José Angel Valente, il poeta e le arti

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Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere e Filosofia con sede in Arezzo Corso di laurea specialistica in Studi Linguistici e Culturali: Letterario e storico-culturale per l’editoria e “l’industria culturale” (LSC) Prova Finale José Ángel Valente, il poeta e le arti Candidato: Giulio Bartolini Relatore: Prof. Julio Pérez-Ugena Correlatore: Prof. Carlo Sisi a. a. 2007/2008

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Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere e Filosofia con sede in Arezzo

Corso di laurea specialistica in Studi Linguistici e Culturali:

Letterario e storico-culturale per l’editoria e “l’industria culturale” (LSC)

Prova Finale

José Ángel Valente, il poeta e le arti

Candidato:

Giulio Bartolini

Relatore:

Prof. Julio Pérez-Ugena

Correlatore:

Prof. Carlo Sisi

a. a. 2007/2008

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Indice

1 Introduzione……………………………………………………………………………………p. 4

2 Genesi della creazione artistica……………………………………………………………….p. 5

3 Vuoto, nulla……………………………………………………………………………...…….p. 15

4 Silenzio…………………………………………………………………………………………p. 31

5 Caso………………………………………………...………………………………………….p. 48

6 Fare artistico………………………………………..…………………………………………p. 54

7 Luce…………………………..………………………………………………………………..p. 71

8 Interiorità, superficialità………………………...…………………………………………...p. 78

9 Calligrafia, ideogramma……..…………………………………………...…………………..p. 82

10 Violenza………………………………………………………………………………………p. 87

11 Libri d’autore………………………………………………………………………………p. 101

12 Conclusioni………………………………………………………………………………….p. 112

13 Bibliografia ...…………………………………………………………………………...….p. 114

14 Sitografia……………………………………………………………………………………p. 116

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1 Introduzione

Il poeta José Ángel Valente ad Almería

Questa tesi mira a provare l’esistenza di alcune affinità fra il pensiero e le opere del poeta

galiziano José Ángel Valente e quelli di alcuni artisti. In particolare, lo scritto verterà sul tentativo di

dimostrare la convergenza di vedute su qualche aspetto delle arti tra Valente i pittori Antoni Tàpies

ed Antonio Saura e lo scultore Eduardo Chillida.

La trattazione si impernierà sull’esame di parte delle loro riflessioni e teorizzazioni sulle arti,

nonché su dei testi di commento e critica ad esse. Inoltre, cercheremo di esaminare le opere nate

dalla collaborazione tra questi artisti e quelle realizzate a partire da influenze reciproche o univoche.

L’insieme di tali osservazioni avrà il fine, come già sostenuto in precedenza, di provare la

sussistenza di analogie artistiche tra Valente, da una parte, e Tàpies, Chillida e Saura, dall’altra.

Antoni Tàpies Eduardo Chillida Antonio Saura

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2 Genesi della creazione artistica

In molte delle creazioni del poeta galiziano José Ángel Valente è presente un’acuta riflessione

sulle arti e sul loro significato. Tale meditazione è riconducibile alla volontà di ripensamento

dell’attività artistica manifestatasi più volte nel corso della storia ed acuitasi con l’avvento del

romanticismo.1

La volontà di ridefinizione delle arti si ravvivò in svariate occasioni nel corso del XX secolo,

soprattutto con la venuta delle avanguardie storiche2 e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

3

In questi due periodi, l’intero mondo della cultura avvertì l’impellente necessità di rifondare le sue

basi: ciò dette inizio ad un dibattito trasversale tutt’oggi aperto.4 Coloro che animano la discussione

sul riesame dell’espressione artistica, fra i quali Valente, ne rifuggono la tradizionale suddivisione

accademica in generi o arti indipendenti ed incomunicabili.

Il poeta di Orense propone una sua teoria sull’origine dell’opera artistica in numerose circostanze

e, principalmente, all’interno di interviste con altri artisti ed opere dedicate al fare artistico. Questa

volontà teorizzatrice da parte dell’orensano è ascrivibile in primo luogo alla sua ammirazione verso

artisti e grandi teorici dell’arte quali Klee, Mondrian, Malevic e Kandinsky.5 A queste importanti

personalità del primo Novecento il galiziano dedica alcuni componimenti poetici e saggistici.6

1 CUSATELLI, GIORGIO, “Il marmo e la parola” in Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte. Ovvero sui limiti

della pittura e della poesia, a c. di Giorgio Cusatelli e Teresina Zemella, Milano, Biblioteca Universale

Rizzoli, 1994, passim

ZEMELLA, TERESINA, “Introduzione” in Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte. Ovvero sui limiti della

pittura e della poesia, op. cit., passim 2 BOZAL, VALERIANO, “1. Los primeros diez años. Ya no, pero todavía no” in Valeriano Bozal, Los primeros

diez años: 1900-1910, los orígenes del arte contemporáneo, Madrid, Visor, 19932, pp. 15-26

3 ARGAN, GIULIO CARLO, “Capitolo Settimo. La crisi dell’arte come scienza europea” in Giulio Carlo Argan

e Achille Bonito Oliva, L’arte moderna, Firenze, Sansoni, 1999, 2 voll., passim

BOZAL, VALERIANO, “El arte de la posguerra” in Valeriano Bozal, Pintura y escultura españolas del siglo

XX (1939-1990), Madrid, Espasa-Calpe, 1992, passim 4 BOZAL, VALERIANO, “El muro y el monstruo” in Valeriano Bozal, El tiempo del estupor: la pintura

europea tras la segunda guerra mundial, Madrid, Siruela, 2004, pp. 123-127

ARGAN, GIULIO CARLO, “Capitolo Settimo. La crisi dell’arte come scienza europea” in Giulio Carlo Argan e

Achille Bonito Oliva, op. cit., passim

BOZAL, VALERIANO, “El arte de la posguerra” in Valeriano Bozal, Pintura y escultura españolas del siglo

XX (1939-1990), op. cit., passim

BOZAL, VALERIANO, “El final de la posguerra” in Valeriano Bozal, Pintura y escultura españolas del siglo

XX (1939-1990), op. cit., passim 5 IGLESIAS SERNA, AMALIA, “La escritura es una aventura absolutamente personal. Entrevista con José Ángel

Valente” in José Ángel Valente, Palabra y materia, a c. di Amalia Iglesias Serna, Madrid, Círculo de Bellas

Artes, 2006, 20072, p. 57

6 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Homenaje a Klee” in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa, a c.

di Andrés Sánchez Robayna, Madrid, Galaxia Gutemberg: Círculo de lectores, 2006, 1 voll., pp. 326-327

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in José Ángel Valente, Obras Completas:

poesía y prosa, op. cit., p. 387

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Paul Klee, Paesaggio con uccelli gialli, 1923, Piet Mondrian, Albero grigio, 1912, olio su tela,

lamina, 40 x 30 cm, collezione privata 78,5 x 105,7, Gemeentemuseum, L’Aia

Kazimir Malevic, Croce nera, 1920, olio su tela, Vassily Kandinsky, Orientale, 1909, olio su tela,

8 x 6 cm, Museo Russo, San Pietroburgo 69,5 x 96,5 cm, Galleria “Stadtische”,

Monaco di Baviera

Kazimir Malevic Paul Klee Piet Mondrian Vassily Kandinsky

Uno dei più importanti dibattiti sulle arti ai quali partecipa Valente si crea in occasione di una sua

visita al taller barcellonese del pittore Antoni Tàpies nel 1995. Durante l’amichevole e disteso

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Paisaje con pájaros amarillos” in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y

prosa, op. cit., pp. 497-502

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cuatro referentes para una estética contemporánea” in José Ángel Valente, Obras

completas: ensayos, a c. di Andrés Sánchez Robayna e Claudio Rodríguez Fer, Madrid, Galaxia Gutemberg:

Círculo de lectores, 2006, 2 voll., pp. 545-554

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Sobre la unidad simple” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit.,

pp. 498-502

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dialogo che segna l’incontro, il poeta compie ripetute teorizzazioni “avanguardiste” riguardanti

l’esistenza di un elemento aggregante tra le varie arti. Esso è costituito dalla cosiddetta materia

oscura, ovvero l’agente imprescindibile nella creazione di qualunque realizzazione artistica.

Ocurre que la materia original sobre la que trabajamos todos es la misma. Es esa materia en la

que uno no sabe muy bien qué va a encontrar, esa materia oscura.

Succede che la materia originale sulla quale lavoriamo tutti è la stessa. E’ questa materia nella

quale non si sa molto bene quello che si trova, questa materia oscura. 1

Una volta delineato il suo pensiero circa la genesi dell’opera d’arte, il poeta di Orense illustra a

Tàpies il modo in cui dalla comune materia o raíz artistica iniziale si creino, a suo dire, svariate

“ramificazioni”. Tali ineluttabili divergenze dalla “radice” originaria scaturiscono in parte dai

differenti strumenti di volta in volta impiegati nella creazione delle singole opere. Difatti, il

cambiamento dell’attrezzo sfruttato implica spesso l’intervento di un diverso saper fare artistico.

Quest’ultima variante, ovvero la differente attitudine alla creazione da parte di ciascun artista, è

proprio quella che il gallego considera basilare nella distinzione tra l’operato di un pittore e quello

di un poeta, tra l’intervento di un musicista e il lavorio di uno scultore.2

J. Á. V: De ella cada uno saca algo con los instrumentos de cada arte particular.

J. Á. V.: [Parlando con Tàpies della materia unica] Da essa ognuno tira fuori qualcosa con gli

strumenti di ogni arte particolare. 3

Durante questo scambio di opinioni con l’amico catalano, Valente percepisce appieno quanto

Tàpies condivida la sua necessità di ripensare le arti al pari dell’intero sapere umano.4 Tuttavia,

come peraltro asserisce Xavier Antich in La escritura de Antoni Tàpies, il pittore di Barcellona non

sente mai né durante questo colloquio, né tantomeno nel corso della sua lunga carriera artistica,

l’esigenza di “supportare” la sua velleità rinnovatrice delle arti con una teoria compiuta.

La verdad es que Tàpies nunca ha pretendido elaborar, en sus escritos, una teoría del arte

articulada, coherente, sistemática ni cerrada: “Una teoría del arte, en mis manos, la acabaríamos muy

pronto”.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., p. 536; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., ibid. 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., ibid. 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., pp. 535-538

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La verità è che Tàpies non ha mai preteso elaborare, nei suoi scritti, una teoria dell’arte articolata,

coerente, sistematica né chiusa: “Una teoria dell’arte, nelle mie mani, la finiremmo ben presto”. 1

Ciò, pur non impedendogli un raffronto costruttivo con Valente ed una parziale adesione ad

alcuni dei suoi principi artistici, lo differenzia dall’orensano. Quest’ultimo infatti, in particolar

modo negli ultimi due decenni della sua attività artistica, si dedica fortemente alla critica dell’arte

come testimoniano i numerosi scritti e poesie dedicati all’argomento.2 Di contro il pittore di

Barcellona è più incline a dare soltanto giudizi “estetici”3 sull’espressione artistica, lasciandone la

vera e propria definizione ai teorici:

Lo que Tàpies ha practicado en su escritura, más que la crítica de arte, es el juicio estético, en el

más riguroso sentido kantiano: “La representación de la imaginación que provoca a pensar mucho, sin

que, sin embargo, pueda serle adecuado pensamiento alguno, es decir, concepto alguno, y que, por lo

tanto, ningún lenguaje expresa del todo”. Tàpies, a su manera, formulará lo mismo: “La eficacia de las

obras de arte, como saben los mejores teóricos, se inicia por el hecho de que son formas materiales

sensibles, ya que estas formas son las que pueden asumir de manera más directa el orden profundo de la

realidad, el cual difícilmente puede ser transmitido por medio del lenguaje corriente y de los conceptos

intelectuales”.

Quello che Tàpies ha praticato nella sua scrittura, più che la critica dell’arte, è il giudizio estetico,

nel più rigoroso senso kantiano: “La rappresentazione dell’immaginazione che stimola a pensare molto,

senza che, tuttavia, possa esserle adeguato pensiero alcuno, cioè, concetto alcuno, e che, pertanto,

nessun linguaggio esprime del tutto”. 4 Tàpies, a modo suo, formulerà la stessa cosa: “L’efficacia delle

opere d’arte, come sanno i migliori teorici, scaturisce dal fatto che sono forme materiali sensibili,

giacchè queste forme sono quelle che possono assumere in modo più diretto l’ordine profondo della

realtà, il quale difficilmente può essere trasmesso per mezzo del linguaggio corrente e dei concetti

intellettuali5”.

6

1 ANTICH, XAVIER, “La escritura de Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies, En blanco y negro, op. cit., p. 13; trad.

in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 SÁNCHEZ ROBAYNA, ANDRÉS, “Introducción” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., pp. 39-54 3 TÀPIES, ANTONI, “Introducción” in Antoni Tàpies, El arte contra la estética, a c. di Joaquim Sempere,

Barcelona, Editorial Ariel, 1974, 19782, pp. 7-8

[Parlando dei testi della raccolta El arte contra la estética] Advertimos (una vez más) al lector que

esta nueva colección de textos no pretende ser ninguna “teoría del arte”, lo que se podría imaginar como

“nuestra teoría del arte”. La mayoría de ellos son simplemente reacciones espontáneas ante... ¿ideas?,

¿actitudes?, ¿modas?..., con las cuales hemos topado de vez en cuando en los últimos años, y respecto a

las cuales hemos creído, o se nos ha dicho, que sería provechoso, -quién sabe si para el autor, en primer

lugar- dar nuestra opinión. Tal vez haya quien descubra en ellos toda una posición estética latente, claro

está; pero, en todo caso, ésta no ha sido la intención inicial.

TÀPIES, ANTONI, “Pensar en el arte” in Antoni Tàpies, El arte contra la estética, op. cit., p. 10

[...] la estética no ha de razonar considerando el arte como una finalidad o un ideal que no se

puede realizar a no ser que se someta a su teoría.

4 KANT, IMMANUEL, Crítica del juicio, ed. a c. di Manuel García Morente, Madrid, Espasa Calpe, 1977,

19812, p. 220; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini

5 TÀPIES, ANTONI, “Valor del arte” in Antoni Tàpies, En blanco y negro, op. cit., p. 247

6 ANTICH, XAVIER, “La escritura de Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies, En blanco y negro, op. cit., pp. 16-17

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Nello svolgimento del dibattito con Valente, Tàpies si limita perlopiù a confermare la plausibilità

e condivisibilità di parte delle asserzioni valentiane.1 L’amico galiziano invece formula molteplici

speculazioni su come, a suo dire, le singole manifestazioni artistiche originino da una raíz común.2

Incontro tra Antoni Tàpies e José Ángel Valente nel taller barcellonese dell’artista catalano

La visione della genesi delle arti propugnata da Valente è derivata dal romanticismo, epoca a

partire dalla quale si iniziò a parlare con insistenza di “sintesi” delle arti, e, parimenti, dalla

meditazione su alcuni scritti teorici dei suddetti avanguardisti. Nel caso specifico, il poeta gallego è

“mosso” a teorizzare la riformulazione delle arti e dei generi da interrogativi del tutto simili a quelli

che arrovellavano Piet Mondrian all’inizio del XX secolo.

Gli scritti di Mondrian pongono quindi la questione dell’autonomia e della specificità dell’arte e/o

delle arti, ma al tempo stesso affermano la necessità dell’oltrepassamento dell’arte: essi appaiono, a

volte, come un complesso organico di indicazioni, quasi una sorta di prontuario, sui modi di costruzione

dell’opera… altre volte, parlano invece della finitezza dell’opera, del suo significato limitante,

sostanzialmente surrogatorio rispetto ad un altro valore che stà al di là dell’opera, al di là dell’arte e

delle arti e che appartiene all’uomo, alla sua condizione individuale e sociale, alla sua stessa esistenza

quotidiana.3

L’artista olandese e, come vedremo in seguito, Valente meditano circa lo “sconfinamento”

dell’arte nella vita e la suddivisione tradizionale delle arti e dei generi. Entrambi ricusano

decisamente l’ipotesi proposta sin dall’epoca neoclassica4 dell’estinzione definitiva dell’arte.

[…] L’arte è prossima alla sua fine? In ogni caso, non c’è di che preoccuparsi. Che cos’è infatti

questa fine, ancora abbastanza lontana, dell’arte se non la liberazione dell’umanità dal dominio della

materia e del fisico, e di conseguenza l’avvento così desiderato di un’epoca in cui trionferà l’equivalenza

“MATERIA-SPIRITO”?5

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., ibid. 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., ibid. 3 MENNA, FILIBERTO, “Per una cultura dei rapporti equivalenti” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, a c. di

Harry Holtzmann e Filiberto Menna, Milano, Feltrinelli, 1959, 19753, p. 15

4 AA. VV., “Il Novecento. Tra avanguardie e continuità espressiva” in AA. VV., Manuale di storia dell’arte,

a c. di Luigi Maffini e Clara Calza, Milano, Electa/Bruno Mondadori, 1988, 200013

, 2 voll., p. 284 5 MONDRIAN, PIET, “L’arte puramente astratta” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., p. 224

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Personaggi

Y. Profano

X. Pittore naturalista

Z. Pittore astratto-naturalista

[I tre personaggi immaginari stanno parlando dell’architettura e della pittura] Z. Verrà un giorno

in cui potremo fare a meno di tutte le forme d’arte come le conosciamo oggi: soltanto allora la bellezza

sarà giunta a maturità, diventando realtà concreta… L’umanità non ci rimetterà niente.1

Il pittore Paul Klee, in alcuni scritti iniziali di Teoria della forma e della figurazione, compie

delle riflessioni sulla genesi dell’opera artistica che possono avere, direttamente o indirettamente,

“suggestionato” Valente. Nella fattispecie, le speculazioni di Klee si “avvicinano” più di quelle di

Mondrian al concetto di unitarietà iniziale dell’espressione artistica sostenuto dal poeta orensano.

1. L’organizzazione delle diversità in unità

L’ambito e le parti

Riepilogo generale (da appunti e note varie)

L’organizzazione delle diversità in unità, la riunione degli organi in organismo è sempre stata, in

molteplici variazioni, l’obiettivo delle nostre ricerche teoretiche…

Il vederli come un tutto si chiama sintetico, come combinazione, invece, analitico; il risultato finale

però è sempre lo stesso: in una parola, sempre l’uomo, essendo variabile soltanto il modo di vedere.

Quello analitico è per noi vantaggioso in quanto permette di conoscere le parti in sé e nel loro

concorrere. Ogni opera però non è a bella prima un prodotto, non è opera che è, ma in primo luogo

genesi, opera che diviene. Non esistono opere determinate a priori, ma ogni opera comincia in qualche

parte, prende le mosse da qualche motivo e si sviluppa, attraverso gli organi, a organismo…2

Il concetto di figurazione

La teoria della figurazione (Gestaltung) si occupa delle vie che conducono alla figura (alla forma).

Essa è la teoria della forma, ma con l’accento sulle vie che a questa conducono: la desinenza della

parola stessa sta ad indicare quanto s’è detto or ora. L’espressione “teoria della forma,” come si dice

dai più, trascura di porre l’accento sulle premesse e le vie che vi conducono…

… La forza creativa non si può definire: essa permane in ultima analisi misteriosa. Tuttavia non è

un mistero quel che ci ha scosso dal profondo: questa forza ci pervade tutti, fin nelle più sottili fibre. Non

possiamo esprimere l’essenza, ma ci è dato, per quanto lontana sia, di risalire alla sua fonte. Comunque,

questa forza dobbiamo rivelarla nelle sue funzioni, com’essa è manifesta a noi stessi. Probabilmente è

essa stessa una forma di materia, solo non percepibile, come tale, con gli stessi sensi validi per le specie

materiali conosciute. Tuttavia essa deve manifestarsi nelle specie materiali a noi note, deve agire a essa

congiunta; compenetrandosi con la materia, deve assumere un’effettiva forma vivente.

Muoversi così lungo le vie naturali della creazione è un’ottima scuola formativa. Essa è in grado

di smuovere dal profondo il creatore che, mobile egli stesso, potrà curare la libertà dello sviluppo lungo

le proprie vie figurative.

La genesi quale movimento formale è, nell’opera, l’essenziale. Al principio il motivo, l’inserimento

dell’energia, lo sperma. Opere come plasmazione della forma in senso materiale: origine prima

femminile. Opere come sperma che statuisce la forma: origine prima maschile.

L’ambito dei mezzi pittorici da adoprare deve trovar limiti nell’elemento ideale: la scelta

dei mezzi va fatta con estrema moderazione: rende possibile ciò, più che la quantità dei mezzi, l’ordine

spirituale.

1 MONDRIAN, PIET, “Realtà naturale e realtà astratta. Triangolo (durante una passeggiata dalla campagna alla

città)” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., p. 123 2 KLEE, PAUL, “Contributi alla teoria della forma” in Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, a c. di

Mario Spagnol e Richard Sapper, Milano, Feltrinelli, 1959, 19763, p. 449

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Mezzi materiali (Legno, metallo, vetro, ecc.): l’uso massiccio dei mezzi materiali, soprattutto qui,

va evitato.

Mezzi ideali (Linea, chiaroscuro, colore): i mezzi ideali sono da preferirsi.

Essi non sono esenti da materia, altrimenti con essi non si potrebbe “scrivere.” Se traccio con

l’inchiostro la parola vino, l’inchiostro, lungi dall’avere il ruolo principale, dà modo di fissare

durevolmente il concetto di vino. L’inchiostro dunque contribuisce alla curabilità del vino. Scrittura e

immagine, lo scrivere e il figurare, sono fondamentalmente tutt’uno.1

Eppure, a seguito di un’accurata riflessione sull’idea valentiana di origine dell’opera artistica,

possiamo affermare che in questo ambito il poeta galiziano si spinge al di là delle meditazioni degli

avanguardisti summenzionati.

Difatti Mondrian e Klee, da una parte, propugnano una visione “d’insieme” dell’espressione

artistica moderna (simboleggiata dall’albero con le sue radici e le sue ramificazioni) ma, dall’altra,

sostengono la legittimità della divisione in generi o arti di questa.2 Al contrario, Valente, come

abbiamo già affermato, dubita della legittimità di tale separazione in arti o generi dell’espressione

artistica contemporanea.3

Il poeta di Orense ci sembra, alla stregua di quanto preconizzato da Juan Eduardo Cirlot negli

anni ‘50,4 propugnare l’esaurirsi dei generi e delle arti nella loro accezione convenzionale e

considerarli compresi in un tutt’uno.

1 KLEE, PAUL, “Concetti introduttivi alla teoria della figurazione” in Paul Klee, Teoria della forma e della

figurazione, a cura di Mario Spagnol e Richard Sapper, Milano, Feltrinelli, 1959, 19763, p. 17

2 LOTMANN, JURIJ, “L’insieme artistico come spazio quotidiano” in Jurij Lotman, Il girotondo delle muse:

saggi sulla semiotica delle arti e della rappresentazione, a c. di Silvia Burini, Bergamo, Moretti e Vitali,

1998, pp. 23-37

BURINI, SILVIA, “Jurij Lotman e la semiotica delle arti figurative” in Jurij Lotman, Il girotondo delle muse:

saggi sulla semiotica delle arti e della rappresentazione, op. cit., pp. 131-164 3 SAN CLAUDIO SANTA CRUZ, ROCÍO, “La sombra de la palabra” in VV. AA., A palabra e a súa sombra:

José Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes =

The word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola

Universidade, Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], Santiago de

Compostela, Universidade de Santiago de Compostela/Xunta de Galicia, 2003, p. 230 4 CIRLOT, JUAN EDUARDO, “Arte y vida” in Juan Eduardo Cirlot, El estilo del siglo XX, Barcelona, Ediciones

UPC, 2008, p. 16

... Y esta especialización es el hecho decisivo que da su fisonomía al siglo XX y a su estilo. De la

libertad nace la variedad; de la crítica y el cultivo especializado procede la multiplicación de esa

diversidad. Y llega a ser tan insondablemente variado el panorama ofrecido al hombre contemporáneo, en

ciencias, formas de vida, objetos utilitarios, tendencias artísticas, literarias y políticas, que tal variedad se

hace sospechosa de esconder una enorme unidad.

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J. Á. Valente e Eduardo Chillida nel taller dello scultore nel 1995. Fotografia di

Coral Gutiérrez Valente.1 A destra, un angolo dello studio del donostiarra

Un raffronto in merito alla genesi delle realizzazioni artistiche è possibile anche fra Valente e lo

scultore basco Eduardo Chillida. In particolar modo, tale confronto prende avvio dall’analisi degli

scritti aforistici dell’artista di San Sebastián. Difatti, pur nella loro estrema concisione e apparente

irrilevanza, gli aforismi di Chillida sono depositari delle sue principali postulazioni sull’origine

delle arti:2

[...] Se puede actuar en campos muy variados, pero lo que emparenta el arte, lo que tienen en

común todas las artes, es que están obligadas a presentar dos componentes que no pueden faltar: la

poesía -es necesario que exista algo de poesía- y una dosis de construccíon; si no, no hay arte.

[...] Si può agire in campi molto diversi, ma quello che accomuna l’arte, quello che hanno in

comune tutte le arti, è che sono obbligate a presentare due componenti che non possono mancare: la

poesia -è necessario che esista un po’ di poesia- e una dose di costruzione; altrimenti, non c’è arte. 3

Se compariamo quest’asserzione chillidiana sull’origine dell’opera artistica con quanto

affermato da Valente in Cinco fragmentos para Antoni Tàpies,4 è conseguente sostenere che lo

scultore donostiarra serba in questo campo una visione differente da quella dell’amico galiziano.

Difatti, anziché parlare di una materia o raíz común a tutte le manifestazioni artistiche, Chillida

ritiene che vi siano delle “componenti” specifiche (poesia e costruzione) ad accomunare le

1 SAN CLAUDIO SANTA CRUZ, ROCÍO, “A sombra da palabra” in AA. VV., A palabra e a súa sombra: José

Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes = The

word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola Universidade,

Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., p. 54 2

MONTERO, Y., “El Chillida más íntimo”, San Sebastián, El País, 11/03/2009,

http://www.elpais.com/articulo/pais/vasco/Chillida/intimo/elpepiesppvs/20090311elpvas_16/Tes

[...] “Los escritos de Eduardo Chillida son tan importantes que son la mejor manera de conocerle

de verdad” afirmó ajer su hijo Ignacio... 3 CHILLIDA, EDUARDO, “Yo soy un fuera de ley” in Eduardo Chillida, Escritos, a c. di Nancho Fernández,

Madrid, La Fábrica, 2005, p. 77; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, a c. di Victoria Pradilla e Alfonso Alegre Heitzmann, Barcelona, La Rosa

Cúbica, 1996, 20042, pp. 33-34

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manifestazioni artistiche. Inoltre, egli asserisce che si raggiunge una vera e propria corrispondenza

solo tra poesia e scultura essendo arti determinate in egual modo dai fattori dello spazio e del tempo.

[...] Cuando leo poesía estoy funcionando en el tiempo, pero también en el espacio. Creo que eso

puede ser en mi caso un contagio, un hábito determinante de mi sentimiento sensible. La colaboración

íntima, inseparable del espacio y el tiempo, funcionando en la escultura y en la poesía.

[…] Quando leggo poesia funziono nel tempo, ma anche nello spazio. Credo che questo può essere

nel mio caso un contagio, un’abitudine determinante la mia coscienza sensibile. La collaborazione intima,

inseparabile dallo spazio e dal tempo, funzionando in scultura ed in poesia. 1

La menzionata mancanza di una raíz común o materia unica nella concezione della genesi

dell’opera artistica avanzata da Chillida lo inquadra, al pari di Tàpies, in un’ottica di rinnovamento

delle arti che, tuttavia, ne rifiuta una loro visione sintetica di tipo valentiano.

Questo è quanto “emerge” pure dall’analisi di alcuni dibattiti avuti dallo scultore donostiarra con

altri artisti, in particolar modo, quello intrattenuto con Francisco Calvo Serraller e lo stesso

Valente.2

Nel momento in cui la discussione verte sulla tendenza contemporanea a considerare possibile la

dissoluzione dei generi o delle arti in un tutt’uno, concetto rispetto al quale Valente e Calvo

Serraller sembrano avere piena convergenza di vedute,3 Chillida immediatamente dissente da

quest’ipotesi. Lo scultore di fronte alla considerazione secondo la quale nell’arte moderna la

escultura puede ser cualquier cosa,4 reagisce fissando dei limiti alla pratica scultorea.

E. CH.: …Donde el espacio no actúa, no hay escultura. Una escultura... Es como si el poeta

pudiera construir fuera del tiempo. No puede. Ni puede haber música fuera del tiempo, la partitura no

funciona si no hay tiempo. Son cosas parecidas...

[…] Pero, desde luego, en principio, yo creo que sin tres dimensiones la escultura no puede ser...

E. CH.: …Dove lo spazio non agisce, non c’è scultura. Una scultura… E’ come se il poeta potesse

costruire fuori dal tempo. Non può. Né può esserci musica fuori dal tempo, la partitura non funziona se

non c’è il tempo. Sono cose simili…

[…] Ma, naturalmente, in linea di principio, io credo che non può esserci scultura senza tre

dimensioni…5

1 CHILLIDA, EDUARDO, “Códigos del artista” in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 86

2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; CALVO SERRALLER, FRANCISCO, “El arte como vacío. Conversación con Eduardo

Chillida” in José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., pp. 555-571; trad. in italiano a c. di

Giulio Bartolini 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; CALVO SERRALLER, FRANCISCO, “El arte como vacío. Conversación con Eduardo

Chillida” in José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., pp. 561-562 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; CALVO SERRALLER, FRANCISCO, “El arte como vacío. Conversación con Eduardo

Chillida” in José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., p. 562 5 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; CALVO SERRALLER, FRANCISCO, “El arte como vacío. Conversación con Eduardo

Chillida” in José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., p. 562; trad. in italiano a c. di Giulio

Bartolini

Page 14: José Angel Valente, il poeta e le arti

14

Sono proprio questi “confini”, che per Chillida sono intrinseci a qualunque pratica artistica, i

fattori che non consentono di parlare di un tutt’uno indistinto delle arti ma bensì, afferma il

donostiarra, di come ogni manifestazione delle arti mantenga le sue peculiarità pure nella

contemporaneità.

Antonio Saura a Madrid nel Museo Nazionale L’artista aragonese nel suo studio attorniato da

Centro d’Arte “Regina Sofia” davanti a Lolita V maschere “primitive” e monstruos

grande ritratto del 1960

Allo stesso modo di Chillida e Tàpies, il pittore aragonese Antonio Saura non ci sembra avere le

stesse ambizioni teorizzatrici di Valente in merito alla genesi dell’opera artistica.

Saura ci pare comunque compiere importanti considerazioni “estetiche” su come l’arte viene

concepita nell’età moderna. Nella fattispecie l’artista di Huesca, in scritti come El arte efímero1 e La

muerte del arte,2 critica quanti affermano l’attuale dissoluzione o quantomeno disgregazione dei

generi e delle arti convenzionali.3

Secondo Saura le ripetute teorizzazioni da parte di molti critici e artisti moderni riguardo

l’imminente disfacimento dei generi e delle arti, potrebbero in realtà preludere ad un futuro nel

quale questi riacquistino in toto le loro peculiarità tradizionali.4

1 SAURA, ANTONIO, “El arte efímero” in Antonio Saura, Fijeza. Ensayos, a c. di Susana Pellicer, Barcelona,

Galaxia Gutemberg: Círculo de lectores, 1999, pp. 357-361 2 SAURA, ANTONIO, “La muerte del arte” in Antonio Saura, Fijeza. Ensayos, op. cit., pp. 363-366

3 SAURA, ANTONIO, “El arte efímero” in Antonio Saura, Fijeza. Ensayos, op. cit., pp. 358-359

[...] El divorcio entre la estética y la practica del arte quedó consumado a partir del momento en

que un objeto manufacturado adquirió categoría de obra de arte por el simple hecho de ser escogido por

un artista...

4 SAURA, ANTONIO, “La muerte del arte” in Antonio Saura, Fijeza. Ensayos, op. cit., pp. 365-366

[...] Para cierta crítica dogmática, tan proclive al ejercicio del terrorismo cultural, solamente las

actitudes radicales son consideradas como ejemplares...

Page 15: José Angel Valente, il poeta e le arti

15

[...] Antes e incluso después de Marcel Duchamp no parece haber existido nada para algunos

críticos y artistas defensores de semejante reduccionismo cultural, de la misma forma que sólo algunos

privilegiados de nuestro siglo, hoy provisoriamente mitificados, serán dignos de ser tenidos en cuenta

como verdaderos héroes del arte sin arte. ¿Y si sucediese exactamente lo contrario y, tras el gran barido

de la historia que se avecina, fuesen precisamente los primeros en ser olvidados, considerándoseles no

solamente como el fruto aberrante de una fatalidad histórica, sino también como los verdaderos

pompiers de la modernidad, el amanerado y degenerado capricho de la sociedad, el resultado de un

trágico malentendido?

[...] Prima e anche dopo Marcel Duchamp non sembra essere esistito nulla per alcuni critici ed

artisti difensori di simile riduzionismo culturale, di modo che solo alcuni privilegiati del nostro secolo,

oggi provvisoriamente miticizzati, saranno degni di essere tenuti di conto come veri eroi dell’arte

senz’arte. E se succedesse esattamente il contrario e, dopo il gran barrito della storia che si avvicina,

fossero proprio i primi ad essere dimenticati, considerandoli non soltanto frutto aberrante di una fatalità

storica, ma anche come i veri pompieri della modernità, l’artificioso e degenerato capriccio della società,

il risultato di un tragico malinteso? 1

Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913, Marcel Duchamp, Fontana, 1917,

ruota su sgabello, Galleria “Sidney Janis”, New York (originale disperso), Studio Schwarz, Milano

3 Vuoto, nulla

Ancor prima della già citata materia oscura o raíz común che accomuna tutte le arti al loro

principio, ciò che presiede la genesi stessa dell’opera artistica e, in generale, di qualunque creazione

è, secondo Valente, il vuoto, il nulla. Questa tesi viene formulata nel componimento poetico-teorico

Cinco fragmentos para Antoni Tàpies e ribadita durante la suddetta conversazione intrattenuta con il

pittore di Barcellona.

