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NOTIZIARIO E BIBLIOGRAFIA Consuntivo del quarto Colloquio Dliceneo. Pyocudings oj the Cambridge Colloquium on Mycenaean Studies, edd. L. R. PALMER - J. CHADWICK, Cambridge, University Press 1966, pp. 310. Già nell'autunno del 1966 è stato pubblicato il denso volume degli Atti del collo- quio per gli studi micenei tenutosi a Cambridge (Downing College) dal 7 al 12 aprile 1965. Come avvenne coi precedenti l, anche questo volume segna un'importante tappa nel continuo evolversi e perfezionarsi di una nuova disciplina, la quale ha saputo in pochi anni di vita darsi una propria fisionomia e, attraverso un severo metodo di lavoro, arrivare a risultati cospicui nelle varie branche che la contraddistinguono, quella epi- grafica, quella linguistica e quella ermeneutica. In vista appunto di ciò i contributi dei singoli relatori sono stati suddivisi in quattro sezioni : I. Epigrafia, II. Dialetto e fone- tica, III. Morfologia, formazione delle parole e sintassi, IV. Interpretazione. Precedono alcune pagine introduttive (Report oj the Fourth Colloquium, pp. 1-8) dedicate al pro- gramma delle sedute e all'esposizione delle risoluzioni prese per un ulteriore perfeziona- mento delle norme che presiedono alla traslitterazione dei testi micenei. Queste non si differenziano molto dalla « Convenzione di \Vingspread I): in particolare si raccomanda, nell'edizione e presentazione di testi micenei traslitterati, di usare la virgola come tra- scrizione dei trattini separatori di parole, il numero corsivo preceduto da asterisco come trascrizione degli ideogrammi di valore ignoto, nonché l'uso della lineetta separatrice di sillabogrammi; d'altra parte si stabilisce di traslitterare il segno ·97 (diverso da ·66 = tal) con two e di lasciare pel momento inalterate le traslitterazioni a., ai, pu., ra" ya 3 , ro. e tal fissate per i segni .25, ·43, ·29, ·76, ·33, ·68, ·66, rimandando a tempi più maturi un tipo di traslitterazione più consono alla realtà dei fatti. Restano ancora trascritti coi semplici numeri il segno .56 (letto da alcuni pa 3 ) e il ·65 (letto talora ju). La prima sezione di contributi è dedicata a problemi molto delicati e complessi, concernenti l'epigrafia dei testi micenei. Il lavoro più notevole al riguardo, attorno al quale gravitano altre ricerche delle sezioni successive, è quello di J. T. KILLEN - J.-P. OLIVIER, 388 raccoYds de jyagments dans les tablettes de Cnossos (pp.47-92), a cui ha con- l Per il primo colloquio tenuto a Gif-sur-Yvette nel 1956 v. il volume Études m)'céniennes, ed. M. Lejeune (Paris. C.N.R.S . 1956); per il secondo tenuto a Pavia nel 1958 v. Atti del 2. Colloquio internazionale di studi minoico-micenei, in «Athenaeum t N . S. 36 (1958), pp. 295-436; per il terzo tenuto a Racine nel 1961 v. Mycenaean Studies, Proceedings of the 3rd Intern. Colloquium for Mycenaean Studies, a cura di E. L. Bennett (Madison 1964),

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NOTIZIARIO E BIBLIOGRAFIA

Consuntivo del quarto Colloquio Dliceneo.

Pyocudings oj the Cambridge Colloquium on Mycenaean Studies, edd. L. R. PALMER -J. CHADWICK, Cambridge, University Press 1966, pp. 310.

Già nell'autunno del 1966 è stato pubblicato il denso volume degli Atti del collo­quio per gli studi micenei tenutosi a Cambridge (Downing College) dal 7 al 12 aprile 1965. Come avvenne coi precedenti l, anche questo volume segna un'importante tappa nel continuo evolversi e perfezionarsi di una nuova disciplina, la quale ha saputo in pochi anni di vita darsi una propria fisionomia e, attraverso un severo metodo di lavoro, arrivare a risultati cospicui nelle varie branche che la contraddistinguono, quella epi­grafica, quella linguistica e quella ermeneutica. In vista appunto di ciò i contributi dei singoli relatori sono stati suddivisi in quattro sezioni : I. Epigrafia, II. Dialetto e fone­tica, III. Morfologia, formazione delle parole e sintassi, IV. Interpretazione. Precedono alcune pagine introduttive (Report oj the Fourth Colloquium, pp. 1-8) dedicate al pro­gramma delle sedute e all'esposizione delle risoluzioni prese per un ulteriore perfeziona­mento delle norme che presiedono alla traslitterazione dei testi micenei. Queste non si differenziano molto dalla « Convenzione di \Vingspread I): in particolare si raccomanda, nell'edizione e presentazione di testi micenei traslitterati, di usare la virgola come tra­scrizione dei trattini separatori di parole, il numero corsivo preceduto da asterisco come trascrizione degli ideogrammi di valore ignoto, nonché l'uso della lineetta separatrice di sillabogrammi; d'altra parte si stabilisce di traslitterare il segno ·97 (diverso da ·66 = tal) con two e di lasciare pel momento inalterate le traslitterazioni a., ai, pu., ra" ya3, ro. e tal fissate per i segni .25, ·43, ·29, ·76, ·33, ·68, ·66, rimandando a tempi più maturi un tipo di traslitterazione più consono alla realtà dei fatti. Restano ancora trascritti coi semplici numeri il segno .56 (letto da alcuni pa3 ) e il ·65 (letto talora ju).

La prima sezione di contributi è dedicata a problemi molto delicati e complessi, concernenti l'epigrafia dei testi micenei. Il lavoro più notevole al riguardo, attorno al quale gravitano altre ricerche delle sezioni successive, è quello di J. T. KILLEN - J.-P. OLIVIER, 388 raccoYds de jyagments dans les tablettes de Cnossos (pp.47-92), a cui ha con-

l Per il primo colloquio tenuto a Gif-sur-Yvette nel 1956 v. il volume Études m)'céniennes, ed. M. Lejeune (Paris. C.N.R.S. 1956); per il secondo tenuto a Pavia nel 1958 v. Atti del 2. Colloquio internazionale di studi minoico-micenei, in «Athenaeum t N . S. 36 (1958), pp. 295-436; per il terzo tenuto a Racine nel 1961 v. Mycenaean Studies, Proceedings of the 3rd Intern. Colloquium for Mycenaean Studies, a cura di E. L. Bennett (Madison 1964),

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tribuito qua e là anche il Bennett. Non occorre spender troppe parole per sottolineare come il recupero di nuove tavolette anche attraverso la congiunzione di frammenti che, isolati, costituivano porzioni di testo del tutto insignificanti apporti dati preziosissimi per l'accrescimento delle nostre conoscenze sulla lingua e sulle istituzioni micenee. L'Oli­vier, a cui si deve la gran parte delle congiunzioni, ha fatto quindi opera altamente meri­toria e gli dobbiamo essere oltremodo grati per il suo paziente e meticoloso lavoro di restauro a cui accudiva da parecchio tempo I. Diamo solo uno stralcio dei tanti problemi che le nuove tavolette pongono (e, talora, risolvono). Dal punto di vista linguistico ed ortografico il dato più sensazionale è la forma di nom.-acc. duale a-ko-1'o-we-i, con desinenza -i anziché -e: KN Ch 7100 + 7703 3 ]a-ko-1'o-we-i BOS ze 1[. Prima della congiunzione si leggeva solo un isolato a-ko-1'o-we-i[. Difficile dare una spiegazione plau­sibile a questo nuovo fenomeno che giustamente l'Olivier cataloga fra quelli fonetici piuttosto che morfologici. Il passaggio di -e ad -L potrebbe essere, a parer mio, deter­minato dall'influsso del non troppo lontano w (cfr. ai-ke-wa-to / ai-ki-wa-to e altri esempi di e > L in vicinanza di labiale) o meglio ad una «Kontaktdissimilation» e-e: > e-L,

di cui non abbiano esempi consimili nel greco classico (ma si confronti evento U6ç < Mç), ma che forse potrebbe essere attestata ancora una volta nel miceneo nella forma verbo a-pe-i-si letta à.m~EVcrL, come suggerisce lo Scherer (Hndb. d. &iech. Dial.1 II p. 351, cfr. anche Restelli, « Aevum» 35, 1961, p. 310, e Vilborg p. 106). Alla luce di questo fatto si potrebbe considerare su nuove basi il problema dell'alternanza -e-e / -e-i nel dato sing. dei temi in sibilante (v. su questo punto anche O. Szemerényi più avanti, p. 218 e n.), essendo ora possibile sostenere che -e-i anziché un locat. -EL rifletta piuttosto un dato -ÉEL con -EL passato a pronuncia più chiusa, quindi -e-I. Resta comunque ancora da spiegare il comparire dei dativi in -i, attestati più spesso a Micene ma di cui non man­cano esempi a Cnosso (due altri esempi attraverso le nuove congiunzioni: ta-qa-1'a-ti V 7512 + 7714 + 7716 e [po-ma-no-1'i] L 759 + 8023), in altri tipi di temi. Per quanto riguarda la declinazione dei temi in -u, notevole il fatto che bisognerà ormai scartare la lettura, già ritenuta sospetta, di e-1'i-nu (Fp1) come 'EpLVUL, dal momento che sul rovescio di V 52 + 52 bis, che nessuno aveva ancora letto, è attestato e-1'i-nu-we 'EpL\lofe:L. E-1'i-nu sarà quindi o errore o scrittura abbreviata per e-1'i-nu-we o semplice nomino di rubrica (come ve ne sono tanti nei testi piuttosto schematici di Cnosso). Quanto ai maschili in -ii, è riconfermata la desinenza di duale -a-e: we-ka-ta-e (C 1044 + 7053), che a sua volta sostiene la lettura e-qe-ta-e di As821; questa era stata, a torto, rimessa recentemente in discussione (KT3: e-qe-ta e-ne-ka) . Notevole anche l'attesta­zione di due nuovi esempi della forma verbale qi-1'i-ja-to xWph-ro « acquistò» (B 5761 . + 7040, X 5976 + 8268), sempre in contesti che ricalcano molto da vicino quello già noto di B 822.

