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Analisi del nuovo contratto a tutele crescenti

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  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

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    CAPITOLO PRIMO

    IL DIRITTO DEL LAVORO DALLE ORIGINI ALLO STATUTO DEI LAVORATORI

    SOMMARIO: 1.1.Cenni introduttivi - 1.2. Le origini del Diritto del Lavoro: la tutela del lavoratore. - 1.3. Il Corporativismo Fascista - 1.4. La questione dellart. 39 della Costituzione Repubblicana. - 1.5. Dalla Costituzione alla Legge 20 maggio 1970 n. 300

    1.1. Cenni introduttivi

    Il diritto del lavoro strumento con cui il legislatore, e con esso la politica

    sempre pi spesso ormai extraparlamentare, risponde e governa le

    sollecitazioni provenienti dal mondo delleconomia e della societ visto il

    suo connaturale muoversi allinterno dei mercati sempre pi soggetto e non

    oggetto delle decisioni.

    Da qui la necessit spesso invero pretermessa dal legislatore italiano

    degli ultimi anni vista la rispondenza pi ad esigenze esterne allo Stato e pi

    determinato da contingenze sul mercato internazionale di creare la

    legislazione lavoristica muovendo da una ricostruzione e da una valutazione

    prognostica del dato reale il pi accurata e non ideologica possibile, per

    dettare una normativa questa s ideologicamente orientata che incanali le

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    sollecitazioni delleconomia e della societ secondo percorsi conformi al

    sentire politico del legislatore stesso.

    In tale contesto il ruolo della ricerca giuslavorista consiste nel

    sistematizzare loperato del legislatore, anche alla luce delle interpretazioni

    giurisprudenziali, cos da risolvere le eventuali antinomie ed evidenziare i

    profili di criticit di una disciplina che si caratterizza per la stretta interazione

    con il dato economico e sociologico.

    Simili osservazioni, in realt, potrebbero agevolmente condividersi con

    numerose altre branche del diritto ma quel che rende speciale il diritto del

    lavoro il coinvolgimento diretto e totale delle persone che dal lavoro

    traggono non solo sostentamento ma trovano realizzazione sociologica, in

    quanto il lavoro strumento di esplicazione della personalit dei singoli,

    come gi evidenziato dal nostro Costituente che ha scelto di fondare la

    Repubblica proprio sul lavoro, individuando in questo lelemento in cui le

    persone esplicano la loro parte migliore, lessenza di se stesse.

    Non si pu ignorare come lapproccio legislativo sia cos mutato negli

    anni da rendere sempre opportuno affiancare allattenzione per il dato

    economico e sociologico una anche per il dato storico in modo da avere ben

    presente come si sia caratterizzato come risultato di evoluzioni nel tempo

    della normativa.

    Il punto da cui muovere per un veloce excursus in materia di ricerca e di

    diritto del lavoro necessariamente una indagine della ratio, dello scopo

    profondo dello stesso diritto del lavoro concepito oggi come un diritto che

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    predispone una inderogabile disciplina di tutela in favore del lavoratore che

    deroga dai principi civilistici.

    Si deve precisare comunque che nel nostro ordinamento solo il giudice

    ha le attribuzioni necessarie per stabilire se un contratto di lavoro della

    species cui sono riservate le necessarie tutele e quindi se va configurato

    come lavoro subordinato o meno. Non vi infatti vincolo, per il giudice, al

    rispetto della qualificazione fatta dalle parti in sede di stipula. In merito il d.

    lgs. 267/2003 ha previsto che le parti possano rivolgersi a commissione

    organizzata ad hoc per certificare il patto di stipula ma resta comunque nelle

    attribuzioni del giudice il necessario giudizio per la determinazione di liceit

    rispetto alla denominazione data dalle parti.1

    Chiaramente la tutela non compete a tutti i lavoratori ma solo a quelli

    subordinati e che risulta tanto pi intensa ed articolata quanto maggiore

    laderenza al modello standard oggi inteso come il lavoro subordinato a

    tempo pieno e indeterminato. Proprio in deroga di questo modo di intendere

    il modello standard per le tutele, il Governo ha chiesto delega per formulare

    un decreto legge che trasformasse le forme lavorative atipiche e di precariato

    perenne in forme pi a passo coi tempi e sempre in nome di quella flexicurity

    che in altri Paesi europei funziona bene per dare impulso alloccupazione.

    Senza entrare nel merito e senza, per ora, precisarne i motivi, si pu, secondo

    i vari commenti seguiti da pi parti ai pacchetti di Legge formulati (Legge

    1 Atti del convegno Verso fondata sul lavoro. Lavoro e ricerca: nuovi studi per un lavoro che cambia, 21 giugno 2012, Comune di Milano, Viale DAnnunzio 15

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    Poletti e i vari decreti legislativi seguiti tra i quali gli ultimi 150 e 151 del 14

    settembre 2015 di riforma del lavoro) sembra che questi provvedimenti

    prima ed invece di dare impulso alloccupazione e risolvere gli effettivi

    problemi di accesso alloccupazione, creano presupposti di un precariato

    istituzionalizzato per i lavoratori fornendo solo ai datori di lavoro un

    concreto mezzo per accedere, senza il contrasto dellart. 18 dello Statuto dei

    Lavoratori, a forme di lavoro che favoriscono la produzione limitando il

    costo del lavoro che stato ritenuto responsabile principale della crisi al

    posto dei cattivi investimenti bancari.

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    1.2. Le origini del Diritto del Lavoro: la tutela del lavoratore.

    Sebbene non possa identificarsi direttamente la nascita dellinteresse d

    ello Stato con la prima industrializzazione a cavallo del 500 e del 600,

    certo che le prime mosse verso il riconoscimento del walfare state si

    riconoscono nella Poor Law inglese come risposta ai problemi sociali portati

    dalla rivoluzione tecnologica. Lo Stato si sostituisce alla beneficenza della

    Chiesa nellassistere la massa dei poveri creata dallo spopolamento delle

    campagne e dallo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche e quindi il walfare

    state nasce proprio da quelle contraddizioni delleconomia capitalistica,

    dalla distruzione della civilt contadina e della solidariet familiare e di

    villaggio in concomitanza con la nascita del proletariato,

    dellurbanizzazione e dellemigrazione.

    Queste trasformazioni socio-economiche-politiche fanno emergere

    nuove forme di povert e il susseguirsi di periodiche recessioni economiche,

    con conseguente aumento della disoccupazione, la necessit di provvedere

    alle esigenze di vedove, orfani e di tutti quelli che per vari motivi mancano

    delle risorse necessarie per vivere, fa nascere lesigenza di un intervento

    diretto dello Stato. Gli Stati interessati a questo cambiamento radicale nel

    modo di intendere la Societ furono quelli che potevano contare sui sovrani

    illuminati e, con laffermazione dei principi civili riconosciuti dalla

    costituzione del 1791 e dal riconoscimento dei diritti del cittadino,

    divengono queste trasformazioni il corso naturale dellevolversi della

    Societ. Lacuirsi del conflitto sociale tra proletariato e borghesia della fine

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    dellOttocento fa il resto. Questo vale per lEuropa e per tutti quegli Stati

    che potevano contare su una unit nazionale e un riconoscimento di

    cittadinanza per coloro che abitavano geograficamente nelle aree di

    competenza di questi Stati ma non poteva valere per lItalia che era ancora

    allo stato embrionale ed era divisa in piccoli Stati governati da sovrani

    tuttaltro che illuminati. In questo risiede anche il naturale ritardo dello Stato

    italiano anche nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

    In Italia, quindi, il diritto del lavoro ha avuto una nascita tardiva rispetto

    a tutti gli altri Paesi e fino alla Costituzione Repubblicana, in realt in molte

    parti incentrata proprio sul lavoro, si potevano trovare solo piccoli accenni

    allinterno del Codice Civile del Regno.

    Genericamente, questo diritto consta di una varia regolamentazione, di

    diversa provenienza, che ha per fine quello di apprestare tutela, su diversi

    piani, alla parte pi debole del rapporto di lavoro, che nel contratto classico

    costituita dal lavoratore nei confronti del datore, o ad altri soggetti ritenuti

    meritevoli di protezione.

    Per tradizione questo diritto si distingue in diritto sindacale, diritto del

    lavoro in senso stretto, diritto previdenziale.

    I1 diritto sindacale attiene alla posizione dei sindacati nellordinamento,

    alla contrattazione collettiva, allo sciopero e alla serrata. Il diritto del lavoro

    in senso stretto attiene alla regolamentazione della relazione giuridica tra le

    parti del rapporto di lavoro (datore di lavoro e lavoratore). I1 diritto

    previdenziale riguarda la tutela dei soggetti protetti avverso eventi

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    variamente lesivi della capacit di lavoro (infortuni, invalidit, vecchiaia,

    disoccupazione etc.), tutela prevalentemente gestita a mezzo di assicurazioni

    sociali obbligatorie.

    Le prime concretizzazioni del diritto del lavoro si ebbero, come detto, nel

    contesto della situazione sociale di massa determinata dalla rivoluzione

    industriale, Rivoluzione che avvenne in Gran Bretagna gi verso la met del

    700 e che poi interess, con notevoli scarti di tempo, gli altri paesi europei,

    venendo lItalia buonultima, solo nello scorcio dell800 e nel primo

    decennio del secolo scorso.

    La crescente automazione mortific gli altri mestieri per far concentrare

    la maggior parte del mercato del lavoro allinterno degli opifici o nelle

    fabbriche dove da un lato si afferm liniziativa capitalistica, dallaltro si

    creo una classe nuova di soggetti, il proletariato, che aveva come unica

    opportunit di partecipazione al bene della vita il proprio lavoro alle

    dipendenze dellimpresa ricevendo come compenso un salario.

