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Janusz Malski Moderatore Generale dei SOdC AMORE PER LA VERITÀ Pasqua, tempo forte dell’anno liturgico. Tempo propizio per ri- flettere su quanto, tutta la vita pubblica di Gesù, fu improntata nel testimoniare sempre la verità, lottando a viso aperto contro ogni forma di menzogna e di finzione. “Io sono la verità” (Gv 18, 37); “sono venuto nel mondo per rendere testimo- nianza alla verità” (Gv 18, 37). Ma, spesso, il cuore degli uomini dimentica che è proprio la verità che ci assicura una speciale amicizia con Cristo Gesù. Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo di Pasqua, meditando sulla splendida verità del- la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, preghiamo anche affinché l’amore alla veridi- cità, che fa da sfondo all’ambito della giustizia, possa divenire una base sicura sulla quale an- dare avanti nel nostro apostolato, con amore e determinazione, così come ha fatto per tutta la sua vita il beato Luigi Novarese. Vorrei rassicurarvi circa gli articoli pubblicati da certi quotidiani nazionali nel mese di feb- braio che hanno coinvolto la nostra Associa- zione a proposito della Casa di via dei Brescia- ni a Roma: le notizie in essi contenute si sono dimostrate prive di ogni fondamento. Ricor- diamo che proprio a via dei Bresciani, insieme alla Comunità dei Silenziosi Operai della Cro- ce, hanno vissuto il beato Luigi Novarese (dal 1966 al 1984) e sorella Elvira Myriam Psorulla che ha instancabilmente portato avanti l’apo- stolato dei malati sino al 2009, anno della sua salita al Cielo. Il tempo di Pasqua esprime l’attributo di Dio ricco di misericordia. San Giovanni Paolo II, seguendo i messaggi di Gesù Misericordioso a santa Faustina Kowalska, ha sensibilizzato il mondo intero ad avere fiducia. Il beato Luigi Novarese, nel 1983, ha voluto coinvolgere tutto l’aposto- lato nel vivere la devozione alla Di- vina Misericordia e sono lieto che, tutt’oggi, tanti di voi pregano la co- roncina della misericordia e cercano di accogliere tutti i fratelli bisognosi. Mentre stiamo andando in stampa con questo numero della Rivista, apprendia- mo del prossimo Anno Santo straordinario, un Giubileo della Misericordia, indetto a sor- presa da papa Francesco, a 15 anni dall’Anno Santo del 2000. L’Annuncio del Santo Padre è arrivato al termine dell’intensa omelia pronun- ciata nella liturgia penitenziale celebrata nella Basilica Vaticana il 13 marzo 2015. L’Anno San- to prenderà il via l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione, con l’apertura del- la Porta Santa di San Pietro e si concluderà domenica 20 novembre 2016, nel giorno di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Vorrei ringraziarvi per tutto ciò che fate in favore delle attività associative con la pre- ghiera e gesti concreti. Vi ricordo, a tal pro- posito, che lo Stato italiano dà la possibilità di sostenere le Associazioni senza fini di lucro attraverso il 5 per mille da devolvere attraver- so la dichiarazione dei redditi. In questo modo potete aiutarci. Quanto raccolto servirà per dare una mano concreta per la missione dei Si- lenziosi Opera della Croce nell’estremo nord del Camerun, nella Fondazione Betlemme di Mouda, dove assistiamo i bambini neonati or- fani di madre, nonché ragazzi che presentano handicap fisici e mentali. Nel tempo di Pasqua sentiamo pressante l’in- vito di Gesù alla pace. Per questo dobbiamo pregare affinché la pace possa regnare nei nostri cuori e nel mondo intero. Santa e serena Pasqua a tutti. Editoriale L’ancora 4 2015 1

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Janusz MalskiModeratore Generale dei SOdC

AMOREPER LA VERITÀ

Pasqua, tempo forte dell’annoliturgico. Tempo propizio per ri-flettere su quanto, tutta la vitapubblica di Gesù, fu improntata nel testimoniare sempre la verità, lottando a viso aperto contro ogniforma di menzogna e di finzione.“Io sono la verità” (Gv 18, 37);“sono venuto nel mondo per rendere testimo-nianza alla verità” (Gv 18, 37). Ma, spesso, ilcuore degli uomini dimentica che è proprio laverità che ci assicura una speciale amicizia con Cristo Gesù.Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo diPasqua, meditando sulla splendida verità del-la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, preghiamo anche affinché l’amore alla veridi-cità, che fa da sfondo all’ambito della giustizia, possa divenire una base sicura sulla quale an-dare avanti nel nostro apostolato, con amore e determinazione, così come ha fatto per tuttala sua vita il beato Luigi Novarese.Vorrei rassicurarvi circa gli articoli pubblicatida certi quotidiani nazionali nel mese di feb-braio che hanno coinvolto la nostra Associa-zione a proposito della Casa di via dei Brescia-ni a Roma: le notizie in essi contenute si sonodimostrate prive di ogni fondamento. Ricor-diamo che proprio a via dei Bresciani, insiemealla Comunità dei Silenziosi Operai della Cro-ce, hanno vissuto il beato Luigi Novarese (dal 1966 al 1984) e sorella Elvira Myriam Psorullache ha instancabilmente portato avanti l’apo-stolato dei malati sino al 2009, anno della sua salita al Cielo.

Il tempo di Pasqua esprime l’attributo di Dioricco di misericordia. San Giovanni Paolo II, seguendo i messaggi di Gesù Misericordioso asanta Faustina Kowalska, ha sensibilizzato il mondo intero ad avere fi ducia.

Il beato Luigi Novarese, nel 1983,ha voluto coinvolgere tutto l’aposto-lato nel vivere la devozione alla Di-vina Misericordia e sono lieto che,tutt’oggi, tanti di voi pregano la co-roncina della misericordia e cercanodi accogliere tutti i fratelli bisognosi.Mentre stiamo andando in stampa

con questo numero della Rivista, apprendia-mo del prossimo Anno Santo straordinario,un Giubileo della Misericordia, indetto a sor-presa da papa Francesco, a 15 anni dall’AnnoSanto del 2000. L’Annuncio del Santo Padre èarrivato al termine dell’intensa omelia pronun-ciata nella liturgia penitenziale celebrata nellaBasilica Vaticana il 13 marzo 2015. L’Anno San-to prenderà il via l’8 dicembre 2015, solennitàdell’Immacolata Concezione, con l’apertura del-la Porta Santa di San Pietro e si concluderàdomenica 20 novembre 2016, nel giorno di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.

Vorrei ringraziarvi per tutto ciò che fate infavore delle attività associative con la pre-ghiera e gesti concreti. Vi ricordo, a tal pro-posito, che lo Stato italiano dà la possibilità di sostenere le Associazioni senza fini di lucroattraverso il 5 per mille da devolvere attraver-so la dichiarazione dei redditi. In questo modopotete aiutarci. Quanto raccolto servirà per dare una mano concreta per la missione dei Si-lenziosi Opera della Croce nell’estremo nord del Camerun, nella Fondazione Betlemme di Mouda, dove assistiamo i bambini neonati or-fani di madre, nonché ragazzi che presentano handicap fisici e mentali.

Nel tempo di Pasqua sentiamo pressante l’in-vito di Gesù alla pace. Per questo dobbiamopregare affinché la pace possa regnare neinostri cuori e nel mondo intero.Santa e serena Pasqua a tutti. ■

Editoriale

L’ancora 4 2015

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Fondatore: Mons. Luigi NovareseDirettore responsabile: Filippo Di Giacomo

Legale rappresentante: Giovan Giuseppe TorreRedazione:

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Segretario di redazione: Carmine Di PintoProgetto grafico e Art direction:

Nevio De ZoltHanno collaborato:

Alessandro Anselmo, Ilaria Barigazzi, Marisa Basello, Giovan-na Bettiol, Angelo Corvo, Felice Di Giandomenico, Leonardo

Di Taranto, Cristiana Dobner, Maurizio Faggioni, LetiziaFerraris, Remigio Fusi, Antonio Giorgini,

Janusz Malski, Walter Mazzoni, Italo Monticelli, Mario Morigi, Mauro Orsatti, Franco Pepe, Angela Petitti,

Izabela Rutkowska, Mara Strazzacappa

Disegno di copertina: Nevio De Zolt

Foto: Antonio Pastucci: pp. 4, 28; Agenzia Sir: pp. 6, 10, 11, 20, 21, 22, 29, 34, 35, 41; Erminio Cruciani: p. 47; Marisa Basello: pp. 18, 19

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Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide, 11 - 00181 Roma

Tel. 067827819 - [email protected] di stampare: Aprile 2015

Periodico associatoall’Unione StampaPeriodica Italiana

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ANCORA

L’

RIVISTAMENSILE DEL

CENTRO VOLONTARI

DELLA SOFFERENZA

Aprile 2015

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SOM

MA

RIO

“Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che,

nonostante tutto, la morte non avrà più presa

su di noi. Che le ingiustizie dei popoli

hanno i giorni contati, che le sofferenze dei poveri

sono giunte agli ultimi rantoli”.(don Tonino Bello)

BUONAPASQUA

DALLA REDAZIONE DELL’ANCORA

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editoriale 1 Amore per la verità Janusz Malski

una guida che continua 4 Un cuore apostolico Angela Petitti

6 Che significa fare Pasqua? Remigio Fusi 8 “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” Mario Morigi10 La parrocchia come generatrice di fede Angelo Corvo12 La malattia non ci rende inutili Mara Strazzacappa14 L’apostolato dell’impotenza Italo Monticelli16 Il beato Novarese e Giovanni Paolo I Antonio Giorgini18 La fede illumina, conforta, conduce... Marisa Basello20 La gioia del Vangelo nella stagione della sofferenza Leonardo Di Taranto

l’Ancora dei piccoli 23 Vi raccontiamo Luigi

lectio27 Un soffio è la mia vita Mauro Orsatti celebrazione29 Per una speranza viva Giovanna Bettiol

31 Grazie... su Grazie a cura di Felice Di Giandomenico32 Confederati significa forti Izabela Rutkowska34 Eutanasia per scoop Maurizio Faggioni36 Gli Esercizi spirituali di papa Francesco Alessandro Anselmo38 Donne umiliate Cristiana Dobner

noicvs40 Una corsa verso il Cielo Franco Pepe42 Giosy Cento per il beato Novarese44 Auguri, don Ennio! Grazie mons. Lanfranchi45 “Tutti vorrei abbracciare con amore”46 Weekend di spiritualità per famiglie e fidanzati

47 64° Pellegrinaggio a Lourdes

info

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“Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che,

nonostante tutto, la morte non avrà più presa

su di noi. Che le ingiustizie dei popoli

hanno i giorni contati, che le sofferenze dei poveri

sono giunte agli ultimi rantoli”.(don Tonino Bello)

BUONAPASQUA

DALLA REDAZIONE DELL’ANCORA

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Angela Petitti

mandato me, anche io mando voi” (Gv 20, 21).Proseguendo nella sua rifl essione, pubblicata sul L’Ancora di marzo/aprile 1970, il beato No-varese afferma che solo chi ha il cuore apostoli-co è in grado di comprendere il “disegno grande di perfezione e di felicità perenne, che conti-nua a persistere nonostante la cattiva volontà di tanti uomini, e di inserirsi in esso”.Troviamo a questo punto un’affascinante serie di defi nizioni di ciò che signifi ca questo inseri-mento: “Inserirsi in tale disegno signifi ca: – accogliere l’invito di Dio, che non ha voluto lasciarsi sopraffare dall’egoismo dell’umanità; – vuol dire scoprire il suo disegno di misericor-dia, che mira a ridarci la dignità di fi gli di Dio; accoglierlo con la festosità di chi riacquista la luce, farlo proprio e viverlo con tutte le forze.– Signifi ca guardare verso l’alto e comprendere

che la terra, sia pure con tutte le sue bellezze, non può appa-gare i nostri intimi e profondi desideri, che cercano l’Assoluto;– signifi ca entrare nella sua bellezza, nel suo ordine, nella sua carità.Soprattutto, comprendere il di-segno di Dio, signifi ca gioia di scoperta della perla più pre-ziosa che mai avremmo potuto trovare e proposito di tener-la a qualunque costo, senza compromessi e confronti. Scoprire il disegno di Dio si-gnifi ca comprendere che Dio ci ama, ci vuole felici, ci vuole protesi come Lui, nella carità”.

Lontani dal rischio di chiusura su se stessi e sulla propria insensatezza, possiamo aprirci “ad orizzonti di fraterna solidarietà impensati”, con vero cuore apostolico, con Maria “gioiosa annunciatrice del piano misericordioso di Dio”.

una guida che continua

UN CUORE APOSTOLICO

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cosa c’è nel cuore di una persona profondamente coinvolta nei proget-ti di Dio? Per monsignor Novarese

non c’è nessun dubbio: “L’anelito profondo di ogni cuore apostolico è portare la società a Dio, accogliendo il Suo invito; essere suoi testimoni e collaboratori di salvezza, ciascuno secondo la propria vocazione”.È molto intensa questa defi nizione: un cuore apostolico, per designare un cuore in cammino. Di fatti, il signifi cato del sostantivo indica la realtà di una persona che procede allontanan-dosi dal suo punto di origine per raggiungere un’altra meta, su indicazione di un altro.Così gli apostoli sono andati nel mondo, mandati da Cristo, sotto un suo preciso comandamento e seguendo il suo esempio di apostolo del Padre: “Gesù disse loro: Pace a voi! Come il Padre ha

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Quante conseguenze luminose! Si riacquista la luce, si è raggiunti dalla gioia, si comprende il vero signifi cato della felicità e il modo di realizzarla, si aspira ad una bellezza duratura. Come ci si situa lontani dal peccato, dalle brut-ture, da ogni forma di malinconia e angoscia.Procedendo, ormai slanciato, nelle sue consi-derazioni, mons. Novarese assicura che a tutti è consegnata questa scoperta: “Non è diffi cile scoprire tale disegno, altrimenti l’invito ad ogni anima rivolto da Nostro Signore Gesù Cristo sa-rebbe un invito per pochi, per un’élite e non un invito rivolto in piano universale. Lui, invece, da quel terribile venerdì santo, in cui ci ha manife-stato il suo amore continua a chiamare tutti al suo Cuore adorabile e a presentare la sua parola e la sua vita con i segni inconfondibili della real-tà di tutte le cose belle, di tutte le scoperte più sublimi ed ardite che incontriamo e constatiamo nel corso della storia dell’umanità”. Non c’è dunque preclusione per nessuno, anzi l’incondizionato offrirsi di Dio che diventa il modello e la via per la nostra risposta. Infi ne, la risposta di Maria, “creatura che in ma-niera eminente ha dimostrato di comprendere i disegni di Dio e di farli propri, inserendocisi pienamente in essi. La risposta però della Ver-gine Santa sorpassa i confi ni di una risposta strettamente personale; Ella ha altresì risposto per tutti noi, come il Cristo non è fi gura a sé stante solo, ma essenzialmente relativo a noi, perché Capo del Corpo Mistico. La Madonna pronunciando il suo “Sì” è diventata la Madre dei viventi ci ha fatto comprendere come la cre-atura debba essere sempre rivolta al cielo”.La condizione che ci fa partecipi del disegno di Dio è la “conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale” (Col 1, 9).Conoscenza non certo intellettuale e astratta ma spirituale, imparando a “saper leggere nel grande libro delle cose create”, dove agiamo non come uno “spettatore impotente di fronte alla divina volontà, ma un invitato a parteci-parvi per divenire, con Cristo, suo cooperatore per la salvezza degli altri fratelli”.