Dal lato ortografico rileveremo nu-wa-i-ja (X 1583 + 7747 + 7887), grafia «svilup­pata» rispetto a nu-wa-ja (L 647), cosi come ke-1'a-i-ja-pi lo è rispetto a ke-1'a-ja-pi, oppure po-ti-ni-ja-we-i-jo rispetto a po-ti-ni-ja-we-jo (domando all'Olivier se le varianti

" Sviste ed omissioni, inevitabili in tal genere di lavori (si deve rammentare che l'apparato critico ai singoli testi è stato volutamente compresso) sono molto rare. A p . 65 (Da 1135 + 7182) è dato u-ta-jo: tutti gli edito precedenti hanno u-ta-jo-jo e non si ha la possibilità di controllare la lezione in quanto SM II non riporta fotografia dell'iscrizione; in caso di divergenza di lettura dal testo di KT l'Olivier avrebbe dovuto farne apposita menzione. P. 74 (Dv 1607 etc.): il raccor­do 1607+6017 risale a KTl, non a KT". P. 83 (B 5761+704): nella nota compare un rinvio a KN 9888 che pare fuOri luogo. P. 89 (Dk 7306 + 7831): il testo di KT3 è 9 [ e non 9[. P. 91 (Wb 7713 + 7738): in nota si afferma che do è • révélé par le raccord », ma cfr. le note critiche di KT3 e anche di KT2.

3 Ho citato, per questa sezione della recensione, le iscrizioni di Cnosso secondo la nuova classificazione proposta in margine dai due studiosi.

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grafiche sviluppate non risalgano per caso tutte a mano o mani diverse da quelle che hanno scritto la forma breve) e si-mi-te-u (due volte) = l:(Ltv-&euç con gruppo a(L- ini­ziale scritto a piene lettere (cfr. all'interno di parola i ben noti do-so-mo, de-so-mo, ecc.): è probabile che anche per l:(Ltvll-e:uç si abbia che fare con un' s- d'accatto o secondaria, comunque di pronuncia diversa dall's indoeuropea ereditata. Quasi nulla invece ci dice wo-82-ni-jo a proposito del valore da assegnare ad *82, se non il fatto che un valore del tipo sa diventa sempre meno probabile di fronte ai postulati jo. o ja. (jai).

Dal punto di vista etimologico-lessicale notevole o-re-i di B 7034 + 7705, quasi certamente <lpe:i: « sulla montagna» (quindi radicale *or-, non *orw-;' come si era già incominciato a sospettare dopo le attestazioni di o-re-ta 'OpÉcr-riiç ed o-re-e-wo wo-wo, topon. 'Ope:'ijfoç, -TjfCilv f.). Da notare anche il lessico latente in alcuni antroponimi di significato trasparente, come Pi-ra-ka-wo V 1005 + 7530 + 7567 <I>tÀIXy'lXtf6ç (che ri­conferma a-ka-wi-ja-de 'AXlXtfLIXVBe:, cfr. anche a-ka-wo X 738 probo 'AXlXtF6ç), ma-ki­ro-ne (Gg 995 + 7370 ecc.) dato di MIXY(pCilV < (L&:ye:tPOç «cuoco» e a-ko-ro-da-mo-jo (B 1025 + 5718 etc.), certo un'unica parola, gen. di 'Axp6BiifLOç, la quale conferma il significato « topografico» del termine Bii(Loç (cfr. e-u-ru-da-mo X 1661 EùpuBlXfLOç), a ra­gione sostenuto dal Calderone (Symposium di Brno, cfr. « SMEA » II p. 130); 'Axp6BlXfLOç letto « colui che possiede un da-mo posto su un'altura» o simm. (&xpoç è già indiretta­mente attestato in u-po-ra-ki-ri-ja ed u-pi-ja-ki-ri-jo 'Y7te:p- ed 'Om-&:xptlX).

Per quanto riguarda l'interpretazione, questi nuovi testi gettano spesso notevole luce su quelli già noti, puntualizzandone una quantità di particolari che qui sarebbe troppo lungo elencare. Mi contenterò di rammentare l'individuazione di tre nuovi nomi di funzionari tra loro paralleli (argomento di un futuro lavoro dell'Olivier), a-to-mo, du-ma e da-mo-ko-ro, e questo in base alla migliorata lettura di C 979+7051 +7657. che ci permette di intendere, dopo la menzione di quattro toponimi, a-to-mo SUS 1 « All'a­to-mo 1 maiale ». Anche fra i nomi di mestiere femminili dobbiamo registrare qualche novità, come ne-we-wi-ja (Lc560 etc.), parallelo a ne-we-wi-ja di PY Aa, Ab ecc. (quindi, evidentemente, non più etnico, dato che viene attestato per due località; su questo punto V. anche sotto p. 115). Interessante anche ne-ki-ri-de (Ak 780 + 7004 + 7767), che non è più possibile tradurre « manto funebre ». Forse femm. di ve:xp6ç?? (cfr. il tipo 'AXlXtLç, a-rplX-rlly(ç ecc.). Resta comunque problematica l'iscrizione L 588 + 644 + 5777, dove a 1. 3 viene ricomposta la frase ku-do-ni-ja-de di-du-me o-qo-o ki-te che leggerei ex. gr. KuBCilV(lXvBe:' B(Bu(Le:v (= B(BofLe:V?) OXwOLOV axta&Év (?, ma non vedo come il ver­bo ax(~Cil possa inserirsi nella terminologia tecnica della lavorazione della lana). D'altra parte, riprendendo l'iscriz. DI 932 trattata nella nota a DI 7138+ 7671 (quest'ultima importante perché stabilisce in maniera inequivocabile che a-ko-ro è nome di perso e quindi l' e-pe-ke che lo segue nell'altra è forma verbale), non vedo perché si insista ancora nella lettura è7te:LXe:, Ètp'ijxe: e simm.; più naturale, dato il genere del contesto, mi pare un impf. del verbo 7tÉXCil (cfr. pe-ki-ti-ra. e pe-ko-to, 7tÉX-rptlX e 7te:x-r6ç), quindi ~7te:y.~

« tosò, ha tosato» (il ricorso ad un impf. anziché ad un aoristo è ovvio per un verbo di significato fondamentale durativo): cfr. per l'aumento a-pe-do-ke &:7tÉBCilXe:, che è as­surdo continuar ad interpretare diversamente (ad es. à.7tÉxBCilXC:), dato il suo chiaro paral­lelismo con a-pu-do-si e a-pu-do-so-mo (mai *a-pe-do-si, *a-pe-do-so-mo). Alcune novità riguardano la classe Ch, in cui notiamo qualche nuovo termine come ad es. wa-no-qe (Ch 5724 + 6005 + fr.), di difficile interpretazione (la somiglianza con wa-no-jo wo-wo di PY è certo solo grafica).

Per quanto riguarda il mondo religioso notevole la testimonianza di Dx 411 + 511, dov'è attestato il nome di Hermes (gen. e-ma-a.-o 'EpfL&:IXO: notare l'impiego di al' piut­tosto raro a Cnosso), di cui possedevamo attestazioni solo per Pilo. L'interpretazione del testo, a parer mio, non offre difficoltà se dopo di-ko-to (antropon.) / e-ma-a.-o sottin­tendiamo un Me:Àoç: cfr. a-te-mi-to do-e-ro PY Es 650., e per Me:Àoç omesso PY An 610 we-da-ne-wo VIR 20, e-ke-ra.-wo-no VIR 40 ecc. Di una seconda attestazione di 'Eptvuç

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SI e già parlato; sempre per quanto riguarda V 52 + 52bis rammentiamo che è confer­mata per il 'recto' la forma di dativo pa-ja-wo-ne (quindi anche po-se-da-o-[ne) , già congetturata dal Pugliese Carratelli e altri. Rientra Hermes, ma sparisce da Cnosso Artemide, in virtù della lettura si-mi-te-u (~fL~v&e:oC;) di V 1583+ 7747 + 7887 che fa giu­stizia della congettura aJ-~i-mi-te affacciata dal Miihlestein. In X 966+7855 abbiamo una menzione di te-o do-e-ro, la prima del genere a Cnosso: la correzione te-o-(jo) do-e-ro sulla scorta dei numerosi esempi di Pilo o l'ammissione di un genitivo « breve l) mi pare, in vista di questa unicità, per il momento arbitraria: da preferire in ogni caso, almeno provvisoriamente, la lettura &e:ÙlV 86e:Àoc;.

