John Meddemmen - Enciclopedie, Isole Deserte, Bambole. La Formazione Dei Giovani Inglesi (1780-1905)

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John Meddemmen ENCICLOPEDIE, ISOLE DESERTE, BAMBOLE La formazione dei giovani inglesi (1780-1905)

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John Meddemmen

ENCICLOPEDIE, ISOLE DESERTE,

BAMBOLELa formazione dei giovani inglesi

(1780-1905)

9544437888769

ISBN 978-88-7695-444-3

John Meddemmen, nato nel 1936 a Perth in Australia da famiglia londinese, si è laureato in Filologia Classica a Cambridge (Downing 1959). In seguito si è trasferito in Italia con una Borsa di Studio presso il Collegio Ghislieri, dove vive a tutt’oggi; è professore di Storia della Lingua inglese all’Università di Pavia. Fra le sue molte traduzioni in inglese di testi critici italiani di impronta semiologica, due libri di Cesare Segre, Structures and Time (Chicago), e Introduction to the Analysis of the Literary Text, (Indiana). Ha curato il primo tomo del primo volume dell’Edizione Critica delle Opere di Beppe Fenoglio diretta da Maria Corti i capitoli inglese dell’Ur-Partigiano Johnny, scrivendo in seguito una ventina di saggi dedicati allo scrittore di Alba. Ha contribuito a varie riviste, oltre ad Alfabe-ta: Athenaeum, Il Confronto letterario, Strumenti critici. Per Arcipelago Edizioni ha pubblicato nel 2010 L’arte di morire. Graffiti ed epitaffi.

In copertina: illustrazione del 1895 di Gordon Browne per F. W. Farrar, Eric, or Little by Little (1858).

Il reverendo Isaac Taylor (1759-1826) era protestante nonconformista e, in quanto tale, non poteva accedere alle università anglicane di Oxford e Cambridge; si era formato invece nell’ambito delle Enciclopedie, quelle inglesi dell’inizio del Settecento – era pastore ma anche incisore – e in seguito egli stesso e i vari membri della sua famiglia avrebbero pubblicato decine di libri di impronta rigorosamente empirica, destinati ai giovani lettori ai quali veniva intimato di diffidare dei pericoli dell’immaginazione e di rendersi conto che persino i mattoni dei palazzi erano soltanto mattoni. Jeffreys Taylor, il figlio, si sarebbe opposto a qualsiasi impostazione ottimi-stica delle capacità umane, segnatamente quelle delle Robinsonate allora di moda. Descrive con dovizia di dettagli, alla Gran Guignol, i malriusciti tentativi di sopravvenza di un branco di giovani inesperti, lasciati a sé su un’isola deserta. Questo libro del 1842, The Young Islanders, godeva di una certa risonanza all’epoca; la sua tesi anticipa di un secolo il libro oggi famoso, Il signore delle mosche. William Golding, nel 1954, se la prende esplicitamente con The Coral Island (1858), senza rendersi conto che l’autore vittoriano, Ballantyne, aveva davanti a sé il libro di Jefferys.La bambola, prima persona narrante, nasce, sulla scia di Oliver Twist, in un contesto dickensiano. Mary Poppet, il personaggio di Richard Henry Horne (1802-1884), descrive con inesorabile oggettività i vari ambienti sociali in cui viene a trovarsi. Questo testo e molti altri che appariranno in seguito, tutti indirizzati ai giovani, si inseriscono nel contesto di un impegno filantropico più ampio che non si accontentava della sola parola scritta. Nell’insieme, costituiscono una denuncia molto efficace dei comporta-menti e delle sofferenze determinati dalle rigide distinzioni di classe nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana.

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John Meddemmen

ENCICLOPEDIE, ISOLE DESERTE, BAMBOLE

La formazione dei giovani inglesi(1780-1905)

Milano2010

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“Alle prese con le moderne meraviglie”, Il Confronto letterario, XIII, n. 25,Maggio 1996, pp .23-54.

“Una disfatta in disparte. I giovani isolani di Jefferys Taylor (1842) e leRobinsonate dell’ottocento inglese”, Il Confronto letterario, XVII, n.33, Maggio2000, pp. 51-82.

“Tre bambole inglesi e i loro ambienti. L’infanzia all’insegna dello snobbismo(1846-1905)”. Il Confronto letterario, anno XI, n.21, Maggio 1994, pp. 53-73,anno XI, n. 22, Novembre 1994, pp. 289-309.

© John Meddemmen

per la presente edizione© 2010 Arcipelago edizioni

Via Carlo D’Adda 2120143 Milano

[email protected]

Prima edizione Dicembre 2010

ISBN 978-88-7695-444-3Tutti i diritti riservati

Ristampe:7 6 5 4 3 2 12015 2014 2013 2012 2011 2010

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, com-presa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

In copertina: Illustrazione del 1895 di Gordon Browne per F. W. Farrar, Eric,or Little by Little (1858).

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Indice

ENCICLOPEDIE

ALLE PRESE CON LE MODERNE MERAVIGLIE: L’“ENCICLOPEDIA” E I RAGAZZINELL’IMPOSTAZIONE DIDATTICA DEI TAYLOR DI ONGAR . . . 13

L’Enciclopedia e i suoi destinatari . . . . . . . . . . . . . . . 13

John Harris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

Ephraim Chambers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Abraham Reese e i Taylor di Ongar . . . . . . . . . . . . . . 31

Una famiglia di scrittori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

Londra 1818 e1832: una città moderna . . . . . . . . . 41

Tenersi aggiornati: il Tunnel . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

Mezzi di locomozione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

L’empirismo imperante: l’immaginazione alle prese con le meravglie del gas e con i mattoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

Il ragazzo ribelle: Harry’s Holiday (1818) . . . . . . . . . 54

La lezione di filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

Harry e il suo apparecchio elettrico . . . . . . . . . . . . . . 59

Contrastare il nozionismo. Catherine Sinclair . . . . . . 61

Il caleidoscopio e l’arcobaleno . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

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ISOLE DESERTE

UNA DISFATTA IN DISPARTE. I GIOVANI ISOLANI DI JEFFERYS TAYLOR (1842) E LE ROBINSONATE DELL'OTTOCENTO INGLESE . . . . . . . . . 69

Davanti a me tu hai preparato una mensa . . . . . . . . 74

Nuovi mondi e meraviglie nascoste . . . . . . . . . . . . . . 79

Tre narratori, tre isole: Bowman, Ballantyne, Taylor . . 89

1842. L’esperienza iniziatica: padroni di se stessi . . . . 96

Con, a portata di mano, ogni ben di Dio! . . . . . . . . . 103

La collaborazione mancata. La disgregazione . . . . . . 110

Il crollo della caverna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

BAMBOLE

TRE BAMBOLE INGLESI E I LORO AMBIENTI: L’INFANZIA ALL’INSEGNA DELLO SNOBISMO (1846) . . . . . . 125

Un racconto “tedesco” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

La creazione della bambola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134

Andersen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136

Conoscere il mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

Il primo ambiente. Il lavoro a domicilio . . . . . . . . . . 141

Diversi ambienti, diverse situazioni sociali. La trama . 143

La prima padroncina. La pasticceria . . . . . . . . . . . . 144

Il lavoro minorile. La casa della zia . . . . . . . . . . . . . 145

La vestizione della bambola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

Il primo cambiamento di proprietà . . . . . . . . . . . . . . 150

La seconda padroncina. L’ambiente della contessina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

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Perduta e ritrovata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154

Il bel mondo e il mondo delle sarte . . . . . . . . . . . . . . . . 156

PARTE SECONDA

STARE FUORI; GUARDANDO DENTRO (1866-1905) . . . . . . . 159

Victoria Bess. The ups and downs of a doll’s life . . . . . 166

La scelta della bambola e del suo nome . . . . . . . . . . . 169

La signora Binney, “a social worker” . . . . . . . . . . . . . 171

Il giocattolo rivale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

Relegata all’armadio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

Il Natale delle ragazzine malate . . . . . . . . . . . . . . . . 176

La filastrocca delle bambole rivali . . . . . . . . . . . . . . 179

La bambola oggetto inanimato . . . . . . . . . . . . . . . . . 181

Aggredire la bambola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193

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nam puer coepi rogare te, auxilium et refugiummeum, et in tuam invocationem rumpebamnodos linguae meae et rogavo te parvus nonparvo affectu, ne in schola vapularem. et cumme non exaudiebas, quod non erat adinsipientiam mihi, ridabantur a maioribushominibus usque ad ipsis parentibus, qui mihiaccidere male nihil volebant, plagae meae,magnum tunc et grave malum meum.

(Sant’Agostino, Confessioni I. 9)

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ENCICLOPEDIE

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ALLE PRESE CON LE MODERNE MERAVIGLIE:L’“ENCICLOPEDIA” E I RAGAZZINELL’IMPOSTAZIONE DIDATTICA

DEI TAYLOR DI ONGAR

From Art and Science truecontentment springs;Science points out the Cause,Art the Use of things.

L’ENCICLOPEDIA E I SUOI DESTINATARI

Quando nel 1704 John Harris presentò al pubblico ilsuo Lexicon technicum, due sostanziosi volumi in folio,1 citenne a rivendicare sin dal sottotitolo il carattere innovativodi questa sua impresa, in effetti imponente. Si tratta, volleprecisare, di An Universal English Dictionary of Arts andSciences, e cioè, non di un dizionario qualsiasi, ma diun’opera con pretese di organicità, «un libro utile da leg-gersi da cima a fondo, che non va consultato di tanto intanto come si fa con gli altri dizionari».

Del tutto occasionali invece le cose curiose e le infor-mazioni varie che dal 1747 al 1800 riempiono le pagine di

1 John HARRIS, Lexicon Technicum or, An Universal EnglishDictionary of Arts and Sciences: explaining not only the Terms of Art, butthe Arts themselves, London 1704.

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un’effemeride tipica della sua epoca, «The Universal Ma-gazine of Knowledge and Pleasure».2 L’universalità allaquale mirano i compilatori di opere di questo genere pre-senta analogie forse non casuali con pubblicazioni piùscientificamente impegnate come «The Philosophical Tran-sactions of the Royal Society», i cui fascicoli, a partire daglianni sessanta del Seicento, avevano accolto e sottoposto al-l’attenzione degli studiosi i contributi scientifici di chiun-que: indice evidente per gli avversari, di impostazione piùclassicheggiante, della sfrenata indisciplina di queste nuovediscipline. Nel caso di John Harris, l’aggettivo “universal”alludeva ad un assetto universalizzante in campo scientifico,capace, almeno per ipotesi, di abbracciare, e di ridurre ad unordine matematicamente inteso, le nuove discipline, ten-denzialmente centrifughe. Lo stesso aggettivo “universal”,collocatosi nell’ottica più umile del nostro «Universal Ma-gazine», serve a designare – non certo a definire – uno zi-baldone di nozioni, un almanacco disperatamente al passocon i tempi. Lo stesso sottotitolo è una congerie un tantinoinesorabile che va citata per il fatto stesso; ogni mese la ri-vista offrirà ai suoi lettori, «notizie, corrispondenze, dibat-titi; poesia, musica, biografia, storia, geografia, viaggi permare; critica letteraria, verbali da accademia, filosofia natu-rale, matematica; agricoltura, giardinaggio, gastronomia;chimica, meccanica, commercio, navigazione, architettura».Sono accostamenti da caleidoscopio.

Il foglio così concepito si rivolge ad un pubblico ben pre-ciso: in primo luogo, alla Gentry, ma anche, e con più pro-babilità di riuscirci, ad altri, ai mercanti, agli agricoltori, ai

2 Apparso a Londra nel 1747 («for John Hinton, St. Paul’sChurch yard») verrà pubblicato con scadenza mensile fino al 1800;rilegato comprende 107 volumi.

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commercianti, persone cioè che si trovano costrette a gua-dagnarsi la vita, gente operosa, spesso umile, ma intrapren-dente, assetata di un Sapere che non pretendeva fossedisinteressato; erano tutte quante però persone che pocoavevano da spartire con gli ambienti accademici di strettaosservanza, con i latinisti o i grecisti di Oxford e Cam-bridge.3

Ci troviamo però in Inghilterra, paese la cui nobiltà nonsta sdegnosamente in disparte: non siamo in Francia; e lanetta distinzione tra l’assetto politico dei due popoli – illuogo comune della dickensiana Tale of Two Cities – era giàallora chiaramente avvertita. «The Universal Magazine ofKnowledge and Pleasure», in un’anonima recensione ap-parsa sul numero di gennaio 1785, intitolata Happy Diffe-rence between the English and French Nobility, adopera inproposito una immagine alquanto curiosa. In Francia – siosserva – è stata istituita una linea che serve a tener separati

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ENCICLOPEDIE

3 «Pesano l’aria», disse re Carlo II, riferendosi agli sperimenti diHooke e Boyle, e questo divertito disprezzo nei confronto dei “virtuosi”era senz’altro condiviso da giovani persone per bene come WilliamKing (1663-1712), uno dei “Christ Church wits”, ragazzi dorati diOxford, nemici giurati del saldo filologo cantabrigiano, Bentley, (perloro, un burbero plebeo). È difatti nell’immediato contesto dellaswiftiana Battle of the Books che King pubblicherà (a partire dal 1709)una serie di brillanti parodie delle Transasactions della Royal Societyintitolate,Useful Transactions in Philosophy and other sorts of learning. LaPrefazione definisce con tutta la chiarezza del caso gli intentiintellettuali e sociali dell’operazione: le “Comunicazioni” qui raccolte,dice, «dimostrano che le brave massaie, i commercianti, i ragazzini, lecucitrici, i poeti, gli zingari, gente insomma di ogni ordine e gradosociali, possono rendersi utili al mondo, se si danno allo studio dellafilosofia in modo da mettere le loro personalità nella giusta luce (if theystudy Philosophy, and set their Characters in a true light)».

