere di rilevare le norme contenute nel code de la consommation che si ritengono viola-

te, superando l’iniziale ritrosia manifestata a livello dottrinale e giurisprudenziale sull’esten-

sione del potere processuale del giudice al diritto dei consumatori 87. Si è giunti a riconoscere un

84 Si veda CLARET, Crédit à la consommation: quelques précisions apportées par la Cour de justice des Communautés européennes, nota a C. Giust. CE, 4 ottobre 2007, C-429/05, in Rec. Dalloz, 2008, p. 458.

85 C. Giust. CE, 4 ottobre 2007, C-429/05 e Trib. Bergamo, 4 ottobre 2007, in Corriere giur., 2008, p. 489 ss., con nota R. CONTI, Il ruolo del giudice nazionale nella protezione del consumatore, con particolare riferi-mento alla disciplina del credito al consumo. Sulla medesima sentenza si veda anche la riflessione svolta da GAUTIER, La faculté pour le juge de soulever d’office un moyen de droit et la protection effective de l’achetueur, in Rev. Trim. dr. Civ., 2008, p. 318, che annotando una pronuncia della Cour de cassation, Ass. plén., 21 dicembre 2007, richiama il caso Rampion sul potere d’ufficio di rilevare la nullità di una clausola abusiva al fine di assicurare al consumatore una protezione effettiva, superando il rischio che per una non cono-scenza dei suoi diritti o per difficoltà di accesso alla giustizia, rimanga inerte: «Et si cela fait du jude une auto-rité “providence” (selon l’expression de L. Weiller), cela n’a rien de choquant, ni juridiquement, ni morale-ment». In argomento DESHAYES, L’office du juge à la recherche de sens (à propos de l’arret de l’assemblée plénière du 21 décembre 2007), in Rec. Dalloz, 2008, p. 1102.

86 Cfr. V. ZENO-ZENCOVICH e M.C. PAGLIETTI, Verso un «diritto processuale dei consumatori»?, in Nuova giur. comm., 2009, II, p. 222.

87 V. Cour de Cassation, 22 gennaio 2009, n. 35, in Obbl. e contr., 2010, p. 444, con nota di M.P. MANTO-

VANI, Il sistema delle nullità di protezione e l’esercizio del potere giudiziale nel diritto dei consumatori, ineren-

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meccanismo di intervento giudiziale c.d. condizionato, essendo stati i poteri del giudice model-

lati in ragione della preminente tutela riconosciuta al consumatore, il risultato ha generato un

paradigma non consueto, sul piano del sistema generale, né al nostro ordinamento né a quello

francese, che pure vanta una solida tradizione in materia consumeristica.

L’analisi del percorso giurisprudenziale francese, però, ha lasciato emergere che l’orien-

tamento prevalente della Cour de cassation, in particolare nel droit de la consommation, si è

mostrato inizialmente incline a non riconoscere «au jude le pouvoir de relever d’office une nul-

lité d’ordre public de protection» 88, infatti solo con la previsione sancita dal nuovo art. L. 141-4

c. cons., introdotto dall’art. 34 Loi Chatel del 31 gennaio 2008, si è posto fine a tale diffuso in-

dirizzo, trovando riconoscimento normativo la rilevabilità ex officio delle disposizioni del code

de la consommation 89.

L’introduzione del nuovo art. L. 141-4 c. cons. s’iscrive perfettamente nel quadro giuridico

europeo, modernizzando il diritto processuale dei consumatori troppo spesso posto a latere di

quello sostanziale 90. Ne consegue che la citata disposizione nell’attribuire al giudice uno speci-

fico potere di agire, motu proprio, sul piano processuale, a livello applicativo ha inteso favorire

«l’effectivité du droit de la consommation et le respect du droit au procès équitable» 91, ed è

proprio nel solco di questa precisazione che trovano conforto le nuove disposizione del contratto

di credito al consumo, come modificate a seguito della trasposizione (anche da parte del legisla-

tore francese) della direttiva 2008/48/CE 92. Con la citata direttiva il legislatore sovranazionale

te il potere di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola contrattuale. 88 V. M.P. MANTOVANI, Il sistema delle nullità di protezione e l’esercizio del potere giudiziale nel diritto

dei consumatori, cit., p. 449 ss. 89 Art. L. 141-4: «Le jude peut soulever d’office toutes les dispositions du present code dans les litiges nés

