JESUIT REFUGEE SERVICE a imparare... un corso di alfabetizzazione per adulti in un campo per...

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JESUIT REFUGEE SERVICE RENDERE CONTAGIOSO IL NOSTRO SOGNO: CREARE SPAZI DI SPERANZA E RICONCILIAZIONE MARZO 2014 RDC FRANCIA RCA COLOMBIA UE NUMERO 57 p. 4 p. 7 p. 9 p. 12 p. 16

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JESUIT REFUGEE SERVICE

RENDERE CONTAGIOSO IL NOSTRO SOGNO:

CREARE SPAZI DI SPERANZA E RICONCILIAZIONE

MARZO 2014

RDC

FRANCIA

RCA

COLOMbIA

UE

NUMERO 57

p. 4

p. 7

p. 9

p. 12

p. 16

MARZO 2014 NUMERO 57

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FOTO DI COPERTINA

IN QUESTO NUMERO

EDITORIALE

Punti di svolta nella riconciliazione 3

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Le mani e i piedi del JRS 4

FRANCIA

È lo stesso pianeta? 7

REPUBBLICA CENTRAFRICANA

Servire nel mezzo del caos 9

INTERNAZIONALE

Ricreare relazioni giuste 11

COLOMBIA

Chiedo perdono a mio figlio 12

APPELLO

Puoi aiutare a rompere il circolo della violenza 15

EUROPA

Protezione interrotta 16

RIFLESSIONE

Abbracciare Gesù crocifisso 19

QUARTA DI COPERTINA

La rete Welcome 20

Continuare a imparare... un corso di alfabetizzazione per adulti in un campo per sfollati interni a Masisi, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Le donne si incoraggiano a vicenda a imparare rendendo le classi luoghi di allegria e divertimento. (Peter Balleis SJ/JRS)

Servir è disponibile in italiano, francese, inglese e spagnolo. È pubblicato due volte l’anno dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS).

DIREZIONEPeter Balleis SJ

REDAZIONEDanielle Vella

PRODUZIONEMalcolm Bonello

Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati è un’organizzazione cattolica internazionale creata nel 1980 da Pedro Arrupe SJ. La sua missione è accompagnare, servire e difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati.

Jesuit Refugee ServiceBorgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia

TEL: +39 06 69 868 465FAX: +39 06 69 868 461

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EDITORIALE

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Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS

1 febbraio 2014: Un incontro amichevole con uno degli anziani nel campo di Kashuga vicino a Mweso, nel Congo orientale (foto sopra). Il suo sorriso non riflette né la dura realtà del campo né il contesto generale di violenza e disperazione. Questa “realtà complessa”, secondo il gergo dell’ONU e delle agenzie umanitarie, è prodotta da molteplici fattori, realtà dolorose nel Nord Kivu: il commercio globale di armi; la cattiva amministrazione, la corruzione e l’assenza dell’autorità statale congolese; la lotta per il controllo delle risorse minerarie e naturali e gli interessi internazionali che stanno dietro; l’internazionalizzazione del conflitto; lo sfruttamento delle tensioni etniche; l’impunità di chi commette stupri e altre violazioni dei diritti umani. Come iniziare

a rompere il circolo vizioso della violenza e della disperazione? È quasi impossibile.

Forse, però, un semplice sorriso può essere l’inizio: il sorriso che suor Regina, padre Felipe, Francisca, suor Paola, Prosper, German e i membri delle loro équipe suscitano quando incontrano le persone sfollate. Portano il loro aiuto agli anziani e ai più vulnerabili, nonché alle donne e ai giovani nelle scuole e nei centri di formazione sostenuti dal JRS a Masisi, Mweso e Goma.

Oppure il sorriso accogliente delle famiglie che fanno parte della rete Welcome in Francia; il sorriso di una bambina, in Colombia, che consola sua nonna per la perdita del figlio; il sorriso sul viso di migliaia di bambini in una scuola provvisoria nel mezzo del caos e delle violenze a Bangui, nella Repubblica Centrafricana.

Un semplice sorriso in una realtà complessa apparentemente impossibile da cambiare può essere un punto di svolta per ricreare relazioni giuste. L’anziana donna a Masisi (foto di copertina) sorride dopo aver scritto correttamente una parola sulla lavagna: alla sua età ha imparato a leggere e scrivere, sicuramente un punto di svolta nella sua vita. E, forse, con la sua saggezza e la sua nuova capacità potrà dire ai suoi figli e ai suoi nipoti di non combattere o disperarsi e di prendere in mano un gesso per imparare come ha fatto lei. Allo stesso modo i giovani del corso di falegnameria di padre Felipe stanno imparando una professione che permetterà loro di guadagnarsi da vivere. Un sorriso può essere un punto di svolta sia per le singole persone che per le comunità e, negli anni, può portare alla riconciliazione.

Punti di svolta nella riconciliazione

Fr Peter in Kashuga camp in Mweso, eastern DRC.

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MASISIA Masisi, migliaia di sfollati vivono in capanne di fango abbarbicate sui fianchi scoscesi delle montagne, in mezzo a foreste lussureggianti. La bellezza dei luoghi passa inosservata ai più: le persone vivono in condizioni precarie, alla giornata, ma per ora questo luogo è più sicuro dei villaggi da cui sono fuggite. Padre Felipe e suor Regina, l’équipe del JRS a Masisi, sono volti familiari nei campi e coordinano un

interessante progetto in stretta collaborazione con il personale locale e gli studenti.

Suor Regina, tanzaniana, visita regolarmente les vulnérables: gli anziani che vivono soli, i disabili e gli ammalati. Mentre attraversa il campo scendendo lungo le colline fangose, i visi dei suoi amici si illuminano quando li chiama per nome. Offre a tutti un abbraccio e parole di amicizia. Alcuni le mostrano articolazioni gonfie o piaghe dolorose. Lei

accarezza i loro piedi e le loro mani e li rassicura; la sua sola presenza è sufficiente. Padre Felipe, un gesuita cileno, racconta scherzando che suor Regina definisce spesso le persone che accompagna come “i venerabili”, e questo si avvicina alla verità “perché sono loro che saranno i primi nel regno di Dio”.