Ci sarebbero poi parecchie osservazioni da fare riguardo il raggruppamento dei toponimi e la topografia della Creta micenea (v. le note ad Og 833 + 959 e C 979 + + 7051 + 7657), per precisare e correggere quanto stabilito dalla Hart in «Mnemosyne &

18 (1965) pp. 1-28, ma il riferirle in questa sede sarebbe troppo minuzioso. Per quanto riguarda i determinativi e le sigle di abbreviazione ricorderemo la spiegazione congettu­rale di te = te-re-ta, o anche te-a-jo do-e-ro, in As 5944 + 6013 (ma è altrettanto possi­bile te-ko-to-ne, cfr. Am 826 a-pa-ta-wa-ja / te-re-ta VIR 45[ ] I te-ko-to-ne VIR 5), il significato da assegnare a ke in As 625 + 5870 + 5942 (certo non ke-ke-me-na, in quanto parallelo a da della stessa iscrizione e di PY Aa, Ab), la scrittura ta BOS di C 901 + 7661 etc. che ricorda OVIS+TA di PY Cn4 e Cn595 (quindi ta-to-mo?), ma che po­trebbe essere anche abbreviazione di "t"llUpOC; o altro. Le iscrizioni della serie D, natu­ralmente, fanno anche qui la parte del leone e l'Olivier anticipa nelle note alcuni risul­tati di uno studio comparso ora in « SMEA l) '.

Passiamo agli altri articoli. E. L. BENNETT (Miscellaneous observations on tlle forms and identities of Linear B ideograms, pp. 11-25) tratta con magistrale competenza paleo­grafica tre interessanti argomenti: le varietà di tracciato concernenti il segno *131 (VI­NUM), quelle riguardanti il segno *130 (OLEUM) ed infine la questione relativa alla identità e varietà grafiche del segno (o segni) *100 (VIR), *101 (VIRb) e ' *103 (VIRC). Egli ritiene che per ciascuno dei tre casi si debba parlare di un solo ideogramma, anche se le varietà di tracciato del medesimo risultino effettivamente cospicue. In altre parole i tratti che distinguono l'un l'altro i vari sottotipi che si è voluto via via distinguere non sono pertinenti ai fini di una diversità d'impiego dell'ideogramma-base, e le varietà formali che ne risultano sono semanticamente univoche, imputabili unicamente alle varie mani che le hanno tracciate o anche alle particolari circostanze in cui fu eseguita la registrazione (spazio a disposizione nella tavoletta, stato della superficie della mede­sima, fretta dello scriba, ecc.). Per quanto concerne il segno *130 (OLEUM) il Bennett è in netto contrasto con quanto cerca di dimostrare più avanti (p. 26 ss.) il Chadwick, ma d'accordo con quella che era stata finora la communis oPinio. Aperto invece il con­trasto anche con questa nel caso dell'ideogr. *100, *101 e *103: il Bennett avanza per la prima volta !'ipotesi che qui si tratti di un solo ideogramma, a cui converrà dare il numero *100 e la trascrizione VIR. La distinzione di tre diversi ideogrammi sarebbe un abbaglio: in realtà si annoverano non 3 ma ben 19 varietà di tracciato (a cui sarebbe assurdo assegnare 19 valori diversi), nate dall'interferenza esercitata vicendevolmente da due prototipi iniziali (di valore semantico comunque identico, altrimenti non si spie­gherebbero dette interferenze) e delle loro immediate o mediate derivazioni (di cui v. fig. 3 a p. 22). L'identità dell'ideogramma sarebbe inoltre sostenuta dai seguenti indizi: a) i tre «tipi l) convenzionalmente fissati non compaiono mai mescolati in una mede­sima tavoletta, b) essi sono distribuiti in proporzioni disuguali tra PY, KN e MY, c) i contesti in cui essi si avvicendano appaiono sostanzialmente simili. L'unica testimo­nianza contraria parrebbe essere KN As 1517, dove sul recto (1. lO) comparirebbe scritto

4 La série Dn de Cnossos, " SMEA " II pp. 71-93.

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VIRb e sul rovescio VIR : l'A. sostiene che è possibile che questa tavoletta sia stata scritta da due mani diverse.

La comunicazione di J. CHADWICK (The olive oil tablets oJ Knossos, pp. 26-32), presentata come un esempio tipico di commento da apportare alle singole sezioni (( sets ~) dei testi dell'archivio di Cnosso, tratta in primo luogo delle varietà paleografiche del­l'ideogramma *130, una delle quali (fig. le) sarebbe una legatura più stretta dei due elementi che formano !'ideogramma OLEUM + WE comparente sia a Pilo che a Mi­cene. Infatti le due varietà di tracciato *130a e *130e sono impiegate dal medesimo scriba in una stessa tavoletta, e anche se il totale, in Fpl, viene espresso con il primo di questi due segni, dal che verrebbe spontaneo dedurne identità di significato, non si può tuttavia esimersi dall'assegnare a ciascuno di essi un significato in qualche modo diverso, nel senso ad es. che *130a (il più semplice) sia inclusivo di *130e (il più com­plesso) e che perciò esso possa essser impiegato, senza troppo danno, anche al posto di quest'ultimo (come appunto nel ·caso della registrazione di un totale). Poiché i testi della serie Fp (analogamente a quelli della serie Fs più avanti commentata) sono di carattere religioso, il significato fEjCXÀELq>èc; tÀcxLfov « olio per l'unzione.) di OLEUM + WE è sempre sottintendibile, anche quando manca la legatura o, addirittura, come in casi non infrequenti, tutto l'ideogramma. La conclusione del Chadwick differisce dunque sostanzialmente da quella del Bennett (p. 17), il quale vedrebbe nell'uso di *130e al posto di *130a « una versione più elaborata del segno normale e l'assenza, nella legatura di qualsiasi intenzione di marcare il segno con un WE .).

Lo studio di J. T. KILLEN sulle tavolette Nc (The Knossos Ne tablets, pp. 33-38) non è solamente paleografico ma, come quello del Chadwick, anche esegetico, prova questa evidente che i problemi epigrafici non possono venir trattati disgiuntamente da quelli ermeneutici e viceversa. L'A., dopo aver rilevato come la ristretta ma compatta categoria di tali testi presenta particolarità paleografiche e di struttura peculiari (le tavo­lette sono, rispetto alle brevi registrazioni che contengono, insolitamente grandi e pe­santi, presentano segni molto netti e profondamente incisi e sono state esposte ad una fonte di calore molto intenso, quindi particolarmente dure), giunge alla conclusione che esse registrano quantità di lino filato o tessuto (non semi, come il Palmer aveva creduto di fissare per la serie parallela, Na, di Pilo) ceduto ai soldati come equipaggia­mento militare. Tale conclusione appare ragionevole non appena si rammenti che tali tavolette risalgono al medesimo archivio (la cosiddetta « armeria .») da cui provengono altri testi di carattere militare (tavolette della serie 04, ora 44).

Un secondo articolo dell'OLIvIER (Les seribes de Cnossos et les syllabogrammes non translittérés, pp. 30-44) costituisce un utile repertorio, convenientemente aggiornato rispetto a quello comparso nell'Index inverse du gree myeénien del Lejeune (pp. 99-116), dei segni rari e di significato incerto, se non del tutto ignoto, e pertanto non traslitte­rati, ricorrenti a Cnosso e suddivisi per mani. Per il segno *85 noteremo tuttavia che il valore au sembra ormai accertato (v. da ultimo Lejeune « SMEA.) I pp. 9-28); e anche per il segno *56 si può dire che il valore pa (forse pila) è molto più sicuro di quanto non si ammetta da qualche tempo in qua (v. anche per questo il Lejeune in questi stessi Atti, p. 142) 5.

Molto fruttifera di risultati e, com'era da attendersi, di spunti di discussione la sezione successiva, contenente le comunicazioni riguardanti la fonetica e l'inquadra­mento dialettal.e del miceneo. Primeggia per acutezza ed anche per la saggia aderenza ai dati di fatto documentabili il contributo di E. RISCH (Les différences dialeetales dans

5 All'inverso, per quanto riguarda *66, si è fatto molto bene ad accoglierlo in codesta lista, in quanto non è affatto sicuro il suo valore di tja (taz), Anzi, secondo me, il segno è una variante di *91 = two .

