Johann Wolfgang Goethe

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Il protoromanticismo in Germania CANANA'

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Johann Wolfgang Goethe. Il protoromanticismo in Germania . Periodo sturmeriano. Nato a Francoforte nel 1749 si interessò a studi vari e fu vicino al movimento dello sturm und Drang - PowerPoint PPT Presentation

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Il protoromanticismo in Germania

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Nato a Francoforte nel 1749 si interessò a studi vari e fu vicino al movimento dello sturm und Drang

Di questo periodo sono presenti temi come l’idealizzazione del Medioevo, nella lirica è presente lo scontro tra io individuale e forze della natura.

1773 tragedia incompiuta Prometeo In questo periodo risale la prima stesura del

Faust.

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Un romanzo epistolare nel quale Goethe introduce una importante innovazione, riporta solo le lettere del protagonista rendendo l’opera una forma di confessione intima.

Il protagonista giovane artista dalle grandi capacità intellettive ma inadatto alla vita pratica, si ritira in campagna dove conosce Lotte, una fanciulla sensibile , piena di gioie vitali e di buone doti casalinghe. Lotte già fidanzata con un altro giovane però si sposa.

L’amore impossibile provoca in Werther un tormento insanabile che lo porta al suicidio.

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Successo in Europa del romanzo

L’amore infelice metafora del dramma sociale perché esprime l’impossibilità del giovane intellettuale di inserirsi nel contesto della società

Conflitto tra società e artista L’intelligenza e la sensibilità

sono un privilegio ma anche una condanna da parte della società borghese conformista.

Emarginazione dell’artista sintetizzata nel testo di Albatros di Baudelaire 1857

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Visione distaccata dell’autore Werther è vittima delle circostanze la sua

azione è sbagliata agli occhi dell’autore, deriva da un eccesso di egocentrismo.

Werther è anche il segno del cambiamento di goethe verso uno stile più classico e meno sturmeriano.

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Il Romanzo breve Tonio Kroger presenta molti elementi in comune al romanzo epistolare di Goethe

Il dissidio interiore della’artista che diventa disordine intellettuale e malattia fisica.

L’inaridimento dell’uomo artista e l’arte come dannazione e privilegio

La maledizione della conoscenza e il desiderio della mediocrità borghese per questo l’antidoto diventa la normalità.

L’impossibilità del ritorno alla matrice borghese

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Tonio Kröger (noto in italiano, anche se erroneamente, come Tonio Kroger) è un racconto di Thomas Mann (premio Nobel per la letteratura nel 1929), pubblicato nel febbraio del 1903 sulla Neue Deutsche Rundschau, e nello stesso anno presso l'editore Fischer nella raccolta Tristan. Sechs Novellen. La novella era stata terminata l’anno precedente.

Il racconto in certi tratti coincide con l'autobiografia dello stesso Mann. Nell'opera, a metà strada fra il racconto ed il romanzo breve, Thomas Mann affronta la problematica del difficile rapporto con la vita degli individui "diversi", intesi con quest'aggettivo quelli artisticamente dotati che non riescono a godere delle bellezze dell'esistenza come invece le persone prive di tali doti, definite normali, che non soffrono, non sono travagliate nel loro animo e vivono la vera vita, felice.

Rilevante in questa parte del lavoro (capitoli I e II) è l’analisi del disagio adolescenziale nel quale, con spirito veramente innovatore, lo scrittore ravvisa le possibili basi del formarsi di una coscienza artistica.

Altro rilevante problema affrontato da Mann è quello relativo alla corretta individuazione e definizione dell'artista: chi egli sia, quali le sue problematiche, come debba comportarsi nel mondo. Tale importanza attribuiva Mann a questo tema, che per lungo tempo il titolo provvisorio della novella è stato Literatur.

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La musicalità del lavoro L’opera è intrisa di musicalità. Il principale riscontro di

questa musicalità è riscontrabile nel fatto che intere frasi e periodi vengono ripetuti in corso d’opera come un leit-motiv ricorrente.

Questo è naturale in quanto Mann era all’epoca ancora sotto il profondo influsso di quella che chiamerà la sua triade (Schopenhauer-Nietzsche-Wagner), e se del primo ha trasfuso nel lavoro il rigore morale e del secondo ha fatto esplodere alcune contraddizioni, si pensi, ad esempio, ad ‘’Umano troppo umano’’, del terzo ha sfruttato appunto il motivo ricorrente come conduttore dell’opera.

Di fatto l’influsso goethiano che comparirà nella maturità e troverà la sua soluzione nel Doctor Faustus, qui è ancora del tutto assente.

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Una novella patetica in versi. La Signorina Felicita ovvero la Felicità è una novella in versi che prende a soggetto la "vacanza" in un innominato paesino del canavese di un avvocato raffinato, colto e letterato, cui accade di definirsi un «esteta gelido» (v. 321) e che è uno scoperto alter ego di Gozzano.

Qui egli incontra Felicita, donna nubile non più giovanissima, non bella e tanto più semplice e povera di lui, da apparire agli occhi di chiunque (anche della stessa Felicita, v. 272) un oggetto non desiderabile per lui.