Guardando suor Regina passare di casa in casa, capisco cosa significhi “accompagnare” nel suo senso più vero. Si reca in visita a

Campo di Masisi (JRS Internazionale)

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Le mani e i piedi del JRSIn febbraio, Gillian Donoghue del JRS Internazionale ha visitato le équipe del JRS a Goma, Masisi e Mweso nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). In questo articolo esprime la sua ammirazione per i loro infaticabili sforzi per offrire assistenza e sostegno alle persone sfollate che vivono nei campi della regione, specialmente alle più vulnerabili.

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una bambina di sei anni. Tre mesi fa la piccola è stata brutalmente violentata da un uomo nel suo villaggio. Quando i suoi genitori l’hanno trovata, sanguinante e duramente traumatizzata, l’hanno immediatamente portata al centro del JRS.

Suor Regina ha accompagnato la bambina e i suoi genitori all’ospedale la notte stessa. Da allora, li ha sostenuti ogni giorno. Attraverso un’assistenza psicologica continuativa, i genitori stanno gradualmente imparando ad accettare ciò che è successo. La bambina non ha parlato per settimane dopo la violenza. Adesso ha ricominciato a dire qualche parola ma comunica tristezza, anche se talvolta suor Regina

riesce a strapparle un sorriso. La speranza è che, attraverso un sostegno prolungato, un’attenzione particolare e controlli medici regolari, la bambina possa ritrovare la serenità.

La storia di questa famiglia è una delle tante storie di sofferenza in un paese dove la brutalità è all’ordine del giorno e il rispetto della vita umana è scarso. La violenza sessuale è molto diffusa, ma la maggior parte dei crimini passano sotto silenzio e le vittime non ricevono aiuto.

CAMPO DI NZULU, VICINO A GOMA

Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai

suoi piedi, ed egli li guarì. (Mt 15, 30)Mentre visito i campi per

sfollati nel Nord Kivu, molte volte mi torna alla mente questa immagine della Bibbia, ma mai così intensamente come nel campo di Nzulu, situato a un’ora da Goma. Quando la macchina del JRS arriva nel campo, la gente accorre da tutte le parti. Nel giro di 10 minuti, una folla di persone ci circonda, portando i bambini ammalati e gli anziani affamati, mostrando ferite e cicatrici, implorando aiuto. Alcuni si appoggiano a bastoni, altri camminano su mani e ginocchia. Portano neonati e bambini piccoli rimasti orfani, e altri con gravi handicap. Raccontano storie di violenze, perdite e fughe per salvarsi la

A Masisi, padre Felipe insegna ai giovani a essere bravi falegnami ed elettricisti e prepara i suoi studenti migliori perché diventino a loro volta insegnanti, in modo che il lavoro aumenti. (JRS Internazionale)

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

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INFO POINT

L’est della RDC è tormentato da una guerra cronica tra l’esercito congolese e diversi gruppi e milizie ribelli. È un conflitto estremamente complesso e all’apparenza irrisolvibile, anche a causa dell’intervento illegale delle nazioni vicine. Sebbene le differenze etniche o, meglio, lo sfruttamento delle differenze etniche giochi un ruolo significativo nelle violenze, il conflitto ha in realtà radici politiche ed economiche e i politici, i leader militari e altri attori

manipolano le identità di gruppo per i propri fini.

La popolazione civile è spesso vittima dei combattimenti e subisce gravi violazioni dei diritti umani. L’ONU stima che ci siano più di 1,6 milioni di sfollati nel Nord e Sud Kivu, con migliaia di persone costrette a fuggire ogni giorno da nuovi focolai di violenza. Gli sfollati vivono disseminati in diversi siti in condizioni di miseria, spesso senza poter

soddisfare i propri bisogni fondamentali. Il JRS visita alcuni dei campi per sfollati offrendo sostegno alle persone vulnerabili, corsi di alfabetizzazione e attività di autosostentamento per le donne e i giovani, istruzione formale attraverso la formazione degli insegnanti, la costruzione di scuole e la fornitura di materiale scolastico. Gli aiuti di emergenza fanno anch’essi parte dell’azione del JRS, in particolare nelle nuove situazioni di sfollamento.

vita. Molti sono stati sfollati innumerevoli volte.

Più tardi, riflettendo su quanto avevamo visto quel giorno, ho realizzato che c’erano piccoli segni di speranza nella desolazione e nelle avversità del campo. Abbiamo incontrato una donna cieca che vive sola in una piccola capanna. Stava seduta su un semplice sgabello di legno, un regalo dell’équipe del JRS di Goma. Quello sgabello, ci ha detto, ha reso la sua vita migliore.

L’équipe del JRS visita il campo di Nzulu due volte alla settimana, portando cibo ai più vulnerabili e altre cose per rendere meno dure le condizioni di vita. Alcune capanne hanno dei tappeti dai colori vivaci fatti dalle donne che partecipano ai progetti del JRS. I tappeti offrono agli sfollati un minimo di protezione dalla roccia vulcanica irregolare su cui si sdraiano per dormire. Ad altre persone sono stati forniti teli di plastica per non far entrare la pioggia nelle fragili capanne.

In tutti i campi che ho visitato c’è un forte senso di comunità e solidarietà tra gli sfollati. I bambini orfani sono accolti dai vicini e le persone in salute aiutano i malati.

MWESOL’ultimo luogo che visitiamo è Mweso, a parecchie ore di viaggio da Goma, su strade spesso impraticabili. Una suora italiana, Paola, guida un’équipe affiatata di operatori congolesi. Anche qui l’équipe sostiene i più bisognosi nei campi.

Una giovane donna di nome Francisca è un membro

fondamentale dell’équipe. Sorride sempre e accoglie tutti con un abbraccio. Mentre ci porta a incontrare la gente di Mweso, ci dice scherzando che il lavoro della sua équipe è di “essere le mani e i piedi del JRS”. Mentre li osservo lavorare, mi convinco che le équipe di Mweso, Masisi e Goma sono molto di più di questo: sono la vera essenza del JRS.

Francisca a Mweso. (JRS Internazionale)

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGOACCOMPAGNARE

ACCOMPAGNARE

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Mohammed (Andy Ash)

Mohammed è molto arrabbiato quando entra nell’ufficio del JRS per la nostra intervista. “Non voglio dire niente davanti alla telecamera che possa far desiderare ai rifugiati di venire in Francia”, dice. Cammina avanti e indietro e nessuno di noi cinque presenti nell’ufficio ha intenzione di fermarlo. Il suo tono e il suo atteggiamento suggeriscono che non possiamo convincerlo, ormai, e penso che l’intervista verrà rimandata.