I

Crear es generar un estado de disponibilidad, en el que la primera cosa creada es el vacío, un

espacio vacío. Pués lo único que el artista acaso crea es el espacio da la creación. Y en el espacio de la

creación no hay nada (para que algo pueda ser en él creado). La creación de la nada es el principio

absoluto de toda creación...

1 SAURA, ANTONIO, “La muerte del arte” in Antonio Saura, Fijeza. Ensayos, op. cit., p. 366; trad. in italiano a

c. di Giulio Bartolini

Page 16: José Angel Valente, il poeta e le arti

16

J.A.V.: ... Lo que se comienza por crear es la nada, el principio absoluto de toda creación es la

nada, y lo primero que tiene que hacer todo artista es tener el estado de disponibilidad que presupone un

espacio vacío. El artista se hace vaciándose de si mismo…

I

Creare è generare uno stato di disponibilità, nel quale la prima cosa creata è il vuoto, uno spazio

vuoto. Poiché la sola cosa che l’artista forse crea è lo spazio della creazione. E nello spazio della

creazione non c’è nulla (affinché qualcosa possa essere in esso creato). La creazione del nulla è il

principio assoluto di ogni creazione… 1

J. Á. V.: ... Quello che si comincia a creare è il nulla, il principio assoluto di ogni creazione è il

nulla, e la prima cosa che deve fare ogni artista è avere lo stato di disponibilità che presuppone uno

spazio vuoto. L’artista si fa svuotandosi di se stesso…2

Pur considerandola valida per qualunque realizzazione artistica, Valente applica questa sua

concezione del vuoto soprattutto al suo “campo d’azione” ossia quello poetico.

Nel caso specifico, il poeta gallego sostiene come dietro le singole parole che formano i suoi

componimenti si annidi, in profondità, il vuoto. Nella poesia così come in prosa, argomenta il

galiziano, la parola è l’unità fondante e per concretizzarsi essa necessita una previa cancellazione, lo

“svuotarsi” per poter poi “rinascere”. 3

Portare a compimento un simile processo implica la discesa

in profondità nella sombra, che Valente definisce come lugar sin lugar… infinito vacío en que surge

toda habla.4

L’annullarsi della materia, sia essa la palabra del poeta, la madera dello scultore oppure la tinta

china del calligrafo, nel vuoto e il suo successivo riproporsi in forme nuove sono considerati

dall’artista orensano passaggi fondamentali di un processo creativo simile ad una “resurrezione” o,

per usare un termine caro agli orientali, “reincarnazione”.

Valente allude costantemente a questo genere di procedimento nelle sue poesie, soprattutto

laddove parla di “morte” e “resurrezione” della materia.5 In questi componimenti dapprima si

riferisce alla “morte” della materia o parola, ossia al suo estinguersi nel vuoto, e successivamente ne

“proclama” la “restaurazione” all’insegna della discesa nella “profondità spirituale”.

La creazione del vuoto quale prerogativa alla genesi del creato costituisce, almeno in parte, un

ulteriore attestato dell’ammirazione valentiana verso i summenzionati artisti e teorici di inzio

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco Fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., pp. 33-34; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., p. 536; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 3 ANCET, JACQUES, “Introducción” in José Ángel Valente, Entrada en materia, a c. di Jacques Ancet, Madrid,

Cátedra, 19854, pp. 29-30, passim

4 ANCET, JACQUES, “Introducción” in José Ángel Valente, Entrada en materia, op. cit., pp. 29-30

5 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A modo de esperanza” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 79-80

Page 17: José Angel Valente, il poeta e le arti

17

Novecento. In particolar modo Klee1 e Malevic, con le loro “filosofie della creazione”, precorrono

quanto affermato dal poeta di Orense alla fine del secolo scorso.

[…] La compiutezza filosofica del suo sistema si realizza nel simbolo mistico dello “zero,” che

caratterizza, dal 1915 in poi, l’esperienza pittorica di Malevic. Per lui, come per i mistici orientali, lo

“zero” non è un semplice simbolo matematico, bensì il “deposito o matrice di ogni bene e di ogni valore

possibile.” Lo “zero” equivale all’infinito, l’infinito è lo zero. Questa ricchezza che genera il nulla,

Malevic la raggiungeva nella pienezza del colore bianco che gli offriva tutte le possibilità dei colori allo

stato nascente.2

[Parlando di Malevic e della sua filosofia suprematista] …Malevic ci dà la chiave per la lettura

del suo intero sistema filosofico, orientato verso una specie di sublimazione espressiva dei sentimenti

cosmici dell’uomo. E’ proclamata una maniera nuova di percepire l’esistenza, e una nuova inquietudine

metafisica è situata al livello dell’”eccitazione” (sublimazione esistenziale). A questo preoccuparsi di

una trasgressione esistenziale si deve, nei testi di Malevic, la costante presenza di metafore sublimatorie:

l’abisso, l’infinito, il nulla creatore. Tutti questi concetti sono tributari di una filosofia della

sublimazione.3

I due pittori avanguardisti, pur partendo da presupposti diversi da quelli valentiani ed arrivando a

teorizzazioni altrettanto differenti, “vincolano” la genesi della creazione artistica alla previa

“formazione” del nulla o vuoto proprio come fa il poeta. Malevic, poi, elabora la sua “filosofia del

creato” proprio a partire dal concetto di “nulla creatore”.

Simile pensiero valentiano sul vuoto è da ricondursi pure all’influenza esercitata sull’artista dalla

dottrina cristiano-ebraica.

Il legame che si instaura per Valente tra la previa formazione del vuoto ed il successivo

manifestarsi della creazione non si scosta di molto dalla descrizione della nascita del creato proposta

dal testo sacro della Genesi. Nell’incipit di questo scritto, similmente a quanto l’artista galiziano

sostiene in Cinco fragmentos para Antoni Tàpies, si asserisce che Dio per creare il mondo ed

assicurarne il perpetuarsi dovette per prima cosa originare il nulla ovvero lo spazio necessario alle

future creazioni.

1- “Creazione.

Nel principio Dio creò il cielo e la terra.4 Ma la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra sulla

superficie dell’oceano e lo spirito di Dio era sulla superficie delle acque.1”

2

1 ARGAN, GIULIO CARLO, “Prefazione all’edizione italiana” in Paul Klee, Teoria della forma e della

figurazione, op. cit., pp. XII-XV, passim 2 NAKOV, ANDREI, “Introduzione” in Kazimir, Malevic, Scritti, a c. di Andrei Nakov, Erica Klein Betti e

Sergio Leone, Milano, Feltrinelli, 1959, 19773, p. 127

3 NAKOV, ANDREI, “Il suprematismo dopo il 1919” in Kazimir Malevic, Scritti, op. cit., p. 139

4 RAVISI, GIANCARLO, “Genesi” in AA. VV., La Bibbia, nuovissima versione dai testi originali, a c. di Felice

Pasquero, Milano, San Paolo, 1982, 199712

, p. 9

1. - […] Separare e ornare ciò che si è separato è un modo semitico per evocare il nulla su cui

Page 18: José Angel Valente, il poeta e le arti

18

Il fatto che Valente consideri il concetto di vuoto o nulla quale cardine della creazione artistica è

inoltre espressione dell’influsso della spiritualità orientale. L’orensano infatti, alla stregua di Tàpies,

Chillida e Saura, aderisce a quel processo di riscoperta dell’intera spiritualità, soprattutto di quella

orientale e in genere “primitiva”, avviatosi in Occidente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX

secolo.3

Valente nutre la stessa necessità dei pensatori di quel periodo, principalmente Vassily

Kandinsky4 e gli altri artisti e teorici dell’arte menzionati,

5 di rifondare la cultura occidentale

smarritasi sotto l’egida dell’industrializzazione, del materialismo e del positivismo. Questo è

proprio quanto denuncia per primo Kandinsky in quella che possiamo considerare la “guida” di

numerosi artisti contemporanei: Lo spirituale nell’arte.

[…] La nostra anima che, dopo un lungo periodo di materialismo, è al suo primo risveglio, porta

in sé i germi della disperazione che viene dalla mancanza di fede, da mancanza di scopo e di meta.

irrompe l’atto creativo di Dio. La pagina appartiene al genere sapienziale: si tratta cioè di una riflessione

sul senso dell’esistere umano e della realtà cosmica.

1 RAVISI, GIANCARLO, “Genesi” in AA. VV., La Bibbia, nuovissima versione dai testi originali, op. cit., ibid,

1-2. – L’inizio assoluto del creare è accompagnato da tre dati orientali usati per esprimere il nulla

da cui Dio parte per intessere questo arazzo meraviglioso che è l’universo. Gli Orientali hanno, com’è

noto, una struttura mentale molto concreta ed esprimono i concetti, come quello di nulla, attraverso

simboli. Ecco allora la superficie desolata, desertica ed informe che dice appunto assenza di vita, nulla.

Ecco poi le tenebre, negazione della luce che è vita, ecco l’Abisso, un gorgo oceanico in cui tutto scompare

ed è assorbito. Lo spirito di Dio è la presenza del Dio creatore che avvia la grande avventura

dell’ordinamento e dell’ornamento, cioè della creazione dal nulla di tutto l’essere. Alcuni, però, essendo

identico in ebraico il termine per esprimere lo spirito e il vento, pensano che qui l’autore biblico immagini

la presenza di un vento tempestoso, un altro modo per esprimere il nulla.

2 AA. VV., La Bibbia, nuovissima versione dai testi originali, op. cit., p. 9

3 BOZAL, VALERIANO, “1. Los primeros diez años. Ya no, pero todavía no” in Valeriano Bozal, Los primeros

diez años: 1900-1910, los orígenes del arte contemporáneo, op. cit., pp. 15-26 4 KANDINSKY, VASSILY, “Introduzione” in Vassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, a c. di Giovanni

Antonio Colonna di Cesarò, Bari, De Donato, 1968, pp. 7-11

KANDINSKY, VASSILY, “III. La svolta spirituale” in Vassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, op. cit., pp.

19-35

KANDINSKY, VASSILY, “VIII. Opera d’arte e artisti” in Vassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, op. cit., pp.

95-99 5

MALEVIC, KAZIMIR, “Il quadrato nero: affermazione della superficie-piano al livello di concetto

strumentale” in Kazimir Malevic, Scritti, op. cit., pp. 101-128, passim

MENNA, FILIBERTO, “Per una cultura dei rapporti equivalenti” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., pp.

19-20

MONDRIAN, PIET, “Il neoplasticismo in pittura” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., pp. 29-76, passim

MONDRIAN, PIET, “Realtà naturale e realtà astratta. Trialogo (durante una passeggiata dalla campagna alla

città)” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., p. 117

MONDRIAN, PIET, “Realtà naturale e realtà astratta. Trialogo (durante una passeggiata dalla campagna alla

città)” in Piet Mondrian, Tutti gli scritti, op. cit., pp. 131-133

ARGAN, GIULIO CARLO, “Der blaue Reiter” in Giulio Carlo Argan e Achille Bonito Oliva, L’arte moderna,

op. cit., pp. 294-300

ARGAN, GIULIO CARLO, “Paul Klee. Strada principale e strade laterali” in Giulio Carlo Argan e Achille

Bonito Oliva, L’arte moderna, op. cit., pp. 411-413

Page 19: José Angel Valente, il poeta e le arti

19

L’incubo delle concezioni materialistiche, che della vita dell’universo hanno fatto un giuoco malvagio e

senza scopo, non è ancora passato. […] …il persistere delle sofferenze causate dalla filosofia

materialistica distinguono nettamente l’anima nostra da quella dei “primitivi”. Nell’anima nostra c’è

un’incrinatura, e quando si arriva a toccarla, risuona come un vaso prezioso, ritrovato nelle profondità

della terra, ma che abbia appunto un’incrintatura. Per questa ragione, la tendenza al primitivo, come la

viviamo noi al momento, nella sua forma attuale, presa per lo più a prestito, non potrà che essere di

breve durata.1

Lo spiritualismo dei popoli “primitivi” e, soprattutto, quello estremorientale con il suo porre al

centro di qualsiasi creazione o azione il vuoto,2 iniziarono così ad essere considerati nel corso del

Novecento perfetti contraltari al materialismo imperante nella società e nel pensiero occidentali.

Vassily Kandinsky, Oriente, 1913, olio su tela, Vassily Kandinsky, Improvvisazione XXXIV

32 x 24cm, Museo “Stedelijk”, Amsterdam (Oriente II), 1913, olio su tela, Museo Statale di

Belle Arti, Kazan, Russia

Il concetto valentiano di vuoto è derivato anche dalla mistica occidentale. Come nota Julian

Palley, l’idea di creazione propugnata da Valente in un’opera come Cinco fragmentos para Antoni

Tàpies non è dissimile da quella prospettata dalla cosiddetta vía mística3 di San Juan de la Cruz e

Miguel de Molinos.

Alla stregua dei suddetti mistici che attendono il manifestarsi di Dio nell’anima ovvero il

vaciarse de sí mismo,4 il galiziano sostiene di aspettare la ricezione del “dono” della poesia

coincidente con l’estado del no-ser, del vacío. Questa contemplazione del vuoto necessaria ad

avviare il processo creativo accomuna, a detta di Valente, tutti gli artisti.5

1 KANDINSKY, VASSILY, “Introduzione” in Vassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, op. cit., p. 8

2 HERRIGEL, EUGEN, Lo zen e il tiro con l’arco, a c. di Gabriella Bemporad, Milano, Adelphi, 1975, passim

3 PALLEY, JULIAN, “José Ángel Valente, poeta de la inminencia” in VV. AA., Material Valente, op. cit., pp.

46-47 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Al dios del lugar” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., pp. 464

BORRARSE.

Sólo en la ausencia de todo signo

Se posa el dios. [...]

(Prima missa in navitate)

5 PALLEY, JULIAN, “José Ángel Valente, poeta de la inminencia” in VV. AA., Material Valente, op. cit., pp.

46-47

Page 20: José Angel Valente, il poeta e le arti

20

El vacío del no-lugar que el poeta considera “el lugar originario de la palabra poética” linda con

lo infinito y viene a coincidir con los primeros versos de su primer poema: “Cruzo un desierto y su

secreta / desolación sin nombre”. Y esa travesía por el desierto se mantiene con una inquebrantable

fidelidad. El poema es apenas rasguño, arañazo o caricia en el no-lugar: “Sobre la arena trazo con mis

dedos una doble línea interminable como señal de la infinita duración de este sueño” (No amanece el

cantor).

Il vuoto del non-luogo che il poeta considera “il luogo originario della parola poetica” è contiguo

all’infinito e viene a coincidere con i primi versi della sua prima poesia: “Attraverso un deserto e la sua

segreta / desolazione senza nome”. 1 E questa traversata per il deserto si mantiene con un’irremovibile

fedeltà. La poesia è appena lacerazione, graffio o carezza nel non-luogo: “Sulla sabbia traccio con le

mia dita una doppia linea interminabile come segnale dell’infinita durata di questo sogno” 2

(No

amanece el cantor). 3

Il non-luogo, ovvero il vuoto, spesso viene impersonato nelle poesie dell’artista di Orense dal

deserto. 4

Quest’ultimo è un termine che, seppure non tanto quanto vacío,5 ricorre svariate volte

negli elaborati e nelle traduzioni del poeta.6

José Ángel Valente a conversazione con Eduardo Chillida

Il nulla è di per sé inconsistente ma, pur nella sua evanescenza, incarna la base o il seme da cui è

possibile dar origine a qualsiasi essere.

[...] La matriz de la creación es la nada o, dicho de otro modo, la creación de la nada es el acto

que precede a toda creación. El artista ha de volver una y otra vez al origen –re-volver, revolución,

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A modo de esperanza” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., p. 69 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “No amanece el cantor”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa,

op. cit., p. 497 3 IGLESIAS SERNA, AMALIA, “Prólogo. José Ángel Valente. La última poética” in José Angel Valente,

Palabra y materia, op. cit., p. 16; traduzione in italiano a c. Di Giulio Bartolini 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A modo de esperanza”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa,

op. cit., p. 69 5 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Fragmentos de un libro futuro”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía

y prosa, op. cit., pp. 539-582 6 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “No amanece el cantor”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 491-493

JABÉS, EDMOND, “El desierto”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa, op. cit., p. 669

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A modo de esperanza”, in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa,

op. cit., passim

Page 21: José Angel Valente, il poeta e le arti

21

recorrido completo de una órbita- para que el mundo recomience ex nihilo como en el momento de su

creación primera. La nada no es una carencia; es toda la posibilidad o seminalidad del ser.

[...] La matrice della creazione è il nulla o, detto in altro modo, la creazione del nulla è l’atto che

precede ogni creazione. L’artista deve ritornare più volte all’origine –ri-tornare, rivoluzione, giro

completo di un’orbita- affinché il mondo ricominci ex nihilo come nel momento della sua creazione

prima. Il nulla non è un’assenza; è tutta la possibilità o seminalità dell’essere. 1

Particolarmente significativo nel delineare la concezione di vuoto valentiana rispetto alla nascita

delle opere artistiche è il succitato dialogo con Chillida e Calvo Serraller.2

In esso viene compiuta una disanima delle grandi opere monumentali plasmate dallo scultore

donostiarra. Valente sostiene che la visione di queste realizzazioni lo ha fatto riflettere sul vuoto

perché in esse si istituisce una “relazione” fra grandi masse esterne ed enormi spazi vuoti interni. Il

poeta di Orense ci pare giudicare l’esistenza dei secondi prerogativa necessaria alla formazione

delle prime. Il galiziano definisce gli spazi vuoti delle costruzioni chillidiane “i luoghi della

manifestazione delle cose” quelli nei quali si instaura la cosiddetta “presenza divina” creatrice.

Valente riconduce così l’opera scultorea dell’amico basco al pensiero sulla scultura e lo spazio

del filosofo tedesco Martin Heidegger.3

Secondo Heidegger lo spazio vuoto agisce nella

disposizione dei “luoghi”,4 ossia degli stessi corpi scultorei.

1

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, Elogio del calígrafo, in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., pp.

586-590; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; CALVO SERRALLER, FRANCISCO, “El arte como vacío. Conversación con Eduardo

Chillida” in José Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., pp. 465-566

[I tre stanno parlando del progetto chillidiano, attualmente in corso di realizzazione, di

creare un grande spazio vuoto nel centro della montagna di Tindaya sull’isola di Fuerteventura]

E.C.: ...Yo tengo en cuenta la forma de comunicar con el exterior; no se va a ver desde fuera de la

montaña faenas que hay dentro, pero cuando tú entres, sí vas a ver y vas a entender el sentido, el corazón.

Es decir, que el espacio va a ocupar el corazón de la montaña. Es un espacio considerable; ha salido

publicado por ahí que era un cubo; no, no tiene nada que ver con un cubo...

J.Á.V.: Yo me pregunto si esa penetración en la montaña no está dándole a la montaña

un secreto, no está creando un secreto que no había antes, porque Eduardo tiene una enorme capacidad

para rodear con elementos muy pesados espacios vacíos. El vacío en su mundo es muy importante, y lo que

está generando aquí es un espacio vacío, el espacio vacío del que habla Heidegger en el texto que escribió

sobre el espacio y el arte. Es el lugar de la manifestación, el lugar donde puede manifestarse algo.

Todo lleva a una idea que me mueve a mí mucho, que la misión de la poesía es crear

vacíos donde algo pueda manifestarse, porque en lo lleno, que está ocupado, no se puede manifestar nada.

Esa capacidad que Eduardo tiene de crear con materiales muy pesados espacios, acotar espacios, “lo

profundo es el aire”...

F.C.S.: Epifanías podrían ser...

J.Á.V.: Es crear el lugar de una posible epifanía, y eso sería provocar a la naturaleza en su

intimidad, hacerla un lugar propicio a la manifestación, a la epifanía...2

3 HEIDEGGER, MARTIN, L’arte e lo spazio, a c. di Gianni Vattimo, Firenze, Il Melangolo, 1979, 1988

3,

passim 4 HEIDEGGER, MARTIN, L’arte e lo spazio, op. cit., p. 31

Il vuoto non è niente. Non è neppure una mancanza. Nel farsi corpo proprio della scultura il vuoto

Page 22: José Angel Valente, il poeta e le arti

22

Eduardo Chillida, Montagna vuota I, 1984, Eduardo Chillida e la montagna Tindaya

alabastro, primo avvicinamento al progetto situata sull’isola canaria di Fuerteventura

di perforazione della montagna Tindaya,

Museo “Chillida-Leku”, Hernani, San Sebastián

Eduardo Chillida sfoglia Eduardo Chillida, Martin Heidegger: Eduardo Chillida, Omaggio a

assieme al filosofo Martin L’arte e lo spazio, 1969, litografia nella prima Heidegger, 1970, xilografia

Heidegger L’arte e lo spazio versione del libro omonimo che presenta in L’arte e lo spazio, edizione

S. Gallen, Svizzera, 1969 anche 7 lito-collages realizzati dal donostiarra di lusso, Galleria “Maeght”,

Parigi

Antoni Tàpies, nel corso del succitato dialogo con Valente, assume la stessa posizione dell’amico

poeta riguardo la centralità del vuoto nella generazione dell’opera artistica.2

Tale adesione alla postura dell’orensano è attribuibile, in primo luogo, alla conoscenza che pure

il pittore barcellonese possiede dei fondamenti della spiritualità occidentale ed orientale.1 Del resto

entra in gioco nel modo dell’instaurare luoghi di cui arrischia e progetta l’apertura.

1 HEIDEGGER, MARTIN, L’arte e lo spazio, op. cit., p. 29

Dovremmo imparare a riconoscere che le cose stesse sono i luoghi e non solo

appartengono ad un luogo.

2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente in José

Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., pp. 18-20

[...] A. T.: Es algo que me ha interesado desde muy jovén: no describir la nada, que es imposible,

pero sí encontrar un mecanismo que por lo menos lo sugiera al espectador...

[...] A. T.: He leído en un texto hindú que estas apariciones son cíclicas. Hay momentos en que la

materia se retrotrae –pero hace millones de años- y vuelve a crear el vacío. Tengo un cuadro en que he

intentado reflejar esta “respiración” de la materia. Es un díptico en el que en una parte hay cosas

corrientes, como una oreja o un zapato; en el otro lado, estos objetos rodean el cuadro como un marco y el

centro es negro absoluto.

Page 23: José Angel Valente, il poeta e le arti

23

Tàpies confessa a Valente di aver avvertito, durante l’intera durata della sua carriera, un continuo

impulso a trasmettere fedelmente agli spettatori delle sue opere il vuoto che sottostà ad esse.2

Eppure, se da un lato Valente accorda pari importanza ai molteplici “influssi” che determinano il

suo concetto di creazione, dall’altro Tàpies conferisce priorità al suo interesse per discipline,

dottrine religiose e filosofie orientali.3

Il pittore catalano infatti considera Zen, buddismo, induismo, taoismo e, in genere, l’intera

spiritualità orientale precedente e fondante quella occidentale e, conseguentemente, più “rilevante”

nella sua concezione del vuoto.

Il primato della spiritualità orientale su quella occidentale motiverebbe anche, secondo Tàpies, la

maggiore attitudine da parte dell’uomo orientale alla contemplazione, alla spiritualità e quindi

all’accettazione dell’idea secondo la quale il vuoto o nulla costituisce lo stato originario del creato.4

Antoni Tàpies, Sadharma-Pundarika, Un raggiante Antoni Tàpies sulla copertina

2005, procedimento misto e assemblaggio su del 5° numero della rivista buddista “Dharma”

tela, 130 x 162 cm, Fondazione “Antoni Tàpies”

1 ANTICH, XAVIER, “La escritura de Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies, En blanco y negro, op. cit., p. 24

2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente in José

Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., p. 19 3 TÀPIES, ANTONI, “La pintura y el vacío” in Tàpies, Antoni, En blanco y negro, op. cit, pp. 163-168, passim

MIGUEL ÁNGEL MUÑOZ, “Entrevista con Antoni Tàpies”, http://www.revista.agulha.nom.br/ag44tapies.htm

[...] M. A. M: En estos días cumple ochenta años, ¿sigue estando seguro de sus ideas sobre el arte, de su

forma de entender el mundo, o hay cambios importantes en su vida?

A. T.: Siempre he dicho que soy un poco como esos autores que se dice que sólo han escrito un

libro en su vida. Yo he pintado un cuadro con muy pequeños cambios; en mi camino, con todas las

matizaciones necesarias, pero siempre con una constante muy particular en mi carrera, que es guiarme

siempre por la filosofía de Oriente.

4 TÀPIES, ANTONI, “La pintura y el vacío” in Antoni Tàpies, En blanco y negro, op. cit., p. 185:

[...] muchos creen que la idea de vacuidad ha de buscarse, con más propiedad, en la tradición

mística, de Eckhart a san Juan de la Cruz, de la teología negativa a Nicolás de Cusa hasta toda una serie

de experiencias del cristianismo oriental. Ciertamente la aproximación a la vacuidad última, o “no dual”

como dicen los vedantistas, es más factible mediante las analogías o los símbolos propios de estas otras

vías del conocimiento. Pero, a pesar de tener muestras ilustres en la tradición europea, hemos de

reconocer que esta vía es una excepción, generalmente poco agradable a la religiosidad oficial, y que sin

duda es en las grandes filosofías y religiones ateas –recalcamos el calificativo-, sobre todo de Oriente,

donde verdaderamente tiene sentido.

Page 24: José Angel Valente, il poeta e le arti

24

Abbiamo precedentemente asserito come l’idea di vuoto valentiana scaturisca, almeno in parte,

dalla meditazione sui rapporti forma-vacío che soprassiedono alle sculture chillidiane.

L’operare dell’artista basco è finalizzato all’ottenimento dell’equilibrio fra la forma ed il vuoto.1

Chillida infatti foggia le sue opere attorno al vuoto che identifica con lo spazio disponibile ad essere

colmato.

Su producción escultórica es una mezcla de lo material y lo espiritual, una búsqueda de la

quintaesencia de la naturaleza, una armonía dificil de conseguir entre la forma y el vacío. Y es que, como

dijo Valente, Chillida es arquitecto del vacío.

La sua produzione scultorica è una mescolanza del materiale e dello spirituale, una ricerca della

quintessenza della natura, un’armonia difficile da conseguire tra la forma e il vuoto. E succede che, come

disse Valente, Chillida è architetto del vuoto. 2

L’artista di San Sebastián desidera “dominare” le parti costitutive dei materiali di volta in volta

adoperati nelle sue creazioni ed è perfettamente conscio dell’irrefutabile relazione di questi con il

vuoto. Il vuoto o lo spazio è quindi, per sua stessa ammissione, il “materiale” principale del suo

lavoro.3

Esistono alcune serie di sculture ed opere grafiche che Chillida dedica esplicitamente al vuoto: si

tratta dei cosiddetti Elogi del vuoto. Ciononostante, il vuoto è “intrinseco” pure a tutti gli altri

insiemi di componimenti chillidiani: la stragrande maggioranza di questi, direttamente o

indirettamente, richiama questo concetto pur riferendosi ad elementi quali il vento, l’aria e l’acqua.4

1 LODRÁ, JOAN MIQUEL, “La forma y la luz” in Joan Miquel Llodrá, Grandes genios del arte contemporáneo

español: El siglo XX: Chillida, Barcelona, Ciro Ediciones, 2006, p. 7 2 LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “La forma y la luz” in Joan Miquel Llodrá, op. cit., p. 7; trad. in italiano a c. di

Giulio Bartolini 3 LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “La forma y la luz” in Llodrá, Joan Miquel, op. cit., pp. 11-12

[...] Pero para Chillida tan importante como el objeto en sí es el espacio en el que se ubica, en el

que se emplaza y con el que dialoga constantemente. Uno de los objetivos primordiales del escultor es

dominar las peculiaridades y propiedades físicas y maleables de todos aquellos soportes matéricos

utilizados en su relación directa y estrecha con el espacio. Por ello, el espacio, con todas sus dimensiones,

se convierte en una parte más de la obra y queda impregnado de ella. Chillida descubre desde muy

temprano que el material del escultor, como el del arquitecto que no llegó a ser, es el espacio y es el vacío.

4 LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “Las obras maestras”, in Joan Miquel Llodrá, op. cit., p. 84

Elogio del vacío II

[...] Chillida utiliza el acero como soporte de muchas de las esculturas realizadas en los años

ochenta, como Monumento a los fueros, Homenaje a Jorge Guillén, o Elogio del vacío II. En ella realiza un

homenaje a un concepto íntimamente ligado a su obra y a su manera de concebir el hecho escultórico: el

vacío. El escultor, a lo largo de su trayectoria, se muestra muy interesado en la relación que existe entre el

material que da forma a la escultura y el espacio que lo rodea y en el que se inserta. Y muy ligado al

concepto de espacio está el de vacío. Así pues, esta obra parece abrirse, crear un espacio en sí misma para

albergar este vacío, para acogerlo, abrazarlo incluso. Esta escultura es uno más de los muchos homenajes

que rindió a elementos tan poco palpables como, por ejemplo, el viento; impalpables pero de capital

importancia en el espacio donde se desarrolla su escultura. Tanto por la forma como por su concepto,

Chillida alcanza con estas obras la cumbre de la abstracción.

Page 25: José Angel Valente, il poeta e le arti

25

Eduardo Chillida davanti ai suoi Pettini del vento e durante la loro installazione nel 1977, San Sebastián

Eduardo Chillida, Elogio dell’acqua, 1987, Eduardo Chillida, Elogio dell’acqua, 1987,

cemento armato, Parco della “Cruceta de Coll”, disegno su carta, Museo “Chillida-Leku”

Barcellona

Una serie di sculture nella quale la riflessione chillidiana sul rapporto fra materia e vuoto

raggiunge uno dei suoi apici espressivi è quella degli Elogi all’architettura. In essa lo scultore di

San Sebastián, al pari di un architetto, gioca sul rapporto spaziale fra pieni e vuoti catalizzandovi

l’attenzione degli spettatori.1

Eduardo Chillida, Elogio dell’architettura XIV, Eduardo Chillida, Elogio dell’architettura XV,

acciaio, Museo “Chillida-Leku” acciaio, casolare Zabalaga, Museo “Chillida-Leku”

1 LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “Las obras maestras”, in Joan Miquel Llodrá, op. cit., p. 128

Elogio de la arquitectura XV

[...] Elogio de la arquitectura XV, realizada en acero, es un extraordinario ejemplo de hasta qué

punto puede llegar el interés de Chillida por el espacio y el vacío, en relación con la materia. En esta

escultura crea una especie de cubo irregular, de formas redondeadas, apoyando en una base de inferior

medida, formando una estructura similar a una seta o a un árbol, estructuras biológicas que algunos

arquitectos definen como perfectas. Chillida juega con los plenos y también con los vacíos que se abren en

la obra, creando unos pequeños espacios arquitectónicos donde reside el alma de su creador y del

espectador que lo contempla.

Page 26: José Angel Valente, il poeta e le arti

26

Eduardo Chillida, Elogio del vuoto II, 1983, Eduardo Chillida, Elogio della luce XIX, 1990, alabastro,

acciaio, 102 x 40 x 40 cm, Fondazione “Telefónica”, Museo d’Arte Contemporanea “Sofía Imber”, Caracas

Madrid

Le sculture realizzate nei più svariati materiali da parte di Eduardo Chillida si configurano, oltre

a “raffronti” fra materia e vuoto, pure come tentativi di “inclusione” di spazi vuoti nella materia.

Nelle sculture della serie Elogio de la luz l’artista di San Sebastián desidera andare oltre il

semplice inserimento del vuoto in esse, impiegando un materiale, l’alabastro, talmente evanescente

da costituire una “prosecuzione” del vuoto stesso. Questo insieme di opere è difatti costituito, come

afferma Octavio Paz, da forme che si tramutano in vuoto dissolvendosi in vibrazioni luminose simili

ad echi e rime.

[...] Otra serie de esculturas explora el tema en que culmina Abesti Gogora. Me refiero a cinco

obras en acero: Alrededor del vacío. La persistencia de ciertas preocupaciones, a través de los cambios

de materiales y de formas, revela no sólo uno de los rasgos del carácter de Chillida (la tenacidad) sino la

dirección de su espíritu. La forma –hierro, madera, acero, granito- es el teatro de las mutaciones del

espacio que se vuelve sucesivamente viento, rumor, música, silencio. Mutaciones pasajeras, inestables:

¿todas esas formas son manifestaciones de la vacuidad? Cinco esculturas y una sola pregunta cuya

respuesta es el silencio. Otra serie de esculturas recoge la pregunta de Alrededor del vacío, no para

contestarla sino, nuevamente, para transmutarla: las catorce obras en alabastro que Chillida llama el

Elogio de la luz. El silencio se vuelve alabanza. Aquello que no se puede decir, lo indecible, es el espacio

puro, sin propiedades y sin límites. Fusión de lo material y lo espiritual: la luz que vemos con nuestros

ojos de carne poco a poco se disuelve en una claridad sin orillas. Las esculturas en hierro, madera,

granito y acero fueron trampas para apresar lo inaprensible: el viento, el rumor, la música, el silencio –

el espacio. Las esculturas de alabastro no intentan encerrar el espacio interior, tampoco pretenden

delimitarlo o definirlo: son bloques de transparencias en donde la forma se vuelve espacio y el espacio se

disuelve en vibraciones luminosas que son también ecos y rimas, pensamiento. Del hierro al reflejo:

metamorfosis del espacio. Peregrinación de las formas: la escultura-hierro o madera: volumen

compacto-vuelta un sólido resplandor.

[…] Un’altra serie di sculture esplora il tema nel quale culmina Abesti Gogora. Mi riferisco a

cinque opere in acciaio: Intorno al vuoto. La persistenza di certe preoccupazioni, attraverso il cambio dei

materiali e delle forme, rivela non solo uno dei tratti del carattere di Chillida (la tenacia) ma anche la

direzione del suo spirito. La forma –ferro, legno, acciaio, granito- è il teatro delle mutazioni dello spazio

che si rende successivamente vento, rumore, musica, silenzio. Mutazioni passeggere, instabili: tutte

queste forme sono manifestazioni della vacuità? Cinque sculture e una sola domanda la cui risposta è il

silenzio. Un’altra serie di sculture raccoglie la domanda di Intorno al vuoto, non per risponderle ma, di

nuovo, per tramutarla: le quattordici opere in alabastro che Chillida chiama Elogio della luce. Il silenzio

si rende lode. Quel che non si può dire, l’indicibile, è lo spazio puro senza proprietà e senza limiti.