de son application». 90 Così POISSONNIER, Office du jude en droit de la consommation: une clarification bienvenue, in Rec. Dal-

loz, 2008, p. 1286; nel nostro ordinamento, S. MONTICELLI, Limiti sostanziali e processuali al potere del giudi-cante ex art. 1421 c.c. e le nullità contrattuali, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, III, 2006, p. 604, secondo il quale a proposito della rilevabilità d’ufficio che deve operare in modo non confliggente con gli inte-ressi del consumatore, appare «chiaro che il giudicante è chiamato preliminarmente, e ciò si badi è ben detto anche dai giudici della Corte di Giustizia, ad effettuare un’interpretazione teleologica del dato normativo che prevede l’ipotesi di nullità oggetto di possibile rilievo d’ufficio».

91 Così, ancora, POISSONNIER, Office du jude en droit de la consommation: une clarification bienvenue, cit., p. 1289.

92 V. FLORES e BIARDEAUD, L’office du jude et le crédit à la consommation, in Rec. Dalloz, 2009, p. 2229, i quali osservano: «en sanctionnant, grace à la forclsuion, le dépassement du plafond de l’overture de crédit, la Cour de cassation a permis en outre l’exercise d’un certain controle sur des crédits sxcessifd, alors meme qu’en raison du principe dispositif le juge ne peut pas se saisir d’office d’un tel moyen sours l’angle habituel de la responsabilità civile (…). Ainsi, la Cour de cassation avait posé les prémices de la notion de “préteur responsabler”, prévue par la directive 2008/48/CE du Parlament europée net du Conseil du 23 avril 2008, concernano les contrats de crédit aux consommateurs et abrogeant la directive 87/102/CEE du Conseil». Sulla direttiva 2008/48, CE, PIEDELIÈVRE, La directive du 23 avril 2008 sur le crédiy aux consommateurs, in Rec. Dalloz, 2008, p. 2614.

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ha voluto realizzare un’uniformazione completa delle legislazioni nazionali, al fine di consentire

ai consumatori di beneficiare della crescente disponibilità del credito trasfrontaliero.

La legge di recepimento francese, Loi n. 2010-737 du 1 juillet 2010 portant réforme du cré-

dit à la consommation, ha novellato svariati articoli del code de la consommation, favorendo, in

particolare, una commercializzazione responsabile del credito al consumo ed una prevenzione

migliore del ‘sovra-indebitamento’.

Anche il legislatore francese, come quello italiano, in sede di recepimento della recente diret-

tiva ha delimitato la sfera soggettiva di applicazione della legge ricorrendo ad un criterio che si

basa non sui soggetti coinvolti, come si legge nel BGB, bensì sulla natura o sull’importo

dell’operazione stessa, nel contempo, analogamente a quanto si riscontra anche nell’area tede-

sca, ha imposto obblighi informativi precontrattuali a carico del professionista. Su costui infatti

gravano specifici obblighi di informazione documentale in executivis, in particolare l’obbligo di

consegnare al consumatore un estratto conto, quello di informarlo circa ogni possibile variazio-

ne successiva del tasso debitorio nonché particolari obblighi documentali post contractum speci-

ficatamente previsti per i contratti aventi ad oggetto la facoltà, per il consumatore, di procedere

ad uno sconfinamento del credito. Si tratta di obbligatorietà che discendono ex lege dal contratto

di credito, la cui violazione giustifica quel richiamo alla rilevabilità d’ufficio delle clausole abu-

sive di cui si diceva. Lungo questa scia e nell’ottica dell’anzidetto collegamento tra contratto di

vendita e contratto di finanziamento permane nell’ordinamento francese il potere del giudice di

sospendere, in caso di contestazioni sulla esecuzione del contratto principale, e dunque in ipote-

si di inadempimento del fornitore, l’esecuzione del contratto di credito fino a quando non sarà

definita la controversia azionata contro il fornitore. Non allontanandosi dalla propria tradizione,

il legislatore francese omette qualsiasi riconoscimento di una responsabilità solidale tra finan-

ziatore e fornitore in caso di inadempimento di quest’ultimo, pertanto, allorquando il fornitore

non adempia esattamente la sua obbligazione nei confronti del consumatore, il contratto di cre-

dito resta comunque valido sebbene la sua efficacia rimanga sospesa.