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gli esseri umani gli uni dagli altri, una linea destinata a du-rare in eterno, che «taglia in due la catena della società, e fasì che le estremità così recise sembrano respingersi al postodi attirarsi reciprocamente».4 È un’immagine, un po’ goffa,che tradisce l’autodidatta, una persona che sa tutto sullemoderne meraviglie, l’elettricità compresa, ma che deve lasua istruzione alle Enciclopedie. Nello stesso numero dellarivista, un altro recensore, anche lui anonimo, esorta i let-tori a «rallegrarsi del fatto di essere venuti al mondo inun’epoca che si mostra sensibile all’importanza di questeEnciclopedie, un’epoca che ha saputo portarle ad un gradocosì alto di perfezionamento».

JOHN HARRIS

Si sa che l’Enciclopedia per antonomasia, quella fran-cese, aveva in un primo momento preso a modello la Cy-clopaedia di Ephraim Chambers, la cui prima edizione risaleal 1728. Chambers, da parte sua, aveva dichiarato sin dal-l’inizio che era suo intento non solo ampliare, ma superare,l’assetto esclusivamente tecnico del Lexicon di Harris, vec-chio di quasi venticinque anni.5

4 Charles Francis SHERIDAN, History of the late Revolution inSweden, il libro di cui sta parlando, era apparso a Dublino nel 1778 (laseconda edizione è del 1783).

5 Nel 1745, un Prospetto dell’editore parigino, André LEBRETON, annuncia la pubblicazione in cinque volumi (di cui uno ditabelle) dell’Encyclopédie, ou Dictionnaire universel des arts et des sciences...traduit de l’Anglois d’Ephraim Chambers. Il progetto venne accantonato inseguito ad un litigio tra Le Breton e John Mills, un intraprendenteimpiegato di banca che avrebbe voluto assumere per sé il ruolo ditraduttore. Si decise dunque di procedere in modo diverso: di rielaborareil materiale già a disposizione in modo da poterlo presentare entro

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ENCICLOPEDIE

Il capostipite era dunque John Harris (1666-1719), untipico rappresentante del basso clero dell’epoca. Più o menosquattrinato, si era formato, da bravo anglicano, a Oxforde, una volta laureatosi, faceva il precettore per forza: se scri-veva – e scriveva effettivamente moltissimo – era per neces-sità. Politicamente era di impostazione violentementeprotestante («a vile, low churchman» per i nemici), e la suavasta produzione includeva «prediche in difesa della casa re-gnante, un’antologia di resoconti di viaggiatori, un pron-tuario delle tasse di scambio ad uso dei mercanti, una storiadella contea di Kent, diversi manuali di matematica ele-mentare, un gruppo di testi divulgativi modellati su quellidi Fontenelle, accanto ai suoi interventi polemici in campopolitico».6 La sua passione dominante era comunque la ma-tematica, materia che avrebbe insegnato poi, dal 1698 al1707, presso il Trinity College di Oxford. Nello stesso lassodi tempo, sempre a Oxford, teneva una serie di lezioniaperte al pubblico, dedicate ai nuovi entusiasmanti campidelle scienze naturali. Nel 1696, Harris fu eletto Fellowdella Royal Society di Londra, che aveva accolto pure l’olan-dese Leeuwenhoek, e che annoverava tra i suoi soci non soloDryden e Locke, ma Wren e Boyle, e il cui presidente era al-l’epoca Isaac Newton. Nella Prefazione al Lexicon del 1704Harris dichiara che la Matematica è «the only Solid Foun-

parametri più ambiziosi. All’impresa si associò sin dall’inizio ilmatematico, D’Alembert e, in seguito – in qualità, in un primomomento, di mero traduttore – Denis Diderot, il quale, nell’ottobre del1747, finì coll’accettare in modo formale il ruolo di coordinatore.

6 Per John Harris e, in seguito, per Chambers, si vedano i capitolia loro dedicati da Lael Ely BRADSHAW in Notable Encyclopedias ofthe Seventeenth and Eighteenth Centuries: Nine Predecessors of theEncyclopédie, a cura di Frank A. Kafker, The Voltaire Foundation at theTaylor Institution, Oxford 1981.

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dation on which a Useful Enquiry into Nature and all Phys-ical Learning can possibly be built».

Il carattere teorico ma al contempo pratico del lavoroda lui compilato è assai evidente: pagine e pagine di Ta-belle saltano all’occhio al solo sfogliarlo. L’impronta tec-nologica prende risalto pure delle decine e decine diIncisioni a piena pagina che accompagnano voci come Mi-croscope, Barometer, Air Pump, tutte accurate delineazionianalitiche, anatomizzazioni esplicative, degli strumenti cheavevano reso possibile, con la creazione di nuovi campi diindagine, una percezione del mondo per molti versi rivolu-zionaria.7 Anzi, sarà la totale assenza di sussidi del genereche servirà a distinguere in modo netto da questo Lexicon,da questa “Enciclopedia”, imprese analoghe tradizional-mente centrate sulla Lingua, Dizionari spesso d’improntaconservatrice com’era il Dictionnaire, del 1694, così labo-riosamente compilato dai signori dell’Accademia francese, eche viene da Harris, uomo, si sa, polemico e non esterofilo,additato al pubblico ludibrio dei propri compatrioti. È deltutto sprovvisto – dice – di Figure; non c’è nessuna Tabellae, poi, della terminologia tecnica – the terms of art – non c’ètraccia. «Sembra – scrive lui nella propria Prefazione – chesia stato concepito nel solo intento di migliorare e di pro-pagandare la Lingua Francese, non certo per fornire infor-mazione o per istruire su un piano più generale la menteumana». Suscita meraviglia – dice – un fatto molto curioso:è pieno di termini semplici. «Ti dicono che cos’è un cane,un gatto, un cavallo e una pecora; cosa sommamente utile

7 Dei molti scritti da Marjorie NICOLSON dedicatiall’argomento, va citato almeno, The Microscope and the EnglishImagination, «Smith College Studies in Modern Languages», Vol.XVI,no.4, luglio 1935.

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per chi finora è rimasto ignorante al riguardo». Bisogna co-munque convenire – aggiunge – che si tratta di una dimo-strazione nell’insieme ben condotta: adesso sappiamo tuttiche «la lingua francese è in grado di formulare descrizioni diquesto tipo». Sono ben altre le ambizioni nutrite da Harris:il suo Lexicon non vuole essere un mero repertorio dei vo-caboli usati al livello sia teorico sia pratico nei campi presiin considerazione: al contrario, la terminologia che interessalui, quella della matematica e della filosofia naturale, verrà– dice – volta per volta messa in rapporto con una perce-zione globale della disciplina di cui fa parte; la definizionenegli intenti stabilirà tali rapporti: già dal sottotitolo il Le-xicon del 1704 si impegna ad elucidare «not only the Termsof Art, but the Arts themselves».

Era un’impresa di non facile attuazione, e sarebbe pocogeneroso lamentarsi al riguardo. Il Lexicon Technicum restapur sempre una vasta, ambiziosa, opera compilatoria, anchese un certo disordine è da considerarsi tipico del suo idea-tore. La stessa Prefazione non è tanto una dichiarazione diintenti, quanto un elenco, campo per campo, delle fontiadoperate. Harris, da buon “Moderno”, predilige il nuovo,dedicando, ad esempio, ampio spazio all’Idrostatica, «unadisciplina – dice – utilissima, dei cui principi di base offroun resoconto, mentre considero pure le sue possibili appli-cazioni pratiche; viene trattato sotto profilo sia matematicosia sperimentale». Alla voce Specific Gravity, il lettore tro-verà, gli assicura Harris, «tutto quello che al riguardo è statoipotizzato dall’onorevole signor Boyle».8

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8 Robert Boyle, per disposizione testamentaria, aveva istituito unciclo di prediche da tenersi ogni anno, ma con l’impegno chel’argomento scelto non dovesse mai toccare le differenze fra le diverseconfessioni cristiane. Fra gli incaricati, il nostro John Harris nel 1698.

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Nel campo della Fisica e della Filosofia Naturale, JohnHarris, da bravo matematico, si inchina davanti a IsaacNewton, «quel matematico prodigioso», la cui «recente ap-plicazione della Geometria alla Ricerca fisica» ci ha fornito«strumenti ammirevoli per la comprensione della Natura».Il lettore desideroso di aggiornarsi potrà consultare con pro-fitto le seguenti voci, da Harris così elencate: Electricity, So-lidity, Elasticity, Effluviums, Magnetism, Light, e last but notleast Colours. Ulteriori sviluppi, magari sorprendenti, sonosempre da aspettarsi in campi, come questi, aperti; e Har-ris si rammarica al riguardo: i tempi stretti della pubblica-zione non gli hanno permesso di sfruttare a dovere l’ultimafatica di Sir Isaac, Opticks, or, a Treatise of the Reflections, Re-

Ebbero, invece, risonanza grandissima le vere e proprie lezioniscientifiche tenute, strano a dirsi, da colui che a giusto titolo vieneconsiderato il maggior filologo classico che l’Inghilterra abbia maiprodotto, Richard BENTLEY (1662-1742). Si tratta della prima serie,Eight Sermons preach’d at the Honourable Robert Boyle’s Lecture in theFirst Year MDCXCII, al cui proposito si entusiasmò tanto il diaristaJohn Evelyn. Vennero ristampate più volte per tutta la prima metà delSettecento, in particolar modo le ultime due, una divulgazione delleteorie di Isaac Newton, in seguito pubblicate anche a parte come AConfutation of Atheism from the Origin and Frame of the World. Bentley,che solo nel febbraio 1700 diventerà Master di Trinity College, scrissedirettamente allo scienziato, già a Cambridge, perché, nelle parole delD.N.B., «volle essere sicuro che la sua applicazione dei principinewtoniani fosse tale da incontrare la sua approvazione». Per le suelettere, con le quattro di risposte, si veda The Correspondence of IsaacNewton, vol.III, 1688-1694, a cura di H.W.TURNBULL, FRS,pubblicato per conto della Royal Society dalla Cambridge UniversityPress nel 1961. Per la figura di Bentley filologo, si veda, C.O. BRINK,English Classical Scholarship. Historical Reflections on Bentley, Porson andHouseman, James Clarke, Cambridge 1986, in origine una serie dilezioni tenute presso la Scuola Normale di Pisa

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fractions, Inflections and Colours of Light, apparso nel 1704,lo stesso anno del Lexicon technicum.9

L’ostentato empirismo di cui è improntato il discorso chela Prefazione dedica alla voce Ship deve non poco, si po-trebbe pensare, al senso di opportunismo del compilatore.Lui sa benissimo che molti dei suoi eventuali acquirenti sa-ranno persone più o meno direttamente coinvolte nelle spe-ranzose imprese di una grande potenza navale, proprioallora in piena espansione sui mari del mondo (in barba agliolandesi o, peggio ancora, ai francesi).

Nel caso della Nave, mi sono dato da fare per poter offrireal lettore una descrizione di essa e di tutti i suoi compo-nenti la più possibile completa e dettagliata; l’ho rappre-sentata sotto costruzione in cantiere e con ogni elementodella sua attrezzatura, e poi l’ho fatta vedere mentre solcail mare a vele spiegate. Per mettermi in grado di fare ciò,ho consultato tutti i migliori disegni, tutte le sezioni e imodelli lignei ai quali ho potuto avere accesso; mi sonorivolto inoltre ai capitani di navi da guerra e di navi mer-cantili per i ragguagli che erano in grado di impartire, esono salito a bordo più volte in persona per una più im-mediata conoscenza dell’argomento. Tutte queste infor-mazioni sono state da me in seguito messe al confrontocon ciò che noi già possedevamo a stampa sui libri o nellaforma di descrizioni dettagliate.

Cinquant’anni dopo, nel 1755, Samuel Johnson portòa termine un progetto che gli era costato ben nove anni di

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9 Per l’influenza esercitata da questo libro sulla tradizione poeticasettecentesca si veda Marjorie Hope NICOLSON, Newton Demandsthe Muse. Newton’sOpticks and the Eighteenth Century Poets, PrincetonUniversity Press, Princeton 1946.

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fatica, dando alla luce il primo vero dizionario della linguainglese, A Dictionary of the English Language, le cui defini-zioni si basano, secondo la prassi, sugli scritti dei miglioriautori; ma a metà Settecento chi fosse al passo con i tempi– Johnson abitava a Fleet Street – non poté accontentarsidei soli letterati: fa leva su Milton, Dryden e Pope d’ac-cordo, ma non per questo trascura gli scritti di Boyle, diNewton e di Locke, quest’ultimo anzi può dirsi onnipre-sente. Ciò nonostante, è di un Dizionario che si tratta, danon confondersi con le Enciclopedie, dal momento cheoramai libri così denominati si trovavano alla portata – esugli scaffali – di tutti. Il compito specifico di un Diziona-rio era di documentare – idealmente, ma solo idealmente –tutti i vocaboli di una data lingua, nell’intento di definirla,non certo di “fissarla” e questo Johnson, strada facendo, haavuto più occasioni per capirlo. Un Lexicon – per lui – eramolto semplicemente «a book teaching the signification ofwords» e, se le cose stavano in questi termini, il Lexicon diHarris – che Johnson non esita a citare – avrebbe dovutotrovare per sé un’altra designazione.10

Alla voce Lexicographer il futuro dottore è autolesioni-sta: si tratterebbe, al dire di lui, di «a harmless drudge», diuno che sgobba e che non fa male a nessuno – una defini-zione giustamente famosa. Johnson è un letterato che si ras-segna ad operare entro dei limiti da lui accuratamentestabiliti e dichiarati agli utenti; si guarda bene dal nutrireambizioni universalizzanti. La lingua che corre per la boccadella gente – e lui lo sa – supera di gran lunga i confini diun libro, anche se la sua consistenza era, qui pure come nel

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10 Per un inquadramento d’insieme, Allen REDDICK, TheMaking of Johnson’s Dictionary 1746-1773, Cambridge University Press1990; Robert DE MARIA, Jr., Johnson’s Dictionary and the Language ofLearning, Clarendon Press, Oxford 1986.