    Lo schema giuridico in cui questa relazione contrattuale si andava

    formando era il libero contratto di lavoro secondo la logica di mercato di

    bilancio tra domanda e offerta. La mancanza di qualsiasi norma che

    regolasse, per, questo tipo di rapporto si tradusse quasi sempre in una sorta

    di ricatto datoriale in cui il lavoratore era costretto ad accettare condizioni di

    impiego e orario lavorativo oltre al corrispettivo stabilito dalla controparte

    in uno schema consolidato di dittatura contrattuale datoriale.

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    In particolare il macchinismo rese largamente possibile lutilizzazione nei

    lavori delle c.d. mezze forze, cio di donne e bambini anche in tenera et. In

    generale gli orari di lavoro erano esorbitanti, al limite, spesso, della

    sopravvivenza fisica. N vi era tutela di sorta per provvedere alle condizioni

    di bisogno del lavoratore infortunato o anziano. Non esisteva, cio, niente

    del moderno diritto del lavoro. In un quadro siffatto la questione operaia

    divenne anche una questione sociale e cominciarono ad affermarsi pensatori

    che riguardavano il tema, primo fra tutti Marx.

    La prima spontanea risposta dei lavoratori alla situazione descritta, stata

    quella sindacale. I lavoratori che di norma isolati non riuscivano ad ottenere

    risultati da parte dei datori, nella coalizzazione, presentandosi come un

    fascio unitario avevano pi forza per imporre condizioni pi eque nel lavoro

    ma spesso, fintanto che queste associazioni, che diventarono man mano di

    categoria, non furono istituzionalizzate e fintanto non esistevano norme che

    garantivano tutele quali le libert di associazione, incontravano forte

    opposizione da parte degli investitori capitalisti che potevano contare

    sullappoggio dello Stato cui garantivano sviluppo ed entrate superiori. Lo

    Stato, assente in pratica nellassicurare le tutele ai lavoratori, diventava parte

    attiva per mortificarle con interventi atti a fermare le dimostrazioni anche

    con luso della forza. Lobiettivo dei lavoratori era raggiungere un contratto

    collettivo che garantisse equit nei trattamenti. Lidea di solidariet sociale

    era comunque non diffusa e gli episodi di lotta, di norma, erano occasionali

    ed insorgevano spesso rispetto ad un determinato specifico conflitto e presto

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    si dissolveva lunit temporaneamente raggiunta anche a fronte di alcun

    risultato raggiunto.

    La nascita dei sindacati come organizzazioni stabili preordinate alla

    tutela dellinteresse collettivo dei componenti di categoria, visto che i primi

    modelli sindacali furono proprio quelli del sindacalismo di mestiere, port

    dei giovamenti nelle condizioni ma la stessa settorialit delle organizzazioni

    non consentiva di avere contratti collettivi dello stesso tipo persino in una

    stessa impresa ( basta considerare che, per esempio, nei cantieri navali, che

    furono il settore siderurgico a maggiore impatto proprio alla fine dell800,

    lavoravano fabbri, falegnami, progettisti, copiatori e impiegati di genere).

    Le mutate condizioni nel mercato imposero quindi una associazione tra

    le categorie per formarsi come associazioni sindacali di industria in cui il

    sindacato organizzava tutti i lavoratori di una determinata impresa qualsiasi

    fosse la loro specifica posizione di lavoro.

    La questione operaia stata al centro del pensiero politico-sociale e ha

    suscitato correnti e partiti politici di varia ideologia. Si posto cos il

    problema, ognora presente con varia intensit, dei rapporti tra sindacalismo

    e politica visto il carattere indissolubile tra lavoro stesso e politica.

    In posizione decisiva, per la sua grande diffusione, fu il socialismo nella

    variet delle sue scuole, spesso molto divergenti e poi confluenti nella

    predominante prospettazione marxista2. Tralasciando lideologia alla base

    2 PERA,G. Diritto del Lavoro ED. GIUFFR

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    del movimento, i socialisti comunque cercarono soluzioni per migliorare le

    condizioni dei lavoratori allinterno del sistema aggiungendo alla lotta

    politica di classe quella dei mestieri e sindacale. Impegnati di pi in

    questa lotta furono i socialisti dellala riformista, portatori di una

    interpretazione gradualista del marxismo e per questo dominavano in tutte

    le organizzazioni economiche e sindacali.

    I cattolici si fecero banditori, sulla base dei principi elaborati nei

    documenti pontifici (specialmente lenciclica Rerum Novarum di Leone XIII

    nel 1891), dei postulati della scuola cristiano-sociale, per superare gli

    opposti mali del liberalismo conservatore e del socialismo. Si riconosceva,

    infatti, la propriet privata come diritto naturale delluomo, attribuendo per

    alla medesima una funzione sociale, non egoisticamente intesa. Nellambito

    di una concezione solidaristica basata sulla collaborazione delle classi nel

    perseguimento del bene comune superiore, si riconosceva il sindacato come

    raggruppamento sociale naturale; si auspicavano le intese tra capitale e

    lavoro ed eventualmente la risoluzione dei conflitti da parte di una speciale

    magistratura del lavoro (corporativismo) e anche i cattolici si diedero alla

    fondazione di sindacati (bianchi) che affiancavano quelli socialisti (rossi).

    Non mancarono le esternazioni politiche liberali che miravano alla

    attenuazione della lotta di classe attraverso la partecipazione dei lavoratori

    alla gestione di impresa. Nel primo decennio dopo lunit, nel primo

    associazionismo operaio, in Italia fu prevalente il pensiero mazziniano con

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    unimpostazione solidaristica e cooperativistica (capitale e lavoro nelle

    stesse mani).

    In tutti i Paesi la prima fase del sindacalismo doveva scontrarsi con la

    forma liberale dello Stato in cui si riteneva che fosse compito di questi solo

    lordine pubblico e la difesa nazionale (concezione dello Stato minimo) e

    quindi i contrasti derivanti dalla lotta sociale erano visti come motivi di

    ordine pubblico e quindi era naturale sopprimere le rivolte con la forza e

    pensare gli stessi sindacati come illegali. Questo era il risultato del suffragio

    limitato da censo e cultura che vedeva partecipare alla vita politica solo una

    parte della popolazione e di certo non quella operaia.

    In diversi Paesi e con diverse modalit al di fuori di un organico disegno

    riformatore, lo Stato cominci ad emanare singole leggi volte, timidamente

    o no, a risolvere singole piaghe della situazione sociale. In tutti i paesi,

    significativamente, il primo intervento fu a favore di donne e bambini per

    limitare lorario di lavoro e luso per lavori pesanti.

    Lo sviluppo lento e parziale della legislazione sociale avvenne attraverso

    provvedimenti sotto forma di interventi per lordine pubblico e che, quindi,

    sconfinavano nel diritto penale. Le norme furono dettate da vari testi unici

    scorporandosi dal diritto privato, largamente dispositivo rispetto

    allautonomia privata contrattuale, specialmente allepoca.

    Maturava cos una qualit specifica che fondamentalmente distingue

    ancor oggi il diritto del lavoro, appunto in ragione delle finalit di tutela

    perseguite.

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    Quando si somatizz la presenza indissolubile delle associazioni

    sindacali nelle contrattazioni lavorative e quando anche lopinione pubblica

    cominci a pensare che la loro presenza poteva essere un buon viatico per

    raggiungere eque condizioni di lavoro e quando maturo anche lidea che i

    lavoratori avevano un diritto naturale a co-determinare le condizioni di

    lavoro, cominci la lunga fase della tolleranza e anche lo sciopero fu

    depenalizzato. Restava comunque aperta la questione riguardante gli effetti

    che esso produceva. Giuristi ritenevano da un lato che lo sciopero, pur non

    essendo perseguibile, costituiva a tutti gli effetti un inadempimento

    dellobbligazione contenuta nel contratto di lavoro e quindi sanzionabile,

    dallaltro le posizioni pi rigide ritenevano essere motivo di estinzione del

    contratto, lo sciopero, in quanto manifestazione collettiva di volont

    risolutoria.

    Formalmente, in Italia, la svolta nel senso della tolleranza verso il

    sindacalismo avvenne nel 1889 col nuovo codice penale ZANARDELLI nel

    quale scomparvero sciopero e serrata tra i reati penali anche se permanevano

    se accompagnati da fatti di violenza e minaccia in occasioni di lotte sociali.

    Concretamente questo per non ebbe risultanze in quanto a seguito dei moti

    in Sicilia del 1892 e della Lunigiana del 1894 e di Milano nel 1898 lo Stato,

    rappresentato dalla destra conservatrice, decise di intervenire con la

    repressione poliziesca e militare e dichiarare lo scioglimento del partito

    socialista e delle organizzazioni operaie ritenute entit sovversive e quindi

    si dovette aspettare solo il volgere del secolo perch una coalizione di

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    riformisti liberali e dellestremar (radicali, repubblicani e socialisti)

    riuscisse a imporre una netta svolta in senso pi illuminato accompagnato

    nel primo decennio del 900 da un decisivo balzo industriale.

    Furono Giolitti e Zanardelli i protagonisti della politica che segn la

    svolta e sul piano sociale, con la teorizzazione ideologica fondata sul

    tradeunionismo britannico di Luigi Einaudi, si proclam il principio della

    neutralit dello Stato nei conflitti di lavoro fermo a tutela dellordine

    pubblico. Si svilupparono cos partiti e sindacati e si ebbero nuovi interventi

    di legislazione sociale tra cui lassicurazione obbligatoria contro gli infortuni

    (1898) e timidi interventi sul piano della previdenza.

    Una prima regolamentazione dei rapporti di lavoro ebbe corso attraverso

    la giurisprudenza creativa dei probiviri3. Erano questi, sul modello

    francese del 1806, collegi giurisdizionali elettivi, categoria per categoria e

    per le diverse localit, con una presidenza imparziale. I collegi dovevano

    risolvere le controversie del lavoro4 in unepoca in cui il diritto sostanziale

    del lavoro legislativamente non esisteva e quindi decidere secondo equit5.

    3 In Italia i Probiviri per la conciliazione delle controversie sorte tra imprenditori, operai ed

    apprendisti nellesercizio delle industrie furono istituiti con la Legge n. 295 del 15 giugno 1893.