Monsignor Novarese con il card. Opilio Rossi,nunzio apostolico in Austria, durante il Congresso Internazionale degli ammalati tenutosi a Mariazell dal 2 al 7 giugno 1973.

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FOTO STORICA

Anche da parte del Papa riceviamo l’invito a continuare l’impegno apostolico con perseve-ranza, speranza e sapienza, a “saper aspettare i frutti sicuri della salvezza, confi dando nel senso profondo della vita e della storia: le prove e le diffi coltà fanno parte di un disegno più grande; il Signore, padrone della storia, conduce tutto al suo compimento. Nonostante i disordini e le sciagure che turbano il mondo, il disegno di bontà e di misericordia di Dio si compirà! E questa è la nostra speranza: andare così, in questa strada, nel disegno di Dio che si com-pirà. Questo messaggio di Gesù ci fa rifl ettere sul nostro presente e ci dà la forza di affron-tarlo con coraggio e speranza, in compagnia della Madonna, che sempre cammina con noi” (Francesco, Angelus, 17 novembre 2013). ■

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CHE SIGNIFICA FARE PASQUA?Remigio Fusi

Vogliamo insieme rifl ettere su questo grande avvenimento, punto focale della nostra vita cristiana, per prepararci a viverlo come si conviene.

Pasqua avviene nel cuore. Il punto na-turale d’incontro con

Dio è nel cuore dell’uomo. Tutto ciò che l’economia ci offre d’esteriore è mezzo, è via, è sacramento per con-durci a quella realtà sopran-naturale, che si celebra al contatto dello spirito uma-no con lo Spirito divino.L’appuntamento vero con il Signore che passa (Pasqua vuol dire passaggio) è nelcenacolo silenzioso della nostra persona. Dio non vuole un culto esteriore, senz’anima, ma vuole un

culto consumato nel cuore. Per questo ha dato all’uo-mo “un cuore nuovo”. Egli guarda dentro.La Pasqua, quindi, avviene nel cuore. Se non cambia il cuore, non c’è Pasqua; se non cresce la carità, non c’è Pasqua; se non faccia-mo gesti di riconciliazione, non c’è Pasqua; se non ac-cogliamo Cristo nella no-stra vita, non c’è Pasqua.

Che signifi ca, dunque, fare Pasqua?Fare Pasqua signifi ca con-frontare la nostra vita con

l’impegno che la qualifi ca come cristiana e attingere da Cristo stesso la Grazia per renderla tale. Occorre fare una grande pulizia come si fa per la casa in occasioni di feste solenni: perlustrare la casa interiore, il cuore, per distruggere tutto ciò che appartiene al vecchio regime del peccato; pulizia del cuore e della vita se vogliamo entrare nella Pasqua. Siamo pronti dentro di noi a que-sto appuntamento: nella chiarez-za della nostra coscienza, cioè nella sincerità, nell’apertura, nel coraggio? Siamo pronti nell’im-petuosità della nostra umiltà,

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E per noi del CVSLa Pasqua ha un invito speciale anche per noi. Vivere la Pasqua, infatti, signifi ca comprendere e vivere lo spirito della Croce, della sofferenza, perché non vi può essere Pasqua senza la sof-ferenza.La gioia del mistero pasquale dà la prima spiegazione del para-dosso cristiano tra gioia e sofferenza. La croce e la sofferenza sono solo un momento, un passaggio alla Risurrezione. S. Paolo sottolinea più volte il carattere pasquale della vita cristiana, affermando che è partecipazione reale alla vita di Cristo risorto.Il beato Luigi Novarese scrive: “Il Cristo ha sempre parlato del dolore non come un problema a sé stante, ma tutte le volte ha abbinato al pensiero della propria passione e morte, la certezza della Risurrezione”.Il fi ne dell’uomo, infatti, è l’assimilazione nella gloria con il suo Signore. Le diffi coltà, le sofferenze non hanno il potere di intaccare questo destino, legato una volta per sempre al Fratel-lo, Cristo, morto e risorto per loro. La sofferenza dell’uomo, se unita a quella di Cristo, diventa potente come è potente quella di Cristo.Ne consegue che il sofferente, sempre per l’identità della sua vocazione con Cristo dolorante sulla Croce, deve essere impe-gnato a vivere il suo momento storico-ecclesiale, rifl esso lumi-noso dell’Amore infi nito di Dio, perché a molte anime sia dato di entrare a far parte della gloria eterna, acquistata appunto dal dolore di Cristo totale: Cristo storico e cristo mistico.Ancora monsignor Novarese ci dice: “Ecco il grande compito del sofferente: aiutare Gesù a salvare le anime! Infatti, il sofferente, vivendo unito a Cristo non può non avere le stesse dimensioni del Cristo; non può non avere i sentimenti del Cristo”.

Noi “Volontari della Sofferenza” abbiamo scelto, per rendere preziosa questa no-stra collaborazione, Maria Santissima e quindi: “Ascoltare quello che la Vergine Santa ci dice è conseguenza logica del nostro essere di redenti, in cui siamo co-stituiti quali Suoi fi gli”. Ci ripete Monsignore: “Accettiamo le croci e portiamole con Cristo. Con le croci sop-portate con Cristo purifi chiamo le nostre anime”, e poi “Il modo di rendere utile il dolore non soltanto in noi ma anche per gli altri, è unico: la Grazia, ossia non essere in peccato mortale!”. ■

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vale a dire nella riconoscenza di ciò che siamo, nella esperienza ineffabile della nostra comunio-ne con Lui, vale a dire decisi ad assaporare la dolcezza della sua infi nita Misericordia? Pasqua, infatti, consiste nel l’incontro di due entità: la Mi-sericordia di Dio e la miseria dell’uomo. È un invito ad essere cristiani e ad avere un concetto soprannaturale della vita. È un tempo liturgico in cui è più che mai urgente rinnovare il nostro cuore; vale a dire sradicare dal nostro cuore gli idoli per fare spazio a Dio in un cuore nuovo, ossia: la ricerca di noi stessi; la ricerca dei primi posti; il consi-derarsi migliori degli altri, per cui ci sentiamo autorizzati a giudicare; il volere tutto per sé, che mette in evidenza il nostro egoismo; l’incomprensione, che non concede posto agli altri; i compromessi morali che fanno preferire i piaceri alle virtù, la comodità al sacrifi cio; l’indiffe-renza religiosa, che fa trascu-rare i propri doveri cristiani, il ricorso alla preghiera perché ci si sente autosuffi cienti.

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Riflettori sul V Convegno ecclesiale di Firenze (9/13 novembre 2015)

“IN GESÙ CRISTOIL NUOVO UMANESIMO”

Mario Morigi

“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: il tema apre un orizzonte di grande interesse. Unanime il consenso con entusiasmo. C’è urgenza di progettare un nuovo umanesimo. Sono tanti gli sfregi, tanti i crolli, i rigurgiti di disumanità, che devastano i cuori e che profanano di violenza i popoli.

bene che insorga e si diffonda una sommersa protesta

e una «resistenza» a difesa dell’uomo e del-la donna, splendenti di dignità, di slancio solidale e di arcane sembianze divine.Una cosa fa dispiacere, ma è da dire con franchezza. Non per accusare. Si avanza una denun-cia aperta a tutti. Si dice che le culture rese massmediatica-mente patrimonio dominante, hanno oscurato l’evidenza del «punto fermo», indiscusso, af-fascinante. Il centro unico è

stato distrutto. Sono vari e si avvicendano, effi meri, presun-tuosi, caduchi, idoli di menzo-gna, a cui con abbaglio molti accorrono. Questo, non perché il centro non c’è. Ma perché l’uomo si rifi uta di diventare quella meraviglia, in terra e in cielo, alla quale Dio mai si stanca di invitarlo.L’uomo e la donna sfi gurati, sna-

turati sono grave offesa a Lui e a se stessi. “L’uomo proviene dall’intimo di Dio”, scriveva un autore cristiano del secondo se-colo (dalla Traccia, p. 19).

L’indicibile meraviglia dell’autenti-camente umano si sprigiona quan-do si sovrappone ogni volto umano su quello di Cristo. Da Lui fi orisce il volto autentico dell’uomo e scompaiono le ferite deturpanti.

Senza un Salvatorenon c’è salvezzaLa Chiesa che vive in Italia ri-conosce questa grave necessità.

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Desidera dire a tutti, credenti e non, una parola piena di verità e di rispetto. Bisogna fare il punto. Ritrovare «il centro». Riaccende-re la luce. Cristo è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” che viene in questo mondo. Lui è la verità su l’uomo. In balìa del «nulla», assolutizzando «il relati-vo», l’uomo va a picco. E si nega il respiro alle nuove generazioni. Uno scatto! Un sussulto ideale che capovolga ipocrisie patogene e rimetta in strada l’uomo. Se no, cresce declino, corruzione, pec-cato, decadenza ad ogni livello. Il Papa lo dice a tutti: con corag-gio e umiltà riprendere in mano il Vangelo. Alla paura di Cristo, su-bentri la sorpresa felice di aprirgli la vita. Allora molti ammetteran-no che erano stati ripetutamente anticipati da Cristo, con molti suoi tentativi, mandati a vuoto. La Traccia (p. 21) che guida la ri-fl essione verso il Convegno chia-risce: “L’annuncio evangelico è lievito di un umanesimo rinnova-to in Cristo Gesù”. Messaggio che viene a risvegliare e a fecondare la vita.

Stampelle e sedie a rotelleL’uomo vive pienamente se si lascia confi gurare al Cristo pa-squale. Respinge il male e respi-ra a fondo la vita divina. È l’u-manità «umanizzata», salvata perché «divinizzata». Così si ri-trova e si onora l’umanità dei di-sabili: situazione che ci costrin-ge a rifl ettere. L’umanità di chi è affetto da demenza, che ci fa ricuperare la categoria di dono.

L’umanità delle persone anziane ci sollecita ad affrettare i ritmi esistenziali. Anche un’umanità travolta da gravi abbagli di pro-spettiva manda messaggi. Si di-strae, ma forse aspetta qualcu-no. Stampelle, sedie a rotelle, letto sanitario: c’è un’umanità bisognosa di amore e di aiuto. Tutti hanno diritto a Cristo, che rianimi ogni vita umana. Quan-do spunta e cresce la luce della fede cadono le squame dal cuo-re. Si ravviva la fi ammella della speranza. Non di rado i nostri silenzi dinanzi ad una persona vinta dalla sofferenza diventa-no preghiera e gli occhi si ba-gnano dalla commozione.

“In Gesù Cristoil nuovo umanesimo”Cristo splende sul volto dei santi e delle sante. In loro spicca un umanesimo vero, sempre nuovo, vissuto nel quo-tidiano. L’umanità che rifulge nei santi ci affascina. Desta nostalgia. Ci mostra al vivo Cristo che, di epoca in epoca, rigenera un umanesimo bello. Ora siamo noi, sani e malati, tesi alla fi oritura di umanesimo bello, da proporre a tutti. C’è da lasciarci rifare il cuore, i cri-teri per le scelte di fondo e un amore che ha le vibrazioni del suo. Spunterà il mattino di un nuovo umanesimo, una nuova umanità stampata su Cristo. È un grande dono per tutti. È un impegno a trasmetterlo con gratuità e fedeltà alla società e alla comunità cristiana. ■

Il logo del ConvegnoUn’immagine che evoca movimen-to, slancio, apertura, al centro della quale spicca una croce che è pun-to di arrivo e insieme origine di un dinamismo di trasparente lettura: il segno cristiano non chiude o esau-risce, ma spinge e provoca, anche con la sua evidente incompiutezza, quasi rimandando a un lavoro an-cora tutto da compiere, rimandan-do al mondo fuori da quello spazio.Nell’idea con la quale Zeno Pac-ciani, Francesco Minari e Andrea Tasso hanno tradotto grafi camente il tema dell’assemblea in program-ma a novembre, c’è un’intuizione che ha colpito il «popolo del Web», chiamato a contribuire in modo decisivo alla scelta, prima ancora degli organizzatori dell’appunta-mento ecclesiale. Il logo, nel quale è leggibile la citazione della cupo-la del Brunelleschi simbolo della grandezza cristiana e umanistica di Firenze, è infatti uno degli oltre 200 pervenuti nelle otto settimane del bando di concorso, fi rmati da studenti e pensionati, professioni-sti e istituti d’arte di tutta Italia.

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LA PARROCCHIA COMEGENERATRICE DI FEDE

La parrocchia è una comunità di fede, di preghiera e di amore illuminata e sorretta dalla Parola di Dio. Questo è il punto di partenza, di convergenza e di arrivo di tutte le nostre esperienze.

Tratto dalla conferenza tenuta da don Angelo Corvo in occasione del Convegno Sacerdotale della Lega Sacerdotale Mariana svolto-si a Roma lo scorso gennaio.

apa Francesco sottolinea l’importanza che ha la par-rocchia anche per le asso-

ciazioni e i movimenti che de-vono averla sempre come punto

di riferimento. Perché se c’è un luogo in cui si è sicuri di in-contrare Dio, è proprio lì, dove la Parola del Padre è presente. È vero che Dio è ovunque, in cielo, in terra e in ogni luogo. È vero che si manifesta in mille modi e attraverso mille segni, ma mentre gli altri segni han-no bisogno del discernimento per essere certi che lì ci sia Dio, in parrocchia andiamo sul

sicuro perché c’è la Sua Parola e perché ci sono i sacramenti. Non c’è quindi bisogno di una mediazione umana che possa condizionare la certezza della presenza di Dio.La parrocchia dunque come comunità di fede ma, proprio perché c’è Dio, deve essere anche comunità di preghiera. Qualunque nostra azione pa-storale deve partire e portare

P

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Parole con addosso «l’odore del gregge» (papa Francesco). Queste pagine sono umilissime fotografi e. E dentro ogni fotografi a, l’amabilità di una Sua parola. Pagine che pungono e rasserenano, che spingono e consolano, che accendono e divampano, che allargano e ridimensionano.