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caso di Harris, di due volumi in folio. E sarebbe proprio daquesto suo lontano predecessore che egli desiderebbe – aquanto pare – tenere le debite distanze, confessando reciso:

non avevo la possibilità di avventurarmi nelle caverne perimparare il linguaggio dei minatori, e non potevo nem-meno intraprendere un viaggio in mare nell’intento di per-fezionarmi nel dialetto della navigazione; non ho potutovisitare i magazzini dei mercanti, o le botteghe degli arti-giani, per impossessarmi dei nomi delle merci, o degli ar-nesi e delle loro operazioni; tutte cose alle quali i libri nonfanno alcun cenno.

EPHRAIM CHAMBERS

Per il Dizionario etimologico di Cortelazzo e Zolli(1980) la parola Enciclopedia andrebbe riferita primaria-mente all’«opera famosa pubblicata in Francia tra il 1751 eil 1772 che cercava di riunire in una sintesi rapida e com-pleta tutto lo scibile umano»; e il Battisti / Alessio ci in-forma che fu «diffusa in Italia dopo la compilazionedell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert». L’ideatore diquesto tipo di progetto era stato in realtà Ephraim Cham-bers, la cui enciclopedia – da lui designata Cyclopaedia – eraapparsa a Londra nel 1728. D’Alembert, nel suo Discourspréliminaire del 1751, riconosce quale punto di riferimentodella nuova Encyclopédie francese l’oramai famosa opera in-glese «dont on a publié à Londres un si grand nombre d’édi-tions rapides» e – aggiunge – «qu’on vient de traduire toutrécemment en italien».11 Il nuovo lavoro d’équipe da lui di-

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11 IlDizionario universale delle arti e scienze, la prima enciclopediaitaliana completa (nove volumi in quarto), era apparso a Venezia nel1748-49.

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retto intende superare di gran lunga il proprio modello; ciònonostante, «nous ne refusons point à cet auteur la justicequi lui est due. Il a bien senti le mérite de l’ordre encyclo-pédique, ou de la chaîne par laquelle on peut descendre sansinterruption des premiers principes d’une science ou d’unart jusqu’à ses conséquences les plus éloignées, et remonterde ses conséquences les plus éloignées jusqu’à ses premiersprincipes».

Sull’umiltà delle origini di Ephraim Chambers (1680-1740) le fonti inglesi sono concordemente insistenti. Es-sendo di fede nonconformista, l’accesso alle Università diOxford e Cambridge gli era precluso: era per forza di coseun «self-made man», uno che da solo era riuscito a portare atermine l’opera assolutamente originale da lui stesso conce-pita, un lavoro immane, universalmente apprezzato. Di-venne Socio della Royal Society anche lui e, alla morte, fusepolto nell’Abbazia di Westminster, con, sulla tomba, unabella iscrizione latina: «Multis pervulgatus / Paucis notus; /Qui vitam, inter lucem et umbram, / Nec eruditus / nec idiota,/ Litteris deditus, / transegit».

Nel 1785, una nuova edizione della sua Cyclopaedia, in-teramente riveduta dal reverendo Abraham Rees, fornì l’oc-casione per una serie di articoli di carattere biograficoapparsi sul «Gentleman’s Magazine», e altrove. «The Uni-versal Magazine of Knowledge and Pleasure», ad esempio,(vol. 76, pp. 4-7, gennaio 1785) scrive quanto segue:

L’istruzione da lui ricevuta era quella che abitualmenteviene impartita ad un ragazzo che si appresta ad entrare nelmondo del commercio. Raggiunta l’età richiesta, fu messoa far pratica presso John Senex, specialista nella costruzionedi mappamondi, un mestiere direttamente legato, come sisa, alla letteratura, segnatamente all’Astronomia e alla Geo-grafia. Era durante il tempo in cui risiedeva con questo abi-

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lissimo artigiano che si sviluppava in lui quell’amore gran-dissimo per le Scienze e per ogni campo dello scibile cheavrebbe determinato il corso della sua vita. Già allora avevaconcepito il disegno di un magnum opus, la sua Cyclopae-dia, le cui prime voci furono addirittura stese da lui nel re-trobottega.

Questo grande disegno, che la frase di D’Alembert danoi sopra citata valorizza mediante una citazione somma-ria, era enciclopedico nel senso etimologico del termine,senso ellenistico ben colto dalla definizione debitamentetradizionale di Samuel Johnson: l’enciclopedia essendo népiù né meno la coerenza dello scibile: «the circle of the scien-ces; the round of learning». Chambers sin dall’inizio si eraimpegnato al riguardo con tutta la chiarezza del caso: ciòche egli intendeva offrire al suo lettore non era – dice – «uncentone», ma al contrario «un sistema», un sistema di ul-tima origine baconiana, la cui complessità viene da lui stessonella Prefazione delineata in questi termini:

Il nostro intento è stato di considerare ogni specifico ar-gomento non solo in sé ma relativamente, in modo che siriflettessero l’uno nell’altro: di trattarli cioè come entità asé stante e al contempo come facenti altrettanto parte diun insieme più grande, i rapporti con il quale sarebberostati da noi evidenziati con appositi rimandi. In questomodo, da una successione di rimandi, dal generale al par-ticolare, dalle premesse alle conclusioni, dalle cause aglieffetti, e da questi a quelle – in altre parole, dal meno alpiù complesso, e dal più al meno – una rete di comunica-zioni sarebbe venuta a stabilirsi fra parti del mio lavoro al-trimenti distinte; le diverse voci venendo così in qualchemisura ad occupare nuovamente il posto a loro spettante,a ricollocarsi cioè in qualche misura all’interno dell’ordinenaturale dal quale il riordinamento alfabetico le avevaestrapolate.

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D’Alembert ha da ridire: con l’aria innocente di chi è inprocinto di affermare qualcosa di originale, si accontenta diinsistere su una limitazione sin dall’inizio ammessa dallostesso Chambers: «conçoit-on que tout ce qui concerne lessciences et les arts puisse être renfermé en deux volumes in-folio?»12 ma il reale problema era un altro, e questo EphraimChambers l’aveva capito benissimo: anche a prescindere dalnumero dei volumi e dei collaboratori, ogni nuova impresadi questo tipo, e ogni sua nuova edizione per quanto ag-giornata, non può essere altro che provvisoria, dal momentoche un’Enciclopedia è uno strumento didattico, teso a regi-strare l’incessante divenire di un mondo empiricamente in-teso. Per dirla con le parole di Chambers: un testo come lasua Cyclopaedia è un dizionario «che postula i progressi e lescoperte che sono stati effettuati, e prosegue a spiegarli e ametterli in rapporto fra di loro». In questo senso né il di-zionario, che descrive la lingua, e tantomeno l’enciclopedia,che ambisce ad un coerente inglobamento dello scibile,potrà mai fissare in modo definitivo l’insieme dei dati di cuidispone. Nel momento stesso in cui il compilatore dà allaluce le sue concatenate elucubrazioni, queste sono già infase di superamento. «Il lessicografo, come lo storico, – diceChambers – arriva sulla scena ad azione già avvenuta, e dàun resoconto di ciò che è successo»; e insiste:

L’analogia tra il Dizionario e la Storia è più stringente diquanto a prima vista non appaia: il Dizionario, prendendole nostre idee una alla volta, narra ciò che è capitato loro

12 La prima frase della Prefazione di Chambers suona: «Non èsenza qualche trepidazione che io consegno tra le mani del lettore ilpresente lavoro, un lavoro in apparenza sproporzionato all’esperienza diuna persona sola, che avrebbe potuto tenere occupata un’accademiaintera».

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nelle varie consorterie e combinazioni in cui sono venutea trovarsi; il suo ruolo è di dettagliare i progressi raggiuntinei vari campi sotto considerazione, mediante una bencongegnata visione retrospettiva in grado di riportare i ter-mini, dall’attuale assetto complesso, alla loro originalesemplicità. Il Dizionario di una disciplina è a tutti gli ef-fetti la storia di quella disciplina; il Dizionario di una lin-gua è la storia di quella lingua.

Esemplifichiamo. Determinare a livello lessicograficocosa mai fosse l’elettricità era, a metà Settecento, impresa adir poco ardua. L’abitazione londinese di Samuel Johnson,del resto, era attorniata dai negozi dei maggiori fabbricantidi strumenti scientifici in Europa; non poteva non rendersiconto di quanto i manuali, anche i migliori manuali a suadisposizione, fossero al confronto inadeguati, alle volte vi-stosamente arretrati.13 Era il caso, ad esempio, del Lexicon

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13 «Se per gli artigiani specialisti nella fabbricazione di strumentiscientifici si può parlare di un centro focale, allora quel centro erasenz’altro Fleet Street. Rowley, Senex e Hauksbee abitavano elavoravano a pochi metri di distanza l’uno dall’altro all’ombra dellachiesa di San Dunstano (under St. Dunstan’s Church)». Per Harris nel1704, John Rowley era «our excellent Mathematical Instrumentmaker»; si era formato con John Senex lo stesso Chambers, mentreFrancis Hauksbee si era distinto, fra l’altro, per le modifiche da luiapportate alla pompa pneumatica. A proposito dell’ambiente londinesenel quale operava Johnson, si veda l’utilissimo Science and Profit in18th-Century London, una collezione di quattro saggi di Roy PORTER,Simon SCHAFFER, Jim BENNETT e Olivia BROWN, The WhippleMuseum of the History of Science, Cambridge 1985. Alla nostracitazione iniziale – dal saggio di Olivia Brown (p. 23) – va aggiuntoquello che scrive Simon Schaffer (p. 10): «Nel mondo scientifico delSettecento erano senz’altro gli artigiani inglesi a dominare i mercati.Gli apparecchi che uscivano dalle botteghe londinesi erano

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physico-medicum, or a new physical dictionary, il prontuariocon il quale, nel lontano 1717, John Quincy aveva descrittolo stato dell’arte.

Strano a dirsi, Johnson, alla voce Electricity, accoglie – esiamo negli anni cinquanta del Settecento! – la definizioneoffertagli proprio da Quincy, per il quale si tratterebbe di«una proprietà di certi corpi, in virtù della quale, se ven-gono fregati fino a riscaldarsi, attirano a sé pezzetti di carta,o altre sostanze analoghe». Alla voce Effluvia/Effluvium poi,tre citazioni (da Browne, Woodward e Blackmore) servonoall’esemplificazione di altrettante accezioni traslate; sonoprecedute da un’altra definizione, presa anche questa daQuincy 1717, che spiega trattarsi di «piccole particelle chesi staccano in continuazione dai corpi, la cui sottigliezza eminutezza appare dal fatto che possono, per un periodo ditempo prolungato, produrre effetti evidentissimi, senza unadiminuzione sensibile del corpo dal quale hanno origine».Questi effetti evidentissimi vengono, sempre dal manualedel 1717, descritti in modo dettagliato al lemma Particle. Eciò ci riporta, nuovamente e in modo esplicito (p. 336), alfenomeno dell’elettricità.

Se un Corpo di una certa Mole emana Effluvia in grandeQuantità, e se le Particelle di questi Effluvia, avvicinan-

universalmente apprezzati per la loro precisione e affidabilità, e perl’eccellenza della loro fattura. [...] Erano apparecchi destinati non soloal laboratorio, ma anche al salotto». Giorgio III (1738-1820), «il primore inglese nella cui educazione la scienza ebbe un ruolo fondamentale»,amava e collezionava gli strumenti scientifici; si veda George III,Collector and Patron, il catalogo di una Mostra tenuta alla Queen’sGallery, Londra 1974-75, pp. 58-61. Indice di un interesse che non silimitava alla mera contemplazione degli oggetti: due pagine (no. 99,p. 61) di pugno dello stesso sovrano «elencano la corretta sequenzadelle operazioni da eseguire per montare un orologio».

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dosi ad un Corpo più piccolo o più leggero, superano conla loro Forza di attrazione la forza di Gravità di questiCorpi, essi verranno sollevati verso i Corpi dai quali sonoemessi; e dal momento che questi Effluvia sono più co-piosi e spessi a distanze più ravvicinate al Corpo emittenteche non a distanze più grandi, il Corpo leggero verrà atti-rato dagli Effluvia via via più compatti, a tal punto che fi-nirà coll’aderire al corpo emittente.