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le mycénien, pp. 150-177). Dopo aver rilevato l'uniformità linguistica tra Pilo, enosso e Micene, l'A. passa in rassegna alcune poche differenze dialettali riscontrabili all'interno del dialetto di Pilo, in particolare modo quelle relative al dato sing. in -i (anziché -e, cioè -e:L) , allo sviluppo; di ~ > o in vicinanza di labiale (tipo pe-mo, a-no-wo-to, a-re­po-zo-o) e al passaggio di e: in L in vicinanza di labiale (tipo a-ti-mi-te, ti-mi-ti-ja, i-pa­sa-na-ti, qa-mi-si-jo). Nonostante l'esiguità delle attestazioni si può dedurre che tali oscil­lazioni dipendono quasi sempre dalle « mani» che hanno vergato le tavolette e che que­ste pertanto possono raccogliersi attorno a due gruppi: il più ampio è quello che presenta costantemente il dato in -e, il tipo pe-mo e il tipo ti-mi-ti-ja, il più ristretto quello che presenta i dato in -i, il tipo pe-ma e te-mi-ti-ja. In altri termini, parrebbe di trovarsi di fronte alla coesistenza, nella lingua amministrativa, di due filoni, quello che il R. chiama «( miceneo normale» (dat. in -e ecc.) e quello che chiama «( miceneo speciale» (dat. in -i ecc.), il quale sembra seguire più da vicino situazioni riscontrabili nel greco del I millennio. Il miceneo «normale» sarebbe scomparso con i rivolgimenti che chiudono l'Età del Bronzo, l'altro sarebbe invece sopravvissuto. Naturalmente non si esclude che nel I millennio siano riemersi come relitti alcuni tratti del miceneo «normale l),

fra i quali potremmo menzionare <iPfL6çw (<iPfL6TI'w) con o come in a-mo apfLct, e anche tmmc; (myc. i-qo) con e: > L in vicinanza di labiovelare; si tratterebbe, in ambedue i casi, di termini risalenti a un lessico speciale, quello della terminologia ippica, formatosi appunto in epoca micenea. Il vocabolo tTI:1tOC; come parola 'micenea' nel greco era stato già segnalato dal Gallavotti al colloquio di Pavia nel settembre del 1958 (Le nom du cheval et les labiovélaires en mycénien, «( Athenaeum l), 1958, p. 371).

Suggestivo, ma non sempre persuasivo, il materiale raccolto da VL. GEORGIEV, (Mycénien et homérique: le problème du digamma, pp. 104-124) nel tentativo di dimo­strare che nel miceneo sono confluiti due filoni dialettali: uno protoeolico (con f conser­vato) e uno protoionico (con f in via di sparizione o caduto). È assai difficile ammet­tere che in periodo miceneo il digamma fosse in via di sparizione: il caso dell'attico x6p(f)"I), con "I) non restituito ad ii perché il f si faceva ancora sentire durante l'epoca in cui si effettuò tale «ritorno », dovrebbe metterei in guardia contro illazioni del genere. Ora è vero che nulla vieta che in qualche contorno fonetico particolare il digamma fosse già scomparso: ad es. in te-o: &e:6.; < *&fe:a6.; & ed in .. e:"pa:-, .. e:"rOp- da *xwe: .. fr­cfr. myc·. qe-to-ro-po-pi, to-pe-za); ma altra cosa è supporre una caduta generale, o quasi, del f . Tale tesi sembra inoltre invalidata, a parer mio, per i seguenti motivi ricavabili dal materiale stesso prodotto dallo studioso bulgaro: 1) il f cadrebbe di preferenza nelle forme toponimiche (es. pa-i-to) e antroponimiche (es. nomi in -no-o). cioè proprio in quelle risalenti al fondo più antico del patrimonio linguistico miceneo; 2) lo iato la­sciato dalla caduta di f intervocalico verrebbe risolto mediante l'inserzione di una -j­(es. pa-di-jo IIa:v8(wv, ki-jo-ne-u-si < x(fwv) o addirittura con una contrazione (es. pa-de = IIa:\l8er < IIa:v8:tfe:L); 3) davanti a f iniz, caduto sarebbe premesso 1'&\1- pri­vativo (cfr. a-no-no 6(v-wvo.;) e perfino il *ne- producente contrazione (es. no-pe-re vwcpe:­);7)ç) , secondo un processo attestato unicamente per radici inizianti per vocale e per di più antichissimo (es. VWVUfLVOç anteriore: ad &VWVUfLoç); 4) esisterebbero, secondo il G., alcune parole ibride, le quali attesterebbero, senza alcuna ragione plausibile, un tratta­mento per metà «protoionico» e per metà 1«( protoeolico l), es. :wi-Pi-no-o fLcpt-VO(f)o.;, a-Pi-no-e-wi-jo 'AfLCPLVO(f)éfwç, definito «( dérivation protoéolique d'un nom protoionien l), ecc.; 5) il f cadrebbe non solamente in nomi propri e in appellativi risalenti a termino­logie tecniche particolari ma anche in altre categorie di parole (comuni nomi di professioni come i-je-re-ja, preposizioni come e-ne-ka) che è assai difficile assegnare ad un dato so-

& Per &e:6.; da *dhesos (e non *dhwesos) vedo C. Gallavotti, Morfologia di 'theos', in «Studi e materiali di storia delle religioni t, 1962, pp. 25-43.

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strato (ma il G., a quanto sembra, intende la koiné micenea come un miscuglio di dia­letti e non come risultato di una sovrapposizione). In particolare noteremo il caso di i-da-i-jo, il quale contrasta, è vero, con il nome dell'Ida trasmessoci dalle iscrizioni alfa­betiche (es. B[8~v Schw. Del. 3 1771), ma concorda' d'altra parte con l'espressione i-da­ma-te[ che si legge ripetutamente in iscrizioni in Lineare A. Se il nome della montagna è uguale a quello della divinità, dobbiamo allora pensare ad una caduta di w- effettua­tasi in una lingua diversa dal greco (per l'etimo di "I8iiç cfr. il Georgiev stesso in • AION Ling. l) 1966, pp. 85 s.) e a fortiori diversa dal protoionico.

D'altro avviso A. BARTONì;';K (Mycenaean koine reconsidered, pp. 95-103), il quale discute su ciò che si deve propriamente intendere per ' koiné '. Mentre il Georgiev, in molti dei suoi lavori, parla tout court di una mescolanza dialettale attuatasi con moda­lità diverse ma con effetti praticamente identici a Creta (base: antenato dell'arcado­cipriota) e a Pilo (base: antenato del protoionico, ?) il Barton:;k ammette solo la possi­bilità di un' « integrazione l) e ritiene insufficiente, sia per la dimostrazione dell'una che dell'altra, tre dei quattro argomenti addotti dal Georgiev (alo come risultato di so­nanti; me-ta I pe-da; verbi tematici I verbi atematici). Più valide sarebbero le argomen­tazioni del Risch (v. sopra) e alcuni tratti messi in rilievo dal Heubeck (-lho- >-crto-, ka-za = XciÀ'ro~ e simm.) che fanno del miceneo un dialetto con caratteristiche proprie, ma appartenente ad ogni modo al gruppo dei dialetti con assibilazione 'rL > aL e con differenziazione degli esiti ' di *-t(h)y- a seconda che il gruppo ricorra all'interno di un morfema o alla sutura di due elementi morfologici (il cosiddetto *-t(h)y- eteromorfe­matico) , es. 'r6aoç, !J.Éaoç contro xpdaaUlv, ÈpÉaaUl e simm. Come « interdialetto l) la koiné micenea certo scomparve con la caduta dei regni micenei, mentre le forme vernacolari che le erano prossime si continuarono in alcuni dialetti del I millennio.

Sullo spinoso problema della palatalizzazione delle occlusive disserta acutamente la Sig.na G. R. HART (The effects of the palatalization of plosives in Mycenaean Greek, pp. 125-134). In contrasto con una tesi del Barton~k', l'A. giunge alla conclusione che i segni della serie z- in miceneo indicano un'occlusiva (sorda o sonora) palatalizzata (k' Ig' o, forse meglio, un suono intermedio tra dentale e velare) e non un'affricata. L'af­fricata, come esito più avanzato di *ky, *ty originari e di *t(i), è resa con la serie s- (es. to-so, me-sa-to, forse wa-na-so-i e pa-sa-ro; di-do-si), la quale può quindi assumere i valori secondari di Itsl e di 1151: manca per questa serie il valore di sonora, in quanto gli esiti dei gruppi paralleli *gy e *dy mostrano un ritardo nell'evoluzione e sono ancora fermi, in epoca micenea, allo stadio di palatali e perciò resi con la serie z- (es. me-zo-e, to-pe-za) , che viene impiegata anche per gli esiti di *ky secondario «*kiy + vocale, es. za-we-te < * kiya-we-tes, cfr. atto -rii'r€ç). La soluzione del problema è resa difficile dalla scarsità e dall'equivocità del materiale a disposizione (come ulteriori esempi di *ty > ts si po­trebbero addurre quelli di a-se-e topon. da &Àaoç, se accettiamo per questa parola l'etimo *altyos, e di ai-sa ~ra~ < *ait-YiJ.); comunque essa è corretta e, secondo me, l'unica accettabile. Quanto a me-za-na, che ora si vuoI ravvicinare a egiz. Midjana e perciò leggere Meaativex, bisognerà verificare il valore esatto del segno d'j (d) impiegato nellatra­scrizione egiziana, prima di arrivare alla conclusione che anche qui z- indica una dor­sale palatalizzata. Rileverò per inciso che la lettura txxwL~-a-to-mo di PY i-za-a-to-mo, proposta dal Miihlestein sulla base di un confronto con e-qe-o a-to-mo ed e-qe-a-o a-to-mo di KN, riceve un inatteso appoggio da quanto è stato sostenuto dal Risch a proposito dell'esito miceneo-greco di txxwoç, t1t1tOç (ie. *ekwo-), e può essere perciò impiegata come dimostrazione del carattere palato-dorsale dell'articolazione che trascriviamo conven­zionalmente z-.