Edizioni Centro Volontari della Sofferenza00165 Roma - Via di Monte del Gallo 105

pp. 166 - € 12,00 ISBN 978-88-8407-205-4

Pa(pumfo

L’ODORE DEL GREGGESquarci di misericordiasul far della seraMarco Pozza

Roma, 8 marzo: visita pastorale

di papa Francesco alla parrocchia di Santa Maria

Madre del Redentore a Tor Bella

Monaca

necessariamente all’Eucaristia domenicale. Tante volte spie-go ai ragazzi del catechismo, e soprattutto ai genitori, che è meglio perdere mille lezioni di catechismo piuttosto che per-dere la Messa.Perciò è importante in una parrocchia curare la Celebrazione Euca-ristica e fi nalizzarla al tipo di uditorio che si ha davanti.Se tutto parte dall’Euca-ristia, la simpatia verso la nostra vita pastorale cambia di prospettiva.Che cos’è la parrocchia? Comu-nità di fede, comunità di pre-ghiera, comunità d’amore. Cioè una comunione vissuta nel ser-vizio, nell’aiuto e nella testi-monianza. Tutti noi sappiamo bene quanto sia complicata la dimensione del servizio. A vol-te, infatti, camuffi amo il no-stro comando con un servizio e addirittura lo imponiamo agli altri. Dobbiamo stare atten-ti però che dietro al servizio ri-schia di nascondersi una forma di ricerca di compensazione.

Espressione di vicinanzaLa parrocchia deve essere una comunità, espressione di una vicinanza. Già il suo nome lo dice: parrocchia viene da pa-roikìa – vicino a chi è lontano – un luogo attaccato alle case degli uomini. Questo ci por-ta per esempio a sottolineare (quello che anche il Papa fa) la situazione peregrinante della

Chiesa. Questo famoso “usci-te, andate, uscite” – lo dice spesso papa Francesco – anda-re verso le periferie, è ciò che teologicamente e ontologica-mente defi nisce la parrocchia. Io amo sempre ricordare che quando Gesù parla del gregge e del pastore, è vero che dice che il pastore è colui che guida il gregge, lo conduce nell’ovi-

le, lo fa stare al sicuro, ma la mattina dopo, il pastore apre l’ovile e porta fuori il gregge. Non si rimane chiusi nell’ovile. Perché? Perché questa staticità della comunità porta a consu-mare se stessi. Teologicamente la parrocchia è una comunità che deve cam-minare in continuazione, deve essere in continuazione pelle-grina. Pellegrina verso dove? Verso le case degli uomini, lì dove la gente vive.Dice la Christifi deles laici che la parrocchia è l’ultima localizza-zione della Chiesa. La diocesi è in mezzo alle case.

Chiesa Questo famoso “usci-

le, mal’ovNoPercdema

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LA MALATTIANON CI RENDE INUTILI

Mara Strazzacappa

La persona sofferente, come la persona sana, ha l’impegno di vivere ricercando sempre la Grazia di Dio. La possibilità di fare qualcosa, qualunque cosa, diventa imperativo ad agire con responsa-bilità cristiana.

affermazione importante da cui partiamo è stata scritta dal beato Luigi No-

varese nel 1952: “Non è suffi -ciente essere ammalati per es-sere strumenti adatti in mano alla Madonna”. In un’epoca in cui gli ammalati venivano tenuti in poca consi-derazione, quasi nascosti in casa anche per la convinzione che una persona in balia della malattia, della disabilità non portava fare nulla e, quindi, tantomeno, peccare. Una vi-sione in cui la persona viene completamente annullata dalla disabilità che diventa l’unica cifra distintiva e caratterizzan-te, l’essere umano con le sue capacità, i suoi pregi, i suoi difetti scompare e la cultura del “poverino” e della “carezzi-na al malato” lo trasformano in una bambola senza sentimenti e possibilità. Per i benpensan-ti, l’ammalato diventa quasi una creatura eterea, evane-scente, soprannaturale, natu-ralmente affi dato alle mani di Dio e quindi molto al di fuori dei problemi, dei complessi, in fondo della vita stessa.

Il beato Luigi Novarese non vede affatto nelle persone ma-late degli esseri angelicati, anzi, tutt’altro: vede persone vere che necessitano di com-prendere la loro vocazione e la loro missione, che sono chia-mate a vivere in pienezza il tempo, il luogo e la condizione che è data loro senza piagnistei e commise-razioni sterili. Quindi non è suffi ciente es-sere malati per sentir-si a posto come se la condizione di malattia esentasse dall’impe-gno, dalla responsa-bilità, dal la ricerca e dall’azione. La persona sofferen-te, come la persona sana, ha l’impegno di vivere in Grazia di Dio, ricercando la sua vo-lontà e la sua luce per arrivare a vivere l’integrità della fede. Sempre nel 1952 il beato No-varese aggiungeva: “È asso-lutamente necessario essere in Grazia di Dio, ossia avere il cuore distaccato da ogni affet-to peccaminoso, sia per quanto riguarda i costumi, sia per quel-

lo che riguarda l’osservanza dei precetti della Chiesa, sia ancora per quanto si riferisce all’inte-grità della fede”. Cosa si deve fare, quindi per es-sere persone vere, reali, con se stessi e con gli altri? Il cammi-no da fare non è semplice. Non è così per il sano, non è così

L’

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per il malato. È un cammino ca-pace di portarci in fondo a noi stessi, che ci mette di fronte le diffi coltà, i limiti, ma che ci conduce non a fermarci impre-cando su quanto ci manca, ma a scoprire la meravigliosa via dell’amore che Dio ci schiude davanti. Il beato Luigi insiste nel consigliare di vivere lungo questa strada insieme a Ma-ria, la Vergine Immacolata che tanto amore ci dona, sia come presenza, accompagnamento, tenerezza sia come esempio di fortezza, decisione, prontezza.“Ci sono tanti sofferenti che im-precano alla propria sorte, che chiudono il proprio cuore ad una vita di corredenzione col Cristo e con la Vergine Imma-colata, questi sono tralci sepa-rati dalla vite, questi sofferenti sono inutili a sé e alla società.

Non è la malattia che ci rende inutili. È la nostra volontaria inopero-sità nella malattia stessa che ci rende tali. L’ammalato acquista ed au-menta la propria produttività soprannaturale, vivendo la vita della Grazia ed aumentandola con le opere buone. La Grazia aumenta con le ope-re buone. Impariamo a vivere quando smettiamo di vivac-chiare facendoci condurre dalla corrente ed iniziamo ad im-pegnarci, impariamo ad ama-re quando, concretamente, operiamo gesti di amore per i fratelli, in un crescendo di consapevolezza, di gioia e ca-pacità di donazione che rende la persona libera dagli impe-dimenti della malattia. Non è più la malattia che nasconde la persona, ma la persona, capace di amare e di impegnarsi, che oscura la malattia e la rende secondaria.Così la persona diventa capa-ce di attività, di azione ed è sempre il beato Novarese che descrive questo passaggio dal sentirsi inutile al divenire per-

sona attiva e responsabile, so-prattutto con l’impegno all’in-terno del Centro Volontari della Sofferenza: “Se per l’ammalato l’isolamento e la inazione sono più pesanti della stessa malat-tia, l’ingresso tra i Volontari della Sofferenza deve segnare l’inizio consapevole di una vita di vera attività”.E nel 1959 aggiungeva: “Il do-lore, la malattia, purtroppo, ten-dono, ed anche troppo, a farci ripiegare su noi stessi, senza più curarci di quanto ci circonda. Ma questo è un solenne errore! Uno sbaglio fenomenale!È ciò una conseguenza della scarsa considerazione con cui teniamo il tesoro che abbiamo in mano: la sofferenza vissuta in Grazia di Dio. Se noi conside-rassimo il dolore come «vera realtà» di cui possiamo di-sporre a nostro piacere, per gli interessi della Chiesa e della società, non ci sentiremmo dei falliti o degli esseri inutili.Dobbiamo essere pervasi da questo carattere di necessaria attività, come i sani lo sono per i loro affari.Smettiamo di considerarci come degli esseri che devono vivere alla mercé degli altri: noi pos-siamo fare qualcosa, quindi dobbiamo agire”.La possibilità di fare qualcosa, qualunque cosa, diventa impe-rativo ad agire. La persona non resta ripiegata su se stessa, ma scopre, con responsabilità, la propria libertà di persona e di cristiano. ■

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La testimonianza di un vescovo

L’APOSTOLATODELL’IMPOTENZA

Italo Monticelli

Don Tonino Bello ci ha fatto capire più con il suo esempio che con le parole che il mondo d’oggi non ha tanto bisogno di maestri saccenti, ma di umili e semplici testimoni.

Tonino Bello, vesco-vo di Molfetta dal 1982 al 1993, è sta-

to un vero testimone di Cristo nel tempo. Egli ha indicato con la parola, con lo scritto e la testimonianza un sentiero di autentico rinnovamento della vita cristiana in ogni campo: nella pastorale, nell’apostolato, nell’impegno per la pace e per la giustizia. Anche nella sofferenza è stato un vero esempio di fe-deltà alla volontà di Dio.Colpito dal cancro, non solo non ha abbandonato le sue attività, ma ha intensifi cato la sua dedizione ver-so gli altri, specie verso i poveri.

In un’intervista apparsa sull’Av-venire, il giornalista gli pone varie domande. Ne ricordo due.“Spesso per i malati – dice il giornalista – è molto diffi cile accettare la loro condizione”.Così risponde don Tonino: “Le cose che dico e predico, le ho imparate proprio dai sofferenti, ricevendo sempre un grandissi-mo conforto. A chi ricalcitra di fronte al dolore vorrei suggerire: affi dati al Signore, digli ‘fai di me quello che vuoi’ e troverai la pace. Alternative non ce ne sono: eccetto la disperazione”.Il giornalista gli pone un interro-gativo: “Come è possibile accet-

tare cristianamente il dolore?”.Don Tonino risponde portando la sua personale testimonianza: “Sono momentaneamente in esi-lio nel mio paese natale per cu-rarmi un po’. Ma il ricordo della mia Chiesa mi accompagna sem-pre. Ripenso alle riunioni, alle iniziative, alle persone. Seguo tutto mentalmente e offro al Si-gnore la mia sofferenza, perché so che gioverà senz’altro a tutta la diocesi. Non c’è solo l’aposto-lato della prassi (del fare), ma anche quello dell’impotenza, dell’onnidebolezza di Dio, come diceva Bonhoeffer: Gesù ha pro-curato più grazie agli uomini con le mani inchiodate sul legno, ri-spetto a quando le stendeva libe-re sul mare in tempesta”.Si potrebbe dire: con le mani distese sul mare in tempesta ha

Don

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salvato la barca su cui si trova-vano alcuni uomini, ma con le mani inchiodate sulla croce ha salvato la barca dell’umanità.In una lettera scritta agli am-malati nella Giornata Mondiale dei Malati, dice alcune parole piene di fede e di conforto. Ri-chiamo alcune espressioni.“Celebriamo la Giornata del-l’Ammalato per vivere non un momento di mestizia, non un momento di tristezza sia pur sublimata, non una liturgia con-solatoria. No! Non siamo qui a lamentarci. Non stiamo facendo la mostra delle nostre disavven-ture di salute.Siamo venuti per esprimere una grande solidarietà. Prima di tut-to con Gesù Cristo, il Risorto, l’A-mante della vita. Egli è il capo del nostro sindacato. Sì, è il capo del sindacato degli amma-lati, dei sofferenti...”.E poi con molta chiarezza: “Se noi dovessimo lasciare la croce, su cui siamo confi tti (non scon-fi tti), il mondo si scompensereb-be. È come se venisse a mancare l’ossigeno nell’aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte.La sofferenza tiene spiritual-mente in piedi il mondo. Gesù è il nostro capo. Bellissimo sentir-celo al centro. Lui confi tto su un versante della croce e noi con-fi tti sull’altro versante della cro-ce, sul retro. Quando abbiamo bisogno di Lui, non è necessario urlare: basta chiamarlo, perché sta appena dietro di noi”.Ancora don Tonino dice: “Non dobbiamo vergognarci della ma-lattia. Non è qualcosa da tener nascosta. Non è un tabù. È quel-

la parte della nostra carta di identità che ci fa assomigliare di più a Gesù Cristo.Dobbiamo lottare contro la malat-tia. Mai rassegnarsi come non si è mai rassegnato Gesù. Gesù, Maria, non sono mai state delle persone rassegnate. Hanno sempre com-battuto fi no all’ultimo. E anche per noi ci deve essere lo stesso coraggio. Se sappiamo lottare in piedi, dobbiamo saper lottare in ginocchio, con le preghiere, per-ché il Signore Gesù è con noi”.La sua lettera agli ammalati termina parlando dell’abban-dono al fratello come segno dell’abbandono in Dio.“Con la malattia sto facendo l’esperienza dell’umiltà, dell’ab-

bandono, dell’affi do.Chi è abituato a una certa fi e-rezza, ha pudore a lasciarsi servire dagli altri. Teme di dar fastidio ai parenti e agli amici. Soffre quando vede che gli altri si trovano in disagio per lui. Non sperimenta quell’abbandono di-steso nelle braccia dell’amico, cioè di chi ti vuol bene.Nelle braccia del Signore Gesù sì, ma nelle braccia dell’amico no.Allora dobbiamo fare esperienza dell’abbandono. Questa espe-rienza dell’abbandono nelle brac-cia di chi ti vuol bene è segno. Segno e forse anche strumen-to dell’abbandono totale nelle braccia di Dio”. ■

don Tonino BelloIl suo ministero episcopale fu carat-terizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, la-sciò sempre aperti gli uffi ci dell’epi-scopio per chiunque volesse parlar-gli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. Da Presidente di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, fu promotore di diversi importanti interventi: tra i più signifi cativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Col-le, e contro l’intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un’opposizione così radicale da attirarsi l’accusa di istigare alla diserzione.Benché già operato di tumore allo stomaco, il 7 dicembre 1992, morì a Molfetta il 20 aprile dell’anno successivo. Il 25 aprile 2014 il presidente della CEI Angelo Bagnasco ha inaugurato ad Alessano la “Casa della Convivialità” a lui dedicata.