Sono andata in Francia per conoscere meglio la rete Welcome del JRS, che mette in relazione rifugiati come Mohammed con famiglie o congregazioni religiose francesi disponibili a offrir loro un posto dove stare. Ma oggi

Mohammed, giornalista e scrittore palestinese recentemente fuggito dalla sua casa in Siria, non intende parlare di questo perché non sente di aver beneficiato di qualcosa. È venuto per parlare “della realtà di Parigi” e mi permette di registrare e scrivere a condizione che racconti la verità.

“La gente non ha spazio nei propri pensieri per i rifugiati”, dice. “Non è loro responsabilità pensare ai miei problemi, hanno già i loro.”

Mohammed sembra isolato dal resto del mondo, sotto il suo cappotto e la sua sciarpa, gli occhi e i capelli scuri appena visibili sotto il berretto. “Non voglio che nessuno si dispiaccia per me. Anche se vivo per strada, non voglio essere compatito. La

famiglia che adesso mi ospita è una bella famiglia, sono persone buone, ma non è loro responsabilità assumersi i miei problemi.”

Mohammed afferma di essere nato maledetto, perché già alla nascita era rifugiato e non ha mai vissuto in Palestina - prima 10 anni in Libia, poi 16 anni in Siria e infine un anno in Libano: “Sono stato sempre l’altro.” In passato, quando ha affrontato grosse difficoltà nella sua vita, ha sempre scritto a proposito di esse, aiutato dalla capacità di esprimersi in modo articolato e con sarcasmo. Adesso... niente.

“Quando sono arrivato qui, non potevo scrivere, non avevo spazio nella mia mente per farlo. Quando scriviamo, trasformiamo

FRANCIA

È lo stesso pianeta?Molly Mullen del JRS Internazionale voleva intervistare Mohammed a proposito della sistemazione provvisoria che ha trovato a Parigi grazie alla rete Welcome. Ha invece scoperto la profonda frustrazione e la tristezza dei rifugiati che cercano asilo in Europa.

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qualcosa di materiale in immagini e metafore. Hai la realtà intorno a te, ma il tuo cervello non riesce a trasformarla”, afferma.

“Adesso che sono in Francia non riesco ad accettare che la Siria sia sullo stesso pianeta. Non riesco ad accettare di vedere un uomo per strada andare al lavoro e allo stesso tempo in Siria qualcuno sta fuggendo da una bomba, un missile, un aereo o qualcos’altro. È lo stesso pianeta?”

Nel frattempo Mohammed si siede, ma è frustrato dal fatto che spiegare la sua situazione a persone senza alcuna esperienza della guerra o del processo è come parlare a un muro di mattoni. In Francia, dice, l’intero processo di richiesta di asilo è in francese, e anche solo organizzarsi e presentare la richiesta di asilo è un lavoro a tempo pieno.

Cosa succede domani? “Devi andare all’ufficio dell’amministrazione alle 5 di mattina e restarci tutto il giorno. Poi aspetti per l’intervista. Devi procurarti un indirizzo postale. Devi trovare un posto dove stare. Devi ricevere assistenza medica e dovresti imparare il francese. Quando?”

Il JRS fa il possibile per aiutare, offrendo corsi di francese, ad alcuni un tetto sotto cui dormire, assistenza per orientarsi e organizzare i documenti. Ma di cos’altro c’è bisogno? Un collega ha chiesto a Mohammed quella che poi è stata l’ultima domanda a cui ha risposto. Cosa ti servirebbe per essere almeno in parte soddisfatto? “Non posso essere soddisfatto al 100% finché la mia famiglia è laggiù. Vorrei poter dormire senza temere cosa mi succederà

domani. Vorrei avere spazio per scrivere, imparare nuove cose; vorrei avere i problemi che hanno le persone normali, come discutere con il proprio capo; vorrei passare il tempo con la mia ragazza e discutere del suo profumo o del colore dei suoi capelli; vorrei sentire i fuochi d’artificio senza ricordare i bombardamenti e gli spari... Una settimana fa stavo parlando su Skype con la mia famiglia, mia madre e mio padre erano di fronte a me. Parlavano ma io non ascoltavo, non ci riuscivo...”. La voce di Mohammed si affievolisce e distoglie lo sguardo da noi.

“Scusate, possiamo fare una pausa? Vado a fumare una sigaretta.” Ed è la fine dell’intervista.

Maggiori informazioni a proposito della rete Welcome nella quarta di copertina.

“La realtà di Parigi”, come la chiama Mohammed, è una vita non facile per i richiedenti asilo che lottano per superare i traumi e per far fronte alla confusione della burocrazia e alla mancanza di servizi essenziali. (James Stapleton/JRS)

FRANCIA ACCOMPAGNARE

SERVIRE

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L’équipe del JRS Repubblica Centrafricana con il direttore Jaime Moreno SJ, in maglia blu.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA

Il JRS ha costruito rifugi provvisori per bambini in un sito per sfollati nella martoriata città di Bangui. All’inizio di febbraio sono stati assunti insegnanti e sono stati costruiti in un campo presso il monastero di Boy Rabe 16 capanni per svolgere lezioni e altre attività. Il progetto è pensato per durare almeno fino alla fine di aprile.

La Repubblica Centrafricana non è mai stata un’icona di stabilità e buon governo ma, nel marzo 2013, dopo la marcia su Bangui dei ribelli Seleka, ha cominciato a sgretolarsi. In maggioranza musulmani, i ribelli hanno rimosso il presidente François Bozizé e commesso ripetutamente violazioni dei diritti umani, saccheggi e distruzioni. Il loro breve periodo al potere è terminato quando le milizie cristiane, gli anti-Balaka, hanno contrattaccato. In questo clima, la popolazione civile si è ritrovata in mezzo alle vendette incrociate che hanno infiammato il paese.

I disordini hanno costretto il JRS a interrompere i progetti che duravano da anni in due provincie in precedenza afflitte dalla guerra. Poco dopo gli attacchi a Bangui

dello scorso anno, un’équipe ha visitato gli insediamenti degli sfollati per distribuire cibo. In giugno, nonostante la situazione di forte insicurezza, il JRS ha lanciato un progetto in 26 scuole mirato a riportare i bambini all’istruzione per completare l’anno scolastico. La fornitura di pasti scolastici ha aiutato a raggiungere l’obiettivo poiché la fame, oltre ai pericoli, era tra le cause che spingevano i genitori a non mandare più i bambini a scuola.