Su di un problema essenzialmente ortografico si sofferma M. LE]EUNE (Doublets et complexes, pp. 135-149), il quale esamina sotto nuova visuale i problemi connessi

• The Phonic evaluation of the 5- and z- signs in Mycenaean, « SBFF & E 9 (1964), pp. 89-102.

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con i segni micenei ~ hors du système l), dividendo questi in due categorie, quelli che appaioni sostituibili con un solo segno (per es. al o a3 sostituibili con a; pus con pu ; pa3 con pa) e quelli sostituibili con due segni (per es. nwa con nu-wa; pte con pe-te). Ai primi si addice il termine di « doppioni l), il quale sottolinea la loro specializzazione e un rapporto non reciproco (ossia inclusivo) con il segno principale (t'a, può essere sosti­tuito da t'a, ma non viceversa, v. schemi a p. 139 e p . 141); ai secondi il termine di • com­plessi », cioè di segni notanti (a parte pte < ·pje?) consonante + semivocale + vocale (per es. nwa, dwo, two, tja, t'ja). Solo eccezionalmente uno di questi segni, il t'a., può essere interpretato quale doppione di t'a, come risulta dall'impiego di quest'ultimo al posto dell'atteso t'a. in ta-t'a-to (nome di un personaggio pilio identico a ta-t'a.-to), in e-ke..,.a-<wo)-ne (cfr. e-ke-t'a.-wo ed e-ke-t'i-ja-wo) e nei nomi di mestiere femm. ku-te­t'a-o, o-te-t'a-o, ze-pu.-t'a-o (cfr. per la stessa categoria le uscite -ti-t'a. e -ti-t'i-ja) in grazia certo di un assorbimento, di tipo eolico, della jod nei nessi p/rx-, Àjrx- (> -pprx, -ÀÀrx) . Anzi, l'impiego simultaneo dei due segni avrebbe portato anche ad un caso di grafia inversa, a-ke-t'a.-te &yÉpprxv're:c; o &yyÉÀÀrxv-re:C; con -pp- o -ÀÀ- di altra origine.

Anche nella terza sezione possiamo leggere contributi di grande rilievo, sebbene alcuni di questi, come vedremo, possano apparire ipercritici nello sforzo di ricostruire fasi linguistiche non attestate e quindi passibili di smentita attraverso future scoperte. Resta tuttavia il fatto che la discussione, anche a tale livello, risulta sempre proficua, se non altro come incitamento a scuotersi di dosso la pericolosa acquiescenza alla commu­nis oPinio. Ricca, com'era da attendersi, di dati e di approfondimento critico la comu­nicazione di P. CHANTRAINE, Finales mycéniennes en -iko (pp. 161-179), consistente in un esame di tutte le parole (nomi propri ed appellativifche, uscenti in -i-kol -i-ka 8, possono celare uno dei tre suffissi in gutturale: -Lx6c;, -LaxOC; ed -LX0C;. Lo studio è oltremodo inte­ressante in quanto non tutti i tre suffissi sono in Omero, per ragioni dipendenti soprat­tutto dal carattere della sua poesia, molto usuali (-Lx6c; raro, -LX0C; limitato alla sola parola fLdÀLXoc;, ed -LaxOC; inattestato), e quindi la documentazione micenea serve a riempire una grossa lacuna riguardo la fase più antica della storia di questo gruppo di suffissi. Alla fine della sua esposizione lo Chantraine giunge alla conclusione che -LaxOC; è attestato con certezza almeno una volta (ti-t'i-po-di-ko 'rpmo8(axoc; appello e nome di persona) e con grande probabilità altre due (da-pu.-nu-wi-ko ~rxq>w[axoc;, mu-ti-t'i-ko Mup'rLÀLaxoc;), -Lx6c; quasi sicuramente una volta (ta-t'a-mi-ka 0rx"J...rxf.I.LX<X dal topon. 0rx­À&fLrxL), -LX0C; invece solo come probabile un paio di volte ".

l La comunicazione di C. GALLAVOTTI (Quelques t'emat'ques de mot'phologie, pp. 180-19~), la quale si distingue, come di consueto, per originalità di vedute e freschezza di documentazione, si articola su quattro punti: 1) Genitivi in -o, 2) Dat. plur. in -o, -a, 3) Impiego delle forme brevi, 4) Gruppi consonantici. Per quanto riguarda i cosiddetti ~ genitivi brevi» in -o (al posto di -o-jo), molto frequenti a Cnosso, l'A., partendo dal­!'idea che il miceneo sia un dialetto eolico, identifica -o I-o-jo con le desinenze di gen.

8 Di passaggio noterò che lo Chantraine ritiene abbastanza plausibile l'interpretazione, risalente al Palmer, di o-u-ka (PY) = 6fLX<X «di pecora» (attrib. di LANA), interpretazione che io non condivido, in quanto presuppone per il miceneo una norma grafica (vocale semplice con valore di semivocale + vocale qualsiasi, in altre parole u = w") estranea al suo sistema di scrit­tura o per lo meno non ancora confermata dall'evidenza dei fatti (l'analogia di di-u-jo non entra in discussione, perchè ivi l'i è già sufficientemente indicato dalla sillaba jo: l'eccezionale concisione grafica non può certo costituire l'avvio ad un'estensione analogica di u con valore di wi).

I In verità, a me pare che quest'ultimo sia chiaramente attestato, benché indirettamente, almeno una volta attraverso il nome di perso femm., non compreso nell'elenco dello Ch., a-so­qi-ki-ja (PY Ad 689), certo un derivato in -(rx (dunque ex-patronimico?) da 'Aawmxoc; (-LX6c;) attestato per la Beozia (cfr. Miihlestein, Etudes Mycéniennes, p. 94 n. 1). Naturalmente è possi­bile anche' Aawmx6c;, etn. da 'Aawn:6c; (per cui si veda a-so-qi-jo KN B 803 'AawxWLoc;), ma tale identificazione mi sembra assai meno puntuale dell'altra.

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-oLI -O LO del tessalico e ritiene che -OL non è riduzione di un antico -OLO ma, in quanto confrontabile con il gen. messapico -ahi (= -ai?) e quello falisco -oi (anche qui attestato accanto ad -osio), un tratto morfologico antichissimo che il tessalico (eolico) avrebbe portato con sé dalla Ba1cania settentrionale, dove eolico, messapico e lingue italiche avrebbero convissuto per un certo tempo sviluppando isoglosse in comune. Si domanda ancora se 1'-00 irriducibile a -OLO del testo omerico non ricopra alle volte effettivamente un originario *-OL, e se un genit. in -OOL di una tarda iscrizione di Cirene recentemente pubblicata non sia appunto un -OL sovrappostosi al gen. dorico in -00 o addirittura una forma non abbreviata *-ai identica al messapico -ahi. Meno persuasiva la nuova inter­pretazione dei dato plur. in -o, -a (ammesso, come pare, che ve ne siano, cfr. fra gli altri PY An7u ~oLxo86!J.OLC;): mentre per -o-i, -a-i il Gallavotti sostiene giustamente la let­tura -OLC;, -CXLe;, (e non -oihi, -aihi) , per -o e per -a suggerisce -oe;, -ii-:; (e a tal proposito viene aggiunta alla fine dell'articolo una nota di CROSSLAND sulla declinazione ittita): tali forme di dativi in -as e -as troverebbero un parallelo in una iscrizione tessalica arcaica (pubblicata nel 1964) ed in due iscrizioni dell'Elide, eventualmente in un verso discusso di Esiodo (Op. 548 7t1Jpoep6poe; da unirsi con ~PYOLe;, non con &:-IJp). Quanto poi all'al­ternarsi di forme brevi e di forme lunghe nei « gruppi sintattici ,) aggettivo + sostan­tivo (tipo ku-te-se-jo e-ka-ma-pi, ko-no-si-ja ki-ri-te-wi-ja-i, pa-ki-ja-si mu-jo-me-no = = LepCXY(CXVOL !J.ULo!J.É:vmç, ecc.) è possibile che il nesso sintattico richieda per se stesso che si eviti il susseguirsi di forme di ugual misura (-OLe; •.• -me;, -epL ... -epL, ecc.) e si preferisca invece la variazione -OC; ... -OLe;, -oe; ... -epL, -oe; ... -(1L ecc., secondo lo stesso modulo impiegato più tardi nella lirica eolica ed in quella corale, dove appunto si evita -OLaL . .. -OLaL in favore di -mc;... -OLO"L o di -OLO"L... -OLC;. Si noti però che esistono in miceneo anche casi di ripetizione (es. KN Se 1006 e-re-pa-te-jo-Pi o-mo-p i) i quali sminuiscono, evidentemente, la portata dell'osservazione. Per quanto riguarda il punto quarto, si può ammettere col G. che po-pi sia rr6rrept con sviluppo fonetico di­verso da po-ni-ki-Pi epOLVLXept, in quanto qui si incontrano due occlusive sorde e li una sonora con una sorda. Ma come spiegarsi allora a-di-ri-ja-Pi (da un tema &:V8pLCXII't"­esteso a tutta la declinazione non mi pare che si possa sfuggire) e ko-ru-pi (se questo è lo strum. di xopu-&-)? Secondo le norme testé fissate si dovrebbe trovar scritto *a-di­ri-ja-ti-pi e *ko-ru-ti-pi. Ritengo perciò sempre valida l'esigenza di leggere po-pi e casi consimili come rro't"epL con prima occlusiva taciuta perché conteggiata a carico della sil­laba antecedente anziché di quella seguente. Quanto poi agli accuso plur. dei temi in -o ed -a, che il Gallavotti vorrebbe leggere -OC;, -<xc; (con quantità breve o lunga, ma non -ons, -ans) , il rilievo che *cx!1;!J.&:ve; si sarebbe dovuto scrivere *ai-ka-sa-ma-na cosi come f&:vcx1; viene scritto wa-na-ka non regge, in quanto diversa è la valutazione che dobbiamo dare ad un'occlusiva davanti sibilante in penultima posizione e ad una nasale nelle stesse condizioni: in linea generale l'occlusiva viene notata (es. wa-na-ka-te o wa­na-ke-te fcxv&x't"et), mentre la cosiddetta nasale d'appoggio è sempre taciuta (es. pa-te rr&:v't"ec;), secondo una norma che troviamo applicata nel cipriota classico e anche in si­stemi arcaici di scrittura alfabetica. Il Gallavotti invece intende stabilire come norma generale del sistema grafico miceneo, che solo il secondo di due fonemi finali di sillaba chiusa sia omesso graficamente (quindi -o-i = -ois, pa-i-to = ~cxLcr-'t"6c;), ma che ciò non riguarda le consonanti occlusive, perché l'occlusiva non è mai omessa (po-ti-ni-ja = rr~-VL-Ot a differenza di llocrc:t-M-oov = po-se-da-o, x6p-fa. = ko-wa, rr&:v-'t"c:c; = pa-te). Quanto ai temi in -v't"-, egli esclude la presenza della dentale nelle forme dei dativi plu­rali e degli strumentali in -ept, vedo Il nome della testa e dell'anfora micenea a falso collo, « Riv. Fil. Class. ') 1962 p. 145 a proposito di karaapi (ora anche E . Risch in .. SMEA" I p. 63 con n. 25, e O. Szemerényi in "SMEA" II p. 21).