Fusione del materiale e dello spirituale: la luce che vediamo con i nostri occhi di carne poco a poco si

dissolve in un chiarore senza limiti. Le sculture in ferro, legno, granito e acciaio furono trappole per

Page 27: José Angel Valente, il poeta e le arti

27

afferrare l’inafferrabile: il vento, il rumore, la musica, il silenzio –lo spazio. Le sculture di alabastro non

cercano di chiudere lo spazio interno, neppure pretendono delimitarlo o definirlo: sono blocchi di

trasparenze in cui la forma si rende spazio e lo spazio si dissolve in vibrazioni luminose che sono anche

echi e rime, pensiero. Dal ferro al riflesso: metamorfosi dello spazio. Peregrinazione delle forme: la

scultura –ferro o legno: volume compatto-resa un solido splendore. 1

Eduardo Chillida, Attorno al vuoto V, 1969, Eduardo Chillida, Abesti Gogora V, 1966,

acciaio, Banca mondiale, Washington granito, Museo di Belle Arti, Huston

Antonio Saura considera il vuoto intimamente legato allo spazio bianco iniziale della superficie

delle sue tele o dei suoi fogli di carta.

In principio, ossia nella fase surrealista della sua carriera, il pittore di Huesca, come dichiara in

un’intervista con Julián Ríos, è influenzato dalla visione del vuoto proposta da alcune delle

discipline e filosofie che abbiamo già mostrato interessare pure Valente, Tàpies e Chillida. In

particolar modo, la visione del vuoto dell’aragonese sottostà a quella delle dottrine mistica e Zen le

quali, come abbiamo sostenuto, pongono il vacío alla base di qualsiasi creazione.

[...] A. S.: Yo pensaba entonces que el único y verdadero paisaje del subconsciente era el vacío. En

cierto modo era la noche oscura del alma de San Juan.

J. R.: Pero eso te llevaría a algo muy antiguo que es también de una enorme modernidad, como

sería volver a esa iluminación del Zen y de ciertas experiencias orientales, de la búsqueda del perfecto

vacío taoísta. Frente a la vaciedad generalizada, la búsqueda del vacío.

A.S.: Es que entonces en mí había también una predisposición a un cierto misticismo pagano,

podríamos decir.

[...] A. S. : [Parlando con Ríos del periodo iniziale della sua carriera di pittore] Io pensavo allora

che l’unico paesaggio del subcosciente fosse il vuoto. In un certo modo era la notte oscura dell’anima di

San Juan.

J. R.: Ma questo ti avrebbe condotto a qualcosa di molto antico che è allo stesso tempo di

un’enorme modernità, come sarebbe stato ritornare a questa illuminazione dello Zen e di certe

esperienze orientali, della ricerca del perfetto vuoto taoista. Di fronte alla vacuità generalizzata, la

ricerca del vuoto.

1 PAZ, OCTAVIO, “Chillida: del hierro al reflejo” in Octavio Paz, op. cit., p. 153

Page 28: José Angel Valente, il poeta e le arti

28

A. S.: E’ che allora in me c’era anche una predisposizione a un certo misticismo pagano,

potremmo dire.1

Antonio Saura, Costellazione, 1949, olio su carta, Antonio Saura, Danza enigmatica, 1950, olio su tela,

35 x 50 cm, Collezione Archivio “Antonio Saura”, 25,8 x 33 cm, collezione privata

Ginevra

Con il suo arrivo a Parigi Saura, influenzato dagli spazi vuoti delle opere di Tanguy, Dalí e

Miró,2 abbandona la sua concezione iniziale di vuoto e, secondo quanto dichiara a Ríos, inizia ad

intrattenere un “rapporto” diverso con esso.

A. S.: [...] Es decir, que en estas pinturas existe, de una forma bastante acentuada, la idea básica

del vacío que ha de ser poblado por múltiples mundos, el mineral, el vegetal, y orgánico...

A. S.: De cosas que luego aparecerán en series como “Cocktail Party”. [...]

A. S.: [Parlando delle sue tele surrealiste parigine] … Cioè, che in queste pitture esiste, in forma

piuttosto accentuata, l’idea basica del vuoto che deve essere popolato da molteplici mondi, quello

minerale, quello vegetale e quello organico

A. S.: Di cose che poi appariranno in serie come “Cocktail Party”. […]3

Lo spazio vuoto comincia ad essere considerato dall’aragonés non più stadio originario della

creazione, ma bensì, come si è già accennato, “superficie” che il pittore deve riempire per dare

impulso alla formazione dell’opera.

“Al llegar el momento de obrar, el pintor se convierte en el ser más desamparado del mundo,

desnudo como al nacer frente a la vida, encerrado en su cámara hermética, cortado el universo exterior,

frente por frente a la nada de la tela en blanco. Sabe que es ante todo una superficie que es preciso llenar

con algo para que pueda convertirse en cuadro, una renovada aventura que no se sabe adónde

conduce.”

“Quando arriva il momento d’agire, il pittore si trasforma nell’essere più abbandonato del mondo,

nudo come alla nascita di fronte al nulla della tela bianca. Sa che è innanzitutto una superficie che è

necessario riempire con qualcosa affinché possa convertirsi in quadro, una rinnovata avventura che non

si sa dove conduce.”4

1 RÍOS, JULIÁN, “Paisajes de ida y vuelta” in Julián Ríos, Las tentaciones de Antonio Saura, Madrid,

Grijalbo/Mondadori, 1991, pp. 34-35; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 RÍOS, JULIÁN, “Paisajes de ida y vuelta” in Julián Ríos, Las tentaciones de Antonio Saura, op. cit., p. 34

3 RÍOS, JULIÁN, “Paisajes de ida y vuelta” in Julián Ríos, Las tentaciones de Antonio Saura, op. cit., p. 39

4 GARCÍA, BEGOÑA, “Las obras maestras” in Begoña García, Grandes Genios del Arte Contemporáneo

Español. El siglo XX. Saura, Barcelona, Ciro Ediciones, 2006, p. 56; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini

Page 29: José Angel Valente, il poeta e le arti

29

Saura comincia così a “rifuggire” il vuoto, ad applicare alle sue tele ed incisioni quello che lui

stesso definisce il “principio tradizionale dell’horror vacui”.

A. S.: [...] ... el cuadro, ante todo, ¿qué es? Es una superficie blanca, una superficie en blanco

que hay que llenar y el dilema del pintor justamente es éste.

J. R.: Hacer o no hacer... Es el horror vacío.

S.: Exactamente. ¿Con qué se llena esta superficie en blanco? Porque en el momento de pintar, por

mucho que una serie de decisiones, de estructuras, estén presentes en la intención, y en el fantasma que

perdura, a partir del momento en que se da la primera mancha en el cuadro, es decir, la primera mancha

que supone una violación de ese espacio en blanco, a partir de ese momento surge un encadenamiento,

una reacción encadenada muy semejante, metafóricamente por supuesto, a la que se opera en el mundo

de la materia, que hace que ese primer gesto, esa primera acción, por muy mínima que sea, condiciona

en cierto modo el resultado del cuadro.

J. R. : Ante el problema de la tela en blanco, es siempre el primer paso, como en montones de

cosas en la vida, el importante, porque este primer paso te lleva a dar otros, y esa primera pincelada, ese

primer rasgo, te lleva a dar otros.

A. S.: […] … il quadro, innanzitutto, che cos’è? E’ una superficie bianca, una superficie bianca

che si deve riempire e il dilemma del pittore giustamente è questo.

J. R.: Fare o non fare… E’ l’orrore del vuoto.

A. S.: Esattamente. Con che cosa si riempie questa superficie bianca? Perché al momento di

dipingere, per quanto una serie di decisioni, di strutture, siano presenti nell’intenzione, e nel fantasma

che perdura, a partire dal momento in cui si dà la prima macchia nel quadro, cioè, la prima macchia che

presuppone una violazione di questo spazio bianco, a partire da questo momento inizia un

concatenamento, una reazione a catena molto simile, metaforicamente certo, a quello che si realizza nel

mondo della materia, che fa si che questo primo gesto, questa prima azione, per quanto intima sia,

condizioni in certo modo il risultato del quadro.

J. R.: Di fronte al problema della tela bianca, è sempre il primo passo, come in un sacco di cose

della vita, quello importante, perché questo primo passo ti spinge a farne altri, e questa prima pennellata,

questo primo tratto, ti spinge a farne altri.1

La tensione di Saura verso il riempimento della superficie pittorica o del supporto cartaceo

raggiunge il suo culmine espressivo in quelle serie di pitture ed incisioni (ad esempio

Constelaciones, Multitudes, Cocktail-Party, Mutaciones), dove la ripetizione ossessiva di corpi,

volti, tratti, linee, macchie ha l’intento di far si che l’opera “sfugga” il più possibile dal vuoto alla

quale soggiace.

Nelle Moltitudini poi, sia quelle degli anni ’60 che quelle più recenti, gli elementi “affollano” la

superficie pittorica e, come sostiene lo stesso artista di Huesca, riproducono quei procedimenti di

attrazione e repulsione delle particelle di materia che regolano lo spazio cosmico.

1 RÍOS, JULIÁN, “Damas” in Julián Ríos, Las tentaciones de Antonio Saura, op. cit., pp. 67-68, traduzione in

italiano a c. di Giulio Bartolini

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30

Foule (Multitud)

En 1959 Saura inició su serie “Multitudes”, compuesta por obras de gran formato en las que el

artista intentó cumplir su viejo sueño expansivo de ocupar totalmente la superficie del lienzo. Huyendo

de la centralización compositiva y buscando jugar con la bidimensionalidad de la pintura, rellenó el

espacio de forma abigarrada con cabezas expresivas, con fragmentos de la figura humana que tanto le

interesaba: “He tratado de unificar múltiples aproximaciones de rostros sin cuerpo, de coordinar

dinámicamente conjuntos de antiformas en asociaciones orgánicas como si obedeciesen al igual que en

ciertos fenómenos biológicos, a necesidades de unión y repulsión capaces de generar una sensación de

continuidad.”

Folla (Moltitudine)

Nel 1959 Saura iniziò la sua serie “Moltitudini”, composta da opere di grande formato nelle quali

l’artista cercò di compiere il suo vecchio sogno espansivo di occupare totalmente la superficie della tela.

Fuggendo dalla centralizzazione compositiva e cercando di giocare con la bidimensionalità della pittura,

riempì lo spazio in modo eterogeneo con teste espressive, con frammenti della figura umana che tanto gli

interessava: “Ho cercato di unificare molteplici approssimazioni di facce senza corpo, di coordinare

dinamicamente congiunzioni di antiforme in associazioni organiche come se obbedissero ugualmente a

certi fenomeni biologici, a necessità d’unione e repulsione capaci di generare una sensazione di

continuità.1

Antonio Saura, Moltitudine, 1959 Antonio Saura, Folla I, 1963, acquaforte,

162 x 390 cm, china su carta, collezione privata 12,3 x 16,5 cm, collezione privata

Antonio Saura, Moltitudine, Coppa del Antonio Saura, Iceberg-Moltitudine, 1997,

Mondo di Calcio, 1982, litografia, 200 x 400 cm, olio su tela, collezione privata

60 x 84 cm, collezione privata

Anche all’interno della lunga serie di pitture ed incisioni Cocktail-party, incentrata sulla tematica

della “festa orgiastica”, 2

e in altri insiemi “minori” quali Costellazioni e Scacchiere, i singoli corpi

o frammenti di essi cercano di occupare al massimo lo spazio inscenando una vera e propria lotta

contro il vuoto.

1 GARCÍA, BEGOÑA, “Las obras maestras” in Begoña García, op. cit., p. 112

2 GARCÍA, BEGOÑA, “Las obras maestras” in Begoña García, op. cit., p. 62

Page 31: José Angel Valente, il poeta e le arti

31

Antonio Saura, Cocktail-party, 1960, Antonio Saura, Cocktail-party I, 1982,

Tecnica mista e collage su carta, 60,00 x 83,00 cm litografia e zincografia in 5 colori, 59 x 88 cm,

Collezione Archivio “Antonio Saura”, Ginevra collezione privata

Antonio Saura, Costellazione II, 1993, Antonio Saura, Cocktail-party, 1998

acquaforte e acquatinta, 46,2 x 38 cm, litografia, 41 x 27 cm, collezione privata

collezione privata

Antonio Saura, Scacchiera, 1977 Antonio Saura, Costellazione, 1977,

litografia e zincografia a colori, 59,5 x 88 cm, litografia e zincografia a colori, 59,4 x 88 cm,

collezione privata collezione privata

Page 32: José Angel Valente, il poeta e le arti

32

4. Silenzio

Edizione francese di Comunicazione sul muro illustrata da Antoni Tàpies

Abbiamo già cercato di dimostrare quanto sia importante l’influsso del pensiero estremorientale

nella maturazione della concezione artistica valentiana.

Secondo i suoi fautori, nell’esercizio dell’arte così come in ogni frangente della vita, il silenzio

ha un rilievo assoluto poiché, alla pari del vuoto, esso è parte fondante dell’esistere.1 Questa

costituisce una delle ragioni principali per le quali il silenzio pervade numerose poesie di Valente.

Un altro importante motivo per cui le composizioni poetiche valentiane sono intrise di silenzio è

determinato dalla centralità accordata alla cosiddetta música del silencio di Anton Webern.2

1 SUZUKI, DAISETZ TEITARO, “Introduzione” in Eugen Herrigel, op. cit., pp. 11-15

HERRIGEL, EUGEN, op. cit., 1975, passim 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Notas de un simulador” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, pp.

467-468

En la música de Webern, más que en cualquier otra, importa no sólo el silencio que entra en la

música misma como elemento de composición, sino –y, acaso, sobre todo- el silencio que rodea la música.

El principio de no repetición en Webern no es, en absoluto, abolición de la memoria. El silencio es la

memoria primordial. O la memoria primordial es una memoria del silencio.

Valente, José Ángel, “Elogio del calígrafo” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit., pp.

553-554

[...] “Poética: arte de la composición del silencio”, escribí hace ya tiempo. Y ciertamente, la

escritura musical de Webern tal vez haya marcado mi propia poesía más que ninguna otra escritura

contemporánea. De ahí que haya querido tomar su música como nuestro último, y acaso más definitivo

referente.

Page 33: José Angel Valente, il poeta e le arti

33

Eduardo Chillida, Musica tacita, 1955, Eduardo Chillida, Musica tacita II. Omaggio a

ferro, Kunstmuseum, Basilea J. S. Bach, 1983, acciaio, Museo “Metropolitan”,

New York

La silenziosità delle composizioni poetiche valentiane origina pure dalla volontà di “scavalcare”

la limitatezza dei mezzi espressivi umani. Valente vuole sondare le potenzialità del silenzio

affrancando le parole delle sue poesie dal loro rumor superficiale e dando loro piena libertà.1

Il poeta di Orense delinea, almeno in parte, la sua concezione di silenzio dalla contemplazione di

alcune pitture di Tàpies. L’artista orensano scorge in esse una continua e naturale tensione al

silenzio che considera indice dello sforzo esercitato dal barcellonese nel tentativo di raggiungere la

materia interiorizada.2 Si tratta dello spingersi al di là della mera apparenza delle cose cercando di

trovarne la vera costituzione nel cosiddetto abismo interior. Valente nel secondo dei Cinco

fragmentos para Antoni Tàpies asserisce come la sua stessa poesia, alla stregua della pittura

dell’amico catalano, sia animata in modo del tutto naturale da una costante tensione verso il silenzio.

II

Ut pictura

Mucha poesía ha sentido la tentación del silencio. Porque el poema tiende por naturaleza al

silencio. O lo contiene como materia natural. Poética: arte de la composición del silencio. Un

poema no existe si no se oye antes que su palabra, su silencio.

1 MONEGAL, ANTONIO, “Voces y trazos del silencio (diálogos entre las artes)” in VV. AA., A palabra e a súa

sombra: José Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las

artes = The word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola

Universidade, Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., p. 211

Si bien en otras épocas lo que poesía y pintura compartían era la pretensión de imitar la

realidad, la tendencia contemporánea ha sido encontrarse en un silencio que, lejos de evocar la

comparación de Simónides, no deja muda a ninguna de las artes. Es un silencio que tanto la pintura como

la poesía han llevado siempre consigo.

2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL; TÀPIES, ANTONI, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in José

Ángel Valente, Obras Completas: ensayos, op. cit., p. 536

J. A. V.: Justamente este silencio sería la nada, el lugar de la materia interiorizada. Creo que eso

es lo que tú querías significar con esa idea...

Page 34: José Angel Valente, il poeta e le arti

34

II

Ut pictura

Molta poesia ha sentito la tentazione del silenzio. Perché la poesia tende per sua natura al silenzio.

O lo contiene come materia naturale. Poetica: arte della composizione del silenzio. Una poesia

non esiste se non si sente prima della sua parola, il suo silenzio. 1

Nell’arte poetica le parole divengono espressione del silenzio, mentre in quella pittorica le

raffigurazioni producono un’illusione di una loro possibile traduzione come parole.2

Buona parte della poesia moderna si alimenta del desiderio pressante di dire il silenzio, di

esprimerlo. Le leggi che caratterizzano il discorso poetico contemporaneo sono quelle dell’enigma e

dell’allusione. La parentela fra un’arte priva di parole quale la pittura ed una che si basa su parole

aventi una sempre maggiore opacità, ovvero la poesia, è dettata dalla loro continua tensione verso

l’annullamento di determinati significati.

[...] Por otro lado la pintura, privada del discurso verbal, goza por norma propia de esa

expresividad callada. Así, de la antigua comparacíon entre la poesía como pintura que habla y la pintura

como “poema mudo”, no me interesa aquí lo que cada arte dice como lo que calla. Lo que se guarda

para darlo velado y lo que se da como pura pérdida. En la medida en que toda poesía está tocada por el

deseo de dar voz al silencio, estos comentarios tienen un alcance amplio, pero se cumplen muy

especialmente en aquellos derroteros de la poesía que han hecho del enigma y la alusión las leyes de su

discurrir. El parentesco entre un arte con palabras y otro sin ellas se estrecha desde el momento en que

el primero hace de la palabra un vehículo opaco que conduce al silencio y el segundo deja de reproducir

una ilusión que pueda nombrarse y acalla la posibilidad de interpretación -es decir-, de traducción de la

palabra.

[…] D’altro canto la pittura, privata del discorso verbale, gode per norma propria di questa

espressività muta. Così, dell’antica comparazione tra poesia come pittura che parla e pittura come

“poesia muta”, non mi interessa qui quello che ogni arte dice quanto quello che tace. Quello che si

conserva per darlo occulto e quello che si dà come pura perdita. Nella misura in cui tutta la poesia è

toccata dal desiderio di dar voce al silenzio, questi commenti hanno un’amplia portata, ma si compiono

in modo particolare in quei percorsi della poesia che hanno fatto dell’enigma e l’allusione le leggi del

suo discorrere. La parentela tra un’arte con le parole e un’altra senza queste si stringe a partire dal

momento in cui la prima fa della parola un veicolo opaco che conduce al silenzio e la seconda smette di

riprodurre un’illusione che possa nominarsi e zittisce la possibilità di interpretazione -cioè-, di

traduzione della parola.3

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies; José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 35 2 FEIJOO, LUIS IGLESIAS, “José Ángel Valente: poesía y pintura” in VV. AA., A palabra e a súa sombra: José

Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes = The

word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola Universidade,

Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., pp. 209-210, passim 3 MONEGAL, ANTONIO, “Voces y trazos del silencio (diálogos entre las artes)” in VV. AA., A palabra e a súa

sombra: José Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las

artes = The word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola

Universidade, Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., p. 211

Page 35: José Angel Valente, il poeta e le arti

35

La poesia valentiana tende per sua natura, come abbiamo affermato in precedenza, al silenzio: la

parola incarna la singola entità che tende continuamente al silenzio, all’annullamento.

L’intera poesia di Valente, alla stregua di quanto mostrato precedentemente, ha l’intento di far

sparire il linguaggio poetico, di annullarlo in quanto non può minimamente soddisfare l’esigenza

avvertita dal poeta, e prima ancora dall’uomo, di esprimere gli infiniti significati e le innumerevoli

forme dell’universo.1

Il silenzio delle poesie valentiane è altresì indice del raggiungimento di una piena pace interiore

da parte del poeta. Manifestazioni di questa tranquillità ed equilibrio interiori al gallego sono quei

componimenti poetici nei quali egli esprime la sua piena esperienza dell’amore2 o la sublimazione

del suo “io”.

Un canto

Un canto.

Quisiera un canto

que hiciese estallar en cien palabras ciegas

la palabra intocable.

Un canto.

Más nunca la palabra como ídolo obeso,

alimentado

de ideas que lo fueron y carcome la lluvia.

La explosión de un silencio.

Un canto nuevo, mío, de mi prójimo,

del adolescente sin palabras que espera ser nombrado,

de la mujer cuyo deseo sube

1 MÁS, MIGUEL, “3. La retórica de la desposeción” in Miguel Más, La escritura material de José Ángel

Valente, Madrid, Hiperión, 1986, pp. 59-61

2 – El silencio y el despertador de la conciencia utópica

El silencio del autor de la Memoria y los signos pasa entonces, como decimos, por encima del

lenguaje poético para, a través de aquel, interrogar al fin su existencia ideal. Más aún, diríamos que la

escritura valentiana en este extremo pretende cuestionar la creencia de que el lenguaje (poético) es en su

constitución un acto de poder que pueda dar cuenta –traducir- la experiencia con la realidad de una

manera inmediata. La autenticidad valentiana reside precisamente en esta posibilidad de autoacusación

que lanza a la razón contra sí misma, incapaz de conocer de manera total ciertas parcelas de la realidad

humana. Entre la indiferencia y el discurso –dice Blanchot- existe algo no transmisible por el lenguaje...

Es posible que las palabras desconozcan la verdadera naturaleza humana, ya que en ciertos momentos de

la vida humana o experiencias posiblemente esenciales, como el extásis o el sueño, tienen una

correspondencia más justa en el silencio que en el discurso...

[...] La poesía entonces, el acto de poetizar, será, según veníamos diciendo, el intento de hacer

desaparecer del lenguaje, en la medida de lo posible, lo que éste tiene de universal e initeligible...

2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Los amantes” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., pp.

790-791

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Amor, tu mano” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit.,

pp. 794-796

Page 36: José Angel Valente, il poeta e le arti

36

en borbotón sangriento a la pálida frente,

de éste que me acusa silencioso,

que silenciosamente me combate,

porque acaso no ignora

que una sola palabra bastaría

para arrasar el mundo,

para extinguir el odio

y arrastrarnos. […]1

XII

De la palabra hacia atrás

me llamaste

¿con qué?2

Desencuentro o palabras para la innominación

Había cierta incapacidad para llegar al fondo del sunto. Cierta desarmonía entre la

falsedad de las preguntas y las respuestas evadidas. Pienso que en tales casos el sunto

es la muerte. Alguna forma de muerte medianera e interpuesta. Un muro leve de sonido

sordo. Nada, en fin. Nada que pueda hacer que la palabra sea oída. La palabra de

quién. no había quién a quién hablase en realidad. Los rostros reservaban su calidad

de máscaras inmóviles. Nada parecía fluir. [...]3

Cabeza de mujer

Ya nunca. Sobre un fondo de luz inviolable. El hilo oscuro no segará tu delicado

cuello. ¿Qué queda, dime, de la noche en la desposesión y qué palabra queda después

y al fin de la palabra? Al pie del árbol, del árbol de la vida sumergido, escrito está tu

nombre. Y queda esta cabeza, esta cabeza sola sobre el límite de las aguas que un día

anegaron la tierra. Cabeza de mujer. Más alta. Más alta está, más alta que el más alto

nivel a que la muerte llega.[...]4

III

Poema

Cuando ya no nos queda nada,

El vacío del no quedar

Podría ser al cabo inútil y perfecto.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La memoria y los signos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 212-213 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Treinta y siete fragmentos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op. cit., p. 325 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Interior con figuras” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 360 4 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Material memoria” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 383

Page 37: José Angel Valente, il poeta e le arti

37

Aguardábamos la palabra. Y no llegó. No se dijo a sí misma. Estaba allí y aquí aún

muda, grávida. Ahora no sabemos si la palabra es nosotros o éramos nosotros la

palabra. Mas ni ella ni nosotros fuimos proferidos. Nada ni nadie en esta hora adviene,

pues la soledad es la sola estancia del estar. Y nosotros aguardamos la palabra. […]1

Tuttavia, in altre poesie, Valente ci sembra “rifuggire” il silenzio. Questo si verifica laddove il

poeta denuncia l’acquiescenza dell’opinione pubblica nei confronti del regime franchista e dei

crimini compiuti contro l’umanità durante la Seconda Guerra Mondiale.

In risposta all’affermazione del filosofo tedesco Theodor Adorno secondo la quale: “Scrivere una

poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie…”, 2 l’orensano sostiene che è proprio in virtù di fatti

terribili ed inenarrabili come questo che la poesia deve “acquisire” nuovo slancio.

[…] Y cómo, preguntaron, cómo

escribir después de Auschwitz.

Y después de Auschwitz

y después de Hiroshima, cómo no escribir.

¿No habría que escribir precisamente

después de Auschwitz o después

de Hiroshima, si ya fuésemos, dioses

de un tiempo roto, en el después

para que al fin se torne

en nunca y nadie pueda

hacer morir aún más los muertos?[...]

(Hibakusha)3

José Ángel Valente, Hibakusha, 1987, edizione illustrata da Paco Aguilar

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Mandorla” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., p.

423 2 ADORNO, THEODOR, “Critica della cultura e della società” in AA. VV., Prismi, a c. di Carlo Mainoldi,

Torino, Einaudi, 1972, p. 22 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Al dios del lugar” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 483

Page 38: José Angel Valente, il poeta e le arti

38

Hibakusha “sopravvissuti” ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e, sulla

destra, un gruppo di superstiti del campo di sterminio di Auschwitz

Il poeta galiziano dedica per questo motivo numerose poesie alla descrizione delle brutalità

perpetrate in Spagna durante ed in seguito alla Guerra Civil.1 Il silenzio di quanti si sono assuefatti

alle cosiddette mentiras dei franchisti, descritte soprattutto in alcune delle prime poesie, è da

considerarsi secondo l’orensano “complice” del sangue versato dagli innocenti.

El muro

(voz de la criatura)

En la espesura de este muro puse

mi oído. Golpeé tres veces,

cien, mil, toda la vida. Dije

tu nombre, dije:

-No sé tu nombre.

Puse mi oído; deseaba voces,

una respuesta, un eco.

Golpeé hasta la muerte: largos

muros, silencio, viento... y más allá

caí.

Banderas

De pena y tiempo arrastraba la noche.

Y más allá caí para engrosar el muro

espeso en que clamaba.

Caí, caí, caí.

Y más allá caí, del otro lado

de la humana esperanza.2

1 GAY ARMENTEROS, JUAN CARLOS, “10. La Guerra Civil” in Juan Carlos Gay Armenteros, La España del

siglo XX, Madrid, Edi6, 1991, pp. 75-83

GAY ARMENTEROS, JUAN CARLOS, “11. Dos Españas en guerra” in Juan Carlos Gay Armenteros, op. cit., pp.

84-89

GAY ARMENTEROS, JUAN CARLOS, “12. La posguerra” in Juan Carlos Gay Armenteros, op. cit., pp. 93-99

GAY ARMENTEROS, JUAN CARLOS, “13. El final de la Guerra Mundial y los años cincuenta” in Juan Carlos

Gay Armenteros, op. cit., pp. 100-104

GAY ARMENTEROS, JUAN CARLOS, “14. Auge y ocaso del franquismo” in Juan Carlos Gay Armenteros, op.

cit., pp. 105-110 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Poemas a Lázaro” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., pp. 109-110

Page 39: José Angel Valente, il poeta e le arti

39

II

Patria, cuyo nombre no sé

A Aurelio Menéndez

Yo no sé si te miro

con amor o con odio

ni si eres más que tierra

para mí.

Pero contigo sólo,

a muerte, debo

levantarme y vivir.

Aquí es tu piel tirante

sobre el mapa del alma,

azotada y cruel;

allí suave,

rota en ríos de lluvia,

inclinada hacia el mar.

Allí paso perdido,

pie puro que anda el sueño;

aquí cráneo abrasado

por el peso de Dios.

Estoy así mirándote

con un ojo que apenas

ha nacido al mirar.

Porque he venido ayer

y no sé aún quién eres,

aunque tal vez no seas

nada más verdadero

que clavo sobre ti.

Vine cuando la sangre

aún estaba en las puertas

que esta ardiente pregunta

y pregunté por qué.

Yo era hijo de ella

y tan sólo por eso

capaz de ser en ti.

Vine cuando los muertos

palpitaban aún próximos

al nivel de la vida

y pregunté por qué.

Yacían bajo tierra:

tú eras su verdad.

[…]

Oh, cómo en las colinas

sobreviviente el aire

se animaba de él.

Debiáis protegerlo.

No lo hicisteis.

Temblad.

Porque debió crecer

para la luz, no para

la sombra, el odio, para

la negación.

Page 40: José Angel Valente, il poeta e le arti

40

La tierra había sido

removida y arada

con la sangre de todos.

Con la sangre. Era

difícil la alegría;

necesitábamos

primero la verdad.

[…]

Oh patria y patria

y patria en pie

de vida, en pie

sobre la mutilada

blancura de la nieve,

¿quién tiene tu verdad?1

La mentira

Caminan por los campos, arreando sus bestias

cargadas de cadáveres, hacia el atardecer.

Pero no allí,

sino en el centro de la ciudad

están (aunque su reino sea

más odioso en el alma): son

los mercaderes del engaño.

Levantan en la plaza

sus tenderetes y sus palabras, pues son hábiles

en el comercio de la irrealidad.

Proceden del sueño y también

lo engendran a su vez.

Mezclaos entre la multitud y veréis

hasta que punto sus palabras son vanas,

pues no les pertenece ni un solo corazón.

Si alguien levanta su voz en la asamblea,

tal vez un hombre honrado,

para enarbolar la verdad,

ellos extienden sus manos engañosas

hasta teñir el cielo de un sangriento color.

Porque tienen el viejo poder de la mentira

que desciende en la noche,

cubre los campos,

se mezcla a las semillas,

contamina los frutos de toda corrupción.

Mentira es nuestro pan, el que mordimos

con ira y con dolor.

Bajamos a la caída de los sueños

como una bandada de pájaros sedientos de verdad.

Pero ninguna hora había sonado

que fuese nuestra. Entonces comprendimos

que al igual que la tierra huérfana de cultivo

debíamos dar fruto en soledad.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A modo de esperanza” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 82-84

Page 41: José Angel Valente, il poeta e le arti

41

Pero ahora acercaos: ved

cómo la noche cae. Se oye

un largo toque de silencio y redobla

el hisopo sobre el tambor.

La plaza está desierta (parece descansar

la ciudad en un sueño más hondo que la muerte).

Sólo quedan palabras como globos hinchados,

ebrios de nada. Van

flotando lentamente sobre la carroña del día

y su implacable putrefacción.1

John Cornford, 1936

Only in constant action was his

constant certainty found.

He will throw a longer shadow

as time recedes.

John Cornford, veintiún años

ametrallados sobre el aire

en que han nacido estas palabras.

El corazón de los fusiles

siguió latiendo inútilmente,

cuando ya nunca alcanzaría

el rastro claro de tu sangre.

Esto fue en Córdoba, en diciembre,

en las montañas, combatiendo.

Después cayó, como dijiste,

la noche larga sobre Europa.

Los poetas retrocedieron

a su pasión consolatoria

y aquellas horas de amistad

en un ejército del pueblo

fueron borradas con la cola

subrepticia de la tristeza

en el tumulto repentino.

Así pasó, en efecto, todo.

Los años treinta en estampida

“with the unemployed demonstrators

carrying “the coffin” to the Station”.

Palidecieron los retratos.

Cedió el viento y se fue el público

y cundió la desesperanza.

Otros cayeron.

Entre el humo

de las ruinas y otras cosas

no apaciguadas por el tiempo

se levanta tu cuerpo joven.

De tú a tú puedes hablarnos,

John Cornford, hermano nuestro,

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Poemas a Lázaro” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., pp. 148-149

Page 42: José Angel Valente, il poeta e le arti

42

de tú a tú como se hablan

en la verdad los hombres vivos.

Al rehacer aquella hora

cuento despacio tus palabras.

La inteligencia aún se pasea

en tren de lujo por los versos

mientras espera que otros caigan

para sentir horror de pronto.

Mas para ti sólo fue uno

el camino de la certeza.

No quisiste huir de la vida

con el disfraz del pensamiento.

Así estás igual a ti mismo

con la pasión que aquí te trajo.

Un solo acto vida y muerte,

la fe y el verso un solo acto.

Ametrallados, no vencidos,

veintiún años, en diciembre,

Córdoba sola, un solo acto

tu juventud y la esperanza.1

John Cornford

I “muri”2 del pittore barcellonese Tàpies comunicano il silenzio perché sono, come afferma egli

stesso, delle “contemplazioni del muro”, un “esercizio” spirituale individuale di meditazione sul

nulla.

[...] La idea esta de llegar a hacer muros, por ejemplo, que me cogió un poco de sorpresa, y que en

principio era una idea muy sugestiva, llegar a hacer unas imágenes que no son nada, que son un muro,

esto me enlaza con la idea de Bodhidharma de contemplar el muro. Y tuvo éxito, es curioso...

[...] Quest’idea di arrivare a fare dei muri, per esempio, che mi colse un po’ di sorpresa, e che

all’inizio era un’idea molto suggestiva, arrivare a fare delle imagini che non sono nulla, che sono un

muro, questo mi imparenta con l’idea di Bodhidharma [il fondatore dello Zen] di contemplare il muro.