Lo studioso del 1717 a questo punto conclude trionfante«in tale modo gran parte dei fenomeni dell’elettricità pos-sono dirsi risolti»: un punto di vista, nel 1755, difficilmentesostenibile; e difatti Johnson, in questa sua prima edizione,alla voce Electricity, dopo avere accolto comunque, comeabbiamo visto, la definizione chiaramente arretrata offerta-gli da Quincy,14 impugna la penna e informa i suoi lettori– con l’atto stesso superando di gran lunga le fonti a dispo-sizione – che si tratta di un’impostazione vecchia di qualcheanno; mentre, come ognuno avrà già afferrato per contoproprio, «la diligenza della nostra epoca [...] ha individuatoin questo fenomeno una moltitudine di meraviglie filosofi-che». Segue una descrizione della macchina elettrica la cuicapacità di immagazzinamento del fluido elettrico puòcomportare una scarica «capace di mettere a rischio la vitastessa». Si tratta oramai di un gioco di società, «persone alledue estremità di una lunga catena trovandosi colpite allostesso istante». Questa annotazione di Johnson chiude pro-spettando chissà quali altre meraviglie moderne, dal mo-mento che «i filosofi stanno attualmente tentando diintercettare i colpi del fulmine».

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14 L’aggettivo Electric / Electrick risulta invece ben attestato, e vieneda Johnson definito così: «Attractive without magnetism; Attractive bya peculiar property, supposed once to belong chiefly to amber».

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ABRAHAM REES E I TAYLOR DI ONGAR

Di uno straordinario nucleo familiare, i cosiddetti Tay-lor di Ongar,15 gli unici componenti oggi in qualche misuranoti sono le due sorelle, Ann (1782-1866) e Jane (1784-1824), le cui poesie per bambini, Original Poems for InfantMinds (1804/1805) e Rhymes for the Nursery (1806), hannoavuto un successo così grande nell’Ottocento da prestarsi,nel caso di una di esse, alla riscrittura parodistica di LewisCarroll che, al posto della scintillante stella di “Twinkle,twinkle, little star” – testo ancor’oggi noto a tutti – preferi-sce un pipistrello o, sulla scia evidente dei disegni di Gran-dville, un vassoio da té (a tea tray).16 In realtà, per farsiun’idea più complessa dell’impostazione mentale e dell’in-stancabile attività di una famiglia formatasi letteralmenteall’ombra dell’“Enciclopedia”, è ai libri del padre, Isaac Tay-lor (1759-1829) che bisogna rivolgersi e pure a quelli diJefferys, il fratello minore di Jane e Ann, che affianca aimolti testi di divulgazione scientifica da lui destinati ai ra-gazzi, altri di narrativa, sempre per ragazzi – questi ultimi diun’originalità alle volte un tantino bizzarra.17

15 Leonore DAVIDOFF e Catherine HALL, Family Fortunes. Menand Women of the English Middle Class 1780-1850, Routledge, Londra1987, dà molte informazioni di carattere sociologico, derivateevidentemente da ricerche negli archivi, pp. 59-69. La famiglia nel suoinsieme ha prodotto settantacinque libri e, «il messaggio da loro creato,confezionato e messo in vendita, ha avuto un ruolo non indifferente nellacreazione del ceto medio provinciale inglese (the provincial middle class)».

16 The Oxford Book of Nursery Rhymes, a cura di Iona e Peter OPIE,Oxford University Press, 1951, No.489, pp. 397-8, lo chiama «one ofthe best known poems in the English language». E’ solo la prima stanza,però, che tutti conoscono.

17 The Oxford Companion to Children’s Literature, di HumpheryCARPENTER and Mari PRICHARD, Oxford University Press, 1984,

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Le fortune della famiglia risalgono al nonno, Isaac Tay-lor (1730-1807), di professione incisore; al proposito delquale cito dalla raccolta di testimonianze pubblicate dal ni-pote,18 «questo Isaac Taylor – il primo al quale si è dato ilnome che sarà ricorrente per quattro generazioni di seguito– si era trasferito giovanissimo dalla natia Worcester a Lon-dra, spinto dall’ambizione di affermarsi come artista; a Lon-dra, apprese il “mestiere” della Calcografia, o incisione surame, secondo le tecniche impiegate dai più apprezzati mae-stri italiani e francesi». Fece carriera, e annoverava fra gliamici persone del calibro di Fuseli, Garrick, Goldsmith eRichardson. Il secondogenito, anche lui Isaac (1759-1826),si dimostrò bravissimo nel mestiere del padre, che appresesotto la sua guida diretta. La famiglia era di salda fede non-conformista, ed era del tutto naturale che intrattenesse rap-

dedica molto spazio alle sorelle, dice qualche parola sul padre, ma diJefferys poco o nulla. Da lui, il tardo ottocentesco Dictionary ofNational Biography tiene già le distanze, «Va ricordato soprattutto pergli scritti da lui destinati all’infanzia; sono di carattere estremamentevario e, se qualche volta sono molto divertenti e improntati a grandeinventività, non di rado danno prova di un estro un tantinostravagante».

18 Salvo indicazione contraria, tutte le citazioni sul mondo diOngar sono prese da Memoirs and Correspondence of Jane Taylor o da untesto pubblicato nel corso del 1864 sulla rivista Good Words, “PersonalRecollections” by Isaac Taylor (of Stanford Rivers). Sono stati raccoltientrambi dal figlio di quest’ultimo, il reverendo Isaac Taylor, in TheFamily Pen. Memorials, Biographical and Literary of the Taylor Family ofOngar, due volumi, Londra 1862. I libri di questo figlio, il quarto eultimo Isaac della serie, sono di impostazione rigorosamente filologica,come, per citare un solo esempio, Words and Places, or EtymologicalIllustrations of History Ethnology and Geography, Londra 1864. E’ l’unicomembro della famiglia i cui testi vengono citati dall’Oxford EnglishDictionary, al quale, del resto, collaborava.

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porti di stretta amicizia con il professore di matematica e discienze naturali presso la Howard’s Academy, il pastore pre-sbiteriano di origine gallese, Abraham Rees (1743-1825).«Tra il 1778 e il 1785, si stava approntando per la stampala sesta (o forse la settima) edizione di Chamber’s Cyclopae-dia, in folio e riccamente corredata di Incisioni. Isaac Tay-lor senior era stato sollecitato al riguardo, e calorosamenteinvitato ad eseguirle lui stesso – comprendevano difatti ar-gomenti scientifici di ogni genere – ed è suo il nome cheappare nell’angolo di ogni Tabella della serie, e sono più diduecento».19 In realtà, l’esecuzione effettiva di queste Ta-belle era stata dal padre interamente affidata al figlio, tuttoraapprendista.

Per il ragazzo fu un’esperienza determinante. «Rimaseconvinto per il resto della sua vita che ad aver suscitato in luil’immenso amore che da allora nutriva nei confronti di ognitipo di conoscenza fossero state quelle Tabelle e i frequenticolloqui avuti con il dottor Rees durante la loro elabora-zione» (Dictionary of National Biography). Più circostanziatala testimonianza diretta del figlio:

Il lavoro nel suo insieme era coordinato dal Dr. AbrahamRees, il quale diversi anni dopo avrebbe pubblicato perconto suo l’Enciclopedia in quarto che porta il suonome.20 Mio padre, dal momento che era lui a tutti gli ef-

19 CYCLOPAEDIA: or, An Universal Dictionary of Arts and Sciences[...], by E. Chambers, F.R.S., with the Supplement, and ModernImprovements [...] by Abraham REES, D.D., in quattro volumi,London 1786.

20 The Cyclopaedia, or, Universal Dictionary of Arts, Sciences, andLiterature, by Abraham Rees, D.D., F.R.S., F.L.S., S. Amer. Soc., withthe assistance of Eminent Professional Gentlemen, 39 volumi, sei deiquali dedicati alle tabelle, Londra 1819. Rees’s Cyclopaedia riempiva lecase della middle class vittoriana.

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fetti l’artista direttamente responsabile dell’accurata ese-cuzione delle Incisioni, ebbe modo di intrattenere rap-porti quotidiani con quest’uomo straordinariamente dottoe molto aperto, che con grande cordialità accolse il gio-vane incisore nel suo studio: oltre a dargli libero accesso aipropri libri scientifici, migliorò il livello di istruzione delragazzo, impartendogli delle lezioni senza ovviamente ri-chiedere ricompensa alcuna. Fu in questo modo, e men-tre portava avanti con acribia il compito a lui affidato, cheil giovane si trasformò in quello che sarebbe rimasto per ilresto della vita, un’artista, ma anche molto di più: unuomo versatile, con ampie cognizioni nei varii campi delloscibile. Quando, in seguito, divenne padre di una fami-glia numerosa, si adoperò con energia prodigiosa e in-stancabile per sistematizzare queste sue conoscenzemultisfaccettate, escogitando molti modi ingegnosi peradattarle ai suoi fini pedagogici.

(Personal Recollections, pp. 82-84)

Avrebbe seguito le orme del suo mentore, diventando luipure pastore nonconformista che, tipicamente, ministravaalle anime ma senza per questo chiedere l’elemosina dellasua congregazione: si guadagnerà da vivere esercitando ilvecchio mestiere di incisore, che insegnerà a tutti i membridella famiglia, a Isaac, Jefferys, e agli altri, ma anche a Anne Jane. Le ragazze – diceva – dovevano godere dell’opzionedell’indipendenza economica. Dopo un periodo passatoquale pastore a Colchester, si trasferì con la famiglia inmodo definitivo a Ongar in Essex, occupando una casa im-mensa che avrebbe trasformata in una specie di accademia-convento. Albeggiava appena, e papà, a lume di candela, giàapprontava le lezioni per la giornata, lezioni che avrebberocoinvolto ogni membro della famiglia: l’orario ferreo an-dava rigorosamente rispettato. A quanto pare – e la testi-

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monianza degli interessati è concorde – sarebbero stati tuttiquanti, anche a distanza di tempo, consenzienti, per nondire entusiasti; resta pur vero che il figlio Isaac si lascia scap-pare al riguardo un aggettivo forse rivelatore, quando parladi «a system of unrelenting employment».

I lavori di ogni giornata iniziavano con l’arrivo in scenadel Pater Familias.

Quando ogni mattina entrava nel salotto, aveva già con séla sua cartella, che metteva su un tavolino di servizio. Nonappena terminata la propria colazione, e mentre miamadre continuava a leggere ad alta voce [era la prassi du-rante i pasti21], cominciava a disegnare – prendendo a mo-dello ad esempio un fiore, appena colto dal giardino. Ognisua esecuzione, una volta terminata, veniva sistemata conaltre analoghe in un grande plico, destinata ad essere dili-gentemente copiata da noi in una lezione futura.

21 «Un’abitudine durata quarant’anni», scrive la signora Taylor(citata dal figlio in Memoirs and Correspondence of Jane Taylor, pp. 85-86), ma non, almeno inizialmente, nell’intenzione di educare i figli.Era in tante faccende affaccendata la signora – la casa era piena dibambini – ma alle osservazioni di una vicina dalla lingua tagliente –«tuo marito si è trovato una brava domestica, non certo una compagna»– decise di reagire. Ci pensò molto su, e alfine, «This I will do!, thoughtI». Il reverendo marito aveva già preso l’abitudine di portare con sé unlibro da leggere in solitudine durante i pasti, effettivamente bloccandoqualsiasi rapporto sociale con la moglie. Gli offrì di leggere lei a lui, adalta voce, «at breakfast and tea-time», proposta da lui accolta con gioia.Solo in seguito, si accorse di aver trovato il modo di tenersi anche lei àla page. I ragazzi poi accettarono la cosa con tutta naturalezza,interessandosi vieppiù man mano che crescevano. Ad un certomomento - dice Mrs Taylor - abbiamo cominciato a scegliere i libri daleggere pensando anche a loro.

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E il figlio prosegue, «Ho tuttora sottomano fra le carte difamiglia diversi fiori, rose, primule, garofani, da lui mera-vigliosamente delineati; e trovo pure – il risultato di annied anni di lavoro – i suoi quaderni, pieni di accurate analisigrammaticali dell’originale ebraico di ogni citazione dal-l’Antico Testamento che lui ebbe occasione di spiegare e in-terpretare dal pulpito durante le sue prediche» (p. 138).

Il modello che condiziona ogni percezione all’interno diquest’ambiente è, in effetti, l’Enciclopedia: il mondo interoè visto come una grande rete di oggetti da analizzare e eti-chettare; la conoscenza è un accumulo di cose. Papà difatticonfeziona per l’istruzione dei propri ragazzi delle mini-en-ciclopedie a fascicoli. È sempre Isaac, il figlio, a spiegarci lacosa:

Il suo modo di affrontare ogni argomento specifico – laGeografia, l’Anatomia, la Fortificazione etc. – era il se-guente: una lastra in quarto veniva incisa a partire da unmodello da lui accuratamente approntato. Da queste lastrevenivano riprodotte decine e decine di stampe, confezio-nate poi una dozzina per volta nella forma di libricini; adogni allievo, a ragazzi e ragazze senza distinzione, venivaconsegnato uno di questi libricini. Erano abbozzati i solicontorni, e bisognava colorare, una per una, tutte lestampe, e in seguito inserirvi al posto giusto la relativa ter-minologia tecnica. Mentre scrivo, ho davanti a me qualcheesemplare: si tratta dello scheletro umano. Difficilmente,avendo subito anno dopo anno questo tipo di esercita-zione (after such a drilling) avremmo potuto dimenticarela relativa posizione della Tibia, della Fibula; o confonderel’Ulna con il Radio, lo Sterno con la Clavicola!

Era un bravo illuminista, questo padre, e come tale nonammetteva che, al livello delle cose della mente almeno, cifosse, o ci dovesse essere, differenza alcuna tra i suoi ragazzi

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e le sue ragazze. Il figlio, Isaac, si permette una sfumatura diironia. «Non era da considerarsi forse indispensabile alla for-mazione di una signorina che avesse ad immediata disposi-zione tutta la nomenclatura e i relativi principi dellaFortificazione. Eppure – dice – ho sottomano delineazionidi città fortificate – con, inserite a mano [delle mie sorelle]designazioni quali, spalto, controscarpa, bastione, trincea,linee di circonvallazione».