    4 Anche in quella societ ai primordi del lavoro industriale in Italia era prevista una forma

    di lavoro atipico che lobiettivo principale dello studio di questa Tesi. La modifica profonda del sistema economico e sociale esistente, fino a quel momento fondato

    prettamente su attivit agricole e di allevamento di una societ prettamente rurale

    comport una attenzione diversa verso la societ operaia che si andava formando e si

    svilupp, cos, la consuetudine di consentire al datore di lavoro, dotato di potere sovrano

    sui propri dipendenti, di introdurre nel contratto di lavoro sottoscritto con gli operai di

    volta in volta assunti, un periodo di prova colto a saggiarne le capacit e le energie

    lavorative. 5 Pera G. op. cit.

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    Lesigenza di ricorrere ai Probiviri era dovuto soprattutto al fatto che

    allepoca il lavoro subordinato era regolamentato solo sulla base del nostro

    codice civile del 1865 e quindi rientrava nello schema della locatio

    operarum che individuava loggetto della prestazione subordinata nelle

    stesse energie lavorative, fisiche o intellettuali, del prestatore. A tal

    proposito si rammenti che, in vizio di tutela del lavoratore e in un periodo in

    cui lunico interesse da tutelare era quello dellimprenditore nei confronti di

    un lavoratore mediamente analfabeta o comunque con basso livello di

    scolarizzazione, era vigente nel panorama degli istituti lavorativi, luso del

    periodo di prova come fase temporale del rapporto di lavoro,

    tendenzialmente sine die, legato al contratto di locazione6.

    Il codice civile del 1865, in pratica, costruiva il contratto di lavoro come

    species del contratto di locazione disponendo che il contratto di locazione

    ha per oggetto cose e opere (art. 1568 cod. civ. 1865) e tenendo fede

    allambiente liberale del tardo ottocento in cui il diritto del lavoro era

    concepito come parte del diritto civile cos recante di una disciplina che

    seguiva le norme delle altre tipologie di contratto permeate dalla necessaria

    parit delle parti contraenti7.

    6 Lart. 1570 del codice civile del 1865 definiva la locazione delle opere come contratto per cui una delle parti si obbligava a fare per laltra una cosa mediante la pattuita mercede.

    7 Tale disposizione era poi ulteriormente precisata dallart. 1627, il quale specificava come vi sono tre principali specie di locazione di opere e dindustria: 1- quella per cui le persone obbligano la propria opera allaltrui servizio; 2- quella de vetturini s per terra come per acqua, che sincaricano del trasporto delle persone o delle cose; 3- quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo.

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    In un tale contesto lunica forma di tutela stabilita per il locatore era

    scritta nellart. 1628 e dal divieto ad una tipologia di lavoro che oggi

    identificheremo con il lavoro subordinato a tempo indeterminato.8

    La ratio della norma era contestuale al periodo storico in cui viene scritta

    quando era ancora ben vivo il ricordo della servit inconciliabile con il

    contesto politico ed economico liberale che a propria volta impediva al

    legislatore di dettare delle norme di chiara tutela in quanto lavoratore e

    datore di lavoro venivano interpretati come liberi contraenti con posizione

    formalmente paritaria e quindi impossibile da assoggettare a forme di

    limitazione di tipo legislativo-statale.

    La situazione subisce un primo mutamento tra la fine dell800 ed i primi

    anni del 900 quando il legislatore cominci a superare lastensionismo

    totale di stampo liberale per dettare una prima disciplina di tutela che

    sebbene fosse formalmente legata allordine pubblico sostanzialmente era

    derogatoria rispetto al diritto comune dei contratti: la legislazione sociale

    che andava a normalizzare una situazione che si era andata creando nel

    primo periodo della rivoluzione industriale in cui donne e bambini venivano

    utilizzati nel mercato del lavoro senza le necessarie tutele.

    I destinatari di questa disciplina non sono tutti i lavoratori in genere ma

    le due categorie che pi di tutti necessitavano di tutela e cio nellordine: i

    fanciulli (1886) e le donne (1892). Questi interventi si accompagnavano alle

    8 La lettera della legge era infatti chiarissima nel sancire che nessuno pu obbligare la propria opera allaltrui servizio che a tempo, o per una determinata impresa (art. 1628 cod. civ. 1865).

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    prime disposizioni volte a ripartire il costo economico di infortuni e malattie

    professionali anche sui datori di lavoro.

    Il lento allontanamento del lavoro dal diritto comune delle obbligazioni

    era per gi iniziato e si consolider, poi, nel corso del secondo decennio del

    1900 in un ambiente caratterizzato dal nascente regime corporativo di

    matrice fascista.

    Attraverso questa giurisprudenza che man mano si consolidava si

    cominciarono a porre le basi di un nuovo diritto tanto che a partire dal 1904

    le sue pronunce cominciarono ad essere studiate sistematicamente da

    Redenti per incarico della prima sede istituzionale deputata, il Consiglio

    superiore del lavoro, anche con la partecipazione di rappresentanti delle

    parti sociali, allo studio e alla promozione della causa del lavoro.

    In verit qualcosa si era gi sviluppato nellultimo decennio

    dellOttocento quando da pi parti in Italia si manifestava lesigenza di una

    disciplina legale autonoma del rapporto di impiego separato dal lavoro

    operaio come gi in Germania accadeva per le leggi sul lavoro industriale

    nelle quali si era riservata una sezione speciale agli impiegati e agli agenti

    tecnici9.

    La prima proposta in tal senso fu formulata gi nel 1893 da una

    Commissione costituita presso la Camera di Commercio di Milano, che

    9 Indicazioni si possono trovare in I.MODICA, Il contratto di lavoro nella scienza del diritto civile e nella legislazione. Studio storico-critico-comparato, Reber, Palermo 1897, p. 169 ss. una delle prime monografie della materia con ampiezza nella trattazione e con

    approccio storico-sociale corroborato da riferimenti enciclopedici cui non fa riscontro

    unattenta e rigorosa trattazione giuridica.

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    predisponeva regole per la risoluzione del rapporto degli agenti ausiliari

    del commercio cui venivano affidate mansioni comportanti un basso livello

    di responsabilit ed autonomia e a cui si volevano apprestare maggiori

    garanzie contro il licenziamento del padrone tentando di estendere loro la

    disciplina dellart. 366 c. comm. secondo la quale il licenziamento senza

    giusta causa da luogo al risarcimento del danno10.

    Parallelamente, anche per gli impiegati amministrativi delle societ

    anonime, che si erano sviluppate in quegli anni nel settore dei servizi,

    diventava prassi il preavviso in caso di licenziamento quando il rapporto

    fosse a tempo indeterminato o avvenisse senza giusta causa prima della

    scadenza del termine.11

    In realt, grazie allalacre lavoro della giurisprudenza probivirale, fino a

    questo punto non cerano grosse differenze tra tale disciplina e quella che si

    applicava alla classe operaia, ma nel giro di un decennio la disciplina del

    rapporto di impiego assumer contorni sempre pi definiti, distaccandosi

    dalle poche regole dettate per gli operai e abbracciando lipotesi di

    sospensione del rapporto per impedimento del lavoratore (malattia,

    gravidanza, servizio militare) e di traslazione del rischio al datore di lavoro.

    Questo ad opera di fonti mediate del regolamento del rapporto, che si

    10 ALESSANDRO GARILLI, Il contratto di lavoro e il rapporto di impiego privato nella teoria di L. Barassi, in La Nascita del diritto del Lavoro - il contratto di lavoro di Lodovico Barassi centanni dopo a cura di Mario Napoli, V&P Universit.

    11 BARASSI, Il contratto di lavoro, II, p.830 ss.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 18 -

    collocano fra la legge e il contratto individuale e che, ricondotte alluso e

    allequit, obbligano le parti ai sensi dellart. 1124 c.c.

    Ai primi del Novecento quindi ci si ritrova con due categorie lavorative

    che in termini contrattuali risultano separate e questa separazione trover

    compiuta attuazione e piena generalizzazione nelle leggi sul contratto di

    impiego privato del 191912 e del 1924.

    Ancora agli albori del Novecento se anche si propugnava lunitariet, da

    un lato allaltro si tendeva a distinguere anche il lavoro impiegatizio tra

    quello privato e quello pubblico, tant che la commissione a lavoro per il

    D.M. del 29 Luglio 1901 propose di estendere il provvedimento ai soli

    impiegati commerciali, che forti in numero e aderenze potevano forzare il

    lavoro della commissione, e includendo in apposito capo una disciplina pi

    favorevole del preavviso lungo una scala decrescente che comprendeva

    come ultimi i semplici impiegati di grado inferiore a quello di commesso.

    Dalla Legge venivano esclusi gli impiegati dello Stato, dei Comuni e

    delle Province visto la natura del loro rapporto di Lavoro misto tra il Diritto

    Privato e quello Pubblico ed emanazione non solo di un vincolo contrattuale

    ma di un atto di autorit. Latteggiamento della proposta di Legge non venne

    accolta benevolmente dalla dottrina che in quel periodo andava sostenendo

    lunitariet tra impiego pubblico e privato.

    12 Decreto Luogoten. n. 112 del 9 Febbraio 1919 abrogato poi dalla Legge 1825 del 13

    Novembre 1924.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 19 -

    La legislazione sullorario di lavoro del 1923 (r.d.l 15 marzo 1923, n.

    692) e il r.d.l. n. 1865 del 1924 di disciplina del contratto dimpiego

    privato di fatto confermano labbandono della logica del contratto di lavoro

    come mera locazione e sanciscono lintroduzione di una prima disciplina di

    tutela caratterizzata dallinderogabilit in peius, secondo una logica poi

    condivisa anche dalla Carta del Lavoro degli anni 1926 e 1927.