Passando alla prima parte della comunicazione di O. SZEMERÉNYI (The develop­ment of the -o-I-a-stems in the light of the Mycenaean evidence, pp. 211-225), l'illustre comparatista tenta di dimostrare che le forme di nom.-acc. duale femm. scritte -o (tipo

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to-pe-zo, s-qz-Jo, ecc.) sono da leggersi con una desinenza -o~ (quindi -r6p7te:~o~, tKKwLO~,

ecc.), discendente direttamente da ie. *-oi. Soltanto prima della decifrazione del mice­neo si poteva essere incerti, data l'ambiguità degli esiti indiani, baltici e slavi, se rico­struire un ie. *-ai oppure *-oi: ora, la forma micenea in -o e la tardiva considerazione che il duale femm. stesso del numerale « due» (scr. d(u)ve, sI. duvé, ecc.) riposerà ovvia­mente su un tema tipo *dwoj-o piuttosto che *dwaj-a, ci autorizza a preferire la prima alternativa. Le forme attiche tipo a-r~Àcx sono nate sotto la pressione dei duali masch. tipo 7tOÀL-rCX, con -iX a sua volta sorto dalla contrazione di -a.-e: (cfr. myc. e-qe-ta-e) . L'autore sorvola volutamente sul valore delle attestazioni Hesiod. KCCÀUtjJCCfLÉ\lW ed eleo Kccn­cr-roc-ro (da masch. in --rcxç) : la prima sarebbe una creazione artificiosa del linguaggio poetico, la seconda una forma del masch. KCC-r&O'rO(-roç; quanto poi all'articolo femm. -rw identico al masch. ritiene che tale identità sia un riflesso dell'omofonia fra il più antico duale masch. -ro( e femm. pure *-roL Per giudicare rettamente questa nuova interpretazione occorre tener presente l'imbarazzo in cui il linguista si trova ogni volta che gli capita l

di dover spiegare per il miceneo tratti morfologici aberranti o graficamente ambigui: dovrà interpretarli come forme più vicine all'ie. ricostruito o non piuttosto spiegarli quanto più è possibile col greco attestatoci per l'età classica? La risposta, è ovvio, varia da caso a caso; tuttavia, in vista della prima alternativa, il suo comportamento dovrà essere di massima assai prudente, in quanto che il miceneo è cronologicamente pur sem­pre più vicino al greco dell'età classica che non alle origini indoeuropee. Letture basate unicamente sull'indoeuropeo ricostruito corrono sempre il rischio di trovare prima o poi smentita, come nel caso ormai noto di di-pte-ra3 (= Ih<p&Épcc~), il quale ha rimosso definitivamente la tentazione di leggere i nom. plur. masch. e femm. in -o ed -a come *-os ed *-as anziché -o~, -cc~.

Sullo stesso tono si svolge la ricerca susseguente, relativa al tormentato problema degli strumentali e dativi-Iocativi plur. micenei. Anche lo Sz., d'accordo colla propria enunciazione prograpl.matica di p. 217 lO, preferisce assegnare al miceneo una pluralità di casi obliqui non attestata nel greco del I millennio: strumento (-ablativo) da ie. *-ois e dat.-Iocativo *-oisu. Il miceneo avrebbe mantenuti distinti i due casi anche grafica­mente: dat.-Iocat. ridotto ad *-oihi, poi -oyyi, -oi (scritto -o-i), e strument.-abI. -ois (scritto -o). Successivamente, in séguito alla contrazione di -oi nel dittongo -oi, il dat.­loc., venendo a coincidere col nom. plur. e collocat.-dat. sing., sparl, cedendo le sue fun­zioni all'ablativo-strum.: si ebbe cosl il nuovo caso sincretico -o~ç (femm. -cc~ç) avente funzione di dat., locat., strum.(-ablat.) di cui è una tarda innovazione la desinenza -o~a~ (-cxen, -cc~cr~) dell'eolico e dell'attico-ionico. Questa spiegazione ha certo il merito, sopra le altre, di aver levato di mezzo il grosso ostacolo relativo allo sviluppo di -Otcrt che sarebbe stato rifatto sul miceneo -oihi (cosa inammissibile, perché l'h interno di parola in miceneo era già sparito e gli s erano già stati restituiti nelle posizioni in cui siamo abituati a trovarli anche in epoca classica : do-so-si awcrO\lcrt, ti-ri-si -rp~crL, ka-ke-u-si xccÀKe:ucrt, ecc.): tuttavia, poiché essa non tien conto di altre particolarità della docu­mentazione, messe bene in rilievo dal Gallavotti e dalla Morpurgo-Davies (vedine le rispettive comunicazioni), essa dovrebbe venire abbandonata.

Anche le argomentazioni del breve articolo di M. S. RUIPÉREZ (Mycenaean ijereja: an interpretation, pp. 211-216) sollevano qualche perplessità. Che il suffisso miceneo femm. -eja parallelo al masch. -e-u (-e:uç) sia indipendente da questo e trovi la sua ragion d'essere nella formazione eteroclitica dei femminili degli aggettivi in -u (tipo YÀUKe:!CC, ion. -Écc, da -Éycc, forma rifatta sui femm. tipo -I]ptyÉ\le:tCC o su -tCC di --rp~cc) è possibile, però non va sottovalutato il fatto che in miceneo è attestato anche -e-wi-ja, cioè -TjFycc,

10 .In other words, in Mycenaean times the Doun stili possessed alI the cases assumed for Indo-European t.

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riconoscibile nella forma ki-ri-te-wi-ja, nota già da tempo, e in ne-we-wz-Ja documen­tato come nome di mestiere (v. le nuove congiunzioni del Killen e dell'Olivier) e con­frontabile eventualmente col masch. ne-we-u (v. 1.) di PY Ad 142: la coesistenza di queste due formazioni costituisce un problema a cui bisognerà trovare un'adeguata soluzione che nel contributo del Ruipérez non è indicata.

Ottima e convincente la comunicazione della signora A. MORPURGO-DAVIES (An instrumental-ablative in Mycenaean?, pp. 191-202). Dopo un attento esame della docu­mentazione arcado-cipriota e di quella micenea, la studiosa perviene alla conclusione - che pienamente condivido - che non ci sono fino ad oggi ragioni sufficienti per rico­struire per il proto-arcadocipriota e per il miceneo un caso strumentale-ablativo. Fra le argomentazioni addotte dalla Morpurgo per -dimostrare che la funzione ablativale di -pi nei casi prospettati dall'Ilievski non è mai chiaramente comprovabile epperciò solamente ipotetica, rammenterò la circostanza, che non mi sembra irrilevante, che pa-ro (ammesso che significhi sempre « da parte di .») non regge mai un caso in -pi, ma, all'inverso, come sottolineava l'Ilievski stesso (( Ling. Balk. .) 6, 1962, p. 36 n.), il dativo (es. pa-ro ka-ke-u-si PY An 129,).