Ma l'avvocato-letterato cittadino è saturo del mondo delle donne «rifatte sui romanzi» (v. 258) e dei poeti magniloquenti che «tra clangor di buccine s'esaltano» (v. 202); pertanto in qualche misura indulge a vagheggiare nel paesino di provincia, nella secentesca villa Amarena, ridotta a misura prosaica dalla «cortina / di granoturco» (vv. 21-22), e in Felicita, dalla «faccia buona e casalinga» (v. 75), dagli occhi «d'un azzurro di stoviglia» (v. 84), un'alternativa autentica al proprio mondo e alla propria abituale esistenza.

Di qui nasce la storia, oggettivamente crudele e patetica - ma di una crudeltà e di un pathos riscattati da un senso di profonda pietà e complicati dall'ironia -, del corteggiamento di Felicita, delle deboli ripulse di lei, del suo «sgomento indefinito» (v. 266), dell'inutile promessa carpita nel momento dell'abbandono (vv. 403-404)...

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Consapevolezza della finzione. Ma se è vero che l'avvocato è saturo di quel mondo che ha momentaneamente lasciato, è anche vero che non lo è abbastanza per tagliare definitivamente i ponti con esso, sul piano della realtà di fatto.

Tutto il vagheggiamento di Felicita, della sua autenticità e della sua semplicità d'altri tempi («semplicità che l'anima consola, / semplicità dove tu vivi sola / con tuo padre la tua semplice vita», vv. 46-48) avviene in effetti nella dimensione di un sogno ad occhi aperti (condotto in presenza della ragione, verrebbe da dire), di un compiaciuto fantasticare, della cui impossibilità e irrealtà il protagonista è perfettamente conscio.

Si badi: l'avvocato non è lacerato dall'incertezza se lasciare o meno quel mondo "falso" e tuffarsi in questo "vero"; egli non è, in questo senso, un personaggio drammatico.

Sa perfettamente qual è il suo mondo (e il suo destino) e sa che in ogni caso non potrebbe realmente adattarsi a vivere con Felicita a Villa Amarena. Sa di fingere con se stesso, sa che il suo sogno è una finzione.

E concluderà infatti nel segno della consapevolezza commentando l'immagine di «buono / sentimentale giovine romantico...» con le parole «quello che fingo d'essere e non sono! ». Questa consapevolezza che una finzione (con Felicita e con se stesso) è in atto determina e condiziona l'intero trattamento della materia narrativa e linguistica, come vedremo.

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La malattia. L'avvocato è poi malato. Malato in duplice senso. In primo luogo soffre d'una malattia fisica (la tisi?) che, soprattutto, getta un'aura malinconico-crepuscolare su tutta la vicenda e in particolare sull'ambiguo legame con Felicita (lei promette, lui sa che non tornerà perché gli resta poco da vivere - ma così vede le cose Felicita e così ama figurarsele l'avvocato che però, in fondo, sa che non tornerà anche per altri motivi).

In secondo luogo la malattia dell'avvocato è una malattia morale che ha più vaste e complesse risonanze.

È la malattia morale di chi vuole e disvuole, ma in fondo non sa desiderare realmente nulla, di chi non sa vivere autenticamente, né in fondo lo vuole davvero, compiaciuto com'è della propria ambigua condizione, di chi guarda a ogni sentimento e a ogni ideale - alla vita stessa - con garbato cinismo. Estetismo razionalmente rifiutato, ma vagheggiato nel profondo, insomma.

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Strasferito a Weimar , Goethe prende le distanze dallo Sturm und Drang per approdare ad una più pacata tranquillità classica.

Una tappa fondamentale è il viaggio in Italia dove ammira i resti delle antiche civiltà.

Scrive le Elegie romane, la tragedia Ifigenia in Tauride, la tragedia Torquato Tasso (1790) dove presenta un protagonista visto in luce critica, incapace di confrontarsi con la realtà.

Gli anni di apprendistato di Wilhel Maister, che delinea il percorso di formazione di un giovane dai sogni d’arte e dalla condotta sregolata della giovinezza alla scelta di una vita utile alla società.

Poema idillico Hermann e Dorothea composto in esametri e che ispira Manzoni nel suo romanzo.

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La tragedia a cui Goethe lavorò tutta la vita

Si ispira alla leggenda del mago Faust, che strinse un patto col diavolo per avere accesso ai segreti della natura.

L’opera si compone di 2 parti : gli anni della maturità e gli anni della vecchiaia dell’autore.

La prima è l’incapacità di conciliare l’amore con l’irrequieta tensione verso nuove conoscenze

La seconda la morte del protagonista la cui anima viene salvata in cielo grazie alla lotta degli angeli contro i demoni.

Espressione di una esaltazione dello spirito moderno che pervaso dall’ansia di azione e di conoscenza che non si appaga mai di un obiettivo raggiunto.

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Immagine del grand tour della campagna italiana autoritratto di

Goethe

Al periodo senile risalgono oltre alla seconda parte del Faust, il romanzo le affinità elettive 1809, che ha per tema l’amore, inteso scientificamente come una legge naturale di attrazione simile a quelle alchemiche;

Il divano occidentale-orientale, una raccolta di liriche ispirate alla poesia orientale e accompagnate da ampio commento in cui Goethe abbandona il formalismo classico per sperimentare nuove soluzioni

L’autobiografia Poesia e vanità 1809, 1814, 1830, una benevola e ironica delle intemperanze giovanili

Il romanzo allegorico Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister 1829, che riprende gli anni dell’apprendistato con un più marcato intento didattico.

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MASSIMILIANO CANANA’

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