    Il principio formale della parit tra i contraenti (e della loro piena libert

    di trovare il punto di compromesso dei rispettivi interessi coinvolti) che

    aveva caratterizzato il regime liberale venne cos rimesso in discussione per

    tenere conto della disparit sostanziale tra le parti nel contratto di lavoro sia

    nel mercato che nellimpresa.

    Nel regime corporativo allora vigente, questa peculiarit non venne fatta

    discendere da una particolare natura del contratto di lavoro ma

    dallinserimento del lavoratore in virt di una lettura da parte del legislatore

    e della dottrina italiana che erano fortemente influenzati dalle teorie

    germaniche che individuavano proprio nellintroduzione della altrui

    organizzazione lelemento differenziale del contratto di lavoro. Nelle teorie

    istituzionaliste, infatti, tramite linserimento il lavoratore entra a far parte

    della realt diversa dellimpresa che deve ritenersi dotata di propri interessi

    autonomi rispetto alle due parti del contratto di lavoro.

    Ci che capita che, mentre in Germania tale interpretazione porter nei

    decenni al consolidamento di una legislazione e di una prassi di cogestione,

    in Italia questa lettura verr fagocitata dal Regime fascista che assoggetta la

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 20 -

    lettura alla propria visione corporativa delleconomia in cui il superiore

    interesse da perseguire diviene quello della nazione. In tale interpretazione,

    per soddisfare linteresse predominante viene negata la legittimit del

    conflitto (lo sciopero ridiviene reato con lapprovazione del c.d. Codice

    Rocco che andava a formare il nuovo codice penale), le organizzazioni

    sindacali sono pubblicizzate (col riconoscimento del sindacato unico di

    categoria) e al contratto collettivo nazionale di categoria attribuita forza di

    legge (efficacia erga omnes) con conseguente capacit di vincolare anche i

    lavoratori non iscritti alle organizzazioni stipulanti il contratto stesso.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 21 -

    1.3. Il Corporativismo Fascista

    Nella storia plurisecolare del nostro pensiero economico il

    corporativismo costituisce ancora oggi una presenza scomoda, oggetto di

    valutazioni discordi. Al giudizio di chi lo considera un indirizzo organico di

    economia teorica ed applicata, formulato con riferimento ad un contesto

    dinamico e volto a conciliare la libert economica degli individui e

    linteresse pubblico, si oppone quello di chi gli nega la natura di autentico

    sistema di conoscenze scientifiche e lo intende come uno strumento di

    organizzazione politica del consenso al servizio di un regime autoritario.

    Altri autori hanno visto nel corporativismo il tentativo di elaborare una

    dottrina delleconomia nazionale partendo da un nucleo preesistente di teoria

    economica pura ed inserendo in questo un certo numero di variabili socio-

    politiche. Vi infine chi ha inteso il corporativismo pi semplicemente come

    un ramo delleconomia applicata, o come una delle tante forme in cui

    possibile interpretare la tutela dellinteresse generale e gestire in modo

    dirigistico la politica economica.

    Si riscontra invece una certa concordanza tra gli studiosi del

    corporativismo nel ritenere che questo movimento - nato da una costola del

    sindacalismo rivoluzionario, con caratteristiche di formazione anarchica, di

    lite - abbia poi col tempo recepito una serie di spinte riformistiche

    provenienti dal basso e modificato in senso sempre pi populistico la sua

    natura, finendo col richiamarsi ad una visione interclassista e

    collidentificarsi in larga misura con il volto sociale del fascismo. Daltro

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 22 -

    canto, tra i corporativisti della prima ora vi perfino chi ha ritenuto che il

    fascismo abbia tradito lo spirito originario del sindacalismo rivoluzionario,

    svuotandone dallinterno le spinte innovative e favorendone una

    degenerazione di tipo burocratico.

    In presenza di questo variegato spettro di opinioni, non meraviglia che

    alcuni autori, idealizzando ulteriormente il corporativismo, abbiano visto in

    esso una sorta di mitico strumento di salvezza della nazione, la speranza

    demiurgica della risoluzione dei contrasti di classe e dei problemi della

    miseria nazionale13.

    Altri interpreti, nel rifiutare lidentificazione largamente invalsa del

    corporativismo con la dottrina economica del fascismo, hanno sostenuto

    unestraneit di principio del movimento corporativo, considerato nella sua

    forma pi pura, rispetto ad un regime totalitario, che non ammetteva che un

    unico partito ed un unico sindacato. Questi autori hanno di conseguenza

    prospettato la possibilit di un recupero di larga parte del pensiero

    corporativista, in un diverso contesto, pluralista e democratico14.

    13 Cos ebbe a definirlo uno studioso francese, L. ROSENSTOCK FRANCK in un saggio

    su Le corporatisme italien, in AA.VV., Le corporatisme, Paris, s.d., p. 128, citato in C.

    VALLAURI, Le radici del corporativismo, Bulzoni, Roma, 1971, 178. Dello stesso

    autore, si vedano anche Les ralisations pratiques et les doctrines du syndacalisme,

    Paris, 1933, e Economie corporative fasciste en doctrine et en fait, Paris, 1934. 14 Cfr., ad esempio, A. MULLER, La politique corporative, Bruxelles, 1935, secondo cui

    un regime corporativo incompatibile con ogni forma di governo centralizzato ed

    avverso allautonomia sindacale. Anche Luigi Sturzo colse questa contraddizione: Possiamo noi ripresentare il problema della libert e organicit della societ (nei suoi aspetti economici e politici) come corporativismo? La libert crea il sindacalismo libero,

    lassolutismo forma le pseudo-corporazioni moderne. Perch allora insistere sopra una parola, corporativismo, che ci richiama o alla organizzazione medioevale ovvero a

    quella mussoliniana o dolfussiana? (L. STURZO, Unioni - Sindacati - Corporazioni, in A. CANALETTI GAUDENTI e S. DE SIMONE (a cura di), Verso il corporativismo

    democratico, Cacucci, Bari, 1951, p. 43.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 23 -

    questo uno dei tanti profili apparentemente contraddittori del

    corporativismo, che attendono di essere ulteriormente chiariti. Occorre cio

    stabilire se lo stretto legame storico che si manifestato in Italia tra

    corporativismo e fascismo al punto da indurre spesso a confondere luno

    con laltro sia attribuibile o meno ad una necessaria complementarit tra

    due movimenti che avevano in comune gli obiettivi di fondo della pace

    sociale e della potenza economica di una nazione; o ad una naturale

    connessione tra questi due obiettivi ed un certo tipo di ideologia politica ed

    economica.

    Altri autori hanno visto nel corporativismo qualcosa di ancora diverso:

    un semplice fenomeno di facciata, unastuta formula tattica che si prestava

    ad essere opportunamente variata a seconda delle necessit contingenti, e

    che era quindi utilizzabile per sostenere tutto ed il contrario di tutto.

    Un aspetto distinto, ma di notevole interesse, che emerge dal dibattito sul

    corporativismo quello della collocazione storico-critica proposta per tale

    movimento da chi ha affrontato il problema della ricerca delle sue

    ascendenze culturali. Alcuni studiosi hanno ritenuto di impostare il

    problema dellinterpretazione storiografica di tale rapporto in una chiave di

    continuit diacronica con precedenti indirizzi di pensiero; mentre altri hanno

    parlato di decisa rottura con il passato; o hanno visto nel corporativismo un

    semplice fenomeno di transizione, o un punto di arrivo e di non ritorno.

    Questo ginepraio di interpretazioni un segno evidente che nel grande

    mosaico della storia del nostro pensiero economico il corporativismo

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 24 -

    costituisce ancora una tessera dai contorni poco chiari, che ostacola una

    ricostruzione esauriente del faticoso percorso attraverso cui si pervenuti

    alle conoscenze odierne.

    Nonostante la notevole mole di letteratura storiografica sul Fascismo15

    alcuni aspetti della dottrina e delleffettiva dinamica istituzionale del regime

    appaiono, in proporzione, molto meno indagati tanto che vi una difficolt

    insita nella ricerca delle fonti quando si vuole ricostruire la nascita e lo

    sviluppo della dottrina corporativa.

    Allinterno della stessa letteratura che in modo pi specifico si occupata

    della tematica corporativa occorre ulteriormente operare una distinzione di

    tipo cronologico. Il tema del corporativismo ha riscosso unattenzione

    discontinua da parte degli studiosi nel corso della storia e cos mentre pi

    abbondante nel periodo fascista, nel dopoguerra largomento stato

    praticamente ignorato dal dibattito politico e culturale per essere ripreso solo

    a partire dagli anni Sessanta soprattutto per la reticenza mostrata dalla

    cultura antifascista per un esperimento enfatizzato dal regime.

    15In tema si trovano in letteratura: L. Salvatorelli, G. Mira, Storia dItalia nel periodo fascista, Torino, Einaudi, 1957. F. Chabod, LItalia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961. A. Aquarone, Lorganizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965. E. Santarelli, Storia del fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. Le radici

    del corporativismo, Roma, Bulzoni, 1971. N. Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime

    fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli, 1973. P. Ungari, Alfredo Rocco e

    lideologia del fascismo, Brescia, Morcelliana, 1963. S. Cassese, La formazione dello Stato amministrativo, Milano, Giuffr, 1974. S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla

    cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia, Marsilio, 1979.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 25 -

    Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale le

    analisi storiografiche si dedicarono in special modo alla ricerca delle origini

    storiche e delle radici culturali del fascismo cercando in esse la spiegazione

    del fenomeno e di come questo si era andato affermando allinterno della

    cultura politica dellItalia liberale e della crisi di fine secolo esacerbata dalla

    guerra16 e con lo sfondo della nuova pressione delle masse sul sistema

    politico e nel clima del sindacalismo rivoluzionario e lattualismo gentiliano.

    Per lungo tempo la storiografia liberale di matrice crociana aveva

    interpretato il fascismo come una malattia morale, un evento parentetico

    nella storia e nella cultura italiana e tale immagine portava ad escludere, in

    maniera naturale, la possibilit di indagare la dottrina del fascismo come

    realt concreta ed indipendente che veniva vista pi come un contenitore

    vuoto pronto ad essere riempito di volta in volta dei contenuti ad esso pi

    convenienti e quindi esso stesso privo di ogni tipo di cultura storica.