A gennaio di quest’anno, il JRS ha cominciato a lavorare nei rifugi per bambini del campo di Boy Rabe. Sebbene la gran parte degli sfollati a Boy Rabe sia ormai partita, presumibilmente per tornare a casa, alcuni genitori continuano a portare i figli alle classi del JRS. Circa 3.200 bambini sono stati iscritti, ma il numero di quelli frequentanti fluttua a causa dell’insicurezza, della fame e di altri fattori.

Il JRS sta anche conducendo un’indagine su quali siano i bisogni pedagogici in un contesto umanitario e di sicurezza in rapida evoluzione. Sicuramente la crisi nella Repubblica Centrafricana è

lontana dalla soluzione. A metà marzo, circa 600mila persone erano ancora sfollate e quasi 300mila erano rifugiate nei paesi confinanti. I musulmani sono fuggiti in massa, scappando dalle violente rappresaglie degli anti-Balaka. I pochi musulmani ancora presenti a Bangui sono sotto la protezione dei soldati stranieri, tutti gli altri sono fuggiti.

Sebbene Bangui adesso sia relativamente calma, la situazione nella città resta instabile. I crimini stanno aumentando e il prezzo del cibo ha subito un rapido incremento a causa della scarsità, provocando un peggioramento della malnutrizione. Nel Paese, la risposta umanitaria rimane inadeguata nonostante gli sforzi e gli attacchi alle agenzie umanitarie sono aumentati. Le forze di peacekeeping francesi e della regione hanno urgente bisogno di rinforzi per riportare la situazione sotto controllo. La priorità è ristabilire la sicurezza ma al momento il destino del paese sembra in bilico e molti pensano che probabilmente la situazione peggiorerà prima di riuscire a migliorare.

Servire nel mezzo del caos

SERVIRE

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Il mio più grande bisogno è la pace! In quanto cattolico, dal mio punto di vista la mia Chiesa sta svolgendo un ruolo importante in questa crisi, predicando la pace e dissuadendo le persone, in particolar modo i cristiani, dal prendere le armi. La Chiesa sta anche predicando il perdono, la riconciliazione e la tolleranza religiosa. Il fatto che alcune persone, per interessi personali, stiano dando al conflitto una motivazione religiosa, è una disgrazia.

Vivo e lavoro a Bangui. Di recente sono stato testimone di scene orribili di desolazione: persone picchiate, mutilate a colpi di machete, negozi saccheggiati e case distrutte, donne e bambini in fuga in tutte le direzioni in cerca di un posto al sicuro. Sto vivendo nella paura costante, chiuso in casa durante il giorno e sempre all’erta di notte in caso di attacchi. Ho formato un comitato di autodifesa nel mio quartiere, riunendo cristiani e musulmani per dire alla gente di tornare a casa e per controllare che persone malintenzionate non si infiltrino nel quartiere per seminare disordine. Cerco di mantenere la mia serenità e di non lasciare spazio al panico.

TESTIMONIANZE

Sono uno studente della scuola superiore e sono dovuto fuggire verso un’altra zona di Bangui. La guerra è stata un’esperienza davvero traumatizzante: ho visto uccidere persone innocenti con un machete o con una pistola, case e beni personali bruciati e razziati e la profonda miseria nei campi per sfollati. Avevo costantemente paura per la mia famiglia perché siamo fuggiti verso zone diverse. Noi giovani ci stiamo rendendo conto di vivere in un momento molto delicato per il futuro del nostro Paese e che i politici ci stanno manipolando. I cristiani e i musulmani vivevano in armonia prima della data infame del 24 marzo. L’arcivescovo e l’imam di Bangui stanno facendo tutto il possibile perché possa regnare la pace e ci hanno messi in guardia molte volte contro la manipolazione dei politici. La mia speranza è che la pace e la sicurezza ritornino nel mio Paese.

Un rifugio provvisorio per bambini costruito dal JRS nel sito per sfollati di Boy Rabe. (Jaime Moreno/JRS)

REPUBBLICA CENTRAFRICANA

Un combattente anti-Balaka all’aeroporto. (Jaime Moreno SJ/JRS)

SERVIRE

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COSA FARESTI SE AVESSI TU IL POTERE?

Le immagini e i resoconti spaventosi dalla Repubblica Centrafricana mostrano il rischio che la violenza di massa e la cieca vendetta prevalgano. Oltre al compito immediato della comunità internazionale di ripristinare la sicurezza, c’è un bisogno crescente e urgente di riconciliazione delle comunità. Secondo le testimonianze raccolte dal JRS a Bangui, questo è ciò che la gente comune desidera. Le persone hanno affermato con decisione che non si tratta di un conflitto religioso ma politico. Quando è stato loro chiesto cosa farebbero se il potere politico fosse nelle loro mani, hanno risposto:

• Farei appello alla riconciliazione nazionale e al perdono.• Organizzerei una conferenza nazionale per la pace e la riconciliazione.• Organizzerei una funzione ecumenica per riconciliare cristiani e musulmani.• Metterei in piedi istituzioni forti e indipendenti.• Disarmerei tutte le persone che non hanno il diritto di essere armate.• Chiederei a tutti i politici e ai manipolatori, nazionali e internazionali, di pensare a tutti gli innocenti che sono stati uccisi, al sangue che hanno sulle loro mani.• Mi assicurerei che ogni persona abbia una parte della ricchezza del Paese.

www.jrs.net

RECREATING RIGHTRELATIONSHIPS

DEEPENING THE MISSION OF RECONCILIATION IN THE WORK OF JRS

RecreatingRight RelationshipsThis manual, the product of a JRS-

Boston College workshop held in

Cambodia in 2013, describes how

reconciliation is central to the work

of JRS. Drawing on the core values

of JRS, it shows how reconciliation

might be incorporated in concrete

ways in all JRS projects.