Su un problema sintattico si sofferma invece C. J. RUIJGH (Quelques remarques sur l'absence de KCXL et sur l'emploi des particules -qe et -de dans les textes mycéniens, pp. 203-210) 11. Egli esamina alcune particolarità dell'uso delle particelle -qe e -de: il -qe non ha ancora assunto nei nostri testi il valore del cosiddette "e: epico, ma si limita alle funzioni che avrà il KCXL (da *KCX"L [cfr. KCX"&] per aplologia nelle frasi *KCX"t ,,6, cfr. argo!. e delf. 1tO~ < *1tO"t ,,6) in epoca posteriore. Esso serve a congiungere membri coordinati (sog­getti, complementi, predicati) all'interno di una proposizione o registrazione, e solo ecce­zionalmente collega fra loro due registrazioni (es. KN V 1002 pi-ra-ki-jo 1 pe-ri-jo-ta-qe 1) o due proposizioni (cfr. nella serie Sd di Cnosso le frasi introdotte con o-u-qe, dove però o-u-qe ha già assunto un valore avversativo). Per quest'uso è invece impiegato normalmente il -de (cfr. PY Ep 7045,.), Quanto ad e-ke-qe delle serie Eo/Eb di Pilo (es. si-ma te-o-jo do-e-ra e-ke-qe o-na-to), il R. ritiene che si tratti di una registrazione con due predicati, uno nominale (nella traduzione possiamo sottintendere « è possessore.) o simm.) e uno verbale contenente e-ke . Interessante l'interpretazione di to-so-de che il R. legge ,,600ç 8è: e non ,,00008e:, in quanto anche qui il -de è coordinatore di due frasi (cfr. KN Ga 1530 •. , to-sa AROMA 58 / [to]-sa-de o-pe-ro AROMA 31): quindi PY Es 650 « X. Y. e-ke to-so-de pe-mo » va interpretato « X. Y. possiede (la terra) e tanto è il semi­nato .).

Passando alla sezione ermeneutica, A. HEUBECK nella sua comunicazione (Myce­naean qe-qi-no-me-no, pp. 229-237), dopo un accurato esame comparativo dell'impiego di questo termine rispetto al parallelo a-ja-me-no, esame da cui traspare che a-ja-me-no indica una tecnica di intarsio o incrostazione con materiale diverso da quello con cui è costruito il mobile e qe-qi-no-me-no una lavorazione (incisione, rilievo, colorazione) del materiale di ba,>e, ritiene insoddisfacenti le letture finora proposte e conclude che il verbo che sta alla base di qe-qi-no-me-no e qe-qi-no-to (perfetti) sia *yW~v6w « vivIficare », antico causativo della rado *gwey<J3 « vivere.) (da cui ~~w, ~LOç ecc.), di cui resta traccia nell'epiteto omerico 8~vw,,6ç, finora mal interpretato (( rotondo », « arrotondato» ecc.). Tale verbo in miceneo sarebbe passato al significato specifico di « riprodurre con la pit­tura o la tecnica dell'intaglio figure di esseri viventi .), mentre in Omero si sarebbe sbiadito in quello più generico di « decorare .), « ornare '). Naturalmente, per accettare tale interpretazione è necessario ritenere il 8~- di 8~vw,,6ç come esito ionico-dorico di *yW~_, in contrasto con ~~- che sarebbe l'esito eolico, e a considerare ~Loc; e fam. nei

11 La comunicazione è il riassunto di due capitoli del libro dello stesso, Etudes SUI' la gram­maire et le voeabulaire du gree myeénien (Amsterdam 1967), pp. 289-350.

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dialetti ionico-attici e dorici un prestito dall'eolico, il che potrebbe ingenerare qualche perplessità (cfr. a questo proposito O. Szemerényi in «SMEA ~ I p. 37 ss.).

La comunicazione dell'ILIEvSKI (The t"ecipients oj tlle Es tablets, pp. 238-244) con­siste in un tentativo di interpretare in modo coerente i tre nomi di destinatari di offerte (di-wi-je-we, we-da-ne-woj-we, 34-ke-te-si) che seguono al IIoO"e:L3cXovL 3')O"fl6ç in tredici delle 14 tavolette della classe Es di Pilo. I primi due sono, formalmente, degli etnici in -e:uç tratti da nomi di località f1lfLOV e *Wedanon o *Wedana (cfr. 'Av3av!a?), ma sostanzial­mente degli epiteti di Posidone, il quale veniva venerato in tali due località oltre che a Pilo (non nominata ma facilmente sottintendibile nella prima riga). Il rapporto con Ze:uç dell'epiteto di-wi-je-u è quindi solo accidentale, deriva cioè dal fatto che il sito era stato anticamente sede di un santuario a Zeus: divenuta la denominazione ' *f1lfwv vero e proprio toponimo, il relativo etnico poté essere senz'altro usato come attributo di Posidone. Quanto a 34-ke-te-si, si tratterebbe di un topon. al locativo e tutta la frase significherebbe (I offerta (al tempio di Posidone) in località 34-xe:T~pe;ç », quindi espressione parallela alle altre due.

Sul problema sempre vivo riguardante le cosiddette tavolette catastali di Pilo si sono avute due comunicazioni, una di D. M. J ONES (Land tenut"e at Pakijane: some doubts and questions, pp. 245-249) e una del LEJEuNE (Le t"écapitulatij du cadastre EP de Py­los, pp. 260-264). Ambedue si soffermano su problemi di contorno che non è facile qui riassumere. Fra gli argomenti affrontati dal J ones merita un cenno particolare una nota sull'impiego del cosiddetto (I qe prospettico » delle frasi e-ke-qe o-na-to della serie EojEb, in contrasto con e-ke o-na-to delle serie EnjEp. In accordo con quanto già affermato indi­pendentemente dal Ruijgh (v. sopra p. 115), il J . ammette la possibilità che il primo tipo di notazione consista di due frasi (I A.: (he) holds an onato » ed il secondo di una sola: (I A. holds an onato ». Eo ed Eb sarebbero perciò un elenco di persone soggette ad una revisione catastale per quanto riguarda i loro possessi: al loro nome sarebbe stata apposta, per una più pronta identificazione, una nota integrativa indicante i possessi da esse goduti fino a quel momento; En ed Ep sarebbero invece le registrazioni del nuovo riordinamento, successivo alle revisioni, con notazione sia delle modifiche inter­venute sia dei rinnovi (è il caso di gran lunga il più frequente) dello «status quo ». Il J ones segnala però nel contempo anche le difficoltà inerenti a tale tesi, in vista sia del fatto che le modificazioni intervenute tra le redazione Eo-Eb e quella En-Ep sono ve­ramente insignificanti, sia del fatto che anche in Ep compaiono alcune registrazioni del tipo e-ke-qe (indicheranno forse proposte di modificazione o di rinnovo non ancora rati­ficate al momento della stesura definitiva del documento ?).

Il Lejeune si sofferma invece sulle relazioni intercorrenti tra la serie Ep ed una sua ricapitolazione, costituita dalle tavolette (I aberranti » della serie Eb - per inten­derci quelle risalenti allo scriba 1: Eb 236, 317, 847, 901 - che sarebbe più giusto chia­mare con una nuova sigla Ed, ma che in via provvisoria 1'A. si accontenta di classificare *Eb, e cerca di rispondere ai seguenti interrogativi: 1) se possediamo integralmente le tavolette Ep; 2) se possediamo integralmente le tavol. *Eb; 3) se a-Pi-me-de è un e-qe-ta nel distretto di pa-ki-ja-ni-ja (cfr. *Eb 317); 4) se i suoi schiavi (Ep 53910 '12)

sarebbero dunque gli e-qe-si-jo do-e-ro di *Eb 847. La risposta ad alcuni di questi quesiti dipende dalle integrazioni che intendiamo apportare al testo mutilo *Eb 901, ma anche, reciprocamente, dalle lacune riguardanti le cifre di Ep, e inoltre dal fatto che Ep pre­senta alcune modifiche anche rispetto ai documenti preparatori della serie normale Eb (mano 41), per cui ci si domanderà : *Eb tiene conto di tali modificazioni intervenute in Ep oppure risale direttamente ad Eb? .Si conclude rilevando che nel territorio di Pa-ki-ja-ne due terzi dell'area coltivata erano costituiti da ko-to-na ke-ke-me-na e un terzo da ko-to-na ki-ti-me-na.