Come vedremo in seguito, il primo libro del fratello piùgiovane, Jefferys, Harry’s Holiday, descrive un ragazzo chesi ribella a questo tipo di istruzione; e persino Isaac, che il-lustra con dovizia di dettagli, e che tutto sommato apprezzae stima la forma mentis e i metodi pedagogici del padre, sem-bra, a distanza, in qualche misura volersi distaccare: «se sipuò avanzare qualche riserva in merito all’utilità effettiva ditutto ciò, bisogna convenire che la fatica stessa era indub-biamente una sana disciplina: «there was a useful disciplineinvolved in the mere labour of the process» (p. 17).

Nel 1838, questo stesso Isaac, in Home Education, avevaperorato la causa dell’istruzione impartita a casa, un’istru-zione che avrebbe assicurato al ragazzo una solida base in-tellettuale, ma anche una salda formazione morale distampo nonconformista. Questa impostazione viene da luiesplicitamente contrapposta alla formazione dell’élite, deiragazzi che, tenuti lontano dalle proprie famiglie, vivevanoinsieme nelle Public Schools e nei Colleges, dove, affermal’autore, apprendono presto due lezioni fondamentali per ilresto delle loro vite: imporsi sugli altri e al contempo sa-persi piegare alle esigenze del potere; imparano – per dirlocon lui – «the lesson of domination, and the lesson of ab-ject compliance with tyranny». Diversissimi sono, aggiunge,«i sentimenti di quei giovani che sono stati istruiti a casaloro; non saranno forse così alacri nel rivendicare per sé le

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più elevate posizioni sociali; sono, per compenso, total-mente renitenti quando dovrebbero farsi piccoli davanti al-l’arroganza e all’oppressione».22 Nelle Public Schools ilragazzo non trova l’affetto che lo circonda a casa sua, ma civuole pure l’ordine anche in seno alla famiglia, «se nella fa-miglia l’ordine non si troverà senza l’amore, è non menovero che l’amore non può esserci, e continuare ad esistere,se non c’è l’ordine: «and by ORDER, I mean absolute go-vernment, and perfect obedience» (Home Education, Capi-tolo III, Family Love and Order, p. 61).

UNA FAMIGLIA DI SCRITTORI

«L’intelligenza del nostro padre – è sempre Isaac, il fi-glio, a dircelo – preferiva che l’informazione fosse sobria;prediligeva la conoscenza e la scienza, non amava la lettera-tura o le belle arti». Più sfumato invece l’atteggiamento dellamadre, Ann Martin; trovava consolante il leggere e, più omeno da sempre, andava scribacchiando soprattutto versi:attività amatoriale, dal momento che «nutriva una forte an-tipatia nei confronti di qualsiasi modo di impiegare il tempoche non poteva giustificarsi alla luce di una diretta e evi-dente applicazione pratica».

22 Isaac TAYLOR, Home Education, Jackson and Walford, Londra1838. «Si constata come dato di fatto che una individualità pacata esalda, una perseveranza che fa parte del carattere, una ponderataintensità nei sentimenti, e un potere non dimostrativo che però tienea freno l’invadente marea delle cose di moda e delle opinionisuperficiali, sono l’ordinario appannaggio di uomini che sono statiallevati a casa loro e, in particolare modo, di quelli del loro novero chesono nel complesso degli autodidatti (to home-bred men; and especiallyto such of this class as are mainly self-taught)» (p. 20).

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Nel 1799, la figlia Ann aveva vinto un premio con unapiccola poesia moraleggiante e, in seguito, lei e la sorella co-minciarono a contribuire in modo regolare alla rivista inquestione, «The Minor’s Pocket Book», e ad altri piccoli pe-riodici dello stesso tipo. Il successo era tale che furono in-vitate a pubblicare questi loro componimenti nella forma diun libro destinato ai ragazzini. Mammà invece rimase inor-ridita all’idea stessa che delle figlie sue potessero presentarsial mondo nella veste di autrici! termine che per lei designavanell’immediato certe femmes savantes, intellettuali miscre-denti che, come Mary Wollstonecraft, avevano apertamenteappoggiato la Rivoluzione Francese (p. 18).

«Né il padre né la madre vedevano di buon occhio que-sta improvvisa vocazione letteraria delle figlie, e queste, inun primo momento, dovevano comporre i propri versi neiritagli di tempo, brevi intervalli (minutes, or half-hours)strappati di prima mattina o la sera tardi dal ciclo di impe-gni e studi al quale loro stesse attribuivano la stessa impor-tanza dei genitori» (DNB); anzi – precisa il fratello – i primiabbozzi di poesie, di inni ora sulla bocca di tutti, gli capi-tano sotto mano nei posti più impensabili, «persino in mar-gine alle loro lezioni sull’arte dell guerra».

Sarà sulla scia dello straordinario – e ben meritato – suc-cesso dei piccoli, deliziosi componimenti delle sue ragazze,che entrerà in lizza persino mammà, persuasa di venire in-contro, così facendo, alla volontà di Dio, dal momento chesolidarizzava con il prossimo. “Mrs Taylor of Ongar” nonscherza; i suoi titoli sono programmi: Practical Hints toYoung Females, on the Duties of a Wife, a Mother, and a Mis-tress of a Family (1815); Reciprocal Duties of Parents andChildren (1818). Ad onore del vero, sia detto, era unadonna che scriveva con eleganza e che sapeva mostrarsi do-tata di sano buon senso.

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Papà, più passano gli anni e più pubblica: libricini – in-tere serie di libriccini – accompagnati quasi tutti da illu-strazioni o sue o del figlio Isaac: Scenes in Europe (1818);Scenes in Africa; Scenes in Asia; Scenes in America e Scenes inEngland (tutti del 1821-22); Scenes of British Wealth in Pro-duce, Manufactures, and Commerce (1823); Scenes of Com-merce by Land and Sea, or “Where does it come from?”answered (1825), e così via. Sono dedicati tutti quanti aigiovanissimi, con l’accattivante definizione dei destinatari:sono stati concepiti «for the amusement and instruction of lit-tle tarry-at-home travellers». La mente settecentescamenteonnivora di Isaac Taylor père si riflette perfettamente neltitolo di un’antologia di una certa mole da lui pubblicatanel 1829; lo cito per intero, Mirabilia or, the Wonders ofNature and Art, comprising upwards of three hundred of themost remarkable Curiosities and Phenomena in the KnownWorld – with an Appendix of interesting experiments in differentarts and sciences – for the Instruction and Entertainment ofYoung People – selected from the researches of Eminent Travellers,Historians, and Naturalists.23

Molti anni dopo, nel 1874, Joseph Gilbert, il figlio diAnn – che si era trasferita, una volta sposata, a Hull – pub-blicò pure lui i documenti di cui disponeva relativi alla fa-miglia di Ongar.24 Include i propri ricordi delle visite fatte

23 Come gran parte dei testi della famiglia, furono stampati quasitutti da un omonimo del compilatore del Lexicon del 1704. Per notizierelative all’attività editoriale di questo John Harris (1756-1846) –specialista nella letteratura per l’infanzia – si veda il lungo articolo a luidedicato su The Oxford Companion to Children’s Literature, pp. 240-242.

24 Autobiography and other Memorials of Mrs Gilbert, Londra 1874,pp. 291.

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da ragazzino alla casa dei nonni, un immenso edificio le-gato nella sua mente ai romanzi “gotici” dello zio Jefferys.Dall’altra parte del corridoio, in faccia allo studio delnonno, pieno di libri, si trovava la cosiddetta Brown Room,piena di lastre di rame e con un odore fortissimo di olio,asfalto, e di acido nitrico. La stanza dello zio Isaac invece«sapeva sempre di inchiostro di china, perché lui per i tantilibri che illustrava adoperava di preferenza questo delicatopigmento». Jefferys – ci dice – scriveva appartato «in unagrande mansarda che guardava ad occidente con sotto di sél’agitato ondeggiare dei pioppi». I libri erano pochissimi,ma c’era un tornio, e molte macchine e componenti di mac-chine, tutte abbastanza strane: «era qui che lui aveva inven-tato un congegno che facilitava il lavoro di quelle parti diun’incisione che prevedono tante righe parallele, fitte e rav-vicinate»; era qui pure – aggiunge il nipote – che avevascritto libri diventati in seguito famosi, Harry’s Holiday eAesop in Rhyme; e intanto, «frammenti di manoscritti gia-cevano sparsi ovunque, più o meno in disordine».

LONDRA 1818 E 1832: UNA CITTÀ MODERNA

A Month in London, or Some of its Modern WondersDescribed (1832) è un testo che si iscrive perfettamente nelnovero dei titoli da Jefferys Taylor destinati all’istruzione deigiovani. I due ragazzi del libro, Harold e Edmund, vengonocondotti a vedere le meraviglie della metropoli, «objects ofprimary or rather novel interest at present in London». Piùantichi oggetti di interesse non furono esclusi dagli itinerarida loro seguiti – è la prefazione dell’autore a dircelo – «maaltri testi che il giovane lettore certamente conoscerà li hannogià descritti» (p. 17). Il punto culminante – l’occasione, sidirebbe, del libro – sarà la solenne inaugurazione del nuovo

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Ponte di Londra avvenuta il primo agosto dell’annoprecedente, 1831.

Quattordici anni prima, nel 1818, Jane e Ann Taylor ave-vano trattato anche loro l’argomento Londra in City Scenes,or A Peep into London for Children, un libricino un po’ naifcon incantevoli silografie di piccolo taglio, accompagnate dabrevi testi in prosa. La prima vignetta, “Countryman andStagecoach”, accenna ad un soggiacente contrasto città-cam-pagna. Il countryman si chiama difatti Farmer Clodpole, chevuol dire “testa di zolla”. Vissuto da sempre a cento miglia daLondra, ha deciso finalmente che andrà a vederla. Lo si vederaffigurato in cima ad una collina con la città davanti a sé.«What? is that ‘Lunnun’, coachy? Well, I’m glad to have seen itat last». E che cosa sarà mai – chiede – quel Coso grande erotondo che sta in mezzo alle case? Si tratta evidentementedalla cattedrale di San Paolo. (Va notato intanto l’insistentegrafema che segna come risibilmente arcaica una pronunciain realtà tradizionale: «adesso nessuno più mi prenderà ingiro perché non ho visto Lunnun»).

Il testo di Jefferys parte anch’esso dalla campagna; ci tro-viamo nella casa di un anziano signore benestante quandovi si presenta senza preavviso un nipote proveniente dagliStati Uniti, il quale spiega così il motivo della sua visita:«Desidero informarmi, entro i limiti del possibile, dell’ef-fettivo progresso dell’Inghilterra nei grandi miglioramentidella nostra epoca; e, dal momento che sarà la stessa me-tropoli ad offrire gli esempi più impressionanti e più im-portanti, ho deciso di passare un mese a Londra» (p. 8).

Il cugino americano – non sarà l’antagonista – degli StatiUniti non dirà quasi nulla: la strategia messa in atto daltesto di Taylor lo vuole remissivo. Gli tocca constatare conla dovuta oggettività l’affermarsi nella Metropoli della Ma-drepatria delle magnifiche sorti e progressive. I ragazzi lo

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accompagneranno in veste di spettatori, non sono certo at-tori. Un londinese attempato, il signor Finsbury, un vec-chio amico del nonno che «vive nei pressi della Bancad’Inghilterra», farà loro da guida, interrogandoli e rispon-dendo alle loro domande: «Quanto vorrei che fosse qui connoi oggi, disse con allusione al nonno, perché lui si ricorderàdell’aspetto che aveva questo quartiere una quarantina dianni fa. Adesso a non più di mezzo miglio da Charing Crosssi troverebbe di colpo smarrito» (p. 104). Evidente l’allu-sione a Regent Street e ai recenti interventi urbanistici diJohn Nash.

Nel libro londinese delle sorelle di quattordici anniprima, le illustrazioni sono numerate progressivamente: ilnumero 49 è “Temple Bar”. Le spese inaspettatamente altedegli sviluppi edilizi della zona – osserva la nota – «hannoritardato oltre il previsto la distruzione di questa porta ov-verosia barriera». È abbastanza chiaro che queste antichitàsono d’intralcio: «this gate or bar». “London Bridge”, il vec-chio Ponte di Londra, si trova al numero 3:

Questo ponte iniziato nel 1176 fu portato a termine nel1209. In quei tempi remoti, i principi dell’architetturanon erano capiti così bene nel nostro paese come lo sonoal giorno d’oggi. Ecco perché, nell’intento sbagliato di rin-forzarlo, i costruttori hanno intralciato questo ponte conuna grande quantità di archi inutili. I piloni con i frangi-flutti formano un ostacolo non indifferente alla marea chenel defluire crea un notevole dislivello.

Le autrici a questo punto deplorano il ben noto diverti-mento dei più spericolati londinesi che, invece di attraccareremissivamente a monte, passare a piedi in capo al ponte, eprendersi un’altra barca a valle, preferivano passare sottouna delle arcate. Shooting the rapids è pericolosissimo – le so-

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relle avvertono i giovani lettori – «and many persons havebeen drowned in the attempt».