Don Tonino Bello (al centro) tra don Luigi Ga-rosio e don Vittorio Borracci (fi ne anni ‘80)

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IL BEATO NOVARESEE GIOVANNI PAOLO I

Antonio Giorgini

Il Papa dei 33 giorni: dal 26 agosto 1978 al 29 settembre dello stesso anno. Sorpresa fu la sua elezione e ancor più la sua morte prematura.

1964. Albino Luciani durante il pellegrinaggio dei sacerdoti ammalati a Lourdes

Albino Luciani(1912-1978)

Nasce a Forno di Cana-le (oggi Canale d’Agordo, Belluno) e a dodici anni entra nel seminario mino-re di Feltre. Nel 1935 viene ordinato sacerdote e nel 1947 si laurea in teologia a Roma presso la Pontifi cia

quel conclave vi furo-no due posizioni forti: quella più “conservatrice”

che sosteneva l’arcivescovo di Genova il card. Giuseppe Siri e quella più “conciliare” che so-steneva il card. di Firenze Gio-vanni Benelli.Ma da subito ci fu un orientamento deciso sul card. Albino Luciani che nel secondo giorno del conclave fu proclamato Papa. Fu vista come profezia il gesto di Paolo VI che, andando a Venezia qualche tempo prima, si tolse la “stola” e la pose sulle spalle del card. Luciani.Il beato Luigi Novarese, quan-do mons. Luciani era ancora vescovo di Vittorio Veneto, lo invitò a presiedere il Pellegri-naggio della Lega Sacerdotale Mariana a Lourdes (in conside-razione della sua attenzione a

tutti i sacerdoti) e in occasione poi del 2° Convegno Sacerdo-tale Internazionale (svoltosi a Pompei dal 21 al 28 settembre 1977 nel quale il numero dei sacerdoti raggiunse il punto

più alto) lo invitò a partecipare per tenere una relazione.Tema del convegno era “Cor ad cor loquitur: La Catechesi del Cuore di Cristo”. Luciani svolse la prima relazione del convegno sul tema:

In

Il 26 agosto 1978 Albino Luciani, appena eletto papa, si affaccia su Piazza San Pietro

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Università Gregoriana. Nel 1958 è nominato vescovo di Vittorio Veneto, nel 1969 patriarca di Venezia e nel 1973 viene creato cardina-le. Il 26 agosto 1978 è elet-to papa e sceglie il nome di Giovanni Paolo I. Poco più di un mese dopo, nella tarda sera del 28 set-tembre, muore improvvisa-mente.

Questo fantasioso epistolario raccoglie le lettere del patriarca di Venezia a personaggi storici e mitici di tutti i tempi, pubblicate mensilmente dal 1971 al 1974 sulla rivista «Messaggero di Sant’Antonio) Lo stile gra-devole, la sottile ironia che pervade ogni pagina, l’abilità di trasferire vicende e per-sone, problemi e soluzioni, da ieri a oggi e viceversa, danno forma a un’analisi at-tenta di quegli anni diffi cili. Con una spic-cata curiosità per i personaggi incontrati, così diversi tra loro: da Penelope a Mark Twain, da Maria Teresa d’Austria a Figaro,

da Pinocchio a un... orso, da Péguy a Trilussa, da Scott a Ippocrate, da Quintiliano a Marconi, da Hofer a Goldoni, da santa Teresa a Goethe, da san Bernardino a Marlowe e Chesterton. Per fi nire con il più impor-tante di tutti, Gesù, al quale l’autore scrive trepidando.

Qulettstorme«Mdevopasoe tentcacoTw

da Pinocchio a un... orso, da Pé

“Il Cuore di Gesù nel dolore e nella gioia” che svolse in 15 punti, bre-vi ma molto molto sentiti. Nel primo punto ad esempio ri-corda le parole di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e che niente ha risparmia-to fi no a consumarsi per dimostra-re loro quanto li amava. E come riconoscenza non ha ricevuto dalla maggior parte di essi che ingrati-tudini... (specialmente) dai cuori a me consacrati”. Parla poi – nei punti seguenti – del dolore che non gli può essere evitato e che Gesù stesso assume per fare la volontà del Padre; ma la gente pensa che debba essere sempre possibile evitare con mezzi uma-ni. Una parola contro il dolorismo sempre di moda, ma porta l’e-sempio di tanti santi e soprattut-to commentando le “beatitudini evangeliche” e di tutti i sussidi che ci possono venire anche dal-la psicologia, dalla teologia (san Tommaso) e dall’esempio di tanti santi, anche di santa Teresa del Bambino Gesù che dice: “Io pro-vo veramente gioia a vedermi di-strutta così” per l’uragano di gra-zie che le sofferenze provocano.I soli 33 giorni di pontifi cato gli

hanno procurato il titolo di “Papa del sorriso”.Indimenticabili le sue Udien-ze quando chiamava vicino una bambino per essere suo interlo-cutore nel dialogo che intendeva fare con tutti i suoi uditori per-ché, parlando e interrogando il piccolo, tutti potessero ben ca-pire il messaggio che voleva tra-smettere a quanti si affollavano alle sue Udienze. Era il suo stile che lo aveva spinto da cardinale, a scrivere quel meraviglioso vo-lume “Illustrissimi” che contiene tante lettere a “personaggi” im-maginari di vari ceti sociali che nella loro condizione civile, fami-liare, umana e politica avevano bisogno di un indirizzo preciso,

umano e sociale (e cristiano).Fu il primo a scegliere il dop-pio nome (Giovanni Paolo) per segnare la sua continuità con i due santi Papi che hanno dato vita e concluso il Concilio Ecu-menico Vaticano II: san Gio-vanni XXIII e il beato Paolo VI. Questi ultimi hanno offerto alla Chiesa, con il Concilio, il dono più grande per il suo rinnova-mento attraverso i secoli che lui stesso, Giovanni Paolo I, in-cominciò ad applicare nel suo breve pontifi cato offrendolo al suo successore, san Giovanni Paolo II. La fi gura splendida di Giovanni Paolo I, rimane quasi nascosta nella storia, ma più si considera più è luminosa. ■

Albino Luciani in una foto

dei primi anni ‘50

Giovane vescovo di Vittorio Veneto

(1958)

Papa Paolo VIimpone la berretta cardinalizia

ad Albino Luciani (1973)

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LA FEDE ILLUMINA,CONFORTA,CONDUCE...

Marisa Basello

Grazia e fede furono per il beato Novarese la base della sua esistenza. Fondamentale l’esempio ricevuto dalla mamma, Teresa Sassone, nel creare un’atmo-sfera familiare per una crescita sana del piccolo Luigi.

ons. Novarese sperimentò, durante la permanenza negli ospedali, la carenza

di una presenza e di un pen-siero spirituale. Lo Spirito San-to, attraverso le richieste della Vergine a Lourdes e a Fatima, gli ispirò il CVS, una vocazio-ne che unisce alla Passione di Cristo per santifi carci e per

rispondere alle richieste della Vergine Santa di preghiere e penitenza per la conversione delle anime. Furono ancora Grazia e Fede a spingerlo ad indire un corso di Esercizi spirituali nel settembre 1952 ad Oropa (Biella), idea giudicata fuori dal comune an-che dal clero, ma non per gli

ammalati che vi parteciparono: erano i primi del CVS e dei Si-lenziosi Operai della Croce. Il salutare effetto all’anima dei 48 partecipanti, li indusse a chiedere subito un luogo più idoneo per gli Esercizi spiritua-li per persone con marcati limi-ti fi sici... con tanto di colletta, in quel momento di 9.200 lire,

M

1952.I primi

Esercizispiritualia Oropa

(Biella)e al-

l’OspizioBarbieri

di Re(Vb)

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La Casa di Re, è un segno tangibile con cui l’Im-macolata vuole gli Esercizi spirituali degli ammalati, vuole che siano gli annunciatori del piano della Cro-ce, che siano apostoli...La Casa “Cuore Immacolato di Maria” è sorta per essere fucina di formazione spirituale degli ammalati, provenienti da qualsiasi parte del mondo, allo scopo di renderli strumenti effi cienti nelle mani dell’Imma-colata...un cantiere di formazione e specializzazione per i sof-ferenti, affi nché siano dei “buoni” continuatori della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo... Gli Esercizi spirituali per ammalati sono la formula migliore che più di qualsiasi altra va in profondità per la formazione degli ammalati .

(beato Luigi Novarese)

‘‘

‘‘e scelta anche del nome della costruzione: Casa “Cuore Im-macolato di Maria”.Tutto ciò è più che noto... ma è bello ricordare assieme l’an-tefatto... che ci fa ripercorrere ricordi e avvenimenti importanti e fondamentali per consolidarci nella volontà e nella consapevo-le gratitudine al Signore. L’oggi: sessantaquattro stagioni degli Esercizi alla Casa “Cuore Imma-colato di Maria”... aggiungendo i quattro anni all’Ospizio Barbieri di Re (Vb) perché lì si svolsero mentre si erigeva la Casa.L’8 dicembre 1952 mons. Novarese aveva convocato a Roma alcune persone per capire dove costru-ire la Casa di Esercizi spirituali: un benefattore di Novara, comm. Vaccarino, suggerì Re, in Val Vi-gezzo, con il suo bellissimo san-tuario dedicato alla Madonna del Sangue, ancora in costruzione.

Monsignor Novarese la sera del 26 dicembre 1952 era già a Re. Prese ospitalità all’Ospizio Bar-bieri. Da Novara era giunto an-che il benefattore. Il beato No-varese dal corridoio del secondo piano si affacciò alla fi nestra e vide un ampio spiazzo inneva-to e illuminato dalla luna. “Il posto è bello e accogliente... a ridosso della Svizzera... un’a-pertura verso l’Europa!”, pensò.Così nacque questa grande strut-tura che si presenta oggi all’in-gresso del paese, una costruzio-ne con nove piani e 134 camere, capace di ospitare tante perso-ne ammalate e disabili.Tutto opera della Vergine Santa e dei pionieri “seminatori di spe-ranza” che diffusero l’apostolato e il risultato oggi, sommando le presenze dal 1960 al 2014, è di duecentocinquemila partecipan-ti ai corsi di Esercizi spirituali.

La capienza attuale della Casa oggi si è ridotta, in quanto sono state realizzate opere di ammodernamento ed è stata iniziata un’attività di Residen-za Sanitaria Assistenziale, che si svolge al quinto piano: ven-ticinque ospiti.Anche questo è un vissuto ca-ris matico che si realizza nell’As-sociazione con la Lega Sacer-dotale Mariana e il CVS. Un ausilio alle varie prove della vita terrena, nel corpo e nello spirito; un unico e indissolubi-le connubio che fa della per-sona fatta a immagine di Dio, una realtà di Corpo mistico e di Chiesa.Chi viene a Re percepisce subito, come un approdo dalla tempesta e dal mondo che fugge e sfug-ge, il richiamo dell’anima: si sale quassù per alimentare la fede, la speranza, la carità. ■

1953. L’atto di consacrazione e la posa della prima pietra della Casa di Re.Il comm. Vaccarino fi rma l’atto.Accanto a lui mons. Gilla Gremigni, allora vescovo di Novara

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LA GIOIA DEL VANGELONELLA STAGIONE DELLA SOFFERENZA

Leonardo Di Taranto

L’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di papa Francesco provoca anche i sofferenti e gli operatori della pastorale della salute a rileggere il proprio impegno di evangelizzazione nel mondo attuale.

evangelizzazione non può non interessare anche il mondo della pastorale del-

la salute: essa costituisce la missione principale per coloro che sono mandati ad annuncia-re Cristo Gesù nei luoghi della sofferenza e a testimoniarlo con una vita evangelica di te-nerezza e di comunione.Nel capitolo quarto dell’Esorta-zione apostolica vi sono interes-santi provocazioni per gli opera-tori pastorali dei luoghi sanitari e del territorio. • “Evangelizzare è rendere pre-sente nel mondo il Vangelo” (n.176): dove c’è un uomo che soffre, lì “deve” essere presen-te la Chiesa per annunciare il mistero pasquale della morte e della nuova vita di Cristo Gesù, per rendere credibile l’amore paterno e materno di Dio per gli uomini, per illuminare il mistero della sofferenza e della malattia con la luce della Risurrezione.• “Lo Spirito Santo pos-siede un’inventiva infi nita, propria della mente divina, che sa provvedere e scioglie-re i nodi delle vicende umane anche più complesse e impe-

netrabili” (n.178): nell’ultima cena Gesù aggiunge un compito “originale” che spesso in questi ultimi tempi sono affi dati alla Madonna: Maria che scioglie i nodi e di cui è molto devoto papa Francesco. Lo Spirito San-to è l’attore principale cui pos-siamo rivolgerci nei momenti delicati della nostra vita per es-sere aiutati a “sciogliere i nodi delle vicende umane ancora più complesse e impenetrabili”.• “Il compito dell’evangeliz-zazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le ani-me per il cielo” (n.182). La re-

ligione non può rinunziare alla sua dimensione sociale, perché l’uomo è un essere in relazione, una persona che si rapporta con l’altro: una fede vissuta a livello personale che non allarga i suoi orizzonti a quelli della società e della comunità ecclesiale non è autentica, va messa in discus-sione per la mancanza di reali ricadute nella vita quotidiana.• “Amiamo questo magnifi co pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità” (n.183). Il pro-blema dell’ecologia da alcuni anni si va imponendo all’atten-zione della Chiesa come realtà della creazione fatta da Dio. Anche la pastorale della salu-

L’