RCA/INTERNAZIONALE

Ricreare relazioni giusteNel giugno 2013, come parte del percorso di collaborazione tra il JRS e il Centro per i diritti umani e la giustizia internazionale del Boston College, operatori del JRS provenienti da tutto il mondo si sono incontrati con docenti universitari al Metta Karuna Reflection Centre di Siem Reap, in Cambogia. Lo scopo del seminario era riflettere sul ruolo della riconciliazione nel JRS e identificare i principi e gli elementi fondamentali del nostro lavoro in questo settore. I partecipanti hanno passato una settimana a riflettere insieme sulle loro esperienze di comunità riconciliate e non riconciliate in Cambogia, Colombia, Indonesia, Siria, nelle Filippine e nella RDC, analizzando le esperienze pratiche del JRS alla luce dei diversi modelli di riconciliazione e scoprendo cosa le religioni del mondo affermano a proposito del perdono, della pace e della riconciliazione stessa. Per avere una copia del manuale che raccoglie le riflessioni del seminario, scrivete a [email protected].

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COLOMBIA

“Quante volte ho chiesto perdono a mio figlio, quante volte ho pianto con lui... e quante altre da solo. Come mi sono sbagliato! Pensavo che imbracciando le armi avrei lasciato a mio figlio un Paese migliore. Ma adesso mi rendo conto che niente è cambiato. La stessa violenza e la stessa ingiustizia strutturale sono continuate durante tutti questi anni di conflitto armato. Così tanti morti, per cosa? E adesso sono qui in prigione, a causa dei crimini che ho commesso quando ero guerrigliero.”

Andrés ci ha parlato della sua sofferenza durante una delle nostre visite a una prigione nella periferia di una città colombiana. Eravamo insieme a un professore dell’università Javeriana che stava iniziando nella prigione un corso di educazione alla pace per ex combattenti, una delle molte iniziative mirate a guarire le ferite di una regione considerata fra le più violente al mondo, l’America Latina. È la regione dove il crimine organizzato - con il suo dominio violento sulla terra e sul commercio, e con lo sfruttamento delle risorse naturali e del traffico

di esseri umani - provoca il maggior numero di morti.

ENORMI DISUGUAGLIANZE TRA RICCHI E POVERIL’America Latina è vittima della violenza dell’ingiusta distribuzione delle risorse. Camminando per le strade di una qualsiasi grande città è evidente la crescente disparità tra i ricchi e i poveri. È un’ingiustizia che uccide e obbliga le persone vulnerabili a spostarsi in cerca di un posto dove potersi sentire al sicuro. Andrés ha imbracciato le armi contro questa ingiustizia, credendo che una violenza poteva essere risolta da un’altra violenza. Questa è un’idea molto diffusa nell’animo umano e in questo stesso momento alimenta nel mondo decine di conflitti armati.

Dobbiamo disarmare con urgenza l’idea che ha portato Andrés a combattere, smobilitare la cultura militarizzata che adottiamo quasi inconsapevolmente nei nostri comportamenti e atteggiamenti. La violenza è penetrata attraverso le ferite dell’animo umano ed è ora di curarla attraverso il perdono

e la riconciliazione, sia a livello personale che politico.

Nel suo lavoro con le persone colpite dalla violenza, il JRS ha adottato come specifica missione la riconciliazione: “Ricreare relazioni giuste con gli altri, con noi stessi, con la natura e la creazione che soffrono la violenza del nostro materialismo, e con Dio, fonte dell’amore che tutto rigenera”. Dal momento in cui una vittima di violenze bussa alla nostra porta, la riconciliazione diventa un aspetto strategico e trasversale di tutto ciò che facciamo.

RICONCILIAZIONE COLOMbIAIn America Latina, specialmente in Colombia, il JRS ha passato tre anni ad apprendere come realizzare questa missione. Adesso stiamo applicando la nostra esperienza e la nostra capacità di analisi alla situazione nazionale attraverso il progetto Riconciliazione Colombia. Questa iniziativa è promossa dall’ONU in collaborazione con più di 30 partner e tre protagonisti centrali: l’impresa privata, i governi locali e regionali e le organizzazioni

Chiedo perdono a mio figlioMiguel Humberto Grijalba SJ, coordinatore per la riconciliazione del JRS Colombia, ed Elías López Pérez SJ, consulente del JRS sulla riconciliazione

DIFENDERE

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(pagina a fronte) Un atelier di musica per bambini del JRS a Puerto Pina, a Panama. Le attività culturali e pedagogiche sono fondamentali per prevenire la discriminazione contro i bambini rifugiati e per promuovere la riconciliazione.

(destra) Madre e figlia colombiane a Las Esmeraldas, in Ecuador. (Christian Fuchs/JRS)

COLOMBIA

della società civile. È un’alleanza che promuove il dialogo come “un lento processo di ricostruzione della fiducia fra persone, comunità, settori della società e autorità, che riuscirà a ristabilire il tessuto della società e costruire un futuro attraverso l’accettazione del passato e il recupero emotivo e psicologico delle vittime e degli autori delle violenze”.

Il JRS organizza seminari sulla riconciliazione per le sue équipe e per le comunità che serve. Il nostro valore aggiunto è saper lavorare sulla guarigione utilizzando la spiritualità o le “sorgenti di vita” che ogni persona o gruppo possiede. Durante i seminari sulla giustizia transizionale, questo livello di guarigione profondo e personale è messo in relazione con i livelli comunitario, sociale e politico della riconciliazione.

VOLTARE PAGINALa giustizia transizionale mira a voltare pagina, lasciando alle spalle le violazioni dei diritti umani del passato per camminare verso una società pacificata. È fatta dalla ricerca della verità e della giustizia,

dalla riparazione dei torti e dalla riconciliazione fra le parti in conflitto. Non stiamo proponendo l’impunità. Piuttosto, cerchiamo di trasformare le lezioni apprese dalle nostre équipe e dalle comunità di sfollati in azioni concrete incorporate in ogni progetto locale.

Il primo passo verso la riconciliazione è l’ascolto della saggezza che nasce dal dolore delle persone: “La riconciliazione presuppone il lasciarsi alle spalle la vendetta e i pregiudizi, ritrovare il cammino perduto, mettere da parte il rancore e aprire il cuore a nuove possibilità”. Carmen è una delle molte persone che sono riuscite a farlo. Eravamo seduti esattamente dove avevano ucciso suo figlio, nella veranda della sua casa. La nuora non aveva retto al dolore della perdita ed era andata via, lasciandole la nipote.