    Il pregiudizio che identificava il fascismo come anti-cultura non era di

    esclusiva matrice liberale ma comune alla storiografia marxista e radicale

    restia a concedere al fascismo una sorta di patente di nobilt ma in questo

    contesto linterpretazione di matrice gramsciana identific nella piccola e

    media borghesia la radice sociale del fascismo.

    16 La tesi che pone lorigine del fascismo nella guerra del 15-18 stata sostenuta gi negli anni Venti. Cfr. Luigi Salvatorelli, Nazionalfascismo, Torino, Gobetti, 1923; Angelo

    Tasca, La naissance du fascism. LItalie de 1918 a 1922, Paris, 1938 (trad.it. Id., Nascita e avvento del fascismo. lItalia dal 1918 al 1922, Firenze, La Nuova Italia, 1950). Federico Chabod, LItalia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961. Gaetano Salvemini, The Fascist Dictatorship in Italy, London, 1928 (trad.it. in Id., Scritti sul

    fascismo, I, a cura di R. Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1961).

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 26 -

    La svolta storiografica del 6017 ha fatto s che si avviasse una revisione

    dellimmagine del fascismo grazie allabbandono del condizionamento di

    schemi ideologici e di giudizi politici che avevano ostacolato la piena

    comprensione del fascismo come fenomeno complesso composto da una

    molteplicit di aspetti. Il fatto che il fascismo fu effettivamente caratterizzato

    da pragmatismo e relativismo, lungi dal rappresentare un motivo per

    escludere la rilevanza dei suoi aspetti culturali, costituisce proprio un punto

    di partenza per osservare quello che fu uno specifico atteggiamento mentale

    ed ideologico attraverso la costante contrapposizione tra lesperienza e la

    teoria.

    Il corporativismo rappresenta senza dubbio un esempio emblematico di

    quella contrapposizione tra teoria e prassi messa in luce dagli storici. La

    funzione giocata dallo Stato corporativo come mito della retorica di

    regime e, di contrasto, le sue quasi irrilevanti ricadute istituzionali, stata la

    ragione principale della tendenza storiografica a minimizzare il peso

    dellorganizzazione corporativa nella dinamica complessiva dello sviluppo

    del regime.

    Il grande divario tra il mito dello Stato nuovo, mito di cui il fascismo

    fa un uso retorico sovrabbondante, e la realt, che fu quella del sostanziale

    17 Ma ancora oltre se si guarda al giudizio che Norberto Bobbio, nel 1973, dava della cultura

    fascista: Una cultura fascista nel duplice senso di una cultura fatta da fascisti dichiarati

    o a contenuto fascista non mai realmente esistita, o almeno non riusc mai, per quanti

    sforzi venissero compiuti, a prendere forma in iniziative o imprese durature e

    storicamente rilevanti. In G. Quazza (a cura di), Fascismo e societ italiana, Torino,

    Einaudi, 1973, cit. p. 220.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 27 -

    fallimento di ogni progetto corporativo, ha fatto s che linteresse per questi

    aspetti passasse in secondo piano rispetto a questioni avvertite come pi

    urgenti e decisive al fine di interpretare il fascismo.

    Per ricostruire le vicende corporative in et fascista occorre districarsi

    allinterno di un groviglio di posizioni quasi sempre in contrasto una con

    laltra e la difficolt maggiore sta probabilmente nel fatto che il tema del

    corporativismo un tema ambiguo nel senso che non appartiene in maniera

    esclusiva ne allambito pubblico dello Stato e dellorganizzazione dei suoi

    poteri e ne a quello privato della societ civile. Questo significa che il

    concetto di corporativismo mette in gioco contemporaneamente e

    dialetticamente entrambi gli ambiti. Mancando un modello di riferimento

    che riesca a coniugare in maniera efficace i due livelli di analisi, il pi delle

    volte si finisce per considerare separatamente i due termini e si tende a

    dilatare altrimenti il concetto storiografico di societ civile fino a sfociare

    nella genericit e a perdere di vista il funzionamento concreto degli istituti

    statali.18

    Una parte considerevole della storiografia ha visto il corporativismo

    come reazione alla crisi dello Stato e delle istituzioni liberali nel tentativo di

    risolvere la stessa crisi.

    La riflessione corporativa raggiunse la sua massima tensione

    programmatica nel periodo che va dalla met degli anni Venti ai primi degli

    18 Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dallUnit al fascismo, Il Mulino, Bologna, 1976.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 28 -

    anni Trenta. Gi prima dellavvento del fascismo e prima dello scoppio della

    guerra si parlava di una crisi delle istituzioni liberali19 che vedevano nella

    crisi operaia di inizio secolo lincapacit ad affermarsi anche perch

    espressione di ununica classe sociale che, seppure con il potere di suffragio,

    si trovava ad affrontare la questione sociale mostrandosi incapace di gestirla.

    La crisi era derivata dallerodersi della struttura monoclasse dello Stato e

    dellirrompere sulla scena pubblica di una organizzazione sociale dalla

    struttura sempre pi complessa e differenziata che chiedeva maggior grado

    di partecipazione alle decisioni pubbliche. Ci che accumun le varie letture

    sulla crisi in quegli anni, infatti, fu lindividuazione della sua causa

    principale nellinadeguatezza di una struttura istituzionale incapace di

    stabilire un rapporto positivo con la complessit della societ.

    Come gi detto il pensiero maturato negli anni a cavallo del secolo di

    risolvere i conflitti sociali attraverso una rappresentanza corporativa degli

    interessi cominci a farsi strada e a pi riprese, durante quegli anni, verr

    ripreso il tema della trasformazione delle basi della rappresentanza politica

    da individuali ad organiche e corporative20.

    19 G. Gozzi, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi nella riflessione

    giuridica e politica fra Ottocento e Novecento, in A. Mazzacane (a cura di), I giuristi e

    la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, Napoli, Liguori, 1986. C.

    Pavone - M. Salvati, Suffragio, rappresentanza, liberaldemocrazia, in Rivista di storia

    contemporanea, XV, n. 2, aprile 1986; F. Tessitore, Crisi e trasformazione dello Stato.

    Ricerche sul pensiero giuspubblicistico italiano fra Otto e Novecento, Milano 1988. 20 Gli anni che vanno dal 1880 al 1895 videro in Italia, come in Europa, la produzione di

    una copiosa letteratura antiparlamentaristica. R. Bonghi, La decadenza del regime

    parlamentare, in Nuova Antologia, 1 giugno 1884. M. Minghetti, I partiti politici,

    Bologna, Zanichelli, 1881. F. Persico, Princpi di diritto amministrativo, Napoli,

    Marghieri, 1890. Del 1897 anche il famosissimo motto di Sonnino torniamo allo Statuto! apparso sulla Nuova Antologia (1 gennaio 1897).

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 29 -

    Le opzioni in campo allora erano sostanzialmente due: o una riforma della

    rappresentanza in senso organico, che avrebbe conferito un riconoscimento

    costituzionale alle strutture sociali organizzate, oppure una riforma

    proporzionale, il cui vantaggio sarebbe stato quello di dare espressione

    politica adeguata alle nuove organizzazioni di massa, i partiti.

    Le riforme che tardavano nelle istituzioni italiane derivavano, ad inizio

    del Novecento, dal disagio che suscitava unidea in aperto contrasto con i

    presupposti dottrinali delluguaglianza politica che ricordava troppo da

    vicino lesperienza della suddivisione della societ in classi e ceti propria

    dellantico regime.

    Dopo la parentesi della guerra le problematiche che erano rimaste

    irrisolte si sono ripresentate con maggiore urgenza anche perch la guerra

    aveva portato a maggiori problematiche in tutti i campi e in particolare nella

    sfera del lavoro e sociale. Negli anni a ridosso dellavvento del fascismo si

    ebbe una graduale perdita di fiducia nella possibilit di risolvere i nuovi

    conflitti sociali riassorbendoli nellambito tradizionale della sovranit

    nazionale e quindi i progetti corporativi cominciarono a moltiplicarsi per

    dare rappresentanza a quei segmenti della societ rappresentanti interessi

    costituiti. La riforma elettorale in senso proporzionale acceler il processo

    degenerativo delle istituzioni ormai in corso da tempo portando al collasso

    del Parlamento. La crisi mostrava di non poter essere risolvibile da una

    semplice riforma ma che aveva motivazioni pi radicali e profonde che

    mettevano in discussione anche la forma dello Stato che vedeva venir meno

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 30 -

    i suoi tradizionali attributi assieme allerosione della sua sovranit e

    lidentit fondamentale su cui era basata tutta la costruzione dello Stato

    moderno.

    La tendenza a spostare il luogo della decisione politica dagli organi ad

    essa deputati ai gruppi di interesse, porta il Parlamento a perdere

    progressivamente il proprio ruolo con la crescita e la stabilizzazione proprio

    di questi gruppi.

    Il corporativismo diventa di conseguenza il luogo in cui trovava

    espressione il fondamentale nodo irrisolto dello Stato moderno e la sua

    natura ambivalente dovuta alla tensione tra la tendenza ad incorporare ed

    integrare allinterno della sua struttura i gruppi economico-sociali e quella

    opposta dei gruppi che invece tendono a resistere allazione accentratrice per

    affermare la propria autonomia.

    Preliminarmente va detto da subito che nel coacervo di formule

    propagandistiche e di velleitarie aspirazioni che costituirono lideologia

    corporativa non cos semplice distinguere il vecchio dal nuovo in quanto,

    sia pure con importanti qualificazioni, il corporativismo aveva infatti accolto

    alcuni principi basilari dellindirizzo economico liberista: tutela della

    propriet privata; autonomia contrattuale e libert di iniziativa economica.