Un’occhiata sarà più che sufficiente per i visitatori del1832: il ponte romanico è oramai un rudere: «è spiacevoleda vedersi e per giunta pericoloso. [...] Tra poco non ci daràpiù fastidio». Il nuovo Ponte invece è un’impresa su largascala. I ragazzi accedono allo spazio recintato dove i lavorisono quasi terminati. «Le vie d’accesso – viene spiegatoloro – saranno coordinate per evitare che l’approccio sia insalita; i passeggeri arriveranno in questo modo direttamentesullo stesso ponte. A tale fine, sono state smantellate file in-tere di case, e persino chiese». La strada ora corre in alto, ela nuova arteria est-ovest, Thames Street, ci passa sotto.

TENERSI AGGIORNATI: IL TUNNEL

La sera che precede la visita al tunnel, Harold e Edmund,che vogliono sapere di che cosa si tratta, si rivolgono un po’ingenuamente al Dizionario. Dr. Johnson non è di grandeaiuto. «Strano a dirsi, sembrava che non avesse neppure so-gnato della cosa in questione dal momento che non ne of-friva spiegazione alcuna, neppure un’allusione che avrebbepotuto dare loro una qualche idea della cosa che stavano pervedere» (p. 18).

La parola, in effetti, ha avuto in Inghilterra una storiastrana. Il primo senso, nell’ottica del lessicografo settecen-tesco, era un fumaiolo: «the shaft of a chimney; the passagefor the smoke» e Johnson lo illustra con una citazione dallaFairy Queen:

It was a vault ybuilt for great dispence,With many ranges rear’d along the wall,And one great chimney, whose long tunnell thenceThe smoke forth threw.

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Il secondo senso era un imbuto: «A funnel; a pipe bywhich liquor is poured into vessels», anche se nella citazioneda Bacon ivi riportata si tratta chiaramente di un cornettoacustico. Il terzo senso – Johnson ha davanti a sè tre acce-zioni concrete e procede empiricamente – sarebbe una par-ticolare forma di rete: «A net wide at the mouth, and endingin a point; and so resembling a funnel or tunnel».

L’ottocentesco Oxford English Dictionary – «based onhistorical principles» – dispone di una documentazione piùampia che permette un discorso diacronico: è dal mondodell’uccellagione che bisogna partire, dal terzo senso diJohnson. Dal Promptorium parvulorum (c.1440) la parola– dall’antico francese tonel ( = tonneau) – viene glossatadopo una precisazione: «Tonel, to take byrdys», l’equivalentelatino essendo obvolutorium. Secondario, pare di capire, ilsenso «fumaiolo», già in Palsgrave (1530): «Tonnell of achymney, tuyau».

È significativo che nelle prime fonti scritte che sul finiredel Settecento attestano il senso moderno, la parola è chia-ramente ignota sia al mittente sia al destinatario; è il caso diThomas Pennant in The Journey from Chester to London(1782): «The most southern tunnel, as it is called, is at Her-mitage»; Jane Snow, in una lettera del 1790, scrive: «We wentthrough what they call a Tunnel», e deve spiegare: si tratta di«a passage through the Earth for the convenience of carryingCoals by Water». Siamo, sia detto, nel mondo dei nuovicanali ben prima dell’avvento delle ferrovie.25

25 TUNNEL or FUNNEL: per Chambers si tratta di «unostrumento attraverso il quale un liquido viene versato in un recipiente»;una TUNNEL-Net, invece, «è un tipo di rete spesso adoperata perprendere le pernici, così denominata a causa della sua forma; è lunga 15o 18 piedi». Segue una breve descrizione (di sei righe) che accenna almodo da tenere nell’impiegarla. Il curatore dei due volumi di

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Arthur Young, Travels in France and Italy during the Years1788 and 1789 (1792), adopera questa parola nel descri-vere un progetto rimasto incompiuto da lui visto in Fran-cia: «a tunnel four hundred yards long through a mountain»;un’anticipazione, dal momento che la parola inglese farà ilsuo ingresso nella lingua francese molti anni dopo, nel1825, «à propos des travaux du passage souterrain sous laTamise».

Un’acquatinta di Ackermann, datata 1 febbraio 1831, mostraun tratto di un tunnel sulla ferrovia Liverpool-Manchester, la cuiinaugurazione risale – ci informa la didascalia – al 7 giugno del1828. «A subterranean tunnel is not new; – dice il signorFinsbury – a subaqueous one is». L’esempio londinese passaappunto sott’acqua e, nel 1832, era tutt’altro che compiuto. Inostri visitatori, scesi per una scaletta di legno, si trovanocomunque davanti all’ingresso, un arco così grande cheavrebbe potuto passarci sotto una carrozza con i relativi cavalli.All’interno, mirabile dictu, l’occhio che tenta di misurarne lalunghezza si perde (p. 25).26

supplemento del 1753 – nell’ottica di chi si rivolge ad un eventualePapageno principiante – dà una versione integrale dello stesso discorso –che presumo tagliato da Chambers – lunga un paio di colonne. Questoblow by blow account viene da Rees nel 1786 accolto più o meno tal quale.Lo stesso Rees, che nel 1819 gestisce in proprio la sua brava Enciclopediapure lui, sa all’uopo mostrarsi – e la cosa è ovvia – pienamente aggiornato:nel caso di Tunnel, si tratta ora anche di «un grande arco scavatosottoterra, che attraversa una cima o una collina e che permette che lebarche possano transitare sul canale che lo accompagna»; sulla scia delverbo, sta per arrivare il terrificante navvy: «the execution of making anddriving them is called tunnelling». (Sarà il navvy, il terraziere britannico,a riportare in Francia la parola, venuto in Inghilterra nel medioevo edora tornata a casa in questa sua nuova veste).

26 L’ideatore di questo «progetto che si prefigge di azzardare lacostruzione di una strada che passi sotto un fiume navigabile – the

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L’accezione oggi dominante – l’odierno Hazon-Garzanti,ad esempio, non ne contempla altre – viene percepita dal-l’anziano cicerone di Jefferys Taylor come una sempliceestensione di quelle precedenti. Un tunnel è un passaggiocavo artificiale che lascia passare il fumo, un fluido, o qual-siasi altra cosa – in inglese, «a hollow, artificial passage forsmoke, fluid, or anything else» (p. 26).

MEZZI DI LOCOMOZIONE

Una piccola figura (n.23) sul libro di Ann e Jane rap-presenta “The Sedan Chair”, la portantina, a quell’epoca –a detta dell’OED – tuttora «in fashionable use». I ragazzini-destinatari del 1818 vengono informati sull’ambito oramaicircoscritto di tale impiego: «Questo modo di spostarsi sivede di rado adesso, ma una volta se ne faceva uso frequente.Adesso la portantina viene adoperata dagli ammalati e dapersone di costituzione debole, ma anche dalla nobiltà e daaltre persone che si recano alle udienze a Corte».

Un’altra figura (n. 68) mette in scena un gentleman e unalady che si avvicinano al “Coach-stand”; temono la pioggiae sono sul punto di prendere a nolo una vettura a cavallo, ahackney coach. Una grande comodità – spiega il testo – «nonimporta in quale parte della città vuoi recarti, basta fare uncenno al guidatore»:

project of attempting a road under a navigable river», era Sir MarcIsambard Brunel (1769-1849). Un suo ritratto con, sullo sfondo, ilTunnel, opera di Samuel Drummond, si trova alla National PortraitGallery di Londra. Un foglio pubblicitario, che reca la data giugno1832, informa il pubblico che l’arditissimo traforo può essere visitato«from Nine in the Morning, until Seven in the Evening», nei giorniferiali. Attualmente fa parte della Metropolitana di Londra (unpiccolissimo tratto della linea che da Whitechapel porta a New Cross).

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He’ll drive you home quickly, and when you are there,You have nothing to do but to pay him your fare.

In realtà, a volte ciò è capace di occasionare un bell’in-tasamento quando «un migliaio tra carrozze e vetture a nolosi trovano nei giorni di pioggia intente a circolare, tutte allostesso momento». Tale ressa fa comunque parte della vitanormale di tanta metropoli: «niente può superare il fra-stuono, lo scompiglio, la fretta delle strade di Londra, conle carrozze che passano in continuazione in un senso e nel-l’altro per l’intera giornata, e per gran parte della notte».

I ragazzi di Jefferys (nel 1831) sgranano gli occhi quandovengono introdotti all’interno di «quel capiente mezzo ditrasporto che ha per nome omnibus». Il testo evidenzia (peri ragazzi-lettori di campagna) la loro incredulità davanti adun’innovazione recentissima, per certi aspetti persino un po’comica. Risaliva al luglio 1829 l’inaugurazione del primo eunico percorso a disposizione. I veicoli, «running upon theParisian mode», si incrociavano per strada (via Islington),partendo sia dal centro della City nei pressi della Banca siada Paddington. Ogni viaggiatore al momento di salire con-segnava il suo «fare», uno scellino e sei pence, al conductor(da non confondersi con il conducente). Taylor sottlinea lacapienza: i posti a disposizione erano ventisei.

Il signor Finsbury si compiace a lasciar stupefatti i suoicompagni. Con la mano fa un gesto, per loro incomprensi-bile e, dall’alto di un grosso veicolo che in quello stesso mo-mento sta passando, l’uomo al posto di guida gli risponde,alzando il braccio con il frustino tenuto orizzontale, «[he]“pulled across the way”, as the phrase is», accostandosi al mar-ciapiede e alla piccola comitiva dei nostri. I ragazzi, unavolta saliti, vedono una cosa curiosissima: sedici persone di-sposte su due panche, gli uni in faccia agli altri. Ognuno

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sedeva rigidamente isolato, senza rivolgere la parola ai vi-cini; «davano l’idea, di primo acchito, di una commissioneper chissà quale fine convocata; non c’era però nessun or-dine del giorno. L’unico progetto comune a questo stranoassembramento era una locomozione che non richiedevanessun ulteriore impegno da parte loro» (p. 71). Sembrauna carro da campagna (un «waggon») – dice Harry. «Nonfarti sentire dal signor Shillibeer, gli risponde il vecchio lon-dinese; per lui sono carrozze comodissime e estremamenteeleganti. – A me, dice Edmund, »fa venire in mente un seg-mento del tunnel sotto il Tamigi».27

Il testo registra inoltre una curiosa anticipazione del-l’ascensore. Un immenso dipinto, un Panorama di Londra,va ammirato dalle gallerie al centro dell’edificio che lo ospita(si tratta del Colosseum, a Regent’s Park). I nostri visitatoristanno per affrontare la scala a chiocciola, quando si avvi-cina a loro uno degli impiegati dell’impresa, chiedendo se ilor signori desiderano forse «salire». Vengono introdotti, unpo’ perplessi, all’interno di una strana struttura descrittacome una lanterna ascendente (an ascending lantern). L’ad-detto spiega loro che, pur restando seduti, sarebbero saliti lostesso ad un’altezza di una settantina di piedi, risparmian-dosi in tal modo più di ottanta gradini. Difatti, «meno di treminuti bastarono per sollevare i nostri aeronauti, che non sierano accorti di nulla, fino al livello della prima galleria,dove uscirono tutti, sani e salvi».28

27 Felix BARKER e Peter JACKSON, London, 2000 Years of a Cityand its People, Macmillan, Londra 1974, è una miniera iconografica; siveda la sezione Regency London, pp. 235-260, e, più in particolare, pp.258-259, The 1831 London Bridge; pp. 252-253, Shillibeer’s “Parisian”Omnibus”; , pp. 276-277, The Tunnel.

28 Taylor si diverte a proporre in una dimensione ingegneristicainedita il vocabolo Aeronaut, propriamente applicato a chi viaggiava in

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L’EMPIRISMO IMPERANTE: L’IMMAGINAZIONE ALLE PRESE CON LE MERAVIGLIEDEL GAS E CON I MATTONI

«I nostri giovani amici avevano più volte espressa la loromeraviglia nel constatare che la notte a Londra non fossescura» (p. 55). Difatti per una distanza di venti miglia perchi stava immerso nel buio della campagna la linea di quellaluce si stagliava oramai all’orizzonte. Era un ricordo lontanoper i cittadini quella serata del 1807 quando si erano recatiin massa davanti a Carlton House per assistere ad una di-mostrazione dell’illuminazione a gas. «Il gas infiammabile èdel tutto trasparente, invisibile, – a riferirlo è The MonthlyMagazine – e poco dopo le otto ha cominciato ad uscire daitubi; a questo punto un lampionaio è apparso, una personaarmata di un candela di cera, e (la sera essendo particolar-mente serena) si diede da fare spostandosi da un becco al-l’altro per accendere il gas che ne usciva». La folla simostrava «much amused and delighted by this novel exhibi-tion».29

mongolfiera, e registrato per la prima volta nella lingua inglese nel1784, che è pure l’anno che vide la sua prima apparizione in italiano(si veda, sempre Barker e Jackson, p. 234). Il primo volo era statoeffettuato poco prima, il 24 novembre 1783, in Francia. (E’ irresistibileal proposito l’impiego da parte di Burke di questo termine, che applicaa certi voli anche traslati d’Oltremanica: «Let us be satisfied to admire,rather than attempt to follow in their desperate flights, the aeronautsof France». Per il primo “volo” a Londra, si veda, di nuovo, BARKER/ JACKSON, p. 234.

29 Cito dal dettagliatissimo Account of the First Experiments inPublic Use of Gas Lights, apparso su «The Monthly Magazine, or BritishRegister», 1 luglio 1807, p. 520. Al livello iconografico, si veda sempreBarker e Jackson, London, p. 239.

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Londra non aveva ancora le ferrovie (il Prospetto per laprima linea – Southwark-Greenwich – porta la stessa datadel libro di Taylor, 1832). Avevano ancora da spiegarsi conla dovuta magnificenza le meraviglie del vapore, mentre losplendore del gas stava appunto sotto gli occhi a tutti. Ed èsu questo che il testo insiste, fornendo le cifre: cinquantaimmense macchine funzionano giorno e notte per produrreil gas che alimenta settantamila fonti di luce, pubbliche eprivate.