“NONNA, NON PIANGERE”Carmen ha dovuto occuparsi di sua nipote nonostante fosse colpita da una depressione che la inchiodava a letto. Lasciava raramente l’oscurità della sua camera, uscendo solo di notte per

andare al cimitero, dove piangeva inginocchiata sulla tomba di suo figlio fino all’alba. Poi tornava a letto. Ma sua nipote è entrata nella sua camera e le ha detto: “Nonna, non piangere. Mio papa è vivo in paradiso.” Questo fatto l’ha cambiata. Doveva lottare per la vita di sua nipote così come la bambina stava lottando per la sua. Ha cominciato a riprendersi e, poco a poco, a recuperare la propria vita.

Carmen ha fondato un’associazione, Mothers for Life (Madri per la vita), insieme alle vedove e alle madri di uomini che sono stati uccisi. Si aiutano l’un l’altra a superare il proprio dolore e a cercare la riconciliazione. Carmen ci ha raccontato la sua storia pochi giorni prima del quarto anniversario della morte di suo figlio, dicendoci: “I giorni vicini all’anniversario sono ancora difficili per me, così mi reco più spesso alla casa del sacerdote perché allevia il mio dolore. Anche tutta la sua famiglia è stata uccisa.”

Abbiamo imparato che la riconciliazione non è semplice. È un processo che dura decine di anni e coinvolge più generazioni.

DIFENDERE

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Un’attività del JRS per i bambini in Colombia.

COLOMBIA

E sono i bambini come la nipote di Carmen, le nuove generazioni, che spingono all’azione. Alcuni affermano: “La riconciliazione è una speranza, una nuova opportunità per noi e per i nostri figli. È la speranza che possano godere di ciò che noi non abbiamo potuto avere.”

RICONCILIAZIONE PREVENTIVANoi chiamiamo l’impulso che viene dalle nuove generazioni “riconciliazione preventiva”. I figli delle vittime e degli autori di violenze possono giocare insieme e diventare amici oggi, così che domani possano costruire famiglie e comunità riconciliate. Possono fare miracoli rompendo il circolo vizioso della violenza.

Abbiamo chiesto a una madre, il cui marito è stato assassinato, se sarebbe stata disposta a fare un passo verso la riconciliazione nel caso avessero aiutato i suoi figli ad avere un futuro migliore. Sebbene fosse chiaramente riluttante a considerare la riconciliazione, ha risposto rapidamente: “Una madre farebbe qualsiasi cosa per i suoi figli”.

Riconciliazione Colombia invita i genitori a prendere in considerazione i propri figli e i figli degli altri e a chiedersi: chi prenderà l’iniziativa? Chi oserà chiedere perdono? Questo è il tipo di riconciliazione che Gesù promuove. Sulla croce, egli chiede al Padre di perdonare i suoi aguzzini. Papa Francesco afferma che Gesù agì come un agnello e aggiunge: “Che cosa significa oggi, per noi, essere discepoli di Gesù, l’Agnello di Dio? Significa sostituire la cattiveria con l’innocenza, il potere con l’amore...”. Ciò che fa Gesù può sembrare paradossale: essere come un agnello per combattere un leone. Non

possiamo combattere la violenza nella società se non incarniamo la pace, se non cerchiamo di essere il cambiamento che vogliamo portare.

“Non stiamo proponendo l’impunità. Piuttosto, cerchiamo di trasformare le lezioni apprese dalle nostre équipe e dalle comunità

di sfollati in azioni concrete incorporate in ogni progetto locale.”

SUL WEb

Per maggiori informazioni sul progetto

Riconciliazione Colombia, visitate la pagina

www.reconciliacioncolombia.com

DIFENDERE

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Anche voi potete agire per rompere il circolo vizioso della violenza che alimenta i conflitti armati, facendo una donazione a favore dei progetti per la riconciliazione del JRS America Latina e aiutando così donne, uomini e bambini vittime della violenza a guarire e a seminare un futuro di pace. Non è per niente semplice, ma persone come Carmen e sua nipote ci mostrano che la riconciliazione sia possibile, e meritano il nostro supporto.

Visitate il sito jrs.net per le ultime notizie e la pagina jrs.net/donate per effettuare una donazione online. In alcuni Paesi è possibile dedurre dalle tasse le donazioni effettuate attraverso le nostre organizzazioni partner. Maggiori informazioni sono disponibili sul nostro sito.

CARI AMICI,

Grazie

Anche tu puoi aiutare a rompere il circolo della violenza

DONNE

LEADER DELLE COMUNITÀ

bAMbINI

Conoscere la riconciliazione aiuta le donne colombiane in Venezuela a riprendersi dal trauma della fuga e a integrarsi nelle comunità che le accolgono. 10 euro coprono i costi del materiale pedagogico per fornire a una di loro un mese di formazione.

I rifugiati devono poter avere voce all’interno delle comunità in cui vivono, così da prevenire la discriminazione e godere dei propri diritti. Con 50 euro un leader di comunità può partecipare a un seminario sulla costruzione della comunità in Ecuador.

A Panama, le attività culturali e pedagogiche sono fondamentali per prevenire la discriminazione contro i bambini rifugiati. Con 25 euro un bambino può partecipare ad attività artistiche per un mese.

INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS PER bONIFICI bANCARI

Allego una donazione di:

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LATIN AMERICA DIFENDERE

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EUROPA

Qualcosa nel sistema di asilo dell’UE è andato storto, se una persona preferirebbe stare in un Paese martoriato dalla guerra piuttosto che in Europa.

“Mi sentivo più al sicuro in Afghanistan che in Italia”, ha affermato durante un’intervista a Parigi un giovane afgano di 26 anni. “Vorrei che la Francia mi aiutasse a ricostruire la mia vita. In Francia mi sento al sicuro. Se mi trasferissero in Italia, piuttosto ritornerei in Afghanistan. Laggiù non avevo fame, non ero povero. Sono venuto in Francia solo per essere al sicuro.”

La sua storia non è un’eccezione. Fa parte delle 257 interviste effettuate dal JRS e dai suoi partner in nove paesi dell’UE e contenute nel nostro nuovo rapporto, Protection Interrupted (Protezione interrotta). Il rapporto documenta le enormi

difficoltà affrontate dalle persone che arrivano in Europa con la speranza di ricevere protezione e che invece trovano un rigido sistema privo di qualunque dimensione umana.