Ed ebbe successo, è curioso…3

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La memoria y los signos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 194-195 2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, Comunicación sobre el muro, op. cit., passim

3 REVISTA DHARMA, http://www.revistadharma.com/tapies.htm; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini

Page 43: José Angel Valente, il poeta e le arti

43

Queste opere rappresentano il risultato della riflessione solitaria dell’artista il quale, parimenti al

discepolo dello Zen, raggiunge lo status in cui è in grado di generare le sue creazioni solo al termine

di un processo di iniziazione allo svuotamento di se stesso.1

Rappresentazione giapponese di Bodidharma Eugen Herrigel impegnato nel tiro con l’arco secondo lo Zen

Antoni Tàpies, Pittura, 1955, tecnica mista, 96 x 145 cm, Antoni Tàpies, Grande pittura grigia n° III,

Museo Nazionale Centro d’Arte “Regina Sofia”, Madrid 1955, tecnica mista, 194,5 x 169,5 cm,

Museo Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf

Il silenzio dei muros e di altre serie di pitture dell’artista catalano appare nondimeno connesso

allo sdegno nutrito verso la Guerra Civil e la Seconda Guerra Mondiale.2

Si tengo que hacer la historia de cómo se fue concretando en mí la consciencia de este poder

evocador de las imágenes murales, he de remontarme muy lejos. Son recuerdos que vienen de mi

adolescencia y de mi primera juventud encerrada entre los muros en que viví las guerras. Todo el drama

que sufrían los adultos y todas las crueles fantasías de una edad que, en medio de tantas catástrofes,

parecía abandonada a sus propios impulsos, se dibujaban y quedaban inscritos a mi alrededor. Todos los

muros de una ciudad, que por tradición familiar me parecía tan mía, fueron testigos de todos los

martirios y de todos los retrasos inhumanos que eran inflingidos a nuestro pueblo.3

Se devo render conto del modo in cui a poco a poco ho preso coscienza di questa potenza

evocatrice delle immagini dei muri, devo risalire a molto lontano. Sono ricordi che provengono

dall’adolescenza e dai miei giovani anni racchiusi tra le mura entro le quali ho vissuto le guerre. Tutto il

dramma sofferto dagli adulti e tutto quello che di atroce ha inventato un’epoca che sembrava andare, tra

1 TÀPIES, ANTONI, “Comunicación sobre el muro”, in Antoni Tàpies e José Ángel Valente, op. cit., pp. 49-50

2 BOZAL, VALERIANO, “El muro y el monstruo” in Valeriano Bozal, El tiempo del estupor: la pintura

europea tras la segunda guerra mundial, op. cit., pp. 123-127 3 TÀPIES, ANTONI, “Comunicación sobre el muro” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente, op. cit., pp. 47-48

Page 44: José Angel Valente, il poeta e le arti

44

le catastrofi, alla deriva dei propri impulsi, tutto questo ridisegnava, si inscriveva sotto il mio sguardo. In

città dove grazie alla tradizione familiare avevo preso l’abitudine di considerarmi a casa mia, tutti i muri

portano testimonianza del martirio del nostro popolo dei divieti inumani che gli sono stati inflitti.1

Le opere materiche e “murarie” del pittore di Barcellona, soprattutto quelle realizzate tra l’inizio

degli anni ’50 e la metà degli anni ‘70,2 sono dunque emblemi dell’ottenebramento della cultura

spagnola e dell’ingiustizia sociale3 messi in atto dal regime di Franco e dal suo apparato retorico.

4

Di fronte alla manipolazione delle coscienze e, soprattutto, all’inefficacia della denuncia di questo

crimine di stato, l’artista sceglie di rappresentare con dei simboli murari la sua indignazione verso

l’irriducibile meschinità del presente.5

La pintura de Tàpies podía tener una interpretación política antes de que la política explicita

apareciese en sus obras. No era necesario esperar a sus dibujos más comprometidos, realizados muchos

de ellos a favor de las víctimas de la represión, como testimonios penetrantes de la misma, o a sus

referencias a Cataluña [54]. La fanfarria retórica y ruidosa que exaltaba la individualidad heroica y el

nacionalismo más sórdido, fundamento de un caudillaje insoportable, se disolvía en la materialidad de

estos muros en los que las marcas eran testimonio de supervivencia de una colectividad, de todos.

Paradójicamente, los signos y la materialidad creada por el artista, aunque pudieran parecer muy

abundantes, incluso en algunos casos excesivos, eran testimonio del silencio, y la experiencia que de

1 BARILLI, RENATO, “Comunicazione sul muro” in Renato Barilli, Tàpies, Milano, Skirà, 1998, p. 54

2 BOZAL, VALERIANO, “2.4 “Y hago que en mí sea un clamor el silencio de todos” in Valeriano Bozal,

Pintura y escultura españolas del siglo XX (1939-1990), op. cit., p. 67

Es ese silencio político, ingrediente fundamental de la identidad nacional, el que habita en los

muros, y no sólo en los que tienen a la bandera catalana como protagonista: el mismo silencio que anida

en los cuerpos torturados, en las materias hechas cuerpo de mujer u objeto cotidiano.

3 BARILLI, RENATO, “La poetica del muro” in Renato Barilli, op. cit., p. 16

“[…] … una comunità si sente minacciata da un signore delle tenebre che abita-ossessiona (lo

hanter francese) un qualche luogo, da cui invia influssi malefici, tali da turbare la salute pubblica; e allora

bisogna intervenire con i mezzi elementari della calce, della muratura, per scongiurare quella peste,

dell’anima più che del corpo. Così le comunità di un tempo si difendevano dalle epidemie, e così si torna a

fare anche oggi in momenti di emergenza, quando, a seguito di una catastrofe naturale o bellica, i cadaveri

sono troppi, e allora bisogna affrettarsi a sterilizzarli, eliminandoli con grossolani interventi materiali.

4 BOZAL, VALERIANO, “El muro y el monstruo” in Valeriano Bozal, El tiempo del estupor: la pintura

europea tras la segunda guerra mundial, op. cit., p. 133 5

MUÑOZ, MIGUEL ÁNGEL, “Entrevista con Antoni Tàpies”,

http://www.revista.agulha.nom.br/ag44tapies.htm

[...] ...después de la Segunda Guerra Mundial, como a otros artistas de mi generación,

especialmente los expresionistas abstractos y algunos pintores del círculo de París, se apoderó de mí una

depresión y un sentimiento de crisis en relación a la cultura occidental. Por la época que me tocó vivir, y

quizás, por mi propio temperamento, es posible que haya dominado esa oscuridad, no sé si

exageradamente.

ÁNGELES, GARCÍA, “Entrevista: Antoni Tàpies, pintor”, Madrid, El País, 16/11/2006,

http://www.elpais.com/articulo/cultura/Busco/reflexion/frente/banalidad/elpepicul/20061116elpepicul_2/Tes

“[...] Yo he vivido la Guerra Civil y nunca he dejado de ver sufrimiento.”

Page 45: José Angel Valente, il poeta e le arti

45

ellos teníamos abundaba en ese silencio, nunca en la estridencia. Entre el silencio y la clandestinidad

hay una distancia muy corta que éramos capaces de captar al contemplar esas pinturas. Pese a la

insistencia ideológica en afirmar las excelencias de la situación por la que se atravesaba, las obras de

Tàpies venían a decirnos que no era así, que la realidad era muy otra y que la verdad se encontraba

diseminada en signos azarosos, difíciles de interpretar, que eran el mejor testimonio de la vida colectiva.

La pittura di Tàpies poteva avere un’interpretazione politica prima che la politica apparisse

esplicitamente nelle sue opere. Non era necessario attendere i suoi disegni più compromessi, molti dei

quali realizzati in favore delle vittime della repressione, quali testimoni penetranti della stessa, o i suoi

riferimenti alla Catalogna. La fanfara retorica e rumorosa che esaltava l’individualità eroica e il

nazionalismo più sordido, fondamento di un caudillaje insopportabile, si dissolveva nella materialità di

questi muri nei quali i segni erano testimonianza della sopravvivenza di una collettività, di tutti.

Paradossalmente, i segni e la materialità creata dall’artista, nonostante potessero sembrare molto

abbondanti, persino eccessivi in alcuni casi, erano testimonianza del silenzio, e l’esperienza che avevamo

di essi abbondava in questo silenzio, mai nello strepito. Tra il silenzio e la clandestinità c’è una distanza

molto corta che eravamo capaci di captare contemplando queste pitture. Malgrado l’insistenza

ideologica nell’affermare le eccellenze della situazione che si stava attraversando, le opere di Tàpies ci

dicevano che non era così, che la realtà era molto diversa e che la verità si trovava disseminata in segni

incerti, difficili da interpretare, che erano la migliore testimonianza della vita collettiva. 1

Antoni Tàpies, Ocre grigio, 1953, olio su tela, Antoni Tàpies, Pittura con croce rossa, 1954

130 x 162 cm, Collezione Fondazione 195 x 130,5 cm, tecnica mista su tela,

“Antoni Tàpies”, Barcellona collezione privata, Svizzera

Antoni Tàpies, Grande bianco senza materia, 1965 Antoni Tàpies, Lo spirito catalano, 1971,

195 x 170 cm, tecnica mista su tela, Collezione D’Arte 28 x 26,5 cm tecnica mista su legno,

Contemporanea, Fondazione “La Caixa”, Barcellona collezione privata, Madrid

1 BOZAL, VALERIANO, “El muro y el monstruo” in Valeriano Bozal, El tiempo del estupor: la pintura

europea tras la segunda guerra mundial, op. cit., p. 134; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini

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46

Antoni Tapies, Croce e terra, 1975 Antoni Tàpies circondato da alcuni dei 162 x 162 cm, tecnica mista, collezione privata dell’artista suoi “muri” nel suo taller barcellonese

Il pittore aragonese Antonio Saura realizza, all’inizio della sua carriera, alcuni dipinti surrealisti

nei quali ci sembra manifestarsi una vera e propria ricerca del silenzio. Si tratta di opere nelle quali

le figure si stagliano su grandi e vuoti paesaggi silenti. Questi ultimi si configurano come

trasposizioni pittoriche della desolazione nella quale si trovavano società e cultura spagnole negli

anni successivi all’instaurazione del regime franchista.

O bien, de manera fragmentaria, por momentos, invoca el silencio en el centro mismo del gesto de

pintar, como si la pintura se hubiese convertido en una especie de doble del mundo, de otro mundo,

privado de su nombre, de su lengua, donde el silencio del mundo real se ha agravado (La columna del

silencio, 1948, El gran silencio, 1950).

O piuttosto, in modo frammentario, a tratti, invoca il silenzio nel centro stesso del gesto di

dipingere, come se la pittura si fosse convertita in una specie di doppio del mondo, di altro mondo,

privato del suo nome, della sua lingua, dove il silenzio del mondo reale si è aggravato (La colonna del

silenzio, 1948, Il grande silenzio, 1950). 1 [Anche Il silenzio eterno, 1950].

Nei paesaggi spettrali dei surrealisti attivi a Parigi e nelle “spiagge deserte” 2

del connazionale

Dalí,3 l’allor giovane Saura intravedeva una perfetta corrispondenza con il silenzio oscurantista che

avvolgeva la Spagna degli anni ‘40 e ’50.

1 GUIGON, EMMANUEL, “Los procesos imaginarios de Antonio Saura” in Antonio Saura, Crucifixiones, a c. di

Javier Caballero, Madrid, Ediciones del Umbral, 2002, p. 28; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 SAURA, ANTONIO, “La playa desierta” in Antonio Saura, Visor: sobre artistas 1958-1998, a c. di Susana

Pellicer, Barcelona, Galaxia Gutemberg: Círculo de lectores, 2001, pp. 39-45 3 GUIGON, EMMANUEL, “Los procesos imaginarios de Antonio Saura” in Antonio Saura, Crucifixiones, op.

cit., p. 41

[...] Un día ví un cuadro de Dalí, Espectro del sex-appeal, que representa a un muchacho en la

playa. El muchacho mira a un monstruo enorme y obsceno construido a la manera de un Archimboldo.

Cuando lo descubrí, pensé en mí mismo contemplando el Cristo de Velásquez, cogido de la mano de mi

padre, ese cuadro terriblemente audaz, sin paisaje, sin ninguna otra presencia que la de Cristo sobre un

fondo negro, la mitad del rostro oculto por la melena que cae hacia delante. Éstos han sido los temas que

me han obsesionado. A partir de la infancia, fueron ocupando progresivamente un lugar en mi pintura.

Page 47: José Angel Valente, il poeta e le arti

47

Antonio Saura, L’uccello del gelo, 1950, Salvador Dalí, Spettro del sex-appeal,

33 x 41 cm, olio su tela, collezione privata 1932, olio su tela, 17,9 x 13,9 cm, Fondazione

“Gala-Salvador Dalí”, Figueres

Anche i rostros realizzati da Antonio Saura tra la fine degli anni ’70 e l’inizio della decade

successiva, dopo dieci anni di “abbandono” della pittura su tela,1 sono rappresentazioni del silenzio.

Stavolta però si tratta di risvolti superficiali del silenzio “abissale” interno al loro stesso autore.

[…] Ante la tela que espera en un rincón de su taller, y de la que huye produciendo una multitud

de pequeños formatos rabiosos (superposiciones, litografías, grafismos de toda clase) es otra

profundidad del silencio que se adivina, casi un terror ante el cual las consideraciones sobre la calidad

de la obra realizada aparecen ilusorias.

¿Terror o fascinación del silencio? Ambos, por supuesto. Temor de no ser capaz de aflojar el tomo,

de no estar a la altura del gesto que se impondrá, ni de alcanzar la pureza que merece, pero también

conciencia de que la tela solo valdrá, precisamente, tras esta confrontación con el vacío. Necesidad de

pintar para existir y, al mismo tiempo, rechazo de una existencia que se congela hasta el punto de ser

solamente, eternamente, una huella sobre la tela.

[...] Davanti alla tela che aspetta in un angolo del suo taller, e dalla quale fugge producendo una

moltitudine di piccoli formati rabbiosi (sovrapposizioni, litografie, grafismi di ogni tipo) è un’altra

profondità del silenzio che si indovina, quasi un terrore di fronte al quale le considerazioni sulla qualità

dell’opera realizzata appaiono illusorie.

Terrore o fascinazione del silenzio? Entrambe, certo. Timore di non essere capace di far affiorare

il volume, di non essere all’altezza del gesto che si imporrà, né di raggiungere la purezza che merita, ma

anche coscienza che la tela varrà solo, precisamente, dopo questo confronto con il vuoto. Necessità di

dipingere per esistere e, allo stesso tempo, rifiuto di un’esistenza che si congela fino al punto di essere

soltanto, eternamente, una traccia sulla tela. 2

Questi volti sono sì rischiarati dalla luce ma appaiono comunque irriconoscibili in quanto

provenienti da un luogo talmente recondito dell’”abisso” o, per meglio dire, della materia che le

parole, i nostri vocaboli finiti ed umani non sono capaci di giungervi. Le nostre formulazioni verbali

non ci possono aiutare a descrivere l’essenza di questi volti, di queste facce abissali, provenienti

dall’oscurità più assoluta.

[…] Las caras de Saura surgen del fondo de este abismo. Son la propria mirada del abismo sobre

nosostros y, dado que han tardado diez años en nacer, ya nada puede impedir que empañen hasta la más

1 RÍOS, JULIÁN, “Vampapire” in Julián Ríos, Portraits d’Antonio Saura, a c. di Albert Bensoussan, París, José

Corti/Ibériques, 1991, 19982, pp. 47-48

2 COHEN, MARCEL, “Algunas caras visibles del silencio” in Begoña García, op. cit., p. 150; trad. in italiano a

c. di Giulio Bartolini

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48

insignificante de nuestras palabras. Vienen de demasiado lejos, son demasiado irreconocibles para que

nuestras palabras conserven aún su poder.

[...] Le facce di Saura sorgono dal fondo di questo abisso. Sono lo sguardo stesso dell’abisso su di

noi e, dato che hanno ritardato dieci anni a nascere, nulla può più impedire che offuschino finanche la

più insignificante delle nostre parole. Vengono da troppo lontano, sono troppo irriconoscibili affinché le

nostre parole conservino ancora il loro potere.1

Antonio Saura, Ritratto 15-81, 1981, Antonio Saura, Pacheco, 1979, Antonio Saura, Ritratto 3.84, 1984,

73 x 60 cm, olio su tela, 130 x 97 cm, olio su tela, 73 x 60 cm, olio su tela,

collezione privata collezione privata collezione privata

5 Caso

Valente ritiene la generazione delle opere artistiche immancabilmente legata ad una particolare

predisposizione a creare da parte dell’artista, ovvero al suo trovarsi in un preciso stato d’animo.

Questa condizione la si può raggiungere, secondo il poeta galiziano, solo attraverso una profonda

meditazione e la “liberazione” dall’oppressione del pensiero.

La volontà dell’artista, ovvero il suo “io” creatore, si pone al lavoro non appena egli si è

affrancato da quei vincoli che gli impediscono di intraprendere la sua attività. Si tratta di quei

legami con la razionalità che recidono i “rami” dell’inventiva e non consentono di esprimere in toto

il genio creativo.

“M’illumino / d’immenso”: Ungaretti. Imprevista y súbita y total fulguración del objeto poético,

que Joyce creía también posible en la prosa y a la que proponía llamar epifanía.

“M’illumino d’immenso”: Ungaretti. Imprevista e subitanea e totale folgorazione dell’oggetto

poetico, che Joyce credeva possibile anche in prosa e proponeva di chiamare epifania. 2

Lo stato in cui l’artista raggiunge la condizione ideale e basilare per la creazione delle sue opere

è, come sostiene Valente in Cinco Fragmentos para Antoni Tàpies, il wu-wei.

El estado de creación es igual al wu-wei en el Tao: estado de no-acción de no interferencia, de

atención suprema a los movimientos del universo y a la respiración de la materia.

1 COHEN, MARCEL, “Algunas caras visibles del silencio” in Begoña García, op. cit., p. 150

2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Notas de un simulador” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op.cit.,

p. 463

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49

Lo stato della creazione è uguale al wu-wei nel Tao: stato di non-azione di non interferenza, di

attenzione suprema ai movimenti dell’universo e alla respirazione della materia. 1

Si tratta dello “scrollarsi di dosso” i pensieri personali al fine di abbandonarsi alla totale

contemplazione dell’universo, del “rumore di fondo” del cosmo.

In un componimento poetico Valente prova a descrivere questa particolare condizione

“sovrumana”:

La señal

Porque hermoso es al fin

dejar latir el corazón con un ritmo entero

hasta quebrar la máscara del odio.

Hermoso, sí, de pronto, sin saberlo,

dejarse ir, caer, ser arrastrado.

Tal vez la soledad, la larga espera,

no han sido más que fe en un solo acto

de libertad, de vida.

Porque hermoso es caer, tocar el fondo oscuro,

donde aún se debaten las imágenes

Y combate el deseo con el torso desnudo

la sordidez de lo vivido.

Hermoso, sí.

Arriba rompe el día.

Aguardo sólo la señal del canto.

Ahora no sé, ahora sólo espero

saber más tarde lo que ha sido.2

La condizione nella quale sorge la vera essenza delle cose è paragonabile pure allo svegliarsi dal

sonno, al despertar. Valente considera che in un tale stato, così come nel Tao non sussiste dualismo

tra ying e yang, le opposizioni fra anima e corpo, quotidiano e sacro, vita e morte cessano di esistere

e si “fondono” in un’unica luce. Questa sorgente luminosa può essere considerata come il

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies, José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 34 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La señal” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., p. 163

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “A veces vuelven” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit.,

pp. 263-264

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Las nubes” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., pp.

382-383

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in José Ángel Valente, Obras completas:

poesía y prosa, op. cit., pp. 387-391

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “III Poema” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., pp.

423-424

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Muerte y resurrección” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 437

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50

ricettacolo dell’intera creazione, la matrice da cui tutte le cose prendono forma. In virtù di tutto ciò,

il momento della creazione è assimilabile ad un fulmine, un fulgor1 improvviso dal quale scaturisce

in modo pienamente natuale e subitaneo l’opera artistica.

[...] El despertar: el surgir de lo real –el “¡ah!” de las cosas, dicen los japoneses. Wu, Satori. Luz

vacía en que todo se inflama. Vuelo, éxtasis: “que voy / de vuelo” (F. XXX). Una vez más, habla poética

y habla mística se confunden, arrastradas por el símbolo doble del corazón y del pájaro: latido (alas y

sangre, arriba y abajo, expansión/retracción) levedad, transfiguración de la materia. Alcanzado por la

llama interna del pájaro, el cuerpo se convierte en “grano”, “grumo”, “gota ceral”, “sola

transparencia / de sola luz”, atardecer resplandeciente, claridad más viva de su declinar. Alma y cuerpo,

éxtasis y angustia, cotidiano y sagrado, vida y muerte ya no se oponen, sino que se funden en una única

luz. Concluye un ciclo en este incendio final en el que, durante un instante de eternidad, se ilumina la

boca oscura de la muerte:

Y todo lo que existe en esta hora

De absoluto fulgor

Se abrasa, arde

Contigo, cuerpo,

En la incendiada boca de la noche.

(F. XXXVI)

“De la obstinada posibilidad de la luz.”

[…] Lo svegliarsi: il sorgere del reale –l’”ah!” delle cose, dicono i giapponesi. Wu, Satori. Luce

vuota dove tutto si infiamma. Volo, estasi: “che vado/ di volo” (F. XXX). Ancora una volta, parlare

poetico e parlare mistico si confondono, trascinati dal simbolo doppio del cuore e dell’uccello: battito

(ali e sangue, sopra e sotto, espansione/ritrazione) leggerezza, trasfigurazione della materia.

Raggiungendo attraverso la fiamma interna dell’uccello, il corpo si converte in “grano”, “grumo”,

“goccia cereale”, “sola trasparenza / di sola luce”, imbrunire splendente, chiarore più vivo del suo

declinare. Anima e corpo, estasi e angoscia, quotidiano e sacro, vita e morte non si oppongono più, ma

rifondono in un’unica luce. Conclude un ciclo in quest’incendio finale nel quale, durante un’istante di

eternità, s’illumina la bocca oscura della morte:

E tutto quello che esiste in quest’ora

Di assoluto fulgore

Si abbraccia, arde

Con te corpo,

nell’incendiata bocca della notte.

(F. XXXVI)

“Sull’ostinata possibilità della luce”2

La centralità della casualità nella visione della creazione artistica di Valente è adducibile anche

alla sua conoscenza di un testo quale Lo zen e il tiro con l’arco. In quest’opera l’iniziato alla

disciplina zen mediante il tiro con l’arco, ovvero il tedesco Eugen Herrigel, è ripetutamente

ammonito dal maestro giapponese a “lasciare che il colpo della freccia parta da solo”.

[…] Perciò un giorno chiesi al Maestro: “Ma come può partire il colpo se non lo tiro

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “El fulgor” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., pp.

439-459 2 ANCET, JACQUES, “Introducción”, in José Ángel Valente, Entrada en materia, op. cit., pp. 29-41; trad. in

italiano a c. di Giulio Bartolini

Page 51: José Angel Valente, il poeta e le arti

51

“io”?”

“”Si” tira”.

L’ho già sentito dire più volte da lei e perciò devo porre diversamente la mia domanda:

come posso attendere il tiro, dimentico di me, se “io” non devo entrarci per nulla?”.

“”Si” permane nella massima tensione”.

“E chi o che cosa è questo “Si”?”

“Quando l’avrà compreso non avrà più bisogno di me…” […] 1

Satori “illuminazione” Wu-Wei “non-azione” Awa Kenzo sensei il maestro

simbolo giapponese calligrafia Tao di tiro con l’arco

di Eugen Herrigel

Antoni Tàpies afferma, come si è già mostrato per Valente, che la creazione artistica avviene

quando nell’”io” si verificano visioni simili a quelle degli iniziati Zen o dei mistici occidentali

assorti nelle loro contemplazioni spirituali.

Los poetas y los pintores estamos en un estado de ánimo especial que nos provoca como visiones.

Noi poeti e pittori ci troviamo in uno stato d’animo speciale che provoca in noi una sorta di

visioni.2

Si tratta pertanto di stati che potrebbero essere definiti come di trance, di ebbrezza di “totale

rivolgimento in se stessi” nei quali si raggiunge una predisposizione del tutto particolare a lasciarsi

pervadere dalla casualità. Ciò si consegue con l’abbandono del nostro modo di pensare razionale

nonché del nostro senso dell’ordine e della logicità, dell’assillo e dello “stress” che comporta il

nostro modo di ragionare convenzionale.

Questa comune volontà da parte di Valente e Tàpies nell’attribuire le creazioni artistiche al caso,

ci sembra ascrivibile anche alla loro vena polemica contro la pretesa della scienza, in primis quella

positivistica, di spiegare ogni fase dell’esistenza.

A. T.: [...] En la ciencia suele dominar el factor positivista, y de repente vemos que muchos

científicos actuales, jóvenes, vuelven a hablar de un cierto orden sacralizado de la naturaleza, o de ideas

religiosas de tipo animista...

1 HERRIGEL, EUGEN, Lo zen e il tiro con l’arco, op. cit., pp. 70-71

2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

Antoni Tàpies e José Ángel Valente, Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 11

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J. Á. V.: […] Creo que el gran creador científico también se mueve en un mundo metafísico,

descubre cosas por sorpresa...

A. T.: Es certo, la mayor parte de descubrimientos científicos también son intuiciones visionarias y hasta casuales. [...]

A. T.: [...] Nella scienza suole dominare il fattore positivista, e d’improvviso vediamo che molti

scienziati odierni, giovani, tornano a parlare di un certo ordine sacralizzato della natura, o di idee

religiose di tipo animista...

J. Á. V.: [...] Credo che il grande creatore scientifico si muove anche in un modo metafisico,

scopre le cose di sorpresa…

A. T.: E’ vero, la maggior parte delle scoperte scientifiche sono anche intuizioni visionarie e

persino casuali. […]1

Nella summenzionata conversazione con l’amico di Orense, il pittore catalano mette in chiaro

come lo stato “della creazione” sia transitorio per l’artista il quale può percepirne l’importanza solo

ed esclusivamente quando esso si è esaurito.

Si tratta della sola condizione nella quale è possibile vedere chiaramente l’unità universale di

tutte le cose, ovvero il loro “compartire una sola materia”. Al di sotto di questo stato di

contemplazione totale dell’universo è presente un vuoto che, secondo l’artista di Barcellona, è

inestinguibile.

[...] A. T.: Se cree que este estado, que también se puede calificar con una palabra que está muy

denostada, el éxtasis, es quedarse colgado de una nube para siempre. Cuando la verdad es que se trata

de un estado transitorio. Pero entonces vuelves a la realidad y la comprendes mejor. Y te hace ver más

claramente la unidad universal de todas las cosas. Que la sociedad sepa que esto es útil, que debajo de

todo esto hay un vacío que no es absolutamente nada...

A. T.: Si crede che questo stato, che si può anche qualificare con una parola che è molto

oltraggiata, l’estasi, è rimanere sospeso da una nube per sempre. Quando la verità è che si tratta di uno

stato transitorio. Ma allora ritorni alla realtà e la comprendi meglio. E ti fa vedere più chiaramente

l’unità universale di tutte le cose. Che la società sappia che questo è utile, che sotto tutto questo c’è un

vuoto che non è assolutamente nulla…2

Antoni Tàpies al lavoro nel suo taller di Barcellona L’artista catalano nel taller di Campins nel 2002

1 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

Antoni Tàpies e José Ángel Valente, Comunicación sobre el muro, op. cit. pp. 17 2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

Antoni Tàpies e José Ángel Valente, Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 20

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Lo scultore basco Eduardo Chillida, nella sua celebre intervista-dialogo con Martín de Ugalde,

precisa come “l’artista non crei nulla” perché a suo avviso la creazione è prerogativa di Dio.

L’artista, nell’opinione del donostiarra, non può far altro se non “manipolare” cose ed elementi già

creati dalla forza divina con il risultato di produrre “invenzioni” piuttosto che creazioni.

[...] E. C.: No, no veo cómo el hombre puede ser capaz de crear... El hombre, lo que es capaz, sí,

es de utilizar, de manipolar, de ordenar, de desordenar, según su voluntad, y quizá en un cierto sentido a

esto se le podría llamar creación, pero yo creo que la palabra “creación” es demasiado gorda para el

hombre. Y me estoy refiriendo ahora a su arte, al arte de que es capaz el hombre. Yo concibo la Creación

sólo a nivel de Díos. […] …yo me siento un simple manipulador, un ordenador, alguien que va

ordenando algunas cosas...

[…] E. C.: Acaso podríamos usar la palabra “inventar” en lugar de “crear”.

[...] E. C.: No, non vedo come l’uomo possa essere capace di creare… L’uomo, quello di cui è

capace fare, si, è utilizzare, manipolare, ordinare, disordinare, secondo la sua volontà, e forse in un certo

senso questo lo si potrebbe chiamare creazione, ma io credo che la parola “creazione” è troppo grassa

per l’uomo. E mi sto riferendo adesso alla sua arte, all’arte della quale è capace l’uomo. Io concepisco

la Creazione solo a livello di Dio. […] …io mi sento un semplice manipolatore, un ordinatore, uno che

ordina delle cose…

[…] E. C.: Forse potremmo usare la parola “inventare” al posto di “creare”.1

In alcuni dei suoi scritti aforistici Chillida descrive poi la sua condizione nel momento in cui

“inventa” un’opera artistica. Nel far ciò, egli evidenzia una piena consonanza con quanto affermato

da Valente e Tàpies.

Alla stregua di questi due artisti, lo scultore di San Sebastián pare vincolare qualsiasi forma di

“invenzione” e, nel caso specifico, le sue realizzazioni scultorico-architettoniche al raggiungimento

dell’assoluta concentrazione. Anche per Chillida è necessario che l’opera abbia origine nel

momento in cui la mente dell’artista è in preda al caso, ovvero negli istanti in cui è precluso il

manifestarsi di una benché minima parvenza di ragione, razionalità o raziocinio.

Yo no entiendo casi nada y me muevo torpemente, pero el espacio es hermoso, silencioso, perfecto.

Yo no entiendo casi nada, pero comparto el azul, el amarillo y el viento.2

¿No será el paso decisivo para un artista el estar con frecuencia desorientado?

Io non capisco quasi nulla e mi muovo in modo maldestro, ma lo spazio è bello, silenzioso, perfetto.

Io non capisco quasi nulla, ma condivido l’azzurro, il giallo e il vento.

Non sarà il passo decisivo per l’artista l’essere frequentemente disorientato? 3

La genesi dell’opera d’arte, come ha modo di spiegare Chillida in un altro aforisma, si configura

alla pari di un viaggio verso l’abisso. Si tratta di un percorso nel buio durante il quale l’artista

1 DE UGALDE, MARTÍN, Hablando con Chillida: vida y obra, período 1924-1975, San Sebastián, Txertoa,

20074, op. cit., pp. 47-48

2 CHILLIDA, EDUARDO, “Preguntas” in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 104

3 CHILLIDA, EDUARDO, “Preguntas” in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 101

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brancola alla ricerca della giusta “direzione” e dell’appropriata “messa a fuoco” delle immagini che

progressivamente gli si materializzano davanti.

Cuando empiezo una obra casi no veo adónde me dirijo. No veo sino cierta figura de espacio de la

que, poco a poco, se destacan algunas líneas de fuerza. La forma al principio es casi como un aroma

indefinido que se impone a medida que va precisándose...

Quando inizio un’opera quasi non vedo dove mi dirigo. Non vedo tranne certa figura dello spazio

dalla quale, a poco a poco, risaltano alcune linee di forza. La forma in principio è quasi come un aroma

indefinito che si impone man mano che si definisce…1

Eduardo Chillida nel suo studio di Hernani nel 1960 L’artista basco mentre illustra un libro

6 Fare artistico

Riguardo alla cosiddetta divina sabiduría,2 ossia la saggezza intesa come abilità nel saper fare le

cose sfruttando la propria bravura e perizia manuale, Valente, Tàpies e Chillida le attribuiscono il

massimo rilievo nelle loro realizzazioni.

In Chillida o la transparencia Valente esamina il valore di volta in volta assunto dalle mani

realizzate dall’amico donostiarra nei suoi disegni, nelle opere grafiche e nelle sculture. Esse sono

autocelebrazioni della creatività manuale dell’artista di San Sebastián, della sua grande sapienza

artigianale.

Lo studio delle mani interessa profondamente Chillida in quanto esse, con il loro aprirsi e

chiudersi, formano continuamente concavità che sottendono il vacío.

[...] Las manos son un símbolo absoluto de la creación. Dios, en el Génesis, levanta... del barro

humedecido la forma humana. Ése es el sólo acto creador. Lo que viene después es la multiplicación.

Este acto divino de escultor-alfarero determina toda una forma de entender la creación. Yo sentí

toda la fuerza creadora en esas manos –como sin duda y con más poder la ha sentido Eduardo Chillida,

gran plasmador de la concavidad en el poema XXVI de El fulgor (1983):

Con las manos se forman las palabras,

con las manos y en su concavidad

se forman corporales las palabras

que no podíamos decir.

1 CHILLIDA, EDUARDO, “Yo soy un fuera de la ley” in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 77

2 TÀPIES, ANTONI; VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Conversación entre Antoni Tàpies y José Ángel Valente” in

Antoni Tàpies e José Ángel Valente, op. cit., passim

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55

[...] Le mani sono un simbolo assoluto della creazione. Dio, nel libro della Genesi, alza…

dall’argilla umida la forma umana. Questo è il solo atto creatore. Quello che viene dopo è la

moltiplicazione.