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te lo considera come un nuo-vo settore del proprio servizio, perché è chiamata ad educare la comunità cristiana al rispet-to e all’uso saggio della Terra. • “Ci scandalizza il fatto di sape-re che esiste cibo suffi ciente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggra-va con la pratica generalizzata dello spreco” (n.191). Il Papa fa suo il grido di dolore dei ve-scovi brasiliani che denunciano la realtà assurda di un mondo diviso tra chi soffre per malat-tie derivanti dal troppo cibo e chi mette in pericolo la sua esi-stenza per la mancanza di cibo suffi ciente per la sua sopravvi-venza. Perciò la Chiesa non può rimanere inerte dinanzi a questo enorme scandalo e deve solleci-tare i capi delle Nazioni a supe-rare l’orizzonte del nazionalismo delle proprie preoccupazioni e ad allargare gli interessi a quei popoli che soffrono ancora la fame e sono colpiti da numerose malattie derivanti dalla denutri-zione dei suoi abitanti.• “L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte al dolore altrui” (n.193). La prima fase della risposta allo scandalo del-la fame è quella di far arrivare al “nostro cuore” il grido di chi soffre; dopo segue la successi-va, di trasformarlo in progetto e proposta concreti per aiutare fattivamente chi soffre la pover-tà in tutti i sensi. L’individuali-smo edonistico pagano dei primi secoli del cristianesimo – affer-

ma il Papa – ha spinto i Padri della Chiesa ad esercitare “una resistenza profetica, come alter-nativa culturale”. Anche oggi i cristiani hanno il dovere morale di proporre ed attuare politiche alternative di solidarietà, di condivisione e di cambiamento della realtà problematica odier-na. Gli operatori della pastorale della salute hanno la missione di educare i malati ed i sani ai valori della comunione.• “Il criterio-chiave di autenticità che (gli Apostoli) gli (a Paolo) indicarono, fu che non si di-menticasse dei poveri (cfr. Gal 3,10). Questo grande criterio... ha una notevole attualità nel contesto presente, dove tende a svilupparsi un nuovo pagane-simo individualista” (n.195). Nella categoria dei poveri oggi si inseriscono a ragion veduta anche i malati; quindi anche la cura di essi diventa uno dei cri-teri-chiave per defi nire la verità della sequela del Vangelo. Pren-dersi cura dei malati, dei loro familiari e dell’intera comunità parrocchiale o ospedaliera ap-partiene ad un settore trasver-sale della pastorale della Chiesa: tutti i battezzati sono chiamati

a curare le membra sofferenti del corpo mistico di Cristo.• I poveri “hanno molto da in-segnarci. Oltre a partecipare del sensus fi dei, con le loro sofferen-ze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro” (n.198). Da anni la Chiesa italiana af-ferma che i malati sono, oltre che oggetto, anche sogget-to dell’evangelizzazione. Papa Francesco, tra gli altri motivi per legittimare il loro ruolo nel-la comunità cristiana, aggiunge anche quello di poter diventare nostri maestri delle lezioni ap-prese alla scuola del dolore e del Crocifi sso, perché “conoscono il Cristo sofferente”. È risaputa l’affermazione della prima Nota della CEI sulla pastorale della salute: i malati non potranno evangelizzare se prima non sono stati fatti oggetto dell’amore.• “La peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la man-canza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei po-veri possiede una speciale aper-tura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola,

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la celebrazione dei Sacramen-ti e la proposta di un cammi-no di crescita e di maturazione nella fede” (n.200). Se come credenti non lo facciamo, li of-fendiamo doppiamente, perché oltre ad essere privati dei beni economici, li lasciamo anche senza gli aiuti spirituali. È un discorso da fare anche in ambi-to ospedaliero: la mancanza di salute e di certezze del futuro non può essere accompagnata anche e soprattutto dalla pri-vazione dell’accompagnamento pastorale e dalla proposta dei sacramenti della Grazia divina.• La “difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere uma-no è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo” (n.212). È la ripetizione della condanna dell’aborto che la Chiesa rinno-va continuamente. Questo atto è utile, ma insuffi ciente se non viene accompagnato da progetti

di presenza affettuosa e di ac-compagnamento spirituale del-la donna interessata. Sappiamo bene che alla base di tale scelta dolorosa può esserci una varietà di motivazioni, anche quelle della solitudine, della condan-na, della disperazione. Perciò i cristiani sono chiamati a distin-guersi nella lotta all’aborto pro-prio nelle proposte concrete di difesa della vita concreta e della persona interessata e coinvolta nel dramma.• “Anche il dialogo tra scienza e fede è par-te dell’azione evange-lizzatrice che favorisce la pace” (n.242). Nel mondo della medicina e delle istituzioni sani-tarie, dove si coltivano la ricerca, la diagnosi e la cura dei pazienti, si propone il dialo-go tra scienza e fede (n.242), che non sono assolutamente incompatibili tra loro,

e

ma possono confrontarsi nel ri-spetto reciproco e nella ricono-scenza dell’importanza dell’una e dell’altra. L’assistenza spiri-tuale e il servizio religioso nel-la Chiesa si collocano nell’otti-ca dei contributi specifi ci che questa può offrire al processo terapeutico dei pazienti. ■

(scritto tratto dal libro “La “gioia del Vangelo” nella stagione della sofferenza di Leonardo Di Taranto, Edizioni CVS, Roma 2014)

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inascolto

Mauro Orsatti

UN SOFFIOÈ LA MIA VITA

LECTIO

L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli di un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fi no all’alba. [...] Ricòrdati che un soffi o è la mia vita (Giobbe 7, 1-4.7).

mi corico dico: “Quan-do mi alzerò?”. La not-te si fa lunga e sono

stanco di rigirarmi fi no all’al-ba». Il dramma di Giobbe si concentra in questo stato di prostrazione, senza la chiara prospettiva di una mano amica che si allunghi verso di lui per invitarlo a sollevarsi. Gli man-cano anche le piccole consola-zioni che danno un attimo di

tregua e una boccata di ossige-no nel grigiore della vita, come la conclusione della fatica per lo schiavo che a sera può ave-

re un momento di riposo o la paga che rende tollerabile il mestiere del mercenario. L’esi-stenza di Giobbe assomiglia a un affresco giottesco, privo di prospettiva e completamente piatto sulla parete. Manca la possibilità di aprirsi a un fu-turo che laceri la cortina del tempo e gli apra uno squarcio sull’eternità. Buio, incertezza, inquietudine

Se«

“Non leggete il libro di Giobbe...se subito dopo intendetetornare alle vostre mode.Lasciatelo piuttosto al futurooppure al silenzio delle biblioteche”.

Vladimir Ul’janov Lenin

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1. Imparo da Giobbe a rivolgermi a Dio con una preghiera varia, che in alcuni momenti diventa an-che sfogo, pone domande, manifesta dubbi? Il colloquio amoroso con Dio non disdegna anche questi stati d’animo. Esattamente come quando si parla tra amici. Ne sono convinto?

2. Sono capace di accendere una luce di speranza anche in situazioni tenebrose? Lo faccio per me? Aiuto pure gli altri? Quando l’ultima volta?

3. Quando sono in gruppo o parlo con gli altri, sono attento al positivo, sono cantore del bello e del buono, oppure suono sempre la musica del lamento e del negativo?

4. Quanto mi sono di aiuto i momenti belli e sereni della mia vita? Li richiamo nelle situazioni diffi cili e dolorose, quasi fossero un deposito di energia, cui attingere nei momenti di bisogno?

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE E DI GRUPPO

sono stati d’animo che tutti, prima o poi, sperimentiamo. A volte hanno la durata del lampo, altre volte permangono come una bassa pressione che non accenna a cambiare. La cupa situazione trova uno spiraglio di speranza in quel supplice «ricòrdati» rivolto a Dio. Una parola semplice, quo-tidiana, eppure grondante di tutta la forza della supplica che, se non altro, ha il meri-to di essere indirizzata a Colui

che solo può sollevare l’uomo dalla sua prostrazione. Giobbe è convinto che Dio c’entra con la sua sofferenza – se non altro perché la permette – ma è altrettanto con-vinto che solo Lui rimane l’unica via di uscita. Dire che Dio non guarda la sofferenza è uguale a negare l’esistenza di Dio. La sofferenza

Ci vuole debolezza per le ragioni del cuore.È necessario un punto sguarnito del potere, dove possa insinuarsi, perlomeno, la nostalgia.Vi è una breccia infi nita nel cuore di Dio, mentre troppo piccola è l’apertura da cui scorre il tuo amore.Molesto è il ragionare di colui che può, lieto il ge-sto di chi è presente nella debolezza: fragilità onni-potente dell’amore .

Tratto da “Il dolore fa male (l’amore invece no)”,Roma, Edizioni CVS, 2013.

NALE E DI GRUPPO

mette in discussione l’uomo, ma ancora più mette in discus-sione Dio.Alla fi ne del libro, Giobbe ri-solverà il suo problema rimet-tendosi a Dio, buttandosi nelle sue braccia. Abbandonarsi a Lui nel momento di dolore non è una via di fuga, ma sapienza del cuore che insegue le tracce di Dio nella storia. Per il mo-mento Giobbe rimane il porta-voce di tutti gli affl itti della terra, di tutti coloro che non sembrano trovare risposta o si-gnifi cato al loro dolore. Quel grido lacerante che at-traversa la storia, troverà eco e accoglienza nella mano tesa da Gesù a tutta l’umanità sof-ferente. ■

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inascolto

Giovanna Bettiol

Celebrazionepenitenziale o Adorazione

Eucaristica

CELEBRAZIONE

Canto e introduzione del celebrante.

I momento: La beata Speranza

Lettore: L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli di un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fi no all’alba. [...] Ricòrdati che un soffi o è la mia vita (Giobbe 7, 1-4.7)

Celebrante: Tanta gente è nella situazione di Giobbe. Tanta gente buona, come Giobbe, non capisce cosa le è accaduto. Tanti fratelli e sorelle che non hanno speranza, l’invito è quello di prepararsi, per quando verrà il buio: esso verrà, forse non come a Giobbe, tanto duro, ma avremo un tempo di buio tutti. Perciò occorre preparare il cuore per quel momento (papa Francesco).

Lettore: Un aspetto fondamentale nella spiritualità associativa, la beata speranza! La conclusione della Croce non è il venerdì santo, ma la Pasqua di Risurrezione. Insistiamo sul ritornello fi nale: “Ma il terzo giorno risorgerà”.La consolazione dello Spirito, che spinge il sofferente a testimoniare la gioia della sua vocazione e missione, e la promessa della Madonna a Lourdes e a Fatima ai piccoli veggenti, cioè la sicurezza del Cielo, anche se avrebbero avuto tribolazioni nel mondo, portano a questa prospettiva di speranza. (beato Luigi Novarese)

Momento di rifl essione silenziosa, preceduta da alcuni segni che vengono portati all’altare: un cuore, un mattone e un grande pacco, e viene letto quanto segue.

Lettore: È questa la caratteristica dei Volontari della Sofferenza e di tutti i cristiani che testimoniano in tal modo il loro amore alla vita, la voglia di vivere, di realizzarsi, di operare per la costruzione del Regno, la coscienza dei propri doni.

Celebrante: Insieme preghiamo il Salmo 125.

Tutti: Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare.Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.Allora si diceva tra i popoli: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia.Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb.Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni.

PER UNASPERANZA

VIVA

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inascolto CELEBRAZIONE

Canto.

Se pensiamo di fare un’Adorazione Eucaristica, in questo momento viene esposto Gesù Eucarestia, e segue il II momento (altrimenti dopo il canto si passa subito al II momento).

II momento: per una nuova Speranza

Lettore: In questo tempo di Pasqua domandiamo a Dio che risvegli i nostri cuori distratti e ci aiuti a fi ssare la nostra attenzione su ciò che è essenziale nella vita.

Celebrante: Cosa è essenziale per noi?

Momento di rifl essione silenziosa e personale.

Lettore: In questo tempo di Pasqua domandiamo a Dio che continui a scomodarci. Spesso, fare il bene è possibile solo se usciamo da questi posti caldi e comodi che ci siamo costruiti e in cui ci troviamo bene. La presenza di Dio ci faccia mettere in cammino, alla ricerca della sua volontà. E sappiamo già dove trovarlo: in chiesa, nella preghiera, ma non sempre basta se non riusciamo a trovarlo nelle per-sone che ci vivono accanto.

Celebrante: Siamo in cammino? Stiamo cercando Dio?

Momento di rifl essione silenziosa e personale.

Lettore: In questo tempo di Pasqua domandiamo a Dio che cambi i nostri progetti, i nostri itinerari che portano solo a trovare noi stessi e le nostre soddisfazioni. Il centro non siamo noi con le nostre esigenze, il centro è Lui. Ci aiuti a riporre la nostra fi ducia non in ciò che possiamo e sappiamo fare, ma nelle grandi cose che Lui realizza in noi.

Celebrante: Abbiamo più fi ducia in Dio o in noi stessi? Quanto ci abbandoniamo alla sua azione?

Momento di rifl essione silenziosa e personale.

Lettore: In questo tempo di Pasqua domandiamo a Dio che metta in crisi le nostre certezze e ci tolga ogni nostra abitudine. La fede può diventare un’abitudine, anche la preghiera, la carità, l’amore.

Celebrante: Rinnoviamo e manteniamo viva e forte la nostra fede?

Momento di rifl essione silenziosa e personale.

Lettore: In questo tempo di Pasqua domandiamo a Dio che si ricordi di noi, come il grido di Giobbe. Anche le nostre piccole storie nascono da Dio e contengono il seme dell’amore di Dio. Siamo chiamati a viverle con i loro momenti di buio e di incertezza.

Celebrante: Siamo convinti che solo Dio rimane la più importante via da seguire per superare ogni nostra diffi coltà, sofferenza?

Momento di rifl essione silenziosa e personale.

Padre nostro.

Celebrante: Ci rivolgiamo a te Maria, diventata Madre dei credenti. In questa fede, che anche nel buio del sabato santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua. La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede. Tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (Spe Salvi, Benedetto XVI)

Benedizione eucaristica e canto fi nale (o semplicemente il canto fi nale). ■

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SU GRAZIEa cura di Felice Di Giandomenico

La rubrica intende offrire prezio-se testimonianze dei nostri lettori circa le grazie ricevute attraver-so l’intercessione del beato Luigi Novarese e dei nostri “seminatori di speranza”: autentici apostoli dei sofferenti, cuori aperti verso Dio e verso i fratelli, anime pro-tese ad evangelizzare il mondo dell’umano patire.

Testimonianza di grazia

ricevuta dalla Serva di Dio

Anna Fulgida Bartolacelli,

Silenziosa Operaia

della Croce, Montagnana

(Modena), 6 marzo 1987.

Grazie...

Gentili lettori,se volete scriverci:Silenziosi Operai della CroceDirezione GeneraleVia di Monte del Gallo 10500163 [email protected]

Te

6

ll’umano patire.