È in questo che consiste la modernità. Nel fatto che le os-servazioni filosofiche ora trovano un’applicazione pratica.Gli antichi, al confronto, – afferma il testo – si limitavanoad escogitare balocchi, «playthings or philosophical toys».Erano spettatori (they looked on), «incapaci di concepire uneventuale impiego dei poteri giganteschi insiti nei fenomeniche si dispiegavano davanti ai loro occhi».

Si prende ad esempio la fiamma prodotta dal carbone;era impossibile non accorgersi della luminosità. «Ma sem-brava che la luce prodotta così fosse destinata a restare con-finata agli stessi focolari sopra i quali si consumava ilcarbone». Usarla per illuminare le vie pubbliche, manco adirlo, non era venuto in mente a nessuno: «non si potevanosistemare lungo le strade stufe e camini a brevi intervallil’uno dall’altro». In realtà, sarebbe bastato porsi il problemaper arrivare alla sua soluzione: bisognava escogitare unmodo per effettuare una separazione tra combustibile efiamma». Detto fatto. Si produce il gas in un posto, lo si fapassare attraverso dei tubi anche lunghi che lo trasferisconoin un altro posto; quando esce, basta accendere.

Il gruppo dei nostri amici varca la soglia di un negoziolucente, all’interno del quale i becchi a gas, ben in vista,sono stati disposti con grande eleganza in modo da formareun ventaglio. Sono estasiati i ragazzi. «Che bellezza!, escla-

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mano; la fiamma esce ruotando dai buchi». Non è vero, ri-sponde l’anziano signore; approssimazioni del genere sonoda evitare. Questi giovani devono imparare ad osservare lecose per bene. Lui spiega che ciò che esce dai buchi non èla fiamma, ma il gas; che è solo quando questo entra in con-tatto con l’aria esterna e viene acceso che si trasforma infiamma. «I ragazzi osservarono con più attenzione e si ac-corsero che era proprio vero: la fiamma non toccava affattoi pertugi».

Tutta l’impostazione di questo discorso rappresenta l’ap-plicazione di un programma annunciato sin dall’inizio deltesto; costituisce anzi il senso dell’intera operazione:

Tutto quello che è stato detto o letto, insegnato o pensato,della grande città, tende ad assecondare un’idea pursempre visionaria; un’idea che, coccolata dalla caldaimmaginazione di un ragazzo senza una percezione direttadei fatti, si espande per abbracciare la nozione di stradelarghe un chilometro, di case grandi quanto le strade, e diedifici pubblici che si ergono fino a toccare le nuvole!(pp. 11-12).

La strategia dell’autore è di insistere sul vivo disappuntodi questi giovani davanti all’evidenza dei fatti. Passando perla periferia – Stratford, Bow, Mile End – chiedono in con-tinuazione: «È possibile che Londra sia questa?». Dev’esserechiaro al ragazzo-lettore che – meraviglie a parte – è pro-prio così:

In un istante, la strana impalcatura di una messinscenamentale fu rimossa dall’immaginazione dei nostri giovaniviaggiatori; percepirono chiaramente che le case erano solocase, che i negozi erano solo negozi – anzi, che molti eranomeno appariscenti di quelli di un paese di campagna inun giorno di mercato. Scoprirono pure che, a prescindere

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dall’incrostazione di fuliggine e di polvere di cui erano ri-vestiti, le tegole erano tegole, e i mattoni mattoni. (pp. 12-13).30

IL RAGAZZO RIBELLE: HARRY’S HOLIDAY (1818)

Il primo libro di Jefferys, Harry’s Holiday, apparso nel1818 quando lui aveva appena venticinque anni, descriveun ambiente familiare che rassomiglia in modo sorpren-dente a quello di Ongar. La vita che conduce Harry, e conlui i suoi fratellini, è rigidamente regolamentata: un orariodi ferro governa non solo le lezioni ma tutte le fasi dellagiornata, scandita a suon di campanello. Il padre che ha pre-disposto questo piccolo mondo è benevolo ma, per il fattostesso, è anche vigile. Il libro è il resoconto minuzioso di untentativo di ribellione.

Harry sta in disparte e tiene il broncio – siamo all’iniziodel libro. In situazioni come questa ha l’abitudine di parlare

30 E qui occorre ricordare uno dei libri di maggior successo delfratello, Isaac TAYLOR, Natural History of Enthusiasm (1829). E’ untesto che prende di mira, in modo esplicito, l’entusiasmo religioso: gliapocalittici, fanatici invasati sono ributtanti oltre ad esserepericolosissimi, e qui va ricordata la definizione di Johnson; si tratta di«a vain belief of private revelation; a vain confidence of divine favouror communication», parola di John Locke (qui citato al riguardo). Ilreverendo Taylor è pienamente d’accordo, «la propensionedell’immaginazione malata (the disordered imagination) a trovare persé, o a crearsi, il proprio reame di felicità fittizia, spinge non pochepersone a recarsi in mezzo ai campi del godimento intellettuale, ondeesimersi dai fastidi che contaminano il mondo più umile». Sibariti diquesta risma un po’ patologica si insinuano oramai ovunque, «nei vialidella filosofia naturale e della conoscenza astratta, nella letteratura e,segnatamente, nella poesia e nelle belle arti».

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tra sé ad alta voce, «Voglio vivere tutto solo come RobinsonCrusoe!». È un momento privato, o così gli pare; invece pro-prio in quel momento sta passando papà. Da quel mo-mento in poi, papà è a conoscenza dei sentimenti che ilfiglio sta covando. Di nuovo solo, Harry definisce e difendela sua posizione: «Se lui non sente nessuna voglia di diven-tare qualcun altro è perché lui gode della libertà di fare tuttoquello che vuole». E poi, tutti questi campanelli che suo-nano! «Bisognerebbe sottoporre papà allo stesso tratta-mento, dice il ragazzo; voglio proprio vedere se lui cistarebbe».

Passano pochi giorni e Harry compie gli anni. «Undicianni, perbacco!, gli disse papà, basta aspettare dieci anni an-cora, e sarai padrone di te stesso; potrai fare di testa tua.Ma, nel frattempo, c’è una cosa che devi fare per me: fa’ unsalto in biblioteca e portami il pacchetto che vedrai sul ta-volo». Si tratta di un regalo, un bell’orologio: «suo padre silimitò a consigliargli, in termini generali, di averne cura,perché in quel momento – aveva capito – un discorso piùlungo non sarebbe stato recepito».

Mammà ha scelto ad arte un libro che ben si adatta alcaso, The History of Rasselas, Prince of Abyssinia di SamuelJohnson: «e se dovessero esserci dei punti che tu adesso forsenon potrai afferrare appieno, sarai comunque in grado dicapire una cosa: che, anche se poteva sempre fare esatta-mente quello che voleva, Rasselas non arrivò mai ad esserecontento di sé».

Papà ha trovato l’occasione buona per mettere in atto ilprogetto che ha nel frattempo escogitato. Concederà al fi-glio una settimana di vacanza, durante la quale, pur re-stando a casa, non sarà costretto a seguire le lezioni e il restodella routine: sarà in grado così di fare tutto quello chevuole.

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In qualche modo bisogna pur organizzarsi: «Mi farebbepiacere, comunque, pensò tra sé e sé il ragazzo, combinarequalche cosa durante la mia vacanza. Se non altro, per sal-vare le apparenze, perché se non faccio nulla, so già quelloche si dirà. Il che vuol dire, tutto sommato, che non è pro-prio vero che io possa fare tutto quello che voglio». (p. 78)

Un immenso tabellone, Dr. Priestley’s Chart of History,sta appeso alla parete; è sporco e malridotto e andrebbe so-stituito. Il ragazzo allora, nell’intento di rivendicare uno spa-zio per sé, sceglie lo stesso un compito perfettamenteconforme alla prassi didattica alla quale è abituato. In ognicaso, deve per forza rivolgersi a papà; ha bisogno di ungrande rotolo di cartone:

–� Grande quanto? chiede papà; a che cosa deve servire?–� Il più grande possibile, disse Harry; grande... grande...

come il tabellone storiografico.–� Ho capito, disse suo padre; hai deciso di copiarlo. (p.81)

La strategia educativa qui messa in atto viene dal testospiegata in questo modo. «Suo padre mai avrebbe negato ilpermesso ai suoi ragazzi desiderosi di intraprendere qual-cosa solo perché sapeva che era al di là delle loro possibilitàportarlo a termine. Al contrario, si adoperava perché loropotessero almeno fare il tentativo; voleva convincerli permezzo del più valido di tutti gli argomenti, la loro proprioesperienza, quanto fossero reali le difficoltà, difficoltà checi teneva ad illustrare loro puntualmente sin dall’inizio».(p. 80) Fa dunque una serie di obiezioni: copiare quel ta-bellone con precisione dall’inizio alla fine sarà arduo, e ag-giunge sardonico, «Copiarlo in modo impreciso nonsarebbe il caso!» E poi, anche se dovesse portare a termineil progetto, Harry verrebbe a trovarsi con in mano una cosa

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tutto sommato inutile, una seconda copia di ciò che avevaavuto a disposizione già in partenza.

Non demorde il ragazzo, e si mette al lavoro. La fase ini-ziale richiede che siano tracciate, con precisione e senza er-rori, decine e decine di righe parallele, possibilmente senzala presenza delle macchie d’inchiostro che nell’operato diHarry sembra non manchino.

Lo slancio iniziale ad un certo punto viene meno, e qual-che dubbio comincia ad insinuarsi nella sua mente a pro-posito di certi allineamenti. «Tutti questi calcoli, questosmisurato misurare, sbottò Harry, perché non posso co-piarlo e basta, come si farebbe con qualsiasi altra cosa?»Passò a tracciare una sequela di linee così così, una dopol’altra, ed era sorprendente quanto più in fretta la cosa gliveniva». È un lavoro da certosino, è chiaro, ma lui è impa-ziente: «a questo punto, disse, proviamo ad inserire qualchenome quà e là nelle caselle; non devo aspettare che le righeci siano proprio tutte» (p. 84). In ogni caso, conclude, «c’ètempo, dal momento che ho a disposizione una settimanaintera». (p. 85)

LA LEZIONE DI FILOSOFIA 31

Si dà da fare Harry, durante questa sua vacanza, anche sel’autore insistentemente afferma il contrario, d’accordo conpapà. « – Sei tremendamente occupato stasera? Hai da fare?,

31 Si tratta di “natural philosophy”; oggi si direbbe “Scienza”. Ilsenso ristretto della parola è attestato a partire dal 1725, WATTS, Logic:«The word science, is usually applied to a whole body of of regular ormethodical observations or propositions, … concerning any subject ofspeculation.» (OED 4.a.).

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gli chiede il genitore. – No, risponde lui, niente di speciale.– Stiamo andando tutti ad assistere ad una lezione di filo-sofia; ci saranno molte dimostrazioni sperimentali di cui tufinora hai potuto solo leggere, senza poterle vedere. Cosadici? Ti farebbe piacere venire con noi?» (p. 99). Al ragazzo,che accetta l’invito, viene consegnato un libro, George Gre-gory, The Economy of Nature Explained and Illustrated onthe Principles of Modern Philosophy (che è del 1796); potràpassare il pomeriggio a studiarlo, «dal momento che sup-pongo che tu non abbia voglia di trovarti relegato fra quellepersone che – o perché troppo giovani o perché estrema-mente sciocche – si recano ad avvenimenti di questo tipoper il solo divertimento». Il libro non imprevedibilmentenon piace al ragazzo; l’idea della serata invece lo riempiva digioia, «non perché era un filosofo, sia chiaro, ma più sem-plicemente perché sperava che le novità in programmal’avrebbero divertito» (p. 101).

La sala era grande, ma c’era poco pubblico. Sullo sfondo,un tavolo molto lungo «era interamente ricoperto d’oggetti,alcuni riconoscibili, altri mai visti. I ragazzi lì per lì sepperoriconoscere la pompa automatica, l’apparecchio elettrico, ilplanetario meccanico e altro ancora; molte cose però le con-templavano con un senso di profonda meraviglia».

Il conferenziere attaccò parlando del galvanismo ma, ac-cortosi della scarsa attenzione del pubblico, decise di passaresubito all’esperimento meraviglioso della rana morta chespicca un salto dal bicchiere; al momento culminante, poi,«diverse signore ben vive saltarono loro pure in simpatia»(p. 107).

La disquisizione sull’elettricità per la maggior parte del-l’uditorio fu l’occasione per un sonnellino. Il filosofo in-tanto stava parlando di Talete, delle proprietà dell’elettro, edi Benjamin Franklin. «Accortosi che il pubblico voleva la

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sua elettricità in forma più positiva, fece dei tagli al discorso,e passò subito agli esperimenti di routine. Alla compagniavenne rivolto l’invito di immergere le mani nell’acqua cheriempiva delle scodelle legate all’apparecchio galvanico; ipochi avventurosi che osarono avvicinarsi scoprirono checiò produceva una sensazione indescrivibile nelle giunturedel braccio» (p. 108). Forse qualcuno degli intervenuti insala avrebbe avuto piacere a sentirsi raccontare il grande espaventevole esperimento condotto da Franklin sulle nu-vole del temporale, «ma la stragrande maggioranza prefe-riva di gran lunga la catena luminosa e i campanellielettrici».