Molto suggestive le conclusioni a cui arriva M. LANG nel suo articolo Cn jlocks (pp. 250-259). Indagando i vari dati (numerici, toponimici e antroponimici) offerti dalle tavolette

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del gruppo A della classe suddetta, la studiosa ritiene di poter dedurre: 1) che un ordi­namento del bestiame per razze avveniva in almeno due centri di allevamento; 2) che l'imposizione tributaria si faceva per distretti; 3) che i prelievi venivano fatti nelle loca­lità entro i distretti; 4) che si teneva conto della ripartizione dei sessi; 5) che i censi­menti predetti sono di greggi destinate ad uso religioso, non per il ricavo della lana come a Cnosso; 6) che gli uomini addetti all'allevamento appartenevano a 14 corporazioni, sette della prima e sette della seconda circoscrizione amministrativa di Pilo, ognuna delle quali probabilmente connessa ad un centro religioso (cfr. le quattordici divinità (, canoniche» che si possono conteggiare nella tavoletta Tn 316 di Pilo). Esaminando le formule accessorie a-ke-o-jo, a-ko-so-ta-o, we-da-ne-wo, a-pi-me-de-o, pa-ra-jo e wo­ne-we e constatatane l'eterogeneità formale (le prime quattro sono genitivi di nomi di persona, le altre due aggettivi), la Lang conclude che esse non sono nomi di (, racco­glitori », bensi designazioni di razza: quella vecchia (pa-ra-jo 7tOCÀIXIOI.) in via di estin­zione, a cui appartengono ormai solo animali maschi, quella scura (wo-ne-we evident . .FoIV'ijfeç) t) le altre quattro designate dal nome dei funzionari che per primi introdus­sero, diffusero o comunque garantirono le nuove razze. Le registrazioni senza designa­zione suppletoria si riferiscono probabilmente a greggi miste. Se le cose stanno cosi, mi domando che cosa significherà allora la frase a-ke-o a-ke-re di Cc 660 ed il gruppo sillabico a-ko-ra (abbreviato anche in a) che talora segue ai genitivi predetti (ma non a pa-ra-jo e wo-ne-we): certo non più &ydpe:I ed &yop,x. Che il primo di questi significhi &yyéÀÀe:I (, dichiara» (ad es. d'essere garante per quella determinata razza ecc.) pare pure escluso, dato che non viene tenuto conto dello stretto rapporto con a-ko-ra sot­tolineato cosi perspicuamente dall' (, Ablaut l).

Miscellaneo il contributo di L. R. PALMER (Some points for discussion, pp. 275-284). Nel primo paragrafo viene proposta in KN V 280 la lettura i-ku-wo-i-pi = dlxxwolv-q>I alle due Cavalle» (divin.): tale attestazione (cfr. anche Gallavotti, Docum. e struttura del greco miceneo, p. 91) è importante sia dal punto di vista fonetico (in quanto l'alter­nanza i-qo j i-ku-wo- confermerebbe per il miceneo il valore jkwj della labiovelare) sia da quello sintattico-morfologico (e-Pi + caso in -q>I, il quale attesterebbe la funzione locativale del suffisso), sia quello storico-religioso (presenza di due divinità femminili ippomorfe che gli storici della religione avevano ipotizzato per l'antica Arcadia ancor prima della decifrazione della Lin. B). I-qo come menzione di divinità sarebbe presente anche in PY Eq 596 (e-ne-ka i-qo-jo) e in Fa 16 (cfr. inoltre An 12811 Po]-ti-ni-ja i-qe-ja). Poiché e-ne-ka sarebbe una preposizione col significato speciale «al servizio (di una divinità) », ne risulterebbe che anche altre espressioni contenenti e-ne-ka comportino un nome di divinità: e-ne-ka a-no-qa-si-ja ('Av<x(3<xato:, personificazione di qualche atto ri­tuale, ex. gr. (, il montar su un carro» o (, l'imbarcarsi su una nave »), e-ne-ka ti-mi-to «al servizio di Themis & ecc., o comunque una circostanza di carattere religioso (ad es. e-ne-ka ku-ru-so-jo i-je-ro-jo). Nel secondo paragrafo si riferisce un altro caso di -pi con valore locativale (Cn 418. ma-ra-pi pe-ko (, animali 7te:pxo( nelle malai », parte del corpo non identificata). Nel terzo si riferisce un caso in -pi con funzione ablativale: PY Vn 1301 o-ze-to ke-sa-do-ro 34-to-pi I a-ke-al &C; yéVTO (=prese) K. tX.yye:rt. «, vasi l») 34-TOpq>I (ablat. da un «nomen agentis» in -Tf)p attestato al nom. sing. in An 218: 34-te). Ivi 34-TOpq>I sostituirebbe una costruzione di 7trt.pò+dat. (e mi domando se per caso -pi non possa significare un singolare). Nel paragrafo quarto, infine, la frase si-to-po-ti-ni-ja dei nuovi testi di Micene viene interpretata come alTWV (cfr. aLToc ahoç) IloTl/lrt..

Nella sezione IV sono inserite anche due comunicazioni che affrontano problemi più propriamente storico-religiosi ed archeologici: si tratta dei contributi di SP. MARI­NATOS (IloÀulH,jnov "Apyoç, pp. 265-274) e del RICHARDSON (The labyrinth, pp. 285-296). Nel primo di questi il Marinatos riprende e sviluppa la vecchia interpretazione del Palmer riguardante il nome di divinità miceneo di-Pi-si-jo-i (col derivato di-Pi-si-je-wi-jo, nome della festa relativa) (, le divinità della natura riarsa », tentando di inserirlo in un gruppo

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di divinità minori (demoni) aventi i caratteri dei geni della vegetazione (Taurt) del panteon egiziano. Tale interpretazione tien conto anche dell'espressione omerica (~ 171) 7tOÀUS(~LOV "Apyot;, che va appunto tradotta (I Argo (= Peloponneso) ricca di de­moni Dipsioi l). Rappresentazioni di questi demoni, i quali, come in Egitto, avrebbero la funzione di presiedere, caratterizzandoli, ai singoli mesi dell'anno, si troverebbero in alcune figure antropomorfiche o teriomorfe incise su anelli, avori e sigilli dell'età micenea ed anche postmicenea, raffigurazioni le quali a volte sembrano offrire una valida spiegazione ai nomi di mese (e di festività) della Grecia classica.

Lo studio del Richardson spiega invece la genesi grafica del labirinto -la cui raffigurazione più antica è quella comparente sul rovescio della tavoletta di Pilo Cn 1287 - partendo non da una croce o svastica, come aveva tentato la Heller, bensl dal motivo stilizzato dell'ascia. La ragione di questa scelta è dovuta al fatto che croci e svastiche sono molto rare nel mondo egeo, mentre il simbolo dell'ascia (contrassegno dell'arte dei carpentieri, dei costruttori di edifici) è frequentissimo. Tale nuova ipotesi troverebbe una sorprendente conferma nell'etimo di À(l(~UpLV&Ot;, il quale, come soste­nuto da una fitta schiera di studiosi, deriva appunto da M~puç (I bipenne l), solo che questi inserivano tra i due termini un • tertium comparationis', cioè À(l(~UpLV.&Ot; come designazione del Palazzo di Creta, sede del culto dell'ascia e più tardi divenuto celebre per l'intrico dei suoi corridoi e stanze. Invece il motivo più antico del labirinto è pura­mente geometrico e non ha nulla a che vedere con la pianta del Palazzo di Minosse né con il Minotauro. Di più esso trova una conferma nei disegni di labirinto trovati su alcune pietre preistoriche in Irlanda e Cornovaglia, disegni che possono apparire come (I biglietti da visita l) di qualche artefice tardo-minoico o miceneo capitato in quelle regioni.

Il volume si chiude con un ricco indice delle parole micenee studiate nei singoli articoli.

MARIO DORIA

Religione mic:enea in Magna Grec:ia.

"Santuari di Magna Grecia" (Atti del IV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto, 1964). Napoli, 1965.

Nell'ambito di un convegno dedicato ai santuari della Magna Grecia, e caratte­rizzato da un fecondo scambio di idee fra storici, archeologi, linguisti e filologi, G. Pugliese Carratelli ha svolto una relazione su (I Culti e dottrine religiose in Magna Grecia» (p. 19-45 degli Atti; cf. anche (I La parola del passato l), XX, 1965, p. 5-27), esponendo una teoria nuova e interessante sulla genesi dei culti italioti.

Già in passato molti autori avevano osservato l'originalità dei culti coloniali rispetto a quelli della madrepatria, e li avevano spiegati ora col confluire di tradizioni religiose provenienti da varie metropoli, la cui contaminazione avrebbe prodotto gli aspetti nuovi che si notano in terra italica, ora con la sopravvivenza di elementi indigeni in veste greca. Nessuna delle due teorie può considerarsi soddisfacente. Sebbene la colla­borazione fra gli stati greci nell'attività coloniale sia un fatto certo e ben documentato, molte delle ipotesi formulate dai moderni per spiegare l'origine di singoli culti risultano arbitrarie o palesemente false; e l'accoglimento di culti indigeni da parte dei coloni ap­pare molto improbabile, tanto più se il fenomeno viene attribuito ai secoli VIII e VII, cioè a un'epoca in cui gli Elleni erano già consci della propria superiorità culturale sugli altri popoli, e avevano alle spalle tradizioni antiche e profondamente radicate.

Il Pugliese Carratelli spiega invece le caratteristiche peculiari dei culti italioti