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indialogoindialogo

Polonia è un fertile terreno per il CVS: la sua spiritualità mariana, l’insegna-mento di papa Wojtyła, l’amore per Cri-

sto e la sua croce continuano a rappresentare salde fondamenta gettate per la promozione dell’Opera di monsignor Luigi Novarese e di sorella Elvira Myriam Psorulla.Ben dieci diocesi hanno aperto la loro porta al CVS, accogliendo oltre 50 Gruppi d’Avan-guardia con più di 1500 iscritti che incar-nano il carisma del beato Novarese e con entusiasmo svolgono l’apostolato a favo-re delle persone sofferenti.Dal 20 al 22 febbraio scorso, presso la Casa dei Silenziosi Operai della Cro-ce a Głogów, si è svolta l’Assemblea nazionale del CVS polacco. Questa è stata l’occasione per condividere le

varie esperienze dell’attività realizzata e presentare le modalità specifi che di lavoro, mettendo in comune non solo le buoni pras-si ma anche le problematiche che emergono negli incontri diocesani e durante l’agire di tutti i giorni.Tra gli altri ai lavori hanno partecipato il Mo-deratore Generale dei Silenziosi Operai della Croce don Janusz Malski, il Presidente del-la Confederazione CVS Internazionale, don Armando Aufi ero, il vescovo della diocesi Zielonogórsko-Gorzowska, Sua Eccellenza Stefan Regmunt. Quanto hanno trasmes-so con le loro relazioni e durante gli in-terventi ha teso a sottolineare come la Chiesa in Polonia rappresenta una cel-lula viva della Chiesa Universale.Un momento importante è stato quel-

CONFEDERATISIGNIFICA FORTI

Izabela Rutkowska

Il beato Luigi Novarese e san Giovanni Paolo II volevano che il Centro Volontari della Sofferenza sorgesse ed estendesse il suo apostolato in Polonia. Oggi, possiamo dire che il loro sogno si è concretizzato, divenendo un’Associazione rivolta a tutti gli ammalati e ai disabili di questa nazione.

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sorella Elvira Myriam Psorulla.Ben dieci diocesi hanno aperto la loro porta al CVS, accogliendo oltre 50 Gruppi d’Avan-guardia con più di 1500 iscritti che incar-nano il carisma del beato Novarese e con entusiasmo svolgono l’apostolato a favo-re delle persone sofferenti.Dal 20 al 22 febbraio scorso, presso la Casa dei Silenziosi Operai della Cro-ce a Głogów, si è svolta l’Assemblea nazionale del CVS polacco. Questa è stata l’occasione per condividere le

Tra gli altri ai lavori hanno partecipato il Mo-deratore Generale dei Silenziosi Operai della Croce don Janusz Malski, il Presidente del-la Confederazione CVS Internazionale, don Armando Aufi ero, il vescovo della diocesi Zielonogórsko-Gorzowska, Sua Eccellenza Stefan Regmunt. Quanto hanno trasmes-so con le loro relazioni e durante gli in-terventi ha teso a sottolineare come la Chiesa in Polonia rappresenta una cel-lula viva della Chiesa Universale.Un momento importante è stato quel-

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lo dedicato alle elezioni del Consiglio Nazio-nale del CVS polacco. Sono stati eletti: Re-sponsabile nazionale Zdzisław Waszkiewicz di Gdan’sk; Rappresentante dei Silenziosi Operai della Croce sorella Ewa Figura; Assistente spi-rituale don Radosław Horbatowski.Durante l’Assemblea tutti i membri conve-nuti hanno partecipato alle ore di preghiera comune, alle adorazioni eucaristiche, alle Sante Messe e ai ricchi momenti di dibattito. Questa esperienza di condivisione ha indi-cato la necessità di essere confede-rati. Anche i Responsabili dei CVS di al-cune diocesi non ancora confederate hanno espresso la volontà di volerlo fare al più presto. “E facile rompe-re un fi ammifero – ha affermato fra-tel Roman Płatek, SOdC di “vita in famiglia” –. Ma per romperne dieci tutt’insieme, allora è più diffi cile. Ecco perché essere confederati signi-fi ca essere forti”.Durante la tre-giorni a Głogów si è avvertito un grande spirito di fraternità e amicizia, con-sapevoli di lavorare tutti nella vigna del Signo-re. Infatti ancora troppi fratelli e sorelle bran-colano nel buio del dolore e della disperazione e aspettano il nostro aiuto, il nostro conforto, una parola nuova di Resurrezione. ■

La Casa di GłogówNella casa “Salute degli Infermi” a Głogów in Polonia si organizzano soggiorni di due settimane per le persone che vogliono recuperare le forze fi siche e spirituali. Oltre ai numerosi trattamenti fi sioterapici e massaggi, la Casa mette a disposizione una palestra, una grotta di sale e l’ippoterapia. I partecipanti possono vivere durante il soggiorno gli Esercizi spirituali che aiutano a scoprire il senso della propria vita segnata dalla disabilità o dalla malattia. L’Eucaristia, l’Adorazione del Santissimo Sacramento, i pellegrinaggi, la condivisione in gruppi e le lezioni sulla spiritualità permettono di arricchire la propria vita spirituale. Serate divertenti, con balli, falò, gite, proiezioni di fi lm, ecc. danno la possibilità di allacciare nuove amicizie e trascorrere del tempo in allegria.

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EUTANASIA PER SCOOPMaurizio Faggioni

Ma

La vicenda “confessata” da un Caposala a “Repubblica” sembra piuttosto rientrare nella sempli-ce, legittima e moralmente ineccepibile, strategia di rifi uto concordato dell’accanimento da parte dei sanitari in perfetto accordo con i familiari. Resta il dubbio: perché insinuare una pratica eutanasica?

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se fosse così, se que-sta fosse la realtà degli ospedali italiani, sa-

rebbe uno scenario terrifi cante. Nascosto dall’anonimato, un Caposala dell’ospedale fi orenti-no di Careggi, o almeno uno che si dichiara tale, ha confessato a “Repubblica” di essere stato te-stimone di ripetuti episodi che lui chiama, indistintamente, di eutanasia. Immediata la reazio-ne di Luigi Marroni, assessore regionale per il diritto alla sa-lute: “In Toscana si rispettano le leggi... Di eutanasia nelle nostre strutture non se ne parla neppure”. Non abbiamo elemen-ti per verifi care la fondatezza delle rivelazioni del sedicen-

te Caposala, ma possiamo fare qualche valutazione sulle sue dichiarazioni come sono state riferite dalla stampa. Secondo il Caposala alcuni medici di Ca-reggi, sollecitati dai familiari, e con il consenso o il silenzio dei colleghi e del personale in-fermieristico, compirebbero atti contro la legge sopprimendo i malati in modo nascosto, con una “eutanasia silenziosa”. Gli esempi che vengono portati, in effetti, equivocano su che cosa sia davvero eutanasia e su quali terapie un medico sia obbligato per legge a prestare.Da quello che dice si potrebbe pensare che egli lavori in una terapia intensiva. Un uomo di

54 anni cardiopatico arriva al reparto con un grave edema. Dopo due giorni di tentativi terapeutici è chiaro che “non ci sono spiragli”. Se si insiste con le terapie iniziate andrà avanti per qualche giorno, al massimo due settimane. I me-dici, d’accordo con i familiari, decidono di non insistere. Se le cose stanno così questa non è eutanasia, neppure eutanasia passiva. La sospensione di una terapia o di un sostegno tecnico che si rivelassero inutili di fron-te al precipitare del malato verso una morte inevitabile, così come la decisione di non iniziarli affatto, quando la si-

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tuazione fosse da subito chia-ramente senza speranza, non sono forme di eutanasia. L’in-segnamento cattolico su que-sto punto è esplicito (basti ve-dere il Catechismo al n. 2278). Il Codice di deontologia medi-ca del 2014 all’art. 16 afferma che un medico che si astiene da trattamenti non proporzio-nati non pone in essere di per sé “un comportamento fi na-lizzato a provocare la morte”, espressione con cui viene indi-cata l’eutanasia. Insomma i medici che si accor-gono di scivolare nell’accani-mento devono fermarsi. La leg-ge vigente in Italia non obbliga certo i medici ad accanirsi. Una buona medicina non si ostina in atti ineffi caci o, peggio, de-stinati soltanto a prolungare, spesso penosamente, la fase terminale di una malattia. Far credere alla gente che i medici siano obbligati all’accanimento o a praticare ogni terapia di-sponibile, signifi ca creare allar-me e timori infondati e serve a manipolare l’opinione pubblica per renderla incline ad accetta-

re l’introduzione dell’eutanasia, quella vera, in Italia. Far crede-re che per essere sicuri di es-sere lasciati morire con dignità occorra fare il cosiddetto testa-mento biologico non corrispon-de a verità. Il soggetto ultimo delle decisioni, se è consapevo-le, è il paziente stesso e, quan-do egli non potesse decidere, le dichiarazioni anticipate di trat-tamento potrebbero essere utili per orientare i medici e familia-ri o altri incaricati di prendere decisioni, ma il punto è se una persona possa ragionevolmente decidere di darsi la morte. La-sciar morire quando non c’è più niente da fare è atto di umani-tà autentica, dare direttamente la morte, anche se richiesti, è atto contro la persona e il ri-spetto della persona è fonda-mento del convivere civile.Il capitolo del dolore è, senza dubbio, il capitolo più inquie-tante per tutti noi. Il dolore si può forse sopportare con

grande forza d’animo. Si può dare senso al dolore in una prospettiva di fede. Resta il dramma del dolore che supera l’umana capacità di sopporta-zione e che deve essere tolto o attenuato in modo sensibi-le, dispiegando ogni mezzo terapeutico a disposizione: le cure palliative contribuiscono alla umanizzazione della morte e – aggiunge il Catechismo al n. 2279 – sono atti di carità disinteressata. Occorre forse un impegno ancora più deciso, dal punto di vista delle risorse impiegate e della cultura medi-ca, nell’ambito della medicina palliativa. Le cure palliative ri-spettano la vita e considerano il morire un processo naturale: il loro scopo non è, pertan-to, quello né di accelerare né quello di differire la morte, ma quello di preservare la miglio-re qualità di vita possibile nel momento in cui la vita declina sino alla fi ne. ■

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apa Francesco insieme ai cardinali e ai vescovi della Curia romana ha partecipato

agli Esercizi spirituali per la Qua-resima che si sono svolti dal 22 al 27 febbraio ad Ariccia, in pro-vincia di Roma, nella Casa Divin Maestro gestita dai Paolini.“Servitori e profeti del Dio vi-vente” è il tema delle medita-zioni che quest’anno sono state tenute dal carmelitano padre Bruno Secondin, docente or-dinario emerito di Spiritualità moderna e Fondamenti di Vita spirituale alla Gregoriana.Come spiegato dallo stesso Se-condin alla Radio Vaticana, le meditazioni hanno presentato una lettura pastorale del pro-feta Elia, una delle più grandi fi gure dell’Antico Testamento, difensore della fedeltà a Dio contro gli idoli. Seguendo il

cammino del profeta, il carme-litano ha rifl ettuto sull’autenti-cità della fede, sulla necessità di “ritornare alle radici” e avere il coraggio di “dire no all’am-biguità”, passando “dagli ido-li vani alla pietà vera”, “dalla fuga al pellegrinaggio”.Gli Esercizi spirituali li cono-sceva bene anche il beato Luigi Novarese che per primo ha dato inizio a un’esperienza che nes-suno aveva mai tentato prima: organizzare corsi di Esercizi spirituali per i disabili.Aiutare i sofferenti, signifi ca prendersi cura anche della loro dimensione spirituale. Monsi-gnore aveva capito l’enorme importanza che riveste il mondo interiore dell’ammalato nel de-terminare il suo atteggiamento nei confronti della malattia. Per questo ha deciso di occuparsene

delineando nei suoi scritti l’iti-nerario di una pedagogia rivolta alla formazione spirituale degli infermi secondo il metodo tra-dizionale degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), spagnolo, il quale fondò nel 1534 la Compagnia di Gesù e fu proclamato santo nel 1622.Spiega lo stesso sant’Ignazio nell’introduzione al suo volu-me “Esercizi spirituali”: “Con Esercizi spirituali si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente e al-tre operazioni spirituali. Come, infatti, il camminare e il corre-re sono esercizi corporali, così si chiamano Esercizi spirituali tutti i modi di disporre l’anima a liberarsi di tutti gli affetti di-sordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà

GLI ESERCIZI SPIRITUALIDI PAPA FRANCESCO

Alessandro Anselmo

Il Santo Padre ha praticato gli Esercizi spirituali secondo il meto-do di sant’Ignazio come ogni anno fanno gli aderenti al Centro Volontari della Sofferenza.

P

Valleluogo di Ariano Irpino. Don Luciano Ruga con un gruppo di bambini durante gli Esercizi spirituali (2006)

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divina nell’organizzazione del-la propria vita per la salvezza dell’anima”.Il beato Novarese racconta sul numero dell’Ancora di maggio- giugno 1956 la prima esperien-za di Esercizi spirituali del CVS: “Una scoperta: gli Esercizi spi-rituali per ammalati erano una necessità forse più impellente che non per i sani. Nel 1952 si decide di fare il primo corso con un numero limitato di ammalati: con tutte le prediche proprie de-gli Esercizi. Si va ad Oropa con 48 infermi, di cui 18 barellati. Si fanno i primi Esercizi per amma-lati, trasportati in località isola-ta. L’esito è stato sorprendente. Sono gli ammalati che insistono a chiedere di continuare gli Eser-cizi. E hanno ragione. Essi vivono isolati, non hanno le comodità come i sani di accostarsi ai sa-cramenti: è quindi una iniziativa da continuarsi. Da Oropa si passa a Re nel 1953”. Da Oropa inizia così un faticoso impegno da parte di Monsigno-re, sorella Myriam e l’Associazio-ne per garantire ogni anno agli ammalati e ai sani gli Esercizi spirituali: dal 1960 a Re, (VB) presso la casa “Cuore Immaco-lato di Maria”, dal 1988 nella Casa “Mons. Luigi Novarese” di Valleluogo (Ariano Irpino) e dal 1994 presso il centro “France-sco e Giacinta Marto” a Fatima, in Portogallo.Scrive Novarese sull’Ancora diagosto-settembre 1955: “Gli Eser -cizi spirituali agli ammala-ti sono necessari, più forseche non ai sani. Sono necessa-ri perché soltanto nella visione

chiara della fede è possi bile risponde-re agli an gosciosi in terrogativi del do-lore, perché soltan-to nel piano della Grazia santi-fi cante l’ammalato acquista la propria perfetta funzionalità. Sono necessari perché i soffe-renti non hanno la libertà che hanno i sani di poter accedere ai sacerdoti quando lo deside-rano, oppure quando ne sento-no il bisogno. Per essi la libertà della scelta dello strumento del-la Grazia di Dio è molto diffi col-tosa. Ed ecco allora la grande necessità di far evadere gli am-malati dal proprio ambiente, la necessità di istruirli sulle gran-di verità eterne per rimandarli poi alle proprie abitazioni con il cuore sereno, gioioso perché hanno fi nalmente compreso che la malattia non è poi una gran-de disgrazia, non solo non para-lizza l’attività delle persone, ma può costituire anche una vera vocazione”.Il beato Luigi Novarese ha avu-to questa intuizione negli anni Cinquanta, in un periodo in cui il coinvolgimento ecclesiale e pastorale del malato era prati-

camente nullo. “Il nostro Padre Fondatore – spiega don Remigio Fusi nel libro “Gli Esercizi spi-rituali per i sofferenti” Edizio-ni CVS) – ha avuto il merito di aprire nella Chiesa il cammino di coinvolgimento della persona del malato, aiutandolo a valorizzare la propria sofferenza per il bene della Chiesa e della Società. Egli vedeva nel malato non ciò che poteva ricevere dagli altri per i propri bisogni, ma le potenzialità e quindi ciò che poteva dare lui stesso per i bisogni della Chiesa e per la costruzione del Regno di Dio, a cui partecipa attivamente ogni cristiano. È questo l’impegno fondamentale di ogni credente. Perché escludere e fare degli scon-ti speciali per i sofferenti?”.Alla luce del suo insegnamento, possiamo defi nire gli Esercizi spi-rituali per gli ammalati un tempo “in cui prendere decisioni impor-tanti che mettano ordine alla pro-pria vita, vincendo i condiziona-menti del mondo e uscendo dagli affetti disordinati”. ■

razia santi- camente nullo. “Il nostro P

Mons. Novaresee sorella Elvira nel parco della Casa “Cuore Immacolato di Maria” di Re