Questo atto divino di scultore-vasaio determina tutta una forma di intendere la creazione. Io sentii

tutta la forza creatrice in queste mani – come senza dubbio e con più potere l’ha sentita Eduardo Chillida,

grande plasmatore della concavità nella poesia XXVI di El fulgor (1983):

Con le mani si formano le parole,

con le mani e nella loro concavità

si formano corporali le parole

che non potevamo dire. 1

E. Chillida, Mano, 1979, puntasecca E. Chillida, Mano, 1995, E. Chillida, Rilievo mano, 1965, pietra pomice,

su rame, 40 x 30 cm disegno su carta, Museo Centro d’Arte “Artium”,

collezione privata collezione privata Vitoria-Gasteiz

Alcuni scritti di Valente, fra i quali El cántaro, sono equiparabili a veri e propri tentativi di

riprodurre in poesia la perizia e la “divina sapienza” degli artisti plastici e degli artigiani. L’operato

svolto dal poeta galiziano sull’anfora è del tutto simile a quello compiuto da uno scultore quale

Chillida o un pittore “materico” come Tàpies alle prese con la modellatura di un’opera. El cántaro

ci sembra difatti personificare l’agire di quanti modellano l’argilla o altri materiali la cui lavorazione

presuppone un alto livello di perizia tecnica.

El cántaro

El cántaro que tiene la suprema

realidad de la forma,

creado de la tierra

para que el ojo pueda

contemplar la frescura.

El cántaro que existe conteniendo,

hueco de contener se quebraría

inánime. Su forma

existe sólo así,

sonora y respirada.

El hondo cántaro

de clara curvatura,

bella y servil:

el cántaro y el canto1

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Chillida o la transparencia” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op.

cit., p. 590

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56

Mano e parola possiedono entrambe la facoltà di dare forma, di plasmare le cose. Il significato

della parola non è differente da quello della sua materialità, ma anzi si trova racchiuso in essa.2

Eduardo Chillida, Mano G-7, 1984, Eduardo Chillida, La casa del poeta II, 1980

terracotta, Amburgo ferro, Museo di Belle Arti di Bilbao

Chillida sembra attribuire grande rilievo al sapere artigianale soprattutto a seguito del suo ritorno

nella regione basca dopo il completamento della sua formazione artistica avvenuto a Parigi. 3 Nella

terra natia lo scultore riassapora il piacere della lavorazione manuale di “elementi tipici” del fare

della sua gente quali il ferro ed il fuoco.4

[...] Al volver a su país, Chillida regresó a la antiguedad de su pueblo y a los elementos que son el

emblema del carácter vasco: el fuego y el hierro.

[...] La herrería es una actividad corporal: la meditación entre el martillo, el yunque y el hierro se

realiza a través del cuerpo del herrero. El trabajo es rítmico y ese ritmo es muscular: el martillo es la

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Poemas a Lázaro” in José Ángel Valente, Obras Completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 134 2 LÓPEZ CASTRO, ARMANDO, “Sobre los poemas Poética de José Ángel Valente” in VV. AA., Material

Valente, op. cit., p. 123

Los poemas de El fulgor (1984), que constituyen un texto único, no hacen más que iluminar la

alianza creadora materia-espíritu y revelarnos que lo real reside en lo corpóreo. Es innecesario insistir

sobre la asociación de la cerámica y la caligrafía con la poesía en la escritura de Valente, anterior a su

asociación con la pintura o la música. [...]

Del complejo simbolismo de la mano, lo que aquí domina en su significación generadora. La

mano y la palabra tienen el poder de dar forma, de manifestar lo real. No olvidemos que manifestación

tiene la misma raíz que mano. Y así como la mano acoge lo real, el significado de una palabra no es

distinto a su materialidad. Hay un sentido en que la palabra misma es material, un cuerpo, un significante

encarnado, y esa materialidad es anterior a toda significación.

3

LLODRÀ, JOAN MIQUEL, “La forma y la luz” in Joan Miquel Llodrà, Grandes génios del arte

contemporáneo. El siglo XX. Eduardo Chillida, op. cit., pp. 8-9 4 GIEDION-WELCKER, CAROLA, “La poesía del espacio de Eduardo Chillida” in Joan Miquel Llodrà, Grandes

génios del arte contemporáneo. El siglo XX. Eduardo Chillida, op. cit., pp. 154-155

[Parlando delle opere in ferro] El artista trabaja él mismo su propio material, lo modela

personalmente y lo sigue en todos los estadios de su transformación, tanto física como química: se podría

hablar de un verdadero “via crucis” del hierro. El resultado es un conocimiento profundo del “carácter

íntimo” de este material y de sus posibilidades de expresión, superior al que se deriva del “montaje” de

elementos ya elaborados. El fuego al que el hierro es sometido, el martillazo que recibe sobre el yunque, la

torsión que le inflige la tenaza son para Chillida estigmas impresos de manera imborrable en él. Así, la

creación artística está profundamente ligada al artesanado.

Page 57: José Angel Valente, il poeta e le arti

57

prolongación del brazo del herrero, su mano ciclópea; con esa mano el artista golpea, hiere, modela,

acaricia, pule y magnetiza al hierro hasta convertirlo en una forma sensible y animada.

[…] Ritornando nella sua regione, Chillida fece ritorno all’antichità del suo popolo e agli elementi

che sono emblema del carattere basco: il fuoco e il ferro.

[…] Il mestiere del fabbro è un’attività corporale: la meditazione tra il martello, l’incudine e il

ferro si realizza attraverso il corpo del fabbro. Il lavoro è ritmico e questo ritmo è muscolare: il martello

è il prolungamento del braccio del fabbro, la sua mano ciclopica; con questa mano l’artista colpisce,

ferisce, modella, accarezza, leviga e magnetizza il ferro fino a convertirlo in una forma sensibile e

animata.1

Eduardo Chillida mentre lavora Eduardo Chillida nel suo taller con gli

una scultura di ferro nel 1973 aiutanti Fernando, Joaquín e Marcial, 1990

Un principio che molti artisti contemporanei, in primo luogo i minimalisti2

, ritengono

indispensabile nell’ottimizzazione della divina sabiduría artistica è quello dell’”economicità”. Si

tratta di una connaturata inclinazione alla sintesi dei significati e delle forme, alla loro decisa

semplificazione. Questo concetto è fortemente presente in molte delle composizioni valentiane.

Il silenzio stesso, che abbiamo dichiarato essere intrinseco a molte opere di Valente, è da

considerarsi manifestazione di questo principio, ovvero “ritrazione” su se stesso del linguaggio

poetico.

[...] ...“lugar de la extrema interioridad”, “lugar, estancia, morada, habitación donde el estar y el

ser se unifican”, “concavidad, matriz, territorio extremo” que “cuando llega realmente al precipicio

donde se hace imposible decir, limita con el no-lugar”. [...] En Cinco Fragmentos para Antoni Tàpies, de

Material Memoria escribe: “Crear es generar un estado de disponibilidad, en el que la primera cosa

creada es el vacío, un espacio vacío”. Un espacio de silencio “Porque el poema tiende por naturaleza al

silencio. O lo contiene como materia natural. Poética: arte de la composición del silencio”. En ese

silencio, en lo no descifrable, encuentra la palabra su lecho verdadero: “Flotar en la incierta realidad

del ser, tentar a ciegas lo improbable, no tener asidero en tanta sombra. Los cuerpos de los ahogados en

la mar meditan boca abajo, pero no ven el fondo con los ojos vacíos. [...] También argumentará en

muchas ocasiones esa aspiración al silencio como la cumbre de la expresión poética: “La poesía es un

arte de la retracción del lenguaje, no de su expansión”.

1 PAZ, OCTAVIO, “Chillida: del hierro al reflejo” in Octavio Paz, op. cit., pp. 145-146

2 AA. VV., “Minimalismo e Land Art” in AA. VV., Storia dell’arte italiana, a c. di Carlo Bertelli, Giuliano

Briganti e Antonio Giuliano, Milano, Electa/Mondadori, 1992, pp. 574-575

Page 58: José Angel Valente, il poeta e le arti

58

[…] ...“luogo dell’estrema interiorità”, “luogo, soggiorno, dimora, stanza dove lo stare e l’essere

si unificano”, “concavità, matrice, territorio estremo” che “quando arriva realmente il precipizio dove si

fa impossibile il dire, confina con il non-luogo”. […] In Cinco fragmentos para Antoni Tàpies, di

Material Memoria scrive: “Creare è generare uno stato di disponibilità, nel quale la prima cosa creata è

il vuoto, uno spazio vuoto”. Uno spazio di silenzio. “Perché la poesia tende per natura al silenzio. O lo

contiene come materia naturale. Poetica: arte della composizione del silenzio”. In questo silenzio, nel

non decifrabile, la parola trova il suo letto vero: “Fluttuare nell’incerta realtà dell’essere, tentare alla

cieca l’improbabile, non avere appoggio in tanta ombra. I corpi degli affogati in mare meditano a bocca

in giù, ma non vedono il fondo con gli occhi vuoti. […] Aumenterà anche in molte occasioni

quest’aspirazione al silenzio quale culmine dell’espressione poetica: “La poesia è un’arte della

ritrazione del linguaggio, non della sua espansione”.1

Il poeta di Orense sostiene che anche l’amico catalano Tàpies considera la padronanza

dell’esercizio di ritrazione o “economizzazione” uno dei principi artistici da seguire. Realizzare

un’opera d’arte per entrambi non comporta un atto di potere, ossia di volontà, ma bensì

un’accettazione della realizzazione così come si materializza o, per meglio dire, “si rivela” in

principio all’osservatore.

Quizá el supremo, el solo ejercicio radical del arte sea un ejercicio de retracción. Crear no es un

acto de poder (poder y creación se niegan); es un acto de aceptación o reconocimiento.

Forse il supremo, il solo esercizio radicale dell’arte è un esercizio di ritrazione. Creare non è un

atto di potere (potere e creazione si negano); è un atto di accettazione o di riconoscimento. 2

Lo stato in cui avviene la creazione artistica, il succitato wu-wei della pratica del Tao, altro non è

se non un’estrema riduzione dei pensieri da parte dell’artista. L’”economizzazione” del pensiero fa

si che gli enti presenti in natura si rendano concreti e si plasmino in modo del tutto spontaneo.3 Ecco

dunque il motivo per cui, come afferma Jacques Ancet, nelle poesie valentiane le singole parole non

devono “muoversi” e qualora ciò sia loro indispensabile, lo devono fare rispondendo al principio di

“economia”.

Todo poder estatuye acerca del sentido, sentido que es siempre único, que apunta en una sola

dirección. No debe moverse nada, y sobre todo las palabras. O, en el caso de que lo hagan, que se dirijan

obligadamente hacia la reducción, la amputación.

Ogni potere si stabilisce con riferimento al significato, significato che è sempre unico, che è

rivolta ad una sola direzione. Non deve muoversi nulla, e soprattutto le parole. O, nel caso che lo

facciano, devono dirigersi obbligatoriamente verso la riduzione, l’amputazione.4

1 IGLESIAS SERNA, AMALIA, “Prólogo. José Ángel Valente. La última poética” in José Ángel Valente,

Palabra y materia, op. cit., pp. 15-16 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Tàpies Antoni e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 33 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 34 4 ANCET, JACQUES, “Introducción” in José Ángel Valente, Entrada en materia, op. cit., p. 25

Page 59: José Angel Valente, il poeta e le arti

59

In tal senso, la messa in atto di tale massima economicistica può essere simboleggiata dal titolo

stesso di una delle raccolte poetiche realizzate da Valente: El fulgor. Il fulgore rappresenta infatti

perfettamente l’idea di concisione che soprassiede a molte delle poesie del gallego.

Antoni Tàpies ed Eduardo Chillida discutono J. Á. Valente, Il fulgore, copertina dell’edizione

davanti ad un ritratto di Miró in castigliano arrecante una riproduzione del disegno

presso la Fondazione “Joan Miró” di Barcellona Calligrafia vermiglia di Antoni Tàpies

Secondo quanto asserisce Chillida in un suo scritto aforistico, gli artisti devono far ricorso a tutta

la loro sapienza al fine di ridurre al minimo il numero di strumenti da utilizzare nella realizzazione

delle loro opere. Per lo scultore donostiarra, fortemente influenzato dal taoismo, il lavoro vero e

proprio dell’artista ha inizio con l’eliminazione dei particolari e di tutti quegli elementi che possono

essere stimati superflui in una creazione. Tale modo di procedere ha come fine ultimo quello di

lasciar trasparire la reale essenza della realizzazione stessa.

Considero que hay que hacer las cosas lo más económicamente posible. Económicamente en un

sentido conceptual, aquello que se hace con menos medios, con menos elementos. Yo llegué a la

conclusión, hay diálogo. También hay tres cosas que las ves, las sientes, las intuyes, las haces, y es

evidente que es uno de los datos en que se justifica lo que pienso de la economía de mi obra, que yo creo

que es una realidad. Yo no creo que se mejoren las cosas añadiendo sino quitando, quitando al máximo,

que quede lo mínimo posible para que se manifieste...

Considero che si devono fare le cose più economicamente possibile. Economicamente nel senso

concettuale, quello che si fa con meno mezzi, con meno elementi. Io arrivai alla conclusione, c’è dialogo.

Ci sono anche tre cose che le vedi, le senti, le intuisci, le fai, ed è evidente che è uno dei dati nei quali si

giustifica quello che penso dell’economia della mia opera, che io credo sia una realtà. Io non credo che

si migliorino le cose aggiungendo ma togliendo, togliendo al massimo, che rimanga il minimo possibile

affinché si manifesti… 1

Siffatta visione della creazione artistica da parte dell’artista basco ci sembra in stretto rapporto

con quanto enunciato da Michelangelo Buonarroti riguardo all’arte scultorea. Il toscano considera

difatti “scultura quella che si fa per forza di levare”.2

1 CHILLIDA, EDUARDO, “Miradas”, in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 88

2 AA. VV., “Michelangelo e la scultura” in AA. VV., Michelangelo: vita d’artista, a c. di Enrica Crispino,

Firenze, Giunti Editore, 2001, p. 46

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Il concetto di “economicità” propugnato da Chillida è inoltre intimamente connesso al suo forte

interesse per l’architettura e l’applicazione di un principio artistico, quello dell’addizione negativa

di Kandinsky, assurto a caposaldo di gran parte dell’arte contemporanea e osservato, secondo

Valente, dallo stesso Tàpies.1

Elogio del horizonte

Si algo tiene en común Eduardo Chillida con el gran arquitecto alemán Mies Van der Rohe es el

lema que hizo a éste famoso: menos es más. Y el aguafuerte titulado Elogio del horizonte así lo deja

patente. Así como el espacio o el vacío son algo indispensable en su escultura, el papel en blanco lo es en

su grabado, como puede verse en éste. Menos de un tercio de la superficie de este grabado está ocupada

por la parte estampada, el resto es dominio absoluto del blanco. Esta parte predominante se puede

interpretar como el mar o la tierra, en cuyo límite, en su horizonte, se alza una estructura, quién sabe si

una escultura. El resto del grabado, la parte estampada, quizá aluda al firmamento, de día o de noche, en

el que se recorta la silueta de esta estructura, como su título indica. El mismo año en que realizó este

grabado inauguró una escultura con el mismo título, una de sus creaciones más impresionantes, de diez

metros de altura, quince de largo y doce de ancho. Este Elogio del horizonte, como la estructura que

aparece en el grabado, domina el litoral de la ciudad asturiana de Gijón desde una atalaya natural,

llamada cerro de Santa Catalina.

Elogio dell’orizzonte

Se Eduardo Chillida ha qualcosa in comune con il grande architetto tedesco Mies Van der Rohe è

il motto che rese quest’ultimo famoso: meno è di più. E l’acquaforte intitolato Elogio dell’orizzonte lo

rende così palese. Così come lo spazio o il vuoto sono qualcosa di indispensabile nella sua scultura,

altrettanto lo è il foglio bianco nelle sue incisioni, come si può vedere in questa. Meno di un terzo della

superficie di quest’incisione è occupata dalla parte stampata, il resto è dominio assoluto del bianco.

Questa parte predominante si può interpretare come il mare o la terra, nel cui limite, nel suo orizzonte, si

eleva una struttura, forse una scultura. Il resto dell’incisione, la parte stampata, forse allude al

firmamento, di giorno o di notte, nel quale si delinea la silhouette di questa struttura, come indica il suo

titolo. Lo stesso anno in cui realizzò quest’incisione inaugurò una scultura con lo stesso titolo, una delle

sue creazioni più impressionanti, di dieci metri d’altezza, quindici di lunghezza e dodici di ampiezza.

In una lettera al celebre filologo e storico fiorentino Benedetto Varchi, Michelangelo scriveva:

“Io intendo scultura quella che si fa per forza di levare”.

CARADENTE, GIOVANNI, “La búsqueda de nuevos materiales” in David Finn e Giovanni Caradente, Eduardo

Chillida, Barcelona, Polígrafa, 2003, p. 6

[...] Fue la secular técnica miguelangelesca de extraer, la dura técnica del cincel, necesaria tanto

para el alabastro como para todo otro material lapídeo.

Esta técnica permitía abrir en la masa compacta profundos surcos, complejos cursos de ida y

vuelta, galerías a menudo secretas y catacumbales. Trabajando así, Chillida desarrolló en su mente la idea

de realizar en la profundidad de la tierra esculturas que fueran como abismos misteriosos, incontrolados.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 34

[...] Y la materia para el artista no se sitúa nunca en lo exterior. Ocupa el espacio vacío de lo

interior, el espacio generado por retracción, por no interferencia, donde 2-1 suele ser mayor que 2+1,

según la ley de la adición negativa que Kandinsky, tán próximo, formuló.

Page 61: José Angel Valente, il poeta e le arti

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Questo Elogio dell’orizzonte, come la struttura che appare nell’incisione, domina il litorale della città

asturiana di Gijón dal suo belvedere naturale, chiamato colle di Santa Caterina.1

Eduardo Chillida, Elogio dell’orizzonte, 1990 Eduardo Chillida, Elogio dell’orizzonte, 1990,

cemento armato, Colle di Santa Caterina, 23,5 x 21,5 cm, acquaforte, collezione privata

Gijón, Asturie

Il fare artistico si esplicita per Valente, Tàpies, Saura e Chillida anche nel continuo rapporto con

il corpo. Questa relazione può assumere varie forme: ad esempio, la parola “materiale” o corporale

valentiana, gli oggetti o forme “incorporati” nei muros del pittore barcellonese, i corpi umani

deformati tipicamente sauriani, oppure i cuerpos-espacio del basco.

Molte delle poesie di Valente ruotano attorno alla descrizione di corpi o masse corporee. Le

parole stesse, come abbiamo visto nella poesia El cántaro, possono divenire corporali ed essere

unite, deformate o frammentate in tante parti oppure dissolte nel vuoto.

Se tú mi límite

Tu cuerpo puede

llenar mi vida,

como puede tu risa

volar el muro opaco de la tristeza.

[...] Pero tú ignoras cuánto

la cercanía de tu cuerpo

me hace vivir o cuánto

su distancia me aleja de mí mismo,

me reduce a la sombra. [...]2

En muchos tiempos

En muchos tiempos

tu cabeza clara.

1

LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “Las obras maestras” in Joan Miquel Llodrá, Grandes Genios del arte

contemporáneo: El siglo XX: Chillida, op. cit., p. 108 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La memoria y los signos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op. cit., pp. 183-186

Page 62: José Angel Valente, il poeta e le arti

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En muchas luces

tu cintura tibia.

En muchos siempres

tu respuesta súbita.

Tu cuerpo se prolonga sumergido

hasta esta noche seca,

hasta esta sombra.1

Material Memoria, I

Entró en el tacto,

subió hasta el paladar,

estableció su reino

en la saliva última

donde los limos del amor reposan.

Material memoria, II

Un torso de mujer desnudo en el espejo

como fragmento de un desconocido amor.

y ahora quién podría

descifrar este signo,

reconstruir lo nunca ya después vivido,

Reanimar, exámine, el adiós.2

Eduardo Chillida, Torso, 1948, bronzo, Monte Urgull, San Sebastián

El deseo era un punto inmóvil

Los cuerpos se quedaban del lado solitario del amor

Como si uno a otro se negasen sin negar el deseo

Y en esa negación un nudo más fuerte que ellos mismos

Indefinidamente los uniera.

¿Qué sabían los ojos y las manos,

qué sabía la piel, qué retenía un cuerpo

de la respiración del otro, quién hacía nacer

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Breve son” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op cit., p.

250 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Interior con figuras” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op

cit., pp. 347-348

Page 63: José Angel Valente, il poeta e le arti

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aquella lenta luz inmóvil

como única forma del deseo?1

NO AMANECE EL CANTOR

EL CUERPO del amor se vuelve transparente, usado como fuera por las manos. Tiene

capas de tiempo y húmedos, demorados depósitos de luz. Su espejo es la memoria

donde ardía. Venir a tí, cuerpo, mi cuerpo, donde mi cuerpo está dormido en todas tus

salivas. En esta noche, cuerpo, iluminada hacia el centro de ti, no busca el alba, no

amanece el cantor. [...]2

Nelle poesie succitate il corpo o le parti del corpo umano ai quali si allude sono femminili. La

donna è il principale oggetto del desiderio valentiano: la volontà è quella di raggiungere tale corpo,

di congiungersi ad esso, di non lasciarlo sfuggire.

Nei cosiddetti “muri” di Antoni Tàpies spesso si trovano inglobati dei corpi: essi sembrano

“affossare” sotto una colata di materia, dietro ad una “parete plastica” che li ricopre. Il pittore

desidera nascondere o “imbalsamare” questi corpi, preservandoli dalle “intemperie” del tempo

dietro una coltre di materia vischiosa, simile all’ambra che “riveste” i fossili.

[…] le colate di calce, di intonaco, di materia comunque coprente sfuggono di mano, danno luogo

a escrescenze talvolta incontrollate, ovvero il cadavere sottostante rivela malgrado tutto qualche traccia

residua della propria presenza, che non è possibile eliminare del tutto.3

[…] I poveri oggetti che accompagnano un’esistenza… possono essere il corredo di un essere

ammalato, portatore di peste, e dunque anche contro di essi bisogna prendere quei provvedimenti

radicali di disinfezione che ben conosciamo… assistendo con piacere al loro affondare lento ma

implacabile, come se fossero divorati da uno strato di sabbia mobile.4

Tuttavia, quello dell’artista catalano potrebbe essere interpretato come desiderio, anziché di

nascondere, di riportare alla luce dei corpi. Si tratterebbe in questo caso di masse provenienti da una

profondità abissale, inghiottite nelle viscere della materia stessa. La vischiosità della materia

“muraria” che avvinghia i corpi simboleggerebbe quindi l’emersione di questi dall’interiorità più

remota.

[Parlando della “cancellazione” dei corpi] […]… se, invece che da un’intento di cancellazione, di

rimozione nei confronti di presenze psichiche non gradite, esso fosse spinto da un fine contrario, di

riportarle alla luce? [...]

[…] Ma nel complesso sembra prevalere un intento di cancellazione, di azzeramento…5

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Interior con figuras” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op

cit., p. 356 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “No amanece el cantor” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op cit., pp. 240-241 3 BARILLI, RENATO, “La poetica del muro” in Renato Barilli, op. cit., pp. 14-15

4 BARILLI, RENATO, “La poetica del muro” in Renato Barilli, op. cit., p. 23

5 BARILLI, RENATO, “La poetica del muro” in Renato Barilli, op. cit., pp. 15-16

Page 64: José Angel Valente, il poeta e le arti

64

I “muri” stessi del resto sono dei corpi come lo è qualsiasi superficie pittorica: secondo l’artista

infatti ogni elemento materico è corpo in sé e per sé e non in quanto rappresentazione o modifica di

altri corpi.

Los muros de Tàpies se comprenden mejor si tenemos en cuenta estos fenómenos. No ha

pretendido representar muros o paredes sobre superficies pictóricas, sino sustituir esas superficies por

muros o paredes. Tàpies no deposita un color sobre la materia, sino que el color es el de la materia que

hace su obra...

I muri di Tàpies si comprendono meglio tenendo in considerazione questi fenomeni. Non ha preteso

rappresentare muri o pareti su superfici pittoriche, ma sostituire queste superfici attraverso muri o pareti.

Tàpies non deposita un colore sulla materia, piuttosto il colore è quello della materia che fa la sua

opera…1

El cuerpo no es una cosa, aunque como cosa pueda percibirse: somos el cuerpo. No tenemos el

cuerpo como quien tiene algo, como la ropa que vestimos, la cartera que llevamos, la pluma que

sujetamos. Somos el cuerpo, no podemos separarlo de nosotros ni separarnos de él. Podemos

desdoblarnos en una alucinación, pero ese desdoblamiento lo comprenderemos y lo viviremos como una

alucinación, una situación patológica, excepcional y extrema. Podemos contemplar el cuerpo como si de

una cosa se tratara, cosificarlo, alienarlo, pero pronto suscitará el nuestro esa simpatía propiciada por

la misma naturaleza y caeremos en la cuenta de que esa es una materia tendenciosa, incluso inmoral, de

contemplar al otro. El cuerpo no es una cosa exterior, es la posibilidad misma de que exista el exterior.

Il corpo non è una cosa, anche se si può percepire come cosa: siamo il corpo. Non abbiamo il

corpo come chi possegga qualcosa, come il vestito che indossiamo, la cartella che portiamo, la piuma

che afferriamo. Siamo il corpo, non possiamo separarlo da noi né separarci da lui. Possiamo sdoppiarci

in un’allucinazione, ma questo sdoppiamento lo comprenderemo e lo vivremo come un’allucinazione, una

situazione patologica, eccezionale ed estrema. Possiamo contemplare il corpo come se si trattasse di una

cosa, cosificarlo, alienarlo, ma subito il nostro susciterà questa simpatia propiziata dalla natura stessa e

cadremo nel tranello di considerare che questa è una materia tendenziosa, persino immorale, di

contemplare l’altro. Il corpo non è una cosa esteriore, è la possibilità stessa che esista l’esteriore. 2

Antoni Tàpies, Materia grigia Antoni Tàpies, Corpo di materia Antoni Tàpies, Materia a forma di

a forma di cappello, 1966, e macchie arancioni, 1968, piede, 1965, procedimento misto

tecnica mista su legno, 130x 162, tecnica mista su tela, 162 x 130 cm, su tela, 130 x 162 cm, Fondazione

collezione privata collezione privata, Barcellona “Antoni Tàpies”, Barcellona

1 BOZAL, VALERIANO, “Tàpies, muro, tiempo y cuerpo” in VV. AA., Tàpies, Madrid, Tf. Editores, 2004, p.

26; trad. in italiano a c. di Giulio Bartolini 2 BOZAL, VALERIANO, “Tàpies, muro, tiempo y cuerpo” in VV. AA., Tàpies, op. cit., ibd.

Page 65: José Angel Valente, il poeta e le arti

65

Antoni Tàpies, Nudo, 1966, Antoni Tàpies davanti alla sua opera Antoni Tàpies, Torso, 1985, tecnica

collezione privata Mano forata nella Galleria “Soledad mista su legno, 97 x 130 cm,

Lorenzo” di Madrid nel 2006 collezione privata dell’artista

Antoni Tàpies, Piede, 1983, litografia, 37 x 48 cm, Antoni Tàpies, Materia a forma d’ascella, 1968,

collezione privata tecnica mista su tela, 65,5 x 100,5 cm, collezione privata

Il corpo, la sua mutazione e frammentazione sono fondamentali pure nella gran parte delle opere

di Antonio Saura. Abbiamo già mostrato come la corporeità sia indispensabile a “riempire” lo

spazio vuoto delle tele o dei fogli su cui si materializzano molte delle opere dell’artista di Huesca.

Nondimeno, i corpi rappresentati dall’aragonés sia in Multitudes, Cocktail-Party, Constelaciones

che in altre serie sono sempre deformi, trasformati, sfigurati o frammentati. Questi procedimenti di

stravolgimento delle singole entità corporee, come dichiara il pittore a Julián Ríos, sono iniziati

negli anni ’40 quando Antonio, stimolato dal fratello Carlos, già si dilettava nel creare fotografie

artificiali e rayogrammi.

A. S.: ... se me ocurrió la idea de fabricar fotografías artificiales. Es decir, de crear monstruos

a través de la nada, a partir de un material no fotográfico, efímero, que se destruía automáticamente. Esa

era la idea ¿no? Entonces trataba de fijar una serie de flashes, de esa evolución, de esa materia viscosa,

de ese líquido, conducido por supuesto por la mano.

A. S.: ...mi prese l’idea di creare fotografie artificiali. Cioè, di creare mostri attraverso il nulla, a

partire da un materiale non fotografico, effimero, che si distruggeva automaticamente. Questa era l’idea,

no? Allora cercavo di fissare una serie di flash, di questa evoluzione, di questa materia viscosa, di questo

liquido, condotto naturalmente dalla mano.1

1 RÍOS, JULIÁN, “Rayogramas” in Julián Ríos, Las tentaciones de Antonio Saura, op. cit. pp. 31-32

Page 66: José Angel Valente, il poeta e le arti

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Antonio Saura, Rayogramma, 1949, fotografia Antonio Saura, Costellazione, 1949, rayogramma

Questo compiacimento nella deturpazione dei corpi continuerà lungo tutto l’arco della carriera

del pittore il quale diventerà celebre proprio per i suoi innumerevoli monstruos, ossia le sue

raffigurazioni di corpi che abbiamo già detto essere sfregiati, smembrati, frammentati in modo

apparentemente violento ed improvviso secondo le tecniche di raffigurazione più disparate.

Antonio Saura, Moi, tavola 17, Antonio Saura, Ritratto Antonio Saura, San Juan de la Cruz,

1976, serigrafia a colori, immaginario di Filippo II, 1966, 1964, 42,2 x 28,8 cm, litografia a colori

90,7 x 72,5 cm, collezione olio su tela, Galleria “Van de Loo”, collezione privata, Madrid

privata, Barcellona Monaco di Baviera

Antonio Saura, Constance nel suo divano, 1967, Antonio Saura, Nong nel suo divano, 1985

olio su tela, 162 x 130 cm, Museo Internazionale d’Arte 245 x 195 cm, olio su tela, collezione privata

Contemporanea “Rufíno Coello”, Messico

Il corpo del quale il pittore aragonese predilige la deturpazione è, parimenti a Valente e Tàpies,

quello umano. Nella fattispecie, Saura realizza sin dai primi anni ’50 e lungo tutto il corso della sua

Page 67: José Angel Valente, il poeta e le arti

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attività artistica una vasta serie di crocifissioni. In esse il corpo di Cristo crocifisso diviene quello di

un uomo qualunque sottoposto ad un’assurda violenza ed un lancinante dolore.

[...] La crucifixión es una figura, la representación de una crueldad terrible convertida en

abstracción. “En la imagen de un crucificado, escribía Saura, tal vez he reflejado mi situación “de

hombre sin recursos”” en un universo amenazador, frente al que queda la posibilidad de un grito. Y del

otro lado del espejo, “solamente me sobrecoge la tragedia de un hombre (de un hombre y no de un dios)

absurdamente clavado en una cruz.”

[...] La crocifissione è una figura, la rappresentazione di una crudeltà teribile convertita in

astrazione: “Nell’immagine del crocifisso, scriveva Saura, forse ho riflesso la mia situazione “di uomo

senza risorse” in un universo minaccioso, di fronte al quale manca la possibilità di un grido. E dall’altro

lato dello specchio, “mi spaventa soltanto la tragedia di un uomo (di un uomo e non di un dio)

assurdamente inchiodato ad una croce.”1

La riflessione sul dolore provato dal corpo umano crocifisso impersona la più generale

meditazione dell’artista sulla miseria e l’atrocità che scandiscono l’esistenza umana, pensiero che è

ravvisabile pure, come vedremo nel prosieguo di questo testo, in alcune poesie di Valente.

Antonio Saura, Crocifissione, Antonio Saura, Crocifissione, Antonio Saura, Crocifissione, 1960,

1956, flo-master su carta, 1959, china su carta, serigrafia a colori, 26,2 cm x 49,5 cm,

31,4 x 21,8 cm, 69,9 x 50,3 cm, collezione privata

collezione privata collezione privata

Antonio Saura, Crocifissione, 1974, Antonio Saura, Crocifissione, 1980, Antonio Saura, Crocifissione, 1996,

tecnica mista su carta, 32 x 24,4 cm, tecnica mista su cartolina, tecnica mista su carta,

collezione privata 19,4 x 10,4 cm, Successione “Antonio Saura”

collezione privata

1 GUIGON, EMMANUEL, “Los procesos imaginarios de Antonio Saura” in Antonio Saura, Crucifixiones, op.

cit., p. 41

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Oltre al deturpamento del corpo del crocifisso il pittore di Huesca mostra di avere un particolare

desiderio verso la deformazione di quello femminile. Tale bramosia si manifesta in Damas, Damas

en technicolor, nonché nelle serie dedicate a singoli personaggi facenti parte dell’immaginario

collettivo maschile come, ad esempio, Lolita e Brigitte Bardot.

Antonio Saura, Lolita V, 1960 Antonio Saura, Brigitte Bardot, 1962 Antonio Saura, Brigitte Bardot, 1988, olio su tela, 255 x 195 cm, tecnica mista, 210 x 195 cm, tecnica mista e collage su carta, Museo Nazionale Centro d’Arte collezione privata, Madrid 29,3 x 22,1 cm, collezione privata

“Regina Sofia”, Madrid

Antonio Saura, Dama, 1956, china Antonio Saura, Dama, 1966, Antonio Saura, Dama, 1974

su carta, flo-master, collezione tecnica mista su carta impressa, 32,3 x 22,5 cm, collezione privata

privata collezione privata

Queste rappresentazioni deformate dell’uomo, nella fattispecie del corpo femminile, assieme ai

Desnudos e alle innumerevoli creazioni erotiche di Saura, sono indice della sua volontà di liberare la

corporalità dalla morale restrittiva che l’“avvolgeva” e nascondeva nei primi decenni del franchismo.

En nuestro país... el cuerpo estaba presente como aquello que no podía enseñarse, como lo oculto

que debía desaparecer y que, sin embargo, reaparecía torpemente una y otra vez. La mezquinidad

mediocre de una moral represora que invadía todos los ámbitos de la existencia cotidiana había hecho

del cuerpo un tabú. Era difícil percibirlo, imposible contemplarlo y en caso de tener acceso a él, siempre

con una fuerte sensación de culpa... La represión sobre el cuerpo era la represión sobre nosotros mismos,

la más radical que podía ejercerse pues con ella se proscribía la relación con lo otro, la relación con el

mundo.