    Nellottica corporativista lavoro e propriet erano visti come dei diritti

    dellindividuo ma anche fonti di corrispondenti doveri riconducibili allo

    svolgimento di una funzione sociale. Gli imprenditori privati, ad esempio

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 31 -

    erano liberi di agire ma anche responsabili degli indirizzi della produzione

    di fronte allo Stato, supremo tutore dellinteresse pubblico.

    Il corporativismo era per in aperto contrasto con due elementi essenziali

    del liberalismo: le premesse individualistiche, occlusive dello spazio per una

    azione riformatrice ispirata a finalit collettive, e la fiducia nella capacit del

    meccanismo del mercato di presiedere ad unallocazione efficiente delle

    risorse, che implicava una sostanziale negazione del ruolo della politica

    economica. Nel rapporto tra corporativismo e liberalismo coesistevano

    quindi, gli uni accanto agli altri, elementi di affinit e di discordanza

    ideologica.21

    Si pu affermare senza temere smentite che esiste un evidente nesso tra

    crisi dello Stato e corporativismo ma non si pu dire allo stesso modo che

    tale nesso sussista anche tra ideologia fascista e corporativismo.

    Nellepoca della crisi dello Stato il corporativismo, variamente

    declinato, rappresent infatti un terreno sul quale finirono per confluire

    correnti di pensiero che nulla avevano in comune tra loro: il pensiero sociale

    cattolico, il reazionarismo politico di destra, il sovversivo di sinistra. Le

    21 nei termini di un compromesso tra le istanze politiche del regime e gli schemi teorici

    delleconomia liberale che il corporativismo venne inteso da quegli studiosi che vengono talvolta definiti corporativisti formali, ad indicare che la loro accoglienza della ideologia corporativa non si spingeva molto al di l delladesione ufficiale sollecitata dal regime. Ad essi si contrapponevano altri studiosi, che rifiutavano il

    postulato economicistico, a loro volta descritti come corporativisti integrali. Ma la distinzione tra corporativisti formali ed integrali non sembra poter rappresentare

    storicamente un punto fermo. In tema di purismo ed anti-purismo, per esempio, questi

    autori avevano idee molto diverse. Sul concetto di corporativismo integrale, cfr. M.

    MANOILESCO, Le sicle du corporatisme. Doctrine du corporatisme intgral et pur,

    Librairie Flix Alcan, Paris, 1934.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 32 -

    radici remote di un tale singolare incontro possono essere rintracciate gi nel

    pensiero reazionario di inizio Ottocento22, il quale, in opposizione ai valori

    che, sinteticamente, si potrebbe dire affermati dalla Rivoluzione Francese,

    critic individualismo ed egualitarismo democratico e mise in luce la

    principale aporia del costituzionalismo ottocentesco, ovvero la dialettica

    irrisoria tra libert ed uguaglianza fondamento tanto di una cultura di destra

    che di alcune correnti di estrema sinistra.

    Nel corso del Novecento, ed in particolare tra le due guerre, la critica

    allindividualismo liberale e allegualitarismo democratico si leg alla

    necessit di creare un nuovo ordine, sia sociale che politico, e di trovare

    quellunit naturale conosciuta dalle societ di antico regime e spazzata via

    dallatomismo democratico.23

    NellEuropa degli anni Venti e Trenta, quindi, tanto i regimi democratici

    quanto quelli autoritari esprimevano aspirazioni simili rivolte a correggere

    o a superare lo Stato liberale e il sistema rappresentativo parlamentare

    attraverso riforme sociali di carattere corporativo visto che la maggior parte

    22 Se soprattutto negli ultimi decenni dellOttocento che la nebulosa delle ideologie antiliberali e antidemocratiche ha preso forma, dando vita a un corpus dottrinario cui

    il nuovo secolo non avrebbe avuto che da attingere, sullarco lungo dellet post-rivoluzionaria che si sono enucleate le categorie analitiche con le quali la democrazia

    stata sottoposta al vaglio di una critica sempre pi orientata a valutarla in chiave di

    esperienza anomala o patologica. (M. Donzelli R. Pozzi (a cura di), Introduzione, in Id., Patologie della politica. Crisi e critica della democrazia tra Otto e Novecento,

    Roma, Donzelli, 2003, p. 4). 23 M.H. Elbow, French Corporative Theory, 1789-1948. A Chapter in the History of Ideas,

    Columbia University Press, New York, 1953. Per la Germania si vedano R.H. Bowen,

    German Theories of the Corporative State. With special reference to the period 1870-

    1919, New York, Whittlesey House, 1947 e W. Reutter, Korporatismustheorien. Kritik,

    Vergleich, Perspektiven, Peter Lang, Frankfurt am Main Bern New York Paris, 1991.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 33 -

    degli Stati democratici del continente europeo si trov a dover affrontare la

    difficile transizione da societ rurale a societ industriale, cui le tradizionali

    strutture dello Stato liberale mostrarono di essere incapaci di rispondere.

    Tutte le scienze sociali furono coinvolte in una generale opera di

    ripensamento delle categorie concettuali con le quali si era fino ad allora

    pensato lo Stato e le sue relazioni con la societ e vennero cos portati alla

    luce i limiti del liberalismo e le aporie costitutive di un modello di Stato che

    aveva cercato lequilibrio tra affermazione del costituzionalismo, e quindi

    della limitazione del potere dello Stato, e il mantenimento di un

    decisionismo del potere politico concentrato sullo Stato stesso.

    Con la crisi del liberalismo si apre, negli anni Venti del Novecento la

    possibilit di attacco, da parte del fascismo, alla Costituzione liberale che

    trovava gli organi dello Stato incapaci di opporre resistenza.

    Quando Alfredo Rocco nel 1920, aprendo il suo corso allUniversit di

    Padova, affermava che lo Stato era in crisi e che andava dissolvendosi,

    giorno dopo giorno, in una moltitudine di aggregati minori, partiti,

    associazioni, leghe, sindacati che rischiavano di paralizzarlo e soffocarlo,

    determinando una perdita progressiva di tutti i suoi attributi di sovranit,

    sosteneva anche che tale crisi non fosse un fenomeno recente:

    Essa risale ai primi anni del secolo XX, e gi nel 1910 uno dei pi

    eminenti cultori italiani del diritto pubblico, il prof. Santi Romano, ne

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 34 -

    descriveva gli aspetti, a quel tempo pi interessanti, in un magistrale discorso

    pronunciato a Pisa per linaugurazione dellanno accademico24.

    Il riferimento di Rocco alla prolusione pisana di Santi Romano, alla cui

    sostanza egli dimostrava di aderire quasi senza riserve, non costituisce un

    caso isolato. Il discorso romaniano sulla crisi dello Stato rappresent, difatti,

    un punto di riferimento variamente utilizzato dalla giuspubblicistica del

    fascismo. Sergio Panunzio, nella prolusione al corso di Filosofia del diritto

    tenuta allUniversit di Ferrara nel 1922, trattando il tema del rapporto tra

    Stato e sindacati, tema che da pi di un decennio era il problema centrale

    e predominante nella vita e nella scienza, il massimo problema sociale

    politico e giuridico25, citava gli studi di Santi Romano a sostegno delle sue

    tesi sulla necessit di integrazione dei sindacati nel sistema dello Stato.

    Secondo Panunzio il Romano aveva dimostrato come la crisi dello Stato

    derivasse direttamente dallo scioglimento delle corporazioni ed alla

    conseguente polverizzazione della societ in una massa di singoli individui.

    In effetti la giuspubblicistica italiana aveva trovato, come base della crisi

    dello Stato, la minaccia proveniente dalla sfera sociale con lintensificazione

    della lotta degli interessi individuali e aveva inquadrato come il problema

    risiedesse direttamente nelle strutture stesse non transitorie dello Stato

    24 A. Rocco, Crisi dello Stato e sindacati (1920), in Scritti e discorsi politici, Milano, 1938,

    II, p. 631 25 Sergio Panunzio, Stato e sindacati, in Id., Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci,

    Roma, p.139.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 35 -

    liberale che aveva una organizzazione eccessivamente semplice ed

    inadeguata alla complessit della societ moderna.

    Il fatto che alcuni giuspubblicisti, tra cui Romano in testa, avessero

    cercato nella dinamica sociale le cause della crisi dello Stato moderno e che,

    allo stesso tempo, mirassero comunque alla restaurazione della sovranit

    statale, costituiva il possibile punto di congiunzione tra il discorso del

    giurista e parte dellideologia corporativa fascista. In comune, infatti, vi era

    la concezione dello Stato come suprema e compiuta sintesi delle varie forze

    sociali, come unit autonoma degli svariati elementi della societ, come

    unica fonte dei poteri pubblici e reale personificazione di essi. Lorigine

    stessa dellideologia corporativa andava infatti ricercata nel rifiuto della

    concezione astratta dello Stato, nel bisogno di una pi compatta ed organica

    compagine sociale su cui edificare ledificio statale che nel disegno liberale

    era distinto dalla societ.

    Lo strumento attraverso il quale veniva stabilito un legame tra Stato e

    societ era quello della rappresentanza politica e della possibilit di

    ricostruire lunit organica dello Stato. Il principio rappresentativo pu

    essere fondato sul diritto di ogni cittadino dando cos forma ad un concetto

    partecipativo di rappresentanza sensibile alle sollecitazioni provenienti dalla

    sfera sociale, ma anche su una concezione autoritaria della rappresentanza

    stessa che cos viene intesa come istanza sintetica del potere sovrano.

    Questultima concezione era alla base dello Stato Oligarchico di inizio

    Novecento, con caratteri essenzialmente oligarchici che, per perpetuare s

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 36 -

    stesso, necessitava di enfatizzare una concezione di rappresentanza non

    come diritto soggettivo ma come funzione e quindi in prospettiva con una

    concezione anti-egualitaria e anti-partecipativa.