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DONNE UMILIATECristiana Dobner

Una donna occidentale che guarda le donne dell’Isis, quale reazione può avere in se stessa? Un impeto di sdegno è la prima reazione, forse incontrollata ma reale, uno sdegno colmo di do-lore e, quasi, di incredulità.

realtà storica, che ogni giorno ci interpella e sconvolge, inquieta e

costringe ad una rifl essione che, se non deve passare per i canali dell’emotività, tuttavia non può dimenticare o annul-lare quelli della sensibilità. A maggior ragione quando è in gioco una sensibilità femmini-le che posa il suo sguardo sulle donne, con cui condivide il per-corso esistenziale anche se in nazioni diverse, appartenenti a mentalità differenti.Una donna occidentale che guarda le donne dell’Isis, quale reazione può avere in se stessa?Un impeto di sdegno è la prima reazione, forse incontrollata ma reale, uno sdegno col-mo di dolore e, quasi, di incredulità. Pare quasi impossibile che degli uomini, dove si in-tenda dei maschi, si dimostrino tan-to poco persone e così barbari con le donne. Resta da vedere se il de-nominatore cambia:

se si trattasse delle loro madri, sorelle o spose, si comportereb-bero allo stesso modo?Non ho modo di verifi care e, sic-come la speranza è proprio l’ul-tima ad essere sconfi tta, un fi lo forse rimane ancora intatto.I maschi Isis adottano le loro tecniche bellicose con le donne nemiche?Sono nemiche delle piccole bam-bine che contano sette o otto anni e vengono consegnate ad un uomo che passa la trentina o la quarantina ad uso... moglie? Oppure imbottite di esplosivo e fatte saltare in aria?Se così è, il confi ne dell’umano ormai è valicato.

Sono nemiche delle inermi studentesse, che non chie-dono altro che di poter uscire da un’ignoranza secolare e stare al mondo da persone che sappiano pensare e comunicare?Una volta rapite dove si trovano? Quale il loro quotidiano, gravido di dolore e di fi gli né voluti né attesi con gioia? Donne violate e conside-

rate solo fattrici, umiliate nella loro femminilità per far prevari-care una forza ideologica che si rivela violenza allo stato puro.Donne che sono costrette a condividere la loro esistenza con altre donne, dette mogli, in uno stato di poligamia che non può donare stabilità affettiva, amore, senso e progetto alla vita di coppia.Lo sguardo di me donna si posa però anche su altre donne mu-sulmane: Malala che, giovanissi-ma, ha saputo cogliere il centro motore di ogni evoluzione della donna e ha combattuto pagan-do di persona. L’ignoranza, in cui viene mantenuta la donna, costi-tuisce la vera prigione da cui non potrà mai uscire perché gliene mancheranno gli strumenti. Ma-lala è una giovane donna, insie-me fragile e di acciaio, che non ha deposto le sue armi silenti e costruttive quando è stata assa-lita da armi fragorose e dilanian-ti. Una testimone che contagerà e aiuterà le sue connazionali a ribellarsi e a forgiare una nuova generazione.E poi, la regina Rania, di eleva-ta classe sociale indubbiamente

La

MalalaYousafzai

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DONNE UMILIATE

Perché distruggela propria storia?Prima le statue e i manufatti del museo di Mosul, poi il prezioso sito archeologico di Nimrud, a po-che decine di chilometri dall’attuale roccaforte in Iraq del Califfato isla-mico di Abubakr al Baghdadi.

Continua a scatenarsi la cieca furia distruttrice dell’Isis, talmente in-sensata da diventare in questi casi “autodistruttrice”. Perché acca-nirsi contro le proprie radici e la propria storia signifi ca in qualche modo negare se stessi. La storia dell’umanità infatti ci insegna che non c’è alcuna possibilità di futuro senza accettazione e preservazione della memoria. Persino quando questa comportasse il peso di “cicatrici” incancellabili e imba-razzanti, come mostra la recente storia europea. Non ci può essere fu-turo senza custodire ed interpretare le orme dei padri, lasciate durante secoli di civiltà, tradizioni ed arte, ispirati anche dalla fede religiosa.

e con un altro bacino di ascol-to, che sa imporsi sulla scena musulmana non solo per la sua bellezza e la sua classe ma per l’intelligenza delle sue proposte e la sua evidente emancipazione legata al suo mondo musulmano.Queste donne, insieme ad altre emergono.Che dire del sottobosco? Di tut-te le donne anonime che mai conosceremo e sferrano la loro battaglia con mani nude per difendere la loro dignità e per poter progredire? L’eco risuona e non può non proporre una novità che sarà dirompente e vincerà la furia di chi, crudele e dissennato, si lascia avvincere da bandiere sventolate e cortei pseudo trionfali.Nel mondo musulmano vivono anche tante donne cristiane che vengono calpestate conti-nuamente.E infi ne, Asia Bibi la cui voce diventa sempre più fl ebile, quanto più si allunga un’ingiu-sta prigionia.Donne cui non viene ricono-sciuta la più elementare liber-tà: quella della fede.I diritti per cui ci si è battuti in

nome della dignità della liber-tà del pensiero vengono irrisi e soffocati nel sangue.Le brutalità di cui veniamo a conoscenza, spavalda diffu-sione, perché costantemente ostentata, sono raccapriccian-ti. Tuttavia, sembrano cadere nel vuoto perché continuano a ripetersi, senza sosta.Donne e piccole bambine co-strette ad abiurare per salvare la vita e ritrovarsi nei mercati e vendute come bestiame per pochi dollari.Quale la loro vita in mano a chi le ha comprate?Non sono interrogativi reto-rici, senza fondamento o solo possibilisti. Sono interrogativi laceranti: è suffi ciente scorre-re qualche immagine e vedere le lunghe colonne delle donne velate di nero, incatenate ed esposte al ludibrio di un’asta.Il foro boario è più serio e con-trollato.Se la dignità della donna è cancel-lata, dove si trova quella del com-

pratore? Il gesto si qualifi ca da sé.Totalitarismo, fondamentalismo, non portano che a questi ecces-si, dove i confi ni della decenza e del rispetto ormai sono stati cassati e al loro posto è stata imposta una pseudo etica.L’orrore che coglie non è gene-rico o generale, ogni volta che una donna viene umiliata, tutte le donne vengono umiliate, indi-pendentemente dal colore della loro pelle, della loro nazionalità, della loro fede religiosa. ■

Asia Bibi

La reginaRania di Giordania

Foto a sinistra:Donne condotte al mercato per essere vendute e bambine/schiave soldato

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UNA CORSA VERSO IL CIELOFranco Pepe

Si è chiuso nella diocesi di Vicenza la prima fase del processo di canonizzazione della Serva di Dio Bertilla Antoniazzi, iscritta al Centro Volontari della Sofferenza, distintasi per carità e virtù evangeliche. Il vescovo Beniamino Pizziol lo ha annunciato in Duomo il 25 marzo 2015 nel corso di una Messa solenne.

volo di Bertilla verso gli al-tari procede leggero. Le sue

ali profumano di santità. Il suo sorriso è un’idea di Paradiso. La sua vita resta come messaggio divino da portare sulla Terra per insegnare a donarci agli altri. Il tribunale ecclesiastico ha con-cluso i lavori iniziati l’8 febbraio dello scorso anno nell’ospedale di Vicenza dove si compì la sua epopea cristiana, nella ricorren-za della Giornata Mondiale del Malato.

Ora la bambina diventata donna con l’innocenza del cuore potrà coronare in Cielo il sogno culla-to in una breve vita diventata rosario di sacrifi cio e missione d’amore. Il Tribunale ha ascol-tato 27 testimoni e esaminato 30 testimonianze scritte pochi mesi dopo la morte di Bertilla da persone che avevano condi-viso con lei i giorni del ricovero nell’ospedale di Vicenza, cono-scendone da vicino lo sguardo radioso, la parola ispirata, il

pensiero rivolto al tabernacolo, il sostegno morale come energia carpita alla sofferenza. Nel pro-cesso sono state inserite anche testimonianze molto più recenti di grazie ricevute nel Nord e al Sud d’Italia, che si riferiscono in particolare a bambini nati in situazioni cliniche ritenute impossibili, proibitive, dopo le preghiere di intercessione ele-vate verso Bertilla da giovani genitori che hanno avuto fi du-cia in lei. Ora tutti i documenti

IL

Bertilla Antoniazzi(1944-1964),

venne colpita a otto anni da un’endocardite reumatica,

che la costrinse a numerosi ricoveri in ospedale.

Maturò un intenso spirito di preghiera d’intercessione,

cercando di offrire ogni momentodella sua vita a Dio

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verranno trasmessi in Vaticano a Roma, alla Congregazione delle Cause dei Santi, per i passi suc-cessivi. Tutti i testimoni sono stati con-cordi nell’affermare che Bertilla, oltre essere un fulgido modello di virtù cristiane, non si lamentò mai per il suo stato di perenne malata, che sapeva trasmettere a tutti serenità, gioia, vicinan-za, che aveva un’anima colma di fede, che amava pregare fa-cendo della preghiera una dolce violenza verso il Cielo perché ricadessero sugli altri le grazie e la protezione di Dio, che per gli altri malati fu straordinaria ancella del Signore, singolare fi -gura di carità, giovane e fragile come era ma in fondo così forte, in grado di offrire aiuto e con-solazione, coraggio e speranza. La lezione di Bertilla resta alta e solenne. Nella semplicità della vita riesce a dimostrare come la sofferenza vissuta attraverso la fede acquisti il senso più alto in quanto diventa contributo per partecipare con Gesù alla sal-vezza dell’umanità. La sua santità nasce da un’edu-cazione profondamente cristia-na, appresa dai genitori e ma-turata con grande convinzione attraverso le prove del dolore di fronte a diffi coltà sempre più impervie affrontate con ecce-zionale spirito di accettazione, nella visione di un piano di Dio che non si può conoscere ma è dettato dall’amore senza limiti, sperimentando ogni istante la verità che Gesù è sempre più vicino a chi soffre, anzi predi-lige chi soffre. Un sacerdote che la confessò negli ultimi mesi di

vita racconta come Bertilla fos-se una ragazza veramente felice. Per lei Gesù era praticamente la felicità. Per questo sapeva rico-noscerlo in lei e negli altri. Per questo aiutava gli altri, soprat-tutto i malati, a trovarlo nelle piaghe del loro corpo, nei miste-ri di una pur diffi cile e tormen-tata esistenza. La sua felicità di vivere era attesa di felicità futu-ra nella dimensione celeste, era attesa della vita futura in Dio. Bertilla lo sapeva, lo aveva ca-pito, e cercava di spiegarlo agli altri con la gioia di essere e di partecipare ai drammi, anche alla disperazione di chi le sta-va vicino. Quella ragazzina, nata in mezzo alla guerra più feroce, battezzata in quella chiesa di San Pietro Mussolino bruciata nel 1944 assieme al suo parroco dalla barbarie di soldati in fuga, era venuta al mondo per predi-care la pace. A chi le stava vici-no sussurrava che la sofferenza è il lavoro dell’ammalato. Proprio al san Bortolo, l’ospe-dale di Vicenza, dove trascorse gran parte della fugace esisten-za per una grave malattia cardia-ca che l’aveva colpita da bambi-na posandosi come una farfalla sul fi ore della santità, è iniziato il processo di beatifi cazione di questa giovane scomparsa a 20 anni con la gioia di portare sul Calvario il peso della Croce sen-za avvertire la morsa delle spi-

ne. Bertilla Antoniazzi moriva il 22 ottobre del 1964, lasciando il ricordo di un volto candido, di un entusiasmo inarrestabile, di una dolcezza che incantava. Era nata a San Pietro Mussolino il 10 novembre del 1944, in una famiglia di 8 tra fratelli e sorelle, e i genitori, per curarla meglio, avevano deciso di prendere casa a Vicenza. Un’infanzia e, poi, una giovinezza diffi cili, in com-pagnia sempre di una perfi da malattia. Per Bertilla sarebbero stati 12 anni vissuti fra la sua cameretta e l’ospedale, senza che venisse mai meno in lei un progetto interiore che vedeva al centro Gesù. Nella grande ca-merata del reparto di medicina dell’ospedale di Vicenza Bertilla occupava sempre il primo letto a destra dopo la porta. Soffriva di uno scompenso che le causava forti dolori, un respiro affanno-so. Aveva bisogno continuamen-te di assistenza, di ossigeno, soffriva molto, ma il suo aspetto non tradiva alcuna pena. Non si lamentava mai. Gli occhi erano luminosi. Guardavano ver-so l’alto. C’era qualcosa in lei di sopranna-turale, come una fi amma divina che la trasfi gurava, rendendola eroica testimone della soffe-renza da accettare fi no in fondo e fi no all’ultimo. Una storia di santità, la sua, che, come detto, ha trovato suggello proprio al San Bortolo dove il dolore come dono divenne la sua stimmate cristiana e che ora, a 70 anni dalla nascita e a 50 dalla morte, diventa la sua aureola distinti-va per entrare nel consesso dei santi. ■

La mia vocazione è di fare l’ammalata e

non ho tempo di pensaread altre cose!