Page 69: José Angel Valente, il poeta e le arti

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Nel nostro Paese… il corpo era presente come ciò che non si poteva esibire, come qualcosa di

occulto che doveva sparire e che, tuttavia, riappariva goffamente più volte. La meschinità mediocre di

una morale repressiva che invadeva tutti gli ambiti dell’esistenza quotidiana aveva fatto del corpo un

tabù. Era difficile percepirlo, impossibile contemplarlo e in caso di aver accesso ad esso, sempre con una

forte sensazione di colpa… La repressione sul corpo era la repressione su noi stessi, la più radicale che

poteva esercitarsi dato che con questa si proscriveva la relazione con l’altro, la relazione con il mondo. 1

Antonio Saura, Prete I, 1961, china Antonio Saura, Tentazioni di Antonio Saura, Nudo, 1960, tecnica

su carta, 16,7 x 23,9 cm, Galleria Sant’Antonio,1964, tecnica mista su carta, 17 x 23,6 cm,

Boisserée, Colonia mista e collage su carta, Collezione Archivio“Antonio Saura”,

collezione privata Ginevra

A sinistra, Eduardo Chillida, Antonio Saura e Antoni Tàpies a Venezia in occasione della XXIX

Esposizione Biennale Internazionale d’Arte nel 1958. A sinistra, Chillida e Saura nel caffè Florian

La corporalità è fondamentale pure nel fare artistico di Chillida: essa difatti forma assieme alla

spazialità uno dei rapporti duali, se non il dualismo supremo, su cui si basano tutte le invenciones

dell’artista di San Sebastián.2

Come abbiamo detto in precedenza, le opere, soprattutto quelle scultoree, del donostiarra sono

basate sulla relazione che intercorre fra il vuoto e la materia. Lo scultore vuole attraverso le sue

realizzazioni meditare sui limiti di questi due principi che, del resto, sono quelli che rendono

possibile agli uomini la distinzione fra corpi e spazio.

… Chillida ci rende visibile ciò che pure noi -se avessimo la sua lucidità- avremmo visto da

1 BOZAL, VALERIANO, “Temas de Antonio Saura” in Valeriano Bozal, Estudios de arte contemporáneo:

temas del arte español del siglo XX, Madrid, Antonio Machado Libros, 2006, 2 voll., pp. 261-262; trad. in

italiano a c. di Giulio Bartolini 2 PAZ, OCTAVIO, “Chillida: del hierro al reflejo” in Octavio Paz, Obras completas vol. IV. Los privilegios de

la vista, op. cit., p. 143

[Parlando del “mondo” artistico di Chillida] Mundo anterior a la historia y a las fábulas… cuyos

protagonistas no son ni los héroes ni las ideas sino las fuerzas y los elementos. Mundo que se manifiesta en

parejas contradictorias: el hierro y el viento, el papel y el acero, la luz y el granito, la línea y la masa, lo

pleno y lo vacío.

Page 70: José Angel Valente, il poeta e le arti

70

sempre. Ci mostra dei fatti fondamentali della nostra esistenza, isolandoli come temi formali e

articolandoli come forme artistiche. Masse e spazi vuoti –in alto / in basso, davanti / dietro, destra /

sinistra / pesantezza e opacità: questi non sono altro che qualche attributo dell’esistenza corporea.

[…] Avvenimenti formali”: è con questo termine che vorremmo definire quello che

Chillida ci mostra. Esso rappresenta concretamente il contenuto di ogni singola scultura di fronte alla

quale ci troviamo, ma è altrettanto valido in senso più astratto per delle regole che hanno un significato

più generale. La constatazione più elementare è la seguente: questo è un corpo – e questo è lo spazio. Per

uno spirito curioso e irrequieto come quello di Chillida ciò che suona chiaro e preciso diventa complesso

e con diversi modi d’interpretazione. Noi diciamo “spazio” – ma” spazio” non è nulla. Ciò che vediamo

sono i limiti dello spazio formati da superfici e corpi. Ma le sculture di Chillida sono articolate e

composte in tal modo che la loro forma fa vedere “lo spazio” come lo spazio di un angolo o lo spazio

intermediario o lo spazio vuoto, come camera o corridoio o caverna, come luogo o colpo d’occhio o

penetrazione. E tutta la massa del corpo scolpita ci dà la sensazione di uno “spazio ambientale”. Lo

“spazio” lo sentiamo persino come trasparenza: lo sentiamo come l’aria e il vento. A conferma di ciò

possiamo citare il titolo di qualcuna delle sue opere: Pettine del vento ed Elogio dell’aria, Musica tacita o

Modulazione dello spazio ed Elogio del vuoto. In Chillida lo “spazio” si mostra sotto il suo aspetto

migliore –almeno ci pare- quando diventa luogo: Topos o Luogo d’incontro. Con i “tavoli”: Tavola di

Omarkhayyam, Tavola dell’architetto, lo “spazio” acquista persino la forza d’un corpo sotto le placche

di acciaio orizzontali, dato che, simile a un cuscino d’aria, sembra sostenerle.

[…] A ogni buon conto, l’uno non può essere senza l’altro, “spazio” e “corpo” non esistono che

nella misura in cui si definiscono l’uno per rapporto all’altro.1

Eduardo Chillida, Tavola di Omar Khayyam II, 1983, acciaio, Eduardo Chillida, Luogo di incontri III (La

49 x 385 x 166 cm, Museo Nazionale Centro d’Arte sirena arenata), 1972, cemento armato,

“Regina Sofia”, Madrid 205 x 500 x 180 cm, Corso della Castellana,

Madrid

Eduardo Chillida, Elogio dell’aria II, 2000, acciaio, Eduardo Chillida, Modulazione dello spazio I,

Aeroporto di Bilbao 1963, ferro, Tate Gallery, Londra

1 HOHL, REINHOLD, Chillida o la scoperta perenne in AA. VV., Chillida: sculture, collage, disegni, op. cit.,

pp. 10-12

Page 71: José Angel Valente, il poeta e le arti

71

7 Luce

José Ángel Valente condivide il suo interesse verso la luce chiara del Mediterraneo con lo

scultore Eduardo Chillida. Tuttavia, parimenti al poeta galiziano, l’artista basco riconosce come la

luz di sua appartenenza sia quella oscura o negra dell’Atlantico.

Valente mostra di riflettere in profondità su questa tematica in numerose sue raccolte poetiche,1

oltre che in alcuni saggi, fra i quali spicca Mediterráneo: la oscura luz del engendramiento.2

Per Chillida la luce che compete ai baschi così come ai galiziani è, come già asserito

precedentemente, quella dell’Oceano Atlantico.

“De pronto me di cuenta de que áquel no era un lugar. Que la luz blanca de Grecia no era la mía.

[...] Estaba perdido, porque yo soy en un país que tiene una luz oscura. El Atlántico es oscuro, el

Mediterráneo no, su luz es tan diferente [...] la luz negra de dónde yo soy. No sólo yo [...] los vascos, los

bretones, los gallegos, el Sur de Inglaterra e Irlanda tenemos esta luz. Todo ese mar es negro, en cierto

sentido.” Al parecido [Chillida] manifiesta a Andrew Dempsey: “Tuve que encontrar mi propio camino

entrar en una átmosfera que no es tan clara como la de Grecia.”

[Parlando della Grecia] “Subito mi resi conto che quello non era un luogo. Che la luce bianca

della Grecia non era la mia. […] Ero perso, perché io sono di una terra che ha una luce oscura.

L’Atlantico è oscuro, il Mediterraneo no, la sua luce è differente… […] la luce nera dei luoghi dai quali

provengo. Non solo io […] i baschi, i bretoni, i galiziani, il Sud d’Inghilterra e l’Irlanda abbiamo questa

luce. Tutto questo mare è nero, in un certo senso.” A quanto pare egli confida a Andrew Dempsey:

“Dovetti trovare il mio percorso entrare in un’atmosfera che non è così chiara come quella della

Grecia.” 3

Si tratta di una luce negra che riflette l’indole dei popoli che si affacciano su un mare molto

diverso dal Mediterraneo. A detta di Chillida l’illuminazione oceanica influisce in maniera decisiva

sul carattere dei baschi, rendendolo molto più simile a quello dei tedeschi di quanto non lo sia

all’indole delle più vicine popolazioni francesi.

[...] En cambio, nosotros somos hijos de otra luz. Yo no estoy hablando sólo de luz física, porque

aquí también hay días clarísimos. La luz de la que nosotros estamos construidos es más oscura que la del

Mediterráneo. Ellos son más extrovertidos. Yo veo que mi obra es muy bien recibida en Alemania y creo

que eso tiene algo que ver con que mis obras corresponden de alguna manera a nuestra forma de ser

como vascos, y a ellos, a los alemanes, no les resulta demasiado ajeno. Está colocada en una plataforma

que ellos entienden. A mí no me sorprende que mi obra se reciba mejor en Alemania que en Francia, a

pesar de estar más cerca.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Con la luz que reluces” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op cit., pp. 240-241

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cerámica con figuras sobre fondo blanco” in José Ángel Valente, Obras completas:

poesía y prosa, op cit., p. 341

VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Tamquam centrum circuli” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op cit., p. 562 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Elogio del calígrafo” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit.,

pp. 572-581 3 SCHMIDT, KATARINA, “... Arquitectura por encima de todo. Las esculturas de alabastro de Eduardo

Chillida” in VV. AA., Chillida, Barcelona, Fundación Joan Miró, 2003, p. 63; trad. in italiano a c. di Giulio

Bartolini

Page 72: José Angel Valente, il poeta e le arti

72

Di contro, noi siamo figli di un’altra luce. Io non sto parlando soltanto di luce fisica, perché anche

qui ci sono giorni chiarissimi. La luce dalla quale noi siamo costruiti è più oscura di quella del

Mediterraneo. Loro sono più estroversi. Io vedo che la mia opera è recepita molto bene in Germania e

credo che questo ha qualcosa a che fare con il fatto che le mie opere corrispondono in qualche modo al

nostro modo di essere come baschi, e a loro, ai tedeschi, non risulta troppo estraneo. E’ collocata su di

una piattaforma che capiscono. A me non sorprende che la mia opera sia recepita meglio in Germania

che in Francia, nonostante sia più vicina.1

Eduardo Chillida, Cercando la Eduardo Chillida, Forma, 1948 Eduardo Chillida, Elogio della luce XX,

luce I, 1997, ferro, casolare 44 x 35 x 35 cm, gesso, Museo 1990, alabastro, Museo “Chillida-Leku”

Zabalaga, 798 x 275 x 222 cm “Chillida-Leku”

Museo “Chillida-Leku”

La luz oscura valentiniana è ascrivibile pure alla sua forte religiosità. Ci sembra invero possibile

definire la luce oscura di Valente come una luce mistica, un chiarore intriso di un forte sentimento

religioso, di una meditazione che collima con uno stato di estasi o di infatuazione paragonabile a

quello avvertito dai grandi mistici come San Juan de la Cruz o Miguel de Molinos al culmine delle

loro esperienze.

Buona parte delle poesie valentiane viene permeata dalla luz oscura anche a causa dell’influenza

esercitatavi dalla grande tradizione artistica spagnola. Pensiamo infatti all’”oscurità luminosa” che

avvolge molti dei celebri dipinti in mostra al Museo del Prado di Madrid e che, con molta

probabilità, affascinò moltissimo Valente.

Si tratta di opere come El Cristo di Velásquez o numerose pitture di Francisco Goya, nella

fattispecie le Pinturas negras, che sembrano essere perfetti contraltari in campo plastico della luce

oscura di molte poesie valentiane.

1 CHILLIDA, EDURADO, “Yo soy un fuera de ley” in Eduardo Chillida, Escritos,op. cit., p. 95

Page 73: José Angel Valente, il poeta e le arti

73

Diego Velásquez, Cristo crocifisso, 1631 Francisco Goya, Uomini che leggono e Donne che ridono, 1819-

olio su tela, 249 X 170 cm, Museo 1823, olio al secco trasferito su tela, 126 cm × 66 cm e

del Prado, Madrid 125 cm × 65,5 cm, Museo del Prado, Madrid

Inoltre, il concetto di luce maturato dal poeta orensano si connette fortemente a quello di abisso,

caduta o immersione nell’oscurità più profonda della materia. In particolar modo, Valente si

riferisce ripetutamente nei suoi scritti al concetto di immersione nella profondità della materia.

Questo sprofondare nell’oscurità è necessario alla piena comprensione del modo e del luogo in cui

le parole poetiche, così come le creazioni artistiche, hanno origine.

Gli elementi fondanti della creazione artistica stazionano in un abismo privo di luce, nel punto

dove risiede il fulcro centrale e vitale della parola, in un centro oscuro da cui si diparte qualsiasi

creazione e quindi anche quella del verbo, della parola intesa come unità semplice e costituente

della poesia.

Desde este punto de vista, el poema nos invita a una experiencia oscura. A una inmersión en las

capas sucesivas de la materia o de la memoria. A una inmersión en el fondo infinito en el que acaso se

encuentra la palabra única, la palabra que fue, no sabemos cuándo, nuestro origen, residuo acaso del

poema de lo que se ha llamado la nominación primera. Inmersión, por consiguiente, en las capas de la

memoria. Descenso por los infinitos estratos o cámaras de la palabra. Descenso al viaje o al origen.

Da questo punto di vista, la poesia ci invita a un’esperienza oscura. A un’immersione negli strati

successivi della materia o della memoria. A un’immersione nel fondo infinito nel quale forse si trova la

parola unica, la parola che fu, non sappiamo quando, la nostra origine, residuo forse della poesia di ciò

che si è chiamato la nominazione prima. Immersione, di conseguenza, negli strati della memoria. Discesa

attraverso gli infiniti strati o camere della parola. Discesa al viaggio o all’origine.1

Il procedimento di creazione di un’opera d’arte compiuto da Chillida, parimenti a quello

valentiano, si realizza solo dopo una radicale discesa nel pieno dell’oscurità della materia ed una

risalita della vera essenza delle cose dal loro abisso interiore. Si tratta di una progressiva

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Palabra y materia” in José Ángel Valente, Palabra y materia, op. cit., p. 28

Page 74: José Angel Valente, il poeta e le arti

74

illuminazione dell’opera da parte di un chiarore che è inizialmente tremulo e che, successivamente,

si manifesta con una sempre maggiore intensità fino ad insorgere con pieno sfavillio.

Lenta, muy lentamente, cede la sombra el paso al leve vuelo de la luz. Sólo entonces, después del

radical descenso a lo oscuro, supimos lo que nos había sido dado: la materia y la revelación de sí que es

la forma. La forma, bien sabemos, no es algo sobreimpuesto; está generada por la materia misma que se

revela en ella... Por supuesto para crear hay que llegar al fondo, al fondo de lo oscuro. Lo que emerge

después de tal descenso es la obra y sólo entonces la conocemos, en el recién dibujado borde de una aún

tremula luz. “Al alba conocí la obra –apunta Chillida-. Puede ser de mil maneras, pero sólo de una.”

Lentamente, molto lentamente, l’ombra cede il passo al lieve volo della luce. Soltanto allora, dopo

la radicale discesa nell’oscurità, sapemmo quello che ci era stato dato: la materia e la rivelazione di sé

che è la forma. La forma, sappiamo bene, non è qualcosa di sovrapposto; è generata dalla materia stessa

che si rivela in lei… Certo per creare bisogna arrivare al fondo, al fondo dell’oscurità. Quello che

emerge dopo questa discesa è l’opera e soltanto allora la conosciamo, nell’appena disegnato bordo di

una luce ancora tremula. “All’alba conobbi l’opera –appunta Chillida-. Può essere in mille modi, ma

solo in uno.1

La luce è dunque l’elemento che consente al poeta o allo scultore di modellare le sue opere siano

esse poesie o sculture.

Per questo motivo, il basco sceglie di realizzare molte delle sue sculture in alabastro, materiale

che consente alla luce la massima penetrazione al suo interno.

El trabajo del escultor en el alabastro consiste sobre todo en facilitar la penetración de la luz en lo

profundo de la materia misma, de tal manera que ésta engendra, penetrada por la luz, su propia forma.

Il lavoro dello scultore nell’alabastro consiste soprattutto nel facilitare la penetrazione della luce

nel profondo della materia stessa, in modo tale che questa genera, penetrata dalla luce, la sua stessa

forma.2

Nelle opere in alabastro spesso non è possibile individuare il limite che separa la forma ed il

materiale scultoreo dalla luce e ciò lo si deve alla totale evanescenza che vi assume la materia stessa.

Quest’ultima diviene, come sostiene Valente, mater della luce.

Entrada en la materia. Abolición del límite. No sabría decir el receptor de la obra dónde termina

el alabastro y dónde empieza la luz. La unidad de ambos se realiza en la mutua o sola transparencia:

“La transparencia, dios, la transparencia”, que la palabra crea en el bellísimo, inalcanzable poema de

Juan Ramón Jiménez de Animal de fondo (1949).

Entrata nella materia. Abolizione del limite. Non saprebbe dire il ricettore dell’opera dove termina

l’alabastro e dove inizia la luce. L’unità di entrambe si realizza nella mutua o sola trasparenza: “La

trasparenza, dio, la trasparenza”, che la parola crea nella bellissima, irraggiungibile poesia di Juan

Ramón Jiménez di Animal de fondo (1949).3

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Chillida o la transparencia” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op.

cit., p. 587 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Chillida o la transparencia” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op.

cit., p. 589 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Chillida o la transparencia” in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, p.

589

Page 75: José Angel Valente, il poeta e le arti

75

[Reinhold Hohl parla delle sculture in alabastro di Chillida] … La luminosità non appare solo

laddove non vi è una massa corporea, ma scopriamo una luminosità anche nella massa corporea stessa,

si può quasi dire, a causa di questa stessa massa che si rivela come “pensiero luminoso”.1

Eduardo Chillida, Omaggio al mare IV, 1998 Eduardo Chillida, Cammino verso la pace, 1997,

alabastro, 130 x 180 x 72 cm alabastro, Chiesa del Buon Pastore, San Sebastián

Museo “Chillida-Leku”

Abbiamo già affermato come buona parte delle opere poetiche di Valente sia intrisa dalla luz

negra. Tuttavia occorre specificare che, nonostante il gallego abbia piena consapevolezza della sua

appartenenza a quest’ultima, vi sono svariate poesie valentiane incentrate sulla luz mediterránea o

luce chiara.

Nella raccolta Interior con figuras si trova ad esempio una poesia nella quale l’orensano realizza

uno dei suoi elogi più importanti e, per così dire, “consistenti” della luz chiara. In questo

componimento il poeta parla del biancore, della luce bianca attorno e grazie alla quale prende corpo

la cosiddetta “parola unica”.

Cómo no hallar

alrededor de la figura sola

lo blanco. [...]

Cómo no hallar

alrededor de la palabra única

lo blanco.

Ese blanco que es la suma y fusión de todos los colores, que los contiene todos y es receptor

privilegiado de la luz, nos recuerda la importancia que esta última tiene en el conjunto de la obra poética

de Valente, siempre atenta a recoger en versos lo que la mirada descubre, confiriéndole así un intenso

valor visual. No por casualidad, el primer poema del primer libro del autor, “Serán ceniza...”, que ha

podido ser definido como “pórtico simbólico a lo que había de venir después, una especie de cifra que

encierra dentro de sí el germen de lo que se desplegará en el futuro”, presenta ya, en su segunda estrofa,

tras el “desierto”, tras la desolación, tras la” sequedad de la piedra”, la aparición de la luz “a modo de

esperanza”: “Hay una luz remota, sin embargo, / y sé que no estoy solo”.

Come non trovare

attorno alla figura sola

il bianco [...]

Come non trovare

attorno alla parola unica

il bianco.

1 HOHL, REINHOLD, “Chillida o la scoperta perenne” in AA. VV., Chillida: sculture, collage, disegni, op. cit.,

p. 13

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76

Questo bianco è la somma e fusione di tutti i colori, che li contiene tutti ed è ricettore privilegiato

della luce, ci ricorda l’importanza che quest’ultima ha nell’insieme dell’opera poetica di Valente, sempre

attenta a raccogliere in versi quello che scopre lo sguardo, conferendogli così un intenso valore visuale.

Non a caso, la prima poesia del primo libro dell’autore, “Saranno cenere…”, che ha potuto essere

definita come “portico simbolico a quello che doveva venire dopo, una specie di cifra che racchiude

dentro di sé il germe di quello che si dispiegherà in futuro”, presenta già, nella sua seconda strofa, dopo

il “deserto”, dopo la desolazione, dopo la “secchezza della pietra”, l’apparizione della luce “a modo di

speranza”: “C’è una luce remota, tuttavia, / e so che non sono solo”.1

La poesia espressione della fascinazione e dell’elogio del poeta galiziano nei confronti della luce

mediterranea è certamente El sur.

Lo sfavillio e l’energia della luce chiara, che l’artista contempla durante il suo lungo soggiorno

ad Almeria, sono tali da affievolire i contorni ed i corpi delle cose. I singoli elementi presenti nella

realtà sono privati di una reale concretezza, di una vera e propria consistenza. L’intero paesaggio

riarso dal sole si disintegra sotto l’impressionante forza distruttrice e dissolutrice della luce bianca,

che dissipa qualsiasi cosa rendendola evanescente, svuotandola della sua materialità.

[...] Los últimos poemas de Al dios del lugar nos ofrecen una visión de la lenta desintegración, ya

no del hacerse sino del deshacerse, con imágenes que recuerdan a Max Ernst o a Tàpies. “El sur” es uno

de los poemas más cercanos a la pintura, con su manejo de imágenes; ut pictura poesis. Describe una

ciudad andalusa que se desmorona lentamente:

El sur como una larga,

lenta demolición.

El náufrago solar de las cornisas

bajo la putrefacta sombra del jazmín.

Rigor oscuro de la luz.

Se desmorona el aire desde el aire

que disuelve la piedra en polvo al fin.

Sombra de quién, preguntas,

en las callejas húmedas de sal.

No hay nadie.

La noche guarda ciegas,

apagadas ruinas, mohos

de sumergida luz lunar.

La noche.

El sur.

[...] Le ultime poesie di Al dios del lugar ci offrono una visione della lenta disintegrazione, e non

già del farsi ma del disfarsi, con immagini che ricordano Max Ernst o Tàpies. “Il sud” è una delle poesie

più vicine alla pittura, con il suo maneggio di immagini; ut pictura poesis. Descrive una città andalusa

che si sgretola lentamente:

1 IGLESIAS FEIJOO, LUIS, “José Ángel Valente: poesía y pintura” in VV. AA., A palabra e a súa sombra: José

Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes = The

word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola Universidade,

Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., pp. 209-210

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77

Il sud come una lunga,

lenta demolizione.

Il naufrago solare delle cornici

sotto la putrefatta ombra del gelsomino.

Rigore oscuro della luce.

Si sgretola l’aria dall’aria

che dissolve la pietra in polvere alla fine.

Ombra di chi, domandi,

nelle viuzze umide di sale.

Non c’è nulla.

La notte custodice cieche,

spegne rovine, muffe

di sommersa luce lunare.

La notte.

Il sud.1

J. A. Valente sul litorale di Almería nel 1997 Il poeta presso la sua dimora almeriense

In un testo di Daydí-Tolson facente parte della raccolta Material Valente si sottolinea come la luce

per il poeta di Orense sia sinonimo di conoscenza. Alla stregua di quanto abbiamo cercato di

dimostrare finora, la vera essenza delle cose per Valente si manifesta quando l’interiortà di queste

raggiunge la superficie, emergendo dalle profondità e facendosi rischiarare dalla luz. In quest’ottica,

l’opera d’arte scaturisce dal continuo gioco che si istituisce tra luci ed ombre, dal fondamentale e

primigenio contrasto tra luce e tenebra.2

1 PALLEY, JULIAN, “José Ángel Valente, poeta de la inminencia” in VV. AA., Material Valente, op. cit., p. 54

2 DAYDÍ-TOLSON, SANTIAGO, “Contrastes de luz y sombra como técnica de representación en la poesía de

José Ángel Valente” in VV. AA., Material Valente, op.cit., p. 33-34

Desde un comienzo Valente manifestó su preferencia por lo visual y son muchas en sus poemas

las referencias a mirar y ver, así como a la luz, condición esencial para toda mirada. [...] Admite así

mismo el poeta la concepción de la luz como representación del conocimiento. La realidad se hace patente

en el reflejo de la luz sobre la materia, y como bien lo sabe todo artista plástico, la presencia de las cosas

se da en el juego de la luz y las sombras, en el claroscuro. Ninguna de las dos, ni la luz ni las tinieblas,

pueden concebirse sin la otra ya que la luz absoluta, como la más densa obscuridad, ciegan.

Page 78: José Angel Valente, il poeta e le arti

78

Valente e Chillida a San Sebastián Eduardo Chillida, Dedicatoria a Valente, 1992

8 Interiorità, superficialità

Il rapporto fra interiorità e superficialità nel pensiero di Valente assume un’importanza decisiva.

Siffatta relazione poggia su di una concezione di interiorità quale sede del vero essere delle cose, in

contrapposizione ad una superficialità nella quale quest’essenza interna traspare pochissimo.

La parvenza superficiale delle cose può essere percepita da un qualsiasi osservatore o

“spettatore”. L’interiorità degli enti, e cioè la pienezza della loro vera costituzione, può invece

essere avvertita solo dagli artisti nel momento della creazione.

José Ángel Valente durante la sua ultima lettura poetica rilasciata presso il Círculo de Bellas

Artes di Madrid sostiene come l’esperienza poetica sia per colui che la mette per iscritto che per

quanti ne praticano la lettura, è contatto con l’interiorità. Sia l’autore che il lettore di una poesia

vengono a conoscenza dell’interno della parola poetica e cioè dell’unità minima costitutiva della

poesia.

[...] La palabra poética cuando se manifiesta, cuando en verdad se manifiesta, y cuando en verdad

la recibimos, nos invita a entrar en este territorio extremo. Territorio de la extrema interioridad. Lugar

del no lugar. Espacio vacío y generador, concavidad, matriz, materia mater, materia memoria, material

memoria. [...].

[...] La parola poetica quando si manifesta, quando si manifesta veramente, e quando la riceviamo

davvero, ci invita ad entrare in questo territorio estremo. Territorio dell’estrema interiorità. Luogo del

non luogo. Spazio vuoto e generatore, concavità, matrice, materia mater, materia memoria, materiale

memoria. […] 1

Es por lo tanto, el contraste entre luz y oscuridad lo que define toda experiencia visual y, por

extensión, ha venido a representar desde antiguo los opuestos del ser y el no ser, la existencia y la nada. Es

esa capacidad de la luz para hacer visible lo invisible en las sombras la que ha permitido que desde

tiempos inmemorables se la conciba, junto a la visión, como paradigma del conocer, contraria a las

tinieblas, que representan la nada de la ignorancia.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Palabra y materia”, in José Ángel Valente, Palabra y materia, op. cit., pp. 25-26

Page 79: José Angel Valente, il poeta e le arti

79

La parola, “il verbo”, come lo definisce religiosamente Valente,1 acquisisce così lo stesso ruolo e

le medesime “fattezze” dello spazio vuoto presente nelle creazioni di Chillida.

Eduardo Chillida, Da dentro, 1953, Eduardo Chillida, Gravitación, 1989, Eduardo Chillida, Omaggio a

ferro, Museo Guggenheim di New York inchiostro su papier collé, Vienna San Juan de la Cruz III, 1991

inchiostro su papier collé,

Museo “Chillida-Leku”

Al pari dello spazio architettonico o scultoreo cui si riferisce il donostiarra, la parola

dell’orensano è concavità generatrice pronta a dare origine a qualsiasi cosa.

Valente fa riferimento al libro del Tao per affermare come in questa filosofia orientale, alla pari

dello Zen, occorre apprendere le cose senza focalizzarsi su di esse, concentrandosi su “tutt’altro”. E’

a partire da questo stato di “ignoranza”, di vuoto creativo, di apparente mancanza di concentrazione

e dedizione, di totale rivolgimento in se stessi, che hanno origine nuovi enti e, quindi, le stesse

parole.

[...] ...la poesía se hace o es fundamentalmente experiencia de la interioridad de la palabra.

[...] Y pasamos a otras latitudes, si pasamos al libro del Tao, Lao-Tze escribe: “Es necesario

comprender el Tao como si no lo comprendiéramos”.

[...] El desierto es el lugar de manifestación de la palabra y de comparecencia ante la palabra.

[...] ... la poesia si fa o è fondamentalmente esperienza dell’interiorità della parola.

[…] E passiamo ad altre latitudini, se passiamo al libro del Tao, Lao-Tze scrive: “E’ necessario

comprendere il Tao come se non lo comprendessimo”.

[…] Il deserto è il luogo della manifestazione della parola e dell’apparizione di fronte alla parola.1

1 IGLESIAS, SERNA, AMALIA, “Entrevista con José Ángel Valente” in José Ángel Valente, Palabra y materia,

op. cit., pp. 58-59 AI.S. – Ante un título como el de su libro, Al dios del lugar, es inevitable preguntarle si hay cierto

paralelismo entre la creación poética y el sentimiento religioso.

J.Á.V. – Tiene relación en cuanto que en ambos conceptos se da una orientación hacia lo que no

conocemos, lo que nos rebasa. Yo, cada vez más, tiendo en mi escritura a la infinitud de la materia.

Percibir esa sensación de infinitud puede considerarse, en términos generales, como religioso. En su

origen la palabra está vinculada al mundo ritual, cultural y, evidentemente, tiene un componente sacro. La

poesía se ha ido recargando de los componentes sacros abandonados por las religiones. A mediados del

siglo XVII, las iglesias, y no sólo la católica, van hacia el conocimiento racional y abandonan un poco

todo el área de la interioridad, porque es área peligrosa; en el fondo dictaminan el fin de la mística. Eso

recarga a la poesía de un cierto valor sacro, queda como depositaria de ese mundo interior ante el que las

iglesias retroceden.

Page 80: José Angel Valente, il poeta e le arti

80

Nell’evoluzione poetica del galiziano è percepibile una sempre più approfondita ricerca

sull’interiorità delle parole. Il poeta si adopera al fine di pervenire al significato ultimo, definitivo,

assoluto delle singole parole. Per arrivare ad un tale livello di accuratezza nella definizione delle

singole entità verbali è però necessario prima “spogliare” tali enti da tutto ciò che è superfluo,

esteriore e contingente. Per questo motivo l’ars poetica deve essere intesa come esperienza del

profondo della parola.

[...] ... evolución un ejercicio de “desposesión” de lo superfluo para pasar de “lo que la palabra

significa” a “lo que la palabra guarda en su proprio interior”. Así [Valente] dirá que “la poesía es,

fundamentalmente, experiencia de la interioridad de la palabra”.

[...] ... evoluzione un esercizio di “spossessamento” del superfluo per passare da “quello che la

parola significa” a “quello che la parola custodisce nel suo interno”. Così [Valente] dirà che “la poesia

è, fondamentalmente, esperienza dell’interiorità della parola”.2

Nel quarto dei Cinco fragmentos para Antoni Tàpies Valente ci appare dedito a mostrare quanto

il procedimento di ultimazione di un’opera artistica possa definirsi interiore: l’accentramento della

materia di cui si compone una forma o un corpo è invero un movimento verso l’interiorità, in

direzione del punto più intimo di essa.

El cumplimiento de la obra (como sucedía en el saber antiguo de la alquimia) es tanto un proceso

interior como el ejercicio visible de un arte. Porque el movimiento hacia el centro de la materia es

también un movimiento hacia el centro de la interioridad.

Il compimento dell’opera (come succedeva nel sapere antico dell’alchimia) è tanto un processo

interiore come l’esercizio visibile di un’arte. Perché il movimento verso il centro della materia è anche

un movimento verso il centro dell’interiorità.3

Allo scultore basco Eduardo Chillida questo legame fra interiorità e superficialità interessa

soprattutto al fine di determinare i rapporti spaziali che sottostanno alle sue opere scultoree. In

questo suo singolare interessamento ci pare possibile rintracciare l’influenza della filosofia Zen.

Nella fattispecie, Chillida contrappone la segretezza ed inaccessibilità degli spazi interni, ovvero dei

luoghi dove risiede la verità nell’ottica di questo pensiero filosofico orientale, all’apparenza

superficiale delle cose che non filtra appieno tale interiorità.

Hay un problema común en la mayor parte de mi obra: es el espacio interior, consecuencia y al

mismo tiempo origen de los volúmenes positivos exteriores. Para definir estos espacios interiores es

necesario envolverlos, haciéndolos por lo tanto inaccessibles para el espectador, situado en el exterior.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Palabra y materia”, in José Ángel Valente, Palabra y materia, op. cit., pp. 25-26

2 SERNA, AMALIA IGLESIAS, “Prólogo. José Ángel Valente. La última poética” in José Ángel Valente,

Palabra y materia, op. cit. p. 12 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Cinco fragmentos para Antoni Tàpies” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente,

Comunicación sobre el muro, op. cit., p. 38

Page 81: José Angel Valente, il poeta e le arti

81

Los espacios interiores, que han sido siempre problema y preocupación de los arquitectos, suelen ser

espacios de tres dimensiones definidos por superficies de dos. Yo aspiro a definir lo tridimensional

(hueco) por medio de lo tridimensional (pleno) estableciendo al mismo tiempo una especie de correlación

y diálogo entre ellos. Gracias a estas correlaciones, los volúmenes exteriores, a los que tenemos fácil

acceso, serán nuestro guía seguro para llegar a conocer, al menos al espíritu, espacios ocultos.