    Sia la dottrina giuridica che la prassi politica avevano generato cos, nel

    nostro Paese, una forma di governo parlamentare con peculiarit proprie e

    non del tutto corrispondente ai principi del liberalismo dottrinario. Rispetto

    al contrattualismo che trovava ragion di essere nellopposizione ad un

    modello assolutista di Stato e alla teoria di autolimitazione della sovranit

    statale, lo Stato di diritto italiano rappresentava una soluzione di

    compromesso che aspirava a conciliare lidea di uno Stato sovrano ma

    intrinsecamente limitato nel tentativo vano di conciliare tradizione francese,

    ancora ancorata ai valori politico-ideologici della rivoluzione, con tradizione

    tedesca, alla quale si doveva lelaborazione del concetto giuridico di Stato e

    che rimaneva invece legata allautoritarismo tradizionale.26

    Tra sovranit e libert, tra Stato e societ, si finiva per creare una

    distinzione troppo netta nella dottrina liberale e cos per preservare la

    sovranit statale, in un momento in cui lo Stato liberale subiva forti pressioni

    dalle nuove forze sociali, la dottrina aveva tentato di collocare

    lorganizzazione dei poteri statali in una sfera di separatezza rispetto alla

    dinamica sociale nel vano tentativo di assicurare al giuridico una autonomia

    sia dal sociale che dal politico. Il distacco che si era creato tra governanti e

    26 Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando, in Nuovi Studi di diritto economia e politica,

    anno II, 1928.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 37 -

    governati, in questo modo, diede vita ad uno Stato completamente estraneo

    e separato dalla societ.

    Compito della politica avrebbe dovuto essere quello di collante

    unificatore tra le due distinte realt ma era stata concepita in modo da

    configurare il voto come una funzione pubblica pi che come diritto

    soggettivo dellindividuo e cos il cittadino si trovava ad essere investito di

    una funzione ad interesse collettivo piuttosto che esercitare un proprio diritto

    di rappresentanza. Il diritto elettorale stesso era concepito in quel tipo di

    societ come una elargizione di sovranit da parte dello Stato che ne avrebbe

    potuto togliere efficacia quando pi riteneva opportuno.

    Da questo ne derivava una trattazione puramente formalistica delle

    istituzioni rappresentative e rendeva lo stesso concetto di rappresentanza

    vuoto e incapace di configurarsi come una relazione dialettica tra i due poli.

    Cos, con lintroduzione del suffragio universale e con le conseguenti

    pressioni esercitate dalle nuove classi sociali che si affacciavano per la prima

    volta nellarena politica, si impose la necessit di ripensare al concetto di

    rappresentanza politica. Allidea di rappresentanza funzionale, infatti, si

    legava per forza il concetto di suffragio ristretto, oligarchico. Limitato a

    determinate categorie di individui dotati dei requisiti necessari ad espletare

    la funzione che implicava una responsabilit nei confronti dellintera

    comunit, concezione diversa da quella del suffragio universale che slegava

    la rappresentanza dalla sovranit statale, configurandosi come diritto

    soggettivo spettante ad ogni individuo in base al principio di uguaglianza.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 38 -

    La preoccupazione di salvaguardare la sovranit statale dai rischi di

    frantumazione e delegittimazione determin lincapacit e, forse, la

    mancanza di volont da parte della classe politica liberale di accompagnare

    il processo di democratizzazione, rimanendo legata ad un paradigma

    intrinsecamente inadeguato ad individuare il legame e linterazione tra forze

    politiche e forze sociali, concentrando la sua analisi sugli aspetti costitutivi

    della sovranit dello Stato e cos non riusc a cogliere la portata della nuova

    realt sociale precludendosi la possibilit di elaborare soluzioni istituzionali

    alla crisi.

    Furono queste forse le ragioni per le quali gran parte della cultura

    giuridica italiana accolse con sostanziale indifferenza e con rassegnata

    accettazione lavvento del Fascismo ed il conseguente stravolgimento

    dellordine costituzionale.

    Gli economisti di formazione liberale, daltro canto, non sembravano

    molto preoccupati di adeguare alla realt quelle premesse dei loro

    ragionamenti che apparivano storicamente superate. Senza bisogno di

    compiere eccessivi sforzi in questa direzione, i corporativisti finivano cos

    col distinguersi per una visione pi realistica del mondo economico. Si

    mostravano generalmente consapevoli che la concorrenza perfetta non

    costituiva un modello credibile di funzionamento delleconomia; che i prezzi

    di mercato non esprimevano le scarsit relative; che la struttura dei consumi

    era distorta dallazione interessata dei produttori. Convenivano sul fatto che

    la presenza di posizioni oligopolistiche comportasse per la collettivit gravi

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 39 -

    sprechi di risorse e che la composizione della domanda solvibile non

    riflettesse lurgenza relativa dei bisogni, a causa della distribuzione

    sperequata della ricchezza. Riconoscevano quindi lesigenza di porre dei

    vincoli alla libert contrattuale e alliniziativa economica privata, nel

    superiore interesse della nazione, che a differenza di quello dei singoli

    individui non palesava carattere transitorio, ma immanente.

    Uno sbocco naturale di questo modo di pensare avrebbe potuto essere

    ladesione al modello organizzativo di uneconomia di piano ma questo

    avrebbe comportato labbandono dei fondamenti stessi del liberismo

    economico che teorizzava la regola pratica del lasciar fare, e solo pochi

    tra i corporativisti erano disposti a tanto mentre i pi erano favorevoli a

    ricerche di soluzioni di compromesso che potessero conciliare mercato e

    piano, libert e controllo, fini pubblici ed interessi privati. Da questo

    atteggiamento emergeva il disegno di uneconomia mista e regolamentata

    che si prestava ad essere interpretato in una pluralit di modi diversi perch

    non si presentava come una semplice formula tecnica finalizzata alla ricerca

    di un equilibrio tra interessi economici in contrasto.

    Il corporativismo poteva intendersi come un sistema di transizione verso

    un autogoverno unitario di imprenditori e lavoratori ed era questa la tesi

    sostenuta, con notevoli variet di accenti, dai sindacalisti rivoluzionari e poi

    dalla sinistra corporativa ma anche come un ritorno allassetto dirigistico

    tipico di uneconomia di guerra della destra corporativa o, infine, come

    strumento per assicurare una reale partecipazione dei lavoratori alla gestione

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 40 -

    della cosa pubblica o addirittura come momento necessario per il passaggio

    ad uno Stato operaio tesi supportata dai sindacalisti del vecchio

    sindacalismo classista.27

    Al pari di Keynes, i corporativisti avevano in mente un modello di

    monopolio bilaterale, in cui il salario determinato in base a rapporti di

    forza, piuttosto che nel rispetto di una logica marginalista. Ma mentre

    Keynes aveva semplicemente preso atto della struttura bilateralmente

    monopolistica del mercato del lavoro, senza sostenere in alcun modo la

    convenienza sociale di tale forma di mercato, i corporativisti si erano trovati

    a dover giustificare come utile per la collettivit il duplice monopolio legale

    di rappresentanza che il regime fascista aveva conferito nei singoli settori di

    attivit alle associazioni di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro.

    Sul mercato del lavoro si sviluppato un intenso dibattito teorico tra i

    corporativisti28. Ma la maggior parte di essi si limit ad affermare che il

    27 Dopo lo scioglimento nel 1927 della C.G.L., Rinaldo Rigola - di cui si ricorda una Storia

    del movimento operaio italiano, edita a Milano nel 1947 - costitu con altri vecchi

    militanti sindacalisti (Maglione, Reina, ecc.) lAssociazione nazionale per lo studio dei problemi del lavoro, che fin poi col confluire nel movimento corporativo fascista.

    28 P. BINI, Il salario corporativo negli studi tra le due guerre, in R. FAUCCI (a cura di), Gli italiani e Bentham: dalla felicit pubblica alleconomia del benessere, Angeli, Milano, 1982, vol. 2, pp. 253-83; F. PERILLO, Introduzione al secondo volume

    dellantologia a cura di A. MANCINI, F. PERILLO e E. ZAGARI, La teoria economica del corporativismo, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli, 1982. Tra gli scritti pi

    significativi dei corporativisti sul salario corporativo possono ricordarsi quelli di G.

    ARIAS, Il salario corporativo, Modena, 1929; F. CARLI, Applicazione della teoria del

    valore al salario corporativo, Archivio di studi corporativi, 1930, n. 2; N.M. FOVEL, Interpretazione economica del salario corporativo, Leconomia italiana, ottobre 1931; U. SPIRITO, Il problema del salario, Critica fascista, 1 ottobre 1932; C. E. FERRI, La remunerazione corporativa delloperaio, Economia, ottobre 1937, e Il sistema della remunerazione corporativa integrale, ibidem, maggio 1938.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 41 -

    salario corporativo era il salario di equilibrio29; o a ribadire la vecchia tesi

    dellesistenza di due limiti naturali al campo di oscillazione del salario - un

    valore minimo, imposto dalle esigenze di sussistenza, ed uno massimo,

    corrispondente al rendimento del lavoratore - dimenticando che la

    caratteristica principale del monopolio bilaterale costituita proprio

    dallimpossibilit di individuare in esso una configurazione di equilibrio.

    Costretti dallevoluzione della politica del regime a rincorrere gli

    avvenimenti30, i corporativisti cercarono di spiegare la convenienza di un

    monopolio bilaterale nel mercato del lavoro con una pretesa riduzione della

    zona di indeterminazione contrattuale entro cui avrebbe dovuto avvenire

    lincontro della domanda reciproca dei due contraenti. Affermavano infatti

    che la contrattazione collettiva avrebbe eliminato le rendite di posizione

    risultanti dalla disparit di condizioni soggettive in cui aveva luogo la

    contrattazione individuale, consentendo di raggiungere un punto di intesa

    che avrebbe assicurato luguaglianza dei vantaggi e dei costi per le due parti

    sociali. Ma non furono in grado di dimostrare questa loro tesi.