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GIOSY CENTO PER IL BEATO NOVARESEConcerto dal vivo al Gruppo Abele

di Torino per la presentazionedel nuovo libro “Guarire a Lourdes.La via del beato Luigi Novarese”.

non sono un diverso, la mia anima è grande. Ho

tanti amici e te, Mamma del Cielo, che sussurri nel cuore le risposte più eterne e che Cri-sto è risorto soprattutto per me”. Don Giosy Cento ha volu-to iniziare con la canzone “Due stampelle” sabato 14 febbraio, presso la sede del Gruppo Abe-le di Torino, in occasione della presentazione del libro “Guari-re a Lourdes. La via del beato Luigi Novarese”, il nuovo volu-me che ha come protagonista il sacerdote piemontese, nato a Casale Monferrato, Alessan-dria, il 29 luglio 1914 e defi -nito da san Giovanni Paolo II “l’apostolo degli ammalati”.L’evento è stato organizzato dal Centro Volontari della Sof-ferenza di Torino e ha visto la partecipazione di oltre 150 persone arrivate da tutto il Piemonte. Prima dell’esibizione del sacer-dote viterbese defi nito “can-tautore di Dio”, ha preso la

parola don Armando Aufi ero, Responsabile per l’apostolato del CVS, che ha presentato il libro “Guarire a Lourdes. La Via del beato Luigi Novarese”, (13 euro, 220 pagine, 21 capitoli, pubblicato dalle Edizioni CVS), scritto da Mauro Anselmo, giornalista di Torino e biografo del beato Novarese. “Questo è un libro scritto dal punto di vista degli ammalati – spiega Aufi ero. Cioè di coloro che, affetti da una grave in-fermità, vivono il dolore nella propria carne giorno per gior-no, posano il loro mite sguardo sul mondo con il capo reclina-to sul poggiatesta di una car-rozzina o pregano davanti alla grotta di Massabielle adagiati su una barella. I malati e il loro dolore innocente. Lo scan-dalo ignobile che non ha mai cessato di straziare il mondo e interrogare la fede”.È in questo contesto che si inserisce l’insegnamento spiri-tuale del beato Novarese. Egli sapeva che cos’era la sofferen-za. Non per sentito dire, ma perché l’aveva vissuta durante la giovinezza. Malato di tuber-

colosi ossea, dato per spac-ciato dai medici perché nel-la prima metà del Novecento non esistevano cure effi caci, sopravvisse alla malattia gra-zie a una guarigione avvenuta per grazia divina che i dottori defi nirono “scientifi camente inspiegabile”. E nell’infermità trovò la strada.“Guarire a Lourdes. La via del beato Novarese”, si affi anca alla biografi a “Luigi Novarese. Lo spirito che cura il corpo” ed è nato con questo preciso obiettivo: raccontare, come si legge nell’introduzione “il modo con il quale gli ammala-ti affrontano il dolore alla luce della fede. Come lo pensano e lo vivono. I malati visti nel ruolo di testimoni nella nostra società che il dolore nasconde o ignora, attraverso i messaggi di una cultura ipocrita, diffusa apposta dai media per evitare le domande essenziali della vita”. “Il libro – prosegue don Au-

Io“

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GIOSY CENTO PER IL BEATO NOVARESEfi ero – racconta i pel-legrinaggi pasquali del CVS di Brescia dal 2011 al 2013. Inizia presen-tandoci le testimonian-ze degli ammalati a Lourdes. E ci conduce, il sabato santo, nella basilica sotterranea di san Pio X dove – com’è tradizione del pellegri-naggio del CVS – sono i malati a raccontare, davanti alla pla-tea, la loro esperienza di fede nella malattia. Dopo la presentazione di don Armando Aufi ero, è venuto il momento del concerto. Amico del CVS, da quasi quarant’anni don Giosy si dedica all’evan-gelizzazione attraverso le sue canzoni. Ha com-posto più di 800 brani musicali e si è esibito in oltre 3 mila concerti. Saba-to ha anche cantato alcuni brani dal suo nuovo album “Ho fatto un sogno”, ispi-rato al sogno di fratellan-za di Martin Luther King. “Lui gridò il suo sogno di libertà, di giustizia, di uguaglianza, di democra-zia – ha spiegato il sacer-dote. Ho rifl ettuto che, ancora oggi, non abbiamo realizzato quel sogno. Per questo ho dedicato la mia rifl essione e la mia musica a tematiche quanto mai at-tuali”. ■

Sabato 14 febbraio alla «Fabbrica delle E» del Gruppo Abele. Sono da poco passate le tredici e stiamo sistemando locandine libri e CD sui tavo-li dell’accoglienza nel grande salone di don Ciotti... Don Giosy arriva con Giovan-nina e Giuseppe, ... Ciao, ben-venuto! È il suo sorriso che ti apre il cuore e ti fa pensare che oggi, il suo carisma nel cantare la vita, sarà un mo-mento di comunione fraterna e spirituale indimenticabile. Un grande dono, don Giosy, specialmente per i giovani, ai quali dedica molto del suo tempo.Mentre esegue i sui brani, scorrono alle sue spalle le im-magini della gente, della natu-ra, della gioia e del dolore. Ci accorgiamo che Dio ci parla attraverso il canto e la musica, così ogni canto è meditazione e preghiera. A volte gli occhi di don Giosy si chiudono ver-so il cielo e la melodia vocale diventa passione e amore per la vita, per i valori umani; una sensibilità che lo fa entrare nel cuore della gente.Parla del CVS, quando nel 1997 esce il CD “C’è ancora mare”. Poi partono le note di “Salve Regina Sorella” e tutti cantiamo pensando al bea-to Luigi Novarese che a suo tempo fece della musica uno strumento di comunicazione verso i fratelli sofferenti...Nell’ultimo brano, ci coinvol-ge con una gestualità festosa che termina mano nella mano come quando recitiamo il Pa-dre Nostro. Ci restano in men-te tanti spunti arricchenti e nel nostro cuore c’è un senso di piacevole serenità. Grazie don Giosy.

(Mauro M.)

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DIOCESI DI GORIZIA

Domenica 1 febbraio in molti ci siamo ritrovati nella chiesa di Campo-longo (Gorizia) per ringraziare il Signore del grande dono del ministero sacerdotale di don Ennio Tuni che da ben 65 anni porta frutti copiosi nella nostra diocesi. Una Celebrazione semplice, sobria, molto partecipata; non solo tanti fedeli amici e parrocchiani, ma anche tanti confratelli sacerdoti.Già dall’inizio l’emozione ha conquistato il cuore di molti, in primis don Ennio che sembrava quasi incredulo che tutto ciò potesse essere vero. Poi le parole di don Giorgio Giordani che partendo dalla Parola ha sot-

tolineato il valore del “dire con autorità” e dell’essere testimoni credibili così come ha saputo dire ed essere don Ennio nelle sue tante esperienze ecclesiali alle quali ha donato sempre tutto se stesso senza abbattersi neanche quando situazioni diffi cili lo hanno messo alla prova. Alla fi ne della liturgia poi, molte sono state le parole di riconoscenza e gratitudine al Signore ed a don Ennio da parte del vescovo Carlo, di don Giorgio che in questi ultimi anni ha coadiuvato e dato voce nel momento del bisogno a don Ennio, da parte del sindaco e di un parrocchiano di Campolongo, nonché dal Vice Responsabile dei Silenziosi Operai della Croce, don Luigi Garosio, con un messaggio – letto dal diacono giunto direttamente da Roma per l’occasione – che si chiudeva con queste parole: “[...] La Chiesa della terra e del cielo dunque partecipa al tuo “grazie” e prega per il tuo sacerdozio. Molto ancora puoi donarci e noi vogliamo fare tesoro del tuo esempio e del tuo ministero segnato dal dolore e contrassegnato dall’amore.Un forte abbraccio con gli auguri più belli da tutta la famiglia spirituale del beato Luigi Novarese che hai conosciuto, stimato e amato”.

AUGURI, DON ENNIO Campo-!

CVS DI MODENA

Il 19 febbraio 2015, in Duomo, a Modena, una profonda emozione ha commosso i partecipanti alla solenne cerimonia funebre per l’arcivescovo monsignor Antonio Lanfranchi, che si è spento due giorni prima, stroncato da una leucemia diagnosticata la scorsa estate.Migliaia di fedeli, giunti non solo dal mode-nese, hanno seguito la Messa nella cattedrale gremita e davanti ai maxischermi allestiti in piazza Grande. Numerose le autorità pre-senti. A presiedere la Celebrazio-ne è stato il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo metro-polita di Bologna, Presiden-te della Conferenza episco-pale emiliano romagnola, insieme a 23 vescovi e quasi duecento sacer-doti, di cui 50 della

diocesi di Piacenza-Bobbio (terra di origine di monsignor Lanfranchi) e 30 della diocesi di Cese-na-Sarsina che il presule aveva guidato, approfon-dendo il carisma e l’apostolato del CVS, prima di

essere designato a Modena. Molti ricordi, pervasi di amicizia e gra-titudine, legano la nostra Associazione a mons. Lanfranchi, come la chiusura della fase diocesana del processo di

Canonizzazione della Serva di Dio Anna Fulgida Bartolacelli avve-

nuta il 4 dicembre 2010 e la sua presenza, in più occasio-ni, a Re, nella Casa “Cuore Immacolato di Maria” per la predicazione degli Esercizi spirituali degli ammalati e ai Silenziosi Operai della Croce.

015, in Duomo, a Modena, una e ha commosso i partecipanti

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GRAZIE Mons. Lanfranchi

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“TUTTI VORREI ABBRACCIARE CON AMORE”Il testamento spirituale dell’arcivescovo, scritto di suo pugno nel settembre 2014

Accingendomi a stendere il mio testamento, che vorrei essere “essenziale”, parto dal Salmo 84: “Beato chi trova in Te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio” (Sal 84, 6). Grazie al dono della fede ho percorso il cammino della vita come un viaggio “santo” diretto verso una meta certa, che ha sostenuto la speranza.Ora, giunto al termine di questo viaggio, giun-to davanti alla Maestà Divina, alla Gloria della Trinità, parafrasando le parole di S. Agostino, prego: “Davanti a Te, o Signore, è la mia debolezza, la mia fragilità, il mio pecca-to; davanti a Te è la mia forza, quello che per tua grazia mi hai dato di realizzare di bene. Questo prendilo, quello perdonalo”.Con verità devo confessare che il fi lo d’oro che ha unito la mia vita è l’amore misericordioso di Dio e solo quello; amore che si è manifestato nel dono della vita, della vocazione al sacer-dozio, nel dono dell’episcopato, nella grazia di essere vissuto nella Chiesa, nei vari presbiteri, nelle Comunità. Quante grazie!Tante volte mi sono chiesto: “Dove potresti es-sere ora se il Signore non ti avesse chiamato? Quale sarebbe stato il tuo destino?”. Ringrazio il Signore di non avermi mai abbandona-to con il suo amore. Ringrazio la Dolcissima Mamma del Cielo, Maria, di avermi avvolto sempre nel manto del suo grembo.Ho avuto la grazia di nascere e di crescere in una famiglia di montagna, povera ma dignitosa a cui non è mancato l’essenziale, sostenuta dal dono della fede, dove valori umani e cristiani si fondevano, dove parrocchia, scuola e famiglia trasmettevano una visione unitaria di vita.

Ringrazio per la testimonianza che mi hanno offerto e per i sacrifi ci compiuti per me i miei genitori e i miei fratelli e gli altri familiari; ringrazio gli insegnanti, gli educatori, i par-roci. Attraverso la loro testimonianza ho im-parato a vivere nell’essenziale delle cose sem-plici della vita, ad apprezzare la ricchezza e la bellezza della vita in sé, affrontandola nel suo realismo.Grazia del Signore è stato il Seminario Urbano, grazia è stato il Collegio Alberoni; grazia sono stati gli studi a Roma e le esperienze pastorali che mi hanno permesso di amare e apprezza-re tutte le vocazioni, vivendo nella Chiesa la corresponsabilità, la compresenza e la comple-mentarietà dei doni dello Spirito.Ringrazio il Signore del dono grande della Chiesa che mi richiama la presenza storica di Gesù Cristo.Quello che ho ricordato è ben poco rispetto a quello che avrei dovuto dire.Chiedo perdono se ho offeso qualcuno; ho cer-cato di non mantenere rancore o odio con nes-suno e se qualcuno si è sentito escluso, chiedo umilmente perdono.Tutti vorrei abbracciare con amore.

✠ Antonio Lanfranchi

Modena 14.9.2014

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VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

WEEKEND DI SPIRITUALITÀper famiglie e fi danzati

VALLELUOGO (Av),8-10 maggio 2015

Guiderà l’incontro don Armando Aufi eroOgni famiglia provvederà a dare l’adesione al proprio Responsabile diocesano o telefonan-do direttamente a Casa “Beato Luigi Novarese” - Valleluogo:

0825827650 / 0825871417Per qualsiasi informazione, chiamate allo 0805797185 / 3406632860 o scrivete a

[email protected]

È disponibile un servizio di babysitter per i più piccoli e di attività ludiche per i più grandi.

noicvsNoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs

26 luglio - 1 agosto 2015

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VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

WEEKEND DI SPIRITUALITÀper famiglie e fi danzati

noicvsNoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs LEGA SACERDOTALE MARIANA • SILENZIOSI OPERAI DELLA CROCE

64° Pellegrinaggioa LOURDES

26 luglio - 1 agosto 2015Presieduto da Sua Em.zacard. Giuseppe Versaldi

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La gioia dellamissioneLe meditazioni ai sacerdoti saranno tenute dalcardinale Giuseppe VersaldiLe catechesi ai pellegrini saranno proposte dalvescovo Domenico Cancian

Servizio Dialisi

Si ricorda che il Centro Dialisi UNITÈ D’AUTODIALYSE

PAU NAVARRE dista circa 40 km da Lourdes. Tutti possono usufruirne. Le richieste in merito

siano comunicate quanto prima (45 giorni prima della partenza) per la prenotazione e lʼinvio della documentazione necessaria.

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IN TRENO:da Reggio Calabria,

Lamezia, Battipaglia, Napoli, Aversa, Roma Ost., Grosseto, Livorno,

Pisa, Massa Centro, La Spezia, Chiavari, Genova Brignole, Savona, Arma di Taggio, Ventimiglia.

Quota di partecipazione (da tutti i luoghi di partenza):

ACCUEIL NOTRE DAME (sacerdoti e pellegrini disabili) € 580• per bambini fi no a 2 anni, gratuito

• da 2 a 12 anni € 480HOTEL*** (camere a 2 letti) € 720

• per bambini fi no a 2 anni, gratuito• da 2 a 12 anni € 620

La quota comprende: l’iscrizione, il viaggio in treno (in cuccetta di seconda classe con 6 passeggeri); la pensione completa, escluso il vino, dal pranzo di domenica 26 a quello di sabato 1 agosto; i trasferimenti dalla stazione di Lourdes agli alloggi e viceversa; il distintivo, il libretto del pellegrinaggio, l’assicurazione contro gli infortuni.Supplemento camera singola: € 160 in albergo.