C’è un problema comune nella maggior parte della mia opera: è lo spazio interiore, conseguenza

e allo stesso tempo origine dei volumi positivi esteriori. Per definire questi spazi interiori è necessario

avvolgerli, rendendoli pertanto inaccessibili per lo spettatore, situato all’esterno. Gli spazi interiori, che

sono stati sempre problema e preoccupazione degli architetti, sono soliti essere spazi di tre dimensioni

definiti da superfici di due. Io aspiro a definire il tridimensionale (vuoto) per mezzo del tridimensionale

(pieno) stabilendo allo stesso tempo una specie di correlazione e dialogo tra loro. Grazie a queste

correlazioni, i volumi esteriori, ai quali abbiamo facile accesso, saranno la nostra guida sicura per

arrivare a conoscere, almeno allo spirito, spazi occulti.1

Chillida considera l’attività di lavorazione del materiale scultoreo tesa a dare un’equilibrio fra

l’interiorità e la superficie delle forme. Pur lavorando solo la parte interna di alcune delle sue

sculture, l’artista non desidera tralasciare in esse la riflessione sulla loro superficialità ma, al

contrario, vuole così sottolinearne la complementarietà rispetto alla controparte interiore.

Eduardo Chillida, Ascoltando la pietra IV, pietra, Eduardo Chillida, Omaggio a Pili, 2000,

180 x 100 x 95 cm, Museo “Chillida-Leku” alabastro, 130 x 180 x 72 cm, Museo “Chillida-Leku”

La monumentalità di alcune opere chillidiane non ha niente a che fare con le loro dimensioni. La

grandezza di tali sculture è secondo il basco una trasposizione dall’energia che vi si ritrova

all’origine, nell’interiorità, nel vacío interior.

Lo spazio interno è sede del “fuoco sacro” ossia dell’energia “vitale” racchiusa in qualsiasi opera

d’arte: la monumentalità di questa si rende manifesta proprio con l’erompere di questa forza.

[...] Una monumentalidad que no tiene relación alguna con el tamaño sino con la irradiación

espiritual: no es la vastedad de las proporciones lo que las define sino la energía que contienen. En

varias ocasiones Chillida se ha referido al “espacio interior” encerrado dentro del espacio exterior que

vemos y palpamos. En el espacio vedado, siempre más allá o más acá off-limits. Hay que agregar que el

“espacio interior” no es sino la carga de desconocido que encierra cada obra... El espacio interior es la

energía presa en cada forma, sea ésta hierro o arcilla, mármol o madera. Semilla de energía cautiva, es

el foco de esa irradiación que emiten las obras. En esto consiste lo que he llamado, no muy exactamente,

su monumentalidad. Quizá debería haber escrito: fuerza de gravitación.

1 CHILLIDA, EDUARDO, “Códigos del artista”, in Eduardo Chillida, Escritos, op. cit., p. 52

Page 82: José Angel Valente, il poeta e le arti

82

[…] Una monumentalità che non ha nessuna relazione con la dimensione ma con l’irradiazione

spirituale: non è la vastità delle proporzioni quello che le definisce ma l’energia che contengono. In varie

occasioni Chillida si è riferito allo “spazio interiore” racchiuso dentro allo spazio esteriore che vediamo

e palpiamo. Nello spazio proibito, sempre più in là o più in qua off-limits. Si deve aggiungere che lo

“spazio interiore” non è altra cosa se non una carica di ciò che è sconosciuto che racchiude ogni

opera… Lo spazio interiore è l’energia impressa in ogni forma, sia questa ferro o argilla, marmo o legno.

Seme di energia in cattività, è il fuoco di questa irradiazione che emettono le opere. In questo consiste

quello che ho chiamato, non molto esattamente, la sua monumentalità. Forse dovrei aver scritto: forza di

gravitazione1

Eduardo Chillida, Progetto per un monumento, 1969, Eduardo Chillida, Monumento alla tolleranza,

alabastro, Musei Vaticani, Città del Vaticano 1982, cemento armato, Siviglia

9 Calligrafia, ideogramma

Alla stregua di quanto asserito più volte anteriormente, Valente serba un forte interesse verso il

pensiero orientale. In particolar modo, come peraltro è occorso anche a molti altri esponenti

dell’arte del Novecento, egli è attratto dalla calligrafia, disciplina artistica nata proprio in Estremo

Oriente e praticata dal padre.

Il poeta in un suo saggio contenuto in Elogio del calígrafo, raccolta che richiama all’arte

calligrafica sin dal titolo, parla della stretta parentela che in Oriente unisce questa disciplina con la

pittura.

Durante mucho tiempo […] creí que cuando los adultos hablaban de alguien que escribía bien, se

referían a una persona que tenía el arte de mi padre.

Pintura y caligrafía son, en realidad, la misma cosa, como el método del pincel es el mismo en

caligrafía que en pintura. Fue práctica corriente entre los pintores chinos, sobre todo a partir de la

época Yuan, incorporar con hábil mano propia importantes fragmentos caligráficos en sus cuadros. Pero,

en China, la caligrafía llegó a alcanzar la condición suprema de arte independiente mucho antes que la

pintura...

La llamada caligrafía cursiva deja enseguida de tener por fin primero la transmisión utilitaria de

una posible información y se hace puro valor plástico, expresión de una personal capacidad creadora.

... la pintura, en la tradición china, sea históricamente tributaria de la escritura...

Durante un lungo periodo [...] credetti che quando gli adulti parlavano di qualcuno che scriveva

bene, si riferissero a una persona che aveva la stessa perizia di mio padre.

1 PAZ, OCTAVIO, “Chillida: del hierro al reflejo” in Octavio Paz, op. cit., p. 144

Page 83: José Angel Valente, il poeta e le arti

83

Pittura e calligrafia sono, in realtà, la stesa cosa, come il metodo del pennello è lo stesso in

calligrafia come in pittura. Fu pratica corrente tra i pittori cinesi, soprattutto a partire dall’epoca Yuan,

incorporare con abile mano propria importanti frammenti calligrafici nei loro quadri. Ma, in Cina, la

calligrafia raggiunse la condizione suprema di arte indipendente molto prima che la pittura…

La cosiddetta calligrafia corsiva smette immediatamente di avere come fine primario la

trasmissione utilitaria di una possibile informazione e si fa puro valore plastico, espressione di una

personale capacità creatrice.1

Il poeta gallego attribuisce grande importanza al calligrafo estremorientale perché, prima ancora

dello scrittore occidentale, egli è il vero creatore delle parole, colui che per primo ha donato loro la

materialità. Il calligrafo “precede” anche il pittore dell’Occidente nella raffigurazione della realtà e

dei concetti astratti: egli ha infatti inventato gli ideogrammi, ovvero i primi simboli grafici che

rimandano a immagini o idee mentali.

José Ángel Valente, Elogio del calígrafo. Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco,

Ensayos sobre arte, 2003 copertina di un’edizione in inglese

Maestri calligrafi estremorientali all’opera e, sulla destra, un artista del gruppo Gutai

L’arte calligrafica assume rilevo primario anche in molte realizzazioni del pittore Antonio Saura.

In particolar modo, l’artista aragonese parla similmente a Valente del “debito” che ha la moderna

pittura occidentale, e nondimeno la sua, nei confronti della calligrafia orientale.2 Secondo Saura è la

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Elogio del calígrafo”, in José Ángel Valente, Obras completas: ensayos, op. cit.,

pp. 491-494 2 SAURA, ANTONIO, “Espacio y gesto de Gutai” in Antonio Saura, Crónicas: artículos, a c. di Susana Pellicer,

Barcelona, Galaxia Gutemberg: Círculo de lectores, 2000, pp. 101-112

SAURA, ANTONIO, “Shiraga no pinta con los pies” in Antonio Saura, Visor: sobre artistas, op. cit., pp. 153-

166

Page 84: José Angel Valente, il poeta e le arti

84

scrittura automatica dei surrealisti,1 oltre ad alcune opere di esponenti del tachismo tra i quali lo

stesso Tàpies, ad essere massimamente influenzata dal fare artistico dei calligrafi d’Oriente.

Antoni Tàpies, Verticale con calligrafia, Antoni Tàpies, Calligrafia su Antoni Tàpies, Calligrafia, 2006,

1987, 200 x 100 cm, tecnica mista su tela, impronte, 1979, 102 x 72 cm, tecnica mista su tela, 195 x 130 cm,

Museo Nazionale Centro d’Arte “Regina tecnica mista su carta, collezione privata

Sofia”, Madrid Collezione Fondazione

“Telefónica”, Madrid

In un saggio dedicato alla scrittura automatica dei surrealisti il pittore di Huesca paragona

quest’ultima proprio alla tecnica calligrafica estremorientale: entrambe vengono esercitate

dall’artista in maniera subitanea, improvvisa e, soprattutto, dopo che questi si sia svuotato dai

pensieri ed abbia raggiunto la totale concentrazione sul suo fare.

El pintor y el calígrafo zen solamente ejercen su acción tras una profunda concentración a fin de

acumular, en el vacío creado en un estado mental secundario, un máximo de energía. Mediante su breve

y a veces vertiginosa labor, con sintética y vital plasticidad, reflejan una especial actitud frente a la

naturaleza y el cosmos, toda una concepción filosófica.

Il pittore ed il calligrafo zen esercitano la loro azione soltanto dopo una profonda concentrazione

al fine di accumulare, nel vuoto creato in uno stato mentale secondario, un massimo di energia. Mediante

il suo breve e a volte vertiginoso lavorio, con una plasticità sintetica e vitale, riflettono una speciale

attitudine di fronte alla natura e al cosmo, tutta una concezione filosofica. 2

Il gesto calligrafico e l’ideogramma caratterizzano l’arte sauriana anche a seguito del distacco del

pittore dal surrealismo.

Basti pensare alle pitture ed incisioni che abbiamo menzionato in merito al rapporto del pittore

con la corporalità, oppure alle sue Superposiciones. In queste ultime le figure femminili (come ad

esempio quella presente nell’opera Rossa riportata di seguito), sono rese mostruose con rapidi tratti

di tinta china o con energiche pennellate.

1 SAURA, ANTONIO, “Pintura y automatismo psíquico” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 251-

261

SAURA, ANTONIO, “Notas sobre el automatismo después del surrealismo” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos,

op. cit., pp. 263-269 2 SAURA, ANTONIO, “Pintura y automatismo psíquico” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 259-

260

Page 85: José Angel Valente, il poeta e le arti

85

Antonio Saura, Dama in technicolor, Antonio Saura, Maja, 1961, Antonio Saura, Rossa, 1974,

1957, tecnica mista su papier collé, olio su tela, 160 x 129,5 cm tecnica mista su carta impressa,

69,9 x 42,9 cm, Collezione Archivio collezione privata 30,7 x 22,5 cm, collezione privata

“Antonio Saura”, Ginevra

Antonio Saura, Dama III, 1958, Antonio Saura, Messalina, 1959, Antonio Saura, Dama, 1980,

litografia, 37,5 x 29 cm, olio su tela, collezione privata tecnica mista su carta, 37,9 x 28 cm,

collezione privata collezione privata

Anche nelle crocifissioni sauriane, soprattutto quelle degli anni ’50 e ’60, il ricorso a tratto

calligrafico ed ideogramma è molto evidente. Alcune di queste poi (in primo luogo l’ultima delle

crocifissioni del 1958 di seguito riportate), sembrano segni ideografici di un calligrafo piuttosto che

disegni di un pittore.

[...] A pesar de su carácter violentamente expresivo, las crucifixiones de Saura reflejan un cierto

control del tema, de las referencias y se imponen como “prototipos intemporales”...La Crucifixión se

inscribe en una relación fuerte con la escritura (y con las escrituras)...La escritura como signo plástico

es una clave importante para entrar en la obra de Saura, por varias razones. Para empezar, habría que

recordar el poder del surrealismo como segundo plano poético de su obra y la manera en que la

escritura automática ha ejercido una influencia en numerosos artistas relacionados con el tachismo,

como una técnica de composición pictórica (el gesto) y de manipulación del signo. Por otra parte, no hay

que olvidar que Saura es escritor, poeta, crítico de arte... La crucifixión toma forma de un “iconotexto”,

es decir, referencias literarias en pintura que no se convierten por ello en meras ilustraciones de

diferentes episodios de lo escrito sino en una experiencia caligráfica.

[...] Malgrado il loro carattere violentemente espressivo, le crocifissioni di Antonio Saura

riflettono un certo controllo del tema, dei riferimenti e si impongono come “prototipi atemporali”…La

Crocifissione si iscrive in una relazione forte con la scrittura (e con le scritture)…La scrittura come

segno plastico è una chiave importante per entrare nell’opera di Saura, per varie ragioni. Per

Page 86: José Angel Valente, il poeta e le arti

86

cominciare, si dovrebbe ricordare il potere del surrealismo come secondo piano poetico della sua opera

e la maniera nella quale la scrittura automatica ha esercitato un’influenza in numerosi artisti relazionati

con il tachismo, come una tecnica di composizione pittorica (il gesto) e di manipolazione del segno.

D’altra parte, non si deve dimenticare che Saura è scrittore, poeta, critico d’arte… La crocifissione

prende la forma di un “iconotesto”, cioè, referenze letterarie in pittura che non si convertono per questo

in mere illustrazioni di differenti episodi di quello che è scritto ma in una esperienza calligrafica.1

Antonio Saura, Crocifissione, 1958, Antonio Saura, Crocifissione, 1958, Antonio Saura, Crocifissione, 1958,

flo-master su carta, 56,2 x 40 cm, china su carta, 69,9 x 50,3 cm, china su carta, 69,9 x 50,3 cm,

collezione privata collezione privata collezione privata

In alto, alcuni esempi di shodō Vari esempi di ideogrammi estremorientali

ovvero la calligrafia giapponese;

in basso, un testo scritto in shūfǎ

ossia calligrafia cinese

1 SURLAPIERRE, NICOLAS, “Representando crucifixiones” in Antonio Saura, Crucifixiones, op. cit., p. 48

Page 87: José Angel Valente, il poeta e le arti

87

10 Violenza

Numerose poesie di José Ángel Valente sono, come abbiamo asserito precedentemente,

espressione del suo diletto per lo stravolgimento dei corpi, per la frammentazione delle cosiddette

parole “materiali” o “corporali”. Questo compiacimento è connesso al gusto parimenti avvertito dal

poeta nei confronti della descrizione dell’atrocità della condizione umana.

In molte poesie il galiziano si dilunga così tanto nell’enunciazione di episodi o particolari

macabri e truculenti da far sì che esse assumano uno stile grottesco. Il modo valentiano di reiterare

la rappresentazione degli aspetti più sordidi e miserabili della realtà è fortemente affine a quello

sviluppato negli anni ’40 e ’50 dai membri della corrente letteraria del tremendismo1 e, soprattutto,

dalla poesía desarraigada.2

Basti confrontare lo crudezza dello stile di raccolte poetiche del gallego come Siete

representaciones, in cui c’è una continua descrizione del sangue versato e della tortura di innocenti,

con la scrittura altrettanto grottesca di romanzi come La familia de Pascual Duarte di Camilo José

Cela o poesie quali Hijos de la ira di Damaso Alonso. In tutti queste opere si avverte un certo

piacere da parte dei loro autori nella “narrazione” della naturale violenza dell’uomo.

Tres fragmentos

I

(EL GALLO)

Vibra en la roja cresta

el fuego coronado

y despierta la sangre.

La arena está cubierta

de exhaustos luchadores.

Pero tú, el incansable,

alza tu poderío,

incorpórate, templa

la terrible garganta: clava

tus agudas espuelas

en los tibios costados de la sombra.

Corra toda su sangre

sin fin corra su sangre.

Y viril nazca el canto,

como una saeta,

1

CARRASCÓN, GUILLERMO, “La literatura del exilio” in VV. AA., Manual de literatura española e

hispanoamericana, Torino, Petrini Editore, 2001, p. 289 2 CARRASCÓN, GUILLERMO, “La literatura del exilio” in VV. AA., Manual de literatura española e

hispanoamericana, op. cit., ibd.

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88

sobre la noche hembra,

abatida en los campos.1

Con palabras distintas

La poesía asesinó un cadáver,

decapitó al crujiente

señor de los principios principales,

hirió de muerte al necio,

al fugaz señorito de ala triste.

Escupió en su cabeza.

No hubo tiros. [...]2

La concordia

Se reunió en concilio el hombre con sus dientes,

examinó su palidez, extrajo

un hueso de su pecho: -Nunca, dijo,

jamás la violencia.

Llegó un niño de pronto, alzó la mano,

pidió pan, rompió el hilo del discurso.

Reventó el orador, huyeron todos.

-Jamás la violencia, se dijeron.

Llovió el invierno a mares lodos, hambre,

Navegó la miseria a plena vela.

Se organizó el socorro en procesiones

de exhibición solemne. Hubo más muertos.

Pero nunca, jamás, la violencia.

Se fueron uno, cien, doscientos, muchos:

no daba el aire propio para tantos.

El año mejor fue que otros pejores.

No están los que se han ido y nadie ha hecho

violento recurso a la justicia.

El concejal, el síndico, el sereno,

el solitario, el sordo, el guardia urbano,

el profesor de humanidades: todos

se reunieron bajo su cadáver

sonriente y pacífico y lloraron

por sus hijos más bien, que no por ellos.

Exhaló el aire purefacto pétalos

de santidad y orden.

Quedó a salvo la Historia, los principios,

el gas del alumbrado, la fé pública.

-Jamás la violencia, cantó el coro,

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Poemas a Lázaro” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op.

cit., p. 135 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La memoria y los signos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., p. 200

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89

unánime, felíz, perseverante.1

Siete representaciones

I

En el vacío del amor,

en un tiempo lunar, lívido y frío,

nace la envidia.

De la caída de la tarde,

de lo que se desliza ya desde la noche

y solapado alarga su sombra por los muros

como amarilla hiedra,

nace la envidia.

De lo que se carcome y no consiste

más que en su desvivir,

del reverso del aire,

de la vecina nada inhabitable,

purulenta y sin fin,

nace la envidia.

En las calles húmedas,

en los días de otoño, incruentos y pálidos,

bajo la doble faz de los espejos

o en largos corredores

que nunca desandamos,

nace la envidia.

En herrumbrosas cerraduras,

en los pozos cegados,

en los respiraderos de la vida

o en la destilación amarga

de lo nunca vivido,

en las grietas del tiempo,

nace la envidia.

Como animal de lenta procedencia,

como ceniza o sierpe y humo pálido,

amarilla y opaca, fiel reflejo

de lo arriba radiante,

nace la envidia.

En el desasosiego

de ser sin nunca tener centro,

en láminas heladas sin dimensión de fondo,

en imágenes planas que crecen hasta el cielo

de la pasión del hombre, nunca suya,

nace la envidia.

Nace como la noche

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “La memoria y los signos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 201-202

Page 90: José Angel Valente, il poeta e le arti

90

de inagotable ausencia,

de muros arañados,

de vacíos espacios,

perpetua y giratoria,

sobre el rastro lunar del que más ama.

IV

Estaba allí,

craso y enorme, prenatal, inverso

y vagamente rebajado,

sin precisión, el sexo oblicuo.

Hórrido el vientre,

hórrido y terráqueo

adiposa la sangre,

sorda y reverencial su preeminencia.

Una mujer, no importa, alimentaba

a un concesivo y acomodaticio

vientre capón con húmedas caricias.

Sauces del tiempo rotos,

olvidadlo: nada puede la lira.

El hipo tácito,

la marea ascendente,

la gula inflando velas

de viento interminable,

abriendo fauces, cuévanos,

devolviendo excedentes y residuos

sobre la desangrada tierra seca

y en los mares helados.

VII

El día en que los ángeles

fuercen en las redondas

esquinas no soñadas de la tierra

sus ácidos clarines

y no encuentren respuesta,

El día en que los muertos se levanten

y vuelvan a morir con más convencimiento,

El día en que para siempre se haya roto

la tregua entre los dioses extinguidos

y su pálida imagen,

El día en que los corderos devoren dulcemente

la entraña de los lobos indefensos

hasta agotar su estirpe,

El día en que obligado

Page 91: José Angel Valente, il poeta e le arti

91

sea el convite, el traje impuesto,

rotativo el discurso

y la ocasión solemne e implacable,

El día en que las cuerdas de las arpas

estallen y se encojan

de horror los meridianos en su origen,

Y cuando un solo hombre

desesperadamente en pie sobre su ombligo

vea crecer las aguas, pida auxilio,

y una paloma anuncia el pacto nuevo,

El día en que la hembra invertebrada

en su ávido seno nos sumerja

para alumbrarnos luego ya redentos,

El día en que palidezcan los cobardes,

las vírgenes asuman la venganza

y el estertor opaco de la víctima

nos una en fin a ella,

con un odio más puro,

El día en que los niños

certeramente apunten

con un fusil de sangre a los tiranos,

E indemnes los vencidos

coronen de excrementos melancólicos

los arcos del triunfo,

el día del laurel y la serpiente,

el día en que la cólera del mundo

destruya el mundo, el día de la ira.1

El suceso

Detrás del olvidado escaparate

con exvotos de cera o pálidas muñecas,

un niño,

pegado a su nariz,

me hizo muecas crueles.

Yo me acerqué con los secretos guantes

del asesino-está-entre-nosotros

y le ofrecí un bombón envenenado.

Pero el niño dio gritos de horrorosa inocencia

y acudieron vecinos con enormes mangueras,

guardias municipales con el santo del día

en procesión solemne.

Y fui decapitado.1

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Siete representaciones” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa,

op. cit., pp. 223-233

Page 92: José Angel Valente, il poeta e le arti

92

Sobre el tiempo presente

[...]

Escribo desde la sangre,

desde su testimonio,

desde la mentira, la avaricia y el odio,

desde el clamor del hambre y del trasmudo,

desde el condenatorio borde de la especie,

desde la espada que puede herirla a muerte,

desde el vacío giratorio abajo,

desde el rostro bastardo,

desde la mano que se cierra opaca,

desde el genocidio,

desde los niños infinitamente muertos,

desde el árbol herido en sus raíces,

desde lejos,

desde el tiempo presente.

[...]

Escribo desde el patíbulo,

ahora y en la hora de nuestra muerte,

pues de algún modo hemos de ser ejecutados.2

V

Madre,

el niño homófago

nace en tu palandar,

devora tu saliva,

cae

en el caudal del llanto hasta los invisibles saurios

de la orilla remota que le tiende tu amor.3

XX

(Crónica, 1970)

A Yara

Vienen los torturadores con sus haces de muerte.

El cuerpo derribado bajo el golpe metódico

de esos hijos del pus y de la noche

más libre es que nosotros.

Los torturadores son ángeles del orden.

Comemos orden

(con sus haces de muerte)

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Breve son” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., p.

256 2 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “El inocente” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y prosa, op. cit., pp.

299-300 3 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Treinta y siete fragmentos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op. cit., p. 322

Page 93: José Angel Valente, il poeta e le arti

93

castrados finalmente como especie.

Comemos orden.

Nunca naceremos.1

Antonio Saura nella sua abitazione di Cuenca nel 1984 José Ángel Valente

Anche nelle opere del pittore Antonio Saura è fortemente presente questo compiacimento nella

descrizione di quella che l’aragonés definisce come monstruosidad2 o crueldad piuttosto che

violencia.

Di fronte all’ideale estetico del bello, l’artista di Huesca adotta una mirada cruel3 sul mondo del

reale ovvero un’estetica del male, 4 della bruttezza.

L’atteggiamento sauriano di fronte alla realtà non implica necessariamente uno stravolgimento in

negativo di questa, ma semplicemente una sua assunzione così come si presenta senza alcun tipo di

edulcorazione.

[...] Frente a una idea de la perfección se opondrá el equilibrio milagroso de aquello que se

degrada, se corroe, se transforma o conforma, en un acto irremediable, irrecuperable, de una luminosa

corrupción. Tales condiciones tienen, para el observador atento, el mejor instrumento de medida: el

sismógrafo de la “mirada cruel”. En sí misma la práctica de la mirada cruel constituye uno de los

sustentos esenciales del arte del mal... Aquello que definimos como Mal puede ser heterodoxia,

perversidad, obsesión o carácter desmesurado, patentización de lo sexual y de lo satánico; puede

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Treinta y siete fragmentos” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op. cit., p. 329 2 RÍOS, JULIÁN, “IX Le pas décisif” in Julián Ríos, Portraits d’Antonio Saura, op. cit., p. 36

[...] [Parlando della mostruosità delle sue opere con Julián Ríos] ... ça me plaît énormément – et

il répète en acquiesçant – ça me plaît beaucoup, beaucoup. Je crois que j’éprouve vraiment du plaisir à

créer des monstres, un grand plaisir. C’est vraiment fantastique. Plus le tableaux est monstueux, plus il

procure de plaisir, justement parce qu’il dépasse les limites de l’admissible et la nouvelle beauté fait son

apparition quand tu dépasses ce niveau de l’admissible. Ceci dit, l’attrait pour le monstrueux n’est pas

justifié s’il n’y a pas au préalable ce besoin de créer une nuovelle phénoménologie capable de produire en

même temps un phénomène nouveau esthétique. De sorte que le plastique prime toujours sur le morbide.

Mais effectivement, le plaisir du monstrueux est indubitable, c’est le moteur fondamental de mon travail.

3 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 157-176, passim

4 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel”, in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., p. 158

[...] maldad... es decir correspondiendo con la definición de aquella entidad abstracta constituida

por las cosas “que son malas” porque dañan, hacen padecer, o son contrarias a la moral establecida o al

precepto religioso.

Page 94: José Angel Valente, il poeta e le arti

94

atravesar la historia con su potencial latente y aparecer esporádicamente, impregnar en su flujo interno

otros lenguajes artísticos -evidentemente el pensamiento literario, que es su dominio, y de forma menos

evidente, pero no menos significativa, la música-, correspondiéndose en general a una temática

inconfesada, inconsciente o a menudo silenciada. La mirada cruel, sin embargo, comporta

condicionamientos específicos que se relacionan con los procesos mentales o físicos de construcción en

la destrucción, que limitando y definiendo el alcance del Mal en el arte, sitúan un ingrediente operativo

que se precisa de forma determinante en la estructura interna de la obra.

[...] Di fronte ad un’idea della perfezione si opporrà l’equilibrio miracoloso di ciò che si degrada,

si corrompe, si trasforma o conforma, in un atto irrimediabile, irrecuperabile, di una luminosa

corruzione. Tali condizioni hanno, per l’osservatore attento, il migliore strumento di misurazione: il

sismografo dello “sguardo crudele”. In se e per sé la pratica dello sguardo crudele costituisce uno dei

supporti essenziali dell’arte del male… Quello che definiamo come Male può essere eterodossia,

perversità, ossessione o carattere smisurato, patentizzazione di ciò che è sessuale e di ciò che è satanico;

può attraversare la storia con il suo potenzile latente e apparire sporadicamente, impregnare nel suo

flusso interno altri linguaggi artistici -evidentemente il pensiero letterario, che è il suo dominio, e in

forma meno evidente, ma non meno significativa, la musica-, corrispondendo in generale ad una tematica

inconfessata, incosciente o spesso sottaciuta. Lo sguardo crudele, tuttavia, comporta condizionamenti

specifici che si relazionano con i processi mentali e fisici di costruzione nella distruzione, che limitando e

definendo la portata del Male nell’arte, situano un ingrediente operativo che si precisa in forma

determinante nella struttura interna dell’opera.1

La mostruosità delle opere sauriane non deve quindi essere intesa come un qualcosa che ha

l’intento di spaventare o shockare lo spettatore, ma piuttosto quale spunto di riflessione sull’idea di

bellezza che secondo l’artista non coincide con quella perfetta proposta dai modelli classici e

dall’arte ufficiale.2 La deformità per Saura è connaturata sia all’aspetto che al pensiero dell’uomo e

perciò essa non deve stupire.

[...] El insecto que nos contempla quedaría asombrado frente al paisaje que ante sus ojos

monstruosos se presenta: los ojos que le contemplan no son menos monstruosos, encajados en agujeros,

acompañados de orificios para respirar y oír, montículos y excreciencias gratuitas. Posiblemente de aquí

venga el interés por ciertos autorretratos excepcionales en donde las características morfológicas

aparecidas frente al espejo reflectante se transforman, en el espejo de la mente, en situaciones de

intensidad y crispación bien naturales. “L’enfer est là”, afirmó Giacometti, y este infierno del rostro...

[...] L’insetto che ci contempla rimarrebbe meravigliato di fronte al paesaggio che si presenta

davanti ai suoi occhi mostruosi: gli occhi che lo contemplano non sono meno mostruosi, incassati in

buchi, accompagnati da orifizi per respirare e sentire, monticelli ed escrescienze gratuite. Forse viene da

qui il nostro interesse per certi autoritratti eccezionali dove le caratteristiche morfologiche apparse di

fronte allo specchio riflettente si trasformano, nello specchio della mente, in situazioni di intensità ed

esasperazione del tutto naturali. “L’inferno è là”, affermò Giacometti, e quest’inferno del volto…3

1 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., p. 159

2 BOZAL, VALERIANO, “Antonio Saura: la metamorfosis del monstruo” in Valeriano Bozal, Pintura y

escultura españolas del siglo XX (1939-1990), op. cit., p. 416

... el monstruo deja de ser el contrario de la belleza e inferior a ella y pasa a afirmarse como otra

belleza, es decir, una forma de ver y representar el mundo, de crearlo y crearse. Mundo y sujeto de cuya

naturaleza no puede proclamarse perfección, serenidad o medida y para el que aparecer es la modalidad

adecuada de manifestarse.

3 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel. La crueldad sublime y lo monstruoso” in Antonio Saura, Fijeza:

ensayos, op. cit., p. 166

Page 95: José Angel Valente, il poeta e le arti

95

Antonio Saura, Autodafé, 1986, Antonio Saura, Autoritratto, 1960, Antonio Saura, Autoritratto 5b,

tecnica mista su cartone, 29,8 x 47,7 cm, olio su tela, 60 x 73 cm, collezione 1962, olio su tela, 60 x 73 cm,

Collezione Archivio “Antonio Saura” privata collezione privata

Il pittore di Huesca rimanda la naturale crudeltà, il male, la blasfemia e lo grotesco delle sue

opere ad una lunga tradizione presente sin dall’inizio della storia delle arti.1 L’aragonés identifica

differenti epoche e luoghi nei quali gli artisti applicano il suddetto principio dello “sguardo crudele”

sul mondo.

Crueldad ha habido mucha, especialmente cuando nos asomamos al vasto dominio de las artes

primigenias, o contemplamos cuanto se ha producido en lugares favorecidos –Venecia, Nápoles, Castilla

y Andalucía serán, quizá, los ejemplos más veraces-, cuando la teología afloja sus tenazas, o cuando, al

contrario, las aferra aún más en su presa hasta deformarla o herirla. Sátira feroz ha existido en

abundancia –la hallaremos, incluso, en ciertos dibujos del antiguo Egipto-, y caricatura grotesca desde

la más remota lejanía, siendo ambas formas motivo permanente de crueldad mientras subsista la lucidez

frente al terrorífico rostro humano o se mantenga la ceguera frente a nuestra propia y aberrante

condición. Nos queda la pasión del monstruo y la belleza de la obscenidad, aunque la fascinación que

ambas provocan, al menos en nuestra civilización, permanecerá ocultada, o cuando más sustituida, por

subterfugios morales que impedirán la franca y terrible declaración de su potencial hermosura.

Di crudeltà ce n’è stata molta, soprattutto quando ci affacciamo al vasto dominio delle arti

primigenie, o contempliamo quanto è stato prodotto in luoghi favorevoli –Venezia, Napoli, la Castiglia e

l’Andalusia saranno, forse, gli esempi più veraci-, quando la teologia allenta le sue tenaglie, o quando, al

contrario, le stringe ancor di più nella sua presa fino a deformarla o ferirla. La satira feroce è esistita in

abbondanza – la troveremo, persino, in certi disegni dell’antico Egitto-, e la caricatura grottesca sin

dalla più remota lontananza, essendo ambedue le forme motivo permanente di crudeltà fintanto sussista

la lucidità di fronte al terrificante volto umano o si mantenga la cecità di fronte alla nostra stessa e

aberrante condizione. Ci rimane la passione della mostruosità e la bellezza dell’oscenità, nonostante la

fascinazione che entrambe provocano, per lo meno nella nostra civiltà, rimarrà occulta, o per lo più

1 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 159-160

Crueldad, pues y nomadismo visual; fenomenología plastica evidenciada en la crudeza, y no

esencialmente alteración o desconsideración de lo sagrado; blasfemia sí, pero no aquella que el dogma

cristiano especifica; erotismo, evidentemente, pero sustentado fundamentalmente en lo sexuado, y por lo

tanto intimamente unido a la destrucción; destrucción también, pero unida a la construcción de una nueva

belleza, desprendimiento de la idea de la belleza, difícilmente, pero, en todo caso, unida a conceptos en

donde lo monstruoso, lo obsceno, lo convulso y destemplado, cobran primacía sobre lo apacible, lo

estático y reconfortante. El mal verdadero, cuyo carácter positivo es inseparable de este discurso, residiría

en la perversión del lenguaje: en la crueldad interna que fuerza, violenta las formas, conduciéndolas a un

fin predestinado e irremediable; en conceptos antinómicos de destrucción-construcción de la imagen o

estructura; en la evidencia de su desnudamiento grafológico; en su necesidad de alterar, degradar,

deformar, para alcanzar, en procesos de reconstrucción azarosa, una realidad por fin poseedora de su

propia maldad, abrupta en su esencia y blasfema de su origen. La maldad así definida puede hallarse en

formas condicionadas del pasado, mostrándose con feroz evidencia en ciertos ejemplos del presente.

Page 96: José Angel Valente, il poeta e le arti

96

sostituita, da sotterfugi morali che impediranno la franca e terribile dichiarazione della sua potenziale

bellezza.1

Tuttavia, il pittore attribuisce diretta influenza sulla sue opere solo ad alcune di queste

manifestazioni artistiche “crudeli”, in particolar modo alla tauromachia2 a al barocco. Secondo

Saura quest’ultimo stile artistico: “sorge sporadicamente o ciclicamente nella storia e può mostrare

la sua validità anche nel presente”. L’ascendenza diretta delle opere barocche sui monstruos sauriani

la si deve al fatto che a partire dalle prime manifestazioni di questo stile artistico la rappresentazione

della mostruosità inizia ad affrancarsi da qualsiasi pretesa moralizzante o condizionamento religioso.

Nonostante ciò, secondo quanto sostiene l’artista di Huesca, la piena liberazione della mostruosità e

delle sue pulsioni sessuali e violente si ottiene solo con l’evoluzione progressiva del barocco che, a

suo dire, termina nel XX secolo.