HARRY E IL SUO APPARECCHIO ELETTRICO

Il ragazzo, tornato a casa e tuttora in vacanza, decide dicostruire per sé una pompa pneumatica. Papà – è indica-tivo che papà sia stato messo immediatamente al corrente –in questo caso non si perde in ragionamenti inutili: «I assureyou that to make an air-pump you will find quite impossible!»(pp. 113-4). Il ragazzo dovrà accontentarsi di un apparec-chio elettrico. Ovviamente è a papà che si rivolge per l’oc-corrente; il cilindro di vetro, essenziale al completamentodel lavoro, gli verrà regalato però «only when it is finished».

Per un undicenne come Harry costruirsi da solo un ap-parecchio come questo non è impresa da nulla e l’autore èdisposto ad ammetterlo; «certi ragazzini però – precisa – cel’avrebbero fatta a portarlo a termine» (p. 116). Ad esempio,l’amico e compagno Charles, che, dopo la lezione di filoso-fia, vuole giocare con l’elettricità anche lui. Costui adoperasin dall’inizio elementi abbastanza umili, accontentandosiad esempio di una bottiglia quale cilindro. Harry è più am-bizioso: parte come sempre con l’idea di fare le cose in

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grande. «Ecco ciò che sono riuscito a finire finora, gli diceCharles; come ti pare?» Non c’è confronto, l’apparecchio diHarry è quasi completo; nel caso di Charles, però, «un os-servatore attento avrebbe potuto apprezzare i segni di unaapplicazione tecnica più solidamente basata» (p. 126).

Il nostro eroe, al contrario, ha buttato insieme tuttoquanto alla bell’e meglio: a prima vista era un aggeggio ilsuo più o meno dotato della forma ambita (p. 126). I diversicomponenti vi erano stati inseriti con la forza e combacia-vano per modo di dire; la struttura nel suo insieme era pocosicura, per non dire traballante. L’intero approccio di Harry,qui e altrove, è dilettantesco: «he rather played with his toolsthan worked with them».

A portare direttamente al dénouement sarà la frustrazionedel ragazzo davanti all’evidenza di quest’impresa fallita.Siamo all’ultimo giorno della settimana di vacanza. Il vec-chio tabellone di Priestly, una volta effettuata la distruzionefurtiva della sua brutta copia, è stato ricollocato al postoconsueto. L’unica potenziale rivincita è oramai rappresentatadall’apparecchio elettrico, sul quale fa già bella mostra di sé– va osservato – il cilindro di vetro di papà, di cui Harry siè appropriato in anticipo. «Si diede da fare per un certotempo, spingendo, tirando, comprimendo; poi prese inmano il martello, che serve a volte – sapeva – a convinceregli oggetti recalcitranti a conformarsi alle aspettative.Mandò a segno, un po’ scocciato, due colpi così ben asse-stati che l’intero assetto volò in pezzi».

James, il fratellino benpensante, scoppia a ridere; Harry,fuori di sé, scaglia per terra tutta quanta la baracca, cilindrocompreso. James a questo punto decide di eclissarsi, scivo-lando fuori dalla porta più vicina, e entra in scena papà.Non si può parlare di rivincita; il testo costituisce un ine-sorabile Quod Erat Demonstrandum; Harry era vinto prima

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di dare inizio alla partita. Quale sarà la prima mossa del be-nevolo genitore? «Ho sentito un rumore, mi pare, dice; si èforse rotto qualcosa?».

E la morale della favola? «Ci siamo, Harry, ecco la con-clusione della tua settimana di vacanza!», e il ragazzo scop-pia a piangere. «Non mi aspettavo altro, incalza il genitore;quella sera in cui, per puro caso, ho sentito quello che tu tistavi dicendo, ho capito che eri scontento del mio modo difare le cose, che il mio modo di trattarti ti sembrava cru-dele; non puoi dire ora che io abbia adoperato un metodocrudele per farti ricredere». Il ragazzo accetta, singhioz-zando: «You have been very good to me, papà».

Al vincitore la serena oggettività della constatazione fi-nale: «Ho raggiunto il mio scopo».

CONTRASTARE IL NOZIONISMO. CATHERINE SINCLAIR (1837)

Dei testi di impostazione manualistica che costituisconola maggior parte della produzione di Jefferys Taylor può ba-stare qualche titolo. The Forest, or Rambles in the Woodland(1831) passa inesorabilmente in rivista tutti gli alberi; al-trettanto capillari risultano A New Description of the Earth,considered chiefly as a Residence for Man (1832); The Farm.A New Account of Rural Toils and Produce (1834); A Glanceat the Globe, and at the World Around Us (1848).

Esiste un rapporto evidente tra questa produzione di Jef-ferys e quella degli altri membri della famiglia di Ongar eun libro apparso nel 1837, Holiday House. A Book for theYoung di Catherine Sinclair, un testo che verrà ristampatopiù volte per il resto del secolo. Sin dalla Prefazione, la scrit-trice scozzese prende posizione: «In quest’epoca di meravi-gliose invenzioni meccaniche, è la stessa mente dei ragazzi

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che rischia di trasformarsi in macchina». I ragazzi di unavolta – dice – sapevano divertirsi. Lei scrive di conseguenzauna serie di racconti incantevoli in cui due simpatici bimbiintelligentissimi, Harry e Laura, ne combinano di tutti i co-lori; saranno precursori, ma si distinguono da Max e Moritz(1865) perché i guai che combinano sono tutto sommatofrutto della loro innocenza, e questo gli adulti di casa lorocomprendono. Il libro, estremamente divertente, contienesituazioni e frasi davvero indimenticabili: «I was cutting offmy hair with Mrs Crabtree’s scissors all the time that Harrywas setting the nursery on fire».

L’amico Sir Walter Scott aveva osservato in una conver-sazione con la Sinclair – è lei a riferirlo – che «nella nuovagenerazione non ci sarebbero stati né poeti, né gente di spi-rito, e nemmeno grandi oratori, perché oramai ogni liberoimpiego dell’immaginazione viene accuratamente scorag-giato». Aveva aggiunto «i libri destinati ai ragazzi di oggisono per la maggior parte un’arida sequela di dati, non rav-vivata da alcun appello al cuore o sollecitazione della fanta-sia». Va a vedere gli scaffali nelle loro stanzine – dice – ecosa trovi? «Conversazioni sulla Filosofia Naturale, sullaChimica, sulla Botanica, su tutte le Arti e i Mestieri: libriche presentano la Storia nella forma di un Elenco Crono-logico, e che riducono il piacere del viaggiare alle noiosetappe di un arido Itinerario».

IL CALEIDOSCOPIO E L’ARCOBALENO

«Al solo tocco della fredda filosofia / ogni incanto vienemeno! / Una volta c’era nei cieli un arcobaleno e ci com-muoveva; / ora che tutta la sua tessitura, la sua trama, ci ènota, / è stato incluso nel lungo catalogo delle cose banali./ La filosofia tarpa le ali agli angeli. / Con le linee rette dei

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suoi righelli sconfigge tutti i misteri; / toglie gli spiritelli dal-l’aria, gli gnomi dalle loro caverne: / disfà l’arcobaleno».Questi versi di Keats (Lamia, II. vv. 229-237) riprendonoil tema di una discussione avvenuta nello studio diBenjamin Haydon la sera del 28 dicembre 1817. Fra gli in-vitati, William Wordsworth e Charles Lamb e c’era ancheKeats. Lamb era in vena quella sera, scatenato, brillante, ese la prese con l’ospite, reo di aver incluso in una tela appenacompiuta la testa di Newton, «un tipo – disse – che noncredeva a nulla che non fosse chiaro come i tre lati di untriangolo». Keats era d’accordo: «tutta la poesia dell’arco-baleno era stata distrutta, disse, quando costui l’aveva ri-dotto ai suoi colori prismatici». Al che, la compagnia fece unbrindisi, “Isaac Newton! e al diavolo la matematica!”

Marjorie Hope Nicolson, che apre il suo libro NewtonDemands the Muse raccontando quest’episodio, osserva cheWordsworth avrà senz’altro nutrito qualche perplessitànell’alzare il calice: «Lamb e Keats non avevano, come lui,passato gli anni decisivi della loro giovinezza a Cambridge».In The Prelude,Wordsworth rammenta la sua cameretta daundergraduate in First Court a St. John’s; stava a ridosso dellacappella di Trinity, «dove si ergeva la statua / di Newton conil prisma – la faccia silenziosa, / l’indice marmoreo di unamente che per sempre / naviga sola per i mari ignoti delpensiero» (III, vv. 60-63).

Passa qualche mese – siamo nel 1818, l’anno di Harry’sHoliday, – e una nuova meravigliosa invenzione fa furore aLondra, un intrecciarsi gioioso di bellissime forme can-gianti, il caleidoscopio! Era stato escogitato e brevettato daSir David Brewster, grande conoscitore delle opere di New-ton, ricercatore lui stesso nel campo dell’ottica. (In seguitoavrebbe passato molti anni della propria vita a compilareanche lui la sua brava enciclopedia, The Edinburgh Encyclo-

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paedia, per diventare alfine Rettore dell’Università del ca-poluogo scozzese.)

In quello stesso anno, 1818, Byron si trovava a Venezia.Era più giovane di Wordsworth – aveva diciotto anni inmeno – ma come lui si era formato a Cambridge: a Trinity,il collegio che era stato di Newton e di Bentley. Il suo edi-tore, John Murray, colse l’occasione della partenza per l’Ita-lia del suo avvocato, John Hanson, per fare al poeta unpiccolo e – sperava – gradito regalo: «le mando – gli scrive– un caleidoscopio di bella fattura; è un giocattolo inventatoda poco (a newly-invented toy)». Non fu particolarmentegradito al ricevente questo regalo, a giudicare da una sualettera scritta l’undici novembre, sempre da Venezia, «Han-son oggi è arrivato qui, lasciando i miei libri in ChanceryLane – tutti i miei libri! Ogni cosa, insomma, ad eccezionedi un dannato – che so io? – SCOPIO!».

Byron allora stava scrivendo Don Juan il cui SecondoCanto fu da lui portato a termine alla fine di gennaio 1819.Tre stanze (92-94) sono dedicate alla descrizione di un cielola cui bellezza ingannevole che annuncia la tempesta suscitainvece la speranza dei marinai che non sospettano neppureche tra non molto la loro nave andrà a picco. Sullo sfondoscuro del volto celeste, si staglia intanto un arcobaleno chedescrive un luminoso emiciclo di luci cangianti:

a heavenly cameleon,The airy child of vapour and the sun,Brought forth in purple, cradled in vermillion,Baptised in molten gold, and swathed in dun,Glittering like crescents o’er a Turk’s pavilion,And blending every colour into one;

È un concetto che risale a Genesi (9, 12-17): finita latempesta, appare l’arcobaleno, segno di acqua passata, di

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speranza rinnovata. L’uso che ne fa Byron è ironico: le ap-parenze in questo caso sono fallaci,

And so this rainbow look’d like hope.Quite a celestial kaleidoscope.

Si tratta, da ciò che mi risulta, del primo uso traslatodella parola, della prima trasfigurazione poetica del nuovobalocco.

I primi lettori del libro di Jefferys Taylor – sempre nel1818 – incontrano il caleidoscopio anche loro (i Taylor – al-meno in campi come questi – erano al passo con i tempi).Il povero Harry ha deciso di passare una mattinata della suapenosa vacanza seduto alla finestra; vuole dedicarsi allo stu-dio. Gli si presenta davanti, sulla strada, un venditore am-bulante (la canzone che decanta l’oggetto che lui tiene inmano è una ben collaudata presa in giro della ricerca scien-tifica: non è il caso – dice – di passare delle giornate interea contare le giunture di un insetto).

Harry, una volta impadronitosi dell’oggetto mai visto,comincia col guardarci dentro. «Tutto qui?» dice deluso, dalmomento che non vede nulla. «Bisogna farlo girare», spiegal’ometto. Detto fatto, e il ragazzo, invasato, fuori di sé dal-l’entusiasmo, corre su per le scale perché vuole condividerela sua gioia con fratelli e sorelle. «E se lo acquistassimo?»propone. Gli controbatte l’inquadratissimo James, «E sechiedessimo prima il permesso di papà?».

I genitori stanno facendo una passeggiata in giardino.«Ah, un caleidoscopio, osserva papà; ne ho già visti a Lon-dra, anzi ero quasi tentato di acquistarvene uno». Cede oraalla domanda collettiva; è comunque un acquisto che farà –come precisa – pro bono publico. «A dire il vero, dichiara l’ir-reprimibile James, io avrei preferito un microscopio, o untelescopio»: papà è d’accordo.

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Sarà l’approccio insistentemente analitico di questo fra-tello beniamino che porterà alla demistificazione completadell’innocentissimo giocattolo: «Ma io vorrei proprio saperecome mai le figure hanno una forma così regolare, pur ri-presentandosi volta per volta in modo diverso. La cosa è benstrana». È un invito questo che papà coglie al balzo:

Dimostrò che le figure variegate, per i ragazzi fonte ditanta meraviglia, erano in realtà composte da piccoli pezzidi vetro colorato e di carta dorata e da nient’altro, che laregolarità delle forme era dovuta alla loro riflessione mol-tiplicata da due pezzi di specchio sistemati l’uno in rap-porto all’altro in modo ben calcolato. Fatto ciò, rimontòtutto quanto. Adesso però ad ognuno dei ragazzi bastòun’occhiata appena. Era evidente che oramai nessuno diloro nutriva l’atteggiamento rispettoso di prima, quandoerano convinti che l’interno dell’oggetto avrebbe dovutocelare chissà quale macchinario ingegnoso e complicato,invece di quello che effettivamente vi era.