    29 F. CARLI, Applicazione della teoria del valore al salario corporativo, cit., p. 321. Carli

    aggiungeva che lequilibrio non andava inteso in senso statico e meccanico, ma in senso dinamico ed etico. Il salario di equilibrio era quello che, secondo la XII disposizione della Carta del Lavoro doveva rispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilit della produzione e al rendimento del lavoro

    30 Nellintento di evitare abusi di potere monopsonistico o monopolistico sul mercato del lavoro, la legislazione fascista aveva previsto una disciplina pubblicistica molto rigida

    di tale mercato, in deciso contrasto con il principio dellautonomia contrattuale dei singoli soggetti economici. Agli accordi corporativi era attribuita per legge efficacia

    erga omnes; erano vietati sia lo sciopero sia la serrata, e le controversie in materia di

    lavoro dovevano essere risolte da un intervento arbitrale.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 42 -

    In ultima analisi - a differenza di Keynes, che aveva derivato la domanda

    di lavoro da quella dei prodotti e ideato una curva di offerta di lavoro dalle

    caratteristiche interamente nuove (la curva a gomito) - i corporativisti si

    mostrarono incapaci di recare contributi teorici di rilievo in questo campo,

    cui pure attribuivano fondamentale importanza.

    Essendo nato al di fuori del fascismo, e prima di esso, il corporativismo

    non pu considerarsi uninvenzione fascista. Quello dei fascisti stato solo

    uno specifico modo di intendere lideologia corporativa, che essi elevarono

    a dottrina economica del regime, ma ridussero al tempo stesso a mera

    giustificazione delle scelte da questo operate a livello politico.

    Come noto, il processo storico che ha portato a costruire lordinamento

    corporativo fascista ebbe inizio con il congresso sindacale di Bologna del

    gennaio 1922, quando le organizzazioni sindacali fasciste facenti capo ad un

    organismo creato poco pi di un anno prima (la Confederazione italiana dei

    sindacati economici) si raggrupparono in cinque corporazioni di settore,

    dando vita alla Confederazione generale dei sindacati nazionali, guidata da

    Edmondo Rossoni. Queste corporazioni crebbero rapidamente di peso, per

    il progressivo sfaldamento dei sindacati non fascisti e per le violenze

    esercitate dalle famigerate squadre dazione contro le leghe operaie e le

    cooperative socialiste e cattoliche.

    Allinterno del fascismo si scontrarono in questa fase due diverse

    concezioni del ruolo dei sindacati e delle corporazioni, che li

    presupponevano. Da un lato vi erano i sindacalisti di Rossoni, favorevoli ad

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 43 -

    un sindacato unico e obbligatorio, educatore pi che difensore delle masse

    operaie e contadine, e ad uno stretto collegamento tra le organizzazioni

    parallele di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro. Dallaltro coloro

    che temevano uneccessiva espansione del peso politico dei sindacalisti e

    preferivano pensare al sindacato unico ed obbligatorio come ad un organo

    sussidiario dello Stato.

    Questultimo orientamento trov espressione in un organismo consultivo:

    la Commissione dei Diciotto (o dei Soloni), presieduta da Giovanni

    Gentile e di cui erano membri anche tre economisti teorici: Arias, Gini e

    Lanzillo - istituito allinizio del 1925 con il compito di preparare la nuova

    legislazione dello Stato fascista. Questa commissione era favorevole in

    maggioranza alla creazione di nuovi istituti di diritto pubblico che

    coordinassero e limitassero lazione di sindacati dei lavoratori formalmente

    liberi di organizzarsi come associazioni di fatto, ma privi di ogni

    riconoscimento giuridico (riservato ai sindacati fascisti). Relatori

    sullargomento furono per la maggioranza Gino Arias e per la minoranza

    costituita dalla sinistra sindacalista, che perseguiva lideale di un capitalismo

    di Stato socialmente avanzato - Edmondo Rossoni, il quale, pur sconfitto in

    quella sede, riusc poi a far approvare dal Gran Consiglio del Fascismo

    listituzione del sindacato unico e il riconoscimento alle corporazioni di

    alcune funzioni normative in materia di disciplina dei rapporti di lavoro

    subordinato e di coordinamento della produzione.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 44 -

    I risultati di questa evoluzione non si fecero attendere. Nellottobre del

    1925, con il patto di Palazzo Vidoni, che aboliva le commissioni interne

    di fabbrica, demandandone le funzioni ai sindacati locali, la Confederazione

    generale dellindustria si impegn a riconoscere come legittima controparte

    i sindacati fascisti e a stipulare contratti di lavoro solo con essi. Segu,

    nellaprile del 1926, unimportante legge sulla disciplina giuridica dei

    rapporti collettivi di lavoro, che diede pieno riconoscimento ai sindacati

    fascisti di categoria, estendendo erga omnes la validit dei contratti collettivi

    da essi stipulati. Lo stesso provvedimento stabil il divieto di sciopero e di

    serrata ed istitu una magistratura del lavoro.

    Nel luglio del 1926 venne infine creato il Ministero delle Corporazioni,

    che fu per reso funzionale solo nel 1929, dopo lo scioglimento del

    Ministero dellEconomia Nazionale e dopo che Mussolini decise di

    rinunciare a sette degli otto incarichi ministeriali che in quellepoca

    ricopriva personalmente, affidandoli ai rispettivi sottosegretari. Da quel

    momento il Ministero delle Corporazioni venne retto da Bottai, che lo tenne

    fino al luglio del 1932, quando si dimise per le polemiche seguite al

    convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara. Fu tuttavia ancora pi

    tardi, a met degli anni 30, che le corporazioni ebbero attuazione pratica.

    La legge istitutiva del Ministero delle Corporazioni aveva creato anche il

    Consiglio Nazionale delle Corporazioni, che allinizio fu un semplice

    organo consultivo del Ministero. Quando poi apparve chiaro che le

    corporazioni erano organismi pressoch inutili, una volta completato

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 45 -

    amministrativamente lordinamento corporativo, si cerc di dare loro un

    diversa giustificazione, di carattere politico, trasformando nel 1939 il

    Consiglio nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni, che sostitu

    la vecchia Camera dei Deputati.

    Questo fu in sintesi, nel periodo fascista, il passaggio dallo Stato liberale

    al corporativismo ma andiamo per gradi: la legge 563/1926 prevedeva un

    sindacato unico per ciascuna categoria di datori e prestatori di lavoro,

    nel senso che non poteva essere riconosciuta legalmente per ciascuna

    categoria di datori di lavoro, lavoratori, artisti o professionisti, che una sola

    associazione (art. 6, co 3 L. 536/26).

    Questa associazione, a seguito del riconoscimento del governo, che

    emetteva alluopo un decreto, diveniva persona giuridica di diritto pubblico

    come ente ausiliare dello Stato, sottoposto a controlli statali.

    Leffetto del decreto fu che il sindacato da un lato veniva dotato di potere

    di rappresentanza legale di tutti i soggetti (iscritti e non) appartenenti alla

    categoria (art.5, co 1 L. 563/26) dallaltro aveva facolt di stipulare contratti

    vincolanti per tutti gli appartenenti alla categoria (art. 10) e non derogabili

    in peius da parte del contratto individuale (art. 54 reg. esec. 1130/26). Le

    Corporazioni rappresentavano, quindi, in maniera unitaria datori di lavoro

    e lavoratori, ed erano chiamate a svolgere funzioni di natura consultiva, di

    controllo, conciliativa e, in certa misura, anche normativa.31

    31 SCOGNAMIGLIO, Diritto del Lavoro, Cacucci Editore, Bari, 1972, p. 212 ss.

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 46 -

    Potevano essere costituiti anche sindacati non riconosciuti, la stessa Carta

    del Lavoro del 1927 parla di libert sindacale, ma di fatto essi non vennero

    mai organizzati, non solo per timore del regime fascista, ma anche perch

    questi ultimi non avrebbero avuto alcuno spazio di manovra rispetto al

    sindacato riconosciuto dallo Stato

    I provvedimenti in questione tenevano conto della visione organica e

    coesa della societ nel senso del corporativismo e, quindi, linteresse dei

    singoli e delle classi era subordinato al perseguimento dellinteresse

    superiore della nazione.

    Sul versante sindacale ci si risolse nella soppressione della libert

    sindacale, (pur rimanendo astrattamente la possibilit di costituire pi

    sindacati, in relazione ai quali, per, il governo si era riservato la possibilit

    di conferire riconoscimento giuridico solo ad uno, purch fosse espressione

    degli interessi di almeno il 10% dei lavoratori della categoria di riferimento

    e fosse guidato da persone di sicura fede nazionale) e della libert di

    sciopero.

    La Carta del Lavoro, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 21

    aprile 1927 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927,

    rendeva vincolante l'efficacia dei contratti siglati dalle associazioni sindacali

    riconosciute dalla legge nei confronti di tutti i lavoratori stabilendo che il

    sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il

    diritto di () stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli

    appartenenti alla categoria (cfr. art. 3).

  • CAPITOLO PRIMO

    Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

    - 47 -

    Con la pubblicazione del Codice Civile del 1942, il contratto collettivo

    venne inserito nella categoria delle norme corporative (art. 5 disposizioni

    preliminari al c.c. 1942) e venne, poi, sottoposto ad una disciplina specifica

    (artt. 2067-2077 c.c. 1942).

    Nel periodo corporativo, quindi, la contrattazione collettiva era sottoposta

    a vincoli di centralizzazione nazionale e di categoria; doveva essere

    preordinata alla protezione della parte pi debole del rapporto di lavoro

    attraverso la predeterminazione dei minimi di trattamento; doveva avere la

    funzione di standardizzare le condizioni di lavoro e, in particolare, il costo

    del lavoro nellarea di riferimento, nellambito pi generale di una disciplina

    delleconomia nazionale.

    In tale contesto, se non si poteva negare che il contratto collettivo traesse

    origine dallincontro di volont delle associazioni rappresentanti i

    contrapposti interessi di categoria, tuttavia fu affermato che esso non poteva

    avere natura contrattuale perch nessuno scambio si realizzava tra le parti,

    non esistendo tra le stesse nessuna antitesi di finalit che propria del

    rappor