IL REGOLAMENTO DUbLINO IIIl rapporto è focalizzato sull’analisi del regolamento Dublino II, la legge al centro del sistema di asilo dell’UE. Adottato nel 2003, esso determina quale stato membro dell’UE abbia la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo.

Il Paese che ha questa responsabilità è spesso quello in cui il richiedente asilo è arrivato all’inizio. In genere l’ingresso nell’UE avviene attraverso i confini meridionali e orientali, in nazioni come Malta, l’Italia o la Grecia. Seguendo il regolamento Dublino II, le persone sono quindi

trasferite dalle altre nazioni europee verso questi Paesi.

A livello teorico, non c’è niente di sbagliato nel “sistema Dublino”, come viene in genere chiamato dai politici e dalle ONG. È semplicemente un metodo per garantire ai richiedenti asilo che una data nazione si occuperà di esaminare la loro richiesta e per assicurarsi che i richiedenti asilo non sfruttino la possibilità di spostarsi liberamente all’interno dell’UE per presentare la loro richiesta in più Paesi. Oltretutto, il sistema Dublino è basato sulle regole comuni dell’UE sull’asilo, il che vuol dire che tutti i Paesi aderiscono allo stesso standard.

LACUNE NELLA PROTEZIONEIl problema è che non tutte le nazioni dell’UE, in particolar modo quelle alle frontiere, hanno in realtà gli stessi standard di

Protezione interrottaPhilip Amaral, responsabile per l’advocacy e la comunicazione del JRS Europa

A Malta, alcuni richiedenti asilo e rifugiati sono costretti a vivere nei container forniti dal

governo perché non hanno altre alternative. (Mohammed Kemal)

DIFENDERE

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EUROPA

protezione. In Italia, per esempio, i richiedenti asilo hanno diritto a un posto dove alloggiare ma nella pratica non ci sono posti disponibili e le persone sono lasciate senza dimora.

“L’Italia è il solo paese in cui ho dovuto dormire per strada perché non sono riuscito a trovare una qualche sistemazione”, ha affermato un giovane nigeriano di 27 anni che è stato rimandato in Italia dopo aver provato a presentare richieste di asilo in Svizzera, in Germania e in Lussemburgo. “Nelle altre nazioni dell’UE ho sempre trovato un posto dove dormire.”

Ma anche in quelle nazioni dell’UE in cui è possibile avere un posto dove stare, non si trova conforto. È il caso dei richiedenti asilo rimandati a Malta che, talvolta, sono costretti a vivere in angusti container metallici.

“In estate diventano roventi”, ha detto una donna somala al nostro ricercatore. “E sono infestati dagli scarafaggi e dai ratti.” Si sentiva particolarmente vulnerabile perché le toilette degli uomini e delle donne erano nella stessa area. “Ho paura di andarci da sola.”

Perfino in Francia, un Paese che storicamente ha offerto sicurezza a molti, la possibilità di alloggio non è accessibile a coloro che cadono sotto il regolamento Dublino II così come per altri richiedenti asilo. Senza una stanza per la notte, le persone sono costrette a dormire nelle stazioni e nei parchi.

L’accesso a una sistemazione dignitosa è un diritto fondamentale che ha un forte impatto su molti altri aspetti della vita di un richiedente asilo. A parte l’essere al sicuro, avere un indirizzo fisso garantisce di poter ricevere via posta i documenti

importanti, o che un avvocato o una ONG possano effettuare una visita per fornire sostegno legale e sociale.

LA DETENZIONE PEGGIORA TUTTOMolte nazioni dell’UE, come il Belgio e la Germania, mettono in detenzione i richiedenti asilo che ricadono nel sistema Dublino. Sebbene in questo modo abbiano un posto dove stare, la nostra ricerca rivela come i richiedenti asilo in detenzione abbiano uno svantaggio significativo: hanno minori probabilità di essere informati sul loro caso o di presentare appello contro una decisione negativa e, poiché sono chiusi in un centro di detenzione, hanno difficoltà a incontrarsi con un avvocato.

L’impatto della detenzione sulle persone inserite nel sistema Dublino tende a essere persino più negativo di quanto lo sia per gli altri, come chi è in attesa di espulsione. Costoro presentano

alti tassi di depressione e ansia, sintomi che sono strettamente legati alla profonda incertezza della loro situazione e all’impossibilità data dal regolamento Dublino II di accedere alla protezione.

“Sono stanco di stare in un centro di detenzione”, ha affermato un giovane nigeriano di 35 anni intervistato in Polonia. “Non posso decidere liberamente cosa fare o cosa mangiare; non posso lavorare; non posso continuare a cercare mio fratello.”

Peggio ancora, come conseguenza del regolamento Dublino II molte persone sono sballottate per l’Europa senza nemmeno avere la possibilità di presentare una richiesta di asilo. Questo perché la nazione dell’UE che effettua il trasferimento del richiedente asilo non esamina la sua richiesta. In generale, le persone intervistate avevano subito da tre a quattro trasferimenti verso paesi dell’UE, cioè erano passati parecchi mesi

Per i richiedenti asilo che cadono sotto il regolamento Dublino, la detenzione si è dimostrata ancora più dura di quanto non sia per altri detenuti. (Darrin Zammit Lupi)

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EUROPA

prima che una qualche nazione si assumesse la responsabilità di esaminare la loro richiesta di asilo.

Questo ha conseguenze. Prendiamo ad esempio Ahmad, un ragazzo afgano di 23 anni che è arrivato nell’UE nel 2009 attraverso la Grecia e poi, attraverso la Macedonia e la Serbia, ha raggiunto l’Ungheria. Ha provato molte volte a viaggiare verso la Germania, l’Austria e la Svizzera, ma ogni volta è stato riportato in Ungheria. Ha passato gran parte del suo tempo in Europa in detenzione. Durante una delle sue ultime volte in Svizzera, Ahmad ha provato a impiccarsi; fortunatamente è stato salvato all’ultimo momento dalle guardie del centro di detenzione.

CI SARÀ PROTEZIONE IN FUTURO?