La aparición del monstruo en el pasado estaba condicionada a una intención moralizante, pues

siendo el monstruo artístico imagen obscena y blasfemiatoria, sorprende que por primera vez en la

historia hubieran creadores que concibieron lo monstruoso como humano, o como algo bello en sí mismo,

y no como un pretexto para mostrar una lección moral. [...]

L’apparizione del mostro nel passato era condizionata ad un’intenzione moralizzante, essendo il

mostro artistico immagine oscena e blasfema, sorprende che per la prima volta nella storia ci fossero

creatori che concepissero la mostruosità come umana, o come qualcosa di bello in se e per sé, e non

come pretesto per mostrare una lezione morale. [...]3

[...] El barroco contiene en su esencia, dentro de su himno vital y proliferante... una maldad

esencial que comprende, en su perversión conceptual, la convulsión extremada de las formas y su goce en

la yuxtaposición contra natura.

[...] Será a principios del siglo XX cuando semejante retórica de la crueldad se verá despejada de

condicionamientos sociales y culturales para verterse en la evidencia de la mirada cruel... el sentido

esencialmente destructor de la modernidad que forja la nueva belleza de la crueldad y su obsesiva

perfección en la misma.

[...] Il barocco contiene nella sua essenza, dentro al suo inno vitale e proliferante... una malvagità

essenziale che comprende, nella sua perversione concettuale, la convulsione eccessiva delle forme e il

suo piacere nella giustapposizione contro natura.

1 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 157-158

2 SAURA, ANTONIO, “La fiesta por dentro” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., p. 79

[...] La indudable crueldad de la corrida, que no debemos confundir con el placer que a algunos

proporciona, y que injustificada sería si fuese sola, se asemeja, en arte, al interés por lo monstruoso, lo

barrueco y lo soñado. Pues el monstruo, como la crueldad, dejan de serlo cuando el arte los transforma en

fenómenos de intensidad y de belleza, siendo necesidad, para algunos la más profunda y escondida, de

alcanzar tales fines. Así se me antoja que las grandes artes, entre las cuales debemos incluir la

tauromaquia, deben contar con lo cruel y lo monstruoso, ambos repugnantes en principio, pero que al ser

combinados con el sueño de la razón y el avíspero de la inteligencia, producen la imposible maravilla y el

susto de la mirada.

3 SAURA, ANTONIO, “La imagen barroca” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., p. 100

Page 97: José Angel Valente, il poeta e le arti

97

[...] Sarà all’inzio del XX secolo quando una simile retorica della crudeltà si vedrà liberata da

condizionamenti sociali e culturali per tradursi nell’evidenza dello sguardo crudele... il senso

essenzialmente distruttore della modernità che forgia la nuova bellezza della crudeltà e la sua ossessiva

perfezione nella stessa.1

Antonio Saura, Tauromachia, tecnica Antonio Saura, Ritratto immaginario di Goya n°3,

mista su tela, 494 x 400 cm, Collezione 1967-1968, olio su tela, 195 x 162,5 cm,

Archivio “Antonio Saura” collezione privata

Saura poi identifica due massimi esponenti di questa tendenza artistica barocca e mostruosa nella

storia: Velásquez e, soprattutto, Goya.2 Quest’ultimo riesce difatti ancor meglio del primo a liberare

la mostruosità dalla sua tradizionale vena moralistica.

[...] En el arte occidental, el monstruo, el verdadero, permanece solapado, sin poder aflorar

debido a los condicionamientos sociales e ideológicos que repercuten naturalmente en lo artístico. El

caso de la Quinta del Sordo de Goya será prácticamente único y excepcional. El monstruo humano, en

realidad, representaría la imagen arquetípica del mal hecho en él, y solamente en el siglo XX el monstruo

pictórico adquiere una validez en sí mismo no solamente como objeto del lenguaje liberador, sino

también como consecuencia del mismo. En realidad, fue Velásquez el primer pintor que pintó monstruos...

[...] Nell’arte occidentale, il mostro, quello vero, riamane occultato, senza poter affiorare a causa

dei condizionamenti sociali ed ideologici che si ripercuotono naturalmente nel fare artistico. Il caso della

Quinta del Sordo di Goya sarà praticamente unico ed eccezionale. Il mostro umano, in realtà,

1 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 171-173

2 SAURA, ANTONIO, “La imagen barroca” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., p. 96

[...] [Parlando del barocco] La ascensionalidad gótica, condenada al hieratismo, o la agonía

romántica tendente a la disolución, quedarían enxcluidos de esta consideración, lo cual no significa que en

uno o en otro período no hayan existido –y de hecho existen- obras concebidas con un impulso barroco.

Goya, Lautréamont y Wagner, por ejemplo, podemos considerarlos con todo derecho como barrocos...

SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel” in Antonio Saura, Fijeza: ensayos, op. cit., pp. 161-162

[...] [Parlando dell’opera di Goya rispetto ai suoi contemporanei] En sus magníficos grabados, y

especialmente en sus dibujos de aguadas, hallaremos imágenes menos anecdóticas y más ambiguas que

reflejarán la obsesión erótica, la fascinación por la violación, la complacencia en el mal y en lo

monstruoso.

[...] Las Pinturas negras no solamente son extraordinarias por constituir uno de los conjuntos más

sobrecogedores de la historia del arte, sino por haber sido uno de los pocos ejemplos, quizá el único hasta

el advenimiento del siglo XX, de una pintura hecha para sí mismo y no para los demás. [...] Es

precisamente su carácter especialísimo de inutilidad social, egoísta y personal, lo que les confiere su aura

de autenticidad liberatriz; fueron –y lo continúan siendo- libertarias ya que no fueron condicionadas por el

juicio ajeno, ni destinadas a ser juzgadas, admiradas y comprendidas...

Page 98: José Angel Valente, il poeta e le arti

98

rappresenterebbe l’immagine archetipa del male fatto in lui, e soltanto nel XX secolo il mostro pittorico

acquisisce una validità in sé stesso non soltanto come oggetto del linguaggio liberatore, ma anche come

conseguenza dello stesso. In realtà, fu Velásquez il primo pittore che dipinse mostri... 1

Antonio Saura, Il cane di Goya, 1997 Francisco Goya, Il cane sotterrato,

olio su tela, 250 x 200 cm, collezione 1819-1823, olio su intonaco trasferito

privata su tela, 131,5 x 79,3 cm, Museo del

Prado, Madrid

La crudeltà e la violenza delle opere sauriane è, oltre che espressione del gusto estetico personale

dell’artista, rappresentazione della brutalità condizionante un’intera epoca. L’artista non dimentica

le atrocità compiute in tutto il mondo e in Spagna nel periodo della sua infanzia e giovinezza,

avvenimenti che originano molte delle sue obsesiones artistiche.

[…] [Parlando dei primi ricordi di gioventù di Saura] … son las primeras imágenes que

permanecen desde la infancia, las de un hombre decapitado por una bomba, las de la massacre de

Guernica, de la que su padre le mostró fotos. Y luego, en el Prado, el nacimiento de la mirada del pintor,

el Perro de Goya y la Crucifixión de Velásquez. [...]

[...] ... sono le prime immagini che permangono dall’infanzia, quelle di un uomo decapitato da una

bomba, quelle del massacro di Guernica, del quale suo padre gli mostrò le fotografie. E dopo, nel Prado,

la nascita dello sguardo del pittore, il Cane di Goya e la Crocifissione di Velásquez.2

Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, Francisco Goya, 8 maggio 1808, 1814, olio su

349 cm × 776 cm, Museo Nazionale Centro d’Arte tela, 266 × 345 cm, Museo del Prado,

“Regina Sofia”, Madrid Madrid

1 SAURA, ANTONIO, “La mirada cruel. La crueldad sublime y lo monstruoso” in Antonio Saura, Fijeza:

ensayos, op. cit., p. 165 2 GUIGON, EMMANUEL, “Los procesos imaginarios de Antonio Saura” in Antonio Saura, Crucifixiones, op.

cit., p. 41

Page 99: José Angel Valente, il poeta e le arti

99

Antonio Saura, El grito VII, 1959, olio Antonio Saura, 24 cabezas, 1957, tecnica mista su carta,

su tela, 194,8 x 129,7 cm, Museo Nazionale 71 x 100 cm, collezione privata

Centro d’Arte “Regina Sofia”, Madrid

La bestialità di molte opere sauriane mira a denunciare ferocemente la pari brutalità dei crimini

commessi per molti anni dal regime franchista.

La reiterazione del tema della crocifissione, soprattutto negli anni ’50 e ’60, indica l’assuefazione

da parte della società spagnola nei confronti della tortura, pratica punitiva divenuta rituale nei lunghi

decenni di dittatura.

La crucifixión se halla intimamente relacionada con España por una historia fuerte, específica,

marcada tristemente, en el siglo veinte, por la guerra civil y el franquismo. [...]

La crocifissione si trova intimamente connessa con la Spagna da una storia forte, specifica,

marcata tristemente, nel ventesimo secolo, dalla guerra civile e dal franchismo.1

Il soggetto pittorico della crocifissione è reso ancor più drammatico ed emblematico della

tirannia franchista dall’impiego del colore rosso.

Al nero e al bianco della sua tavolozza “tradizionale”, il pittore aragonese decide infatti di

aggiungere altri colori negli anni ’60. Per quanto riguarda il crocifisso, l’addizione del rosso ricorda

il sangue versato dai moltissimi peseguitati dal regime.

Antonio Saura, Crocifissione nera e rossa, 1963, Antonio Saura, Hiroshima Mon Amour, 1963,

olio su tela, 130 x 162 cm, collezione privata olio ed inchiostro su carta, collezione privata

1 SURLAPIERRE, NICOLAS, “Representando crucifixiones” in Antonio Saura, Crucifixiones, op. cit., p. 47

Page 100: José Angel Valente, il poeta e le arti

100

Antonio Saura, Crocifissione, 1963, Antonio Saura, Crocifissione, 1964,

olio su tela, 195 x 245 cm, collezione privata autografia a colori, 40,8 x 46 cm, collezione

privata

Antonio Saura, Crocifissione, 1962, Antonio Saura, Crocifissione, 1961,

olio su tela, 130 x 162 cm, eliografia a colori, 74,5 x 101,5 cm,

collezione privata collezione privata

Lo stravolgimento delle fattezze di molti degli esponenti della storia imperiale spagnola

(soprattutto Filippo II), le caricature dei religiosi, di Francisco Franco e dei suoi ufficiali

testimoniano ancor di più l’insofferenza di Saura nei confronti di una Spagna che, fino alla metà

degli anni ’70, era oppressa dall’azione congiunta di diversi poteri.

Hay una interpretación política conocida de estos retratos imaginarios de Felipe II y de más

personajes de la historia española. La iconografía de Antonio Saura ponía sobre el lienzo y exhibía a las

miradas de todos la verdadera condición de aquellos que, en los años cinquenta, eran considerados como

legitimadores de una situación política represiva. La dictadura había hecho del imperio el referente más

tópico de su ideología, también el más retórico y, por qué no decirlo, el más esperpéntico. La dictadura

culminaba una interpretación falsa y mitificadora de la historia española. Saura se encargó de llamar la

atención sobre lo disparatado y monstruoso de esta interpretación. Los monarcas de los que se hablaba,

el imperio del que se vanagloriaban no era sino esas criaturas monstruosas que nos contemplaban y

aterrorizaban.

C’è un’interpretazione politica conosciuta di questi ritratti immaginari di Filippo II e di più

personaggi della storia spagnola. L’iconografia di Antonio Saura poneva sulla tela e esibiva allo

sguardo di tutti la vera condizione di quelli che, negli anni cinquanta, erano considerati come

legittimatori di una situazione politica repressiva. La dittatura aveva fatto dell’impero il referente più

comune della sua ideologia, anche il più retorico e, perchè non dirlo, il più esperpéntico. La dittatura

culminava un’interpretazione falsa e idealizzata della storia spagnola. Saura si incaricò di richiamare

l’attenzione sull’assurdità e la mostruosità di quest’interpretazione. I monarchi dei quali si parlava,

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101

l’impero del quale si vanagloriavano non era altro se non queste creature mostruose che ci

contemplavano e terrorizzavano.1

Antonio Saura, Il re, Antonio Saura, Filippo II, Antonio Saura, Caudillo, Antonio Saura, Prete, 1968-71, serigrafia, 1971, serigrafia, 69 x 50 cm, 1964, litografia a colori, 1959, china su carta,

69 x 50 cm, collezione collezione privata 32,6 x 38,5 cm, collezione collezione privata

privata privata

12 Libri d’autore

A partire dalla fine degli anni ’70 Valente intraprende, alla stregua di molti altri poeti del suo

tempo, numerose collaborazioni librarie con pittori, grafici e scrittori. L’avvio di queste

cooperazioni interartistiche serve al galiziano per illustrare parte delle sue poesie o raccolte poetiche

e dei suoi libri in prosa, dando loro una maggiore visibilità presso i lettori e, soprattutto,

aumentandone la significanza.

Tra le opere valentiane realizzate avvalendosi dell’apporto di altre personalità del mondo

dell’arte spiccano quelle composte con Tàpies, Chillida e Saura artisti che, come abbiamo asserito in

precedenza, nutrono un forte interesse per la grafica.

[...] A partir de los años sesenta, algunos artistas españoles... concretamente el pintor Antoni

Tàpies y el escultor Eduardo Chillida, ambos también productores de una extraordinaria obra gráfica,

comienzan a establecer interesantes diálogos interartisticos con escritores. Y es también a partir de esta

época y de este contexto cuando y dónde el poeta José Ángel Valente... sentirá la necesidad progresiva de

participar en tal tipo de empresa, como revelan, en los años setenta, Emblemas con Antonio Saura; en

los años ochenta El péndulo inmóvil con Antoni Tápies... y en los años noventa... Cántigas de alén con

Eduardo Chillida...

[...] A partire dagli anni sessanta, alcuni artisti spagnoli... concretamente il pittore Antoni Tàpies e

lo scultore Eduardo Chillida, entrambe produttori anche di una straordinaria opera grafica, cominciano

a stabilire interessanti dialoghi interartistici con degli scrittori. Ed è anche a partire da quest’epoca e da

questo contesto quando e dove il poeta José Ángel Valente, sentirà la necessità progressiva di

partecipare in questo tipo di impresa, come rivelano, negli anni settanta, Emblemas con Antonio Saura;

1 BOZAL, VALERIANO, “Temas de Antonio Saura” in Valeriano Bozal, Estudios de arte contemporáneo:

temas de arte español del siglo XX, op. cit., p. 292

Page 102: José Angel Valente, il poeta e le arti

102

negli anni ottanta Il pendolo immobile con Antoni Tàpies…e negli anni novanta… Cantiche dell’aldilà

con Eduardo Chillida…1

Emblemas è il libro realizzato da Saura e Valente nel 1979: esso comprende una poesia inedita

dell’orensano illustrata da 5 serigrafie (ciascuna di dimensioni 54 x 40 cm) del pittore aragonese.

Il risvolto iniziale del libro Emblemas pubblicato in 91 esemplari a Valladolid il 20 ottobre 1979

1° serigrafia 2° serigrafia 3° serigrafia 4° serigrafia 5° serigrafia

Nelle cinque serigrafie del libro sono raffigurati dei volti sfigurati che hanno una forte

somiglianza con le faccie “abissali” e “silenti” di cui abbiamo parlato e che Saura realizza su tela

proprio alla fine degli anni ’70. Inoltre, queste opere grafiche ricordano molto i cosiddetti Sudari e

cioè la lunga serie di rappresentazioni della Sacra Sindone realizzate dal pittore di Huesca a partire

dalla fine degli anni ’50.

1 CLAUDIO RODRÍGUEZ FER, “Valente en el espacio cero” in AA. VV., A palabra e a súa sombra: José Ángel

Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes = The word

and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola Universidade, Pazo

de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., p. 217

Page 103: José Angel Valente, il poeta e le arti

103

Antonio Saura, Sudario, 1978, Antonio Saura, Sudario, 1979, Antonio Saura, Sudario, 1978,

64 x 44 cm, serigrafia a colori, olio su tela, 130 x 97 cm, olio su tela, 130 x 97 cm,

collezione privata collezione Archivio collezione Archivio

“Antonio Saura” “Antonio Saura”

Nel 1979 Saura ha già alle spalle una lunga carriera di illustratore di libri iniziata nel periodo

dell’adolescenza. Dai tredici ai diciassette anni, costretto a vivere a letto a causa della tubercolosi, il

pittore legge moltissimi libri ed inizia a creare illustrazioni di parte di questi su dei quaderni. Con il

passaggio all’età adulta l’artista aragonés diviene un vero e proprio bibliofilo, collezionista ed

illustratore irrefrenabile di innumerevoli testi.1

Per Saura illustrare un libro comporta la piena adesione da parte dell’illustratore al pensiero dello

scrittore: il grafico deve cercare di mantenere la massima fedeltà possibile nei confronti del

significato originario del testo.

A.S. [...] Mais pour repondre à ta question de façon plus précise – si la précision est possible dans

une situation aussi ambiguë – je pourrais te dire qu’illustrer un livre c’est assurément le traduire

plastiquement, c’est-à-dire le traduire dans une language esthétique qui obéit à une pensée différente,

sûrement éloignée du language littéraire. Trahir pour mieux pénétrer... ? Ce serait trop prétentieux de la

part du peintre. Simplement interpréter... ? Ce serait trop simpliste et fournirait en outre, sans aucun

doute, une mauvaise illustration. À mon avis, les mauvaises illustrations sont celles qui prétendent être

seulement interprétatives, celles qui souffrent précisément de « timidité interprétative », ou ces autres,

franchement détestables, frut du dogmatisme, de la fidelité mal comprise, de la descripción ou du

réalisme. De toute façon, la fidélité – la véritable – est seulement la conséquence de la capacité

d’imprégnation littéraire de l’illustrateur, de son admiration et de son dévouement fervent.

A. S.: Ma per rispondere alla tua domanda in modo più preciso – se la precisione è possibile in

una situazione così ambigua- io potrei dirti che illustrare un libro è sicuramente tradurlo plasticamente,

vale a dire tradurlo nel linguaggio estetico che obbedisce a un pensiero differente, sicuramente scostato

dal linguaggio letterario. Tradire per penetrare meglio…? Questo sarebbe troppo pretenzioso da parte

del pittore. Interpretare semplicemente…? Questo sarebbe troppo semplicista e fornirebbe tra l’altro,

senza alcun dubbio, una cattiva illustrazione. A mio avviso, le cattive illustrazioni sono quelle che

pretendono di essere solo interpretative, quelle che soffrono precisamente di “timidezza interpretativa”,

o quelle altre, francamente detestabili, frutto del dogmatismo, della fedeltà mal compresa, della

descrizione o del realismo. In ogni modo, la fedeltà, -quella vera- è soltanto la conseguenza della

1 COHEN, MARCEL, “El cuarto de Gregor Samsa” in Olivier Weber-Caflisch, Antonio Saura. The prints.

L’oeuvre imprimé. La obra gráfica. Catalogue raisonné, Madrid, Ministerio de Cultura, 2000, pp. 765-767,

passim

Page 104: José Angel Valente, il poeta e le arti

104

capacità d’assorbimento letterario dell’illustratore, della sua ammirazione e della sua fervente

devozione.1

Emblemas, assieme all’edizione francese del 1995 di Cántigas de alén, rappresenta uno dei due

libri composti assieme da Valente e Saura. Infatti le edizioni delle altre opere del galiziano aventi

illustrazioni sauriane hanno semplicemente preso “in prestito” queste ultime. I disegni sauriani di

molte creazioni valentiane si configurano pertanto quali segni dell’ammirazione per il pittore di

Huesca la cui scomparsa, nel 1998, viene omaggiata da Valente con la poesia Nubes para Antonio

Saura.

José Ángel Valente, Presentazione e memoriale José Ángel Valente, Trentasette frammenti, 1989,

per un monumento, 1970, edizione arrecante la edizione con illustrazioni sulla copertina e la sopraccoperta

riproduzione di un disegno sauriano sulla di Antonio Saura

copertina

José Ángel Valente, Cantiche dell’aldilà, 1990, José Ángel Valente, Lettura a Tenerife, 1995,

edizione con illustrazioni sulla copertina e edizione francese con la riproduzione di un

sopraccoperta di Antonio Saura disegno sauriano sul frontespizio

1 RÍOS, JULIÁN, “IV Fax à fax (aout 1994)” in Julián Ríos, Portraits d’Antonio Saura, op. cit., pp. 92-93; trad.

in italiano a c. di Giulio Bartolini

Page 105: José Angel Valente, il poeta e le arti

105

José Ángel Valente, Il pittore illustrato. José Ángel Valente, Cantiche dell’aldilà, 1995,

Per Antonio Saura, 1998, edizione con edizione in francese con un disegno sulla copertina

copertina arrecante un disegno sauriano ed una litografia all’interno di José Ángel Valente

Nubes para Antonio Saura

Por un instante viven

las formas.

Arden.

Se disuelven en sí.

Son nada.

La nada

en la que el mundo es súbita

fulguración

de memorias borradas.1

La cooperazione libraria che si stabilisce tra Valente e Tàpies è molto forte, come d’altronde lo è

la stima reciproca nutrita dall’uno verso l’altro.

El péndulo inmóvil, libro del 1982, rappresenta uno dei frutti più importanti di questa

collaborazione: esso consiste di due poesie manoscritte valentiane Visita a ningún lugar, sin fecha e

Variación sobre un tema barroco oltre a 3 acquaforti del pittore di Barcellona.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Nubes para Antonio Saura” in José Ángel Valente, Obras completas: poesía y

prosa, op. cit., pp. 840-841

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106

Visita a ningún lugar, sin fecha.

En la sala

hay un viejo reloj de madera semiempotrado

en el muro. Un sitio crea el reloj; el péndulo

le detiene.

Como lo divino es indiferente

a la forma, el tiempo (¿número del pensamiento?)

seña indiferente a la cantidad.

El péndulo

le detiene.

Sólo en el péndulo parado

le inscibe en verdad el ser del tiempo.

Variación sobre un tema barroco

Péndulo, cero irreal o número del tiempo

del antes y el después.

Del antes

de fué, de quién, de cuándo,

del después

de fué palabra fue nunca antepusimos.

Péndulo inmóvil.

Cero.

Tantos después envuelve ya el pasado

y tantos antes no nacidos nunca. 1

1 AA. VV., “Libros ilustrados con obra gráfica e orixinal” in VV. AA., A palabra e a súa sombra: José Ángel

Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las artes = The word

and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola Universidade, Pazo

de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., pp. 78-81

Page 107: José Angel Valente, il poeta e le arti

107

Questi due componimenti poetici sono omaggi al concetto di temporalità che soprassiede a molte

delle realizzazioni del pittore di Barcellona.

Alla pari di molti artisti contemporanei il pittore vuole mostrare in molte sue creazioni come

anche l’opera d’arte sia sottoposta all’azione del tempo. Si pensi, ad esempio, alla deperibilità di

quegli assemblages su tela dove il pittore inserisce delle maglie o delle calze, oppure a quei tavoli,

divani e sacchetti assurti ad opere artistiche.

Antoni Tàpies, Graffiti, 1995, Antoni Tàpies, Né porte né finestre, Antoni Tàpies, Fardello, 1970

vernice e college su legno 1993, vernice, collage e assemblage pittura su oggetto-assemblage,

313 x 160 cm, collezione su legno, collezione privata, collezione privata

privata, Barcellona Barcellona

La collaborazione fra i due continua anche negli anni successivi dando luogo non soltanto a testi

valentiani illustrati da disegni di Tàpies, ma pure a ripubblicazioni del principale scritto teorico del

catalano, Comunicación sobre el muro, comprensive dei componimenti dedicategli da Valente.

Ciononostante, rimangono comunque più numerosi i disegni grafici e i dipinti del barcellonese

che il poeta orensano sceglie di “inserire” in particolari edizioni delle sue opere.

Dedicatoria di Antoni Tàpies a Coral e José Ángel Valente, Nostalgia del dragone e il labirinto, 1986,

José Ángel Valente edizione con litografia di Antoni Tàpies

collezione privata

Page 108: José Angel Valente, il poeta e le arti

108

José Ángel Valente, Interno con figure, 1987, edizione francese José Ángel Valente, Material Memoria,

con riproduzione di un disegno di Antoni Tàpies sulla copertina 1979, edizione con riproduzione di un ed una sua acquaforte all’interno disegno di Tàpies sulla copertina e con

alcune illustrazioni del pittore all’interno

José Ángel Valente, Il volo alto e leggero, José Ángel Valente, Material memoria (1979), Mandorla

1998, edizione con l’incisione Agape di Tàpies (1982) e Tre lezioni di tenebre (1985), edizioni con

sulla copertina riproduzioni di Tàpies sulla copertina e sue illustrazioni

José Ángel Valente, Il fulgore, 1987, edizione francese dell’opera Antoni Tàpies, Omaggio a Valente, 1999,

con riproduzione di un disegno di Tàpies sulla copertina e matita e olio su carta, 25 x 24 cm,

un’incisione del pittore all’interno collezione privata

Antoni Tàpies, Cartes per a la Teresa (selezione), 1971

Page 109: José Angel Valente, il poeta e le arti

109

A. Tàpies, J. Á. Valente e l’editore Alfonso Alegre alla Antoni Tàpies e J. Á. Valente, Comunicazione

presentazione di Comunicación sobre el muro, edizione sul muro, 2004, edizione contenente 3 saggi

La Rosa Cúbica, presso la Fondazione “Tàpies” di valentiani dedicati all’amico pittore

Barcelona nel febbraio del 1998

Abbiamo già asserito come Valente tragga spunto per la stesura di numerosi suoi componimenti,

poetici e non, dalla contemplazione di alcune tele di Tàpies.

Uno di questi è la poesia Escriptura sobre cos che prende il titolo dall’omonimo quadro del

pittore catalano. Il poeta gallego considera quest’opera espressione della libertà della materia da cui

è formata, quella a cui anche le parole “corporali” valentiane aspirano.

Una tarde de París, hacia 1987, en la galería Lelong, solo ante un cuadro de Tàpies escribí un

poema, que sería así una copia del natural, entendiendo por natural la materia contaminante,

multiplicadora, generadora del cuadro mismo. Por eso el poema se llama igual que el cuadro: Escriptura

sobre cos. Quisiera cerrar con él este texto, como homenaje cierto y testimonio de una antigua

complicidad.

Una sera di Parigi, verso il 1987, nella galleria Lelong, solo davanti ad un quadro di Tàpies scrissi

una poesia, che sarebbe stata così una copia dell’originale, intendendo per originale la materia

contaminante, moltiplicatrice, generatrice del quadro stesso. Per questo la poesia si chiama allo stesso

modo del quadro: Scrittura sul corpo. Vorrei concludere con questa poesia il testo, come omaggio certo e

testimonianza di un’antica complicità1

A Antoni Tàpies

Escriptura sobre cos

Cuerpo volcado

sobre sombra.

Toma forma de sí.

Se abre

hacia su vértice.

Tendido.

Escribo sobre cuerpo.

Número,

Fracción.

Graffito el siete..

Escribo,

escribes sobre sombra, sobre cuerpo, donde

viene la luz a requerirte oscura.

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Escriptura sobre cos” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente, Comunicación sobre

el muro, op. cit., p. 59

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110

(Escriptura sobre cos)1

La poesia ed il quadro sono accomunati da un titolo che si riferisce esplicitamente al loro

contenuto: la scrittura su di un corpo.

Tuttavia, occorre tener presente come nella pittura di Tàpies i soggetti rappresentati non sono ciò

che appaiono ai sensi del loro osservatore:2 in questo caso, la suggestione di un corpo femminile ed

una strana formula scritta su di esso. Essi sono piuttosto manifestazioni del pensiero dell’autore che,

come sappiamo, non è mai di immediata comprensione.

Tutto questo rende la trasposizione poetica valentiana di Scrittura sul corpo tanto misteriosa

quanto l’originale.

El título común a cuadro y poema los describe fielmente a ambos, puesto que el poema está

también escrito sobre (encima o acerca de) un cuerpo, el constituido por el cuadro, que es tan compacto

e indivisible como el que hay dentro del cuadro mismo, y que como éste se mantiene en la sombra (del

sentido). El verso “Escribo sobre cuerpo” es también en Valente una afirmación literal. En esta

operación desdoblada de la escritura el poema no explica el cuadro, sino que en la aparente descripción

lo que hace es reproducir un proceso, en el cual se manitene intacto el misterio. Se evoca, al nombrarla

tanto como al duplicarla, toda la oscuridad del cuadro.

Il titolo comune a quadro e poesie li descrive entrambe fedelmente, dato che la poesia è anch’essa

scritta su (sopra o vicino ad esso) di un corpo, quello costituito dal quadro, que è così compatto e

indivisibile come quello che c’è dentro al quadro stesso, e come questo si mantiene nell’ombra (del

senso). Il verso “Scrivo sul corpo” è anche in Valente un’affermazione letterale. In quest’operazione

sdoppiata della scrittura la poesia non spiega il quadro, ma quello che fa nell’apparente descrizione è

riprodurre un processo, nel quale si mantiene intatto il mistero. Si evoca, al nominarla così come al

duplicarla, tutta l’oscurità del quadro. 3

1 VALENTE, JOSÉ ÁNGEL, “Escriptura sobre cos” in Antoni Tàpies e José Ángel Valente, Comunicación sobre

el muro, op. cit., p. 61 2 MONEGAL, ANTONIO, “Voces y trazos del silencio (diálogos entre las artes)” in VV. AA., A palabra e a súa

sombra: José Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las

artes = The word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola

Universidade, Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., pp. 212-213

A primera vista la relación entre el cuadro y su título resulta de una notable literalidad. Es

prácticamente una descripción explícita, pero que sin embargo oculta más de lo que dice. Porque no dice

más que lo que hay. En ningún momento sirve el título para desvelar el sentido del cuadro, sino que tiende

a confirmar su naturaleza enigmática. Tampoco la escritura que hay sobre el cuerpo sirve para iluminarlo.

Lo deja en la sombra, porque es ella misma sombra de escritura; formula misteriosa que no enuncia sino

su propia presencia, su propio misterio –lo que no es incompatible con la carga mágico-simbólica que se

otorgue al siete en la obra de un miembro del grupo Dau al Set-. Más que aclarar el sentido, esta

inscripción sobre el cuerpo proyecta sombra sobre sombra, hace la imagen más indecifrable de lo que

hubiera sido con la sola presencia del perfil de un cuerpo.

3 MONEGAL, ANTONIO, “Voces y trazos del silencio (diálogos entre las artes)” in VV. AA., A palabra e a súa

sombra: José Ángel Valente, o poeta e as artes = La palabra y su sombra: José Ángel Valente, el poeta y las

artes = The word and its shadow: José Ángel Valente: the poet and the arts, [exposición organizada pola

Universidade, Pazo de Fonseca, Igraxa da Universidade, 20 xuño – 31 agosto 2003], op. cit., ibd.

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111

Antoni Tàpies, Scrittura sul corpo, 1984, J. Á. Valente e A. Tàpies in posa durante il loro incontro

vernice e matita su carta incollata su tela, barcellonese del 1995

72 x 104 cm, collezione privata

La principale delle “imprese” librarie che vedono coinvolti Valente e Chillida è la realizzazione

dell’edizione del 1996 di Cantiche dell’aldilà. Quest’ultima consta dell’omonima raccolta poetica

valentiana in versione castigliana e di quattro acquetinte realizzate dallo scultore ed incisore basco.

Juan Conde Roa, Eduardo Chillida, Xerardo Estévez, Manuel Fraga, Jesús Pérez Varela, José Ángel Valente

e Claudio Rodríguez Fer alla presentazione dell’edizione del libro Cántigas de alén illustrata da E. Chillida,

Santiago de Compostela, 1996

Le incisioni chillidiane “supportano” la tensione al silenzio e alla dissoluzione dei significati

delle poesie di questa raccolta originariamente scritta in gallego. Le parole poetiche di Cantiche

dell’aldilà alla stregua dei disegni del basco che le illustrano, sono in bilico fra il rappresentare

determinati significati e tacerne altri. Esse simboleggiano l’indecibilità, il vuoto, il nulla ossia

concetti dei quali abbiamo mostrato la costante presenza nell’opera di Valente e Chilllida.1

1 LLODRÁ, JOAN MIQUEL, “Las obras maestras” in Llodrá, Joan Miquel, op. cit., p. 126

Page 112: José Angel Valente, il poeta e le arti

112

Se l’ammirazione di Valente per Chillida si manifesta nella realizzazione di saggi come Chillida

o la transparencia e Rumor de límites, quella dello scultore donostiarra per il galiziano si esplicita

in una serie di opere grafiche intitolata Alrededor de Valente.

Eduardo Chillida, Attorno a Valente I, 1995, Eduardo Chillida, Attorno a Valente II, 1995,

Acquaforte (acquatinta) con rilievo, Acquaforte (acquatinta), Galleria Dorothea

Galleria Dorothea Van der Koelen, Mainz Van der Koelen, Mainz

José Ángel Valente, Lettura di Paul Celan: frammenti, 1993,

edizione con riproduzioni di disegni di Chillida all’interno

e di Attorno a Valente II sulla copertina

13 Conclusioni

Questo testo ha dimostrato come vi siano molteplici affinità tra Valente, da una parte, e Tàpies,

Chillida e Saura, dall’altra.

Il lettore attento avrà notato che sono state condotte analisi mirate dei temi oggetto della

trattazione: esse sono volte a dimostrare la peculiarità dei rapporti tra il gallego e gli altri artisti. Ciò

non esclude quindi che tematiche di cui abbiamo parlato solo in riferimento ad alcune di queste

personalità riguardino anche le altre.

La condivisione di determinati interessi da parte di Valente e degli altri artisti analizzati non

deriva da perfette corrispondenze di pensiero o di opere ma piuttosto da una profonda sintonia

Page 113: José Angel Valente, il poeta e le arti

113

poetica grazie alla quale le riflessioni sull’arte e le opere di Tàpies, Chillida e Saura si sono,

direttamente o indirettamente, “intrecciate” con quelle di Valente.

Page 114: José Angel Valente, il poeta e le arti

114

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