Invero questa responsabilità solidale risulta ignota e all’ordinamento italiano, che subordina

la risoluzione del contratto di credito alle condizioni di cui all’art. 125-quinquies del t.u.b. e

all’ordinamento tedesco, trovando nel contempo riscontro, esclusivamente, nell’area anglosas-

sone. Il legislatore inglese, infatti, nel dare attuazione alla direttiva 48/2008/Ce, attraverso

l’emanazione del c.d. The Consumer Credit Regulations, costituito da sei diversi tipi di regola-

mento attuati mediante lo Statutory instrument, ha novellato il Consum Credit Act del 1974 93,

93 In particolare sono stati emanati i seguenti atti normativi: The Consumer Credit (Advertisements) Regula-tions 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicato in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 6 aprile 2010, n. 1010, in vigore dal il 1 febbraio 2011; The Consumer Credit (Advertisements) Regulations 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicato in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 10 agosto 2010, n. 1970, in vigore dal il 1 febbraio 2011; The Consumer Credit (Amendment) Regulations 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicato in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 10 agosto 2010, n. 1969, entrato in vigore il 26 agosto 2010; The Consumer Credit (Disclosure of Information) Regula-

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JUS CIVILE

222 www.juscivile.it, 2015, 4

introducendo, tra l’altro, l’art. 75 A, mediante il quale viene regolato l’inadempimento del forni-

tore e i suoi effetti con riguardo ai contratti di credito collegati. In particolare secondo il dispo-

sto dell’art. 75 A, quando un contratto di credito è utilizzato per acquistare beni o servizi e vi è

un problema nella fornitura di tali prodotti o servizi “(…) il consumatore può esercitare

un’azione nei confronti del creditore”. In realtà la novella ha meramente rafforzato il già esi-

stenze carattere solidale della responsabilità tra fornitore e finanziatore, il legislatore inglese si è

mosso conformemente alla disposizione di cui al comma 3 dell’art. 15 direttiva 48/2008 che fa

salve le norme nazionali che già riconoscono una responsabilità solidale tra creditore e fornitore

in ipotesi di inadempimento di quest’ultimo.

Ritornando all’ordinamento francese, in un’ottica che si scontra con gli anzidetti propositi di

massima armonizzazione fatti propri dal legislatore europeo, pare che il legislatore francese ab-

bia preferito aderire ad una impostazione differente rispetto a quella ‘privilegiata’ in altri Paesi,

compreso il nostro. Egli infatti ha continuato a contemperare il riconoscimento di un nesso giu-

ridicamente rilevante tra le fattispecie contrattuali coinvolte con i principi della separazione fun-

zionale tra contratto di vendita e contratto di finanziamento e della sussistenza di autonomi pro-

fili di imputabilità dell’inadempimento del primo o del secondo contratto. Tale contemperamen-

to è confortato dalle previsioni (già richiamate) che, da un lato, consentono al giudice di annul-

lare o risolvere il contratto di finanziamento nel caso di risoluzione o annullamento del contratto

di vendita e, dall’altro, consentono al finanziatore di «richiedere la condanna del venditore alla

restituzione della somma presa a mutuo dal consumatore e ad esso trasferita, con eventuale

condanna al risarcimento dei danni sofferti tanto dal finanziatore quanto dal consumatore» 94.

tions 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicata in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 6 aprile 2010, n. 1013, entrato in vigore il 30 aprile 2010; The Consumer Credit (Agreements) Regulations 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicato in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 6 aprile 2010, n. 1014, entrato in vigore il 30 aprile 2010; ed infine The Consumer Credit (EU Directive) Regula-tions 2010, attuato mediante Statutory instrument (SI), pubblicato in Her Majesty’s Stationery Office (HMSO), 6 aprile 2010, n. 1010, entrato in vigore il 30 aprile 2010. Sul Consum Credit Act del 1974, si vedano ZICCAR-

DI, Il Consumer crediti Act inglese del 1974: prime impressioni, in Giur. it., IV, 1978, p. 29, ma soprattutto M. BESSONE, Economia e tecnica negoziale del contratto di credito al consumo, in Giur. merito, 1987, pp. 1041-1047 il quale rilevava che la suddetta legislazione inglese dimostrava la complessiva sfiducia dell’ordinamento verso il controllo giurisdizionale dei contratti.

94 V. art. L. 311-22. Loi n. 2010-737.