Per anni, l’aspirazione della UE di sviluppare un sistema di asilo uniforme è fallita a causa della riluttanza degli stati membri a modificare seriamente i loro

sistemi nazionali. L’impossibilità di vedere realizzata questa aspirazione è la ragione per cui così tante lacune persistono: affinché un sistema di asilo della UE sia sostenibile, lo stesso livello di protezione deve essere garantito realmente in tutte le nazioni.

Tutto ciò potrebbe però cambiare. Nel giugno 2013, la UE ha adottato un insieme di normative che costituiscono il nuovo Sistema europeo comune di asilo, che include un aggiornamento del regolamento Dublino II. Sulla carta, le nuove leggi contengono linee guida più rigide a cui gli stati membri devono aderire, il che dovrebbe significare una migliore protezione per i richiedenti asilo.

Per coloro che sono imprigionati nel sistema Dublino, questi cambiamenti potrebbero avere un impatto positivo. Gli stati membri dovranno assicurar loro la possibilità di contattare un avvocato e dovranno fornire maggiori informazioni riguardo

le procedure del regolamento. Le persone potranno fare ricorso più facilmente contro una decisione di trasferimento verso un’altra nazione dell’UE. Inoltre, il nuovo regolamento Dublino proibisce ai governi di detenere i richiedenti asilo semplicemente in quanto soggetti alle sue procedure.

Nonostante questi cambiamenti, il fattore fondamentale che impedisce a così tanti richiedenti asilo di ottenere protezione, ovvero la possibilità per gli stati membri di trasferire le persone verso il Paese attraverso il quale sono entrate nell’UE, resta al centro del regolamento Dublino. Fintanto che esiste questa possibilità, i richiedenti asilo continueranno a vedere interrotta la loro ricerca di protezione in Europa.

Migranti soccorsi dalle forze armate maltesi nel luglio 2013. Dopo un viaggio estremamente rischioso attraverso il Mediterraneo, i richiedenti asilo raggiungono l’Europa per scoprire che i loro problemi non sono per niente finiti. (Darrin Zammit Lupi)

DIFENDERE

RIFLESSIONE

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Abbracciare Gesù crocifissoKenneth Gavin SJ, vicedirettore internazionale del JRS

Tutto è cominciato con un biglietto di auguri natalizi inviato all’Ufficio Internazionale da una buona amica del JRS due anni fa. Sul biglietto non c’erano la stalla, la mangiatoia o Maria con il bambino, solo l’immagine drammatica di Gesù crocifisso abbracciato da un discepolo. In un primo momento ho pensato che fosse strano celebrare la nascita di Gesù con un’immagine di lui crocifisso. Ma quando abbiamo tolto le decorazioni natalizie, è stato l’unico biglietto che ho messo da parte. E ancora oggi ha un posto particolare nella mia stanza qui nella comunità gesuita a Roma.

Per molti versi, quel biglietto mi ricorda il significato reale del Natale e del nostro lavoro come JRS. Il fondatore dei gesuiti, sant’Ignazio, ci indica il significato profondo della nascita di Gesù quando ci chiede di tenere a mente

che il Signore è nato nella più grande povertà ed è morto per noi sulla croce dopo aver sofferto la fame e la sete, il caldo e il freddo, le ferite e le offese. Ignazio non edulcora o romanticizza la nascita di Gesù. Il legno della mangiatoia è un annuncio del legno della croce.

L’équipe dell’Ufficio Internazionale ha ricevuto un’altra sorpresa poco prima di Natale: un grosso pacco - troppo grande per contenere dolci o cioccolatini - è arrivato in ufficio a Roma quando gran parte della nostra équipe era già partita per le vacanze natalizie. Il pacco era imballato con attenzione e recava l’etichetta “Fragile”. Sebbene tentati di aprirlo immediatamente, abbiamo deciso di tenere la sorpresa per quando l’équipe fosse stata di nuovo al completo, a inizio gennaio. Quando infine abbiamo aperto il pacco, siamo rimasti

sorpresi dal dono che conteneva: era la scultura di Gesù crocifisso e abbracciato dal discepolo da cui era stato disegnato il biglietto.

Abbiamo così visto che, più che un semplice abbraccio di amore, la scultura ritraeva il discepolo che faceva scendere il corpo di Gesù dalla croce. In un breve messaggio allegato alla scultura, la nostra cara amica ci diceva che aveva pensato di inviarci questa scultura molte volte, perché pensava che esprimesse la realtà delle équipe del JRS che accompagnano i rifugiati e gli sfollati, aiutando con amore i “crocifissi” del nostro mondo.

Questo regalo, ora appeso all’entrata del nostro ufficio, accoglie la nostra équipe e i visitatori, ricordandoci che il lavoro del JRS, come affermato nella nostra missione, è ispirato dalla compassione e dall’amore di Gesù verso i poveri e gli esclusi.

Jesuit Refugee ServiceBorgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia

TEL: +39 06 69 868 465FAX: +39 06 69 868 461

Mittente (per cortesia, rispedire al mittente anche gli invii a indirizzi non più validi)

Jesuit Refugee Service Malta,St Aloysius Sports Complex,50, Triq ix-Xorrox,Birkirkara, Malta

Servir è redatto, prodotto e stampato a Malta

LA RETE WELCOME

È POSSIBILE VEDERE I VIDEO DELLE

FAMIGLIE FRANCESI CHE OSPITANO RIFUGIATI

www.jrs.net

Ogni notte, migliaia di persone dormono per strada a Parigi. Alcune di esse sono richiedenti asilo e rifugiati. Il JRS Francia ha messo in piedi una rete di famiglie e comunità religiose per accoglierli finché non trovano una sistemazione stabile.

Come funziona? Potete conoscere la rete Welcome attraverso il punto di vista sia di chi ospita, sia dei rifugiati guardando i nuovi video del JRS. Scoprirete perché alcune famiglie francesi hanno deciso di accogliere estranei a casa loro e cosa hanno imparato da questa esperienza.

Puoi farlo anche tu? L’ospitalità si sta estendendo: il progetto è partito a Parigi nel 2009 con tre sole persone e oggi è una rete consolidata di 150 luoghi di accoglienza in 15 città della Francia. Come comunità, possiamo togliere dalla strada i rifugiati, una famiglia alla volta.

Per maggiori informazioni sulla rete Welcome, visitate:

WEb jrsfrance.org

YOUTUbE youtube.com/JesuitRefugee

FACEbOOK JesuitRefugeeService